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I 450 deputati del presente e i deputati dell'avvenire


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PIETRO BASTOGI

Vi sono taluni i quali con una carità tutta propria, che saremmo tentati di chiamar pelosa, vorrebbero che sulla faccenda delle strade ferrate meridionali nessuno avesse più a fiatare eternamente.

Noi non siamo di quest'avviso; prima perché una promessa ci fa obbligo di parlar anche del signor Pietro Bastogi, il quale, al tempo che fu cominciata quest'opera, era ancora deputato; in secondo luogo perché, crediamo che non sia sano il dimenticar troppo presto le brutte azioni e i loro autori, ed essere carità di patria il rammentarne di quando in quando il castigo inflitto, come esempio solenne di pubblica moralità. E tanto più che vi hanno uomini interessati a far comparire — non difficile intento! — bianco il nero e nero il bianco, a minorare ogni colpa, a volgerle fors'anche in senso contrario.

Chi avrebbe detto che un barone Ricasoli osasse rilasciare al Susani un benservito, che nessuna cima di galantuomo avrebbe sperato migliore? Al Susani che non ha pur saputo risponder sillaba alle sanguinose imputazioni mossegli in pieno Parlamento e fuori, e che preferì farsi condannare dalla nazione in contumacia, purché fosse salvo il fatal milioncino....

Che volete di più se il Bastogi stesso ci ha creduti tanto gonzi da pubblicare quel miracolo di impudenza, che è la lettera, in data Torino 5 agosto corrente, a suoi elettori di Vicopisano, la quale ha fatto piangere di tenerezza tutti quanti i borsaiuoli d'Italia? E se i suoi elettori con una risposta ancor più impudente hanno creduto di fargli sapere che non volevano rieleggerlo, non perché egli fosse stato colpito dal voto della Commissione di inchiesta e da quello più tremendo: dall'opinione pubblica europea ma perché egli non aveva saputo mantenere le sue piccole promesse da campanile, perché non aveva saputo proteggere i meschini interessi di quel collegio....

A guarire questi traviamenti della morale pubblica non sarebbero troppo i bottoni di fuoco. Perciò, sebbene per abitudine e per proposito ci piaccia essere miti, dovremo assegnare al signor Pietro Bastogi la misura che gli spetta, in modo di raccomandarlo, crediamo noi, per tutte le legislature dell'avvenire.

E perché le città italiane non se lo disputino nei secoli futuri, come quello che meritò di essere il primo conte del regno italiano, ci affrettiamo a registrare che Pietro Bastogi è nativo di Livorno. Siccome nessuno si sarebbe figurato che sarebbe stato un dì cavaliere, deputato, ministro delle finanze del Regno d'Italia, impresario delle strade ferrate meridionali e protagonista della commedia dolorosa, vi fu anche nessuno che tenesse conto della sua prima giovinezza, se non fosse stato egli medesimo a farci sapere nella lettera, 7 marzo 1860, indirizzata al presidente del Comitato elettorale di Cascina che lo aveva prescelto per candidato, come fin da' suoi più verdi anni fosse in lui desiderio ardente di vedere l'Italia sottrarsi alla licenza straniera.

Tradusse infatti questo suo desiderio coll'accettare d'essere membro e cassiere della Giovine Italia; ma pare che fin d'allora tendesse ad affari un po' meglio importanti. Questa cassa essendogli per avventura sembrata un po' magra, abbandonolla d'improvviso e si unì al partito assoluto.

Nondimeno gli si metta in buon conto d'aver aiutato la stampa in Parigi dell'Assedio di Firenze, che è la migliore fra le opere letterarie e politiche del Guerrazzi. Si disse essere questa edizione costata al Bastogi ed agli amici dell'autore quattordici mila lire; noi lo vogliamo lodare di questa buona opera, anche a dispetto del Guerrazzi, che sembra l'abbia dimenticato, se potè al Circolo democratico della sua città proporre a' giorni scorsi di radiare il Bastogi dalla cittadinanza livornese, e se, con una intemperanza da arrabbiato, gli slanciò contro i più luridi vituperi che possano uscire da una bocca umana.

Ingrato!

Dopo quella buona azione, fino cioè, al 1849, si preparò alla vita politica ed alla gloria che in essa lo attendeva.... facendo il banchiere.

La prima operazione bancaria che ha attinenza colla causa italiana è ricordata dal maggiore Stefano Siccoli, ora deputato, nell'indirizzo agli elettori di Cascina, in cui si riassumevano i meriti del Bastogi.


«Appena tornato il Lorenese cogli Austriaci, prese un forte imprestito. Il suo denaro si commutò in vittovaglie e catene per tutti noi, ed in pane per i Croati, che scannavano i Livornesi e bastonavano le nostre donne: egli però intascò a sangue freddo i frutti di quell'imprestito, prezzo di maledizione, prezzo di sangue!

