Eleaml - Nuovi Eleatici


La svendita del Banco di Napoli

negli Atti Parlamentari

Camera dei Deputati - Senato della repubblica


(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

Gennaio 2015

DECRETO 14 ottobre 1996 - (GU Serie Generale n.242 del 15-10-1996)

  DECRETO 14 ottobre 1996

Sottoscrizione da parte del Tesoro dell'aumento di capitale del Banco di Napoli S.p.a. ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera d), del decreto-legge 24 settembre 1996, n. 497.

Procedura di dismissione.

(GU Serie Generale n.242 del 15-10-1996)

IL MINISTRO DEL TESORO

Visto il decreto-legge 24 settembre 1996, n. 497, recante disposizioni urgenti per il risanamento, la ristrutturazione e la privatizzazione del Banco di Napoli; Visti gli articoli 1, comma 1, e 6, comma 1, del decreto-legge n. 497 che autorizzano il Ministro del tesoro a sottoscrivere aumenti di capitale del Banco di Napoli per un importo massimo di duemila miliardi; Visto l'art. 3, comma 1, lettera d), del decreto-legge n. 497 che condiziona la sottoscrizione degli aumenti di capitale del Banco di Napoli da parte del Tesoro agli interventi finanziari delle banche e degli altri investitori istituzionali di cui all'art. 1, comma 2, dello stesso decreto-legge ovvero all'assunzione di impegni a partecipare alla dismissione della partecipazione del Tesoro nel Banco di Napoli, secondo quanto previsto con apposito decreto del Ministro del tesoro; Visto l'art. 5 del decreto-legge n. 497 che dispone che entro la fine dell'anno 1996 il Tesoro attiva le procedure per la dismissione della propria partecipazione nel Banco di Napoli, con le modalita' previste dal decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, secondo procedure competitive; Visto l'art. 3, comma 6, del decreto-legge n. 497 che prevede che la Banca d'Italia puo' concedere al Banco di Napoli anticipazioni con le modalita' di cui al decreto del Ministro del tesoro del 27 settembre 1974, a fronte delle perdite derivanti da finanziamenti e altri interventi effettuati dal Banco a favore di societa' del gruppo a cui siano stati ceduti, previa autorizzazione della Banca d'Italia, crediti e altre attivita' del Banco; Visto l'art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 497 che prevede che l'ammontare degli aumenti di capitale da parte del Tesoro e' determinato con decreti del Ministro del tesoro; Considerato che l'assemblea straordinaria del Banco di Napoli, in data 30 luglio 1996, ha deliberato un aumento di capitale per un importo di duemila miliardi aperto alla sottoscrizione di tutti i soci e riservando al Tesoro di sottoscrivere, entro il 31 dicembre 1996, il capitale rimasto inoptato; Visti l'art. 1, comma 4, e l'art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 497 che autorizzano il Ministro del tesoro a concedere, con procedura competitiva, diritti di prelazione nell'ambito della procedura di dismissione della partecipazione del Tesoro; Visto il decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, recante norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione delle partecipazioni dello Stato in societa' per azioni; Sentita la Banca d'Italia per quanto di sua competenza;

Decreta:

Art. 1.

Sottoscrizione dell'aumento di capitale del Banco di Napoli La sottoscrizione da parte del Tesoro dell'aumento di capitale del Banco di Napoli S.p.a. deliberato dall'assemblea straordinaria del 30 luglio 1996 e' subordinata all'assunzione, da parte di uno o piu' soggetti, dell'impegno di cui all'art. 5, comma 2, del presente decreto, ovvero, in caso di mancata assunzione di detto impegno, alla presentazione di almeno una offerta di acquisto vincolante ai sensi dell'art. 6, nell'ambito della procedura di dismissione della partecipazione del Tesoro nel Banco di Napoli indicata negli articoli seguenti, purche' sussista l'autorizzazione della Banca d'Italia di cui all'art. 7, comma 1.

Realizzatosi il presupposto di cui al comma 1 l'ammontare dell'aumento di capitale che il Tesoro sottoscrivera' sara' pari all'importo non sottoscritto dagli azionisti del Banco.

Art. 2.

Dismissione della partecipazione del Tesoro Il Ministero del tesoro intende sollecitare offerte per l'acquisto della partecipazione che deterra' nel Banco di Napoli a seguito della sottoscrizione dell'aumento di capitale di cui all'art. 1 del presente decreto, per un ammontare pari al 60% del capitale rappresentato dalle azioni ordinarie. Resta ferma la volonta' del Tesoro di cedere quanto prima la residua partecipazione nel Banco di Napoli compatibilmente con le condizioni di mercato.

Nello svolgimento della procedura di dismissione il Tesoro si avvarra' della consulenza ed assistenza della Rothschild Italia S.p.a. che curera' i rapporti con gli offerenti e fornira' loro le informazioni e i chiarimenti necessari.

La descrizione dettagliata della procedura di dismissione e dei relativi adempimenti informativi e documentali verra' compendiata in una nota illustrativa che sara' consegnata dalla Rothschild ai soggetti interessati che dichiarino di possedere i requisiti di cui all'art. 4 del presente decreto, ad eccezione del benestare di massima della Banca d'Italia.

Il Tesoro si riserva il diritto di sospendere o interrompere la procedura di dismissione o di non procedere all'aggiudicazione senza alcun obbligo di risarcimento o indennizzo nei confronti dei partecipanti.

Art. 3.

Cessione di attivita' del Banco Il Banco di Napoli procedera', previa autorizzazione della Banca d'Italia, alla cessione pro soluto a una societa' del gruppo di crediti e altre attivita' secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 6, del decreto-legge n. 497.

In particolare la cessione avra' ad oggetto crediti in sofferenza o comunque ad andamento anomalo, anche provenienti da societa' del gruppo; la cessione potra' avere ad oggetto anche partecipazioni, nonche' altre attivita' o rapporti rivenienti da operazioni di finanziamento. Informazioni piu' dettagliate sulla cessione e sulle relative condizioni nonche' sulla societa' cessionaria e il suo funzionamento saranno fornite ai soggetti ammessi alla procedura di dismissione ai sensi dell'art. 4 del presente decreto.

La cessione avverra' ai valori risultanti dalla contabilita' del Banco. Le eventuali perdite subite dal Banco derivanti da finanziamenti e altri interventi effettuati a favore della societa' cessionaria saranno coperte ai sensi del decreto-legge n. 497.

La cessione e' subordinata alla sottoscrizione da parte del Tesoro dell'aumento di capitale di cui all'art. 1.

Art. 4.

Ammissione alla procedura di dismissione Possono partecipare alla procedura di dismissione le banche, gli intermediari finanziari, le societa' di assicurazione e gli altri investitori istituzionali, italiani o esteri, in possesso dei seguenti requisiti: a) patrimonio netto alla data del 31 dicembre 1995 pari ad almeno duemila miliardi di lire; b) ultimi tre esercizi in utile; c) coefficienti patrimoniali ovvero grado di adeguatezza patrimoniale in linea con le normative nazionali o internazionali.

Per i soggetti facenti parte di gruppi i requisiti devono sussistere a livello individuale e consolidato.

L'offerta puo' essere presentata congiuntamente da piu' soggetti ciascuno dei quali deve possedere i requisiti di cui alle lettere b) e c) del primo comma, mentre e' sufficiente che solo uno di essi possegga il requisito di cui alla lettera a).

Entro il 18 novembre 1996 i soggetti interessati a partecipare alla procedura di dismissione e in possesso dei requisiti indicati nei precedenti commi devono dichiarare il proprio interesse alla Rothschild ottemperando agli adempimenti informativi e documentali indicati nella nota illustrativa di cui all'art. 2, comma 3, del presente decreto.

Contestualmente i soggetti di cui al comma precedente devono richiedere alla Banca d'Italia un benestare di massima alla partecipazione alla procedura. La Banca d'Italia si pronuncia sulla richiesta entro sette giorni dalla sua presentazione e ne comunica l'esito all'interessato e alla Rothschild; per le richieste avanzate da soggetti diversi da banche ed intermediari finanziari italiani, la Banca d'Italia terra' conto del parere delle competenti autorita' di controllo, italiane ed estere; in tal caso il termine di sette giorni decorre dalla ricezione del predetto parere.

Rothschild, anche avvalendosi di dati forniti dalla Banca d'Italia, verifica la regolarita' delle candidature entro sette giorni dalla ricezione della documentazione richiesta e, in caso di rilascio del benestare della Banca d'Italia, comunica senza indugio al candidato se sia stato o meno ammesso alla procedura di dismissione.

Art. 5.

Impegno a formulare l'offerta I soggetti ammessi a partecipare alla procedura di dismissione riceveranno da Rothschild un documento informativo sul Banco di Napoli, sulla cessione e sulla societa' cessionaria di cui all'art. 3 del presente decreto, nonche' sui termini e le condizioni contrattuali della vendita della partecipazione del Tesoro; essi avranno altresi' accesso ad ulteriori dati presso il Banco di Napoli e potranno incontrare esponenti del Banco.

Entro il 2 dicembre 1996 i soggetti ammessi possono impegnarsi a presentare l'offerta di acquisto di cui all'art. 6, sulla base dei seguenti parametri: patrimonio netto rettificato, calcolato secondo i criteri indicati nel documento informativo di cui al comma 1 e avviamento da determinare sulla base della raccolta e della redditivita'.

Ai soggetti che abbiano assunto l'impegno di cui al precedente comma 2 viene riconosciuto, secondo quanto previsto dal successivo art. 7, un diritto di prelazione rispetto alle eventuali offerte di cui all'art. 6 presentate dai soggetti che non abbiano assunto il predetto impegno.

Art. 6.

Offerta di acquisto Entro il 20 dicembre 1996 devono essere presentate le offerte di acquisto, in lire italiane, che dovranno essere tenute ferme e irrevocabili per un periodo di quattro mesi.

Le offerte possono essere presentate solamente dai soggetti ammessi ai sensi dell'art. 4 e che abbiano accettato i termini e le condizioni contrattuali indicate nel documento informativo di cui all'art. 5, comma 1.

I soggetti che hanno assunto l'impegno di cui all'art. 5, comma 2, e che non presentino l'offerta di acquisto ovvero non accettino i termini e le condizioni contrattuali indicate nel documento informativo di cui all'art. 5, comma 1, dovranno corrispondere al Tesoro una penale, secondo quanto sara' previsto nel medesimo documento informativo.

Art. 7.

Aggiudicazione Risultera' vincitrice l'offerta piu' alta, purche' il prezzo offerto sia ritenuto congruo dal consulente incaricato dal Tesoro, sulla base della valutazione del Banco di Napoli effettuata dal medesimo consulente secondo la prassi del mercato e sempreche' l'offerente abbia ottenuto l'autorizzazione all'acquisto della Banca d'Italia.

In caso di offerte massime di pari ammontare presentate da un soggetto che abbia assunto l'impegno di cui all'art. 5, comma 2, e da soggetti che non abbiano assunto detto impegno, l'aggiudicazione avverra' a favore del soggetto che ha assunto l'impegno.

Nel caso in cui l'offerta o le offerte presentate dai soggetti che non hanno assunto l'impegno di cui all'art. 5, comma 2, siano superiori all'offerta o alle offerte presentate dai soggetti che hanno assunto l'impegno, colui tra questi ultimi che abbia presentato l'offerta piu' alta potra', entro il termine di decadenza di cinque giorni, rendersi aggiudicatario presentando un'offerta almeno pari all'offerta piu' alta presentata dal soggetto o dai soggetti che non ha assunto l'impegno.

In caso di offerte massime di pari ammontare presentate da soggetti che abbiano assunto l'impegno di cui all'art. 5, comma 2, ovvero nel caso di offerte paritarie di soggetti che hanno assunto detto impegno nell'ipotesi di cui al comma precedente, l'aggiudicazione avverra' a favore del soggetto che, nel termine di decadenza di cinque giorni, formuli una nuova offerta piu' alta, fermo restando che, nel caso previsto nel comma precedente, le nuove offerte dovranno essere almeno pari all'offerta presentata dal soggetto o dai soggetti che non abbiano assunto l'impegno di cui all'art. 5, comma 2. Nel caso in cui le nuove offerte risultassero ancora paritarie verranno effettuati ulteriori rilanci, nel termine di decadenza di cinque giorni. Qualora i soggetti in competizione non intendessero formulare nuove offerte ai sensi del presente comma il Tesoro si riserva il diritto di aggiudicare la vendita al soggetto prescelto dal Tesoro stesso sentita la Rothschild.

Nel caso di offerte massime di pari ammontare presentate da soggetti che non hanno assunto l'impegno di cui all'art. 5, comma 2, e non vi siano offerte di soggetti che hanno assunto l'impegno, l'aggiudicazione avverra' secondo la procedura di cui al comma precedente.

Le modalita' e i termini di pagamento del prezzo verranno indicate nel documento informativo di cui all'art. 5, comma 1.

Art. 8.

Due diligence L'aggiudicatario potra' completare l'esame della situazione del gruppo Banco di Napoli (due diligence) nel termine di due mesi e potra' rivedere il prezzo di aggiudicazione, nei termini, alle condizioni e con le procedure che saranno indicati nel documento informativo di cui all'art. 5, comma 1, nel caso in cui venga accertata una situazione del Banco notevolmente discorde da quella sulla base della quale e' stata formulata l'offerta, per la sopravvenienza di fatti nuovi imprevedibili ovvero per l'emersione di fatti non previamente conosciuti o conoscibili.

Qualora il prezzo rivisto ai sensi del comma precedente sia inferiore alla seconda migliore offerta presentata al sensi degli articoli 6 e 7 del presente decreto il Tesoro potra' aggiudicare la vendita al soggetto che ha presentato tale seconda migliore offerta e che presenti una nuova offerta piu' alta del 5% del prezzo rivisto, ovvero dichiari di mantenere ferma detta seconda migliore offerta; la nuova offerta o la conferma dell'offerta presentata dovra' avvenire entro il termine di decadenza di venti giorni e sulla base della due diligence effettuata ai sensi del comma 1 che dovra' essere messa a disposizione; nel caso in cui la seconda migliore offerta sia stata presentata da piu' soggetti si adotta la procedura di cui all'art. 7, comma 4, che sara' svolta tra i soggetti che hanno presentato la seconda migliore offerta, fermo restando che il termine di cinque giorni si applica solo agli eventuali rilanci.

Fermo comunque l'obbligo dell'aggiudicatario di acquistare la partecipazione al prezzo definito secondo la procedura descritta nei commi precedenti, il Tesoro alienera' la partecipazione a condizione che il prezzo finale di aggiudicazione sia ritenuto congruo dal consulente incaricato dal Tesoro, sulla base della valutazione del Banco effettuata dal medesimo consulente secondo la prassi del mercato e sempreche' sia stata rilasciata l'autorizzazione all'acquisto da parte della Banca d'Italia.

Il presente decreto sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Roma, 14 ottobre 1996

Il Ministro:

CIAMPI


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – 1° Agosto 1996

SENATO DELLA REPUBBLICA -  XIII LEGISLATURA

N. 1250

DISEGNO DI LEGGEd’iniziativa dei senatori

PERUZZOTTI, SERENA, MORO, COLLA,

LAGO, WILDE e ROSSI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL

1“ AGOSTO 1906

Istituzione di una

Commissione parlamentare d’inchiesta sul Banco di Napoli

Onorevoli Senatori. La «Caporetto» finanziaria del Banco di Napoli è riassunta molto eloquentemente da una serie di dati che pesano come macigni sulla responsabilità congiunta di amministratori vecchi e nuovi e controllori. Il dato che emerge dalla relazione semestrale del 1995, registra un deficit record di lire 1.560 miliardi. Ed inoltre le rettifiche di valore dei crediti si sono attestate a ben 1.434 miliardi di lire. Il patrimonio dell’azienda bancaria è sceso dai 3.584 miliardi della fine del 1994, a 2.117. Le sofferenze lorde sono salite del 42,9 per cento, a lire 4867 miliardi, mentre quelle nette sono arrivate a lire 3.378 miliardi (+ 33,7 per cento). Gli impieghi sono scesi dei 3,3 per cento rispetto al semestre precedente, a lire 53.148 miliardi e la raccolta è diminuita del 3,8 per cento, a quota lire 48.375 miliardi.

Di questa situazione ha immediatamente preso atto la comunità finanziaria tanto che la Moody's, l’agenzia americana sulla valutazione del credito, ha declassato di due punti l’istituto di via Toledo. In termini tecnici, ha portato il rating (cioè il grado di affidabilità) sui depositi di lungo termine da BAA-2 a BA-i, mentre quello sui depositi a breve termine da «Prime 3» a «Not prime». In calo di due punti anche la valutazione su Banco di Napoli International, Banco di Napoli Londra ed Hong Kong e Banco di Napoli Commercial Paper Usa. La stessa agenzia ha anche avvertito che questo declassamento potrebbe non essere isolato. Moody’s ha infatti annunciato di aver messo sotto osservazione i conti della banca per un eventuale ed ulteriore downgra ding. Non a caso, il rating di solidità finanziario e stato abbassato, il 26 ottobre scorso, ad «E». Da questo importante osservatorio statunitense, oltre ad un declassamento, è giunta una valutazione piuttosto critica del piano di ristrutturazione recentemente varato a fronte di un volume debitorio stimato, da questa fonte, in 1 miliardo e 230 milioni di dollari.

Questa situazione e stata sicuramente generata da una gestione a dir poco «allegra» e culminata nel periodo in cui nel Banco (e su Napoli) regnava «come un viceré» Ferdinando Ventriglia (’o professore), prono ai voleri della nomenclatura politica dominante in Campania e a Roma.

Ma un simile boom di insolvenze e di incagli non si sarebbe potuto realizzare se non in assenza di adeguati e puntuali controlli da parte degli organi di vigilanza, interni ed esterni. La prassi largamente diffusa dei «fidi facili», gli sprechi, i favoritismi e la scarsa trasparenza dei bilanci non hanno dato luogo, fino a tempi recentissimi, ad attività di ispezione, quasi che il Banco di Napoli godesse di una insormontabile «cortina di protezione». Ciò è tanto più preoccupante, in quanto, come risulta da atti giudiziari, questa incredibile gestione ha favorito largamente e sfacciatamente, in maniera diretta ed indiretta, anche gli interessi della camorra, senza che la comunità economica e finanziaria sentisse la necessità di lanciare un grido d’allarme al riguardo.

