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L’Italia e la politica di napoleone III durante e dopo la guerra dell'indipendenza

CAPITOLO II
Un grave scandalo nel Parlamento Italiano

di Carlo Massei

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L'ufficio del deputato è il più nobile tra tutti quelli che compongono gli ordini costituzionali, perché prova la fiducia che il paese ripone nel suo mandatario destinato a trattare i suoi più gravi affari. Per la qualcosa, se merita lode colui che Io adempie con integrità e con sapienza, meriterebbe di essere altamente biasimato chi essendo inetto ad esercitarlo se lo procacciasse con male arti, o se ne valesse di scala per salire in alto, e per avvantaggiare i suoi privati interessi. Per onore della umanità rari furono i casi di prevaricazione che si potessero mettere in luce. Ma chi rappresenta la nazione deve allontanare da se anche il sospetto di trafficare sul suo mandato, ricordando quell'antico detto: che la moglie di Cesare non deve essere neppure sospettata! La concessione delle ferrovie dell'Italia meridionale offrì il tristo spettacolo di parecchi deputati, che dopo di essersi grandemente adoperati con la parola e cogli scritti perché quel contratto avesse effetto, presero poi parte come azionisti o come stipendiati in quella società. Ora chi poteva togliere dalla mente del pubblico almeno il sospetto che il calore da essi mostrato nel difendere nella Camera quella proposta, non fosse inteso a procacciarsi quei lucri che ben presto ne colsero? Per parlare di questo increscioso affare noi dovremo risalire fino alla sua origine, cioè ai mesi di luglio e di agosto 1862.

Il disegno di unire con ferrovie le provincie meridionali alle altre del regno d'Italia, nasceva da considerazioni economiche e da considerazioni politiche. Imperocché bisognava favorire l'accesso alle terre per coltivarle, e bisognava favorire la vendita delle derrate, moltiplicare il commercio e l'industria, coll'abbreviare il tempo e la spesa dei trasporti. Donde sarebbe derivato non solo il bene dell'universale, ma l'aumento dell'entrata dello stato colla facoltà di accrescere le tasse. Bisognava poi affratellare gli abitanti di quella estrema regione con quelli delle altre con la facilità del viaggiare; e soprattutto dimostrare con questi segnalati benefizii ai popoli meridionali quanto avevano guadagnato col cambiare dinastia, e quanto l'antico governo li avesse trascurati.


Queste considerazioni erano di molto peso per convincere della opportunità di fare partecipare la R. Finanza a quella spesa. Ma nella penuria in cui si trovava, si doveva curare di diminuirla per quanto fosse possibile, aprendo un pubblico concorso per ottenere le migliori condizioni. Contuttociò il ministero, senza attenersi precisamente a questo metodo, accettò la offerta fatta dalla casa Rothschild e Talabot, di assumersi quell'impresa col capitale di 300 milioni, da ottenersi per un terzo con tante azioni sociali, e per gli altri due terzi con altrettante obbligazioni della società, con molti altri patti e condizioni; fratte quali principatissima era quella che i lavori dovessero essere compiti entro il termine di anni cinque.

Questo accadeva nel luglio del 1862 sotto il ministero Rattazzi, quando presiedeva ai Lavori pubblici il comm. Depretis. La commissione nominata dagli uffizii della Camera per dare il suo avviso intorno alla convenzione delle ferrovie meridionali si componeva dei deputati Nisco, Bonghi, De Luca, Leardi, Torelli, Guerrieri Gonzaga, Grattoni; di cui Trezzi era il relatore, e il Susani il segretario. Da quella relazione appariva che la linea da Ancona ad Otranto, con diramazione da Bari a Taranto, contava chilometri 735, quella da Foggia a Napoli, compresa la traversata da Salerno e il tronco di Castellamare, chilometri 245, quella da Ceprano a Pescara chilometri 234, totale chilometri 1214. A questa convenzione si aggiungeva il tratto di strada da Brescia a Voghera per Cremona e Pavia di chilom. 145. Lo stato assicurava alla società Rothschild lire 29 mila a chilom. per chilom. 1214, e lire 25 mila per chilometri 145. Le concedeva inoltre un sussidio per una sol volta di 16 milioni di lire da dedursi sul prezzo delle provviste già fatte dui governo sui lavori in costruzione. Dovessero tutte. queste ferrovie essere compite entro un quinquennio, salvo che per la galleria di Conza si opponessero ostacoli insormontabili a giudizio del governo. Dovessero i concessionari avere costituito nel termine di mesi sei dalla stipulazione una società anonima da subentrare negli obblighi da essi contratti. Che il terzo almeno del capitale da sopperire in azioni e in obbligazioni fosse riservato ai sottoscrittori italiani. Che fossero tenuti a rilevare il governo da tutti i contratti da esso stipulati, ed a fondare in Napoli una grande officina per la fabbricazione del materiale mobile occorrente.


Che a titolo di guarentigia, dentro un mese, depositassero dieci milioni di lire in rendita cinque per cento, al valore nominale, da restituirsi per quinti a proporzione det lavoro eseguito. Questa concessione doveva durare per novanta anni.

Il 31 luglio, dopo che questa relazione era stata presentata alla Camera, il deputato conte Bastogi inviava al ministero dei Lavori pubblici la seguente lettera: «Poiché era a mia notizia che due compagnie di capitalisti esteri si facevano concorrenza per ottenere la cessione della costruzione e dell'esercizio delle strade ferrate meridionali. mi parve potesse giovare alla dignità e agli interessi del nuovo regno d'Italia che anche una compagnia d'Italiani si accingesse al concorso. Era mio desiderio che si rendesse manifesto come gli Italiani quando vogliono collegare insieme le singole forze, ne possano creare una economia tale che valga ad esplicare tutta la potenza produttrice della ricchezza nazionale. Per dare al governo e al Parlamento prova che questo desiderio, il quale è pure vivissimo in tutti gl'Italiani, può veramente essere soddisfatto, per dare il primo esempio fra noi di una grande associazione di capitalisti nazionali, oso sottoporre alla S. V. Ill.ma in mio nome un' offerta e un capitolato per assumere la concessione delle strade ferrate meridionali, e quindi costituire una società anonima col capitale di cento milioni. E perché incerto non resti il concorso dei capitalisti, e la costituzione della società, trasmetto alla S. V. Ill.ma i documenti comprovanti essere fin d'ora assicurato in azioni il capitale di cento milioni. Mi reco finalmente a debito di mettere a disposizione di V. S. Ill.ma, per guarentigia della mia offerta, il deposito preliminare di due milioni di lire, valore nominale di rendita 5 per cento italiana. Non è mestieri che io esponga alla S. V. Ill.ma i vantaggi di ogni maniera, che quando fosse accettata, deriverebbero dalla mia proposta al paese. Ad ogni modo sono certo che essa riuscirà gradita al giusto orgoglio di un ministro del regno d'Italia. E sebbene tutto il capitale della futura società sia sottoscritto, mi obbligo a cedere a favore dei Napoletani e Siciliani 20 mila azioni purché siano sottoscritte entro venti giorni.»


Nella sostanza le condizioni proposte dai Bastogi erano uguali a quelle della casa Rothschild e Talabot, con qualche variante di piccola entità, come la immediata attivazione dei lavori, la composizione della società anonima entro un mese. Aggravava poi il sussidio da darsi a questi dallo stato con la dimanda di dieci milioni di lire in tanto legname da costruzione da prendersi sui fondi demaniali.

Fu portata questa nuova offerta alla discussione della Camera nella seduta del 3 agosto, nella quale il ministero dichiarava doversi prima di tutto deliberare sull'approvazione o rigetto del contratto Rothschild. Una delle principali objezioni contro di questo, era il fatto che la società da esso rappresentata comprendeva la linea lombarda, e la centrale italiana, e perciò si estendeva alla Venezia, e ad altre provincie soggette all'Austria. Il ministro dei lavori pubblici dimostrava che questa circostanza non recava alcun pregiudizio né economico né politico; e in ogni caso sarebbe facile di ottenere la separazione delle due aziende. Si mise a confronto l'una e l'altra proposta per vedere qual delle due fosse più profittevole La commissione che aveva già approvato almeno in genere il contratto Rothschild, ora si dichiarò apertamente per il Bastoni, sebbene le sue modificazioni fossero irrilevanti e perciò trovassero opposizione. Di che avvertito esso, a misura che dalla discussione sorgevano delle critiche, era sollecito di scrivere lettere al presidente della Camera per recedere da qualche pretesa. La qual cosa mosse il deputato Mellana a prorompere in queste libere parole: Sento continuamente a parlare di lettere che il signor Bastogi scrive alla Camera: vorrei sapere se ciò è come deputato o come industriale. Nel primo caso non può, perché è in causa propria; nel secondo caso abbiamo già dichiarato che neppure può, altrimenti verranno anche Rothschild, Salamanca, e tutti gli altri a tenere corrispondenza. Abbiamo chiaramente deciso che nessuno può rivolgersi direttamente alla Camera senza passare per le vie governative. Nella relazione non può almeno comprendersi l'ultima lettera che contiene un patto nuovo; e non essendo ancora stata comunicata alla commissione, questa non ha potuto farla sua. Il fatto è che chi vuole trattare questi affari, deve trattare direttamente col governo, e alla Camera non rimane che accettare o non accettare; salvo poi al governo di fare altre trattative. Questa sarà un'altra questione.


Ma io intendeva puramente che si ponesse un termine a questa continue lettere e trattative poste davanti alla Camera da chi non ne ha il diritto.»

E poco appresso lo stesso deputato Mellana faceva queste interrogazioni alla commissione. «La commissione ha proposto che prima si voti sulla offerta Bastogi da essa sostenuta, salvo poi a tornare sulla offerta Rothschild quando quella non avesse effetto.

Lasciando dall'uno dei lati la questione della convenienza, opina la commissione che la Camera accettando questo modo di agire, cioè che nel caso in cui la offerta Bastogi fosse presa in considerazione, dovesse ancora tenersi obbligato il signore Rothschild? Io non credo che respinta la proposta Bastogi si possa dire alla Camera che essa avrà ancora facoltà dì deliberare su quella Rothschild. La proposta Rothschild è tolta di mezzo dacché le si preferisce l'altra. La seconda domanda è questa: come crede la commissione che il Bastogi abbia ad essere vincolato in tutte le modificazioni della convenzione, le quali si facevano durante questa discussione, e che furono da lei pronunciate, dichiarando di farle non come procuratore di Bastogi, ma come commissione della Camera? La terza domanda che io vorrei fare alla commissione è questa: la commissione dice che non potendo accettare la proposta Rothschild, aveva essa stessa fatta una nuova proposta pel desiderio che aveva, come noi tutti abbiamo, di vedere fatte queste strade. Poi dice che ha stimato di accogliere la proposta Bastogi perché la ritenne conforme alle sue vedute. Vorrei sapere la data del giorno in cui furono presentate alla tribuna le proposte della commissione, poiché sono d'avviso che tutto quello che si fosse fatto prima non sarebbe regolare; e vorrei pure sapere se dal giorno che fu presentata la proposta Bastogi vi sia stato il tempo necessario per raccogliere tutte quelle sottoscrizioni. Perché nel mentre che la questione stava trattandosi nella commissione, e che la Camera non aveva ancora presentata la relazione, nessuno poteva essere al corrente delle proposte della medesima.» A tali quesiti dava repliche non del tutto adeguate il relatore Trezzi.

Più esplicitamente censurava il deputato Michelini il contegno della commissione a favore del Bastogi, dicendo: «L'articolo 59 dello Statuto prescrive che le Camere non possano ricevere alcuna deputazione, né sentire altri fuori dei propri membri, dei ministri, e dei commissarii del governo.


Adunque, come deputati, non dobbiamo avere relazioni coi privati. Ora si è nella qualità di rappresentanti della Camera, e non come privati individui, che i membri della commissione si sono messi in relazione per trattare col conte Bastogi, o co: suoi agenti. Ebbene, questo procedere è altamente incostituzionale e riprovevole. La Camera lascia le simpatiche sue attribuzioni legislative per invadere quelle del potere esecutivo. Essa non solamente amministra, ma si fa appaltatrice.

Di questo modo di procedere sono gravissimi gli inconvenienti. Ma avviene uno notevolmente maggiore di tutti gli altri: esporrollo con tutta sincerità come è mio costume. In questo recinto noi siamo tutti illibati, altamente compresi dall'onore di rappresentare la nazione; sentiamo dignitosamente di noi stessi, e non abbiamo in cuore che il bene della patria. Ma non è men vero che la via nella quale siamo entrati è una via erronea ed anormale. Non dico che sia peccaminosa, dico unicamente che da altri può essere sospettata come tale. Ora la nostra fama deve essere al disopra di ogni sospetto. Ripeto adunque che la condotta che tiene la commissione da alcuni giorni è eminentemente incostituzionale e riprovevole. Senonché quantunque gli inconvenienti non siensi palesati in modo alcuno cosi chiari ed espliciti, bisogna che confessiamo che non è questa la prima volta che essa trovasi negli inbarazzi in cui attualmente si trova. Molte altre volte si è trovata la Camera in simili poco dignitose contingenze Ricorderò solamente ciò che ebbe luogo quando si volevano vendere 60 mila ettari di terreno demaniale in Sardegna coll'intendimento di stabilirvi delle colonie. Anche allora il Parlamento era divenuto una sala d'incanti, in cui si alternavano le offerte dai signori Bonard e Beltrami, e né allora né poi non si è pervenuti a concludere nulla Ma di tutti questi inconvenienti passati e presenti di chi è la colpa? Io non dubito punto di asserire che la colpa è del ministero. Non intendo già di parlare solo del presente ministero, ma di lui e di tutti i suoi antecessori, perché la colpa in sostanza deve attribuirsi al cattivo sistema fin qui seguito nella concessione delle ferrovie, e delle altre opere pubbliche, sistema contro il quale ho parecchie volte alzata la mia voce sì nel Parlamento subalpino che nell'italiano, ma inutilmente.