«In premio di tanto stoicismo fu fatto cavaliere (S. Giuseppe di Toscana). Questi sono i servigi che ci ha resi....»


Noi qui interrompiamo un momento la citazione per empire una lacuna.

Allorquando cessò in Toscana l'occupazione austriaca, il Bastogi fu tra coloro che firmavano una supplica a Leopoldo II 0 perché prolungasse quell'occupazione almeno per Livorno sua patria, e raccomandò tale supplica con lettera particolare al cavalier Speroni, cavallerizzo del Granduca:


«In sul principio dell'anno passato (1859) ricusò di firmare l'atto di adesione al bel libro del sig. Celestino Bianchi: Toscana ed Austria, e indusse altri a far lo stesso, e cosi fece per ogni altro scritto liberale che comparve prima e dopo il 27 aprile, quando non si sapeva ancora come sarebbero andate le cose!

«Nominato membro della Consulta, il giorno in cui si adunò per dichiarare la decadenza della dinastia di Lorena e riconoscere il Governo Provvisorio, il cav. Pietro Bastogi non intervenne. — Ecco la prova del suo coraggio civile! Ecco la fermezza de' suoi principii! Infine sollecitò dal nostro governo (cioè, il governo toscano ) l'ultimo imprestito, perché lo sapeva affare sicuro, essendo garantito dal Piemonte. Abusando della strettezza del Governo l'ottenne e ne fece un monopolio. Cosi per dato e fatto suo fu esclusa la libera concorrenza nell'operazione finanziaria di maggiore rilievo che si sia fatta in Toscana, dal che risultarono due danni gravissimi: diminuzione di capitali per lo Stato e esclusione dei cittadini dai benefizii di quell'imprestito, che con tanto sciupio di denaro ha profittato a lui solo. Di questo genere sono i sagrifizii del cav. Pietro Bastogi per la patria!»


Proclamata l'annessione della Toscana, quando si trattò d'inviare al Parlamento Italiano i deputati, il cav. Bastogi fiutò prima in Livorno qual vento tirasse per lui, e visto che la sua candidatura vi sarebbe rifiutata, picchiò alla porta di varii comitati elettorali di Toscana e di Romagna, e fu allora che il collegio di Cascina lo avrebbe preferito; ma il maggiore Siccoli, con quell'animo che deve avere ogni uomo di cuore, mandò fuori il suo indirizzo a quegli elettori, del quale è bene trascrivere un' altra parte, perché racchiude un'antiveggenza di ciò che sarebbe avvenuto e perché si conosca come non mancassero a suo tempo coloro che prevedevano le conseguenze della sua nomina:


«Ora io vi domando: che cosa va a fare il cav. Pietro Bastogi al Parlamento italiano? Quale fra le tante bandiere che ha seguito, sarà quella che abbraccerà attualmente? La più stabile senza dubbio: ma se tornasse il pericolo

«Il cav. Bastogi è prima di tutto banchiere e quel che è peggio nient'altro che banchiere....

«Il suo tempo equivale a una bella cifra di napoleoni d'oro

«Come mai, signori elettori, potete permettere che il cav. Pietro Bastogi sagrifichi forse un anno di tempo, o piuttosto, come mai potete credere che voglia sagrificarlo senza un largo compenso, senza la certezza di un guadagno assai più vistoso di quello che gli produrrebbe un anno di catena al banco?

«Egli dunque va al Parlamento per speculazione, colla speranza di far degli affari

«Il Parlamento non è, per Dio, una Borsa, né una Banca di sconto! Fuori i mercanti dal tempio! Non vogliamo speculatori, ma gente che abbiano sempre avuto uno stesso colore, un colore deciso, e che al bisogno sappiano morire intrepidamente sulle loro sedie curali, come i Senatori Romani, nostri padri, in Campidoglio. — Ricordatevi signori elettori che voi siete responsabili in faccia a Dio ed alla patria pei, vostri mandatarii.»


Il Siccoli era stato la Cassandra, con queste sue parole, che prevedevano la catastrofe del luglio scorso. Il cav. Pietro Bastogi agli elettori di Cascina aveva messo innanzi come a programma politico questa sua dichiarazione:


«Il costringere insieme le sparse provincie italiche in un regno liberamente costituito, potendo solo assicurare la indipendenza della patria, io non mi arresterò dinanzi ai provvedimenti reputati utili anche da una prudente audacia (!) né a sacrifizii d'ogni maniera necessarii per conseguirla.»


E pose tosto in pratica questa promessa quando, presentataglisi una cambiale di firma d'augusto personaggio, il cui prodotto doveva valere a sostenere la rivoluzione delle Romagne, questo banchiere patriota ricusò di scontarla.