La grave conseguenza di questo «combinato disposto» di gestione corrotta, inesistenza di adeguati controlli, coperture politiche ed infiltrazioni mafiose, è un conto oltremodo salato che finirà per essere pagato, attraverso l’intervento del Tesoro e delle banche, dai contribuenti onesti a cominciare da quelli del Nord produttivo chiamati come sempre, a ripianare i guasti della mala-Italia. È invece preciso dovere del Parlamento verificare fino in fondo tutte le condizioni che hanno consentito a funzionari, dirigenti e amministratori incapaci e disonesti di favorire quello che appare come un vero e proprio «assalto alla diligenza» portato indisturbatamente da operatori senza scrupoli, politici potenti e camorristi, tutti uniti nel depredare risorse che avrebbero potuto rilanciare Napoli e l’intero Mezzogiorno.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

È istituita, ai sensi dell’articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta con il compito di accertare le cause che hanno determinato il deficit finanziario del Banco di Napoli.

In particolare la Commissione ha il compito di:

evidenziare le eventuali responsabilità ed ingerenze da parte di organi politici nei confronti di dirigenti e funzionari preposti alla concessione di fidi alla clientela del Banco;

analizzare i criteri seguiti nell’assunzione del personale, nelle promozioni e nei trasferimenti dei funzionari;

rilevare le condizioni che hanno determinato la inefficienza dei controlli da parte degli organi di vigilanza, interni ed esterni.

Art. 2

La Commissione deve ultimare i suoi lavori entro sei mesi dal suo insediamento, presentando alle Camere una relazione conclusiva sulle risultanze delle indagini.

Art. 3.

La Commissione è composta da venti deputati e da venti senatori scelti, rispettivamente, dal Presidente della Camera dei deputati e dal Presidente del Senato della Repubblica in proporzione al numero dei componenti i Gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun Gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento.

I Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica provvedono alia nomina del Presidente della Commissione, al di fuori dei componenti della Commissione medesima.

La Commissione elegge, nel suo seno, due Vice Presidenti e due Segretari.

Art. 4

L’attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell’inizio dei suoi lavori.

Le audizioni della Commissione sono pubbliche, a meno che la Commissione stessa decida diversamente.

La Commissione procede con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’Autorità giudiziaria. La Commissione può disporre, per l’espletamento dei propri lavori, dell’opera e della collaborazione di agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria, nonché di qualsiasi altro pubblico dipendente.

La Commissione può avvalersi delle risultanze di altre indagini sia penali sia amministrative già definite; può inoltre richiedere copia di atti e documenti relativi ad istruttorie od inchieste in corso presso l’Autorità giudiziaria od altri organi inquirenti.

La Commissione stabilisce di quali atti o documenti non si deve fare menzione nella relazione, di cui all’articolo 2, in ordine alle esigenze istruttorie attinenti ad inchieste in corso.

Art. 5.

1. I componenti la Commissione, i funzionari e il personale di qualsiasi ordine e grado addetti alla Commissione stessa ed ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni d’ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto. Analogamente sono obbligati al segreto per quanto riguarda il contenuto di atti e documenti relativi ad istruttorie ed inchieste in corso presso l’Autorità giudiziaria o altri organi inquirenti.

Art. 6.

Per l’espletamento delle sue funzioni la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle due Camere.

La Commissione può altresì avvalersi della collaborazione di esperti e di strutture specializzate nelle materie oggetto di inchiesta.

Le spese per il funzionamento della Commissione sono poste per metà a carico del bilancio della Camera dei deputati e per metà a carico del bilancio del Senato della Repubblica.


vai su


Atti Parlamentari - Camera dei Deputati – Seduta 293 – 8 Gennaio 1998

PICCOLO, JERVOLINO RUSSO, ABBATE, ALBANESE

CANANZI, TUCCILLO e MARIO PEPE.

— Al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Ministro del tesoro, del bilanciò e della programmazione economica.

— Per sapere -premesso che:

a seguito delle misure poste in essere con la legge n.588 del 1996 la proprietà del Banco di Napoli spa (BN) è attualmente detenuta per il 56,5 per cento da BN Holding spa (a sua volta detenuta da Ina per il 51 per cento e da Bnl per il 49 per cento), per il 19,2 per cento dal Tesoro e per il 24,3 per cento da investitori privati;

il Banco di Napoli spa, dopo aver conosciuto la più profonda tra le ristrutturazioni del sistema bancario italiano, è oggi riconosciuta dalle stesse agenzie internazionali di rating una banca sana, con un coefficiente di capitalizzazione superiore alla media, ritornata a produrre utili sempre più significativi;

i consigli di amministrazione delle parti interessate (BN Holding, Bnl e BN) stanno valutando l'opportunità-di procedere ad una integrazione e fusione tra Bnl e BN per dar vita ad un grande polo bancario in grado di competere adeguata-mente nel nuovo mercato finanziario globale in linea con l’indirizzo strategico internazionale, di dar vita attraverso progressive fusioni a banche di dimensioni tali da massimizzare, con l’innovazione di prodotti e di processi, produttività ed efficienza;

tempi e modalità del progetto di integrazione e di fusione tra Bnl e BN non sono neutri ai fini delle prospettive di sviluppo del Mezzogiorno, pur nel rispetto degli interessi degli investitori privati in gioco;

viene proposta e autorevolmente sollecitata una fusione immediata, non solo giuridica ma anche operativa, una sorta dì fusione per incorporazione del Banco di Napoli spa nella Banca nazionale del lavoro spa, per cui il Banco di Napoli spa sarebbe destinato a diventare sostanzialmente una filiale meridionale della Bnl; ciò prima ancora di conoscere i risultati dell'ispezione della Banca d’Italia sulla Bnl che sembra abbia sostanziosi problemi di gestione irrisolti con 21. 000 dipendenti di cui 5. 000 nella sola direzione generale. Del resto il bilanciò 1996 della Bnl riportava sofferenze per 8.600 miliardi con accantonamenti per meno di 2,000 miliardi e incagli per 2.800 miliardi svalutati per soli 153 miliardi, in presenza di altri immobilizzi tecnici e finanziari per 8.500 miliardi (con incerti valori di realizzo), il tutto fronteggiato da un patrimonio netto inferiore a 9. 000 miliardi;

l'immediata fusione determinerebbe un passo indietro nel processo di privatizzazione del Banco di Napoli sancito dal Parlamento e dalla Unione europea, in quanto la Bnl è di proprietà del Tesoro per ì'80 per cento, e l’Ina finirebbe con ritrovarsi ad essere un semplice azionista di minoranza di una grande banca pubblica;

all’accennata strategia della rapidissima fusione viene contrapposta quella di una integrazione graduale, secondo cui la fusione dovrebbe essere il risultato finale e non la premessa del processo, ritenendola più propriamente utile dopo la ristrutturazione della Bnl e nell'ottica della privatizzazione stessa;

per la natura pubblica della proprietà della Bnl e per i suoi problemi non ancora chiariti non si può assistere (né tanto meno favorire) da parte del Tesoro ad una sorta di take over ostile della Bnl rispetto al BN con una merger coatta, una fusione «a vantaggio» di Bnl e «contro» BN; è certo preferibile una fusione senza sopraffazione di nessuna delle parti e con adeguato consenso di tutte le parti, una fusione graduale tra entità bancarie che si siano conosciute reciprocamente e in profondità, in grado di dar vita nei tempi minimi necessari ad un nuovo polo bancario, realmente efficiente e competitivo;

resta prioritaria l’esigenza di mantenere nel Mezzogiorno una banca radicata nel territorio, in grado di accompagnarne lo sviluppo con la maggiore forza del nuovo polo bancario globale; conseguentemente è opportuno che si proceda ad un’intesa con pari dignità tra le due realtà bancarie in via di integrazione, utilizzandone le risorse migliori al fine di garantire servizi innovativi alla clientela e redditività agli azionisti;

dopo il necessario rigore e risanamento si profila -anche per il successo dell’integrazione monetaria europea — una fase di sostenuto sviluppo per l’Italia che non potrà non coinvolgere il suo Mezzogiorno, e per il quale il Governo è impegnato a mettere in campo misure innovative di promozione e di sostegno;

nella prospettiva di un rinnovato Mezzogiorno partecipe e protagonista dello sviluppo del Paese in collegamento operoso tra Mediterraneo ed Europa, può risultare conveniente sul piano economico e sociale che il nuovo polo bancario, frutto dell’integrazione e della fusione tra Bnl e BN, abbia la propria struttura decisionale a Napoli, diventando primario interprete e promotore sul piano bancario-finanziario della potenzialità di sviluppo di un'Italia rinnovata vista dal Sud-Centro, un'Italia che si avvia ad avere una struttura federale con un capitale reticolare almeno per alcune funzioni;

l'assenza dal Mezzogiorno (pari ad oltre un terzo del paese) del centro decisionale di almeno uno dei poli bancari nazionali in grado di competere sui mercati condannerebbe lo stesso Mezzogiorno ad una cronica minorità e marginalità —:

se ritengano opportuno procedere alla fusione tra Bnl e BN prima che si conosca l’esito dell’ispezione della Banca d’Italia presso la Bnl;

quali iniziative abbiano assunto o intendano assumere in relazione alla importante questione sopra rappresentata per i cui esiti il ruolo del Tesoro (e dei suoi rappresentanti nei Cda delle banche interessate) resta determinante.

(4-14692)


vai su


Atti Parlamentari - Camera dei Deputati – Allegato B – 13 marzo 1998

PICCOLO, ROMANO CARRATELLI, ANGELICI, RICCI, BORROMETI

GIACALONE, CANANZI, JERVOLINO RUSSO, MARIO PEPE, ALBANESE, ARMANDO VENETO, PROCACCI, ABBATE, GAMBALE, JANNELLI, GRIMALDI, NAPPI, TUCCILLO e GATTO.

-Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro del tesoro, del bilanciò e della programmazione economica.

— Per sapere -premesso che:

in data 8 gennaio 1998 (seduta n. 0293) è stata presentata al Presidente del Consiglio ed al Ministro del tesoro, del bilanciò e della programmazione economica, interrogazione a risposta scritta sulla fusione tra il Banco di Napoli e la Banca Nazionale del Lavoro, ad oggi ancora inevasa;

è sotto gli occhi di tutti il sistematico, progressivo, deteriorarsi dell’economia reale del Mezzogiorno, segnato in questi ultimi anni da devastanti cadute dell’occupazione e logorato dalla drammatica persistenza di una grave condizione di crisi che -come recentemente rilevato del Ministro Napolitano — non è stata adeguata-mente considerata nell’ambito delle emergenze prioritarie da affrontare per consentire l'ingresso e la permanenza dell'Italia nell'Unione monetaria europea;

nell’ultimo decennio, la quasi totalità dei centri economici e finanziari ubicati nel Sud, ed in particolare a Napoli, è stata - di fatto –distrutta o, nel migliore dei casi, «infeudata» a soggetti dominanti ubicati nelle Regioni più ricche del Paese. Valga, solo come ricordo, la scomparsa dell’Italsider e della Selenia, la perdita dei centri decisionali dell’Alfa Romeo, dell'Aeritalia, della Srae, volendo sottacere sulla graduale estinzione di una editoria quotidiana autoctona, motore insostituibile di un'informazione più sollecita, puntuale ed attenta ai veri problemi dell’area;

sempre nello stesso periodo, il sistema bancario del Sud è stato gradualmente consegnato nelle mani delle banche del Centro-Nord, privando il Mezzogiorno di strutture creditizie idonee a stimolare lo sviluppo autopropulsivo multisettoriale e in grado di promuovere, assistere ed accompagnare le piccole e medie imprese, nonché di trasformare il risparmio locale in finanza di progetto per le imprese che investono nell’area meridionale;

l'annunciato progetto di incorporazione del Banco di Napoli in Bnl rappresenterebbe l’ultimo anello del processo di «smantellamento» del sistema creditizio

meridionale, lasciando una grande area del Paese -economicamente la più debole -priva di un proprio sistema bancario, alla vigilia dell'avvio di un assetto istituzionale di tipo federalista e del decollo dell’unione monetaria che inasprirà ulteriormente la competizione sui mercati finanziari con il rischio di marginalizzare definitivamente l'economia del Mezzogiorno;

un processo di integrazione e successiva fusione tra Bnl e Banco di Napoli (per dar vita ad un grande polo bancario in grado di competere adeguatamente nel nuovo mercato finanziario globale, con dimensioni tali da massimizzare, in uno con l’innovazione dei prodotti, dei servizi e delle procedure, produttività ed efficienza) dovrebbe essere organizzato ed attuato con tempi e modalità equilibrati che tengano conto delle esigenze e delle prospettive di sviluppo del Mezzogiorno, oltre che – beninteso – dell’attuale condizione di salute dei due Istituti e delle ripercussioni capaci di innescare sul versante economico-finanziario e su quello sociale;

una fusione, difatti, che non preveda espressamente l’allocazione a Napoli dei centri decisionali produrrebbe una perdita di occupazione diretta superiore a 2. 000 unità tra Napoli ed i principali centri del Mezzogiorno. La diminuzione di lavoro, già di per sé gravissima in quanto a carico di un'area dove il taglio di ogni singolo posto di lavoro accentua una già drammatica situazione di emergenza, sarebbe destinata ad appesantirsi ulteriormente a seguito del sicuro decremento dell'occupazione indotta (servizi informatici, fornitori, eccetera) valutabile in ulteriori 1.500 unità. In altri termini per il Sud, oltre ad una secca riduzione del reddito, si prospetta l'ennesimo depauperamento di professionalità economico-finanziarie ed un grave colpo alla crescita di una moderna cultura imprenditoriale ed alla capacità di sviluppare autonomamente le potenzialità produttive sul territorio;

gli interventi predisposti dal Tesoro per far fronte alle difficoltà del Banco di Napoli e gli sforzi ed i sacrifici fatti negli ultimi due anni dai dipendenti dell'azienda per realizzare un complesso ed oneroso processo di ristrutturazione, nella consapevolezza di misurarsi con la grande sfida della modernizzazione, dell’innovazione e dell'efficienza, hanno portato l'Istituto a conseguire nuovamente un utile strutturale d’esercizio;

tutto ciò rischia di essere vanificato se la fusione dovesse essere accelerata a tal punto da precedere la necessaria ed urgente ristrutturazione aziendale della Bnl e, di fatto, la stessa operazione di privatizzazione della Banca, aprendo rilevanti margini di incertezza e di precarietà sulle reali prospettive future delle «nuova grande Banca» che potrebbe nascere «zoppa» per le notorie difficoltà del partner incorporante, con il risultato paradossale ed assurdo che un'azienda ormai risanata ed in grado di camminare sulle sue gambe (Banco di Napoli) rischierebbe di essere coinvolta in un processo critico dai costi e dagli oneri imprevedibili e, comunque, dolorosi;

da un’attenta lettura del bilanciò 1996 della Banca Nazionale del Lavoro, emergono le seguenti, principali criticità patrimoniali, senza entrare nel merito dei criteri valutativi adottati per i crediti problematici e le attività immobilizzate, per le partecipazioni e per gli immobili: sofferenze per 8.599 miliardi, fondi rettificativi per 1.989 miliardi, grado di copertura per il 23,1 per cento, sofferenze nette per 6,610 miliardi, immobilizzi per 3. 018 miliardi, partecipazioni per 5.527 miliardi, con un totale per 15.155 miliardi, capitale e riserve per 8.872 miliardi, capitale libero negativo -6.283 miliardi. Anche il reddito presenta aspetti critici, visto ad esempio il cambio di criterio contabile adottato per i dividendi da partecipazioni — passato nel 1996 da «cassa» a «competenze» -o l'iscrizione a conto economico di tutti gli interessi di mora ritenuti recuperabili. Peraltro, nonostante queste «misure» di politica di bilanciò ed in presenza di accantonamenti «netti» non certo esaltanti vista la struttura patrimoniale sopra richiamata, il risultato d'esercizio è limitato ad appena 89 miliardi, pari ad un ritorno sul capitale intorno all’1 per cento;

il processo di fusione, soprattutto se trasformato in una mera annessione, non può, dunque, diventare -con il patrocinio e l’avallo del Tesoro -un'ipotesi «obbligata», apparentemente imposta dalle sovrane e ferree regole del mercato ma sostanzialmente piegata a risolvere i problemi gestionali di Bnl; né può essere una soluzione squisitamente tecnica e puntata esclusivamente sulla considerazione e salvaguardia di alcune «forti e imprescindibili ragioni» della finanza dominante ma deve costituire complessivamente una risposta positiva ai problemi del Mezzogiorno: l'eventuale nuovo soggetto bancario, infatti, non può smarrire la «mission» di interprete e promotore sul piano bancario e finanziario delle potenzialità di sviluppo di un Paese moderno e rinnovato che guarda all'Europa anche dal Sud e non deve, conseguentemente, rinunciare a collocare a Napoli e nel Mezzogiorno strutture decisionali che possano effettivamente ispirare ed orientare scelte coerenti e compatibili con una strategia economico-finanziaria tesa a favorire lo sviluppo e la ripresa del Sud

se ritengano giusto che il Mezzogiorno d'Italia debba essere privato di un autonomo sistema bancario con la perdita dell'ultimo e più grande centro finanziario qual è il Banco di Napoli, la cui missione storicamente è stata rivolta al sostegno dell’economia meridionale e dello sviluppo del territorio;

se giudichino sostenibile per l’economia e la società civile meridionale, già tanto provata sul piano dell'ordine pubblico, l'ulteriore sottrazione di migliaia di posti di lavoro diretti e qualificati e di migliaia di posti di lavoro indotti, a seguito dell’assorbimento del Banco di Napoli in una realtà che di fatto esclude Napoli ed il Mezzogiorno quale sede effettiva di tutte le strutture decisionali e di supporto centrali;

se, tenuto conto della mutata situazione del Banco di Napoli e delle segnalate difficoltà della Bnl, intendano avallare un processo di fusione affrettato che, per modalità e tempi di attuazione, suscita fondate ed oggettive perplessità circa la sua effettiva utilità per il Mezzogiorno e per l'intera economia nazionale;

se reputino di assumere tempestive iniziative, nella qualità di azionisti di maggioranza e anche di tutori della generale trasparenza del mercato, per definire l’entità delle criticità patrimoniali ed economiche della Banca Nazionale del Lavoro, verificando conseguentemente che, già in sede di predisposizione ed approvazione del bilanciò di esercizio 1997, siano individuate e radicalmente rimosse, anche sulla base delle risultanze dell'ultima ispezione della Banca d'Italia;

se, infine, non considerino opportuno esaminare -anche in vista dell’imminente privatizzazione — tempi, modalità ed obbiettivi di un non più procrastinabile piano di ristrutturazione della Bnl, comunque preliminare alla fusione con il Banco di Napoli, al fine di poter valutare, in condizioni di effettiva trasparenza, il modello di business e di integrazione di gruppo da adottare nel predetto progetto di fusione, nell’ambito di una strategia volta a salvaguardare complessivamente la posizione di mercato attualmente detenuta da entrambi gli istituti e, quindi, a realizzare un percorso di reale e duratura prospettiva per il nuovo soggetto bancario e, più in generale, per le sorti del Mezzogiorno.

