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Discussione del disegno di legge per concessione 

di una ferrovia da Napoli al mare Adriatico

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TORNATA DEL 2 LUGLIO 1861
PRESIDENZA DEL COMMENDATORE TECCHIO, VICE-PRESIDENTE.

SOMMARIO. Spiegazioni del deputato La Farina circa una sua interruzione nella seduta di ieri — Osservazione del deputato Crispi. ~ Domande di urgenza di alcune petizioni— Avvertenza del deputato La Masa intorno alla situazione di alcuni uffiziali siciliani — Risposte del presidente del Consiglio —Riserve del deputato La Masa. — Annunzio d'interpellanza del deputato Romano circa alcuni falli amministrativi nelle provincie napoletane. — Lettera del ministro della guerra riguardo al deputato Platino. ~ Annunzio d'interpellanza del deputato Bixio circa la scuola di nautica. — Relazione sul disegno di legge per proroga della malleveria dei procuratori. — Discussione del disegno di legge per concessione di una ferrovia da Napoli al mare Adriatico — Lettera e domanda pregiudiziale dei signori Adami Lemmi — Il deputato Crispi propone la questione pregiudiziale, che è combattuta dai deputati Bonghi relatore, Capone, Pica, Conti, e dal ministro pei lavori pubblici, ed appoggiata dal deputato Susani — Osservazioni dei deputati Minervini e Depretis—Si passa su quella proposta all'ordine del giorno — Discorso del deputato Levi contro il progetto, e risposte del relatore Bonghi — Si stabiliscono due sedute per domani. — Discorsi dei deputati Cini, Massari, Valerio e Conforti in favore del progetto — Osservazioni del deputato Brunel — Discorso del deputato Susani contro il progetto — Spiegazioni personali del deputato Poerio — Replica del deputato Susani — Presentazione di un disegno di legge del ministro per le finanze, per facoltà al comune di Casalmaggiore di costrurre un ponte di chiatte sul Po.

La seduta è aperta alle ore sette e mezzo antimeridiane.

NEGROTTO, segretario, legge il processo verbale della precedente tornata.

PRESIDENTE. Il deputato La Farina ha la parola.

LA FARINA. Propriamente io ho domandata la parola non sul processo verbale di ieri sera, ma su quello di ieri mattina, perché non mi trovava presente alla lettura del medesimo; e poi anche perché non è veramente il caso del processo verbale, ma del rendiconto ufficiale.

Ieri, quando parlava l’onorevole Crispi, avendo egli fatta allusione ad un funzionario pubblico del tempo della dittatura, io mi lasciai sfuggire un non è vero. Il presidente m’interruppe, e disse: non interrompa. Ed io naturalmente mi fermai.

Quella frase lanciata là al punto dove fu raccolta dalla stenografia (e di questo non muovo accusa agli stenografi, perché effettivamente fu delta), rimanendo interrotta, può avere una significazione diversa da quella che io le volli dare.


L’onorevole Crispi aveva fatta un’accusa a quel funzionario, soggiungendo che egli era membro della Società nazionale: io dissi: non è vero. Da quanto disse poscia l’onorevole Crispi, temo che egli e la Camera abbiano compreso che io dicessi: non è vero che facesse parte della Società nazionale. La mia frase fu interrotta, ed io voleva dire che non era vera, almeno al mio modo di vedere, quell’accusa. Noto questo, non per chiamare in colpa, ripeto, gli stenografi, perché essi riportarono perfettamente le parole come furono da me dette, ma perché la frase interrotta acquistava un diverso significato da quello che io voleva darle.

CRISPI. Domando la parola.

Io non ammetto la smentita, né per l’accusa, né...

LA FARINA. Mi perdoni, io non credo che le mie parole debbano far ripigliare la discussione. Io non ho interpretate le parole dell’onorevole Crispi, ma le mie.

CRISPI. No, no; non ripiglio la discussione; ma, siccome io risposi ieri alla fattami interruzione...

PRESIDENTE. Il deputato La Farina non fa altro che dire che quelle sue parole: non è vero, si riferiscono al tale e non al tal altro inciso del discorso del deputato Crispi.

CRISPI. Ma io vorrei spiegare colla massima brevità, in due parole, che la sua negativa non andava...

PRESIDENTE. Mi permetta, ma a questo momento io non posso far altro che mantenere quanto dissi. Se di più si dicesse, si rientrerebbe nella discussione.

CRISPI. Io non farò che leggere le parole raccolte dagli stenografi.

Una voce, Non c’è niente di male!

CRISPI. Le parole raccolte dagli stenografi, alle quali alludeva l’onorevole La Farina, e che egli potrà leggere nel manoscritto del resoconto della Camera, sono quest’esse:

«È vero che nei primi giorni del nostro Governo avvennero cotesti abusi; è vero pur troppo che il capo della sicurezza pubblica, che se ne rese colpevole, venne destituito. Ma quest’individuo non era nostro amico politico, è un membro della Società nazionale.»

Ora, se la negativa dell’onorevole La Farina si riferisce alla destituzione, questa è un fatto; se agli abusi, questi si rilevano dallo stato consuntivo del bilancio, dal quale risultano le immense somme che furon prese da quell’impiegato.

PRESIDENTE. Permetta; da questa discussione risulta solo che il signor La Farina ha detto che manteneva la sua negativa, dichiarando ch’essa s’applicava solamente alla circostanza che cotesto impiegato fosse stato accusato.

LA FARINA. E l’affermo, perché altrimenti avrei la sentenza da presentare.

CRISPI. Per quel capo di accusa non ci fu processo, fu un affare amministrativo.

PRESIDENTE. L’incidente è terminato: a questo momento non si può entrare in una discussione.

(Il processo verbale è approvato. )

Il signor segretario dia lettura del sunto delle petizioni.

GIGLIUCCI, segretario, legge il seguente sunto di petizioni:

7476. Il Consiglio municipale di Morra, circondario d’Alba, fa instanza perché il Parlamento voti la concessione della costruzione della strada ferrata da Savona a Torino in conformità della già sancita legge 16 ottobre 1889.

7477. La Camera consultiva di commercio di Catania, facendosi interprete di tutto il ceto dei negozianti di quella città, domanda la scala franca statagli promessa con rescritto del 16 marzo 1852 dal cessato Governo, rappresentando i beneficii commerciali che da siffatta concessione deriveranno.

MAJORANA BENEDETTO. Domando la parola.

PRESIDENTE. Ha la parola.

MAJORANA BENEDETTO La Camera consultiva di commercio della provincia di Catania, esprimendo un antico voto, un bisogno essenziale di quella popolosa e ricca città, ed una promessa ottenuta, chiede dal Parlamento che sia esteso a quella città il beneficio di un deposito per riesportazione di generi esteri in franchigia.

Siccome questa domanda si riannoda ad un progetto di legge presentato dall’onorevole ministro delle finanze per le città di Napoli e Palermo, cosi io prego la Camera che sia questa petizione 7477 dichiarata d’urgenza e rimessa a quella Commissione per essere riferita nella discussione.

PRESIDENTE. II deputato Majorana chiede che questa petizione 7477 sia dichiarata d’urgenza e rimessa alla Commissione, la quale si occupa del progetto presentato dal ministro delle finanze sopra argomento al quale si riferisce questa petizione.

(È ammessa la dichiarazione d’urgenza e l’invio alla Commissione. )

leopardi. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Sopra una petizione?

LEOPARDI. Per chiedere l’urgenza della petizione 7467.

Questa petizione è fatta dal commendatore Caraffa, stato non so per quante decine d’anni sindaco di Napoli. Egli ha un assegno sul bilancio del comune, ed a questo si dee provvedere dal Consiglio municipale. Fa quindi mestieri che il Governo risolva questa faccenda prima che si formino i nuovi bilanci municipali. Ecco il motivo della mia domanda per l’urgenza. Scopo unico di tale petizione è quello di essere raccomandata al ministro per l’interno.

(È ammessa l’urgenza. )

FABRICATORE. Chiedo che sia dichiarata di urgenza la petizione 7488.

II Consiglio comunale di Scafati chiede che questa città sia dichiarata capoluogo di mandamento nella nuova ripartizione giudiziaria. Scafati fu già, non ha gran tempo, assai piccol borgo; ma posta nella valle fertilissima del Sarno, in su la strada che da Napoli mena a Salerno, diventò ben presto ricca d’abitanti e d’ogni maniera di floridezze.

