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LA CIVILTÀ CATTOLICA

ANNO DECIMOQUINTO
16 Giugno 1864 (pag. 500-504)


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La voglia di arraffare i beni dei religiosi possidenti entra più che un poco nella smania del volerli aboliti; ma pei mendicanti, è puro odio della religione. Del resto quanto sarà cospicuo il bottino per l'abolizione dei possidenti? «La Commissione, dice l'Unità Cattolica del 23 Luglio, ha già tirato il conto dei guadagni che si faranno col danaro tolto ai frati e alle monache. I religiosi professi, non ancora soppressi in Italia, sono 4850. Le religiose professe, non ancora soppresse, sono 10,239. Costoro avranno la pensione di L. 500 ciascuno, cioè in tutto L. 7,554,500. — I laici professi sono 1728. Le converse professe sono 3945; ed avranno la pensione di L. 250 ciascuno, cioè 1,418,250; insieme si spenderà per pensioni L. 8,962,750. La rendita delle Corporazioni religiose possidenti non ancora soppresse, è di L. 16,216,532. I pesi e le passività si calcolano a L. 6,000,000. Dunque lo Statoci guadagnerà L. 1,253,782; poco più di quello che s'ebbe il deputato Susani! E vale la pena di commettere tale e tanto vandalismo per sì picciola somma? Ah! questa legge non ha altro scopo che la guerra alla Chiesa, l'odio contro il Cattolicismo, e il desiderio di togliere di mezzo quel frate, che ricorda la povertà volontaria e la beneficenza cristiana a chi divora il popolo e si mangia l'Italia. »

8. Al vedere tanto cinismo di ladroneccio a danno della Chiesa, le cui proprietà furono guarentite come inviolabili dallo Statuto fondamentale del Regno, si capisce di leggieri che codesta genia settaria non ha gran senso di delicatezza circa il mio ed il tuo, né dee aver nozioni chiare del furto. Perciò non sono senza qualche scusa quegli onorevoli che, sotto forma di amichevole componimento, trovarono modo di far passare dall'erario dello Stato nella propria borsa alquante centinaia di migliaia di franchi, rendendosi reciprocamente servigio nel manipolare leggi e contratti per concessioni di strade ferrate. Chi non intende guari quel che sia furto, potrà forse inorridire del peculato?

Accennammo a suo tempo come il Mordini, uno degli onorevoli del partito d'azione, avesse chiesto, nella tornata del 21 Maggio, che la Camera dei Deputati scegliesse una Commissione incaricata di disaminare se fossero fondate le voci pubbliche, per le quali certi Deputati eran messi in aspetto di furfanti e barattieri; i quali a prezzo d'oro avessero venduta l'opera loro, in quanto Deputati, affinché si rifiutasse il contratto disegnato col Rotschild per le ferrovie meridionali, e se ne stringesse uno nuovo col Bastogi. Il partito d'azione, per vendicarsi d'Aspromonte, volea disonorare la fazione de'  moderati, mostrandoli venali, e così affievolire il Ministero. E vi riuscì; imperocché sapea benissimo i turpi maneggi che per quel negozio si eran fatti. Volle l'inquisizione, ottenne che parecchi de'  suoi ne facessero parte, e le indagini riuscirono a rendere sì manifesto il mercato, che tornò vano ogni sforzo per coprirne la bruttura. L'inquisizione procedette lenta, quasi avesse paura di scoprir troppo; tantoché già credeasi che la cosa si soffocherebbe per mutua carità o per componimento tra gli avversarii. Ma alla perfine si venne alle strette. Il presidente della Commissione, deputato Lanza, nella tornata delli Luglio, chiese che si tenesse una seduta segreta per ricevere e discutere la relazione già pronta e stesa dal Piroli. Questo era quanto dire: facciamo il bucato in famiglia, ché non torna a conto sciorinare agli occhi del pubblico certe sporcizie! Il Bastogi, che era presente, capì la sinistra impressione che ciò faceva, ed affettando coraggio e sicurezza «sotto l'usbergo del sentirsi puro» chiese per contro che la seduta fosse pubblica; e così fu fatto.