(3-02075)


vai su


Atti Parlamentari - Camera dei Deputati – 13 marzo 1998

GAMBALE. Al Ministro del tesoro

del bilancio e della programmazione economica.

— Per sapere — premesso che:

in netta controtendenza rispetto all'obiettivo, anche invocato dal sindaco Bassolino, di trasferire a Napoli e nel Mezzogiorno alcuni dei centri decisionali e strategici del Paese, si stabilisce, in questi giorni, la soppressione della Direzione generale del Banco di Napoli per individuare, un'unica Direzione per il neonato gruppo Bnl-Ina-Banco di Napoli;

dunque, mentre da un lato, a Napoli si saluta con soddisfazione l'arrivo dell'Authority per le telecomunicazioni e dei circa 300 posti di lavoro che essa dovrebbe portare, dall'altra parte si rischia di perderne tremila, tra la Direzione del Banco e l'indotto;

in altri casi (anche recenti: basti pensare alle operazioni Cariplo-Ambroveneto e Carime) di integrazioni di banche e istituti di credito, decisioni indispensabili per essere competitivi nel nuovo mercato globalizzato, si è proceduto scegliendo di conservare i centri decisionali degli istituti interessati;

il problema è che nel caso Bnl-Banco di Napoli, non di integrazione, sembra si stia parlando ma di vero e proprio assorbimento, con pochi o scarsi vantaggi per l’istituto «assorbito», quello di via Toledo, ormai risanato, e molti per la Banca del Lavoro, a cominciare dal forte radicamento sul territorio meridionale del Banco e dalla cifra irrisoria che questo è costato;

inoltre, mentre il Banco di Napoli, con tagli di personale, di quasi tutte le filiali del nord Italia e il decisivo apporto di denaro pubblico ha ripianato i suoi debiti e quest’anno produrrà addirittura degli utili, altrettanto non sembra potersi dire per la Bnl la cui situazione non sembra florida ma, nonostante ciò, continua a non essere assoggettata ad alcun tipo di controllo;

attualmente il Banco ha circa 9. 000 dipendenti, a fronte dei quasi 20. 000 della Bnl, e con la fusione si arriverebbe ad un totale di 29. 000; tale cifra allarma più di un osservatore e già ha fatto prevedere oltre 5. 000 esuberi;

appare più che fondato il timore che, in caso di eliminazione della Direzione di Napoli, tali esuberi saranno individuati nel capoluogo campano;

l'ipotesi di lasciare a Napoli soltanto la sede legale deve ritenersi del tutto inadeguata e puramente formale;

con la chiusura della direzione napoletana tutti i grandi gruppi bancari si troveranno nella capitale o a nord del paese, ed è superfluo sottolineare le conseguenze di ciò per le imprese meridionali e l'indotto

se dopo i notevoli sforzi economici sopportati dallo Stato per risanare il Banco di Napoli, prima di procedere alla sua «incorporazione» nella Bnl, ritenga doveroso che il Governo accerti la solidità e lo stato di salute anche di questo secondo istituto;

se ritenga di compiere tutti gli atti di propria competenza per verificare l'effettiva utilità strategica, per il nuovo gruppo, per l'economia e l'occupazione meridionale di sopprimere la direzione generale del Banco di Napoli;

se il Governo abbia previsto l’esistenza di un polo bancario in grado di competere con i concorrenti europei che abbia il proprio centro decisionale a sud di Roma;

quali assicurazioni sono state fornite a garanzia degli attuali livelli occupazionali del Banco di Napoli qualora la Direzione dovesse effettivamente essere trasferita.

(3-02076)


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 357 – 10 Aprile 1998

Mozioni

CURTO, MACERATIMI, PONTONE, SPECCHIA, BUCCIERO

COZZOLINO, LISI, MAGGI, RECCIA.

Il Senato, premesso:

che dopo alterne vicende, che comunque non ne hanno scalfito l’immagine di più importante istituto di credito del Mezzogiorno, il Banco di Napoli ha invertito il trend negativo e, dopo un risanamento conseguito mediante risorse che altrimenti sarebbero state destinate al Sud, si avvia verso una fase di sicuro rilanciò;

che a conferma di ciò l’agenzia di valutazione Standard e Poor’s ha evidenziato come l’istituto partenopeo «ha migliorato enormemente i propri conti registrando nel 1997 un utile di 142 miliardi di lire»;

che in tale contesto, su indirizzo del Tesoro, si è avviato un procedimento di fusione tra Banco di Napoli e Banca Nazionale del Lavoro;

che ad oggi però tale processo di fusione con la Banca Nazionale del Lavoro dovrebbe essere caratterizzato da grande prudenza a causa del fatto che l’agenzia di valutazione Standard e Poor’s rileva come «sebbene la Banca Nazionale del Lavoro ancora raggiunga il coefficiente patrimoniale minimo previsto dalle autorità di controllo è opportuno adottare misure restrittive sul capitale sì da escludere rivalutazioni, ad esempio sul patrimonio tangibile»;

che l’analisi dell’agenzia di valutazione conclude riservandosi di sciògliere la riserva sui rating «dopo una profonda analisi delle tendenze del portafoglio BNL» nonché dopo un esame «delle previsioni aziendali e finanziarie della possibile fusione, soprattutto in termini di capitalizzazione»;

che tutto ciò dimostrerebbe che dietro la perdita dichiarata di 2.865 miliardi potrebbero essere presenti altre anomalie;

che la situazione che si andrebbe delineando dimostrerebbe da un lato la presenza di un soggetto in forte via di ripresa (Banco di Napoli), dall’altro la presenza di un altro istituto di credito (Banca Nazionale del Lavoro) che al Banco di Napoli si abbraccia per nascondere le proprie difficoltà;

che si appaleserebbe pertanto quanto mai opportuno un intervento tale da consentire la rivisitazione di tutte le problematiche della Banca Nazionale del Lavoro (tra gli altri esuberi di personale nonché l’individuazione e iscrizione a sofferenze di tutte le partite difficilmente esigibili) per evitare, per esempio, che eventuali tagli occupazionali possano poi ricadere anche su quel personale, quello dell’istituto di via Toledo, che, senza la fusione, non avrebbe corso alcun rischio;

che in mancanza di tale iniziativa sarebbe facile pensare che l’operazione Banca Nazionale del Lavoro-Banco di Napoli sia stata pensata solo in funzione di un soccorso alla Banca Nazionale del Lavoro e in funzione di un sostanziale depauperamento di un istituto, quello napoletano, in netta ripresa, determinando così situazioni socio-economiche, di portata storica, difficilmente sanabili;

che tale strategia sarebbe confermata dalle voci che vorrebbero traslata la direzione dell’istituto partenopeo da Napoli a Roma, impegna il Governo:

ad intervenire presso il Tesoro per far sì che l’intera operazione Banca Nazionale del Lavoro-Banco di Napoli proceda anche in queste fasi con grande chiarezza e trasparenza rendendo esplicite e leggibili le preoccupazioni espresse dalla società di valutazione riguardo l’affidabilità della Banca Nazionale del Lavoro;

ad intervenire per far sì da rendere trasparente l’azione della Consob a riguardo;

ad intervenire per far sì che la Banca d’Italia proceda alla pubblicizzazione dei risultati dell’azione ispettiva presso la Banca Nazionale del Lavoro;

ad esercitare tutte le azioni per far sì che la direzione, e comunque il centro decisionale del nuovo soggetto creditizio, non sia sottratta alla città di Napoli e all’intero Mezzogiorno, costituendo pertanto una palese sconfessione degli impegni formalmente assunti per rilanciare il Sud d’Italia anche attraverso l’individuazione di un soggetto creditizio di respiro europeo.

(1-00237)


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 366 – 29 Aprile 1998

PALUMBO, BERTONI, LUBRANO di RICCO, LAURO

Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro del tesoro e del bilanciò e della programmazione economica.

Premesso:

che in data 30 marzo 1998 la Banca nazionale del lavoro (BNL) ha approvato il progetto di bilanciò 1997 ed ha redatto un comunicato stampa dal quale emerge che l’esercizio 1997 si chiuderà con una perdita di bilanciò di 2.865 miliardi di lire;

che appare evidente che i dubbi e le perplessità, precedentemente sollevati da più parti circa la reale situazione patrimoniale ed economica della BNL, hanno trovato un chiaro riscontro nelle risultanze del bilanciò 1997;

che significative e gravi sono le valutazioni espresse dalla Standard & Poor’s, che ha recentemente messo sotto sorveglianza il rating della Banca nazionale del lavoro per le risultanze del bilanciò e che contemporaneamente ha proposto una valutazione negativa del Banco di Napoli proprio e solo per le prospettive di fusione con la Banca nazionale del lavoro;

che nel comunicato stampa della BNL, tra l’altro, si afferma che, «oltre ad applicare i consueti rigorosi criteri di valutazione, il consiglio di amministrazione ha approvato ulteriori interventi finalizzati a migliorare la qualità dell’attivo» e si dichiara, inoltre, che «il complesso dei mezzi patrimoniali della BNL, dopo il ripianamento della perdita, è pari a 9.113 miliardi e garantisce il rispetto del coefficiente minimo di solvibilità»;

che, quanto alla suddetta prima affermazione, è chiaro che le rettifiche ora effettuate per oltre 4. 000 miliardi, tali da annullare il margine lordo (1.564 miliardi) e da far emergere una perdita di 2.865 miliardi, sono tutte riferibili ad eventi accaduti nel 1997 stesso; ciò appare in netto contrasto con le affermazioni, più volte ripetute nel comunicato stampa, circa il più che soddisfacente andamento per la BNL dell’esercizio 1997;

che, quanto alla suddetta seconda affermazione, non è dato comprendere come, a fine 1997, a fronte di un capitale di 2.119 miliardi, di sovrapprezzi di emissione pari a 3.283 miliardi, di riserve pari a 3.506 miliardi e di riserve di rivalutazione per 17 miliardi, cioè a fronte di un patrimonio netto di complessive lire miliardi 8.925, dopo l’abbattimento delle perdite dichiarate per 2.865 miliardi, i mezzi patrimoniali netti ammonterebbero a 9.113 miliardi e non a 6. 060 miliardi;

che la non conoscenza dei principi valutativi delle poste di bilanciò non consente di eliminare ogni dubbio circa il completamento della necessaria operazione di pulizia di bilanciò in BNL, in particolare per quanto attiene ai crediti ed alle partecipazioni; difatti, dal lato dei crediti, la Banca d’Italia non ha ancora reso noti gli esiti della sua lunga indagine che tranquillizzerebbero circa l’appropriata catalogazione dei crediti dubbi e delle relative svalutazioni sia nella banca che nell’ambito dell’intero gruppo, mentre dal lato delle partecipazioni è sufficiente osservare la valutazione (226,6 miliardi) effettuata dalla BNL della quota (2,83 per cento) di capitale della Banca d’Italia spa, contro le valutazioni di altri (vedi Banco di Napoli che valuta la propria quota del 6,33 per cento nel capitale della Banca d’Italia in una misura, tenendo conto delle diverse percentuali possedute, inferiore per oltre la metà, e cioè per lire miliardi 251,5);

che, nelle more di poter esaminare nel dettaglio il bilanciò 1997 ed i relativi principi contabili ed indipendentemente dalla indispensabile opera di ulteriore e definitiva chiarezza, è già ora più che evidente che la Banca nazionale del lavoro si trova in una situazione tale da richiedere un autonomo, severo ed improcrastinabile cammino di ristrutturazione e di risanamento aziendale; tale processo, infatti, è assolutamente prioritario rispetto a qualsiasi altro progetto di integrazione eo di fusione, per evitare che gli interventi necessari sulla BNL diventino scarsamente visibili, se non confusi e, magari, addossati al Banco di Napoli, con effimere prospettive di vita futura (si veda il giudizio espresso dalla Standard & Poor’s);

che, circa il prioritario processo di privatizzazione della BNL, se da un lato è pienamente condivisibile la linea del Tesoro tendente a realizzare il massimo possibile dalla propria partecipazione, dall’altro è necessario che tale «massimo» coincida con il «giusto prezzo» se non si vuole correre il rischio di seguire una logica esclusivamente mercantilistica in contrasto con la primaria funzione che il Governo ed il Tesoro devono assolvere quali garanti della trasparenza e delle fede pubblica;

che, allo stato attuale delle cose, appare improponibile insistere, prima di aver completato il processo di risanamento della BNL, sul progetto di fusione con il Banco di Napoli, tantomeno per incorporazione, senza anche qui correre il rischio di accreditare il dubbio che le finalità di tali progetti esulino dalle esigenze di mercato per mirare unicamente a tamponare i problemi pressanti di una sola azienda, percorrendo scorciatoie senza sbocchi che potrebbero compromettere il futuro del Mezzogiorno d’Italia, del Banco di Napoli e della stessa BNL;

che non va, peraltro, sottovalutato che un processo di integrazione del Banco di Napoli con qualsiasi azienda bancaria deve rispondere ai prioritari obiettivi di salvaguardare la presenza di un autonomo centro decisionale nel Mezzogiorno d’Italia e di mantenerne almeno inalterati i livelli occupazionali e professionali, pena l’impossibilità di supportare adeguatamente le vitali esigenze di sviluppo di tale fondamentale area del paese;

che, in questo quadro, la nuova realtà che vede un Banco di Napoli oramai risanato, non va avversata ma, anzi, deve rappresentare la base di partenza di un progetto veramente al servizio delle necessità presenti e future del Sud d’Italia, sicuramente esaltato, anche nel nuovo mercato europeo, dalla presenza a Napoli di un centro finanziario dotato di autonome capacità decisionali ed in grado di corrispondere alle attese del mercato non solo dei privati ma anche delle imprese;

che il modello organizzativo che meglio sembra rispondere alle esigenze di conseguire dimensioni sufficienti ad operare nel nuovo scenario europeo ed a realizzare economie di scala, ma anche a salvaguardare le pecularietà di mercato dei territori di radicamento e delle stesse aziende, appare quello cosiddetto della banca «Intesa» (realizzato sul modello della Holding tra Ambroveneto e Cariplo), gli interroganti chiedono di sapere: se il Presidente del Consiglio e il Ministro in indirizzo reputino, alla luce delle risultanze del bilanciò 1997 della BNL, nella qualità di azionisti di maggioranza ed anche di tutori della generale trasparenza di mercato, di adottare tempestivamente tutte le iniziative necessarie a fare definitiva chiarezza sulle criticità patrimoniali ed economiche della Banca nazionale del lavoro;

se reputino necessario non procrastinare ulteriormente le risultanze dell’ultima ispezione della Banca d’Italia, per evitare di alimentare incontrollabili dubbi sulla reale qualità dei crediti della Banca nazionale del lavoro, viste le rettifiche autonomamente evidenziate nei giorni scorsi, nonché su tutte le altre poste del bilanciò;

se non giudichino assurdo che un processo di fusione teso a migliorare le prospettive future dei due istituti si riveli al contrario, visto anche il negativo giudizio espresso da un’autorevole società di rating straniera, motivo di estremo danno per il Banco di Napoli, la cui opera di risanamento -viceversa -ha trovato definitivo suggello nella valutazione espressa dal mercato con gli attuali corsi azionari del capitale ordinario e nel buon utile di esercizio ’97;

se non ritengano necessario mantenere a Napoli tutti i centri decisionali del Banco, allo scopo di corrispondere adeguatamente alle attese dell’economia meridionale e di evitare riflessi negativi sulle imprese del Mezzogiorno e sui livelli occupazionali;

se non considerino opportuno, alla luce di tutto quanto ora emerso, riesaminare il processo di integrazione in corso tra BNL e Banco di Napoli, riconsiderandolo complessivamente e riscrivendolo in funzione dei reali interessi del Mezzogiorno, del mercato, del Banco di Napoli e della stessa Banca nazionale del lavoro, nell’ottica di definire un nuovo progetto, sul modello di quello in corso tra Ambrosianoveneto e Cariplo, che preveda il pieno rispetto delle diverse identità e dei diversi territori di radicamento pur perseguendo le migliori sinergie patrimoniali, economiche e finanziarie.

(4-10719)


vai su


Atti Parlamentari – Camera dei Deputati – Seduta 396 – 28 Maggio 1998

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del tesoro

del bilancio e della programmazione economica,

per sapere premesso che:

da notizie di stampa si è appreso che, l'Agenzia internazionale Fitch-Ibca ha ridotto, nei giorni scorsi, il rating della Banca nazionale del lavoro da «FI» a «F2» per il breve termine e da «A» a «A-» per il lungo termine. Le motivazioni dell'abbassamento del rating sono sostanzialmente le seguenti: a) le forti perdite del bilanciò 1997, che hanno portato l'indice di patrimonializzazione sotto il minimo consentito dalle autorità di controllo; b) il persistere di problemi sulla qualità dell’attivo; c) l’alto livello delle sofferenze che continuerà a drenare risorse nei prossimi anni; d) gli stessi costi dell'eventuale integrazione con il Banco di Napoli, se continuerà ad andare avanti il processo di fusione;

valutazioni al ribasso significative e gravi sono state espresse da altre società internazionali di rating, tra cui Standard and Poors che ha proposto, tra l'altro, la riduzione del rating anche del Banco di Napoli, proprio e soltanto in vista della programmata fusione per incorporazione nella Bnl;

un giudizio sostanzialmente negativo sui dati di bilanciò della Bnl è stato espresso anche da diversi soggetti istituzionali in precedenza interessati alla privatizzazione della banca che, dopo avere esaminato i conti esposti nella «data room», hanno rinunciato a proporre una propria offerta —:

se, qualora tali notizie abbiano fondamento, non ritenga di intervenire per fare definitiva chiarezza sulla reale situazione della Bnl, rendendo noti i risultati dell'ultima ispezione della Banca d'Italia, al fine di consentire una corretta valutazione da parte dei risparmiatori del valore della Banca nazionale del lavoro;

se non ritenga sussistere il rischio che possano essere nuovamente danneggiati gli azionisti del Banco di Napoli per effetto della determinazione artificiosa di valori di concambio, assolutamente incongrui, nell'operazione di fusione con la Bnl per la quale si assumerebbero a riferimento quotazioni che, alla luce dei dati di bilanciò dell'ultimo esercizio e delle valutazioni formulate da qualificate società specializzate, risulterebbero sproporzionate e non rispondenti alle reali prospettive di redditività e di sviluppo della stessa;

se questa situazione non consigli di sospendere immediatamente tutte le procedure del progetto di fusione per incorporazione del Banco dì Napoli nella Banca nazionale del lavoro e di riesaminare tale progetto, facendolo, comunque, precedere da una rigorosa ristrutturazione e dal completo risanamento della Banca nazionale del lavoro.

