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I 450 deputati del presente e i deputati dell'avvenire

GUIDO SUSANI


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La biografia del deputato di Sondrio avremmo voluto assoggettarla a quella stessa operazione, che i Veneziani fecero al ritratto del doge traditore. Un nero velo calato sul di lui nome sarebbe stato, per certuni, più significante che un volume di fatti. Ma ci trattenne il doppio pensiero che quest’opera, per vivere più in là del momento, per aspirare a. qualche cosa di più utile e di più durevole, che non sia un successo d’attualità, aveva d’uopo di contenere in sè qualche serio ammaestramento pel futuro, e di essere, per cosi dire, un manuale storico e statistico del primo Parlamento italiano.

È dunque necessario fissar la memoria di questi fatti recenti, perché in essi, i rappresentanti futuri dell’Italia, possano trovare un serio esempio e una severa lezione.

La biografia parlamentare di Susani è pur troppo feconda di ammaestramenti. Essa è, a cosi dire, la dimostrazione e la riprova più evidente di quel principio da noi sostenuto e avversato da chi lo teme forse perché si sente colpevole che nella importantissima scelta d’un amministratore della cosa pubblica, gli elettori debbono contenersi, come qualunque privato, nella scelta del proprio ragioniere: aver informazioni sulla sua vita privata; assicurarsi ch’egli non è solo un galantuomo, ma un uomo delicato; studiarlo nelle più futili operazioni della vita, dove la vera probità si rivela, finché sia entrata la certezza che esso è di quella tempra che non transige mai col più stretto punto d'onore, e che, tra un dovere e un buon affare, ha sempre lasciato di far il secondo pel primo. Susani fino all’altro giorno fu un uomo perfettamente onorevole, nel più stretto senso della parola. Gran merito! Anche prima d’essere candidato del collegio di Sondrio, il Susani, era milionario. Ma chiedetene a tutti i suoi amici, vi risponderanno, ch'egli, fin da giovinetto, fu sempre un po’ intrigante.


 V’ha chi lo dice anche d’un orgoglio che supera la misura del suo ingegno, il quale non è mediocre, e d’una presunzione mista d’imprudenza e di sguaiataggine, non iscusata da alcuna mite qualità.

Ne daremo le prove.

Nella tornata 9 luglio 1861, mentre sta parlando a tutto pasto di ferrovie, gli sfugge la parola rails, che tosto traduce in regoli. Alcuni deputati Toscani lo pregano di sostituirvi guide, ed egli, in tuono piccato e con voce ironica:


«Già.... ai Toscani certe parole non piacciono... dirò dunque guide.


Poco dopo, volgendosi a Peruzzi, con un risolino di compiacenza e scrollando l’indice della destra, esclama:


«Peruzzi, quell’oratore furbo, furbissimo»


E il ministro grato e sorridente, dal suo seggio ministeriale lo ringrazia col capo e colla mano.

In quella seduta istessa riceve una ben meritata mortificazione da Poerio, che gli rinfaccia di aver abusato di confidenza, con una sua lettera privata che riguardava la concessione Thalabot.

Poerio conchiude con queste parole:


«mi credo perciò in diritto di esternargliene pubblicamente il mio profondo risentimento.»


E Susani si mette a ridere e a fregarsi le mani.

Il giorno dopo, ei riafferra la parola e con un lungo e dilavato discorso annoia la Camera in modo che il presidente è costretto a dargli sulla voce per le bisbetiche e insolenti frasi, che quella disattenzione de’ suoi colleghi gli chiama sùl labbro.


Nella discussione del bilancio passivo de’ lavori pubblici, Susani catechizza la Camera, dicendo, che in fatto di spese era necessario andar molto adagio:


«Badiamo, signori, che pel buco precedentemente fatto, non passi il torrente.»


Invidiabile disinvoltura!.

In quella stessa seduta del 3 marzo 1863, in cui ad ogni tratto ei fa udir la sua voce argentina, una di quelle voci che Voltaire chiamava scarlatte, egli è petulante verso il grave e positivo Possenti; chiede con proterva insistenza la parola per un fatto personale e costringe il presidente 'l‘ecchio a domandargli, in che cosa consista il fatto personale.

E Susani, coll’aria (l’uno scolaro che tenta di mettere in ridicolo il maestro, risponde:


«Il fatto personale consiste nell’aver il relatore, rispondendo a me, chiamate false le cose di fatto da me riferite.»


Il relatore non aveva parlato di falsità, ma di inesattezza.

Nella seduta ’18 ottobre 1863, l’onorevole Capone, a proposito del bilancio interessi ferrovie, presentato dal senatore Bona ‘, gli amministra un’altra tirata d‘ orecchi così:


«Susani non ci dà che delle chiacchiere e delle ipotesi, mentre noi vogliamo cifre precise.»


Nella tornata del 4 agosto 1862 trattandosi appunto delle ferrovie meridionali e lombarde, il ministro Depretis chiede a Susani:


«Che cosa dobbiamo farne delle molte compagnie incomplete e fra queste, della Compagnia Vittorio Emanuele, e principalmente dopo la separazione della Savoia?»


E Susani:


«La mangeremo!»


A cui Depretis:


«La mangerete? facile il dirlo la mangeremo!»


Ingenuo ministro! Non sapeva egli che dal giorno in cui un cardinale ed un frate, per non pigliar un bagno freddo, mandarono giù la pergamena, i fili e il piombo dei sigilli d’una scomunica papale... e non morirono, la razza dei ventricoli capaci delle più laboriose digestione non è ancor spenta!