Chiarendosi tosto ministeriale, e lo fu sempre, votava la cessione di Nizza e Savoia; come deputato parlò raramente, secondando così opportunamente la indifferenza e la poca scienza della Camera in materie economiche.

Il conte di Cavour, senza averlo molto studiato, lo chiamava troppo presto al ministero delle Finanze. Allora le finanze italiane erano ancora in buon stato e godevano di molto credito. Il Bastogi nel 29 aprile 1861 presentava una legge per autorizzazione a fare un prestito di 500 milioni e fu per lui contratto a condizioni più onerose perfino di quello dei 700 milioni, stipulato l'anno scorso da Minghetti.

Gli venne ascritto a gran merito l'unificazione del debito italiano, ed ei medesimo ne fa un capo grosso che mai il maggiore, come se con quella legge fosse stato aperto e sgombro da ogni inciampo il vasto mercato italiano, dentro il quale potessero muoversi il capitale ed il credito e diffondersi liberamente; ma oltre che egli non l'ebbe attuata che semplicemente di nome e non totalmente di fatto, era inevitabile il compierla, per continuare il lavoro già iniziato da Cavour; era insomma un' idea talmente semplice e logica, che poteva entrare anche nella mente del suo barbiere.

Nondimeno Bastogi per tanta sua scoperta venne fatto conte.

Non sappiamo se i lettori divideranno l'opinione di parte della Camera circa l'eloquenza parlamentare e la coltura letteraria del nostro conte; certo è che la destra si lasciò andare più d'una volta ad entusiasmi per lui.

Ecco qualche saggio del suo stile, meritevole di venir riportato nelle crestomazie italiane.

In una sua lettera, 7 marzo 1860, di ringraziamento al Comitato elettorale di Cascina, troviamo questo gioiello:


«Senza queste (le libertà interne) non sarà dato a noi italiani esplicare grado a grado tutta la nostra virtù intellettiva ed usare tutte le forze produttrici, che Iddio compartiva proprio (!) alla terra dei nostri padri. — Assicurando con la indipendenza d'Italia le sue libertà interne, raccogliendo quella forza che sta a perpetua difesa dell'una e delle altre. Questa forza è riposta nel costume (!!) che forma la corona della vita (!!!) di un popolo libero.»


Nella seduta del 21 gennaio 1862, essendo il Bastogi ancora ministro delle Finanze, versando la discussione intorno al progetto di tassa del 10 per 0|0 sui prezzi, trasporti, viaggiatori e merci a grande velocità, premette alle sue parole questa scusa:


«una lieve malattia non mi ha permesso di fare gli studi per fare un discorso all'improvviso (ilarità).


Difendendosi contro Popoli che lo accusa di non presentar mai i bilanci, dice:


«dobbiamo incoraggiare il popolo italiano all'adempimento de' più solenni doveri e se non abbiamo vinto sui campi di Solferino, sappiamo e vogliamo pur anche consolidare le nostre vittorie sottoponendoci tutti a quei sagrifici che valgano a conservare la nostra dignità e il nostro onore.»


E tutte queste frasi, pervenirci poi a dire: pagate! E altrove:


«noi non abbiamo domandato all'estero dei denari per dire: non li restituiremo; ma li abbiamo domandati perché avevamo la coscienza di poter soddisfare ai nostri impegni.»


Eppure gli è a simili baggianate che il centro e la destra applaudivano fragorosamente. E continua:


«Duolmi, che da qualche tempo un malvezzo siasi insinuato nella pubblica (!) stampa, la quale dirò schietto, non si occupa d'altro la mattina, che d'indovinare le piaghe che sogna la notte essere nelle nostre finanze. Dico indovinare, perché essi (chi?) ve lo assicuro, non le conoscono.


Oh, così fossero stati sogni!

Il Bastogi ritornò alla vita privata quando Dio volle, e come che non gli fosse bastata la bazza del ministero — tanto più, se è vero, che per consuetudine spetta la provvigione al ministro che conchiude un prestito, e allora quella sui 500 milioni deve essere stata abbastanza larga — il poverino.


«acconsenti (sono sue parole), a sobbarcarsi (altro dei violentati!) ad un'impresa, di quelle da cui per temperamento e per abito (!) si era sempre tenuto lontano.


I lettori capiranno a volo, che siamo giunti alla eroica impresa delle strade ferrate meridionali.

Il Talabot aveva rinunziato alla convenzione sancita colla legge 21 luglio 1861, che riguarda appunto le ferrovie meridionali e la casa Rotschild, in unione allo stesso Talabot, ne sottoscriveva un'altra il 15 giugno 1862, e all'indomani veniva presentata al Parlamento, nella quasi certezza di riportarne approvazione, non solo, ma encomio.