(2-01155)

«Piccolo, Angelici, Mario Pepe, Cananzi,

Jervolino Russo, Boccia, Albanese, Abbate,

Gambale, Iannelli, Pistone, Ricci,

Romano Carratelli, Tuccillo».


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 388 – 29 Maggio 1998

PRESIDENTE 

Segue un’interrogazione dei senatori Bonavita e Bertoni

BONAVITA, BERTONI.

Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica.

Premesso:

che il Governo emanò il decreto-legge 24 settembre 1996, n. 497, convertito dalla legge 19 novembre 1996, n. 588, contenente disposizioni urgenti per il risanamento, la ristrutturazione e la privatizzazione del Banco di Napoli;

che tali interventi sono costati 2.000 miliardi ai contribuenti, cui dovranno aggiungersi le passività derivanti dalla gestione delle sofferenze ed incagli affidati alla bad bank;

che la stampa ha dato rilievo al fatto che recentemente il consiglio di amministrazione ha proposto un cospicuo pacchetto di avanzamento di 117 dirigenti, nuove assunzioni e generose gratifiche pre-natalizie sotto forma di una tantum fino a 30 milioni per una quindicina di dirigenti e capiservizio;

che tali comportamenti sembrano contraddire l’azione di risanamento e moralizzazione che sta alla base delle decisioni del Governo e del Parlamento anche in considerazione dei fatto che l’istituto presenta, in particolare per i dirigenti, uno dei più alti costi del lavoro del sistema italiano,

si chiede di sapere se corrispondano al vero le notizie sopra riportate ed in tal caso quali azioni si intenda adottare per evitare che vecchie logiche e vecchie pratiche prendano il sopravvento e siano tali da impedire razione di risanamento e moralizzazione del più importante istituto bancario del Mezzogiorno.

(3-01514)


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 388 – 29 Maggio 1998

Il sottosegretario Pinza ha facoltà di rispondere a questa interrogazione

PINZA, sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Con riferimento all’interrogazione dei senatori Bonavita e Bertoni, occorre ricordare che le incentivazioni corrisposte al personale del Banco di Napoli sono state caratterizzate da trasparenza e sono state utilizzate come leva corretta di gestione delle risorse e che ciò ha costituito un contributo complementare e indispensabile per far superare all’azienda lo stato di difficoltà nel quale notoriamente versava.

Il rispetto del piano di risanamento e di ristrutturazione del Banco, in presenza degli eventi che si sono susseguiti, richiedeva la determinazione di precisi obiettivi e quindi un notevole impegno di tutte le energie presenti in azienda, sia nelle filiali che nella Direzione generale. Lo stesso piano ha previsto, come condizione inderogabile, il riallineamento del costo del lavoro conseguito con la responsabile partecipazione delle organizzazioni sindacali.

Tale situazione ha indotto le stesse rappresentanze sindacali ad accogliere, nel contesto degli accordi sottoscritti fin dal luglio 1996, l’introduzione, a partire dal 1997, di un sistema premiarne con riserva di procedere ad erogazioni individuali legate al raggiungimento di obiettivi e/o alla qualità della prestazione e del servizio reso.

Per questo motivo, tenendo anche conto dei notevoli risparmi conseguiti già nel 1996 con l’assorbimento o l’abolizione di alcuni preesistenti trattamenti aziendali e delle incentivazioni ad personam corrisposte in passato discrezionalmente, il Consiglio di amministrazione del Banco ha previsto uno stanziamento, periodicamente riportato nello stesso piano di risanamento, deliberato nel novembre 1996 e successivamente approvato anche dal Ministero del tesoro e dalla Banca d’Italia.

È stato predisposto che l’erogazione degli incentivi avvenisse in correlazione al raggiungimento di obbiettivi fissati; in proposito, nel rispetto del criterio di avvalersi senza ritardi di strumenti di gestione rispondenti, è stata introdotta in azienda la metodologia della Direzione per obiettivi già riferita ai risultati del 1996, e con un’attenta verifica improntata a principi di equità si è rilevato che circa il 30 per cento del personale totale, delle filiali e centrale, era meritevole delle incentivazioni.

Nell’individuare i destinatari delle incentivazioni si è ritenuto opportuno, in sede di prima applicazione, estendere il sistema ai collaboratori di ogni livello, premiando anche il contributo offerto dal personale impiegatizio.

Di seguito riporto alcuni dati significativi di come è stata ripartila l'erogazione avvenuta nel giugno 1997 che ha riguardato, come detto, circa il 30 per cento del personale in servizio. Addetti alla centrale: personale direttivo 263 unità, personale impiegatizio 585 unità. Addetti alle filiali: personale direttivo 276 unità, personale impiegatizio 2.015 unità.

Gli incentivi sono stati attribuiti per il 27 per cento a personale centrale e per il 73 per cento a personale di filiale, per il 17 per cento a personale direttivo e per 1’83 per cento a personale impiegatizio, secondo una distribuzione dei riconoscimenti a quei dipendenti di tutti i livelli, individuati senza pregiudizi, in base ai risultati conseguiti ed alla qualità delle prestazioni e del servizio reso.

Per quanto riguarda la dirigenza, è stata posta in essere una drastica azione di rinnovamento che ha comportato, per diverse motivazioni, l'uscita negli ultimi due anni di ben 45 dirigenti, fra cui 9 direttori centrali e 12 condirettori centrali; di tali dirigenti, 5 rivestivano anche incarichi di responsabilità in aziende del gruppo.

Aggiungo, infine, che nei confronti di coloro a carico dei quali risulteranno responsabilità verranno assunte o sono state assunte tutte le opportune iniziative.

BONAVITA. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

* BONAVITA. Signor Presidente, ringrazio il Governo per le notizie e le assicurazioni che ha fornito. Destava preoccupazione il fatto che proprio nel Banco di Napoli, dove vi è il costo del lavoro più alto di tutti gli istituti creditizi del nostro paese, si producesse una situazione di elargizioni di premi di produttività, di incentivi, quando il problema è di riallineare il costo del lavoro di quella azienda al sistema bancario nazionale, che tra l’altro è uno dei più costosi d’Europa. Il Governo ci dà l’assicurazione che ciò avviene in un ambito di prospettiva di riallineamento e che sono stati adottati provvedimenti per rendere competitiva l’azienda.

Su questo non posso che ringraziare il Governo e prendere atto degli impegni e delle assicurazioni che esso ha fornito anche in ordine al controllo dei processi di ristrutturazione e di efficienza che dovrebbero essere portati avanti per quanto concerne il Banco di Napoli.


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 388 – 29 Maggio 1998

PRESIDENTE. Seguono alcune interrogazioni dei senatori Lauro e Vegas

LAURO, VEGAS. - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica. - Premesso che l’INA-BNL si è aggiudicata Tasta relativa al 60 per cento delle azioni del Banco di Napoli per un valore di 60 miliardi e che tale prezzo è stato ritenuto congruo dagli advisor del Ministero del tesoro, gli interroganti chiedono di sapere:

se sia mai stata formulata un’ipotesi di acquisto per la sola rete degli sportelli, degli impieghi e dei depositi e, in caso affermativo, quale fosse il suo importo, quali le ragioni che abbiano portato a preferire la soluzione di cedere, alternativamente, il 60 per cento delle azioni ordinarie e quali i proponenti una simile ipotesi alternativa a quella realizzatasi;

se esista una condizione, posta dal soggetto aggiudicatario dell’asta, in ordine all’incorporazione del Banco di Napoli nella Banca nazionale del lavoro; in caso affermativo, quali sarebbero le conseguenze del venire meno di una simile condizione ed ancora, in caso affermativo, quali sarebbero i tempi dell’operazione di incorporazione, quali le modalità e quali le conseguenze per le strutture direzionali dell’attuale Banco di Napoli;

avendo il Tesoro ceduto solo il 60 per cento delle azioni della banca partenopea ed essendo a conoscenza della condizione predetta, quale si ritenga la più idonea valutazione del residuo 40 per cento e quale la sua destinazione futura;

se il Ministro del tesoro non ravvisi, in questa successione di circostanze, un oggettivo deperimento del valore per il residuo 40 per cento di azioni ordinarie in possesso dell’amministrazione da lui diretta;

quali siano i motivi e le ragioni che impediscono all’azionista di BNL e INA di conoscere le strategie delle proprie controllate;

se il Ministro del tesoro abbia ravvisato nelle proprie determinazioni recenti, in ordine alla cessione del Banco di Napoli, il rischio di un conflitto di interessi tra la funzione di azionista di controllo della BNL e dell’INA e quella di azionista unico del Banco di Napoli;

avendo ravvisato quanto sopra, come preveda di superare tale conflitto di interessi.

(3-01867)


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 388 – 29 Maggio 1998

LAURO, VEGAS. - Al Ministro del tesoro e del bilancio

e della programmazione economica. - Premesso;

che nei corso del 1997, attesa la riduzione dei tassi di interesse e dei connessi margini di profitto del mercato finanziario italiano per l’avvicinamento al mercato unico europeo, il Banco di Napoli ricerca impieghi, oggi meno remunerativi di quelli ceduti nel 1996 ad altre aziende

Assemblea - Resoconto stenografico29 Maggio 1998

bancarie per un ammontare di crediti garantiti dallo Stato o comunque a rischio ridotto superiori a duemila miliardi e contenenti margini migliori;

che alla liquidazione della Isveimer tutte le operazioni di finanziamento in corso di completamento (circa 400) appartenenti a imprese di primaria importanza, nazionali e non (ad esempio Texas Instruments) sono state cedute ad altre aziende bancarie senza alcun compenso;

che la direzione del Banco di Napoli non è riuscita neppure a canalizzare e coordinare le operazioni della Isveimer verso la propria sezione di credito industriale;

che la finanza delle altre aziende di credito si sta evolvendo verso emissioni di bonds obbligazionari emessi dalle medie imprese che vengono collocati dalle banche sul mercato dei risparmiatori istituzionali con costi per le stesse imprese di minore rilevanza rispetto agli usuali finanziamenti tradizionali, si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di quanto sopra esposto;

se ciò corrisponda a verità;

in tal caso, se vi fossero direttive della Banca dTtalia con questa finalità o se tali indirizzi sono stati perseguiti dalla direzione del Banco di Napoli;

se esistano dei motivi che limitino il Banco di Napoli ad operare nel campo della finanza innovativa;

se tali tipi di comportamenti non stiano penalizzando il settore produttivo delle imprese meridionali.

(3-01868)


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 388 – 29 Maggio 1998

LAURO, VEGAS. - Al Presidente del Consiglio dei ministri

e ai Ministri del tesoro e del bilancio e della programmazione economica e delle finanze. - Premesso:

che il Presidente del Consiglio, onorevole Romano Prodi, assicura all’opinione pubblica che sono in corso le privatizzazioni;

che è stato approvato dal Senato il disegno di legge n. 2132, di iniziativa del ministro del tesoro Ciampi, di concerto con il ministro Visco, concernente «Disposizioni in materia di dismissioni delle partecipazioni detenute indirettamente dallo Stato e di sanatoria del decreto-legge n. 598 del 1996», che ha l’obiettivo primario di salvaguardare l’equilibrio patrimoniale dellIRI e di alleviarne gli oneri finanziari in particolare attraverso il trasferimento al Tesoro delle partecipazioni detenute dall’IRI nella STET;

che quindi la STET, che doveva essere oggetto di privatizzazione da parte del Governo Prodi, oggi viene dismessa a favore del suo Ministro del tesoro;

che il Tesoro provvederà a tale operazione attingendo al fondo di ammortamento del debito pubblico dove sono confluiti i proventi della privatizzazione dell’ENI;

considerato:

che, nel corso del processo di privatizzazione della STET-Telecom, il Tesoro, nella sua qualità di azionista di maggioranza relativa, ha deciso di non convertire le azioni di risparmio delle due società in azioni ordinarie, contrariamente a quanto si era deliberato nelle privatizzazioni delle altre due società quotate, ovvero Comit e Credit;

che si è finalmente completato I’iter per la cessione al gruppo INA-BNL della quota di maggioranza assoluta del Banco di Napoli, una sorta di privatizzazione al contrario; l’antico Banco è stato salvato e si avvia oggi sulla strada del completo risanamento, ma j piccoli e grandi azionisti di minoranza che hanno investito in una banca che credevano sana e forte hanno visto azzerare i loro investimenti;

che le vicende indicate in premessa dimostrano ancora una volta quanto sia bassa la considerazione del risparmio in Italia e che l’idea di una borsa popolata da un immenso «parco buoi» è tutt’altro che tramontata nel nostro paese, gli interroganti chiedono di conoscere:

per quale motivo, in occasione della privatizzazione della STET- Telecom, il Tesoro non abbia convertito le azioni di risparmio delle due società in azioni ordinarie, pur esistendo prassi consolidate e addirittura una delibera del CIPE del 30 dicembre 1992, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 febbraio 1993, in tal senso;

se corrisponda al vero che la giacenza attuale del fondo di ammortamento dei titoli di Stato sia pari a circa 703 miliardi di lire;

considerato che il Tesoro si è impegnato a pagare all’IRI circa 8.000 miliardi quale restante corrispettivo delle quote STET dall’IRI

stessa detenute, come si intenda far fronte a tale pagamento;

se non si ravvisi quantomeno una grande contraddizione nel fatto che per il pagamento sopra citato vengano utilizzati i proventi della privatizzazione dell’ENl, confluiti in un fondo che, nell’intenzione de! Governo, aveva l’utilità di abbattere il debito pubblico;

se corrisponda al vero la notizia secondo la quale sarebbe allo studio un progetto di decreto per definire gli enti autorizzati alla raccolta delle deleghe per la partecipazione alle assemblee delle società quotate, e tra questi farebbero la loro comparsa gli intermediari autorizzati e le banche, con tutti quegli effetti distorsivi che tale riforma avrebbe sulla autonomia dell’azionariato di minoranza, già recepita dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, che vieta alle aziende di credito tale rappresentanza;

se venga considerata congrua la valutazione per la vendita del Banco di Napoli stimata in 100 miliardi di lire, compreso ravviamento di 800 sportelli, quando il ricavato della vendita di 50 sportelli del Banco alla Banca popolare di Brescia ha fruttato 138 miliardi.

(3-01869)


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 388 – 29 Maggio 1998

LAURO, VEGAS. - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro

del tesoro e del bilancio e della programmazione economica. - Premesso:

che il decreto ministeriale del 25 agosto 1997 sulla possibilità di esercizio del diritto di acquisto dì nuove azioni del Banco di Napoli prevede che «i titolari delle azioni ordinarie in circolazione prima dell’azzeramento del capitale del Banco, deliberato dall’assemblea del 30 luglio 1996, e dì quelle di risparmio hanno diritto di acquistare dal Tesoro, al valore nominale, un’azione ordinaria ogni 15 azioni ordinarie o di risparmio possedute»;

che nel frattempo si è parlato di un ulteriore abbattimento del capitale sociale di oltre il 50 per cento, per cui il valore delle azioni rischierebbe praticamente di dimezzarsi;

che nell’assemblea dello scorso aprile infatti sono stati evidenziati altri 1.300 miliardi di perdite a bilancio (oltre ai 351 miliardi già previsti), il che comporterebbe una diminuzione del capitale sociale da 2.200 miliardi a circa 600 e lo stesso deprezzamento subirebbe il valore nominale delle azioni;

che quindi un azionista dovrebbe sottoscrivere le azioni al valore nominale di 1.000 lire quando sa fin d’ora che il loro valore reale, dopo l’abbattimento, non arriverà nemmeno alla metà; considerato:

che questi stessi azionisti hanno già subito un danno dal Banco; infatti i risparmiatori che hanno diritto a sottoscrivere un’azione ogni 15 sono quelli che possedevano azioni ordinarie prima dell’azzeramento del capitale del luglio 1996 e che si sono dovati da un giorno all’altro con un pugno di mosche in mano, a meno che non abbiano accettato di sottoscrivere il successivo aumento di capitale, investendo dunque altri soldi nel Banco;

che i vecchi titolari di azioni di risparmio, invece, si sono visti riconoscere una nuova azione ogni tre possedute, perdendoci di fatto i due terzi;

che il suddetto decreto ministeriale aggiunge che «gli aventi diritto dovranno, a pena di decadenza, presentare domanda di acquisto presso gli sportelli del Banco entro il 31 dicembre 1997 corrispondendo il relativo prezzo», ma non è ancora chiaro quale sia tale prezzo, visto il profilarsi dell’abbattimento di capitale,

gli interroganti chiedono di conoscere:

se non si intenda fare maggiore chiarezza riguardo al valore nominale cui dovranno essere acquistate le azioni del Banco di Napoli;

se non si ritenga opportuno prendere adeguati provvedimenti al fine di tutelare i piccoli azionisti del Banco di Napoli, che rischiano di essere enormemente penalizzati da un decreto originariamente emanato per avvantaggiarli.

(3-01870)


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 388 – 29 Maggio 1998

LAURO, VEGAS. - Al Presidente del Consiglio dei ministri 

e al Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica. - Premesso:

che il decreto del Ministro del tesoro 25 agosto 1997, recante «Modalità operative di esercizio del diritto di acquisto di cui all’articolo 2, comma 3, del decreto-legge 24 settembre 1996, n. 497, convertito dalla legge 19 novembre 1996, n. 588», attribuisce ai titolari delle azioni ordinarie e di risparmio Banco di Napoli in circolazione prima dell’azzeramento del capitale del Banco deliberato dall’assemblea del 30 luglio 1996 il diritto di acquistare dal Tesoro una azione ordinaria ogni 15 possedute al valore nominale (attualmente di 1.000 lire) entro il 31 dicembre 1997;

che tale valore nominale dovrebbe essere rappresentativo di un capitale sociale integro di circa 2.400 miliardi, comprese le riserve, quando al contrario è già previsto un pesante abbattimento di capitale per circa 1.300 miliardi, conseguenza della perdita di oltre 1.651 miliardi evidenziatasi nel bilancio 1996, approvato in data 29 aprile 1997;

che, come recita il decreto 25 agosto 1997, «la finalità dell’articolo 2, comma 3, della legge n. 588 è quella di ristorare gli azionisti del Banco che hanno sofferto pregiudizi a causa della situazione di crisi del Banco» e che, contrariamente a quanto asserito in decreto, coloro che aderendo all’offerta prima del già programmato abbattimento del capitale, sottoscrivendo azioni al valore nominale di 1.000 lire, si troveranno ad aver acquistato «titoli il cui valore nominale non corrisponde al valore patrimoniale» (così l’intervista all’avvocato Ulissi del Ministero del tesoro nell’articolo di «Borsa e finanza» del 27 settembre 1997), esponendosi in tal modo ad un ulteriore ed ingiustificato danno patrimoniale;

che la Consob risulta essere stata informata e sentita dal Ministero del tesoro in merito al contenuto del decreto 25 agosto 1997,

gli interroganti chiedono di conoscere se non si intenda riconsiderare tale situazione che presenta concreti aspetti di pericolo per il pubblico risparmio, acuiti dalla ambiguità di formulazione del decreto del Ministero del tesoro del 25 agosto 1997, ed ancora valutare il possibile conflitto di interesse (evidenze riscontrabili nella proposta di acquisto di titoli, offerti dal Ministero del tesoro e di sua pertinenza, il cui valore patrimoniale è inferiore del 50 per cento rispetto al richiesto pagamento del valore nominale di 1.000 lire) e conseguentemente assumere ogni più opportuno provvedimento atto a sanare tale situazione di immanente pericolo per gli investitori.