Tutto il commercio della robbia e del cotone si può dire essere suo proprio. Svariate fabbriche e manifatture ivi stabilite chiamano tuttodì in essa gran numero di trafficanti. Non molto discosto è la magnifica polveriera, che, prima che si costruisse l’altra di Fossano, poteva tenersi unica in Italia degna del nome. Per tutte queste cagioni trovasi di contare già un numero di abitanti di oltre dieci o undici mila, senza annoverare il concorso de’ forestieri sempre crescente. Or, nei numerosi litigi che ivi intravengono, son costretti quei cittadini di condursi fino in Angri, al qual capoluogo debitamente fu sottoposto Scafati per la sua piccolezza. Ma ora, che è tanto cresciuta di popolazione, e, per le prospere condizioni del comune, può ben sostenere le spese che si richieggono all’effetto, domanda d’essere, nella nuova partizione giudiziaria, dichiarata capoluogo di mandamento. Prego perciò la Camera di voler far luogo alla domanda, per provvedere a’ bisogni di quella popolazione.

(L’urgenza è ammessa. )    .

CARLETTI. Prego la Camera di voler dichiarare d’urgenza le petizioni registrate al n° 7266, colle quali molli comuni appodiati delle Marche chiedono di essere parificati agli altri comuni del regno, poiché soffrono gravi danni economici e morali, dall’essere stati, per falsa applicazione della legge comunale 25 ottobre 1859, arbitrariamente ed incostituzionalmente spogliati di ogni lor diritto e veste comunale.

(L’urgenza è ammessa. )


DOMANDE DEI, DEPUTATO LA MASA RELATIVE 

AGLI UFFICIALI SICILIANI DELL’ESERCITO MERIDIONALE

LA MASA. Dovendo muovere interpellanza al signor ministro della guerra per motivi riguardanti gli uffiziali siciliani che fecero parte dell’esercito meridionale, prego l’onorevole presidente del Consiglio di fissarmi un giorno in cui voglia sentirla.

RICASOLI BETTINO, presidente del Consiglio, reggente il Ministero della guerra. Io non posso conoscere l’entità dell’interpellanza: potrebbe darsi che fossi in grado di risponder subito.

LA MASA. Si tratta di uffiziali siciliani i quali, non avendo, per mancanza di tempo, potuto avere il brevetto, furono mandati a casa; ora, avendo io dei documenti i quali provano come questi uffiziali esercitarono veramente le loro funzioni come tutti gli altri forniti di brevetto, vorrei muovere interpellanza, e ottenere che fossero prodotti questi documenti.

RICASOLI BETTINO, presidente del Consiglio. Se la Camera permette, sono in grado di rispondere subito.

È noto come è stato regolato con decreti reali tutto quanto concerne l’esercito meridionale; largamente se ne è trattato in quest’Assemblea.

O vi sono reclami per imperfetta esecuzione di quel decreto, ed abbiano la bontà, quelli che si trovano offesi, di reclamare al presidente del Consiglio, il quale fin d’ora dichiara che porrà tutto il suo studio per vedere in qual parte questo decreto sia stato violato a loro pregiudizio; ovvero i reclami non sono fondati in diritto, e il Governo non può altro che rispondere che si rivolgano alla Camera nel senso di invocare nuove disposizioni legali, onde stabilire dei nuovi diritti.

Io non saprei rispondere altrimenti in questo caso.

LA MASA. Appunto per questo io mi rivolgo alla Camera, trovando non intieramente adatte le disposizioni che ha dato la Commissione di scrutinio, e chiedo che si venga all’esame su quanto riguarda i dettagli dell’ufficialità siciliana; per cui, facendosi dappoi un esame di tutte queste circostanze, si potranno dare quei provvedimenti che si credono utili al caso.

Quindi sento il bisogno di fare quest’interpellanza.

PRESIDENTE. Il presidente del Consiglio ha già data la sua risposta.

LA MASA. Ma, siccome il presidente del Consiglio mi ha detto che ha interpretato e data esecuzione al decreto reale, io credo che c’è di bisogno di trattare con alcuni dettagli quest’affare, che interessa tanto vivamente quei Siciliani che, avendo fatto parte dell’esercito meridionale, si trovano in una posizione diversa da tutti gli altri che erano i loro commilitoni.

Non si può dare un’equa riparazione ai medesimi, se non si tratta ampiamente nella Camera siffatta questione.

RICASOLI BETTINO, presidente del Consiglio. Di nuovo ho l’onore di assicurare l’Assemblea che ho portato il maggior studio e il più grande interesse sul modo con cui erano eseguiti i decreti reali dirimpetto all’esercito dell’Italia meridionale.

Non è ignoto che io ebbi somma cura, durante lo scioglimento di quell’esercito, che restassero, per quanto è possibile, salvate tutte le convenienze, rispettati tutti i titoli.

Dico il vero, che mi sono fatto un dovere di conoscere anche tutte le opinioni della Commissione siciliana; ho letto da me medesimo i rapporti, e specialmente alcuni del luogotenente della Sicilia, il quale mi ha veramente, colle sue dichiarazioni, messa in tranquillità la coscienza; cosicché debbo credere che quella Commissione ha operato completamente, come il decreto reale prescrive.

Dirò di più: nei casi dubbi ha cercato di sciogliere le sue dubitazioni in un modo. favorevole agli ufficiali. Ora, se non ostante questa diligenza della Commissione vi sono degli individui che si credono lesi, abbiano la compiacenza di dirigere i loro reclami a me, ed io mi farò un dovere di studiarli da me e di farli studiare dalla Commissione stessa.

Però, se si esige che si debbano applicare condizioni nuove, mi permetto di fare osservare che il Governo, il quale debbe essere esecutore preciso della legge, non può fare in quel caso da sé una legge nuova. Quelli che credono dover assicurare titoli nuovi propongano al Parlamento un disegno di legge. Questa è l’unica via.

LA MASA. Accetto le dichiarazioni del signor presidente del Consiglio....

UN DEPUTATO. Chiedo di parlare.

LA MASA. e per questo mi riserbo di parlare distesamente in un’interpellanza, dove si rischiareranno...(Rumori)

PRESIDENTE. Ha sentito il deputato La Masa che il presidente del Consiglio ha dato quella risposta che credeva poter. dare, secondo legge e secondo era suo avviso; ed ha anche indicato che coloro i quali si credessero per avventura lesi dall’esecuzione delle prese disposizioni, o non abbastanza contemplati dalle medesime, potrebbero direttamente rivolgersi a lui stesso, che si occuperebbe della materia con tutto l’interesse. Quindi mi pare che a questo proposito non siavi più luogo a discussione. Ella ha fatto un’interpellanza al presidente del Consiglio, e questi vi ha risposto. Quest’argomento mi pare dunque esaurito.

LA MASA. Il presidente del Consiglio ha pur detto che, dove il decreto del Governo non compia i desiderii d’alcuni, si può mettere innanzi un disegno di legge.

PRESIDENTE. Senza dubbio; ella ha sempre la facoltà di farlo, usando del suo diritto d’iniziativa.

LA MASA. Ebbene, presenterò un disegno di legge, ed esporrò le mie ragioni.


ANNUNZIO D'INTERPELLANZA DEL DEPUTATO ROMANO SOPRA 

ALCUNI FATTI AMMINISTRATITI NELLE PROVINCIE MERIDIONALI

ROMANO. Prego gli onorevoli ministri a voler stabilire un giorno per ricevere talune mie interpellanze intorno a fatti dei quali ieri non mi fu permesso ragionare nella discussione generale sul prestito dei 500 milioni di lire. Cotesti fatti sono della massima importanza, secondo che ieri accennava sotto il rispetto dell’ordine nelle provincie meridionali, sotto quello del lavoro e del pane che quelle popolazioni reclamano, infine sotto il rispetto della nostra finanza e del nostro credito pubblico.

Io dirò anticipatamente ai signori ministri gli articoli sui quali verseranno le mie interpellanze, affinché essi stabiliscano un giorno in cui tornerà loro più comodo di riceverle.

RICASOLI BETTINO, presidente del Consiglio. Io dovrò fare la medesima osservazione che ho avuto l’onore di esporre sull’interpellanza La Masa; conoscendo la materia, si può dichiarare allora se si può rispondere subito, ovvero prendere tempo.

PRESIDENTE. Inviterei il deputato Romano ad indicare gli argomenti delle sue interpellanze.

ROMANO. Gli argomenti sono questi:

1° Con due contratti, l’uno del 19 gennaio, l’altro del 13 febbraio 1861, si sono vendute in Torino due partite di rendita, una volta napolitana, ora italiana, della somma di ducati 570,000 alla ragione del 74 e del 75 per °/0, mentre il corso in borsa era dal 79 °/0 al 79 °/0, del 78, il che produce alla finanza un danno di 1,273,800 lire.

2° Si è stipulato, sotto il dì 20 marzo 1861, un contratto di censuazione di una cospicua proprietà urbana dello Stato, senza che il Parlamento l’avesse autorizzata, senza i pubblici incanti, e per un canone bassissimo.

3° Un decreto del dittatore Garibaldi, del giorno 12 settembre 1860, dichiarò beni nazionali quelli così detti una volta di casa reale; gli altri messi a disposizione dell’ex-re; i beni dei maggiorati reali e dell’ordine Costantiniano.