«Il sistema che è solito seguire il ministero è il seguente: Quando vuole che si faccia un opera pubblica, dà pia o meno pubblicità a quell'opera stessa, riceve partiti, poi stabilisce il contratto con quel concorrente che stima, e lo presenta alla Camera. La Camera nomina una commissione per esaminarlo. Non essendo presente l'altra parte contraente, o almeno non avendo dritto d'interloquire nel seno della commissione, questa dovrebbe unicamente concludere per la rejezione o per l'approvazione del contralto. Ma mentre la commissione esamina il contratto, essa trova alcuni patti troppo gravosi; e per timore che a cagione di essi il contratto sia respinto, i contraenti cercano di modificarli, e così entrano in relazione coi membri della commissione.

E naturale per altra parte che questa cerchi di ottenere i patti più vantaggiosi, e di non essere obbligata di mandare a monte l'impresa, e perciò si mostri disposta ad udire ed accogliere le proposte modificazioni. Inoltre alcune volte accade che entrano in lizza altri concorrenti, e allora le cose si complicano sempre più. Questo accade appunto nel caso nostro, colla circostanza aggravante che uno dei concorrenti è un nostro collega. Dico pertanto che queste trattative fatte dalla Camera per mezzo dei membri della commissione, sono necessarie, o almeno naturali conseguenze dell'erroneo sistema che si segue nella concessione delle ferrovie. Ma dico nel tempo stesso che tali trattative non tralasciano perciò di essere eminentemente incostituzionali, e riprovevoli. Se al contrario il ministero seguisse quella via che egli meritamente impone ai comuni, alle provincie, e alle opere pie; vale a dire se venisse qui con un capitolato, e ne domandasse l'approvazione al Parlamento; quindi questo capitolato fosse convertito in legge; si esponesse poscia all'incanto l'opera di cui si tratta, e si desse in modo irrevocabile a colui che si contentasse di sacrifizii minori per parte dello stato allora non ci troveremmo in quegli imbarazzi in cui attualmente siamo. Allora non saremmo, per cosi dire, costretti a fare atti incostituzionali e riprovevoli. Egli è per questi motivi che io proponeva un sistema affatto opposto a quello che si e finora seguito, a cagione del quale ci troviamo in questo gineprajo.


Proponeva cioè che si mandasse a monte e Rothschild, e Salamanca, e Bastogi; che il governo fosse autorizzato a proseguire egli stesso i lavori relativi alla costruzione delle ferrovie meridionali; che frattanto presentasse tale capitolato al Parlamento, il quale vi farebbe quei cambiamenti che credesse opportuni.

Approvato per legge quel capitolato, si aprirebbe l'incanto, e la costruzione e l'esercizio delle strade meridionali sarebbero concessi a chi si contentasse di minore sussidio, e di guarentigia di rendita brutta minore. Questo sistema mi sembra il solo ragionevole, e tale parve anche ad altri; non so se la Camera sarà di questo parere.»

Nonostante queste considerazioni, proseguendo il deputato Trezzi, relatore della commissione, ad approvare tutte le condizioni proposte dal conte Bastogi, sorse il commendatore Rattazzi, presidente del consiglio dei ministri, dicendo: «Vorrei sapere e il relatore ha parlato come rappresentante del signor Bastogi, o come relatore della commissione. Sembra che quelle che ci viene facendo non siano proposte della commissione, ma siano invece quelle del signor Bastogi.

Non so quello che sia stato fatto quando si trattò della convenzione Lemmi, perché non facevo parte della commissione. Ma quello che è certo si è che se si fosse seguito questo sistema io quella circostanza non si sarebbe agito in modo costituzionale, perché non credo che le commissioni possano discutere con essi le convenzioni, e poi venire alla camera formulando proposte come se i membri di queste commissioni avessero essi stessi stipulato il contratto. Io faccio questa dichiarazione perché mi dorrebbe molto che ciò tornasse a cattivo esempio, e autorizzasse la Camera a procedere su questa via. «Dopo il ministro prendeva a parlare il deputato Guglianetti: «La proposta fatta dalla commissione produsse in me la stessa impressione che ha prodotto nell'animo dell'onorevole presidente del consiglio, cioè che il relatore fosse più presto un procuratore del conte Bastogi che venisse qui a proporre le modificazioni al primitivo progetto, anziché parlare a nome della commissione. Io poi se la Camera crede di entrare immediatamente in merito, e di esaminare questa proposta che a prima vista pare molto utile, molto conveniente all'interesse dello stato, dimostrerò che questa proposta, non è altro che un atto d'ingiustizia, una mancanza ai patti sanciti nel 1860 verso la società lombardo-veneta.


Quando però voglia rinviarla ad altra occasione, mi riservo di dimostrare che la nuova proposta del signor Bastogi fattaci per bocca della commissione è una evidente violazione dei dritti assicurati per un contratto, che il signor Bastogi vorrebbe essere esonerato dalla prescrizione dei termini già imposti nel contratto Rothschild per le ferrovie napoletane, offrendo un'apparente compenso allo stato; che in realtà non ha altro scopo fuorché di rendere impossibile l'esercizio del dritto di prelazione assicurato alla società lombarda, inducendo cosi la Camera a violare i dritti dei terzi.»

Anche il deputato Mosca facevasi a censurare la parte presa dalla commissione a favore del Bastogi:» Il lungo corso di questa discussione mi ha convinto che non v'ha alcun sistema più conveniente né più ragionevole che quello che la nostra commissione ci aveva dapprima proposto. Io mi stupisco quindi a ragione che la commissione stessa abbia allora appunto abbandonati questi principii, ai quali aveva dapprima obbedito, quando le circostanze sopravvenute le offrivano mezzo di mantenersi fedele con una anticipata giustificazione. E di vero vediamo come si sono passate le cose.

Allorché si conobbero le condizioni della convenzione Rothschild, una commissione generale si destò nel paese; tutti ci siamo domandati se veramente l'Italia fosse ridotta a cosi deplorabile stato di credito che per soddisfare ai suoi bisogni ineluttabili dovesse soggettarsi a condizioni così evidentemente, cosi dolorosamente onerose. La commissione interprete del sentimento pubblico non fu di questo avviso, e pensò che qualora le trattative venissero condotte in un campo più aperto e più libero, con una certa convenienza di tempo, e circostanze, non sarebbe per avventura difficile di trovare altrove condizioni più eque e più ragionevoli. Ciò che è avvenuto di poi, penso che non abbia fatto che dare ragione al pensiero della commissione, e del paese. Appena le condizioni Rothschild furono conosciute, noi abbiamo creduto mettere innanzi proposizioni delle quali alcune in un modo altre in un altro miglioravano la convenzione stipulata dal governo coi signori Rothschild Talabot. Appena era divenuto più evidente che bisognava ricercare la causa di queste gravose condizioni, non dirò nella deficienza, ma forse nella soverchia lealtà che per avventura il governo aveva dimostrata nel condurre le trattative; e di ciò non gliene faccio rimprovero, cosicché altri concorrenti non ebbero campo di fare offerte migliori.


E qui mi perdoni la Camera se mi valgo di una certa libertà di espressione; fu in questa circostanza che sopravvenne la proposta Bastogi, la quale mi si permetta di dirlo, s'introdusse alla vigilia dell'aprimento di questa discussione in modo che non è assolutamente conforme ai buoni usi parlamentari. Davanti a questa proposta io credo che la commissione e la Camera dovevano, abbandonando ogni sentimento il quale fosse estraneo alla trattativa di interessi così gravi, d'interessi economici di una sì alta importanza, persuadersi che le condizioni nostre ci permettevano di confidare sopra una possibilità di aver patti molto più vantaggiosi nelle conclusioni definitive di questo contratto.

«Io credo che la commissione e la Camera, in presenza della proposta fatta dal nostro collega Bastogi di costituire una società nazionale per disimpegno dell'impresa, si siano lasciate trascinare dal sentimento oltre i limiti dai quali non dovevano allontanarsi. Ho veduto in questa Camera caratteri e segni chiarissimi di una specie di entusiasmo, ed io rispetto questo sentimento il quale attinge ad una fonte nobilissima, al principio cioè che noi possiamo essere indipendenti dallo straniero.

Ma mi fu lecito di dichiarare che non posso dividere l'entusiasmo della maggioranza della Camera, né prestarmi con ingenuità a scambiare con un atto di patriottismo un atto di buona intelligenza di interessi materiali. Senza dubbio io non sono indifferente che si cerei una società nazionale, e credo che tutti dobbiamo salutarne con amore la costituzione, mentre simili compagnie potranno fare all'uopo una utilissima concorrenza agli stranieri. Ma dico che il solo motivo che si è costituita, od è per costituirsi una società nazionale non è tale che noi dobbiamo sacrificarle interessi gravissimi del paese; e non dobbiamo per solo amore di questa società assoggettare lo stato a fare un cattivo contratto. Non voglio istituire confronti fra la convenzione Rothschild e la proposta Bastogi; e se questo si possa o non si possa giuridicamente tenere obbligato dalle molte dichiarazioni che ha fatte il relatore della commissione, come quello che le ha ricevute (non andiamo a cercare se competentemente o no) dal signor Bastogi. Non è mio intendimento di istituire questi confronti che mi condurrebbero troppo lungi, e ad abusare della pazienza della Camera più che alla mia pochezza io senta di potere acconsentire.


Mi limito a fare riflettere alla Camera che il solo fatto della costituzione di una gran società nazionale per fare una operazione di borsa non può confondersi con un grande interesse nazionale soddisfatto. Vedo chiaramente che una società nazionale la quale s'impegna a raccogliere i capitali necessari per condurre a buon fine questa grande impresa, si pone in condizione vantaggiosa per potere speculare sui titoli; ma non vedo poi qua! vantaggio ne derivi a tutto il paese. Vedo che gli inconvenienti i quali notava in qualche parte del capitolato Rothschild, e che scartati avrebbero potuto dare un vero carattere nazionale alla proposta Bastogi, sono in questa non che mantenuti peggiorati. Accenno all'articolo 11 nel quale si tratta dello stabilimento che i concessionari eventuali si obbligano di mettere a Napoli. Ho udito annunziarsi che quando si discuterà quell'articolo, vi è chi ha intenzione di domandarne la soppressione, lo non mi assoderò a questo voto, perché l'Italia deve ricordarsi che ha contratto un gran debito con Napoli, e che deve fare dei gran sacrifizii per compensarla. Io invece darò il mio voto col più gran piacere a questo articolo, e desidero che in tutti i casi in cui l'una o l'altra di queste concessioni, non possa essere immediatamente determinata dal Parlamento, il governo non perda mai di vista questa condizione, se per avventura a lui fosse fatta facoltà di concedere al migliore offerente l'oggetto della presente proposta di legge.

 Già a quest'ora avrete inteso il mio voto qual sia: io intendo di respingere ad un tempo la convenzione Rothschild e la proposta Bastogi. Il mio voto è per obbligare il governo a non tralasciare veruna cura perché non si perda neppure un minuto di tempo nell'energica proseguimento dei lavori di queste strade, dove sono in corso di esecuzione, o ad attuarli dove non vi si è ancora dato cominciamento. Ma nello stesso tempo d'invitarlo a provvedere perché con una libera concorrenza si possano fare innanzi quegli appaltatori i quali mossi dalle stesse circostanze che sono originate da questa discussione, si faranno credo una concorrenza fra loro che potrà tornare utilissima al nostro paese. Io porrò qui termine seni' altro alle mie riflessioni, ma non così però che non preghi la Camera a considerare che il modo con cui si è finora condotta questa discussione, ha dovuto fare nel paese la più dolorosa impressione.


Siamo in tempi in cui le istituzioni, che ci stanno tanto a cuore, non hanno ancora gettalo così profonde radici, che il prestigio della rappresentanza nazionale possa dirsi assolutamente al coperto da qualunque attentato. Noi viviamo in tempi in cui tutti i giorni abbiamo il triste spettacolo di reputazioni perfettamente illibate, attaccate rabbiosamente dalla voce della calunnia e della maldicenza. Noi dobbiamo quindi provvedere anche a questo nostro bisogno, e fare in modo che il sospetto e la maldicenza non possano avere mai sopra di noi, nemmeno l'ombra di un pretesto. Noi abbiamo il mezzo di ottenere questo resultato, e sta appunto uell'astenersi dall'usurpare sulle facoltà sulla competenza del potere esecutivo, e nel lasciare a lui, sotto la riserva del severo nostro sindacato, tutta la responsabilità del suo operato, nel mentre che esigiamo, e abbiamo dritto di esigere che provveda senz'altra dilazione a ciò che è un bisogno riconosciuto da tutto il paese.»