Ma rimessone l'esame ad una Commissione composta dei deputati Nisco, Bonghi, Trezzi, DeLuca, Leardi, Susani, Tonelli, Guerrieri e Grattoni, questa pel contrario venne fuori inopinatamente, appuntando gravezze di condizioni finanziarie imposte allo Stato, e proponendo modificazioni che non potendo accettarsi dai signori Rotschild e Talabot, agevolavano così la via ad accogliersi la proposta abboracciata nel frattempo dal Bastogi e dal Susani con qualche modificazione che autorizzasse la preferenza in massima. E questa non si lasciò gran fatto attendere.

Noi lasciando in disparte le altre gravi accuse mosse alla nuova società del Bastogi, la quale, fin dal suo nascere aveva dato già qualche odore di sua poca legalità, come si è notato nella biografia del Susani e massime da parte del deputato Mosca, che aveva dimostrato d'aver buon naso, verremo tosto a dire, come fosse già da molti mesi, che s'udivano voci esservi stati corruttori e corrotti per ottenere quella concessione, ed essersi usate arti disoneste per raccogliere il capitale. E la stampa pubblica, che dà tanto fastidio al Bastogi, ecco a strombazzare queste sinistre voci, e il Mordini, più importuno ancora, a chiedere in Parlamento un' inchiesta:


«per mettere in luce se, e sino a qual punto, fosse stata rispettata nei fatti relativi alla società delle ferrovie meridionali, la dignità della rappresentanza nazionale.»


E la Camera ad ordinarla.

La Commissione d'inchiesta, in quanto riguardava il Bastogi e il Susani, in una vendita d'azioni fatta dal Credito mobiliare alla ditta WeillSchott di Milano, colla mediazione del deputato ingegnere Susani, vide:


«la prova di una ingerenza diretta e attiva dal signor Susani nell'impresa Bastogi, e in una sfera d'interessi ben diversa da una cooperazione officiosa con consigli meramente tecnici: ingerenza incompatibile colla posizione sua personale nella Commissione parlamentare, e alla vigilia della discussione Bastogi;»


e fece queste severe conclusioni:


«Che il Bastogi, il quale non poteva ignorare che il deputato Susani faceva parte della Commissione parlamentare, doveva rispettare nel Susani e nell'interesse della stessa istituzione nostra, quella posizione e non doveva accettarlo o sceglierlo come cooperatore all'attuazione del suo progetto;

«Che se le lire 1,100,000 furono effettivamente rimunerazione dei servigi e della cooperazione del Susani, il deputato Bastogi nelle circostanze di fatto preindicate, avrebbe tanto più mancato al rispetto dovuto alla qualità che rivestiva il Susani, in quanto che, mentre riguardo al Grattoni l'offerta non accettata di un compenso, fu fatta dopo che la legge sulla concessione al Bastogi era già stata votata, riguardo al Susani si verificherebbe invece, che la sua cooperazione sarebbe stata interessata precedentemente alla votazione e citazione.»


Le quali conclusioni vennero dalla Camera accettate, cioè, per il sì 153 deputati, 10 soli respingendole e 45, fra i quali indistintamente i ministri, astenendosi dal dare il voto.

Fu detto che la concessione data al Bastogi delle ferrovie meridionali costassegli, sia prima che dopo, ben tre milioni di beveraggi; sarebbero stati questi dunque i sagrifici, innanzi ai quali aveva così solennemente promesso il Bastogi di non arrestarsi per assicurare proprio l'indipendenza della patria?

Così condannato il Bastogi dal Parlamento italiano, dal quale meglio sarebbe stato se si fosse tenuto sempre lontano, invano mendicò giustificazioni colà, invano le pubblicò di poi.

Vide essersi reso impossibile quind'innanzi al paese e rassegnò il proprio mandato di deputato.

Vicopisano che glielo aveva conferito, colla elezione di altro suo rappresentante, confermò il giudizio del Parlamento, sebbene le ragioni che quel collegio espose, quasi a giustificar il rifiuto a Bastogi, sieno ridicole e indegne.

Se il Palazzo Carignano avesse la galleria de' ritratti de' deputati italiani, come il palazzo Ducale di Venezia quelli de' suoi dogi, dovrebbe stendere anche sull'effigie del conte Pietro Bastogi, grand'uffiziale dell'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, un velo nero, come la serenissima fece su quello di Marin Faliero, dove scrisse a perpetuarne la memoria queste tremende parole:


Marini Faletri decapitati pro criminibus.


I falli di Susani e di Bastogi si pretende che non. siano crimini, ma in paese che risorge a libertà e che ha sommo bisogno di pubblica estimazione, essi sono peggiori del più sanguinoso delitto.

Milano, 30 agosto.


Il primo scandalo toscopadano: le ferrovie meridionali di Zenone di Elea


















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