Ebbene, o signori, che cosa si è fatto delle rendite di questi beni? Perché il decreto non è stato eseguito? Perché sul bilancio dello Stato non figura la cospicua rendita di quelli?

4° Innanzi, o signori. Havvi un contratto sulla monetazione nell’ex-regno delle Due Sicilie. Questo contratto è in aperta contraddizione dei termini del decreto 17 febbraio 1861. È un contratto enormemente lesivo, un contratto che, mentre dà ai concessionari il diritto di servirsi della nostra zecca, che è una delle migliori di quante ne abbia tutta Italia, come dimostra la bontà dell’antica moneta napoletana, e per la quale paghiamo meglio di annue 480,000 lire, accorda loro, a giudizio degli uomini dell’arte, il beneficio del 23 per cento. È questo un contratto scandalosissimo.

PRESIDENTE. Non censuri adesso il contratto. Basta che dica il soggetto delle sue interpellanze; i commenti e giudizi li farà dopo.

ROMANO. Dovrei pure, o signori, parlare di tre decreti: l’uno del 6 dicembre 1860, sancito dalla luogotenenza Farmi; l’altro del dì 8 gennaio 1861, dato fuori dal nostro amatissimo Re Vittorio Emanuele II; il terzo della luogotenenza dell’illustre Principe di Carignano, del giorno 23 gennaio 1861. Tali decreti stabiliscono che 25 milioni di franchi siano invertiti in opere pubbliche comunali, per dar pane e lavoro al popolo.

E cotesti decreti, o signori, non sono stati eseguiti. Io domando al Ministero: perché si è trasandata e negligentata siffatta esecuzione? Perché per otto mesi continui si è lasciato il popolo napoletano senza lavoro e senza pane?

Queste in generale sono le interpellanze che io intendo proporre e sviluppare a suo tempo; e perciò prego gli onorevoli ministri e la Camera a voler destinare un giorno in cui ciò possa aver luogo.

PRESIDENTE. Come ha sentito la Camera, cinque sarebbero gli oggetti sui quali intende muovere interpellanza il deputato Romano: i tre primi, se non erro, riguardano il ministro di finanze; uno riguarda il ministro di agricoltura e commercio, ed un altro finalmente riflette il ministro dei lavori pubblici.

Ma pare che gli onorevoli ministri di finanze e dell’agricoltura e commercio non siano presenti; quindi invito il ministro dei lavori pubblici a dichiarare quando intenda rispondere all'ultima delle interpellanze del deputato Romano.

Una voce. Vi è il presidente del Consiglio.

RICASOLI BETTINO, presidente del Consiglio. Se crede il signor presidente, appunto perché gli oggetti riguardano tre ministri, i quali sono particolarmente occupati da gravi ed urgenti affari al Parlamento ed al Ministero, io prego la Camera a voler permettere che queste interpellanze siano rimesse dopo che avrà avuto luogo la discussione delle leggi sulle strade ferrate.

ROMANO. Accetto; basta che questa discussione si faccia prima che sia chiusa la Sessione.


PRESENTAZIONE DI PETIZIONI RELATIVE 

ALLA STRADA FERRATA DA NAPOLI ALL’ADRIATICO


PRESIDENTE. Il deputato De Blasiis ha facoltà di parlare.

DE BLASIIS. Dall’Abruzzo Teramano e Chietino ricevo una quantità di petizioni al Parlamento, ed insieme ricevo l’avviso di essersene direttamente inviate alla Presidenza un’altra quantità non lieve.

Queste petizioni, che sono coperte da firme numerosissime, riguardano la costruzione della strada ferrata, della quale andiamo ad occuparci in questa medesima seduta, la concessione, cioè, alla società Talabot della grande linea dell’Adriatico con la sua doppia congiunzione a Napoli.

Quelle popolazioni annettono un vivo interesse a queste opere d’immensa importanza, e sono allarmate a torto da voci corse, colle quali si vorrebbe far credere che vi fossero in questo Parlamento gravi contrarietà all’approvazione della concessione progettata dall’onorevole ministro; esse per conseguenza si affrettano ad esporre le loro più vive rimostranze, acciò la Camera prenda in seria considerazione la grandiosa opera di cui si tratta, ed accordi ad essa l’approvazione, combinando il bene dell’Italia in generale con i più speciali interessi di quelle povere popolazioni, che in quell’opera ripongono tutta la speranza del loro avvenire.

Io credo utile di depositare queste numerose petizioni sul banco della Presidenza, unendole alle altre molte che si trovano sul banco stesso, acciò quegli onorevoli colleghi che vorranno prendere la parola in favore dell’opera di cui andiamo ad occuparci possano prenderne comunicazione, ed afforzare i loro argomenti con quanto viene esposto in favore del progetto stesso, da quelli che sono maggiormente interessati a farlo accogliere; e spero che la Camera, passando ad occuparsi della discussione della proposta concessione Talabot, voglia favorevolmente ed unanimemente approvarla, distruggendo cosi col fatto la paurosa apprensione delle popolazioni che si fanno a supplicarla.

LEOPARDI. Mi associo all’onorevole De Blasiis per le due provincie abruzzezi di Chieti e di Teramo, e dico lo stesso per la provincia d’Aquila, e direi anzi per tutte le provincie napolitane.

Domani avrò l’onore di presentare anch’io alla Presidenza i molti richiami ed inviti che ho ricevuti, e che tendono allo stesso scopo, cioè ad esortare il Parlamento perché i progetti ministeriali per le ferrovie sieno adottati.

PRESIDENTE. Se non vi è più alcuno che chieda di parlare, si darà lettura di una comunicazione del ministro della guerra.

[…]


DISCUSSIONE SUL PROGETTO DI LEGGE 

PER LA FERROVIA DA NAPOLI ALL’ADRIATICO


PRESIDENTE. L’ordine del giorno porta la discussione del progetto di legge concernente la convenzione col signor Talabot per la costruzione delle strade ferrate da Napoli all’Adriatico.

Fu diretta all’ufficio di Presidenza una lettera, della quale darò lettura. Essa è dei signori Laffitte, Adami e Bolmida, concepita nei seguenti termini:

«Ci viene riferito che la discussione sul progetto di legge Talabot possa precedere quella che riguarda la nostra società, e. che deriva dalla concessione del dittatore Garibaldi.

«Noi siamo costretti di protestare contro tale disposizione, perché la massima parte delle strade che trattasi di concedere ai signori Talabot e compagnia non può divenire disponibile che dopo approvata la convenzione stipulata il 30 aprile tra il Governo ed il cavaliere Pietro Augusto Adami.

«Ed infatti all’articolo 26 di tale contratto vien detto che, ove, per qualsiasi causa, la legge di approvazione non avvenisse, si avranno, tanto questa convenzione, quanto il capitolato, per tutti gli effetti come non scritta e non avvenuta, e le parti rientreranno nel pieno e libero esercizio delle loro rispettive ragioni.

«E siccome fra le ragioni della nostra società vi sarebbe quella, allora, di rivendicare la concessione di parte delle linee che si concederebbero ai signori Talabot e compagnia, così ne emerge necessaria la conseguenza che la discussione del progetto di legge Talabot debba avvenire dopo discussa la nostra.

«Coll’approvazione della convenzione Talabot il Parlamento sarebbe indotto ad intaccare la concessione del dittatore, pronunciando indirettamente un giudizio contro essa; mentre invece, nella chiusa della relazione sulla convenzione Adami, il ministro sottomette al Parlamento la questione della massima.

«Quindi ragion vuole che la convenzione Adami sia discussa prima, affinché il Parlamento non si trovi poi nella posizione o di doverla, come conseguenza, accettare puramente e semplicemente, o, respingendola, di esporre lo Stato alle gravissime conseguenze che ne potrebbero derivare.

«I sottoscritti chiedono pertanto che la legge relativa alla loro convenzione venga discussa prima di quella Talabot, non senza far conoscere al Parlamento che, avendo il signor Adami riunita una potente società di capitalisti e di costruttori italiani, della quale i sottoscritti fan parte, potrebbe anche lodevolmente disimpegnare l’esecuzione di tutte le ferrovie dell’Italia meridionale.

«Fidando nell’alta saviezza del Parlamento, i sottoscritti hanno l’onore di rassegnarsi con sentimenti di ossequiosa considerazione,» ccc.

È aperta la discussione generale sul progetto di legge.

Il deputato Levi...   

CRISPI. Chiedo di parlare per una questione pregiudiziale.

PRESIDENTE. Parli.

CRISPI. Dalla petizione stata testé letta si rileva che vi possa essere un caso nel quale il progetto di legge che cade ora in discussione, dopo che sarà votato, potesse non avere le conseguenze che noi ne speriamo.

Il contratto di Delahante e Talabot riguarda delle linee, alcune delle quali furono stralciate da quelle che la società delle ferrovie meridionali si è obbligata di costruire.