Il deputato Castellano propugnando la necessita di confermare la convenzione Rothschild a confronto della proposta Bastogi, parlava in questa sentenza: «Quando io sento parlare della preferenza che vorrebbe darsi alla formazione di una società nazionale su di un'altra che ci si dice sarebbe straniera, comincio dal domandare a me stesso: ma la società che i signori Rothschild e Talabot chiedono di costituire, potrà forse dirsi non nazionale ma straniera? Io credo che nella risposta affermativa si conterebbe un altro gravissimo errore, poiché si verrebbero a confondere i concessionari colla società che deve subentrare negli obblighi da loro personalmente assunti sino alla costituzione della medesima. Il contratto stipulato dal ministero dice espressamente che la società, la quale sarà costituita per esercitare questa concessione, oltre alla compartecipazione in essa riservata di determinata quota ai soscrittori italiani, qualora vogliano concorrervi, avrà sede nella capitale del regno, e l'adunanza generale degli azionisti ivi sarà tenuta. Ma che altro si può chiedere ad un'ente morale per ritenerlo efficacemente naturalizzato, oltre al domicilio stabilito dalla legge, e fissato nella capitale del regno? Che altro potrebbe chiedersi quando la sede dell'amministrazione verrebbe ad impiantarsi fra noi, e qui si verrebbe ad esercitare sotto l'impero delle nostre leggi? Sicché il prestigio che si mette innanzi di preferire una società nazionale, si dilegua come sofisma più apparente che solido.


E che sia cosi lo dice pure il modo come sogliono costituirsi le amministrazioni delle società anonime, E una verità scolpita in tutti gli statuti che nel momento delle prime sottoscrizioni siano ordinariamente designati ad amministratori gli azionisti più interessati. Ma essi alla loro volta cedono il posto a quelli che l'adunanza generale degli azionisti designa a formare il consiglio di amministrazione ogni qualvolta sia il caso di doverlo rinnovare.

«Se dunque è un'errore il venirci a parlare di capitale nazionale per arrivare a stabilire una distinzione tra esso e il capitale straniero. Se il capitale è cosmopolita; se non potreste in alcun modo restringere la sua indispensabile universalità a meno che non si volesse dare l'ostracismo al denaro straniero impedendogli di venire a fecondare le nostre imprese, e ad aumentare le nostre risorse. Se molto meno tutto questo sarebbe, non dico possibile, ma neppure concessabile, quando per avventura quello che sento chiamare col nome di società nazionale, venisse essa stessa a fare appello ai capitali degli stranieri. Se nulla potendo di tutto ciò, crederemmo di dovere interdire ai possessori delle azioni, i quali si facessero qui rappresentare, e venissero essi medesimi all'adunanza generale, di concorrere col loro voto alla scelta degli amministratori? Dunque si può ritenere essere una illusione il credere che nell'un modo piuttosto che nell'altro si arrivi ad avere una società rappresentata dai nazionali. E se pure il voleste, non direi che offendereste le più ovvie teorie della economia, ma direi che andreste in un'errore non meno funesto di quel perfido sistema adottato dal dispotismo borbonico, e che non sarà per certo rinnovato dal Parlamento italiano. Cadreste insomma involontariamente in quel laccio che i Borboni tesero a questa specie d'industria col rendere sempre impossibile l'esecuzione dei grandi lavori di ferrovie nelle provincie meridionali, non già col negare le concessioni che loro erano domandate, ma col proibire ai capitalisti stranieri di prender posto nella loro amministrazione. Se dunque sotto un regime di libertà non potreste impedire che chi si trova interessato in una ferrovia possa entrare a far parte della sua amministrazione, solo perché straniero, sicché cogli interessi della medesima gli rimanga vietato di amministrare i suoi propri affari, è da conchiudere che questa impossibilità basti a dileguare le illusioni vagheggiate quanto a una società nazionale, come atta ad assicurare che la rappresentanza ne sarà di conseguenza anche essa nazionale.


«Circoscritta in tal modo la disputa, a ché si riduce? Riducesi soltanto a sapere chi saranno i concessionarii, se nazionali o stranieri. Se coloro che debbono ritrarre un premio della primitiva emissione delle azioni, e godere delle provvisioni, e della utilità che offre la stipulazione dei contratti destinati a provvedere alla costruzione, debbano essere nazionali, o sivvero possano essere indifferentemente anche stranieri. Ma domando io alla vostra fredda imparzialità, se mettendo in paragone le due offerte, voi possiate essere più sicuri che l'un concessionario meglio che l'altro possa compiere il mandato di costituire la società che deve esercitare l'impresa? Non starò a dire che se vi fosse bisogno di una prova delle difficoltà che s'incontreranno per formare esclusivamente in Italia il capitale necessario per questa grandiosa impresa, si avrebbe appunto nella circostanza che si è dovuto ricorrere a 90 soscrittori per riunire il capitale di 100 milioni, per il quale altrove si sarebbero trovati tre o pochi più individui capaci da per loro soli a coprirlo. Ora per completare le linee dovendosi procurare gli altri due terzi del capitale mercé l'emissione di obbligazioni, il quesito che dobbiamo esaminare è se si troveranno da emettere in Italia gli altri duecento milioni di obbligazioni? Io non voglio rispondere assolutamente di no; ma se anche si trovassero, sarà più conveniente sotto l'aspetto economico e politico cercare i capitali necessari, in Italia o all'estero? Osservo che se per avventura voleste che sieno impiegati 300 milioni da nazionali in' quella impresa, verrà d'altrettanto a restarne diminuita la concorrenza dei nazionali nell'acquisto dei beni demaniali, ne verranno parimente a soffrire l'agricoltura, l'industria, il commercio, le quali abbisognano del concorso anche più attivo ed efficace da parte degli Italiani; poiché l'abbandonare agli stranieri queste nostre sorgenti di ricchezze, o farne dipendere l'incremento dagli ajuti che dovremmo cercare dai medesimi, sarebbe più pericoloso ancora della temuta loro influenza nelle ferrovie. «Ma se in Italia sarebbe più conveniente, sotto il rapporto economico, di attirare capitali stranieri ad impinguare le nostre risorse; se l'impiego di questi contribuirebbe a produrre l'aumento dei nostri valori, e farebbe progredire il nostro sviluppo economico, credo altresì che sotto l'aspetto politico impegnando i capitalisti stranieri ad impiegare presso di noi il loro denaro, si interesseranno alle nostre sorti, e a sostenere il nostro credito.


Sicché faremmo opera non certamente utile a respingere il concorso dei capitalisti stranieri. E a volere poi esaminare l'ipotesi che in Italia non si trovassero forse disponibili i capitali occorrenti alla costruzione di queste linee, a chi mai dovrebbe ricorrere il concessionario, e la società che a questo verrebbe a sostituirsi, per completare il capitale? Dove andrebbe insomma a tentare il collocamento delle obbligazioni necessarie ad emettersi? Andrebbe forse sul mercato inglese? Io non ho bisogno di dimostrarvi con troppe parole che quello è un mercato nel quale non si fa che comprare per rivendere, ciò avviene soltanto nei momenti in cui non è molto facile di trovare sul mercato stesso opportuno impiego ai capitali che ivi restano disponibili i quali non sono soliti a versarsi in un collocamento duraturo in obbligazioni straniere. Ne è prova il corso dei consolidati inglesi che toccano sempre una misura più elevata di tutti gli altri fondi pubblici appunto perché gli Inglesi impiegano di preferenza il proprio denaro in fondi inglesi.

«Ma si andrà in Francia? Ebbene in Francia le difficoltà, a cui la emissione delle nostre obbligazioni si troverà esposta, saranno anche più gravi perché di una doppia maniera. La prima quella di sapere se questi valori saranno accettati alla Borsa, dubbio che ben conoscete non essere stato ancora risoluto. La seconda difficoltà sarà che quando i nostri titoli fossero per avventura accettati alla Borsa di Parigi, non potrebbero sottrarsi alle contrarietà suscitate dagli altri speculatori, i quali fossero interessati a fare felice l'impresa, perché essi vorrebbero avere la preferenza Tutti questi timori acquisterebbero anche maggiore forza in qualche momento di crisi politiche, talché è prudente scongiurare questi pericoli col mettere i valori di che trattasi nelle mani di chi ci presenta come più capace di sostenerli. E la società rappresentata dai signori Rothschild e Talabot ha saputo con mezzi propri non solo provvedere ad ingenti spese di costruzione anche durante l'ultima guerra, ma ha saputo portare le sue obbligazioni ad un prezzo cosi alto da superare quello dello emissioni di un premio tanto vistoso quanto è esteso il ribasso che un'altra società ha dovuto sopportare sui propri valori, tuttoché avesse ottenuto dallo stato una guarentigia di ventimila lire dì reddito netto chilometrico, e così quella degli interessi per le obbligazioni.


Una terza società che si presentasse nuova ai negoziati di questa società di valori, senza neppure essere accreditata dalla opinione, della specialità, e della pratica che si richiede in questo genere di affari, questa società si troverebbe esposta ad una concorrenza anche più perniciosa; e se ne derivasse un grave scapito nel prezzo delle obbligazioni e delle azioni, ne avverrebbe che quando dovessimo trovarci nella necessità di concludere un prestito, che non credo molto lontano, ci troveremmo esposti a dovere subire le conseguenze del correlativo discapito della nostra rendita pubblica, e ad essere costretti di procurarci, disgraziatamente a caro prezzo, i mezzi pur troppo occorrenti a far fronte ai bisogni dello stato. Desidero che i miei colleghi più illuminati di me rispondano a queste obiezioni perché in presenza di esse credo che il nostro esame non possa mai essere spassionato, spregiudicato abbastanza nel cercare di stabilire quale delle offerte raccolga maggiore probabilità di successo.»

Il ministro dei lavori pubblici difendeva il contratto con la casa Rothschild. Appena assunto al ministero egli fu sollecito di cercare un appaltatore che assumesse la costruzione delle ferrovie meridionali, e col metodo più speditivo delle trattative private. Si fecero parecchie offerte, purché si accordasse tempo agli studii, e alla raccolta dei capitali occorrenti. Più sollecita di tutte fu la casa Rothschild a condizioni alquanto gravose ma con promessa di pronta esecuzione. Anche la casa Salamanca entrò in concorrenza, ma chiedeva un anno di più per condurre a termine l'opera. Perciò si accettò l'offerta della casa Rothschild in nome della società Lombardo-Veneta, a cui potevano prender parie anche i capitalisti italiani. Essa è una delle più solide e delle più fiorenti che si conoscano, tantoché le sue azioni hanno lire 120 di premio, e le sue obbligazioni sono ad un saggio molto elevato. Il ministro stimò fare cosa utile che l'antica società fosse fusa con la nuova per dar credito alle azioni e alle obbligazioni di questa. Imperocché era tale la riputazione della società Lombardo-Veneta, chc durante la guerra del 1859 prosegui i suoi affari come in tempo di pace. Non è a rimproverarsi il ministero per avere accettata la fusione con una società che esercita puranco le ferrovie austriache, perché ciò non reca alcun danno ai nostri interessi né dal lato economico né dal lato politico.


D'altronde l'articolo 9 del trattato di Zurigo obbliga il nostro governo a riconoscere e confermare tutte le convenzioni di strade ferrate derivanti dai contratti del 14 marzo 1856, degli 8 aprile 1857, e del 23 settembre 1858. Ma chi non sa che i capitali essendo cosmopoliti non si può impedire che quegli degli stranieri vengano a comprare le rendite dello stato, le azioni industriali, e delle ferrovie? Dunque questa separazione di affari fra i nazionali e gli esteri è una utopia, come la cittadinanza italiana che vuolsi dare ad una compagnia industriale.

Ma si teme che facendo una concessione alla società Rothschild si venga a renderla troppo potente, e così dannosa a noi dell'abuso delle tariffe, e colla soverchianza di tutte le altre imprese. Questo pericolo può evitarsi con la vigilanza che si è riservata il governo per contenere le tariffe nei giusti limiti, e per tutelare i dritti di tutte le altre società. Più gravosi alcuni patti richiesti dal Bastogi, come quello della libera scelta della linea da Termoli a Conza, e quello del sussidio di dieci milioni di lire in boschi demaniali da scegliersi nei siti più comodi alla costruzione delle ferrovie, con aggravio dell'erario, e con detrimento della legge forestale. A queste considerazioni il ministro ne aggiungeva un'altra concernente il tracciato della ferrovia, che raccomandava la proposta Rothschild; e dava termine al suo discorso con queste parole: «E da tre mesi che il ministero ha stipulato la convenzione sottomessa alla Camera colla casa Rothschild. Gli impegni presi dai concessionarii sono precisi, assoluti; gravissime le pene nel caso che si manchi agli obblighi assunti. Certamente questa casa potente in questo frattempo avrà potuto fare dei preparativi, e conoscendo perfettamente l'impresa e l'importanza degli impegni che ha, non mancherà di farsi onore in modo degno della riputazione di cui meritamente gode. Anzi il governo ha preso sotto la sua responsabilità, previa deliberazione dei ministri, di autorizzare il signore Rothschild a provvedere per conto dello stato una certa quantità di regoli, perché ci aveva dichiarato che se si fosse tardato questa provvista, egli non avrebbe potuto rispondere della esecuzione precisa degli obblighi suoi. Pensi la Camera seriamente a quello che è succeduto quando per amore di far bene ci siamo lasciati indurre ad approvare dei contratti che l'esperienza ha dimostrato che non potevano avere la loro esecuzione.


Io divido le simpatie della commissione per la formazione di una società nazionale, ma non ho ancora rimosso dall'animo ogni dubbio che malgrado tutta la sua buona volontà, nelle condizioni attuali delle cose, la società nazionale sia in grado di eseguire gli impegni che ha assunto la casa Rothschild, cioè di eseguirli nei precisi termini coi quali questo contratto fu stipulato».

Ma a tali giuste e solide considerazioni replicavano i fautori della proposta Bastogi col porre sempre innanzi il prestigio della creazione di una società italiana, alla quale dovevasi dare la preferenza per onore della nazionalità, e nel tempo stesso si adoperano a dimostrare che conteneva eziandio qualche patto più favorevole. Parlarono ripetutamente in questo senso i deputati Allievi, Valerio, Cini, Pisanelli, Boggio, e i membri della commissione della Camera; in particolar modo il Trezzi relatore, e il Susani segretario. L'unico tra i membri della commissione che si astenne dal parteggiare fu Francesco De Luca deputato della sinistra! Finalmente dopo calda e prolissa discussione sopra i vari articoli della proposta Bastogi, nella seduta del 9 agosto 1862, fu accolta con 195 voti favorevoli e soli 25 contrari. Tanto il Parlamento era affascinato dall'aspetto magico di quella seducente pittura!