La relazione del Piroli fu pertanto letta nella tornata del 15, ed il Bastogi ne rimase schiacciato insieme coi suoi complici. La faccenda si riduce a questo: che il Susani, essendo membro della Commissione parlamentare, incaricata di esaminare il negozio delle ferrovie meridionali, se l'intese col Bastogi per ottenergli la concessione di quelle ferrovie; ed in compenso n'ebbe un milione e cento mila lire, sotto colore che questa somma fosse una parte degli utili per essersi costituito garante verso il Bastogi, e come a dire suo banchiere, assumendo i pericoli dell'impresa. Ma come fu banchiere immaginario, e corse pericoli immaginarli, così è evidente che l’utile di compenso fu un vero stipendio dell’opera sua. Per giunta il Susani fu poi Segretario del Consiglio di Amministrazione delle ferrovie affidate al Bastogi. Non è necessario entrare in tutti i particolari, svolti nella relazione del Piroli, per intendere il netto della cosa; e basta recitare i quattro ultimi capi delle conclusioni della Commissione; e sono i seguenti:

«4.° Che il deputato Susani — quando era membro della Commissione parlamentare nominata dagli ufficii, per dar parere sulla proposta ministeriale, presentata al Parlamento nel 16 Giugno 1862 —si fece consigliatore e propugnatore primo presso il deputato Bastogi del progetto di costruzione ed esercizio delle ferrovie meridionali, e si adoprò in diversi modi, ed anche con ingerenza diretta nella parte meramente economica e di speculazione nelle varie operazioni, che precedettero la presentazione al Parlamento della proposta Bastogi, pur continuando ad adempiere alle parti di commissario; al qual ufficio, nel concorso delle circostanze preindicate, avrebbe dovuto rinunziare, onde rimuovere persino l'ombra del più lontano sospetto che, nella ingerenza sua negli studii e nei lavori della Commissione parlamentare, continuasse a coadiuvare l'attuazione di quel progetto, che intanto si stava maturando, fuori del Parlamento;

«5.° Che gravi argomenti persuadono a ritenere che lire 1,100,000, rappresentanti una parte degli utili ricavati dal Bastogi nella cessione della costruzione, e che il Susani ebbe a cedere al Weiss-Norsa pel correspettivo di lire 675,000, fossero il premio riservato o dato al Susani per la sua cooperazione;

«6.° Che il Bastogi, il quale non poteva ignorare che il deputato Susani faceva parte della Commissione parlamentare, doveva rispettare nel Susani e nell'interesse delle stesse istituzioni nostre quella posizione, e non doveva accettarlo o sceglierlo come cooperatore all'attuazione del suo progetto;

«7.° Che se le lire 1,100,000 furono effettivamente la rimunerazione dei servizii e della cooperazione del Susani, il deputalo Bastogi, nelle circostanze di fatto preindicate, avrebbe tanto più mancato al rispetto dovuto alla qualità, che rivestiva il Susani, in quanto che mentre, riguardo al Grattoni, l'Offerta, non accettata, di un compenso fu fatta dopo che la legge sulla concessione al Bastogi era già stata votata, riguardo al Susani si verificherebbe invece che la sua cooperazione sarebbe stata interessata precedentemente alla discussione e votazione. »

Il Bastogi chiese tempo fino alla domane, tanto era stravolto e confuso, per giustificarsi; e nella tornata del 16 Luglio, con voce fioca, piangendo a cald'occhi e singhiozzando, s'ingegnò di ribattere alcune delle imputazioni fattegli, e d'intenerire i suoi giudici. Ma fu tempo sprecato. La seduta si cangiò in un trambusto indescrivibile. Finalmente si ottenne di sedare il tumulto e di venire a'  voti sopra la seguente proposta del Deputato Boggio: «La Camera, approvando le conclusioni della Commissione, e riservandosi a decidere sulla conclusione 3.°, passa all'ordine del giorno.» La conclusione 3.° era che il pubblico interesse e la dignità della Camera consigliavano l'incompatibilità, da stabilirsi per legge, dell'ufficio di Deputato con quello d'amministratore di imprese sussidiate dallo Stato, o con ingerenze capaci di conflitto coli' interesse pubblico. Il risultato dello scrutinio fu una sfolgorante condanna del Bastogi e del Susani. La proposta del Boggio fu approvata con 153 voti favorevoli, soli 10 furono contrarii, e 43 si astennero dal deporre il loro voto.