Ciò risulta chiarissimo dall’articolo 5 della convenzione per la costruzione di esse linee, che è stata sottoposta alla Camera e che è allo studio d’una vostra Commissione.

BONGHI. Chiedo di parlare.

CRISPI. Quest’articolo 3 è così concepito (si parla della società che assume gli obblighi della costruzione delle ferrovie calabro-sicule):

«Acconsente (cioè il signor Adami) che si stralcino dalla concessione fatta alla società, come sopra, da lui rappresentata, le linee da Napoli a Ceprano, da Napoli a Foggia, colle sue diramazioni.»

Alla fine della stessa convenzione havvi una clausola derogatoria, la quale è nei termini seguenti:

«Ove, per qualsiasi causa, la legge d’approvazione non intervenisse, si avranno, tanto questa convenzione, quanto il capitolato, per tutti gli effetti, come non scritti e non avvenuti, e le parti rientreranno nel pieno e libero esercizio delle loro rispettive ragioni.»

Io non ho bisogno di far riflettere alla Camera che è ancora in esame questa convenzione, e che fra le varie ipotesi vi può anch’essere quella che non venga ammessa. Spero che ciò non sarà; ma, ripeto, è tra le varie ipotesi.

Ora, ammettendo che questa convenzione fosse respinta, che cosa ne verrebbe? Ne verrebbe, in virtù della clausola derogatoria scritta nella convenzione stessa, che le cose ritornerebbero allo stato in cui erano prima che la convenzione fosse stata stipulata.

Qual era lo stato delle cose all’epoca anzidetta? Quello di doversi costruire dai signori Adami e compagni una maggiore estensione di linee ferrate di quelle concessegli dopo. La Camera, che voglio credere avrà letti tutti i documenti che si riferiscono a quest’affare, conoscerà il decreto dei dittatore Garibaldi del 29 settembre 1860, e gli articoli addizionali che poscia vennero conchiusi il 15 ottobre dello stesso anno. Io non esaminerò né questo decreto, né questi articoli addizionali, perché sarebbe fuori luogo; ma farò osservare che, per effetto della clausola derogatoria, questo decreto e questi articoli rientrerebbero nel loro pieno vigore, laddove fosse rigettata la convenzione conchiusa tra il Governo e la società delle ferrovie meridionali rappresentata dal signor Adami. Quindi lo stralcio d’una parte delle lince, delle quali va a farsi la concessione, e di cui è parola all’articolo 5° di essa convenzione, non potrebbe avere effetto.

Queste linee rientrerebbero nel complesso di quelle che furono concesse alla società a cui si riferisce il decreto dittatoriale del settembre, e gli articoli addizionali dell’ottobre. In tale stato di cose, io credo che per l’ordine logico delle nostre deliberazioni dovrebbe venire prima alla Camera la discussione e la votazione delle linee calabro-sicule. Laddove cotesta concessione fosse approvata dalla Camera, noi potremmo continuare il nostro lavoro, venendo al progetto che è stato oggi posto all’ordine del giorno. Laddove poi quella concessione fosse respinta, siccome implicitamente una parte del lavoro che è stato concesso ai signori Delahante e compagnia non potrebbe più farsi, si darebbe luogo ad un mutamento nella concessione di questi ultimi.

Chiedo quindi alla Camera di voler ammettere la quistione pregiudiciale, come quella che logicamente deve precedere ogni nostra deliberazione.

PRESIDENTE. Come ha sentito la Camera, la quistione pregiudiciale consiste in che debbasi prima discutere il progetto delle linee calabro-sicule e poi le altre linee.

Do la parola al deputato Bonghi.

BONGHI, relatore. La Commissione non si aspettava alla domanda che venne fatta dai signori Adami e Lemmi; né credeva che, fatta, in questa Camera avesse potuto essere sostenuta; né l’onorevole Crispi l’avrebbe sostenuta se non avesse creduto che nel sostenerla fossevi luogo alla citazione degli articoli d’una proposta di legge del ministro pei lavori pubblici, dalla quale non hanno diritto i signori Adami e Lemmi, e non fossevi invece luogo alla citazione degli articoli del contratto originale dei signori Adami e Lemmi col generale Garibaldi, convenzione dalla quale appunto ripetono la loro domanda i signori Adami e Lemmi. Se il deputato Crispi avesse invece creduto che questa seconda citazione fosse stata, come davvero è, più a luogo della prima, avrebbe potuto rispondere da sé medesimo alla sua stessa opposizione.

Quando il 29 settembre il generale Garibaldi sottoscrisse un contratto che verrà sottoposto, modificato o no, all’approvazione di quest’Assemblea, e di cui merito noi non dobbiamo qui né punto né poco pregiudicare, fu avvertito, dopo averlo sottoscritto, che egli aveva, senza volerlo, violato dei diritti anteriori; diritti anteriori che dipendevano dalla concessione fatta ad un’altra società dal Governo che egli aveva abbattuto.

Ora, il generale Garibaldi sapeva troppo bene che i diritti che s’aspettano a’ terzi non dipendono dalla qualità del Governo che li concede, sibbene dalla stessa intrinseca natura d’ogni Governo.

Il Governo borbonico, in effetto, aveva, qualche giorno prima che arrivasse in Napoli il generale Garibaldi, sottoscritto una convenzione, che è con alcune modificazioni l’attuale convenzione Talabot. In quella convenzione era già conceduta una parte delle linee che, senza avvertire, il generale Garibaldi aveva di nuovo conceduto ai signori Adami e Lemmi. Il generale Garibaldi appena ebbe saputo ciò, nell’equità del suo animo e nella giustizia del suo spirito volle che fin d’allora i signori Adami e Lemmi recedessero dal voler estesa alle linee già concesse dalla convenzione borbonica la concessione della rete accordata loro colla convenzione. del 29 settembre 1860. In seguito di questo riconoscimento, che non poteva mancare, del diritto dei terzi per parte del generale Garibaldi, i signor Adami e Lemmi rinunciarono appunto a favore della società Talabot la linea delle Puglie e degli Abruzzi coi relativi due passaggi degli Apennini, secondo erano indicati e descritti nell’atto di concessione del Governo borbonico.

A quali condizioni i signori Adami e Lemmi sottoposero questa diminuzione della loro concessione? A due sole: l’una che il Parlamento italiano, che succedeva nei diritti al Parlamento napoletano, avesse dovuto sancire la convenzione Delahante, che vuol dire che, credendo essi di avere un diritto assoluto, e non soggetto per alcune parti al potere costituzionale dello Stato, perché derivava da un’autorità dittatoria, i signori Adami e Lemmi non volevano che questo loro diritto fosse comunicato alla società Delahante cosi compiute, come essi credevano che già di per sé fosse il loro. L’altra condizione fu che non potesse cambiarsi la natura del contratto Delahante in modo da mutarlo da una concessione di costruzione all’industria privata, che ella era, ad un appalto a conto dello Stato, riservandosi in questo caso di opporre il loro diritto di appaltatori e costruttori che essi derivavano dalla concessione Garibaldi.

Invece, adunque, di aspettare la domanda che i signori Adami e Lemmi fanno, ci saremmo aspettato dalia società

Delahante (e l’avrebbe fatta con più diritto) una opposizione simile, qualora il Parlamento avesse discusso la convenzione Adami e Lemmi, senza tener conto dei loro diritti anteriori.

Mi riassumo in poche parole. I diritti della società Delahante erano anteriori, quindi non potevano essere distrutti da un atto posteriore; ma non basta; il generale Garibaldi, appena fu istrutto dei fatti, volle che questi diritti fossero dai signori Adami e Lemmi riconosciuti, come li riconobbero con un articolo addizionale, che nel contratto stesso è dichiarato formar parte integrante della convenzione originale. Quando, adunque, il Parlamento non accettasse la convenzione Adami e Lemmi quale è stata presentata dal ministro dei lavori pubblici o con modificazioni che i concessionari accettassero, si potrebbe discutere se questi conservino ancora qualche diritto per la concessione originale avuta dal dittatore, non mai se i signori Adami e Lemmi abbiano diritto ad una linea che essi stessi ammisero doversi dalla loro concessione stralciare.

PRESIDENTE. Il deputato Susani ha facoltà di parlare.

SUSANI. Io appoggio la questione pregiudiziale sopra un argomento diverso da quello che è stato addotto dall’onorevole Crispi, che vuol essere valutato dalla Camera, la quale sa come fra pochi giorni essa sarà chiamata a deliberare sopra un progetto di legge già presentato dal ministro dei lavori pubblici, onde autorizzare la costruzione d’una ferrovia da Ancona a San Benedetto del Tronto.