Decorsi pochi giorni dopo questa deliberazione si costituì il consiglio di amministrazione della società delle ferrovie meridionali, del quale era presidente il deputato conte Bastogi, vice presidenti i deputati Bettino Ricasoli, e Giovanni Barracco; e fra i consiglieri vi erano altri dieci deputati, cioè Audinot, Allievi, Beltrami, Cini, Corsi, Genero, Lacaita, Trezzi, Tecchio, Valerio, e Susani; il quale era nel tempo stesso segretario del consiglio come era stato segretario della Commissione della Camera, di cui Trezzi fu il relatore. Dal qual fatto fu grandemente commossa la pubblica opinione, la quale male comportava che quei deputati che con la parola e col voto avevano si apertamente favorito questa impresa tanto profittevole ai concessionari, dovessero poi prendervi parte come azionisti, e molto più come stipendiati. Le censure andarono tant'oltre da offrire materia a molti articoli di giornale, e a degli opuscoli, uno dei quali fu scritto da un membro della stessa Camera dei deputati.


Come suole accadere, si passava dalle specialità alle generalità, e dalle cose vere alle esagerate, accusando tutto il Parlamento di mercatore sul suo mandato. Dicevano non doversi più tollerare questo abuso della rappresentanza nazionale col quale non pochi si erano arricchiti, o con illeciti guadagni, o con l'acquisto di lucrosi uffici. Si disciogliesse questa Camera composta di elementi corrotti, s'invitassero i collegi a scegliere uomini nuovi integri, dispregiatori dei privati interessi, e soltanto solleciti del pubblico bene. Queste acerbe accuse non che calmarsi col correre del tempo, rinforzavano a misura che, si facevano palesi gli enormi guadagni fatti dal conte Bastogi nei subappalti dei lavori delle ferrovie, i quali oltrepassavano i quattordici milioni di franchi, senza sottoporsi ad alcuna spesa o pericolo, ma soltanto in premio della sua qualità di promotore della società.

In tale stato di cose parve ad alcuni deputati della sinistra di non dovere più oltre comportare queste imputazioni che si davano alla Camera, e fosse necessario di chiarire i fatti affinché il biasimo colpisse chi lo meritava, e rimanesse illesa la riputazione di tanti altri uomini rispettabili. Perciò il deputato Mordini nella seduta del 21 maggio 1864, prendendo la parola anche a nome dei suoi colleghi, parlava in questa sentenza: «Dovunque i fari, i porti, i canali, le strade rotabili, e le strade ferrate si moltiplicano, s'incontrano, s'intrecciano, si può sicuramente dire che la civiltà corre veloce, versando sui popoli i beni della ricchezza, della forza, dell'indipendenza, della libertà, dell'unità stessa. Io mi ricordo che nella mia gioventù, dai dottori dell'epoca, fu lungamente fatto ostacolo all'unità d'Italia, perché dicevano che si opponeva la fisica configurazione stretta e allungata della penisola. Se questo ostacolo ci era, è stato già, e sempre più sarà vinto dalle strade ferrate. Ecco spiegata la smania che agita l'Italia per le pubbliche costruzioni e giustificato anche l'ardore parlamentare col quale abbiamo votato sempre tante leggi di pubbliche costruzioni. E non ce ne dobbiamo lamentare, purché queste spese siano fatte bene; no, non ce ne dobbiamo lamentare, dappoiché io credo che esercito e lavori pubblici sieno le due sole prodigalità che si possa permettere una giovine nazione intenta a fissare i propri destini. Però sta nella natura delle cose, che accanto al bene, si manifesti sempre il male, ancorché il male sia condannato per una legge suprema, se non a sparire, almeno a grandemente diminuire.


Ora questa smania di pubbliche costruzioni, questa necessità di gigantesche intraprese, ha suscitata una febbre di guadagni smodati, e fortificato sempre più il culto della speculazione. L'Italia, come altri paesi, è stata invasa essa pure da questa peste. Urge il provvedere. Se non giungiamo a compiere presto questa arginatura, avremo lo straripamento della corruzione. E notate, o signori, che se la corruzione cresce e si dilata per dieci, l'immaginazione popolare, la quale da prima sta incredula e sorpresa, e poi si mostra anche troppo credula ed atterrita, la esagera fino a cinquanta. I nomi più illibati sono fatti segno al sospetto, non resta riputazione intatta. Non mancano esempi per giustificare i miei detti, ma restringendomi, non è egli notorio come a riguardo delle strade ferrate meridionali da qualche tempo voci sinistre insistenti, ripetute, si siano divulgate per la stampa? É cosa di cui dobbiamo accusarci. La Camera non dee un sol momento tollerare che voci le quali colpiscono perfino taluni dei nostri colleghi circolino senza fondamento La Camera non deve tollerare per un sol momento che duri il dubbio e l'oscurità. La Camera deve procedere risolutamente con un atto solenne di moralità. La Camera deve volere che la luce si faccia, e si faccia al più presto. Egli è per tali motivi brevemente detti, ma che verranno da tutti compresi, perché questo cose sono da tutti piuttosto sentite che dette e dimostrate, egli è per tali motivi che alcuni amici miei ed io abbiamo l'onore di proporvi la seguente deliberazione: La Camera considerando che la pubblica opinione è gravemente preoccupata da fatti relativi alla società delle ferrovie meridionali, i quali atti si vorrebbero imputabili a qualche individuo rivestito della qualità di deputato: delibera che si proceda ad un'inchiesta parlamentare, la quale metta in luce se e fino a qual punto sia stata rispettata in quegli la dignità della rappresentanza nazionale, e proponga i mezzi atti, ove sia d'uopo, a dare soddisfazione alle esigenze della pubblica moralità.» Questa proposta fu ascoltata da tutti i lati della Camera con straordinario favore, ed anche da quegli stessi che avevano notoriamente partecipanza nelle strade feriate; come se volessero dimostrare che la lor partecipanza era onesta e non temevano gli effetti dell'inchiesta. Soltanto il Peruzzi ministro dell'interno si dolse che questo ordine del giorno, non che altri consimili, sorgessero inaspettati e non annunciali in precedenza in onta al regolamento.


Contuttociò la proposta Mordini fu accolta alla umanità dei voti conferendo al presidente della Camera la scelta dui sette membri che dovevano comporre la commissione dell'inchiesta. La quale scelta cadde soprai deputati Baldacchini, Finzi, Lanza, Malenchini, Musolino, Piroli e Santocanale. Nella seduta del 14 luglio il deputato Lanza annunziava che la commissione aveva condotto a termine il suo lavoro, e proponeva che la relazione fosse letta in comitato segreto. Al che opponendosi il deputato Bastogi, fu stabilito che si leggerebbe il giorno appresso in seduta pubblica come fu fatto. Grande era l'aspettazione di tutti per udire la sentenza definitiva sulla moralità dei principali attori che avevano figurato in questo dramma. L'opinione più universale era quella che si cercasse, se non di coprire la colpa, almeno di attenuarla tanto da renderla quasi insensibile, ed in ogni caso di limitarla a poche persone per salvare la dignità del Parlamento. Ma il difetto non stava tanto nei riguardi che si volessero usare dai componenti della commissione verso i loro colleghi, quanto nella insufficienza dei poteri che loro erano compartiti per adempiere al loro ufficio; imperocché non essendo stata sanzionata una legge che stabilisse le norme di queste procedure, non potevano astringere i testimoni a presentarsi, e quando si presentassero non potevano obbligarli a deporre con giuramento, con grave discapito della verità che vuolsi mettere in chiaro. Or dunque fu quel lavoro assai imperfetto, e atto soltanto a dare degli indizii piuttostoché delle prove; tantoché è da far maraviglia come potesse condurre a qualche conclusione. Comunque sia, stimiamo prezzo dell'opera di riferirlo qui nella massima parte, sembrandoci un documento atto a far conoscere come il regno della libertà e della civiltà non sia andato di pari passo col progresso della moralità, e che è ancora lontano il tempo di vedere l'amore di patria anteposto a quello degli interessi materiali.

«Risalire alle origini, alle cause delle oblique voci e delle accuse che accompagnarono la prima costituzione della società italiana delle ferrovie meridionali, e si rinnuovarono ultimamente più acerbe per fatti denunciati in pubblici giudizii, appurare, per quanto il consentivano i suoi mezzi, i fatti e le circostanze tutte che avere potessero qualche attinenza collo scopo dell'inchiesta; non dissimulare a se stessa alcuna delle accuse, e dì tutte cercare le ragioni e il fondamento.


Esporre alla Camera con piena imparzialità i risultamenti dell'inchiesta e l'apprezzamento che dei medesimi nella sua coscienza la commissione ne ha fatto. Avvisare quali mezzi parrebbero più idonei a provvedere affinché nell'avvenire il più lontano dubbio con possa sorgere ad offendere la rappresentanza nazionale, che tutti senza distinzione di partiti, abbiamo stretto dovere e incontestabile dritto sia intangibile nei rispetti della onestà e della moralità. Tale, o signori, fu il compito che ci parve assegnato dalla vostra deliberazione, e del quale veniamo ora a darvi relazione. Quando il Talabot rinunziò alla convenzione sancita con la legge 21 luglio 186l, l'onorevole Peruzzi, allora ministro dei lavori pubblici, tentò di conseguire che altri capitalisti subentrassero senza ritardo in queil 'impresa, onde fosse continuata, nel modo più conveniente agli interessi dello stato, la costruzione dei lavori. A tale scopo furono fatte pratiche presso alcuni capitalisti italiani, ma non ebbero alcun successo; e a questo medesimo scopo l'ingegnere deputato Grattoni fu inviato a Parigi dal ministro Peruzzi, e le diligenze ivi adoperate parvero promettere una qualche probabilità di successo. Da Parigi I' ingegnere Grattoni si trasferì a Napoli, dove allora era il ministro dei lavori pubblici, e per incarico del medesimo studiò sui luoghi la rete ferroviaria, e si formò un criterio del probabile costo della costruzione per norma delle trattative. Tornato a Torino, dove convennero pure i capitalisti francesi con cui erano state iniziate trattative in Parigi, non fu possibile concluder nessun'accordo. Allora venne provveduto che i lavori si proseguissero intanto a spese dello stato, a senso dell'articolo 2 della legge dei 21 luglio 1861.

«Succeduto al Peruzzi nel ministero pei lavori pubblici l'onorevole Depretis, questi non omise alla sua volta di fare appello ai capitalisti italiani, e di eccitarli ad assumere questa grande impresa, ma inutilmente. Vennero quindi aperte le trattative colla casa Rothschild che condussero alla convenzione soscritta nel dì 15 giugno 1862, e presentata al Parlamento nel giorno seguente. La proposta ministeriale incontrò negli uffici forte opposizione, e fu giudicata onerosissima allo stato; e il mandato che ebbero i commissari fu in generale di studiare se si potessero ottenere offerte o condizioni migliori. Nel giornale ufficiale del 1 luglio fu annunziata la nomina della commissione, la quale elesse a suo presidente il deputato Trezzi, e a segretario il deputato Susani.


Mentre la commissione era occupata a sdebitarsi del suo mandato, il deputato Bastogi si determinò a mettersi a capo di una società italiana, e di domandare la concessione della costruzione ed esercizio delle ferrovie meridionali... balle stesse dichiarazioni fatte dal deputato Susani davanti alla commissione d'inchiesta, risulta che anche l'opinione sua personale era apertamente avversa al progetto ministeriale, ed anzi durante le trattative tra il governo e il Rothschild, il deputato Susani, al quale pareva che l'accordare ad una società che già possedeva la rete delle ferrovie dell'Italia centrale, a cui si voleva pur cedere la ferrovia da Voghera a Piacenza, fosse politicamente ed economicamente gravissimo errore, si era recato a Parigi a conferire con uno dei più rinomati ingegneri, ed aveva scritto ad autorevole personaggio a Londra per trovar mezzi che altri venisse in concorrenza al Rothschild, e la concessione non cadesse nelle mani di questo. Pertanto mentre durava il lavoro della commissione, di cui il Susani era segretario, questi si rivolse al deputato Bastogi, ma non fu il solo, perché il deputato Bastogi ha più volte e con diverse persone dichiarato che molti amici e deputati lo eccitavano ed animavano allo stesso fine. Prima di determinarsi a cedere a queste sollecitazioni, il deputato Bastogi molto esitante, s'indirizzò al deputato Grattoni onde gli desse lumi e consiglio, e il deputato Granoni anche per le notizie personalmente raccolte sui luoghi nella circostanza sovraindicata, lo potè confortare all'impresa assicurandolo che si trattava di affare buono; e pure in progresso lo giovò in più circostanze dell'autorevole suo consiglio ed ajuto.