(3-01871)


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 388 – 29 Maggio 1998

LAURO, VEGAS. - Al Presidente del Consiglio dei ministri

 e al Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica. - Premesso:

che il 30 luglio 1996 il Ministero del tesoro, sostituendosi nel voto alla fondazione del Banco di Napoli che deteneva la maggioranza delle azioni del Banco, approvava la situazione patrimoniale del Banco al 31 marzo 1996 e deliberava l'abbattimento del capitale sociale previo azzeramento del capitale ordinario per 769 miliardi e l’abbatti mento per circa due terzi del capitale di risparmio da 341 a 128 miliardi e varava un aumento di capitale per lire 2.000 miliardi che il Tesoro sottoscriveva pressoché interamente, stante l’onerosità dello stesso, nell’ottobre successivo;

che soltanto due mesi dopo, il 9 gennaio 1997, il «Sole 24 Ore», ben noto quotidiano economico, annunciava che vi erano per il Banco ulteriori perdite non precedentemente evidenziate per oltre 1.300 miliardi, e difatti l’assemblea del 29 aprile successivo veniva convocata per approvare il bilancio al 31 dicembre 1996, che confermava la fosca anticipazione;

che, considerando che le perdite di 1.300 miliardi ulteriori rilevate già nel gennaio 1997 non possono essersi prodotte, data la loro consistenza, nel periodo 31 marzo-31 dicembre 1996, esse dovevano essere già conosciute o perlomeno conoscibili dal consiglio di amministrazione alla data dell’assemblea del 30 luglio 1996;

che, poiché non risulta allo stato che il Ministero del tesoro si sia quantomeno lamentato di tale svista od abbia proceduto a richieste di legittimi chiarimenti od ancora ad azioni contro gli amministratori, ma anzi avrebbe accondisceso di buon grado a tale evidenza approvando il bilancio al 31 dicembre 1996 ed il conseguente abbattimento deliberato il 30 ottobre 1997, il Tesoro evidentemente o già sapeva, tanto da prevedere già nel 1996 la necessità di un aumento di capitale a carico di terzi per 1.500 miliardi, come si evince dalla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee 1° novembre 1996, n.c. 328/29, penultimo capoverso, all’atto della sottoscrizione dell’aumento di capitale di ottobre 1996, considerando che quasi il 60 per cento del proprio intervento sarebbe stato di lì a poco bruciato da ulteriori perdite, ovvero, anche se non era al corrente di tale pesante situazione, il Tesoro non ragiona evidentemente nell’ottica dell’investitore privato in una economica di mercato;

che a suffragio di ciò vi è, se occorresse ancora, la «vendita» del 60 per cento del Banco di Napoli (e quindi dell’immenso patrimonio immobiliare, dei 44.000 miliardi di raccolta, del marchio, di circa 17.000 miliardi tra crediti incagliati e sofferenze, conferiti alla SGA, società interamente controllata, già ammortizzati per il 28 per cento circa con utilizzo delle riserve e che per di più beneficiano del meccanismo di ristoro previsto dal decreto del Ministro del tesoro 27 settembre 1974, ma soprattutto dell’avviamento degli 800 sportelli del Banco), ricapitalizzato e già emendato di parte dei debiti, ceduto ad INA e BNL per soli 60 miliardi (circa 42 lire per azione contro un valore nominale, pur dopo l’ultimo abbattimento di capitale, dieci volte superiore, di lire 414,14) quando la cessione, precedentemente deliberata, di soli 50 sportelli alla Banca popolare di Brescia ha fruttato al Banco, per il solo avviamento, addirittura più del doppio, e cioè 138 miliardi;

che c’è di peggio: come si evince a pagina 49-50 della bozza di bilancio del Banco per l’anno 1996 il Ministero del tesoro utilizzerà i proventi (circa 60 miliardi) della dismissione della sua partecipazione nel Banco per ristorare la SGA (e quindi il Banco, e quindi di fatto INA e BNL) e per ripianare le sue perdite;

che una vera e propria partita di giro dimostra Tintento del Ministero del tesoro non già di cedere, bensì di fare un gradito omaggio ad INA e BNL, il controllo del Banco;

che l’investitore privato in economia di mercato, per quanto magnanimo, non avrebbe certo autorizzato una simile operazione, soprattutto dopo avervi impegnato 2.000 miliardi ed averne persi 1.300: piuttosto avrebbe soprasseduto alla vendita od avrebbe, al limite, ceduto gli 800 sportelli, peraltro assai appetibili, ricavandone almeno 2.000 miliardi di solo avviamento, ceduto l’immane patrimonio immobiliare, gestito l’e- norme massa crediti parzialmente ammortizzata e comunque protetta dal succitato decreto e liquidato ben più proficuamente la società, si chiede di sapere:

come il Tesoro ritenga di poter dichiarare di massimizzare i ricavi delle cessioni e destinarli al Fondo di ammortamento del debito pubblico;

come si ritenga che PINA possa valutare (secondo quanto riportato dal «Sole 24 Ore» del 10 marzo 1998, pagina 31) di rilevare il 20 per cento della Banca nazionale del lavoro che salirà al 30 per cento con l’apporto del Banco di Napoli;

se si ritenga che il conflitto di interesse, confermato dal sottosegretario Cavazzuti in sede di risposta alla interrogazione 3-01154, esista, ed eventualmente in quale dimensione, per l’operazione Banco di Napoli;

se in relazione a quanto sopra esposto il Ministero del tesoro non ritenga di sospendere immediatamente qualsiasi tipo di operazione di fusione tra il Banco di Napoli e la BNL, almeno sino a quando non verrà esaminato e definito con un’adeguata soluzione legislativa l’evidente conflitto di interesse in atto.

(3-01872)


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 388 – 29 Maggio 1998

Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere

congiuntamente a queste interrogazioni.

PINZA, sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. 

Il bilancio 1996 del Banco si è chiuso con una perdita di esercizio di lire 1.651 miliardi ascrivibile, tra l’altro, alla prosecuzione, da parte dei vertici aziendali, dell’azione di revisione della qualità dell’attivo, nonché ad altri oneri di natura «straordinaria», connessi con il piano di ristrutturazione aziendale, redatto dal consiglio di amministrazione del Banco, con l’ausilio della società di consulenza Rotschild Italia spa ed approvato dalla Banca d’Italia.

Gli interventi previsti nel citato piano riguardano la cessione e/o la chiusura di sportelli, la cessione di crediti, di immobili e di partecipazioni ed il contenimento dei costi operativi, come il senatore Vegas ricorda, essendo stato oggetto - tra l’altro - di un’ampia discussione in questa sede quando si trattò di approvare le norme relative.

Nel corso de! 1996, il Banco di Napoli ha avviato alcune delle citate iniziative; in particolare, nel mese di ottobre 1996, sono state cedute alla Banca popolare di Brescia 50 dipendenze, ubicate nelle regioni centro-settentrionali; sono state chiuse alcune filiali giudicate non produttive, all'estero, di Parigi e Francoforte e gli uffici di rappresentanza di Mosca, Seoul e Los Angeles nonché la filiale di Barcellona; sono state effettuate dismissioni di immobili non funzionali e di partecipazioni non strategiche, alcune delle quali di rilevante ammontare, come l’interessenza nella Banca di Roma e nell'IMI. Nel mese di dicembre 1997, infine, sono stati ceduti alla Banca Antoniana popolare veneta 9 sportelli dislocati nel Veneto.

Per quanto concerne la riduzione del costo del lavoro, si fa presente che il Banco di Napoli, oltre ad aver stipulato nel mese di luglio 1996 accordi sindacali mirati all’abolizione degli automatismi retributivi ed al graduale riassorbimento delle componenti salariali non previste nel contratto collettivo nazionale, ha avviato un programma di esodi incentivati, destinato ad interessare 950 dipendenti nel 1997 e 250 nel 1998.

In data 31 dicembre 1996, la Banca d’Italia ha autorizzato la cessione alla SGA S.p.A. di crediti anomali, di titoli soggetti al «rischio paese», di partecipazioni rivenienti da ristrutturazioni di crediti, nonché dell’interessenza nel Banco di Napoli International; ai sensi della legge n. 588 del 1996, eventuali perdite derivanti dagli interventi del Banco di Napoli a sostegno della SGA saranno coperte secondo le modalità previste dal decreto ministeriale 27 settembre 1974.

Nel mese di febbraio 1997, FINA Spa e la BNL Spa sono risultate aggiudicatarie del 60 per cento del capitale ordinario del Banco di Napoli posto in vendita dal Tesoro tramite una apposita procedura di asta pubblica, disciplinata con decreto ministeriale 14 ottobre 1996; in data 11 giugno 1997, a seguito della conclusione della «due diìigence», condotta dalle aziende aggiudicatarie, è stata perfezionata la cessione del pacchetto di controllo dal Tesoro al Banco di Napoli Holding, società appositamente costituita dall’INA Spa (51 per cento) e della Banca nazionale del lavoro Spa.

Nel mese di settembre 1997, il Banco di Napoli Holding è stato iscritto all’albo previsto dall’articolo 64 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in qualità di capogruppo del gruppo bancario Banco di Napoli.

Inoltre, alla fine di ottobre 1997, il Banco di Napoli ha emesso un primo aumento di capitale nella misura di lire 904 miliardi, mentre l’immissione di una seconda «franche» di risorse patrimoniali, pari a lire 400 miliardi, è prevista per la prima metà del 1998.

Relativamente alle iniziative intraprese a tutela degli interessi degli azionisti di minoranza del Banco di Napoli, si fa presente che il diritto degli ex azionisti di acquistare dal Tesoro azioni del Banco stesso è previsto - come noto - dall’articolo 2, comma 3, del decreto-legge 24 settembre 1996, n. 497, convertito nella legge 19 novembre 1996. n. 588. La norma prevede che le disposizioni attuatìve siano emanate con decreto del Ministro del tesoro.

Subito dopo l’approvazione della citata legge n. 588 del 1996 Tema- nazione del decreto è stata più volte sollecitata.

Tuttavia, il Tesoro ha ritenuto di non emanare il decreto in questione fin quando non fossero disponibili elementi sufficienti per una consapevole scelta da parte dei piccoli azionisti. In particolare, si è atteso il perfezionamento del contratto di acquisto della partecipazione del Tesoro da parte della BNL e da parte dell'INA, avvenuta in data 11 giugno 1997, nonché l’approvazione, in data 29 aprile 1997, del bilancio del Banco per l’anno 1996, intendendoci che questi dati fossero idonei a fornire robusti elementi di scelta ai piccoli azionisti.

Pertanto, in data 25 agosto 1997, è stato emanato il decreto, nel quale è stata fornita piena informativa sulla situazione patrimoniale del Banco.

Gli ex azionisti sono stati, quindi, posti nella condizione di valutare modalità e tempi di esercizio del diritto ed, in particolare, se acquistare le azioni prima delle previste operazioni sul capitale, acquisendo il diritto di voto nella relativa assemblea ed il diritto di opzione sull’aumento di capitale, ma subendo l’incidenza delle perdite, ovvero, scegliendo un’altra strada, procedere all’acquisto successivamente all'aumento di capitale sociale.

D’altra parte il prezzo di acquisto delle azioni, pari al valore nominale, già stabilito per legge, non poteva essere modificato.

Il Ministero del tesoro, nell’emanare il citato decreto, ha dato della norma un’interpretazione il più favorevole possibile ai piccoli azionisti, in quanto il diritto di acquisto sarebbe spettato ai titolari delle azioni del Banco in circolazione alla data di entrata in vigore del decreto-legge 24 settembre 1996, n. 497, vale a dire il 26 settembre 1996, invece è stato considerato momento di riferimento quello anteriore alla data dell’assemblea che ha azzerato il capitale, al fine di evitare la negazione del diritto per tutti coloro le cui azioni erano state annullate a seguito dell’azzeramento del capitale del Banco deliberato dall’assemblea del 30 luglio 1996; in difetto di tale previsione evidentemente il diritto sarebbe stato vanificato.

La Consob, alla quale il decreto è stato inviato per il parere di competenza, non ha rilevato pregiudizi per i risparmiatori, nè violazioni del diritto di informazione del mercato, concordando sulle modalità operative di esercizio del diritto di acquisto delle azioni. Non ritiene, altresì, opportuna la creazione di documenti negoziabili rappresentativi del diritto all’acquisto, come previsto dall’articolo 2, comma 4, del menzionato decreto-legge n. 497 del 1996.

Con riferimento alla ipotizzata mancata canalizzazione, da parte del Banco di Napoli, delle operazioni dellTsveimer verso la propria sezione di credito industriale, va detto che, in data 26 giugno 1997, è stata definita un’operazione di cessione di crediti dallTsveimer Spa al Banco di Napoli Spa riguardante circa 850 finanziamenti, per un controvalore nominale di circa lire 800 miliardi. A fronte di tale operazione, prevista dall’articolo 58 del Testo unico, la Banca d’Italia ha rilasciato l’autorizzazione prevista.

In merito all’eventuale operatività del Banco nel campo della finanza innovativa, si fa presente che non esistono impedimenti che possano limitare il Banco di Napoli ad operare in tale campo, fermo restando il rispetto della vigente normativa di vigilanza in termini di requisiti patrimoniali sui rischi di mercato.

Si osserva, comunque, in via generale, che la questione prospettata attiene a materia rimessa all’autonomia decisionale degli organi aziendali.

Per quanto riguarda, infine, i quesiti sollevati nell’interrogazione n. 3- 01867 (già 4-04149), si fa presente che non risulta che, in sede di asta per l’aggiudicazione del pacchetto azionario di controllo del Banco di Napoli, siano state ipotizzate, in alternativa, cessioni della sola rete degli sportelli, degli impieghi e dei depositi del Banco di Napoli.

Va, altresì, detto che, con lettera del 23 dicembre 1996, la Banca nazionale del lavoro comunicava che il proprio interesse ad acquisire una partecipazione nel Banco era in relazione all’intendimento di creare un gruppo bancario di maggiori dimensioni, nella prospettiva di una fusione con l’azienda partenopea. La Banca d’Italia, in occasione del rilascio all’INA ed alla BNL dell’autorizzazione all’acquisto della quota di controllo del Banco di Napoli, ha fatto presente di non disporre degli elementi necessari per effettuare valutazioni in merito ad ipotesi di fusione. La vigente normativa di vigilanza in materia prevede, infatti, che i vantaggi o i costi connessi con le operazioni di fusione debbano essere analizzati nel quadro di un progetto industriale che rappresenti gli assetti tecnico-organizzativi e le strategie operative del soggetto bancario risultante dalle operazioni medesime.

Nella stessa sede è stato sottolineato come tale progetto industriale dovesse essere elaborato d’intesa con LINA, atteso il ruolo di azionista di maggioranza del Banco che la società assicuratrice era destinata ad assumere.

Successivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 gennaio 1998 sono state fissate le modalità di vendita della partecipazione detenuta dal Tesoro nella Banca nazionale del lavoro; il decreto stabilisce che la cessione possa avvenire tramite trattativa diretta con uno o più partners bancari-finanziari «al fine di creare un azionariato di riferimento stabile», e/o attraverso un’offerta pubblica di vendita.

Per venire ai giorni nostri, o forse sarebbe meglio dire alle ore nostre, va aggiunto che è in corso, con l’assistenza della J.P. Morgan advisor del Ministero del tesoro, la procedura per l’assegnazione di quote della banca a trattativa privata, al fine di costituire un «azionariato di riferimento nel capitale della BNL»; l’offerta pubblica di vendita, destinata ai risparmiatori e agli investitori istituzionali italiani ed esteri, verrebbe organizzata in una fase successiva a quella in corso; infatti, come il senatore Vegas esattamente sa, sono già state individuate delle volontà di intervento da parte dei soggetti interessati.


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 388 – 29 Maggio 1998

VEGAS. Domando di parlare

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

* VEGAS. Signor Presidente, intervengo molto brevemente per dichiararmi insoddisfatto della risposta testé fornita dal Governo sulla base di alcune argomentazioni.

Innanzitutto l’onorevole Pinza ha prospettato una procedura ancora in itinere, se non altro per quanto riguarda la contabilizzazione delle perdite del Banco di Napoli, che getta un’ombra alquanto preoccupante sulla questione dei piccoli azionisti e sulla successiva partecipazione della BNL.

Per quanto riguarda la prima questione, ossia quella dei piccoli azionisti, credo che non aver redatto compiutamente il conto della situazione patrimoniale del Banco di Napoli abbia comportato un probabile decremento delle loro ragioni patrimoniali che non è ancora del tutto acclarato, ma che forse potrà portare a perdite successive, relativamente ai valore delle azioni, rispetto a quelle che sono già state certificate ed attestate e ricordate in questa sede dal sottosegretario Pinza.

D’altronde tutta la questione della bad banking e delle partecipazioni negative ancora non è del tutto risolta e sicuramente sotto questo profilo la tutela dei piccoli azionisti è stata quanto meno carente da parte dell’organo preposto alla loro tutela e in primis del Ministero del tesoro che ha gestito l'operazione.

D’altra parte, ancora non si comprende chiaramente quando questa operazione di pulizia dei conti della banca potrà essere completata in modo da poter ridare vigore ad un settore del credito che soprattutto nel Mezzogiorno è estremamente importante per il decollo - come tutti auspichiamo - dell’economia meridionale.

Le stesse modalità di cessione alla BNL mostrano come in realtà - se ho ben compreso - solo in una seconda fase si verrà ad un meccanismo di mercato per la cessione stessa, mentre fino ad oggi si è avviata una trattativa diretta; anche questo aspetto non è, a mio avviso, tale da garantire sia i piccoli azionisti, sia la collettività nel suo complesso; infatti, anche la BNL è sostanzialmente una banca che vede la presenza di molti cittadini tra gli azionisti e quindi si corre il rischio di pregiudicare anche in questo caso, se l’operazione non fosse svolta correttamente, gli interessi dei piccoli azionisti.