L’articolo 7 dell’attuale progetto di convenzione dichiara che il Governo si riserva la costruzione della sezione da Ancona alla stazione di San Benedetto del Tronto, e continuando l’articolo 7 (io non annoio la Camera colla lettura, perché suppongo che ciascuno l’abbia dinanzi a sè), quale è emendato dalla Commissione, pone alcune modalità, le quali certamente vincolano fin d’ora la Camera sopra la legge che si riferisce alla costruzione di questo medesimo tronco.

Ora io credo che, se la Camera attualmente votasse la convenzione presentata, essa pregiudicherebbe la sua libertà per la votazione dell’altro progetto di legge. Questa votazione non sarebbe che illusoria. Quindi, siccome è certo che l’attuale periodo della Sessione non potrebbe chiudersi senza che questa o l’altra legge fossero approvate; siccome il ritardare la discussione della presente, dopo l’approvazione del progetto che si riferisce alla legge sopra il tronco da Ancona a San Benedetto del Tronto, non potrebbe essere ritardo che di pochi giorni, io credo che la Camera vorrà valutare queste ragioni, e non mettersi nella condizione di dover votare più tardi una legge, senza esser pienamente libera del suo voto.

MINERVINI. Dopo la lettura della carta presentata dai signori Adami e Lemmi, e dopo le varie osservazioni che vennero fatte, io pregherei il signor ministro dei lavori pubblici perché illumini la Camera, e dica se la discussione può utilmente esser fatta ora, perché, dopo questa dichiarazione, di cui egli certamente può aver tutti i dati, noi passeremo alla discussione.

Quindi io pregherei il signor ministro di dire, se nel suo criterio egli creda che possiamo discutere la legge che ci è presentata, poiché, con questa dichiarazione, noi andremo sicuri che l’autorità che ha formolata questa legge, certamente sapendo la situazione di tutti i progetti, è competente a dinotarci la via per la quale meglio procedere; additarci se la votazione delfino possa avere efficacia su quella dell’altro progetto.

Queste sono le considerazioni che sottopongo alla Camera e le preghiere che rivolgo al signor ministro.

PRESIDENTE. Ha facoltà dì parlare il ministro dei lavori pubblici.

PERUZZI, ministro pei lavori pubblici. Sono lietissimo della fiducia della quale mi onora l’onorevole Minervini, e soddisferò ben volentieri ai desiderii da lui manifestati, dicendo schiettamente essere opinione mia che per molte ragioni convenga procedere oltre alla discussione del disegno di legge, del quale sta sotto gli occhi dei deputati la relazione della Commissione; imperocché a me pare che quello che domina anzi tutto la questione delle ferrovie, sia la necessità politica, la quale ci sprona a passar sopra agli ostacoli, non già senza guardarli, ma senza esagerarne l’importanza.

Noi dobbiamo anzi tutto dotare il paese di questi mezzi di rapida comunicazione dei quali ha urgentissimo bisogno, e se volessimo arrestarci innanzi a tutte le difficoltà legali che ci si propongono (le quali hanno la loro origine naturale nelle vicende a cui le varie provincie italiane andarono soggette prima di formare il regno d’Italia, del quale qui sediamo rappresentanti), dovremmo ad ogni istante fermarci e procedere a consulti legali, i quali, come accade generalmente in queste faccende, non toglierebbero in veruna guisa l’eventualità, per quanto remota, di liti, di sentenze anche a noi contrarie, quando pure avessimo la convinzione d’aver ragione.

Venne già distribuita a tutti i deputati una protesta di un signor Melisurgo, concessionario di strade ferrate per parte del già re di Napoli; abbiamo altra protesta di un barone De Riseis, concessionario ancor esso di strade ferrate per parte di quello stesso re. Anche altri sono venuti da me per protestare e dire che avevano non so quali diritti, che forse non hanno creduti abbastanza buoni per ricorrere al mezzo di protestare dinanzi al Parlamento.

Ora noi abbiamo la protesta Adami, quindi abbiamo la prudente riserva dell’onorevole deputato Susani.

Signori, se diamo ascolto a tutte queste proteste, io temo che noi rischieremo di non venire a capo di dotare le provincie napolitane di quelle strade ferrate che sono ardentemente reclamate.

Ma vi ha di più; tutte queste proteste, e segnatamente quella del signor Adami e dei suoi compagni, mi pare che costituiscano il Governo in una posizione giuridica, la quale può essere argomento di contestazioni giudiziali, e queste contestazioni giudiziali a che cosa potrebbero condurre? Ad una questione di eventuale indennità.

Ora io domando, o signori: fra i due mali quale è il minore? Il minore, secondo ine, sarà sempre quello di esporsi alla eventualità di una lite, la quale ci possa condurre anche a pagare delle indennità, anziché ritardare, e forse per molto tempo, le deliberazioni sopra le concessioni delle strade ferrate, delle quali devono essere dotate le provincie napolitane.

Ma, venendo al caso in ispeeie, a me pare che la protesta del signor Adami non abbia alcun fondamento legale. Alle ragioni addotte dall’onorevole relatore della Commissione, io aggiungerò che, oltre essere la concessione del 24 agosto 1860 anteriore all’atto dei 29 settembre stesso anno, oltreché quella obbligava sempre il Governo sino a che il Parlamento non l’avesse rigettata, oltreché mi consta che il generale Garibaldi ignorava l’atto di concessione del 24 agosto quando fece il decreto del 28 settembre 1860, e che, quando da taluno, a nome del signor Delahante, gli fu fatto conoscere privativamente quell’atto, il generale (e ciò mi venne affermato da persone rispettabilissime), gli promise di rimediare a quest’inavvertenza, della quale si era reso involontariamente colpevole, io osserverò che gli articoli addizionali del 15 ottobre 1860 hanno un egual valore del decreto del 25 settembre, imperocché e gli uni e gli altri sono emanati dal potere dittatoriale.

Senza voler oggi entrare nella scabrosa questione della legalità, della validità di quelle concessioni, questione che, tutti d’accordo, abbiamo fatto ogni sforzo per mettere da parte, egli è chiaro che la validità e la forza legale è uguale nell’uno come nell’altro atto. Questo è indubitato.

Negli articoli addizionali del 15 ottobre 1860 che cosa è detto? È detto, nell’articolo 1, che la società Adami si obbligasse a stralciare le linee, alcune delle quali sono contemplate nella concessione di cui ci occupiamo, qualora piacesse al Parlamento italiano di sanzionare l’atto del 24 agosto 1860.

Ora a me pare che il Parlamento italiano deve necessariamente, ai termini di quest’articolo, occuparsi dell’atto del 24 agosto 1860, trasformato adesso in quello del 12 maggio 1861, prima che della convenzione Adami.

Imperocché, egli è soltanto quando il Parlamento italiano si sarà pronunciato sull’atto del 24 agosto 1860, che la condizione prevista nel primo degli articoli addizionali potrà essere purificata o no.

Quindi mi pare che il signor Adami non dovrebbe in verun modo lagnarsi che il Parlamento italiano si occupasse dell’atto del 24 agosto 1860, quando egli stesso, nel primo degli articoli addizionali, avea previsto che questa concessione dovesse essere subordinata all’efficacia di quegli articoli.

Ma, infine, io ritorno al punto donde ho cominciato, cd è che per me tutte le questioni che nascono dall’interpretazione di questi atti del 29 settembre e del 15 ottobre sono questioni legali, sono questioni le quali non potevano in verun caso fermare il Parlamento, e trattenerlo dal dotare le provincie napolitane di strade ferrale. Il Parlamento è un corpo politico il quale deve occuparsi singolarmente delle necessità politiche, strategiche ed economiche della nazione; e quando noi succediamo a Governi i quali hanno fatto degli atti fra loro contraddittorii, degli alti sui quali possono cadere contestazioni, io credo che di due mali conviene scegliere il minore, cioè, esporsi a qualche eventualità giuridica, a qualche eventualità d’indennità, ma andar innanzi, ed assicurare il benessere della nazione e l’unione dell’Italia meridionale.

Poche parole mi basteranno per rispondere all’onorevole Susani, e forse farlo persuaso della convenienza, anche per altri motivi, di procedere oltre in questa discussione.

La strada ferrata da Ancona al Tronto egli è verissimo che è contemplata nell’articolo 7 della convenzione fatta col signor Talabot, ma io domando: a che s’impegna il Parlamento quando discute oggi questa convenzione?

Prima di tutto osservo che discuterà per certo anche l’articolo 7; ora, coll’approvare l’articolo 7 in genere in quanto riguarda la strada da Ancona al Tronto, ad una cosa si obbliga, cioè ad eseguirla; ed io non credo che qui vi sia un sol deputato il quale pretenda di fare la strada ferrata di qui sino ad Ancona, e da San Benedetto del Tronto fino all’estremità inferiore d’Italia, per lasciare un’interruzione di 88 chilometri, quanti ne occorrono tra Ancona e San Benedetto del Tronto.