«Fermato dal Bastogi il partito di mettersi a capo di una società italiana, e di domandare la concessione delle ferrovie meridionali, procacciò di assicurarsi tante sottoscrizioni quante bastassero a coprire il capitale sociale, e dare sicurtà al Parlamento della solidità della sua proposta; e nel medesimo tempo provvide a garantirsi nel suo interesse personale, onde l'impresa a cui si accingeva, non tornasse a rovina del suo patrimonio. Secondo le testimonianze di parecchie persone udite dalla commissione nostra, il Bastogi, col mezzo dei suoi agenti, avrebbe diramata e fatta sottoscrivere tra il 23 e il 25 luglio una formula d'obbligazione redatta in questi termini:


Nel caso che vi decidiate a fare al governo italiano la sottomissione per ottenere la concessione delle strade ferrate dell'Italia meridionale, con eventuale della linea da Voghera a Pavia, e da Pavia a Brescia per Cremona in Lombardia, per quindi farne cessione a una società anonima da costituirsi col capitale di cento milioni di lire italiane in azioni, colla facoltà di emettere obbligazioni per il doppio del capitale sociale, ci obblighiamo a prendervi parte perla somma di N.... azioni da lire 500 valore nominale. Approviamo finora tutte le condizioni che vorrete stabilire nella convenzione che conchiuderete col governo iialiano. — Alcuni giorni dopo, il conte Bastogi, sempre a mezzo dei suo: agenti, fece presentare e sottoscrivere agli azionisti una modula di obbligazione litografata, perfettamente uguale, dichiarando che per essere presentata al Parlamento era conveniente che avesse egual forma. Ma nel medesimo tempo gli agenti del Bastogi avrebbero fatta firmare agli azionisti altra obbligazione di un tenore alquanto diverso che diede origine ad alcune liti tuttavia pendenti.

 Per quanto concerne le cautele che il Bastogi ammette in massima di aver preso onde preservarsi dai pericoli ai quali poteva trovarsi esposto in una impresa dt tanta mole, e specialmente fino al giorno in cui venisse costituita la società, risulterebbe dal complesso delle testimonianze, raccolte dalla commissione, che prima di diramare le formule di sottoscrizione che dovevano presentarsi al Parlamento il deputato Bastogi venisse a trattative con alcuni dei principali capitalisti che si associavano alla sua impresa, e cedesse ai medesimi la costruzione. I cessionari si sarebbero ripartiti in tre gruppi, cioè il Credito mobiliare. i signori Brassey e compagnia, e diversi capitalisti lombardi. Le trattative che dapprima sarebbero state condotte sulla base che il Bastogi avrebbe, rispetto agli azionisti, assunto la costruzione per lire 200,000 al chilometro, e ne avrebbe consentito il subaccollo, in ragione di lire 188,000 al chilometro; si sarebbero poi fermate e concluse in questi termini: il Bastogi avrebbe riservata a sè la costruzione per lire 210,000 al chilometro rispetto agli azionisti, e ne avrebbe fatto cessione ai tre gruppi di accollatari in ragione di lire 198,000 al chilometro.


I quattordici milioni circa di utili risultanti da questa combinazione a vantaggio del Bastogi si sarebbero ripartiti per modo che una metà restasse al Bastogi e l'altra metà suddivisa per quinti, sarebbe stata assegnala in parte ai tre gruppi di costruttori, e in parte riservata ad altre persone, tra le quali un testimonio annovera il deputato Susani, e il deputato Grattoni. Ma rispetto a quest'ultimo, lo stesso testimonio aggiunge esser voce che il Grattoni non accettasse poi l'offerta che gliene sarebbe stata fatta. Ciascuno dei tre gruppi avrebbe inoltre assunto l'obbligo di acquistare un dato numero di azioni e si sarebbe riservato il diritto di potere designare persone di propria confidenza a far parte del consiglio di amministrazione della società. E coerentemente a questa riserva, al gruppo lombardo sarebbe stato accordato il dritto di proporne quattro che sarebbero poi stati designati ed effettivamente eletti a far parte della amministrazione nelle persone dei deputati Trezzi ed Allievi, e dei signori Bellinzaghi e Brambilla. Questi accordi precederono indubbiamente la presentazione della proposta Bastogi, ma la commissione si affretta a dichiarare che per testimonianza di chi narrava questi fatti veniva pur fatta fede di una circostanza sulla quale ci accaderà di tornare di nuovo, e che mostrerebbe che i deputati Trezzi ed Allievi sarebbero stati estranei e iniscienti di queste trattative e di questi accordi per quanto personalmente li riguarda.

«Del pari dobbiamo costatare che, sempre a giudizio di quelle medesime persone che hanno attestato alla commissione le condizioni e i patti sotto i quali vennero stipulati gli accordi dei subappalti deve ammettersi: 1.° Che la riserva degli utili stipulati dal Bastogi si considerò come il premio dovuto al concessionario, e un respettivo dei rischi ai quali era esposto: né mancano testimoni che avuto riguardo, se non a pericoli, all'entità dell'impresa, hanno giudicato che questo premio era moderato. 2° Che la indicazione del prezzo pel quale a fronte degli azionisti si assumeva dal Bastogi la costruzione,contribuì ad agevolare la formazione della società, ed anzi più d'un testimone ha dichiarato che senza questa condizione sarebbe stato assai difficile di raccogliere i capitali. 3.° Che la formazione dei gruppi degli accollatari dei lavori contribuì ad assicurare la loro esecuzione in tempo utile.


Il deputato Bastogi non ha negato in massima di avere stabilito con diversi gruppi il patto del subappalto, ma dichiarò che quelli accordi non vennero in formale contratto che dopo ottenuta la concessione; e in prova narrò un fatto che è pure confermato da un testimonio, cioè che con taluno ha dovuto fare in seguito qualche sacrificio non ostante le percorse intelligenze. Negò recisamente che gli utili siano stati ripartiti nel modo dianzi riferito; affermò che questi utili erano affatto eventuali, e se così non fosse stato non li avrebbe gratuitamente abbandonati. Aggiunse che possessore di molte azioni, e temendo pur sempre di gravi danni, ha procacciato di chiamare terze persone a parte dei rischi cui si vedeva esposto col cedere alle medesime una parte degli utili, ma non ha creduto di potere indicare alla commissione d'inchiesta i nomi di queste persone senza il loro consentimento; protestando però che tra queste persone non vi ha alcun deputato. Dichiarava peraltro il Bastogi di esser pronto a dare, sotto il suggello del segreto ad uno dei commissari che fosse designato dalla commissione maggiori schiarimenti. Ma la commissione per motivi troppo evidenti di collettiva responsabilità, non potè accettare questa proposta. Il deputato Bastogi ammise la possibilità che il deputato Susani, il quale fu il primo a parlargli di questo progetto, ed a persuaderlo della convenienza e bontà dell'impresa, abbia avuto parte nel concertare le condizioni dei subaccolli, ma affermò di nulla avergli dato sotto verun titolo, salvo l'ingerenza che il deputato Susani avesse avuto nel procurarli un banchiere il quale accettando una parte degli utili, assunse in proporzione di sottostare ai rischi.

«Il deputato Susani ha ammesso di avere pel primo tenuto parola al Bastogi onde volesse mettersi a capo di una società di capitalisti italiani per la concessione delle ferrovie meridionali; ha ammesso che rinnovò le sue sollecitazioni dopoché la casa Rothschild dichiarò di non accettare le modificazioni proposte dalla commissione. Ha dichiarato che il Bastogi era in grande apprensione pei rischi a cui si credeva esposto, rischi che nella opinione del Susani stesso erano dal Bastogi per lo meno esagerati, ed ha ammesso che col mezzo suo seguì la cessione al Weiss-Norsa di una parte degli utili del Bastogi, e dei rischi corrispondenti, di cui più oltre ha affermato di non avere alcuna parte nella stipulazione dei subappalti della costruzione; soltanto ha ammesso di avere potuto fare dei conti e nulla più.


Negò qualunque ingerenza nell'amministrazione delle ferrovie meridionali prima della sua nomina a segretario generale dell'amministrazione. Il deputato Grattoni senza reticenze o riserve, ha narrato che il deputato Bastogi, il quale era molto esitante a mettersi in una impresa dalla quale temeva non potere uscire senza gravi pericoli, s'indirizzò a lui per consiglio. Ha dichiarato di avere contribuito col consiglio e colla assistenza sua a determinare il Bastogi a presentare la sua proposta, e di averlo assistito in seguito in varie occorrenze, e che trascorsi due mesi circa dopo approvata la concessione, il Bastogi gli tenne questo discorso: — Io ho concluso un buon'affare; voi mi avete dato dei consigli ed ajuti, ed è mia intenzione di darvi un compenso. — Ma soggiunse che non lasciò che il Bastogi terminasse, e gli dichiarò apertamente che avendo avuto parte nella commissione parlamentare quell'offerta era per lui un offesa. Il deputato Bastogi, al quale fu resa nota dalla commissione questa risposta, ha dichiarato che tenendosi obbligato a mostrare la sua gratitudine al Grattoni pei servigi extraparlamentari a lui resi in questo affare, ebbe a domandargli come avrebbe potuto sdebitarsene, ed ha confermato che il Grattoni disse che non avrebbe accettata cosa alcuna. E ad esaurire la esposizione dei fatti risultanti in particolare sul conto del deputato Grattoni, aggiungeremo che la società delle ferrovie meridionali nel marzo del 1863 lo ha nominato ingegnere in capo, e il Grattoni ha accettato, ma dopo molta esitanza e con detrimento dell'interesse suo, avendo rinunziato alla direzione della costruzione della ferrovia ligure che gli portava vantaggi ben maggiori!!

«Quello che segui nel seno della commissione parlamentare per la concessione delle ferrovie meridionali, come si proponessero modificazioni alla convenzione 15 giugno, e la casa Rothschild rifiutasse di accettarle: Come si presentasse intanto una proposta del banchiere Salamanca non giudicata accettabile: Come la commissione venisse nel divisamento di proporre che il governo fosse autorizzato a dare la concessione sotto le condizioni proposte nel progetto ministeriale colle modificazioni introdottevi dalla commissione stessa: e come finalmente proponesse di autorizzare il governo a continuare i lavori e ad attuare l'esercizio dei tronchi che di mano in mano andrebbero compiendosi, colla emissione di obbligazioni,


pure dichiarandosi persuaso che non tarderebbero a presentarsi aspiranti alla detta concessione in vista delle già fatte proposte, e delle voci che correvano della esistenza di altri concorrenti che attendevano di conoscere le condizioni ammesse dalla commissione. Tutto questo risultò ampiamente dalla relazione presentata alla Camera dal deputato Trezzi. Si è fatto carico alla commissione stessa di avere condotto a rilento i suoi lavori, quasi per dar tempo al deputato Bastogi di condurre a buon termine gli accordi che lo dovevano mettere in grado di presentare il suo progetto. Ancora è stato avvertito come nel corso dei suoi lavori la commissione chiedesse al ministero, a mezzo del suo segretario, le più minute e circostanziate notizie sui calcoli presuntivi del costo di costruzione, tantoché questa insolita diligenza e questa straordinaria curiosità, che da prima fu giudicata effetto del zelo coscenzioso, fu poi sospettata da taluno di quelli che portarono testimonianza nell'inchiesta, che non servisse che a coadiuvare il Bastogi nel contrarre gli accordi dei quali si è parlato. Ma quanto al tempo impiegato dalla commissione fu anzi relativamente assai breve, e pel resto senza escludere la possibilità che taluno individualmente possa essersi giovato di questi lumi e di quelle notizie nei consigli e negli ajuti prestati al Bastogi, non esitiamo a dichiarare che nessun argomento sta a dare appoggio a quei sospetti a carico della commissione.

«Nella tornata del 31 luglio 1862 in cui doveva aprirsi la discussione sulla proposta ministeriale, la Camera ebbe comunicazione di quella che il deputato Bastogi aveva in quello stesso giorno diretta al ministro dei lavori pubblici. La Camera l'accolse con segni di manifesta soddisfazione, e tutti ricordiamo i sensi patriottici onde il proponente l'accompagnava. La proposta del Bastogi fu rimessa alla commissione, la quale all'indomani fece il suo rapporto. Segnalò i vantaggi politici, economici, finanziari che la proposta Bastogi presentava a confronto della convenzione del 15 giugno, e facendosi quasi interprete del sentimento, allora generale, diceva: — La commissione non esita a dichiarare che la lettura della nuora proposta, e dei nomi dei novanta che colla loro obbligazione concorrono a formare il capitale sociale di cento milioni di lire, le destò un senso d'immensa soddisfazione e di nazionale orgoglio, come parve avere prodotto jeri in ciascun membro della Camera.


Vedeva la commissione in questo importantissimo fatto di una società italiana, che si presentava ad assumere una sì vasta impresa, il risorgimento nel nostro paese dello spirito di associazione che vi pareva spento, il coraggio, la confidenza nelle proprie forze e nella capacità propria a fare; finalmente il nobile desiderio di compiere la emancipazione della nazione, anche sotto il rapporto economico e finanziario: e concludeva per l'accettazione della proposta Bastogi, salve alcune modificazioni, nelle quali reputò necessario insistere anche col nuovo concorrente.

«Respinta la proposta fatta dal ministero di comunicare alla casa Rothschild le condizioni offerte dal Bastogi, proposta combattuta anche dal relatore, il quale avvertiva che sarebbe stato come aprire in Parlamento una lotta di concorrenti, la discussione cominciò nel 3 agosto, e nel giorno 9 di agosto la concessione al Bastogi veniva approvata. Non abbiamo bisogno che di fare appello alla Camera stessa perché trasportandosi colla mente al tempo in cui questi fatti si compievano nel suo seno, vegga se è possibile ammettere che il Bastogi od altri avesse bisogno di procacciarsi dei voti col mezzo di corruzione. La stampa allora faceva plauso al gran concetto di rialzare il credito italiano, di emanciparlo dalla tirannia del capitale estero. Era una piena pressoché irresistibile che trascinava quasi tutti; e dal momento chela offerta Bastogi fu presentata, l'accoglienza favorevole che incontrò su tutti i banchi della Camera, manifestò che la sua accettazione era immancabile. Non dimeno tra le varie accuse non è mancata ancor questa che molti voli erano stati acquistati per denaro. In fatti nel giorno 26 maggio ultimo, e per deposizione di un nostro collega, risultò alla commissione d'inchiesta che si diffondeva la voce che il professore Sinibaldi già deputato, avesse affermato che quando fu discussa in Parlamento la proposta Bastogi, fu distribuita una somma a diversi deputati perché sostenessero la proposta, e il Sinibaldi aveva le prove di questo fatto. Il Sinibaldi avrebbe fatta questa comunicazione all'avvocato Giuriati, e affidate al medesimo le prove, e con queste alla mano l'avvocato Giurati avrebbe potuto ottenere che fosse imposto silenzio ad un processo politico che erasi aperto contro il Sinibaldi.