Il Bastogi ed il Susani si affrettarono di presentare la domanda di smettere l'ufficio di Deputati; la quale fu subito accettata dalla Camera; e questo esempio fu imitato da parecchi altri onorevoli, che, avendo tenuto il sacco al Susani, e toccata ancor essi una pingue profenda, temeano di dover forse essere tratti egualmente alla gogna da qualche zelante rimasto adenti asciutti, se non si fossero ritirati da sè medesimi.. Ora si sa per altra parte che il solo Bastogi in questa facenda, con un giro di mano, s'era intascato la bagattella d'un dieci milioni. Chi li paga? Il popolo. Il Diritto gongolò di gioia per questo trionfo del suo partito, e riadì spesso il chiodo, che tutti codesti lecconi erano della fazione ministeriale, e che coll'averli provati venali, si era molto bene vendicata la catastrofe di Aspromonte. Anche in Francia i diarii d'ogni colore se ne mostrarono scandolezzati, senza eccettuare quelli che toccano i 50,000 franchi annui, per falsificare la storia contemporanea a servigio della rivoluzione italiana. Persino il Pays uscì in queste crude parole: «Oggimai è innegabilmente provato che il Bastogi spese parecchi milioni ad accattar voti favorevoli; ormai è provato che nella Camera seggono uomini così corrotti e scellerati, che vendono a peso d'oro la loro coscienza, e non debbono esser pochi, giacché l'impresa del Bastogi aveva potenti nemici a combattere, pei quali fu necessario collocare una grande quantità di sacchetti di scudi. Il Bastogi, a potersi formare una maggioranza, dovette incontrare molti Deputati che ne avessero intascati. Ora, domandiamo noi, se una Camera, che nel suo seno contiene un numero così cospicuo di Deputati, che, unitamente alla loro coscienza, vendono il sangue della nazione, non sia totalmente esautorata?»

9. Nella tornata del 16 Luglio, dopo accettata la dimissione del Bastogi, del Susani, del Beltrami, dell'Allievi e dell'Audinot, tutti membri del Consiglio d'amministrazione delle ferrovie meridionali, si deliberò, come s' era riservato al giorno innanzi, sopra la 3. conclusione della Commissione, da noi ricordata più sopra. Dopo una viva discussione, nella quale il D'Ondes Reggio fece scoppiettare certe verità molto scottanti sopra l'indipendenza dei Deputati ed i loro maneggi pel fratello, pel cognato, pel nipote, pel cugino del nipote e via discorrendo, si ammise l'ordine del giorno proposto da un Mari-Biancheri in questi termini: «La Camera invita il Ministero a proporre un progetto di legge, col quale si provveda ai casi, in cui possa esservi conflitto fra l'interesse personale e interesse pubblico nelle funzioni di Deputato. » Quindi la Camera fu avvisata che per una nuova tornata sarebbero gli onorevoli invitati a domicilio. Ed ognuno capì che sarebbe l'ultima. Quelle del 15 e 16 Luglio, non può negarsi, aveano coronato degnamente le gloriose geste dei rappresentanti del Regno d'Italia.

Ma era ovvio pensare che, dopo tali scandali, o dovea mutarsi il Ministero che andava debitore della sua esistenza ad una maggioranza, in cui s'eran trovati dei Bastogi, dei Susani e simile genia; ovvero dovea sciogliersi la Camera. In questa supposizione gli onorevoli del partito garibaldino, che hanno per araldo ufficiale il Diritto, si strinsero a consiglio, e pubblicarono in questo diario, n.° 205, una loro Circolare, sotto il 23 di Luglio, con la quale fecero sapere a tutta la loro consorteria, essersi costituito un Comitato elettorale, formato dagli onorevoli Avezzana, Bargoni, Cadolini, Crispi, Greco Antonio, Della Porta, Macchi, Miceli, Mordini e Sineo. Questi, che sono fiore e crema della setta, ebbero per incarico di preparare, per mezzo di Comitati locali, quanto occorre a poter dare efficace indirizzo alle elezioni generali, od anche solo parziali, per una nuova Camera, affinché gli eletti riescano tutti di quella tempera che vuolsi per condurre a compimento la grande impresa dell'entra italiana. Perciò fu anche costituito un Cassiere, il cui ufficio si è di riscuotere dai socii il denaro occorrente per la manipolazione dei liberi suffragi e dei convenienti candidati. Noi auguriamo loro una pienissima riuscita a seconda de'  loro desiderii; perché, se Dio non provvede per altra via, la salute d'Italia non può venire che dagli spropositi di questi rompicolli.