Quindi mi pare che l’impegno in genere la Camera lo prenderebbe anche senza pronunciarsi, lo prenderebbe, cioè, implicitamente, e nessuno vi ha che non lo voglia prendere. Ma, tanto per ciò che concerne questo impegno in genere, quanto pei’ ciò che concerne le condizioni che sono previste nell’articolo 7, cioè di costrurre quella strada colle norme prescritte nel presente capitolato, io osservo, o signori, che nella guisa stessa che il Ministero ha reso conforme presso a poco, nella parte tecnica, le condizioni del capitolato della strada da Ancona al Tronto a quelle della convenzione Talabot, il Parlamento potrà benissimo discutere a fondo le condizioni del presente capitolato e discutere quindi l’articolo 7; dal che ne verrà la conseguenza che, quando si discuterà il progetto di legge da Ancona al Tronto, altro non vi sarà da fare che rendere conformi le condizioni di quel capitolato a quelle che per avventura fossero state modificate nel capitolato che oggi è in discussione, nel modo stesso che è stato fatto dal Ministero, perché bisognava rendere uniformi i due capitolati.

Quindi, se si trattasse in oggi di far votare questa legge in massima per sì e per no, senza discuterne i vari articoli, inlenderèi l’obbiezione dell’onorevole Susani; ma oggi si tratta di discutere un capitolato, si tratta di esaminarlo nei singoli suoi articoli, in tutte le sue parti, ed io non so vedere per qual ragione la strada da Ancona al Tronto, che è una piccolissima porzione della gran rete che si tratta oggi di concedere, debba arrestare la Camera dall’occuparsi di questo progetto di legge.

PRESIDENTE. Il deputato Capone ha facoltà di parlare.

CAPONE. Io parlerei nello stesso senso del Ministero; se vi sono alcuni che intendano discorrere in senso contrario, mi riserverei di parlare dopo.

PRESIDENTE. Allora accorderò facoltà di parlare al deputato Crispi.

CRISPI. L’onorevole ministro dei lavori pubblici ha saltato a piè pari la questione pregiudiziale. Egli si attenne alla necessità politica di dover costruire questa strada al più presto possibile, ed ha sostenuto che, se vi sono difficoltà, bisogna passarvi oltre.

Questo sistema del signor ministro non farebbe che condurre il Governo all’eventualità di dover pagare qualche indennità a coloro che resterebbero lesi dalla legge che andremo a votare.

Anch’io, proponendo la questione pregiudiciale, sono animato da una necessità politica. Se avessi detto alla Camera: «non bisogna discutere, né approvare la convenzione Taìabot,» l’onorevole signor ministro avrebbe ragione di criticare il mio ragionamento; ma io, per togliere tutti gli ostacoli che potessero sorgere dopo votata questa legge, chieggo unicamente alla Camera di far precedere la discussione della concessione Adami a questa che è messa all’ordine del giorno.

L’onorevole ministro ci ha parlato di varie proteste che si sono indirizzate alla Camera ed al Governo per differenti concessioni, clic si crede essere state fatte dal Governo borbonico prima che il Napoletano si fosse unito al regno d’Italia. L’onorevole ministro e la Camera, che avranno analizzate e studiate quelle petizioni, si saranno convinti chele domande di quei signori riguardano concessioni decadute di ogni diritto, che lo stesso Borbone aveva messe da parte.

Vorremo noi far rivivere dei diritti i quali non esistevano al giorno in cui le provincie meridionali si sono unite a noi? La Camera, certo, non andrà in questo avviso, che uscirebbe veramente dai limiti della logica.

L’onorevole ministro, parlando del decreto dittatoriale del 29 settembre, ci diceva che il generale Garibaldi, sottoscrivendolo, ignorasse la concessione Talabot fatta dal Governo napoletano.

Osserverò, signori, per rispondere a questa circostanza di fatto ricordata dall’onorevole ministro, e che era stata anche accennata molto prima dall’onorevole signor Bonghi, che i signori Delahante e compagni non avevano effettivamente una concessione dal Borbone. I signori Delahante e compagni non avevano che una promessa di concessione, la quale avrebbe dovuto sottomettersi alla Camera napolitana, se la sventura avesse voluto che il Borbone fosse rimasto in quelle contrade.

Le promesse di concessioni non legano né colui che promette la concessione, né colui che l’accetta, finché l’autorità legislativa non vi abbia data la sua sanzione.

L’onorevole ministro e l’onorevole Bonghi, appoggiandosi a questa concessione, non riflettevano che quella fatta dal generale Garibaldi partiva da un’autorità che aveva i pieni poteri, e che quindi il decreto dittatoriale conteneva una concessione completa, sulla quale non ci è da fare alcuna obbiezione.

Ad ogni modo, siccome questa questione è stata messa da parte dall’onorevole ministro e dall’onorevole Bonghi, lasciamola da parte anche noi, salvo poi, se il caso verrà, a discuterla a suo tempo.

Tanto il signor ministro, quanto l’onorevole Bonghi, si appoggiavano all’articolo I addizionale del 13 ottobre 1860 per dirvi che la nuova concessione non ha fatto se non che eseguire le condizioni in essa espresse. Basta, o signori, leggere quest’articolo, e rileggere poscia l’articolo 3 della convenzione Adami già stata sottomessa al vostro giudizio, per comprendere che i ragionamenti dell’uno e dell’altro non sono affatto esatti.

Nell’articolo 1 addizionale è detto che si stralciavano dalle linee concesse alla società delle ferrovie meridionali quelle delle Puglie e degli Abruzzi.

Nell’articolo 3 si parla della linea che da Foggia va a Napoli, e di quella che andrà a Ceprano.

Ebbene, signori, queste linee devono passare per territorii, che non sono né le Puglie, né gli Abruzzi. Perché da Napoli si vada a Foggia, bisogna passare per il Principato Ulteriore.

Ceprano, tutti sanno, è in Terra di Lavoro.

BONGHI, relatore. Si passa anche per gli Apennini.

CRISPI. Scusi, il passaggio degli Apennini è una cosa, l’andare fino a Napoli è un’altra. Sarà stato concesso il passaggio degli Apennini, ma poteva essere e fu ritenuta al tempo stesso la linea che andava a Napoli, la quale realmente è riservata nell’articolo addizionale...

PERUZZI, ministro pei lavori pubblici. No (legge), la società si obbliga a stralciare dalla sua concessione e rilasciare a vantaggio della società Delahante le linee ferrate delle Puglie e degli Abruzzi con i relativi due passaggi degli Apennini, come risulta dall’atto del Governo borbonico in loro favore.

Quelle sono le linee precise della concessione Talabot.

CRISPI. Ella ha fatto benissimo di rileggere alla Camera quello che d’altronde io aveva sott’occhio.

La concessione del passaggio degli Apennini non conduce all’idea che dai signori Delahante e compagnia si debba costruire la ferrovia sino a Napoli.

Il passaggio degli Apennini è meno di quello che accorda l’articolo 3.

Nell’articolo 3 è detto che da Foggia si deve andare a Napoli; circostanza che non esiste nell’articolo primo addizionale testé letto.

Quindi, io ripeto, ammettendo il caso che il contratto della società Adami e compagnia venisse respinto dalla Camera, le cose ritornerebbero al punto in cui erano alla sanzione del decreto del 29 settembre 1860, e degli articoli addizionali del 13 ottobre dello stesso anno.

Quindi il contratto di Delahante e compagnia verrebbe a perdere una parte delle linee loro state concesse, le quali naturalmente rientrerebbero in quelle che dovrebbero essere costruite dai signori Adami e compagnia.

La questione pregiudiziale è stata posta pertanto nei veri termini, e la Camera non può a meno di risolverla, sospendendo la discussione della legge sottoposta al suo esame.

Non posso conchiudere senza fare una protesta ad una frase sfuggita all’onorevole ministro dei lavori pubblici. Egli diceva: «Garibaldi non sapeva di essere colpevole del decreto 13 ottobre 1860».

PERUZZI, ministro pei lavori pubblici. No, non ho detto questo. Ilo detto con inavvertenza...

CRISPI. Ma anche involontariamente, non ci era colpa. Non posso permettere neànco l’imputazione d’una colpa involontaria. (Rumori)

PERUZZI, ministro pei lavori pubblici La Camera ha inteso quello che ho detto; e non ci era niente che fosse offensivo pel generale Garibaldi. (Con forza) Quindi non istanno né le parole né la protesta dell’onorevole Crispi. (Bravo! dal centro e dalla destra)

CAPONE. L’onorevole Crispi diceva che le concessioni contemplate nell’articolo 1° addizionale non si riferiscono a Napoli, e che contemplano linee le quali non devono mettere in comunicazione con Napoli. Perdoni, è una questione di fatto. L’articolo 1° della concessione dice:

«Si concede la linea dal Tronto sino a Taranto, passando per Foggia, con diramazione per Otranto, Termoli, Bari, Brindisi, Barletta e Teramo.