Essendo invitato dal presidente Poerio ad attendere ch’ei gli desse licenza di parlare su un fatto personale, nella seduta 7 luglio 1863; giacché come ei s’esprime:


«Spetta al solo presidente giudicare se vi sia o non vi sia fatto personale su cui dare o non dare la parola....»


il Susani con una di quelle petulanze indegno, non solo del tempio della politica, ma di qualunque educata società, uscì a dire:


«Dunque continuo.»


In quel dunque è dipinto tutt’un carattere.

Eppure il doloroso fatto, che diede origine alla catastrofe Bastogi-Susani, era stato presentito in Parlamento.


Nella seduta 6 agosto 1862, l’onorevole Mosca, quasi odorando da lungi un puzzo di corruzione, sorse a dire:


«Mi perdoni la Camera se mi valgo di una certa libertà di espressione.... ma la proposta Bastogi si introdusse alla vigilia dell’aprimento di questa discussione in un modo che non è assolutamente conforme ai buoni usi parlamentari... lo pongo termine pregando la Camera a considerare, che il modo con cui si è finora condotta questa discussione ha dovuto far nel paese la più dolorosa impressione. Siamo in tempi in cui le istituzioni che ci stanno tanto a cuore non hanno ancora gettate cosi profonde radici, che il prestigio della rappresentanza nazionale possa dirsi assolutamente al coperto da qualunque attentato. Noi viviamo anzi in tempi in cui tutti i giorni abbiamo il triste spettacolo di riputazioni illibate attaccate rabbiosameute dalla voce della calunnia e della maldicenze. È d’uopo fare ‘in modo che il sospetto e la maldicenze non possano aver mai sopra di noi nemmeno la ombra di un pretesto.»


Chi sa qual eroica fatica avrà durata l’onorevole Mosca per dirle cose tanto parlamentariamente, lui così onesto, ma gentile come un carciofo. E Susani presente avrà applaudito anch’esso alle generose parole, o avrà arrossito‘?

Chi non applaudì fu il Bonghi, il quale si querelò delle parole di Mosca, come di un insinuazione, e si meravigliò:


«perché la Camera lasciasse la sua commissione‘ esposta ai dardi dell’onorevole preopinante.»


E Mosca:

«Che dardi d’Egitto!»


A cui il traduttore di Platone.


«I dardi furono lanciati dall’onorevole Mosca; ciò però non vuol dire che ci abbiano colpiti.»


In tal caso, perché rimbeccaste, signor deputato di Manfredonia?

Lo spazio a noi concesso non ci permette di far la storia della caduta di Susani 0); un senso di moderazione e un avversione instintiva alle volgari intemperanze ci consigliano a non colpire più oltre l’uomo atterrato.

V’ha una condizione più orribile della miseria; v’ha un castigo più triste della galera; v’ha unilagello più tremendo dell’esecrazione: ed è quell’arido sogghigno di pietà e di disprezzo, con cui il pubblico guarda in viso all’uomo che ha subito una condanna morale. Questo uomo che conobbe tutto le sfumature della parola onore, che libero come voi, come voi sano e ricco, e del quale, nel vostro cuore potete pensare un’ignominiosa parola, è un gradino più in giù d’ogni altro sventurato. Jeri onorevole, corteggiato, invidiato; oggi solo, sfuggito, vilipeso; jeri tutto, oggi nulla. Non è più una persona che si discuta; è un fenomeno attraverso cui si fa passar uno spillo, come un eoleoptero da museo e sul quale, nello stesso modo che il naturalista erige una classificazione di zoologia, il legislatore innalza un sistema di diffìdenza: la legge del 17 luglio.

Vedete. La folla trae al Palazzo Carignano; sono affollati i banchi degli onorevoli; sono affollate le tribune.


(1) Vedi tutti i giornali d'Italia del 21 maggio e del luglio 1864.


 Non è una parola sacra al paese, non è una sublime o una gloriosa promessa, che sta per essere bandita sui destini immortali d’Italia; non è una lotta di passioni politiche, da cui, per mezzo della eloquenza e del talento, debba uscir incontestato il diritto d’un capo di partito ad afferrare il potere. No. Nella ressa dei deputati e del popolo, ad assistere a quella seduta, c'è della bieca curiosità, che attrae la folla dinanzi alla gogna ed al patibolo.

E là, in mezzo, nell’aria fosca, si vede qualche cosa che scuote ogni fibra: è. un sacco d’oro che passa da una mano tremante, a un’altra mano tremante anch’essa nel riceverlo.

Il Parlamento è mutato in Corte d’Assisie.

Ecco gli accusatori e i giurati. La causa è decisa; la condanna è pronunciata. Per la prima volta forse due occhi piangono in Parlamento. La folla esce attonita, commossa e piena il cuore d’un inenarrabile sentimento misto di disgusto, di indignazione e di sospetto.

Il signor ingegnere Guido Susani di Mantova, ufliciale dell’ordine mauriziano, non è più per noi una individualità studiata su documenti, e offerta agli Italiani, perché giudichino se sia degno o indegno di rioccupare il suo posto, nella prossima legislatura. Susani è morto al mondo politico, non meno dello storico della bile, Cesare Cantù.


Milano, 27 luglio.


Il primo scandalo toscopadano: le ferrovie meridionali di Zenone di Elea


















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