10. Nell'ultimo mese la Camera elettiva, incalzata da'  Ministri, avea tirato giù con la falce un subbisso di leggi per aumenti di spese, lavori pubblici, armamenti, modificazioni nell'esercito, vendite di beni demaniali, e simili cose indirizzate a ristaurare le finanze. Alli 22 di Luglio il Peruzzi presentò varii di questi schemi di leggi al Senato, che udì pure leggersi dal Senatore Quarelli una lunga filza di petizioni contro la sacrilega legge che obbliga i cherici al servizio militare; poi gli diè comunicazione d'un decreto reale, per cui il Senato e la Camera sono prorogate indefinitamente, cioè finché un nuovo decreto determini il giorno della loro riconvocazione. Così ancora fu fatto nella Camera elettiva, dopo che il Presidente ebbe annunziata la rinunzia del deputalo Marco Corsi, amministratore delle ferrovie meridionali, la quale fu subito accettata.

Da quel giorno fu un continuo piatire fra i giornali delle diverse fazioni intorno alla necessità, opportunità ed utilità di sciogliere la presente Camera, e procedere a nuove elezioni generali. Ed il bello si è che perfino i diarii ufficiosi, o per burla o davvero, son discordi tra loro. Così l'Opinione, che tiene pel Minghetti, dice indispensabile il partito di appellare, dopo gli scandali recenti, al giudizio della nazione in nuovi comizii; la Stampa, che è a servigio speciale del Peruzzi, si beffa di cotali discorsi, e dice che nelle presenti congiunture le cose volgerebbero anzi al peggio, gettando l'Italia nell'agitazione elettorale, da cui chi sa qual Camera uscirebbe! Onde per più giorni si parlò di rimpiastricciamento ministeriale; poi di dissoluzione della Camera; ma se, a far congettura dell'avvenire, si può trarre argomento dai fatti del Governo, par probabile che i presenti Ministri siansi appropriati il motto attribuito a Napoleone III: Inerita, sapientia: cioè abbian risoluto che il meglio per ora sia non far nulla e star a vedere. Difatto la Gazzetta ufficiale del 3 Agosto pubblicò varii decreti reali del 21 Luglio, pei quali parecchi Collegi elettorali, rimasti vacanti per la dimissione del Bastogi, del Susani e dei loro consorti, sono convocati a scegliere nuovi Deputati alli 14 d'Agosto. Il che sarebbe vera beffa, se il Governo avesse già fermato di sciogliere la Camera, e procedere ad elezioni generali.

Del resto, se la presente Camera venisse sciolta, è assai dubbio che il Ministero dovesse vantaggiarsi con la nuova, tanto è il dissidio fra le varie fazioni settarie, unite solo nell'odio della Chiesa e nell'ingordigia del rapinare. Ma per altra parte è certo che la Camera presente è discreditata da'  suoi medesimi eccessi, e dalle vergogne che furono rivelate nelle continue recriminazioni degli onorevoli; e per giunta è logora come una macchina che troppo a lungo e con eccessivi attriti abbia continuato a muoversi. Di che basti recare in prova il numero delle leggi che passarono sotto i suoi ordigni, delle petizioni accatastate, delle interpellanze sminuzzate. Le leggi, solo dal 25 Maggio 1863 al 22 Luglio 1864, furono 274; delle quali 262 furono proposte dal Ministero e 12 dalla Camera. Di questo numero, furono approvate 133, respinte 5, ritirate 3 di altre 43 fu presentata la relazione; per 34 fu nominato il relatore; per 29 fu costituita la Commissione che dee esaminarle, e 27 rimangono ancora ad esaminarsi negli ufficii. Quanto alle petizioni, di cui fu fatto l'uso consueto, la Camera ne ricevette 949, e udì la relazione di 529, con quel vantaggio immenso de'  supplicanti, che tutti sanno, ed è che i più favoriti ebbero la delizia di sapere la loro petizione mandata a'  Ministri; i più videro reiette le loro suppliche e perdettero per giunta le spese. Le interpellanze furono 39; ed alcune di esse diedero luogo a chiacchiere continue per otto, dieci e fin quindici giorni, col magnifico risultato di passare semplicemente all'ordine del giorno, dopo rivelate turpitudini d'ogni genere. Le sedute degli onorevoli furono in tal tempo non meno di 262. Aveano ragione di essere stanchi; e si capisce il perché del loro scappare, come scolaretti, dalla Camera, sicché il Presidente dovea durare fatiche da Ercole per radunare il numero necessario alle votazioni.


Il primo scandalo toscopadano: le ferrovie meridionali di Zenone di Elea




















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