«2° Due passaggi attraverso gli Apennini per mettere in comunicazione le linee suddette colla città di Napoli.»

Quindi, vede bene che non è né più né meno di quello che oggi è stato stabilito nella convenzione che stiamo discutendo.

Eliminato questo errore di fatto, mi pare che l’onorevole ministro ha ridotta la questione ne’ suoi semplici termini.

Vuol dire l’onorevole Crispi, che dall’atto dittatoriale risulta un diritto giuridico, legalmente esperibile innanzi ai tribunali? Se noi costituissimo un tribunale che giudicasse dei diritti dei privati, allora si potrebbe discutere sulla nostra competenza od incompetenza; ma noi ci occupiamo d’inteteressi generali, e prescindiamo da tutte le questioni puramente individuali, puramente particolari. Ciò posto, la Camera non può trovare nessunissima difficoltà a discutere la convenzione che è sottoposta alla sua approvazione, salvo sempre i diritti giuridici esperibili dinanzi ai tribunali competenti; non siamo noi che ce ne dobbiamo occupare; anzi mi meraviglio di questa mozione. Una volta portata la questione su questo terreno, l’onorevole Crispi verrebbe in certo modo a pregiudicarla; poiché, ove la Camera si pronunziasse in uno od in un altro senso, verrebbe a prevenire la decisione dei magistrati; il che non mi pare sia ragionevole né conveniente.

Ciò posto, e dopo gli schiarimenti dati dal signor ministro, riducendosi la questione ad una questione meramente giudiziaria, io prego la Camera di passar oltre sulla questione pregiudiziale.

Se poi s’intende entrare nella storia di questo fatto, sappia la Camera che io posso dare degli schiarimenti sinora non portati in mezzo alle discussioni, i quali schiarimenti non faranno che confermare le parole dette dall’onorevole ministro.

MINERVINI. Prego il signor presidente di dar lettura dell’ordine del giorno che ho presentalo.

PRESIDENTE. L’onorevole Minervini ha deposto sul banco della Presidenza un ordine del giorno così concepito: «La Camera, prendendo alto degli schiarimenti dati dal signor ministro, passa all’ordine del giorno.»

Domando se è appoggiato.

(È appoggiato. )

PICA. Dirò pochissime parole, onorevoli signori, intorno a questa questione pregiudiziale, e comincio a ricordare ciò che diceva poc’anzi l’onorevole Capone, che noi non sediamo qui come un tribunale, ma sì all’unico scopo di far leggi.

Le questioni d’interesse privato debbono essere rimandate ai tribunali, né possono essere pregiudicate da quest'Assemblea.

La questione pregiudiziale nel caso attuale è una questione tutta d’interesse privato. Dirò poi una sola cosa che, a parer mio, deve decidervi a respingere la questione pregiudiziale. Se voi ammetterete la concessione Talabot, allora sarà pregiudicata la discussione della concessione fatta o promessa ai signori Adami e Lemmi; ma in che cosa sarà pregiudicata? In nulla; poiché sarà anche per essi un precedente favorevole il riconoscere col fatto che quella segregazione, che essi consentirono, fu ben fatta, fu ben consentita, poiché infatti la Camera ha separatamente discusso intorno alla ferrovia degli Abruzzi e della Puglia; sarà invece la convenzione Talabot respinta, ed allora il campo rimane libero per la concessione delle ferrovie meridionali, e se i signori Adami e Lemmi credono di poterle tutte costrurre, credo che la Camera non farà opposizione a concederle.

Dunque, osi accorda la concessione Talabot, e i signori Adami e Lemmi non possono pretendere a una linea cui hanno rinunciato: o non si accorda, e i signori Adami e Lemmi non ne saranno affatto pregiudicati.

Mi permetterò poi di dire all’onorevole signor Susani che, quando si tratta di una rete di ferrovie, è naturale che ciascun ramo di essa dipenda e si connetta con gli altri; ora il volere che non si discutano i singoli rami separatamente, e il pretendere che, essendo la linea da San Benedetto a Foggia congiunta coll’altra da San Benedetto ad Ancona, debba la costruzione di quella dipendere dall’approvazione di questa, è argomento che prova troppo, perché, venendo poi in discussione la linea da Ancona a San Benedetto, si potrebbe per la stessa ragione chiedere che si sospenda per unirla all’altra da San Benedetto a Foggia.

A fronte di ciò, io credo che le ragioni politiche, addotte dall’onorevole ministro dei lavori pubblici, devono decidere la Camera a votare, senza indugio, questa concessione.

PRESIDENTE. La parola è al deputato Conti.

CONTI. La parte giuridica mi sembra oramai stata esaurita dagli onorevoli preopinanti; mi pare però che resti a dire una parola intorno alla questione tecnica, che sola credo abbia voluto suscitare l’onorevole Susani; giacché, sebbene egli sappia molto bene moltiplicarsi ove l’opportunità il richieda, non credo che in questo caso abbia voluto parlare come avvocato piuttosto che come ingegnere.

Per la parte tecnica, io dico adunque che il determinare le condizioni di una linea principale deve di necessità precedere la determinazione di quelle condizioni che si vogliono imporre alle linee minori che ne dipendono, essendoché in una linea principale vi sono molte specie di difficoltà che possono portare, per esempio, all’adottare certe pendenze le quali rendano affatto inutile l’incontrare gravissime spese nelle linee minori.

Quando noi avremo determinato per la linea, di cui stiamo parlando, quali sono le migliori condizioni tecniche, noi allora potremo parlare con molto maggior fondamento e molta maggior cognizione di causa per riguardo alla determinazione delle condizioni in cui sia da tenersi la minor linea da Ancona al Tronto, che si vorrebbe far precedere nella discussione alla principale.

Del resto le paure e gli scrupoli dell’onorevole Susani mi pare siano affatto insussistenti, e tanto più mi sembra che dovrebbe esserne convinto, in quanto che, essendo esso pure, come lo sono io, membro della Commissione per il tronco da Ancona al Tronto, deve saper certamente che non vi fu mai bisogno, in tutte le nostre discussioni, di parlare una sola volta della presente concessione, il che indica chiaramente, anche a quelli che non sono ingegneri, come sia affatto indipendente una cosa dall’altra, e come si possa procedere oltre alla discussione di questa legge, senza mutar l’ordine stabilito dal nostro Presidente.

Pertanto, parendomi che tanto per la parte giuridica che per la tecnica siasi già a sazietà fatto parola, io propongo l’ordine del giorno puro e semplice, e prego l’egregio presidente di metterlo ai voti.

Voci. Ai voti! ai voti!

PRESIDENTE. Domando se la proposta di passare all’ordine del giorno è appoggiata.

(È appoggiata. )

DEPRETIS. Domando la parola contro l’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

DEPRETIS. Io prego la Camera di riflettere alla natura della questione che si sta discutendo. È secondo me una questione di metodo; ma, dal risolverla in un modo piuttosto che in un altro, ne possono derivare delle conseguenze gravi nell'interesse dello Stato; si tratta di vedere se, nel procedere all’esame dei diversi progetti di legge che sono sottoposti al Parlamento, giovi, nell’interesse dello Stato, e per evitare delle complicazioni e delle collisioni d’interessi pubblici e privati, esaminare e discutere prima una concessione che un’altra. Iodico che, quando siamo sicuri che la rete di strade ferrate di cui si vuol dotare l’Italia meridionale dovrà essere trattata e definita prima che questa Sessione si sciolga, si debba procedere in modo che si preferisca la discussione di quella concessione, che riesca ad eliminare una controversia che potrebbe avere conseguenze dannose per l’erario, e dirò anche che potrebbe lasciare negli animi il sospetto che, una volta votata la legge posta all’ordine del giorno, non si potesse per avventura, senza colpa del ministro, il quale è stato esplicito quanto poteva esserlo, ma per mancanza del numero legale dei deputati, discutere l’altra, che verrebbe per tal modo rimandata ad epoca indefinita o respinta. Ad ogni modo io credo essere conveniente che la questione pregiudiziale sia maturamente esaminata, perché, ripeto, contiene una questione di assai grave importanza.

PRESIDENTE. Il deputato Susani ha facoltà di parlare. (Bisbiglio)

SUSANI. Si può entrare nella quistione o si deve limitare la discussione all’ordine del giorno?

PRESIDENTE. La discussione non è stata chiusa.

Quando la chiusura non è chiesta da dieci deputati, il presidente non può porla ai voti. Fu proposto ed appoggiato l’ordine del giorno, ma nessuno ha chiesto la chiusura.

Voci. Si voti sull’ordine del giorno!

PRESIDENTE. L’ordine del giorno avrà la preferenza nella votazione, qualora sia approvata la chiusura; ma, finché questa non è ammessa, la discussione deve continuare, é debbo dar facoltà di parlare ai deputati che sono inscritti.

PETRUCCELLI. Chiedo di parlare.