Direi che comunque il fatto più rilevante è che a un anno e mezzo circa dall’operazione relativa al Banco di Napoli non siamo ancora in grado di chiudere i conti e lasciamo una sorta di ombra che si proietta sul futuro e che appunto rischia di pregiudicare sia gli interessi dei piccoli azionisti, sia l’intero comparto del credito del Mezzogiorno, ombra che dovrebbe essere fugata ai più presto possibile proprio per motivi di carattere economico che riguardano l’intera economia meridionale.

Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 396 – 10 Giugno 1998

CURTO. Al Ministro del tesoro e del bilancio

e della programmazione economica.

Premesso;

che nel 1996 il Tesoro, per rafforzare il patrimonio della Banca nazionale del lavoro, conferì a quest’ultima la partecipazione «Artigiancassa» per un valore di oltre 2. 000 miliardi;

che tale conferimento non può non configurarsi quale aiuto di Stato, sostanzialmente simile nella forma e nell’entità a quello fornito al Banco di Napoli, sempre nel 1996, ma con ben altra enfasi e pubblicità;

che per tale aiuto il Tesoro e la Banca d’Italia pretesero dal Banco di Napoli immensi sacrifici, gravissima mutilazione della rete e delle attività, oltre a rinunce di ogni genere a carico del personale tutto;

che l’analogo aiuto fornito alla Banca nazionale del Lavoro non ha richiesto né comportato alcun sacrificio a carico dell’istituto romano che, anzi, ha potuto successivamente addirittura comprarsi una quota significativa del capitale del Banco di Napoli, forse proprio grazie al conferimento «Artigiancasse»;

che la partecipazione «Artigiancasse», che vale circa un quarto del patrimonio della Banca nazionale del lavoro nel bilanciò 1996, dopo le perdite emerse nel bilanciò 1997, «pesa» oltre un terzo del residuo capitale netto;

che recenti notizie stampa, in relazione al decreto-legge che stabili il conferimento della partecipazione «Artigiancasse», hanno portato alla luce l’esigenza di precisi diritti in favore delle associazioni degli artigiani, titolate -tra l’altro -ad esprimere il loro preventivo assenso in qualsiasi ipotesi di privatizzazione della BNL stessa;

che in particolare, per le «partecipazioni in imprese del Gruppo» sono da rilevare incrementi per 2.501 miliardi, fra i quali si segnalano Artigiancasse spa (2.329 miliardi), in relazione al noto conferimento da parte del Tesoro perfezionato nel gennaio 1996, Efibanca spa (78 miliardi), principalmente per l’aumento di capitale, BNL Inversiones Argentinas (74 miliardi di apporto in conto capitale), BNL Vita spa (10 miliardi per aumento di capitale), Lavoro Servizi Previdenziali di recente costituzione (5 miliardi), mentre le altre acquisizioni sommano 5 miliardi;

che riduzioni per 63 miliardi sono riconducibili alla cessione nel novembre scorso del 2,5 per cento delle azioni di Artigiancasse spa (58 miliardi) alla associazione AGART e alla liquidazione della TTEC (5 miliardi), che ha fra l’altro comportato il realizzo di una plusvalenza di 25,4 miliardi, poi integralmente trasferita tra i mezzi patrimoniali e l’acquisizione nei libri della filiale di New Vork di un immobile per un valore corrente di 23,7 miliardi;

che la voce «70. Partecipazioni» mostra a sua volta incrementi per 161 miliardi, fra i quali si segnalano quelli relativi alla costituzione di azioni Compart spa (35 miliardi), mentre le altre acquisizioni sommano 31 miliardi;

che, in particolare,l’acquisizione di Albacom Holdings Limited suggella le intese con British Telecom, Mediaset spa e Albacom spa, che hanno fra l’altro comportato l’entrata di Mediaset spa in Albacom con una quota del 30 per cento nonché la contestuale assunzione da parte di BNL spa e British Telecom, attraverso la precitata holding companv di settore di una partecipazione al capitale di Mediaset spa con una quota del 2 per cento;

che l’operazione ha anche determinato per BNL spa il conseguimento di una plusvalenza di 93,5 miliardi, che è confluita nel conto economico dell’esercizio per essere poi integralmente trasferita nell’ambito dei mezzi patrimoniali;

che le riduzioni, per circa 40 miliardi, si riferiscono ad Albacom spa (17 miliardi), Ilva Laminati Piano (15 miliardi) e Compart spa (8 miliardi);

che il valore della partecipazione è stato complessivamente abbattuto per 54 miliardi di minusvalenze portate a carico del conto proprio nell’ambito del processo di privatizzazione; una primaria banca nazionale ha già manifestato il proprio disinteresse a partecipare all’asta relativa al capitale BNL, in quanto da un sommario esame dei conti sembrerebbe emergere un quadro molto critico, peraltro confermato dalla recente riduzione del rating effettuata da primarie agenzie internazionali (Fitch-Ibca, Standar & Poor’s);

l'interrogante chiede di conoscere: se i vincoli esistenti, per quanto concerne la partecipazione Artigiancasse, non rendano praticamente indisponibili ai fini patrimoniali una quota così significativa del residuo capitale della Banca nazionale del lavoro con tutte le implicazioni del caso;

se il Ministro in indirizzo ritenga opportuno, in qualità di azionista di maggioranza e di tutore della generale trasparenza del mercato, chiarire prioritariamente tutti i diritti e le opzioni eventualmente esistenti in favore di terzi in relazione a tutte le partecipazioni che fanno parte del patrimonio della Banca Nazionale del lavoro;

se ritenga indispensabile approfondire le motivazioni che hanno causato il giudizio negativo già espresso da una primaria banca sulla situazione della BNL e delle citate agenzie intemazionali di rating;

se non ritenga assolutamente necessario, anche in relazione a quanto sopra, ripensare completamente il progetto di privatizzazione della Banca nazionale del lavoro;

se non ritenga giusto coinvolgere il Banco di Napoli, ormai risanato grazie all’aumento di capitale effettuato utilizzando parte dei fondi destinati al Sud e agli enormi sacrifici fatti dalla azienda, in un processo i cui fini sono sempre meno chiari e, comunque, certamente non nell’interesse del Mezzogiorno d’Italia e del mercato;

se non ritenga opportuno, viste le continue, forti criticità emergenti con troppa frequenza a carico della Banca nazionale del lavoro, che quest’ultima ceda la partecipazione in Banco di Napoli, conseguendo in tal modo una significativa plusvalenza in grado, se non di risolvere, certamente di attenuare le richiamate criticità.

(4-11360)


vai su


Atti Parlamentari - Camera dei Deputati - Seduta 402 – 30 Luglio 1998

PICCOLO, PISTONE, PECORARO SCANIO, GRIMALDI

 JERVOLINO RUSSO, ABBATE, CANANZI, ALBANESE, TUC-CILLO, ROMANO CARRATELLI, PIT-TELLA, JANNELLI, SIOLA, MARIO PEPE, PROCACCI, GATTO e ANGELICI.

Al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Ministro del tesoro, del bilanciò e della programmazione economica.

— Per sapere -premesso che:

precedenti interrogazioni, relative al progetto di fusione tra la Banca nazionale del lavoro ed il Banco di Napoli, sono a tutt'oggì prive di riscontro, con l’inevitabile conseguenza di alimentare i dubbi e le perplessità manifestati in ordine alla predetta operazione;

le modalità ed i tempi con i quali il predetto progetto di fusione verrebbe attuato vanificherebbero completamente i risultati assolutamente positivi conseguiti dal Banco di Napoli con l'attuazione del piano di ristrutturazione e di risanamento;

la diffusione più analitica dei dati di bilanciò della Bnl e della sua complessiva situazione patrimoniale e finanziaria, nonché recenti prese di posizione dì istituti specializzati e argomentate valutazioni elaborate da qualificati organi di stampa accrescono le preoccupazioni circa la validità ed il buon esito di un processo di fusione che potrebbe innescare conseguenze disastrose per il sistema creditizio nel Mezzogiorno e, di conseguenza, pregiudicare ogni azione incisiva di sviluppo delle imprese;

è fin troppo noto, infatti, che le criticità aziendali della Bnl sono di tale entità da non consentire di proseguire in un’operazione di fusione mirata sostanzialmente a «incorporare» un’altra azienda bancaria, uscita -con l'aiuto dello stesso Tesoro — da una situazione di grave crisi ed ormai risanata, con margini di produttività, di redditività e di rischiosità fortemente migliorati e, comunque, riconosciuti superiori a quelli della Bnl;

tra i dati più inquietanti che si possono cogliere nel bilanciò dell'esercizio 1997 della Bnl risalta quello relativo al-l'indchitamento netto verso le banche che, nel periodo 1996-1997, è passato dalla già enorme cifra di 20. 000 miliardi a quella di 22.726 miliardi, con un crescente, gravissimo rischio di illiquidità dell'azienda;

ugualmente preoccupante è l’evoluzione della situazione dei crediti problematici e dei relativi accantonamenti visto che al 31 dicembre 1997, dopo passaggi a perdite per oltre 1.122 miliardi, le sofferenze lorde ammontano a 8.876 miliardi e presentano specifici fondi di rettifica per 1.951 miliardi con una percentuale di copertura del 22 per cento (nel 1996 le

sofferenze lorde erano 8.599 miliardi con fondi rettificativi per.1.989 miliardi, con una percentuale di copertura del 23 per cento), a fronte di un grado di copertura medio del sistema bancario al 31 dicembre 1987 di circa il 40 per cento; né, francamente, possono definirsi rassicuranti alcune scelte che si rilevano dalla lettura della Relazione al bilanciò 1997 circa il «Fondo rischi su crediti» utilizzato, talora, per aumentare il grado di copertura delle sofferenze e degli incagli e, tal altra, per accrescere il valore del patrimonio ai fini di vigilanza;

peraltro, non può condividersi l'opinione (sostenuta anche recentemente dal Ministro del tesoro nel corso della sua audizione del 9 luglio 1998 presso le Commissioni riunite bilanciò, tesoro e programmazione e finanze della Camera dei deputati) che la Bnl, a differenza del Banco di Napoli non sarebbe «costata una lira al Tesoro e alla collettività», essendo ben noto che nei primi mesi del 1996 il Tesoro ha conferito alla stessa Bnl la partecipazione relativa all'Artigiancassa per un valore superiore ai 2. 000 miliardi;

circa l'ispezione effettuata dalla vigilanza presso la Bnl non è dato conoscerne il risultato, salvo generiche assicurazioni fornite dal Ministro del tesoro, del bilanciò e della programmazione economica che, nell'audizione surrichiamata, ha riferito di «esiti sostanzialmente positivi»;

tutte le incertezze sopra rappresentate sono ormai percepite a livello internazionale, tant'è che primarie società di rating (Standard & Poor’s, Fitch-IBCA) hanno già abbassato il rating della Bnl ed hanno fatto chiaramente intendere che, nel caso si continuasse a perseguire il progetto di fusione per incorporazione, l'opera di risanamento del Banco di Napoli risulterebbe fatalmente pregiudicata;

il progetto di fusione, così come va delineandosi, al di là di alcune generiche e deboli assicurazioni circa il mantenimento di alcuni centri decisionali nella città di Napoli, nei fatti da un lato trasferirà a Roma l'ultimo importante organismo finanziario del sud e dall'altro produrrà devastanti conseguenze occupazionali sia dirette sia indotte, valutabili in oltre cinquemila unità, riproponendo drammatica-mente la questione ineludibile del credito nel Mezzogiorno e della canalizzazione del risparmio locale in finanza di progetto per incentivare e sostenere le imprese operanti nell’area meridionale

se ritengano corretto avallare un progetto di fusione tra due importanti istituti di credito, senza fare prima assoluta chiarezza sullo stato patrimoniale, economico e finanziario di entrambi a tutela del mercato e degli azionisti di minoranza, dell’Ina e del Banco di Napoli;

se non reputino giusto ed urgente fornire adeguate ed esaurienti precisazioni circa l'ispezione effettuata dalla Banca d'Italia presso la Banca nazionale del lavoro;

se non valutino opportuno che la Bnl attui preliminarmente quel processo di risanamento aziendale che il Tesoro e la Banca d'Italia ben sanno essere necessario ed improcrastinabile;

se considerino in linea con gli impegni del Governo la prospettiva che il Mezzogiorno d'Italia perda anche l’ultimo baluardo finanziario, ormai risanato, in grado di accompagnare la rinascita economica dell'area;

se non giudichino indispensabile riesaminare il progetto di fusione per incorporazione al fine di evitare l’annessione del Banco di Napoli ad un'altra azienda, allo stato in palese sofferenza ed oggettiva difficoltà, e la totale dispersione di un presidio creditizio fortemente collegato al territorio;

se, conseguentemente, non ritengano di favorire un progetto sul modello della «Banca Intesa» tra Banco Ambrosiano Veneto e Cariplo, più rispettoso delle specificità delle due banche interessate e delle loro missioni storiche e più adatto a perseguire gli scopi e gli interessi di carattere generale, senza per questo rinunciare alle economie di scala che si possono proficuamente realizzare attraverso un corretto, equilibrato e graduale processo di integrazione che assicuri la continuità dell'identità dei soggetti partecipanti e salvaguardi il radicamento sul territorio di un’istituzione creditizia, quale è il Banco di Napoli, capace di esercitare una funzione di promozione e di sviluppo nel Mezzogiorno, offrendo servizi efficienti all'economia meridionale e assistendo la nascita e la crescita di piccole e medie imprese;

se, infine, non ritengano di assumere concrete iniziative per assicurare che qualunque progetto di integrazione tenga imprescindibilmente conto della necessità di salvaguardare l’identità del Banco di Napoli e di mantenere a Napoli la struttura decisionale per evitare che il Mezzogiorno sia condannato ad una definitiva minorità e marginalità.

(4-19312)


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 452 – 24 Settembre 1998

NOVI. Al Presidente del Consiglio dei ministri

e al Ministro del tesoro e del bilanciò e della programmazione economica.

Premesso:

che il bilanciò dell’esercizio 1997 della Banca nazionale del lavoro presenta un disavanzo di 2.965 miliardi;

che a tale disavanzo si è giunti portando a perdita solo gli interessi di mora su crediti inesigibili incautamente scritturati a profitto negli anni precedenti, senza, però, procedere ad alcuna revisione del portafoglio crediti e della valutazione di immobili e partecipazioni e senza provvedere ad alcun ulteriore adeguamento del fondo rischi su crediti;

che primarie agenzie internazionali, tra cui Standard -Poors e Fitch -Ibca, hanno abbassato il rating della Banca nazionale del lavoro in previsione di pesanti perdite derivanti dalla scarsa qualità dei crediti;

che i gruppi di lavoro congiunti Banco di Napoli -Banca nazionale del lavoro, che avevano predisposto, tra l’altro, un primo bilanciò di fusione, prevedevano una perdita per il 1998 di circa 4.000 miliardi;

che tale perdita non poteva derivare né dal Banco di Napoli, che, notoriamente, è tornato in attivo e dovrebbe far registrare per il 1998 un utile superiore ai 250 miliardi, né da oneri di fusione, considerato che la fusione stessa era fissata per il mese di dicembre;

che le società di consulenza e i gruppi di lavoro incaricati di verificare la situazione comparativa delle due banche in vista della fusione, anche al fine di definire la congruità dei concambi, hanno accertato che ci sono ben 1.200 clienti affidati classificati a sofferenza o in incaglio dal Banco di Napoli e classificati in bonis dalla Banca nazionale del lavoro;

che la Banca nazionale del lavoro ha gravi problemi di liquidità, in quanto ha un indebitamento netto verso banche di 22.726 miliardi a fronte di disponibilità in titoli non immobilizzati per soli 10.655 miliardi, e solo a prezzo di una grave forzatura fu autorizzata dalla Banca d’Italia all’acquisto di una quota del Banco di Napoli, allorquando aveva un «free capital» negativo per ben 6.283 miliardi che, ancora oggi, rimane negativo per oltre 4.400 miliardi, nonostante aggiustamenti e marchingegni di dubbia correttezza come l’incrociò di partecipazioni con la controllata Artigiancassa;

che, cosa ancora più grave, la Banca nazionale del lavoro ha una posizione debitoria verso il Banco di Napoli per 800 miliardi, dei quali 400 sono frutto di una transazione conclusa al momento di sottoscrivere l’aumento di capitale del Banco di Napoli stesso; in pratica, la Banca nazionale del lavoro ha sottoscritto Patimento di capitale della controllata Banco di Napoli indebitandosi con lo stesso Banco, con una operazione che cozza, prima ancora che contro i canoni del diritto societario e della tecnica bancaria, contro quelli della correttezza e della buona amministrazione e che trova precedenti solo in illustri esempi di finanza di rapina e di finanzieri di assalto che, in anni pregressi, hanno attraversato il firmamento finanziario italiano prima di conoscere le patrie galere;

che l’acquisto del Banco di Napoli con l’utilizzo dei depositi del Banco di Napoli è stato in realtà un regalo fatto, per motivi inconfessati e probabilmente inconfessabili, dal Ministro del tesoro alla Banca nazionale del lavoro e all’INA, un regalo a spese della collettività, visto che è stata venduta per soli 60 miliardi una banca che, oggi, a distanza di soli venti mesi vale -secondo la capitalizzazione di borsa, e nonostante i ribassi delle quotazioni intervenuti negli ultimi mesi -ben 4.400 miliardi, quotazione nella quale, evidentemente, non è compreso il premio di maggioranza che in altre circostanze il Ministro del tesoro mostra di avere così a cuore;

che il Ministro del tesoro, tra l’altro, ha mostrato anche ultimamente di voler nascondere la verità sulla privatizzazione del Banco di Napoli, in quanto non ha riferito correttamente alle Commissioni finanze e tesoro della Camera, dichiarando che quella di Banca nazionale del lavoro e INA era l’unica offerta presentata mentre, in realtà era stata presentata un’offerta molto più vantaggiosa da parte del Mediocredito centrale, che il Ministro del tesoro non accolse con motivazioni pretestuose e le cui proteste furono, poi, tacitate con il pacchetto di maggioranza del Banco di Sicilia;

che la Banca nazionale del lavoro ha un rapporto fra fondi copertura rischi e sofferenze del 22 per cento contro il 40 per cento del sistema bancario e il 51 per cento del Banco di Napoli e una copertura ancora più bassa per i crediti incagliati;

che verso i paesi in via di sviluppo vanta crediti per ben 3.706 miliardi che sono tutti a rischio, come ben sanno gli ispettori della Banca d’Italia che, nel caso del Banco di Napoli, hanno chiesto che fossero tutti trasferiti alla «bad bank» dopo che era stata operata una drastica svalutazione e come ben sanno gli stessi amministratori della Banca nazionale del lavoro che stanno ipotizzando pesanti accantonamenti (che, ovviamente, anticipano futuri passaggi a perdita, come è consuetudinario in questi casi) a fronte dei 1.152 miti ardi di crediti verso la Russia, si chiede di sapere:

se risulti che gli amministratori della Banca nazionale del lavoro -nella redazione della semestrale 1998 -abbiano ottemperato alle direttive degli ispettori della Banca d’Italia in materia di redazione di bilanci e, in particolare, in materia di scritturazioni a sofferenza e di accantonamenti a fondi rischi;

se l’ispezione della Banca d’Italia sia stata condotta con gli stessi criteri che hanno contrassegnato l’analoga ispezione dell’Istituto di vigilanza presso il Banco di Napoli;

se, in particolare, il Ministro del tesoro ritenga corretto che gli stessi chenti siano classificati a sofferenza o in incaglio dal Banco di Napoli e in bonis dalla Banca nazionale del lavoro;

se ritenga corretto che, mentre il Banco di Napoli è stato costretto dagli ispettori della Banca d’Italia a trasferire alla «bad bank» tutti i crediti verso i paesi in via di sviluppo in quanto considerati di dubbia esigibilità, gli stessi crediti in portafoglio alla Banca nazionale del lavoro sono stati lasciati fra i crediti vivi, senza nemmeno aumentare il grado di copertura fino a quando non è esplosa la crisi dell’economia russa;

se non ritenga che analoga grave perdita la Banca nazionale del lavoro possa subire per gli altri 2.550 miliardi di crediti verso paesi come l’Iraq o come gli Stati dell’America latina o del Far East che rimangono in portafoglio senza essere stati opportunamente svalutati;

se questa anomalia sia dovuta alla adozione di criteri diversi da parte degli ispettori della Banca d’Italia o a semplice distrazione da parte degli stessi;

se, in alternativa, il Ministero del tesoro, nella qualità di azionista di maggioranza della Banca nazionale del lavoro, abbia autorizzato gli amministratori della stessa a non tenere conto, nella redazione del bilanciò, dei principi indicati dalla Banca d’Italia;

se ritenga corretto che la Banca nazionale del lavoro abbia un ridicolo grado di copertura rischi del 22 per cento che è appena la metà rispetto al sistema bancario ed è al di sotto della metà di quello che la Banca d’Italia ha imposto al Banco di Napoli;

se non ritenga che, al di là delle favolette raccontate all’opinione pubblica, sia questo il vero motivo per il quale è saltata l’operazione di fusione delle due banche, considerato che la fusione avrebbe costretto la Banca nazionale del lavoro ad aumentare di varie decine di migliaia di miliardi il proprio portafoglio sofferenze e incagli e a svalutare i relativi crediti, provocando quella perdita di oltre 4. 000 miliardi prevista dagli stessi amministratori della Banca per l’esercizio 1998, allorquando la fusione sembrava imminente;

se non ritenga che, comunque, la Banca nazionale del lavoro debba operare una drastica revisione e una conseguente svalutazione del proprio portafoglio crediti, come ha fatto il Banco di Napoli, anche a prescindere dalla fusione;

se non ritenga che sia necessaria una drastica svalutazione anche di altre poste di bilanciò, come le partecipazioni e gli immobili;

se non consideri incomprensibile, ad esempio, che la Banca nazionale del lavoro valuti una quota del 2,83 per cento del capitale della Banca d’Italia 226,6 miliardi, mentre il Banco di Napoli valuta 251,5 miliardi una quota del 6,33 per cento della stessa Banca d’Italia;

se sia a conoscenza che analoga ipervalutazione (si tratta di più del doppio del valore reale) si riscontra per le altre partecipazioni (ad esempio il Credito sportivo) e per gli immobili, che, nel loro complesso, sono valutati ben 5. 000 miliardi, quando si confronti il bilanciò della Banca nazionale del lavoro con quello del Banco di Napoli o di altre primarie banche;

se non ritenga che le considerazioni sopra esposte (nonché Tesarne comparativo dei bilanci dell’esercizio 1997 e degli esercizi precedenti, oltreché della semestrale ’98 della Banca nazionale del lavoro) facciano ritenere che nella redazione di tali bilanci siano state commesse gravi irregolarità che integrano i reati di false comunicazioni sociali e di illegale ripartizione di utili (gli utili dell’anno ’96 e degli anni pregressi sono stati realizzati, contabilizzando a profitto interessi di mora su crediti inesigibili, poi riportati a perdita, come confessato nel bilanciò ’97 in cui, invece, sono stati portati a perdita) ai sensi dell’articolo 2621 del codice civile che prevede per amministratori e sindaci la reclusione da uno a 5 anni e la multa da 2 a 20 milioni, salvo che il fatto non costituisca reato più grave;

se non ritenga che la sopravvalutazione di crediti, partecipazioni e immobili, la sottovalutazione dei fattori di criticità del bilanciò della Banca nazionale del lavoro e la omertosa secretazione di notizie derivanti dalla ispezione della Banca d’Italia dalla quale i risparmiatori potrebbero trarre elementi per valutare la reale situazione della stessa, in presenza di una offerta pubblica di vendita, non integri (oltreché il reato di falso in bilanciò) anche gli estremi del reato di aggiotaggio previsto dall’articolo 501 del codice penale che considera «aggiotaggio», oltreché la diffusione di notizie false o tendenziose, anche l’adozione di «altri artifici atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato»;

se sia a conoscenza che una eventuale condanna per tale reato comporta l’interdizione dai pubblici uffici;

se non ritenga che, al di là del reato penale, privatizzando la Banca nazionale del lavoro senza averla prima ristrutturata e senza avere adottato una politica di bilanciò rigorosa, stia per essere commessa una truffa ai danni dei risparmiatori, come dichiarato recentemente anche da un autorevole esponente della maggioranza e da autorevoli giornalisti de «Il Sole -24 Ore», con l’aggravante che la truffa sarebbe commessa dal Ministero del tesoro, nella duplice veste di venditore dell’azienda e di massimo garante della trasparenza e della correttezza delle operazioni di mercato.

(4-12475)


vai su


Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 952 – 13 Novembre 2000

NOVI.Al Presidente del Consiglio dei ministri

e al Ministro del tesoro, del bilanciò e della programmazione economica.

Premesso:

che il dilagare dell’usura in Campania è stato provocato dallo sradicamento del Banco di Napoli;

che il San Paolo IMI ha acquistato la quota di maggioranza del Banco di Napoli;

che, nei prossimi giorni, lancerà un’offerta pubblica d’acquisto su tutto il restante capitale sociale;

che, se l’offerta pubblica d’acquisto avrà successo, il San Paolo diventerà proprietario del 100 per cento del Banco di Napoli;

che, in conseguenza, il Banco di Napoli sarà cancellato dalla

Borsa;

che, in tal modo, anche se rimarrà per qualche tempo una esteriore autonomia societaria, finirà la storia pluricentenaria dell’istituto di credito più antico d’Italia e più importante del Mezzogiorno;

che tale conclusione è il risultato non solo di errori, deviazioni, abusi -che, certamente, ci sono stati nel Banco di Napoli, come in alte aziende di credito italiane -ma, soprattutto, di pervicaci manovre dei grandi centri finanziari che dominano l’economia italiana;

che a tali manovre avrebbe dovuto opporsi il Ministero del tesoro nella duplice veste di garante della trasparenza dei mercati finanziari e di proprietario del Banco stesso;

che, invece, il Ministero in questione ha alimentato il complotto con la diffusione di notizie allarmistiche, a partire dalla famosa dichiarazione del ministro Dini, all’epoca, appunto, a capo del Dicastero di via XX Settembre, che, in margine a una riunione del Fondo monetario internazionale, denunciò, addirittura da New Vork, la debolezza del Banco di Napoli, quando ancora i risultati di gestione non giustificavano tale valutazione;

che quella dichiarazione indicò una linea e un obiettivo (eliminare il Banco quale autonoma istituzione finanziaria) a cui, in seguito, si sono ottenuti sia il Ministero del tesoro che la Banca d’Italia;

che, in ottemperanza a tale linea, l’ispezione della Banca d’Italia sul Banco di Napoli è stata condotta con criteri vessatori che non hanno trovato riscontro in nessuna altra ispezione dell’istituto di vigilanza;

che, cosa ancora più grave, a tale linea si sono ispirati gli amministratori nominati direttamente o indirettamente dal Ministero del tesoro che, con una politica di bilanciò all’insegna del «tanto peggio, tanto meglio», hanno concentrato le revisioni dei fidi, le scritturazioni a sofferenza e i passaggi a perdita proprio negli anni in cui la crisi economica era più pesante, anni in cui tutte le aziende, anche le più solide, avevano problemi congiunturali di equilibrio finanziario derivanti da riduzione delle commesse e da ritardi nei pagamenti da parte dei committenti;

che una politica ben diversa hanno seguito altre banche in difficoltà -tra le quali la Banca di Roma e la Banca nazionale del lavoro -che hanno valutato con maggiore oculatezza le situazioni delle aziende dchitrici, dando il tempo alle stesse di superare il periodo critico e di ripristinare una normale gestione di bilanciò;

che, in tal modo, applicando peraltro i corretti e tradizionali principi di gestione del credito, non solo hanno contenuto le perdite e hanno evitato ingiustificati passaggi a sofferenza, ma hanno, anche, salvaguardato la vita di aziende in temporanea difficoltà, con effetti positivi anche sul proprio bilanciò e con conseguenze positive, anche, per l’economia servita;

che tale differente politica di gestione è stata possibile, nel caso della Banca nazionale del lavoro, proprio perché gli ispettori della Banca d’Italia hanno utilizzato metodi diversi, consentendo, addirittura, a questa banca di avere un grado di copertura rischi del 22 per cento, mentre al Banco di Napoli veniva imposto un grado di copertura rischi di oltre il 50 per cento, e consentendo alla stessa Banca nazionale del lavoro di considerare «in bonis» ben 1.200 clienti classificati a sofferenza o in incaglio dal Banco di Napoli;

che tale differente politica di gestione è la causa prima del diverso destino delle due banche, l’una delle quali, la Banca nazionale del lavoro, ha superato la crisi, anche con l’aiuto del finanziamento occulto derivante dalla «donazione» e successiva vendita con ricca plusvalenza di una quota consistente del Banco di Napoli, l’altra, il Banco di Napoli, ha subito pesanti perdite di bilanciò che hanno portato all’azzeramento del capitale sociale, con danni gravi per lo Stato, per il Mezzogiorno e per la collettività;

che tale politica di gestione ha inciso pesantemente anche sull’immagine del Banco, concorrendo a determinare quella ridicola svendita per soli 60 miliardi per la quale finora nessuno è stato chiamato a rispondere né in sede contabile, né in sede giudiziaria;

che altra concausa della svendita è stata la scelta dei tempi della cessione, dicembre 1996, che sembrerebbero decisi con precisione scientifica per impedire che il mercato si rendesse conto che la banca aveva i conti in perfetto ordine, molto di più di altre primarie aziende di credito;

che questa sequela di «decisioni contrarie al pubblico interesse» ha provocato pesanti perdite allo Stato, agli azionisti, alla Campania e al Mezzogiorno, che vedono scomparire l’ultima grande istituzione finanziaria capace di fornire assistenza creditizia alle aziende del Sud;

che, invece, hanno tratto grandi, ingiustificati vantaggi da queste operazioni la Banca nazionale del lavoro e BINA, che sono stati i veri beneficiari dell’operazione di salvataggio del Banco, si chiede di sapere:

se sia vero che il Ministro del tesoro, a conclusione di questa vicenda, si appresta a conferire all’offerta pubblica d’acquisto del San Paolo-IMI il 17 per cento del capitale del Banco ancora in suo possesso;

se il Ministro del tesoro abbia fatto dei tentativi per individuare dei soggetti pubblici o privati residenti al Sud disponibili a rilevare tali quote;

se il Presidente del Consiglio e il Ministro del tesoro non ritengano che in tal modo vengano disattese ancora una volta le finalità della legge la quale mirava a tenere in vita il Banco di Napoli proprio per la sua missione economica di principale istituzione finanziaria del Mezzogiorno e non a dare sostegno alla Banca nazionale del lavoro, all’Istituto nazionale delle assicurazioni, alle Assicurazione generali e, magari, anche alla San Paolo-IMI;

se non ritengano che sia più coerente con la legge sopra menzionata cedere tali quote a soggetti, pubblici e privati, meridionali;

se non si pongano il problema degli effetti che la scomparsa del Banco di Napoli, come autonomo centro decisionale, produrrà verso il Mezzogiorno e verso l'intero paese;

se non considerino probabile che il Banco di Napoli, se conserverà la propria autonomia, migliorerà ulteriormente le proprie performance, come prevedono le riclassificazioni delle società di rating;

se non abbiano il dubbio che fra quale anno il prezzo di vendita fissato dall’offerta pubblica d’acquisto apparirà insoddisfacente, come oggi appare insoddisfacente -anzi, addirittura ridicolo -quello ottenuto quattro anni fa da BNL e INA;

se gli advisor, i consulenti e i dirigenti che si stanno occupando del problema per stabilire l’opportunità del conferimento all’offerta pubblica d’acquisto e la congruità del prezzo siano gli stessi che quattro anni fa si occuparono della cessione alla Banca nazionale del lavoro e all’INA;

se non ritengano che sia il caso - per sgomberare il campo da dubbi, timori e sospetti molto diffusi fra gli analisti finanziari - di avviare un’inchiesta sulla vendita di quattro anni fa, onde verificare se essa fu provocata da una tragica sequela di errori o da collusioni fra ambienti ministeriali e le società cui le quote del Banco furono cedute;

se non ritengano di sospendere ogni operazione di vendita della quota ancora in possesso del Tesoro fino a quando non sarà stata chiarita la vicenda nella sua interezza.

(4-21191)

Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 970 – 6 Dicembre 2000

BERTONI, PAGANO, SALVATO, CARCARINO

VILLONE, MICELE, MASULLO.

Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro del tesoro, del bilanciò e della programmazione economica.

Premesso:

che il Banco di Napoli ha sempre svolto un ruolo fondamentale di riferimento e di sostegno a favore dell’economia meridionale, sia pure con alterne vicende, nel corso della sua storia plurisecolare;

che lo stesso Banco è ormai al 100 per cento di proprietà del San Paolo IMI, essendosi praticamente conclusa la recente offerta pubblica di acquisto anche con il conferimento della quota del 17 per cento circa del Tesoro;

che, stando a quanto riferisce la stampa, già si ipotizza una fusione per incorporazione del Banco nel San Paolo IMI, per cui in tempi brevi può verificarsi il rischio della completa sparizione dell’azienda meridionale, anche se ne potrà restare per alcuni anni il marchio;

che, stando sempre alle notizie di stampa e ai comunicati delle organizzazioni sindacali, l’intento della nuova gestione appare quello di realizzare rapidi e ingenti profitti, abbandonando ogni finalità di reale supporto all’economia del Mezzogiorno, ove il Banco opera con la quasi totalità dei suoi 730 sportelli;

che il disimpegno si avverte già nel campo degli impieghi, in quanto molte imprese medio-piccole manifestano la propria insofferenza verso una politica creditizia divenuta nel frattempo molto restrittiva;

che invece per la raccolta del risparmio sembra che si stia perseguendo l’obiettivo di sviluppare forme di risparmio gestito, col pericolo di creare le premesse di un mero travaso di ricchezza dal Sud al Nord;

che sul lato dei costi si parla di almeno 1.500 esuberi soltanto nel Banco, con conseguenze prevedibilmente molto gravi sul contesto sociò economico meridionale, tenuto anche conto della possibile caduta delle commesse alle aziende fornitrici del Mezzogiorno;

che le nuove strategie aziendali sono state inaugurate col licenziamento in tronco dei più alti dirigenti storici del Banco che hanno superato tutte le prove e le verifiche degli ultimi travagliati anni, con la conseguenza che nessun meridionale resterà ai vertici della banca, dal momento che l’attuale presidente Pepe, anagraficamente napoletano, è però di formazione nordamericana e al Sud non ha mai operato, se non in questi ultimi anni;

che questi licenziamenti, deliberati con «procedura di urgenza», del tutto ingiustificata e fuori luogo, e resi noti agli interessati dalla stampa («Milano Finanza» del 9 novembre 2000), appaiono privi di fondamento e tali da colpire i meriti individuali e le singole professionalità, anche sotto il profilo di una marcata disparità di trattamento, si chiede di sapere:

se non si ritenga necessario intervenire per far si che il piano industriale elaborato dal San Paolo IMI assicuri una forma di integrazione, tale da garantire l’autonomia giuridica ed operativa del Banco e così da conservare anche a Napoli e al Sud i centri decisionali a supporto dello sviluppo del Mezzogiorno;

se non si ritenga opportuno intervenire con i mezzi di vigilanza e di controllo a disposizione sui pesanti tagli occupazionali progettati nel Banco di Napoli e in particolare sul licenziamento dei dirigenti del Banco, anche per evitare che a tali licenziamenti seguano altre operazioni di più vasta portata, dirette a sostituire in gran parte il personale meridionale con gravi effetti sull’economia e sui livelli occupazionali del Mezzogiorno e in particolare della città di Napoli.