Si aggiungeva che questo fatto era stato rivelato dallo stesso avvocato Giuriati a persona degnissima di fede, e pronta se fosse necessario, a farne testimonianza. La vostra commissione deliberò tosto che si dovessero interrogare l'avvocato Giuriati, e il Sinibaldi.

«L'avvocato Giuriati si presentò alla commissione, e invitato a deporre congruamente, rispondeva che quanto era a sua notizia l'aveva saputo da un cliente, e nell'esercizio della sua professione d'avvocato, e che pure narrando alla commissione le cose risapute, doveva conciliare i suoi doveri di avvocato e il desiderio di concorrere per quanto da esso dipendesse a fare risultare la verità. Dichiarò quindi che quel suo cliente gia deputato, e colpito da grave accusa politica, per provare che non poteva su di lui l'avidità di guadagno, gli aveva narrato che nell'occasione della votazione della legge sulle ferrovie meridionali, erano stati distribuiti tre milioni a ben trenta deputati, e che volendo avrebbe potuto partecipare a quel mercimonio, e riportarne grosso guadagno e noi fece. Negò l'avvocato Giurati di aver visto alcuna prova di questa asserzione, e negò di aver fatto uso qualunque di quelle dichiarazioni nella causa penale che era stata iniziata contro il suo cliente, e della quale non aveva più inteso parlare. Un altro deputato che ci venne indicato come consapevole del fatto, invitato dalla commissione a narrare ciò che fosse a sua notizia in proposito, rispondeva che anche a lui il Sinibaldi aveva detto di sapere che nell'affare delle meridionali si erano mangiati tre milioni. Narrava che quando il Sinibaldi fu inquisito come prevenuto di un reato politico, lo raccomandò all'assistenza dell'avvocato Giurati, dal quale ebbe poi ad udire che il Sinibaldi si dava quasi vanto di avere avuto ingerenza nell'affare dei tre milioni [equivalenti a circa 14 milioni di euro NdR] spesi nell'occasione della votazione della legge pelle ferrovie meridionali, e che palesando il fatto avrebbe potuto far mettere un velo sul processo che si stava comprando a suo danno. Dal modo con cui il Giurati riferiva quelle parole al deputato cui alludiamo, questi potè intendere che il Sinibaldi lasciasse credere gli fossero state fatte delle offerte per raccogliere voti a favore della proposta Bastogi, e però ebbe a dire al Giurati esser lieto che il Sinibaldi lo stimasse un onest'uomo perché non gli aveva fatta alcuna offerta.


Senonché invitato a dire quale opinione si formasse di queste dichiarazioni del Sinibaldi, rispose che non aveva prestato fede né alle cose che il Sinibaldi disse a lui, né a quelle che avrebbe poi dichiarate al Giuriati.

«Ad ogni modo la vostra commissione non poteva omettere di procurarsi direttamente dallo stesso Sinibaldi gli opportuni schiarimenti. Fino dal primo giugno aveva invitato il professore Sinibaldi a Torino. Con lettera del 5 dello stesso mese il Sinibaldi rispondeva di esserne impedito da malattia, pur dichiarando di tenersi agli ordini della commissione. Pregato in seguito a voler dire entro quale più breve termine avrebbe potuto trasferirsi a Torino, la commissione ebbe una risposta che le fece rinunziare alla speranza che il Sinibaldi potesse in breve essere qui interrogato, e non le restò che la scelta o di recarsi a Lucca a ricevere le dichiarazioni personali del Sinibaldi, o di chiederle in scritto, riservandosi d'interrogarlo personalmente ove le sue risposte apparissero incomplete. Pertanto con lettera 14 giugno la commissione scriveva al professore Sinibaldi che dall'esame di diverse persone era risultato che esso Sinibaldi aveva dichiarato di sapere che nell'occasione della discussione della legge relativa alla concessione delle ferrovie meridionali; furono distribuiti tre milioni a diversi deputati onde votassero favorevolmente alla concessione Bastogi, e che allo stesso Sinibaldi sarebbero stati offerti grandi vantaggi se avesse accettato di adoperasi a procacciare voti favorevoli alla concessione; e lo impegnava a rispondere quale fondamento avessero quelle dichiarazioni, ed a somministrare alla commissione d'inchiesta quelle più precise notizie che in ordine ai fatti preindicati potessero servire allo scoprimento della verità. Il 17 giugno il professore Sinibaldi rispondeva alla categorica domanda portagli dalla commissione, protestando contro la falsità dell'asserto, che avesse mai detto che nell'occasione della discussione della legge per la concessione delle ferrovie meridionali al Bastogi, erano stati distribuiti tre milioni a molti deputati onde votassero favorevolmente alla proposta Bastogi. La lettera del Sinibaldi termina riepilogando in ordine a quella domanda: — Essere onninamente falso che io abbia dichiarato né in pubblico né in privato a persona vivente sapere che sia stato distribuito denaro ai deputati perché votassero favorevolmente alla proposta Bastogi.


Essere del pari falso che a me sia stata fatta offerta né di denaro né di collocamento, ne di altri vantaggi qualunque per adoperarmi a procacciare voti favorevoli a quella concessione. — Cosi risalendo all'origine, anche questa accusa che nella stessa sua enormezza si confuta da per sè, ha potuto essere recisamente smentita.

«Sancita colla legge del 21 agosto la concessione al Bastogi, la società italiana per le strade meridionali era costituita a rogito Turvano 15 settembre 1862. Intervennero all'atto, o personalmente o per procura fatta ad altri azionisti, i rappresentanti di 167,791 azioni. Il conte Bastogi cedeva alla società la concessione di costruzione e di esercizio autorizzata colla legge 21 agosto 1862, ed assumeva l'appalto generale dell'esecuzione dei lavori delle strade comprese nella concessione, al prezzo di lire 210,000 al chilometro, e sotto le condizioni portate dalla formula di soscrizione degli azionisti sopra riferita. Nell'atto medesimo furono approvati gli statuti della società. Inoltrata dal deputato Bastogi la domanda per l'approvazione degli statuti, chi, nell'assenza dui ministro titolare, reggeva interinalmente il ministero d'agricoltura e commercio, di concerto col ministro dei lavori pubblici, c on nota 10 ottobre 1862 sottoponeva al consiglio di stato il dubbio se a termini dell'articolo 7 della concessione, e pel quale il conte Bastogi aveva assunto l'obbligo di costituire una società anonima, la quale assumesse gli obblighi e acquistasse i diritti portati dalla convenzione di concessione potesse poi riservarsi l'accollo della costruzione; tanto più che dalle lettere prodotte dal Bastogi al Parlamento a provare la sottoscrizione dell'intero capitale di cento milioni, nulla appariva che portasse un impegno o un vincolo dei soscrittori precedente alla costituzione delle società. E tra le avvertenze che il ministro di agricoltura e commercio sottoponeva ai consiglio di stato in vista della capitale importanza politica delle ferrovie meridionali, e per l'interesse grandissimo che aveva lo stato di conservare incolume il credito delle società anonima, cui la legge volle affidarne la costruzione, era la delicata questione che sorgeva dall'articolo 47 degli statuti, col quale si riconosceva che i membri del consiglio d'amministrazione non potevano  né discutere né votare sopra affari nei quali abbiano interesse.


Nel medesimo tempo venivano inoltrate al ministro dei lavori pubblici e al consiglio di stato delle proteste di azionisti dirette a impedire l'approvazione degli statuti, e sulle quali la commissione non crede necessario d'intrattenere la Camera, sia perché i motivi ai quali erano raccomandate servirono di fondamento alle liti che allora erano già in corso, o che poco di poi furono inoltrate, sia perché non ostante che il consiglio di stato col suo parere 26 ottobre 1862 consentisse nelle osservazioni del ministro di agricoltura e commercio; e sentito il consiglio dei ministri, gli statuti furono con regio decreto 29 ottobre 1862 approvati con leggiere modificazioni. Approvati gli statuti restava che la società in assemblea generale procedesse all'elezione del consiglio d'amministrazione, e l'elezione ebbe luogo effettivamente nel giorno 16 novembre 1862....

«Sarebbe vano il tacere che quando si riseppe il risultato di questa elezione, l'opinione pubblica ne risenti un'impressione sfavorevole. Non ci fermiamo alle voci allora diffuse intorno al modo onde l'assemblea degli azionisti deliberò, alle proteste che nel seno stesso di quella riunione furono fatte, e delle quali hanno parlato anche i testimoni uditi nell'inchiesta. Nell'opinione pubblica parve grave inconveniente che potessero chiamarsi ad aver parte in un'impresa sussidiata dal governo, un numero di deputati relativamente molto forte; più grave ancora che fosse chiamato a prendervi parie chi per ufficio aveva propugnato efficacemente in Parlamento l'approvazione della concessione al Bastogi. Non è chi ignori come la stampa abbia io questi ultimi tempi parlato di quel fatto, e in generale della partecipazione dei membri del Parlamento a funzioni retribuite nelle amministrazioni sussidiate dal governo. E la vostra commissione ha creduto suo debito di richiamare particolarmente l'attenzione della Camera sulla questione di principio, e lo fa con tanta maggiore franchezza, da che è lieta di affermare che da nessuna testimonianza, da nessun risultamene dell'inchiesta sia provato che la elezione, anche di un solo dei deputati chiamati a far parte dell'amministrazione delle ferrovie meridionali, fosse effetto di intelligenze alle quali gli eletti partecipassero. Anzi si ha testimonianza che il deputato Trezzi esitò assai pi ima di accettare, mosso principalmente da un riguardo personale per la parte da esso sostenuta come relatore.


Altro testimonio ha spontaneamente dichiarato che a lui solo, ed insciente il deputato Tecchio, devesi attribuire che il Bastogi lo annoverasse tra le persone che furono proposte, e quindi elette a comporre I'amministrazione. Ma non è men vero che questo fatto ba dato luogo a sospetti ed insinuazioni che tornano ad offesa della Camera intera, e la vostra commissione ha riconosciuto la convenienza che sia provveduto affinché non sorgano nell'avvenire nuove occasioni. A tale scopo è diretta una delle sue deliberazioni. Ma la commissione si fa debito di dichiarare che la sua proposta non include censura o biasimo verso quei colleghi i quali ora facciano parte di amministrazioni sussidiate dallo stato.

«Ora c'incombe di entrare nell'esame di un fatto speciale e distinto, il quale abbisogna di tutta la vostra attenzione. La ditta Weill-Schott istituiva contro il conte Bastogi, anche quale rappresentante la società delle ferrovie meridionali, contro il signor Balduino e la Cassa dell'industria e commercio, un giudizio nel quale sosteneva in sostanza  che essa ebbe a firmare la prima modula di soscrizione delle azioni, e ricusò di firmare la seconda che privava gli azionisti dei vantaggi della costruzione: che durante la discussione alla Camera dei deputati della legge sulla concessione delle ferrovie meridionali, il signore Alberto Weill-Schott acquistò 1200 azioni col mezzo del deputato Susani, e del signor Balduino, i quali agivano come mandatari dei Bastogi, e le acquistò col patto di avere gli stessi dritti competenti ai soci fondatori. A provare che le azioni gli erano vendute col mezzo del deputato Susani esibiva agli atti diverse lettere; e a dimostrare che il Susani agiva nell'interesse del Bastogi la ditta Weill-Schott chiedeva di essere ammessa a provare diversi fatti, e tra gli altri che il Susani per l'adempimento dell'avuto mandato e per le sottoscrizioni da lui raccolte, fu retribuito dal conte Bastogi mediante un titolo di credito dell'ammontare di circa un milione di lire italiane, che egli poi negoziava cedendolo al 60 per cento circa a più case di Banca. Questa causa nella quale la ditta Weill-Schott restò soccombente in prima istanza fu poi portata sul terreno di quistioni di procedimento, e la istruzione del merito che restò sospesa, non ha potuto somministrare alla commissione alcun lume che le servisse di guida per constatare i fatti, e apprezzarli sotto lo speciale aspetto nel quale soltanto devono da noi essere esaminati.