(3-04173)

Atti Parlamentari - Camera dei Deputati - Seduta 822 – 7 Dicembre 2000

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente

 del Consiglio dei ministri, il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica,

per sapere - premesso che:

si è recentemente conclusa, anche grazie all’adesione del tesoro, l’offerta pubblica d'acquisto lanciata dal Sanpaolo-Imì sul Banco di Napoli Spa, azienda che nella sua storia plurisecolare ha sempre svolto un insostituibile ruolo dì riferimento e sostegno dell’economia meridionale;

di conseguenza il Banco di Napoli è ormai di fatto di proprietà esclusiva del Sanpaolo-Imi e, a breve, uscirà dalla Borsa;

stando anche a quanto riportano le notizie di stampa e le comunicazioni delle organizzazioni sindacali, i primi atti di gestione del nuovo management lasciano chiaramente trasparire l’unico intento di conseguire profitti, disattendendo ogni impegno reale a sostegno dell'economia del Mezzogiorno d’Italia, dove il Banco è presente con circa 700 sportelli;

per gli impieghi, in particolare, diverse piccole e medie imprese stanno già sperimentando sulla propria pelle le conseguenze di una politica molto restrittiva che, con la scusante della selettività rigorosa nell'erogazione del credito, tradisce l'indisponibilità più assoluta a comprendere la sostanza vera della complessa realtà imprenditoriale del Mezzogiorno e ad adattare, quindi, ad essa - pur sempre nel sostanziale rispetto della qualità dei crediti - regole di comportamento che per il loro asettico determinismo possono essere applicate soltanto in contesti economici più maturi;

per la raccolta, traspare, poi, il chiaro obiettivo di impossessarsi della cassaforte storica del Banco, costituita dai suoi 60 mila miliardi di depositi diretti incrollabili, alimentando il sospetto di voler accrescere la « raccolta indiretta gestita » sostanzialmente per drenarla a favore di iniziative economiche lontane ed estranee al Sud;

in vista dei ridimensionamento progressivo delle attività del Banco di Napoli sono stati già annunciati tagli occupazionali diretti veramente ingenti (sì parla per ora dì 1.500 esuberi), con inevitabili ripercussioni anche sul bacino dell'indotto locale, di fatto svuotato;

per tutto quanto sopra detto, sì profila ormai il rischio della completa sparizione dì un centro nevralgico quale è sempre stato il Banco di Napoli, mediante una operazione di fusione per incorporazione nel Sanpaolo-Imi, pur se probabilmente il marchio resisterà, soltanto perché sfruttato a vantaggio commerciale del gruppo;

l’incipit delle nuove strategie aziendali è stato solennizzato da repentini quanto ingiustificati licenziamenti dei più alti dirigenti storici del Banco, cosicché nessun meridionale conserverà posizioni di primo livello nel management del Banco dì Napoli;

tali licenziamenti sono stati addirittura deliberati con « procedura di urgenza », dopo che gli interessati ne avevano avuta notizia dalla stampa (Milano Finanza del 9 novembre 2000) e senza che sussistessero validi motivi a supporto, se non quelli del pregiudizio ideologico nei confronti di lavoratori meridionali;

nella particolare, sconcertante vicenda, il Gruppo Sanpaolo-Imi, pur dichiarando a parole di voler ricercare accordi dì composizione bonaria, nel rispetto dei meriti individuali e delle professionalità colpite, aveva già di fatto deciso la risoluzione del rapporto di lavoro ad nutum;

questo modo dì gestire lascia chiaramente intendere una strategia aziendale elusiva, se non addirittura lesiva, degli interessi del Mezzogiorno e delle sue prospettive di sviluppo economico

quali iniziative intendano assumere per verificare che l'operazione dì integrazione in atto del Banco di Napoli Spa nel Gruppo Sanpaolo-Imi tenga adeguata- mente conto del ruolo del Banco, con riferimento alla funzione fondamentale che esso è stato storicamente chiamato a svolgere a sostegno dell'economia meridionale, e che le modalità di attuazione della stessa non contraddicano le linee dì indirizzo economico finanziario fissate dal Governo nell'ambito delle politiche di sostegno e dì incentivazione dello sviluppo del Mezzogiorno;

se non ritengano necessario intervenire per garantire che il piano industriale predisposto dal Sanpaolo-Imi assicuri una effettiva integrazione del Banco dì Napoli sulla base di un modello autenticamente federalistico che ne preservi l'autonomia giuridica ed operativa ed eviti il rischio dì forti tagli occupazionali che accentuerebbero ulteriormente le tensioni nel Sud;

se non vogliano accertare con urgenza che gli immotivati licenziamenti dei predetti alti dirigenti storici del Banco non siano stati causati da gratuiti e inaccettabili pregiudizi e non costituiscano gravi indizi di una strategia di «colonizzazione» aziendale che, peraltro, arrecherebbe un rilevante ed ingiusto pregiudizio all’immagine professionale e culturale degli operatori meridionali.

(2-02773)

«Piccolo, Abbate, Acquarone, Albanese, Angelici, Boccia, Borrometì, Casilli, Casìnelli, Ciani, Gatto, Giacalone, Iacobellis, Domenico Izzo, Jannelli, Jervolino Russo, Miraglia Del Giudice, Molìnari, Palma, Pasetto, Pistone, Ricci, Romano Carratellì, Ruggerì, Servodìo, Siniscalchi, Siola, Soro, Tuccillo, Volpini, Cennamo, Giardiello, Mario Pepe, Petrella».

Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 976 – 13 Dicembre 2000

CIMMINO. Al Presidente del Consiglio dei ministri

e al Ministro del tesoro, del bilanciò e della programmazione economica.

Premesso:

che gravi perplessità sta suscitando la strategia di mercato posta in atto dalla nuova gestione del Banco di Napoli detenuta, com’è noto, dal Gruppo San Paolo-IMI, con riferimento alla raccolta degli impieghi e alla politica delle risorse umane;

che preoccupate reazioni sta suscitando la «decapitazione» di dirigenti storici del Banco di Napoli, alla cui qualità e al cui valore è legato gran parte del prestigio conquistato dall’istituto,

si chiede di sapere quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di:

accertare, anche tramite gli organi di vigilanza, la legittimità dei licenziamenti in tronco decisi dal consiglio di amministrazione, intervento senza criterio sulle risorse più rilevanti della dirigenza dell’istituto;

verificare come e quanto l’integrazione fra Banco di Napoli e San Paolo-IMI non si risolva nel ridimensionamento e nella rimozione dal

ruolo dell’azienda partenopea nella sua proiezione a sostegno dell’economia meridionale, e ciò in contrasto con gli indirizzi fissati dal Governo;

vigilare perché il cosiddetto piano industriale non si risolva in un pregiudizio per l’autonomia giuridica e operativa del Banco di Napoli e in una massiccia politica di licenziamenti ipotizzati in 1.500 unità.

(4-21577)

Atti Parlamentari – Senato della Repubblica – Seduta 1039 – 27 Febbraio 2000

NOVI. Al Ministro del tesoro, del bilancio

 e della programmazione economica.

Premesso che:

lo stato di generale malessere e di forte tensione al Sud è in crescita esponenziale, come attestano l’elevato tasso di disoccupazione, il diffondersi dell’usura, il dilagare della malavita organizzata e della microcriminalità e, più in generale, la preoccupante caduta del tono civile e culturale della società meridionale;

questo stato di cose è conseguenza diretta di tutte le spoliazioni perpetrate negli ultimi lustri ai danni dell’economia del Mezzogiorno (Italsider, Sme, Ansaldo, Alenia, Isveimer, Cirio, eccetera), spoliazioni che hanno comportato cadute verticali nell’occupazione diretta e in quella dell’indotto;

la recente vicenda del Banco di Napoli, favorita dalla colpevole accondiscendenza del Governo e degli organi di vigilanza, si aggiunge a completare questo quadro di rapine;

questa scabrosa vicenda (la vendita del 17% della quota pubblica è soltanto l’ultimo atto di un pluriennale comportamento irresponsabile e colpevole del Tesoro) non determina soltanto una forte caduta dell’occupazione diretta ed indotta, visto che si parla addirittura già di fusione per incorporazione del Banco di Napoli nel San Paolo IMI, ma produce anche danni incommensurabili di ben altra natura, perché di fatto priva le regioni meridionali della loro Banca di riferimento storica, senza che sussista su un così vasto territorio (ove il Banco di Napoli ha oltre 700 sportelli) alcuna struttura bancaria alternativa che possa dirsi meridionale, in quanto conservi nel Sud realmente i propri centri decisionali ed abbia una dimensione adeguata;

a prescindere dai progetti di incorporazione, il nuovo vertice del Banco, già tutto espressione del San Paolo IMI, lancia ormai segnali inequivocabili di voler unicamente perseguire rapidi e cospicui profitti, a fronte degli investimenti effettuati, disinteressandosi completamente del ruolo di sostegno e di volano dell’economia meridionale che il Banco stesso ha sempre svolto, anche se con alterne fortune;

questa impostazione, come emerge dalla stampa e dalle comunicazioni dei sindacati, si sta materializzando in una drastica restrizione del credito alle medie e piccole imprese, le uniche presenti al Sud, con la inappellabile giustificazione che esse nella maggior parte dei casi non meritano credito, e nello sviluppo della raccolta diretta e gestita che sarà sostanzialmente tutta drenata a vantaggio di economie lontane ed estranee al Mezzogiorno, in aggiunta alla massa storica di circa 60. 000 miliardi di lire dei depositi del Banco di cui il San Paolo IMI si è finalmente impossessato, massa che, in virtù del «moltiplicatore dei depositi», consente di mettere a disposizione delle aziende piemontesi e del Nord crediti di centinaia di migliaia di miliardi, sottratti tutti all’economia meridionale;

per fare queste due o tre cose non occorrono grandi professionalità, né un dato numero di persone, per cui è stato già programmato nel piano industriale del San Paolo IMI, in quanto ai costi, un taglio occupazionale di ben 1.500 unità, tutte concentrate nel Banco di Napoli e quindi nel Mezzogiorno;

a ben guardare, questi tagli occupazionali, programmati a senso unico nel solo Banco, sono finalizzati a scaricare sul Sud le violentissime tensioni che il Gruppo San Paolo IMI ancora cova nel suo seno, dopo le diverse e mal digerite fusioni che lo hanno interessato, tanto che «truppe cammellate» di addetti e ragionieri in esubero già invadono dal San Paolo IMI la nuova «colonia Banco Napoli», realizzando vere e proprie operazioni di «pulizia etnica»;

per dare adeguatamente il via a questa strategia sono stati deliberati con «procedura d’urgenza» licenziamenti ad nutum dei più alti dirigenti storici, così che ora ai primi livelli di responsabilità del Banco di Napoli non vi è più alcun meridionale, e a supporto di tali decisioni non si individuano altre motivazioni se non quelle del pregiudizio ideologico e della gratuita rappresaglia nei confronti della gente del Sud;

nello specifico, dimostrando di non avere alcun rispetto per la dignità delle persone, fortemente danneggiate, per la loro professionalità, per il loro quarantennale e specchiato lavoro e per la stessa società civile di cui sono espressione, il San Paolo IMI ha addirittura rese note tramite la stampa decisioni così gravi («Milano Finanza» del 9.11.2000, pag.23) riguardanti i più alti dirigenti storici del Banco di Napoli, e le ha eseguite con una «procedura di urgenza» che non trova alcuna giustificazione plausibile, se non quelle del pregiudizio antimeridionale e della gratuita rappresaglia,

si chiede di sapere:

quali interventi si intenda adottare per evitare che le strategie e la condotta del gruppo San Paolo IMI privino il Mezzogiorno di uno strumento cardine di supporto, quale è sempre stato il Banco di Napoli, soprattutto per scongiurare che lo stato di malessere e di tensione sociale, già al limite nelle regioni meridionali, possa sfuggire di mano;

quali programmi siano in atto per rimpiazzare, con strutture adeguate, nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia il ruolo che storicamente ha svolto il Banco di Napoli a supporto delle locali economie, qualora non si registri una pronta e reale revisione dell’attuale impostazione strategica del Gruppo San Paolo IMI, compresi, naturalmente, i progetti di fusione per incorporazione del Banco;

quali urgenti misure si intenda porre in atto in merito ai 1.500 esuberi previsti nel piano industriale del San Paolo IMI, affinché essi vengano almeno ripartiti tra Nord e Sud, e, anche allo scopo di scoraggiare ulteriori operazioni di «pulizia etnica», quali urgenti misure si intenda spiegare affinché siano colpiti in maniera dimostrativa i responsabili degli ingiustificati licenziamenti dei più alti dirigenti storici del Banco di Napoli, licenziamenti causati soltanto da inammissibili pregiudizi antimeridionali e da gratuiti intenti di rappresaglia nei confronti di esemplari lavoratori e della stessa società civile di cui essi sono espressione, in una bieca e preconcetta logica di colonizzazione.

(4-22366)

Atti Parlamentari - Camera dei Deputati - Seduta 871 – 6 Marzo 2001

GIULIANO, ABBATE, ALEFFI, AMATO, ANEDDA, APREA

 BECCHETTI, VINCENZO BIANCHI, BIONDI, COLUCCI, COSENTINO, D'IPPOLITO, DE LUCA, TERESIO DELFINO, DEODATO, FLORESTA, GARRA, GAZZILLI, GIANNATTASIO, LAVAGNINI, LEONE, LIOTTA, MANZONI, MARENGO, MAROTTA, MARTUSCIELLO, MASSIDDA, NAPOLI, PALUMBO, PAROLI, PECORELLA, PRESTIGIACOMO, RALLO, ALESSANDRO RUBINO, RUSSO, SANZA, SESTINI, STRADELLA, TABORELLI, TARDITI e VITALI.

Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del tesoro, del bilanciò e della programmazione economica.

Per sapere -premesso che:

è in progressiva crescita lo stato dì malessere generale e dì tensione nel Mezzogiorno d'Italia, così come dimostrano l’abnorme tasso di disoccupazione, il dilagare della piaga dell'usura, la diffusione della malavita organizzata e della micro-criminalità;

questo stato dì cose, insieme con il generale scivolamento del tono civile e culturale dell’intera società meridionale, è da collegare direttamente alla svalutazione, se non alla distruzione progressiva, di importanti centri decisionali e produttivi del Sud, con la conseguente caduta verticale dell'occupazione diretta ed indotta (sì pensi all'Italsider, all'Ansaldo, alla Sme, alla Cirio, all'Alenia, allTsveìmer, eccetera);

la vicenda emblematica del Banco di Napoli aggrava enormemente questa situazione, non soltanto perché determina una ulteriore, forte caduta dell'occupazione diretta ed indotta (stimabile in almeno 3. 000 unità nei prossimi due-tre anni, indipendentemente da una probabile fusione per incorporazione del Banco dì Napoli Spa nel San Paolo IMI), ma perché produce anche altri incalcolabili danni, in quanto l’intero Mezzogiorno continentale viene dì fatto privato della sua banca di riferimento che operava a 360 gradi con ì suoi 700 sportelli, senza che nel vasto territorio del Sud resti una struttura bancaria alternativa che possa dirsi meridionale per dimensione, per centri decisionali autoctoni, per effettivo e completo radicamento;

la vendita della residua quota pubblica di capitale sociale di 17 miliardi circa da parte del Tesoro è soltanto l’ultimo atto di una linea pluriennale dì comportamento colpevole ed irresponsabile del Governo e delle Autorità dì Vigilanza ai danni dell'intero Mezzogiorno, specie se si considera che in Francia ed in Germania lo Stato continua a detenere importanti quote di proprietà di banche, quando ciò è reputato opportuno per il sostegno delle linee dì politica economica programmate;

il nuovo vertice del Banco, già tutto espressione del San Paolo IMI, lancia ormai segni eloquenti di voler unicamente perseguire rapidi e cospicui profitti, a fronte degli investimenti effettuati, disinteressandosi completamente del ruolo dì sostegno e di volano dell'economia meridionale che il Banco ha sempre svolto;

questo indirizzo, a quanto sì evince dalla stampa e dalle comunicazioni delle Organizzazioni Sindacali, sì sta concretizzando, da un lato, in una restrizione fortissima del credito alle medie e pìccole imprese, le uniche presenti al Sud (con la comoda giustificazione che esse nella maggior parte dei casi non meritano credito sulla base di criteri dì selezione formali ed asettici e comunque per nulla calati nella complessa e delicata realtà imprenditoriale del Sud), e, dall’altro, nello sviluppo della raccolta (diretta e gestita) che sarà sostanzialmente tutta drenata a vantaggio dì realtà economiche lontane ed estranee al Sud, in aggiunta alla massa di circa 60. 000 miliardi di lire dei depositi storici del Banco di cui il San Paolo IMI si è appropriato e che, in virtù del «moltiplicatore dei depositi», consente di mettere a disposizione delle aziende piemontesi e del Nord crediti di centinaia di migliaia di miliardi, tutti sottratti all'economia meridionale;

se tutta la gestione del «nuovo» Banco di Napoli dì riduce ormai a non assumere rischi dì credito al Sud e a drenare tutta la raccolta a vantaggio del Gruppo San Paolo IMI e del Nord, non occorrono un certo numero di occupati e tantomeno grandi professionalità, per cui sono stati già programmati nel piano industriale del San Paolo IMI tagli occupazionali per circa 1.500 unità, tutti a carico del Banco e del Sud, con forte incidenza sui maggiori livelli di responsabilità;

questi tagli occupazionali, programmati a senso unico nel solo Banco, sono in realtà finalizzati a scaricare sul Sud le violentissime tensioni che ancora si agitano all’interno del Gruppo San Paolo IMI, dopo le diverse e mal digerite fusioni che lo hanno interessato, tanto che uno stuolo di addetti generici e di ragionieri in esubero del San Paolo IMI già invade quel che resta del Banco Napoli per colonizzarlo completamente, mediante diffuse e pesanti operazioni definibili, per così dire, dì «pulizia etnica»;

allo scopo di dare risalto emblematico all'avvio dì queste strategie, sono stati deliberati con «procedura d’urgenza» licenziamenti ad nutum dei più alti dirigenti storici, così che ora ai primi livelli di responsabilità del Banco dì Napoli non vi è più alcun meridionale e senza che a sostegno di tali decisioni sìa dato individuare altre motivazioni se non la deliberata volontà dì cancellare ciò che restava della migliore tradizione dell’istituto;

più in particolare, dimostrando di non avere alcun rispetto per la dignità delle persone, per la loro professionalità, per il loro quarantennale qualificato e specchiato lavoro e per la stessa società civile di cui sono espressione, il San Paolo IMI ha addirittura rese note tramite la stampa decisioni così gravi (Milano Finanza del 9 novembre 2000) riguardanti i più alti dirigenti storici del Banco dì Na-polì e le ha eseguite con una «procedura dì urgenza», che non trova alcuna giustificazione plausibile, se non quelle del pregiudizio antimeridionale e della gratuita rappresaglia

se e quali misure intendano adottare per evitare che le strategie e la condotta del Gruppo San Paolo IMI privino il Mezzogiorno del fulcro storico dì supporto del Banco dì Napoli, soprattutto per scongiurare che lo stato di malessere e di tensione sociale, già al limite nelle regioni meridionali, possa sfuggire di mano;

se e quali progetti intendano perseguire per sostituire, con strutture adeguate, nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia, il ruolo che storicamente ha svolto il Banco dì Napoli a sostegno delle locali economie, qualora il Gruppo San Paolo IMI insista nel mantenere fermi ì suoi indirizzi;

se e quali iniziative vogliano intraprendere quanto ai 1500 esuberi previsti nel piano industriale del San Paolo IMI, affinché essi vengano almeno ripartiti tra Nord e Sud;

allo scopo di scoraggiare ulteriori operazioni dì «pulizia etnica», quali urgenti provvedimenti vogliano adottare affinché siano perseguiti i responsabili degli ingiustificati licenziamenti dei più alti dirigenti storici del Banco dì Napoli, licenziamenti ispirati da una bieca logica dì colonizzazione che non può trovare in alcun modo giustificazione e tutela.

(4-34427)



“Ce lo chiede l'Europa” - così affossarono il Banco di Napoli di Zenone di Elea
















vai su









Ai sensi della legge n.62 del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e del Webm@ster.