La commissione ha dunque dovuto istituire direttamente quelle indagini che nei limiti dei mezzi d'istruzione di cui poteva servirsi, valere potessero a scoprire la verità. Ecco i risultamenti da noi ottenuti:

«Il signor Alberto Weill-Schott era da tempo in relazione col deputato Susani da lui consultato come ingegnere intorno al progetto di fondazione di una società italo-belga per la costruzione di macchine; progetto che il Susani aveva preso impegno di raccomandare, ed in effetto ha raccomandato presso il ministero dei lavori pubblici. Nella sostanza sono d'accordo su questo precedente il signore Weill-Schott e il deputato Susani, e le pratiche di questo presso il ministero dei lavori pubblici sono attestate anche dal deputato Saracco che allora era segretario generale di quel ministero. Nel luglio 1862 la ditta Weill-Schott partecipò alla soscrizione delle azioni che si raccoglievano pel Bastogi, e firmò per un milione di lire. Ma avendo poi ricusato di sottoscrivere alla formula di soscrizione che riservava al Bastogi la costruzione, le enne restituita la prima obbligazione. Senonché avendo il signore Alberto Weill-Schott nel luglio avuto l'incontro del deputato Susani in Torino, sarebbe stato dal medesimo incoraggiato ad acquistare delle azioni colla assicurazione che tra pochi giorni avrebbero guadagnato 200 lire di premio. Intanto il signore Alberto Weill-Schott ebbe da case estere commissione di acquistare un dato numero di quelle azioni e si trasferì di nuovo a Torino. Era il giorno 2 agosto 1862, parlò col Susani nel palazzo della Camera onde gliele procurasse, e lo impegnò nel medesimo tempo ad appoggiare presso il Bastogi le preferenze a cui aspirava a fornire materiale mobile della società italo-belga alle ferrovie meridionali. Secondo le dichiarazioni del signore Weill-Schott, il Susani gli avrebbe risposto che intorno all'interesse della società italo-belga non poteva prendere alcun impegno, e che quanto alle azioni le avrebbe date, e a tale effetto lo indirizzò con sua lettera al signor Balduino, onde presso il medesimo combinasse la scritta di obbligazione. Il signore Weill-Schott trovò il signor Balduino in una stanza del palazzo Carigno, e presi qui i relativi accordi per l'acquisto di 1200 azioni; ringraziò per lettera il Susani, e scrisse poi nella sede del Credito mobiliare la relativa obbligazione.


«Ma il signor Weill-Schott afferma inoltre che egli domandò ed ottenne azioni originarie o di fondazione, e partecipanti perciò, secondo egli ritiene, anche ai profitti della costruzione; e quando indi a non molto vide che si trovava escluso dalle combinazioni relative, s'indirizzò al signore Balduino a reclamare. E stando sempre alle dichiarazioni del signore Weill-Schott, il signor Balduino gli avrebbe osservato che trattavasi di affare concluso col Susani che allora era partito per Parigi, e non gli poteva dare alcuno schiarimento. Il deputato Susani ammette che nel giorno due o tre agosto il signore Weill-Scholt fu a parlargli alla Camera manifestandogli il suo desiderio di acquistare delle azioni della società Bastogi, che esso gli rispose di non averne, ma avrebbe potuto sentire dal Balduino se gliene poteva procurare. Che in effetto parlò al Balduino, il quale gli disse di rispondere al signore Weill-Schott che passasse da lui all'indomani, e probabilmente gli avrebbe dato le azioni; e cosi fece. Ed aggiunge che allora il signore Weill-Schott gli scrisse una lettera nella quale lo ringraziava delle azioni avute per mezzo suo, ed entrando a parlare del progetto della società italo-belga accennava a promesse, delle quali il signor Weill-Schott pareva volesse quasi prendere atto. La lettera esibita alla commissione d'inchiesta dallo stesso deputato Susani è questa: — Torino 2 agosto 1862. Egregio signor Deputato. Vi ringrazio assai per le 1200 azioni della combinazione Bastogi che avete messo a disposizione della mia casa. Vado pure a comunicare ai signori fondatori della società italo-belga la vostra promessa di chiamare essa società prima di ogni altra a trattare del materiale mobile accordato per le strade ferrate meridionali, e prima di prendere qualunque deliberazione relativa al materiale mobile. Vi sarò gratissimo se in risposta alla presente potreste indicarmi qualche base per le trattative da farsi, e non dubito che le medesime riusciranno a reciproca soddisfazione.

«Il deputato Susani che vide in questa lettera quasi un'insidia perché si parlava di promesse che egli non aveva fatte, si determinò di scrivere al signor Alberto Weill-Schott la lettera di cui infra, senza tener conto di quella che gli aveva indirizzata il Weill-Schott in quello incontro: — Signori fratelli Weill-Schott Milano. Dirigendovi entro domani al signore Domenico Balduino presso il Credito mobiliare di Torino, potrete cambiare le lettere necessarie per avere le azioni 1200 che vi furono riserbate sulla sottoscrizione Bastogi a forma dell'inteso.


Perciò che si riferisce all'affare del materiale mobile per la società italo-belga che intendete di fondare, non posso che ripetervi ciò stesso che a voce ho ieri detto. Per quanto dipenda da me, quando sarà costituita la società Bastogi, mi adoprerò affinché prima di trattare con altri per le provviste del materiate mobile per l'esercizio dello stabilimento in Napoli per la costruzione del materiale medesimo, sieno sentite le proposizioni del rappresentante dell'italo-belga. In quanto al dirvi fin d'ora quale potranno mai essere le basi delle trattative, egli è chiaro che io sono per adesso impossibilitato a entrare in questo argomento, pel quale nessuno, finché la società non sia legalmente costituita, ha facoltà di trattare, e meno di ogni altro io, il quale non ho incarico né  veste ufficiale di sorta in questo proposito. —

«Ben vede la Camera che se con questa lettera il Susani distrugge quanto pareva risultare dalla lettera Weill-Schott in ordine alla promessa relativa alla fondazione della società italo-belga, non contradice menomamente la ingerenza per esso presa nel collocamento delle azioni acquistate da Weill-Schott. Che anzi trattandosi di una lettera i cui termini furono avvertitamente calcolati nella previsione di future contestazioni, ci dà argomento di credere che veramente la parte presa in ciò dal Susani non fosse né cosi accidentale né limitata a un semplice ufficio amichevole: Dirigendovi entro domani al signore Domenico Balduino presso il credito mobiliare di Torino, potrete cambiare le lettere necessarie per avere le azioni 1200 che vi furono riserbate nella sottoscrizione Bastogi a seconda dell'inteso. Cosi scriveva il Susani; e il valore e la portata di queste parole è troppo evidente perché la vostra commissione, o signori, non vegga anche in questo fatto la prova di una ingerenza diretta e attiva del Susani nella impresa Bastogi, e in una sfera d'interessi ben diversa da una operazione ufficiosa con consigli meramente tecnici, ingerenza incompatibile colla posizione sua personale nella commissione parlamentare, alla vigilia della discussione sulla proposta Bastogi. Nè questo apprezzamento ha potuto modificarsi alla lettura di altra lettera che nel 2 ottobre il deputato Susani scriveva al signor Balduino, negando recisamente di avere fatto promesse al Weill-Schott alle quali fosse subordinato il prendimeto delle azioni, e dove il fatto è narrato pressoché nei termini in cui il deputato Susani lo ripeteva alla commissione d'inchiesta.


Poiché se nell'ottobre il Balduino gli scriveva per sapere con quali condizioni, e con quali promesse consentisse al Weill-Schott di procurarsi delle azioni, ci parve manifesto che il Balduino veniva a riconoscere nel deputato Susani qualità e poteri per mettere condizioni, e consentire promesse ai soscrittori di azioni.

«Già si è accennato come tra i fatti che la ditta Weill-Schott si proponeva di provare in giudizio vi avesse, che il Susani fu retribuito dal Bastogi con un titolo di credito di circa un milione per l'adempimento del mandato da esso Susani avuto di procurargli parte del capitale occorrente per la costituzione della società. La commissione; pure tenuto conto della circostanza che le dichiarazioni del signore Alberto Weill-Schott, come personalmente interessato ed avversario del Bastogi, non si dovevano accogliere senza riserva e cautela grandissima, non poteva chiedere ed ottenere da altri che dallo stesso signore Alberto Weill-Schott i primi indirizzi per metterti nella via di scoprire quanto di vero vi fosse in quella grave dichiarazione. Il signore Alberto Weill-Schott pertanto affermava di avere saputo in un dato giorno dal signore Sigismondo Weis, come in quello stesso giorno questi avesse acquistato una lettera di obbligazione rilasciata dal Bastogi a favore di un deputato per servigi parlamentari, e che si fosse con ciò esso Weis assicurato un profitto maggiore di quello che potevano aspettarsi gli interessati nella costruzione. Aggiungeva il Weill-Schott che il signore avvocato Namias era stato consultato sul modo di compilare la lettera di cessione, onde avesse valore giuridico a favore del concessionario. Interrogato dalla commissione d'inchiesta il signore avvocato Namias, rispose essere stato consultato come avvocato, ed in tale qualità non poter fare alcuna dichiarazione. Aggiunse che le sue riserve non dovevano interpretarsi nel senso che egli non volesse palesare cosa che fosse a carico di qualche deputato, poiché era stato chiamato a dar parere sulla validità della cessione di utili in una grande impresa, ma i nomi e più particolarmente quello del cedente era taciuto. E siccome risultava alla commissione che il signor avvocato Namias avesse pubblicamente tenuto discorso di questo affare, e senza riserva dichiarato trattarsi di un consulto del quale 'o aveva richiesto il signor Laschi intorno alla cessione di un credito che il Bastogi aveva alla sua volta ceduto al Susani io benemerenza di servigi a lui resi,


ed aveva aggiunto che gli affari grossi, e con abuso della loro qualità, si facevano dai deputati moderati, la commissione lo interrogò su questa circostanza. L'avvocato Namias non negò di avere tenuto qualche discorso in proposito, ma si mantenne nella sua riserva.

 Ora ecco quali furono in ordine a questo fatto l'esplicite dichiarazioni del signore Sigismondo Weiss. Negò innanzi tutto e recisamente di avere tenuto al signore Alberto Weill-Schott il discorso che questi gli attribuiva. In ordine all'acquisto del titolo di credito, narrava che sulla fine di agosto 1862, il deputato Susani comunicava alla ditta Weiss-Norsa che il conte Bastogi era disposto a rinunciare una parte, e precisamente il dodicesimo degli utili che si era riservati nel cedere la costruzione ai diversi gruppi di accollattari; e il Susani stesso le chiedeva se quella ditta avrebbe atteso a questo affare. La ditta Weiss-Norsa non credeva allora che l'Impresa fosse abbastanza sicura e prese tempo a deliberare. Ai primi di settembre fece sapere al Susani che era disposta ad accettare in parte la proposta. Si venne a trattative col Susani, e allora si concluse che la ditta Weiss-Norsa avrebbe accettato un terzo degli utili che il Bastogi voleva alienare. Questo terzo venne calcolato a lire 370,000, e fu stabilito il prezzo della cessione in lire 200,000 le quali vennero pagate in tre rate al deputato Susani. Il signore Sigismondo Weiss afferma che la sua casa non conosceva il Bastogi; e siccome il Susani assumeva di rispondere e guarentire pel Bastogi, non si curò di sapere se veramente il Susani agisse pel Bastogi come la ditta Weiss-Norsa riteneva, ovvero lavorasse per se. Il Susani promise al cessionario che gli avrebbe procurato direttamente dal Bastogi il titolo di credito ceduto, e garantì personalmente la ditta Weiss-Norsa che avvenendo che colle riscossioni future della quota di utile a lei cedute, non ottenesse il rimborso delle lire 200,000, la somma le sarebbe restituita a debita concorrenza. Ecco la formula della obbligazione dal Susani sottoscritta nella prima obbligazione, quale ci fu trasmessa dallo stesso signor Weiss. — Se coi totali pagamenti che far deve il signor conte Bastogi alla ditta Weiss-Norsa e compagnia per la terza parte dei dritti cedutili, essa ottenesse somma minore del prezzo sborsato e degli interessi relativi, sarà tenuto, come si obbliga il signor Susani di rifondere alla stessa ditta quanto mancasse a raggiungere il correspettivo convenuto di italiane lire 200,000,


e i relativi interessi al cinque per cento annuo, a partire dal giorno degli sborsi. La ditta Weiss-Norsa si pentì di non avere fino da principio accettata intera l'offerta del Susani, poiché ben vide che l'affare era buono, e le condizioni della società assai rassicuranti. E quando nel dicembre del 1862 il Susani secondo la fatta promessa le presentò il documento dal quale appariva che la cessione l'era fatta direttamente dal Bastogi trattò col Susani per concludere l'affare intero, e fu presto combinato in questi termini. L'ammontare complessivo degli utili che erano ceduti alla ditta Weiss-Norsa fu valutato a lire 1,000,000; e ritenuto che pel terzo di questo valore erano state pagate lire 200,000, si convenne che per gli altri due terzi la ditta Weiss-Norsa avrebbe pagato al Susani lire 475,000, e le pagò realmente. Il Susani guarenti la ditta Weiss-Norsa anche per questa somma e relativi frutti pel caso che non ne conseguisse il rimborso nella riscossione degli utili.

«Le dichiarazioni del deputato Bastogi e del deputato Susani davanti alla commissione furono in questa parte molto riservate, ma amendue convennero nel dichiarare che prima che fosse votata nella Camera dei deputati la legge che approvò la concessione al Bastogi, quest'ultimo preoccupato dal timore dei pericoli, cui si credeva esposto, disse al Susani che era pronto a cedere una parte degli utili che si era riservato nella cessione della costruzione, ad un banchiere che lo rilevasse dai rischi in proporzione. La proposta Bastogi fu dal Susani, accettata, e promise di trovare il banchiere che lo rilevasse dai pericoli accettando in compenso una quota proporzionata di utili. Dopo approvata la concessione gli avvenimenti politici interni accrebbero i timori del Bastogi, il quale avrebbe rimproverato al Susani di non avere mantenuto la promessa di trovargli un banchiere. In questa occasione, per dichiarazione dello stesso Susani, passò tra il Bastogi e il Susani qualche cosa di scritto. Il Susani avrebbe poi profittato per se della proposta Bastogi, scontando in due volte per la somma complessiva di lire 675,000 gli utili messi dal Bastogi a disposizione del banchiere; poiché essendosi esso Susani costituito garante verso il Bastogi, venne ad assumere a suo carico i pericoli. E nel sistema del Susani le lire 675,000 sarebbero il corrispettivo dei pericoli a cui stette esposto dall'agosto al dicembre del 1862.


La vostra commissione ha dovuto farsi carico di apprezzare queste dichiarazioni, di ravvicinare tutti i risultamenti dell'inchiesta, ed esaminare se e quanto le spiegazioni somministrate dai deputati Bastogi e Susani sono attendibili.

«E innanzi tutto, senza contestare che anche dopo la formazione dei gruppi dei costruttori, il Bastogi potesse incorrere i pericoli di danni precuniari, non s'intende come il Bastogi accreditatissimo banchiere potesse aver bisogno del Susani per trovare un banchiere che accettasse il dodicesimo degli utili che intendeva di cedere al solo patto che il cessionario lo rilevasse in proporzione dai pericoli. E tanto meno possiamo persuadercene quando sappiamo che da molte parti si reclamava contro la riserva che il Bastogi aveva fatta per se della costruzione, e i grossi guadagni che si ripeteva ne avesse ritratto; e mentre più specialmente in Firenze, come risulta da testimonianza raccolta negli atti della commissione, si instava perché fosse data qualche soddisfazione all'interesse degli azionisti, i quali sia pure a torto, lamentavano di essere stati esclusi dai profitti della costruzione. Ne ugualmente può bastare a persuaderci che veramente il Susani si trovasse esposto a rischi, l'opporre che se gli utili ceduti al Weiss Norsa non fossero stati esposti a perdite, il Susani stesso avrebbe concluso un cattivo affare cedendo un milione e centomila lire per lire 675,000; essendo evidente che la ditta acquistava e pagava in denari un valore che non era realizzabile se non a misura che si compievano i lavori delle ferrovie. Finalmente non si vuole tacere che dalla dichiarazione stessa di chi ha affermato che una parte degli utili derivati al Bastogi dalla combinazione dei gruppi dei subconduttori, fu riservata al Susani, risulterebbe ancora la causa che determinò il Susani a spogliarsene mediante sconto, e sarebbe che designato esso e poi nominato segretario generale dell'amministrazione, non avrebbe voluto conservare alcuna ingerenza nella costruzione.

«Dopo tutto questo, o signori, ecco a quali conclusioni la vostra commissione è stata condotta, e nelle quali si riassumono, secondo il proprio convincimento, i resultati dell'inchiesta: 1. Qualunque voce o sospetto di corruzione esercitata verso uno o più deputati nell'occasione della discussione e votazione della legge sulle ferrovie meridionali, è rimasta pienamente smentita. 2.


Egualmente è pienamente eliminato ogni sospetto a carico di quei deputati che pure avendo avuto ingerenza nei lavori parlamentari nella stessa occasione, accettavano di far parte dell'amministrazione della società italiana per le strade ferrate meridionali. 3. Consigliano ad ogni modo il pubblico interesse e la dignità della Camera che si abbia a stabilire per legge la incompatibilità della qualità di deputato colle funzioni di amministratore d'imprese sovvenute dallo stato, e con qualunque altra ingerenza che implichi conflitto coli' interesse pubblico. 4. Che il deputato Susani, quando era membro della commissione parlamentare nominata dagli uffici per dare parere sulla proposta ministeriale presentata al Parlamento nel 16 giugno 1862, si fece consigliatore e propuguatore primo presso il deputato Bastogi del progetto di costituire la società italiana per la costruzione ed esercizio delle ferrovie meridionali, e si adoperò in diversi modi, ed anche con ingerenza diretta nella parte meramente economica e di speculazione nelle varie operazioni che precedettero la presentazione al Parlamento della proposta Bastogi, pur continuando ad adempiere le parti di commissario. Al quale ufficio nel concorso delle circostanze preindicate avrebbe dovuto rinunziare onde rimuovere persino l'ombra del più lontano sospetto che nella ingerenza sua negli studi e lavori della commissione parlamentare, continuasse a coadiuvare l'attuazione di quel progetto che intanto si stava maturando fuori del Parlamento. 5. Che gravi argomenti persuadono a ritenere che un milione e centomila lire parte degli utili ricavati dal Bastogi nella cessione della costruzione, e che il Susani ebbe a cedere al Weiss-Norsa pel correspettivo di lire 675,000, fossero il premio riservato o dato al Susani per la sua cooperazione. 6. Che il Bastogi il quale non poteva ignorare che il deputato Susani faceva parte della commissione parlamentare, doveva rispettare nel Susani, e nell'interesse delle stesse istituzioni nostre quella posizione, e non doveva accettarlo o sceglierlo come cooperatore all'attuazione del suo progetto. 7. Che se un milione e centomila lire furono effettivamente la rimunerazione dei servizi e della cooperazione del Susani, il deputato Bastogi nelle circostanze di fatto preindicate avrebbe tanto più mancato al rispetto dovuto alla qualità che rivestiva il Susani, in quantoché riguardo al Granoni


l'offerta non accettata di un compenso fu fatta dopo che la legge sulla concessione al Bastogi era già stata votata, invece riguardo al Susani si verificherebbe che la sua cooperazione sarebbe stata interessata precedentemente alla discussione e votazione.»

Per quanto il deputato Piroli, si fosse adoperato per raddolcire l'amaro di questa relazione, contuttociò appariva manifesta la censura che nel modo il più urbano e cavalleresco,si dava anche a quei deputati che si erano ingeriti nell'amministrazione delle ferrovie, tantoché alcuni di questi rinunziarono subito alla qualità di deputato, ed altri per lo meno si astennero dal comparire alla Camera durante questa discussione, che fu fatta il 16 luglio. In questo giorno prima di tutti prendeva la parola il deputato Bastogi con molta trepidanza, e con voce tanto debole che molti tra i deputati dovettero lasciare i loro scanni per avvicinarsi a lui. Esordiva dicendo non potere per la agitazione fare lungo discorso, e si proponeva di scrivere a miglior tempo la storia dei fatti e la sua giustificazione, Non negava la possibilità che il Susani gli parlasse degli accolli dei lavori da fare come uno dei modi per incoraggiarlo a quell'impresa, ma non si adoperò in alcuna guisa a fissarne le condizioni, le quali non furono stipulate che nel dicembre del 1862. L'offerta fatta all'onorevole Grattoni era per ricompensarlo dei servizi resi nell'esame del progetto come abile ingegnere, non pel favore che avesse prestato alla concessione come deputato. Se egli stimò di non doverla accettare non fu cosa inonesta il proporla, tanto più che ciò avvenne oltre due mesi dopo la decisione del Parlamento.

Proseguiva a dire il Bastogi non essere giusto il rimprovero fatto dalla commissione di essersi valso del deputato Susani per la vendita delle 1200 azioni alla casa Weill-Schott; perché se il Susani la fece, esso non gliela aveva commessa. Tanto è vero che quando il Bastogi presentò la sua offerta al Parlamento il 31 luglio, l'accompagnò con una nota di firme componenti il capitale di 200,000 azioni dove non si trova il nome del signore Weill-Schott. Quindi è manifesto che il Susani avesse prestata l'opera sua per favorirlo, non l'avrebbe fatto per conto del proponente. Senonché l'opera sua riusciva inutile dopoché le 200,000 azioni erano sufficienti a compiere il capitale necessario all'impresa, e niuno dei soscrittori a questo capitale era stato procacciato dal Susani.


Questo valeva a chiarire che egli non si mescolò nella parte economica e finanziaria. Ma came giustificare il milione dato al Susani, e la causa per la quale fu dato? Esso l'ebbe non già per servigi parlamentari resi nella sua qualità di deputato e di membro della commissione incaricata di portare giudizio intorno alla proposta, ma come colui che si era incaricato di trovare una casa bancaria che rilevasse il Bastogi da una parte dei rischi a cui si credeva esposto per questa impresa; e il Susani stesso li prese sopra di se finché non l'ebbe trovata. Il Bastogi terminava il suo discorso con queste parole: «Ho promesso di non dilungarmi, e quando anche lo volessi noi potrei: in conseguenza dichiaro che esco da quest'aula così tranquillo come il primo giorno che vi sono entrato. Certo, io spero che verrà tempo in cui riguardo a questa impresa così malmenata da ogni parte, non saprei se più di fuori che di dentro, (oggi non posso fare albergare nell'animo mio alcuna passione) verrà tempo, e non sarà lontano, poiché il tempo è padre della verità, che si rammentera questa giornata, e si rammenterà forse con rincrescimento, che un uomo il quale si è messo alla testa della prima impresa italiana, abbia sofferto tante e tante amarezze.»

Al Bastogi replicava il deputato Piroli relatore della commissione per l'inchiesta, dimostrando che si faceva sempre più manifesto che quando il Susani gli rendeva quei servigi era membro della commissione della Camera la quale esaminava la sua proposta, e perciò si aveva ragione di credere che il milione e centomila lire fossero la ricompensa di un'opera da esso prestata in tempo sospetto e per accordi precedenti. Parlava il deputato Crispi intorno alla necessità di fare una legge sulle inchieste parlamentari, dimostrato sempre più dagli ostacoli incontrati in questa occasione per raggiungere la verità, fra i quali vi era quello della non comparsa del professore Sinibaldi all'invito della commissione. Il quale si trovò in contradizione col suo avvocato Giurati, uomo di illibata riputazione e incapace di mentire. Ora se questi avesse potuto esser messo a confronto con quel suo cliente davanti alla commissione, si sarebbe potuto conoscere da qual parte stava la verità. L'oratore richiamava alla memoria della Camera il fatto del Teste già ministro di Luigi Filippo, che nel 1846 fu condannato per concussione dalla camera dei Pari di Francia, e concludeva il suo ragionamento cosi: «Gravissimi fatti si sono imputati che sventuratamente toccano un nostro collega.


La Camera che non può giudicare cotesto individuo perché non è una corte di giustizia, ha però da stabilire delle norme, ha da fare una legislazione speciale, affinché questi non possano ripetersi, e perché in avvenire verun sospetto possa cadere sulla rappresentanza nazionale. In un disegno di legge che ho presentato a questa Camera, e che consentii fosse svolto al nostro ritorno dalle vacanze, in quel disegno di legge io chiedo che in avvenire fossero dichiarate incompatibili le funzioni di deputato con qualunque funzione pubblica, o ufficio privato, allorché questo ufficio fosse esercitato presso società sussidiate o dipendenti dallo Stato. Tutti ci siamo trovati più di una volta nella dolorosa condizione di vedere dei nostri colleghi difendere certe proposte, le quali interessavano le società di cui essi sono amministratori, lo posso assicurarvi che al sentirli parlare in quelle occasioni, ho provato nell'animo mio quasi umiliazione per loro. Quando anche nel deputato ci fosse l'animo il più indipendente, quand'anche una virtù spartana rendesse intemerato il suo cuore, è certamente possibile che venendo in conflitto gli interessi dello Stato con quelli dell'amministrazione dalla quale riceve il pane, è certamente possibile che egli si trovi in uno di quei momenti in cui l'onestà può essere posta in pericolo. É possibile che il deputato si trovi in posizione tale da dovere transigere colla propria coscienza. I deputati che si sono trovati in cotesti casi, io dovrò credere che avranno saputo uscirne con onore. Nulladimeno prudenza esige a provvedere, giacché niente ci obbliga a dovere tenere l'individuo nella trista condizione che i suoi interessi siano incompatibili col mandato di deputato. I deputati sono uomini, coperti di carne, e vivono di pane come gli altri miseri mortali. Quindi è necessario che cotesti uomini i quali non hanno la virtù della incorruttibilità, non abbiano la tentazione di cadere in fallo. La concessione delle ferrovie meridionali fu una grande sventura per l'Italia. Debbo dirlo io prima di tutti, poiché fui uno di quegli entusiasti, i quali per febbre di patria vollero che quell'impresa fosse data ad una società nazionale. Si; la concessione delle ferrovie meridionali fu una grande sventura la quale peserà lungo tempo sul credito nazionale, e sulle finanze dello stato. A noi non resta che trarne una lezione per l'avvenire!»


Parlarono nel medesimo senso i deputati Michelini, Finzi, e Brofferio; e in senso contrario i deputati Chiaves, Broglio, Berti Domenico, e altri, e dopo lunga e calorosa discussione fu adottato l'ordine del giorno proposto dal deputato Boggio cosi concepito: «La Camera approvando le conclusioni della commissione, si riserba di deliberare sull'articolo terzo» che era quello che conteneva la incompatibilità dell'officio di deputato con quello di impiegato in un'amministrazione sussidiata dallo stato. I deputati presenti erano 206, dei quali votarono per il sì 153, per il no 10, e si astennero 43. Il giorno appresso 17 luglio 1864 si riaprì la discussione sull'articolo 3 lasciato in riserva, e dopo molti discorsi pro e contra, si venne quasi all'unanimità a questa deliberazione suggerita dal deputato Biancheri, e accettata dalla stessa commissione: «La Camera invita il ministero a proporre un progetto di legge col quale si provvegga ai casi in cui può essere conflitto tra l'interesse personale, e l'interesse generale nella funzione di deputato.» Così ebbe termine questo grave incidente, che aveva richiamato l'attenzione non solo dell'Italia ma dell'Europa. Il quale servì sempre più a dimostrare che gli ordini costituzionali non bastano a rendere felici le nazioni, se non sieno accompagnati dalla probità e dalla astinenza dei cittadini; ma fece eziandio palese che veruno dei deputati della sinistra non si era mai mescolato in queste lucrose operazioni.


Il primo scandalo toscopadano: le ferrovie meridionali di Zenone di Elea




















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