SUSANI. Il signor ministro ha detto che il Parlamento è un corpo politico; questo fu ripetuto poco fa da un deputato. In ciò non v’ha dubbio; ma credo che il Parlamento sia anche il tutore degl’interessi finanziari dello Stato.

Portando la questione sopra questo terreno, mi permetto d’insistere sull’importanza d’aver riguardo a ciò ch’è stabilito nell’articolo 7.

L’onorevole maggiore Conti, il quale ha voluto testé ribattere quello che ho detto, mi ha porto, forse senza accorgersene, un argomento validissimo contro di lui.

Egli disse che, essendo membro della Commissione incaricata dagli uffizi di esaminare il disegno di legge relativo alla costruzione della ferrovia da Ancona al Tronto, non fu mai bisogno di parlare dell’attuale concessione, il che, dice egli, prova che quella causa non aveva a che fare con questa. Ma, appunto perché in quella discussione non occorreva di preoccuparsi di questa, e perché in questa bisogna preoccuparsi dell’altra, dico che ne viene di legittima conseguenza che debba qui risolversi prima quella quistione.

Infatti, o signori, che cosa avverrebbe, se così non fosse? Si è detto, credo, dall’onorevole Pica, che, quando si fanno delle reti di strade di ferro, le quali comprendono molti tronchi, è ovvio che bisogna prima votarne uno, poi l’altro, se fanno argomento di diverse concessioni, e che le ragioni che si fanno prevalere per la precedenza di uno potrebbero valere benissimo anche per l’altro.

Io faccio osservare che qui la cosa non va precisamente a questo modo. Noi possiamo benissimo concedere la costruzione del tronco dal Tronto in avanti, e potremmo votare dopo la precedente, se non fosse la seconda vincolata alla prima; ma io domando alla Camera, la quale ha sentito le osservazioni dell’onorevole ministro, perché esisterebbe ancora la Commissione nominata dagli uffici per la strada da Ancona al Tronto, se fosse vero quello che il signor ministro ha detto, ed è verissimo, del resto, che, votando l’articolo T, noi abbiamo votato tutto quello che alla strada si riferisce....

PERUZZI, ministro pei lavori pubblici. No!

(Conversazioni da ogni lato della Camera. )

SUSANI. Appunto perché ciò è così, io dico, facciamo precedere l’altra discussione.

Infatti, o signori, quando noi ci saremo vincolati a queste condizioni di pendenza, egli è chiaro che ogni discussione che si facesse sulle pendenze per l’altro tronco non sarebbe più a suo posto.

D’altra parte, io non so come la Camera possa formarsi un’idea esatta degli oneri finanziari che il paese assume mediante e per effetto di questa concessione, se la Camera prima non sa qual è il costo del tronco da Ancona al Tronto; ora di questo qui non ne parlate. Si è detto che il Governo lo costruirà e che lo cederà alla società; io credo quindi che la precedenza da accordarsi alla deliberazione intorno a quel tronco non sia validamente contrastata, o almeno credo che fino ad ora non si siano citati argomenti validi contro la ragionevolezza di questa precedenza; e siccome non posso ammettere che quattro o cinque giorni più o meno possano stimarsi argomento di viva agitazione, siccome non posso credere che quattro o cinque giorni d’anticipazione del voto per la concessione Talabot possano valere per una ragione politica di grande importanza, così mi pare che la Camera non dovrebbe prescindere da quei riguardi che essa deve asè medesima.

Imperocché voi oggi votando il 7° articolo rendete illusoria ogni vostra facoltà di deliberare sopra il progetto dell’altra ferrovia.

PERUZZI, ministro pei lavori pubblici. Io invece sostengo che, se si votasse prima la legge della strada ferrata da Ancona al Tronto, noi ci vincoleremmo, laddove con questa non ci vincoliamo niente affatto.

L’ordine logico della discussione, a parer mio, è appunto quello che è stato scelto nel caso attuale; e mi fa meraviglia che si possa pretendere di anteporre la discussione di una proposta di legge relativa ad una strada, la quale per sè sola non avrebbe nessuna ragione di essere deliberala, ad un progetto di legge concernente una rete che parte da Ancona, dove si unisce alle strade ferrate italiane, costrutte od in costruzione, e che va fino all’estremità inferiore dell’Italia meridionale.

Dove è che noi decretiamo la strada da Ancona al Tronto? Non è nel progetto di legge di cui fa argomento di studio la Commissione, della quale gli onorevoli Conti e Susani vi hanno detto di essere membri, ma egli è qui; imperocché noi qui non decretiamo la strada da Ancona al Tronto, ma da Ancona all’estremità inferiore d’Italia. Dove dunque hanno sede legittima e naturale tutte le disposizioni relative alla strada ferrata da Ancona al Tronto egli è qui, perché essa non è che una sezione indivisibile della strada che forma argomento della presente concessione. Tutte le questioni tecniche, delle quali l’onorevole Susani si preoccupa ben a ragione, essendo egli distintissimo ingegnere, devono aver sede in questa discussione; imperocché la sezione da Ancona al Tronto dev’essere naturalmente, per quanto le condizioni locali e topografiche il consentano, deve essere nelle condizioni di tutte le reti, delle quali la medesima è un tronco indivisibile; tanto è vero che ha da essere esercitata e mantenuta da questa stessa società. Dunque il progetto di legge per la strada ferrata da Ancona al Tronto è inutile, dice l’onorevole Susani.

In verità un’osservazione di tale natura io non me la sarei mai aspettata da una persona intelligente qual è l’onorevole Susani. Ma come! Non si deve vedere nel progetto di legge da Ancona al Tronto altroché un’opera tecnica? Si crede forse che nel presentarlo io abbia voluto che la Camera si trasformasse, in certo modo, in un Consiglio superiore dei lavori pubblici? Ma no, signori. La strada ferrata da Ancona al Tronto è una sezione di questa gran rete, la quale, invece di essere data a costrurre alla società concessionaria di tutta la rete, è presa a costrurre dallo Stato. E perché? Per agevolare, l’ho detto nella mia relazione, e credo lo abbia ripetuto anche la Commissione, per agevolare, o con un sussidio o con la divisione del lavoro, la costruzione rapida della strada ferrata che deve mettere in comunicazione l’Italia superiore con l’Italia inferiore nel breve spazio di 18 mesi; ecco perché lo Stato avrebbe preso a costrurre questa sezione di strada ferrata da Ancona sino a San Benedetto del Tronto; e questo impegno non lo prende già col progetto di legge da Ancona al Tronto, lo prende col progetto che ora abbiamo sott’occhio; perché, supponiamo che il Parlamento dicesse: no, la concessione della sezione da Ancona al Tronto deve essere nella stessa condizione di tutto il resto; noi non vogliamo costruire, accorderemo invece un aumento di sussidio, oppure sarà un onere di più che noi daremo a questa società; allora che cosa accadrebbe se noi avessimo già votato il progetto di legge relativo alla strada ferrata da Ancona al Tronto? Allora noi saremmo vincolati.

Invece qui non ci vincoliamo niente affatto, perché, ripeto, l’importare della costruzione di quella strada è unicamente un sussidio, e quindi noi, votando questo progetto di legge, assumiamo necessariamente l’incarico di fare quella strada. Ben s’intende poi che spetta alla Camera di deliberare sull’argomento principale, sul modo, cioè, di esecuzione; giacché, se il progetto di legge da Ancona al Tronto non avesse dovuto contemplare altro che le condizioni tecniche di cui si occupava l’onorevole Susani, certamente io non l’avrei presentato al Parlamento.

Io ripeto adunque che il progetto di legge per la strada da Ancona al Tronto è relativo principalmente al modo col quale lo Stato darà esecuzione all’impegno che prende di costruirla, e, se il progetto che ora ne occupa non è votato prima, io credo che non si possa votare il progetto di legge da Ancona al Tronto, perché quello vincolerebbe la Camera, e questo non la vincola.

Voci. La chiusura! la chiusura!

PRESIDENTE. Essendo domandata la chiusura, chiedo se è appoggiata.

(È appoggiata. )

La metto ai voti.

(È approvata. )

Pongo ora a partito l’ordine del giorno puro e semplice proposto dal deputato Conti.

(Dopo prova e controprova, è adottato. )

(Il vice-presidente Tecchio cede il seggio al presidente Rattazzi. )


Presidenza del commendatore RATTAZZI


PRESIDENTE. Si riprenderà ora la discussione in merito del presente progetto di legge.

Ne do lettura:

«Art. I. È approvata la convenzione in data 12 maggio 1861, ed annessovi capitolato, intesa tra i ministri dei lavori pubblici e delle finanze e il signor cavaliere Paolino Talabot, anche qual rappresentante i signori duca di Galliera, Edoardo Blount, don Josè di Salamanca, Tommaso Brassey, Basilio Parent, Gustavo Delahante, U. B. Buddicom, ed Antonio Chatelus, per la costruzione delle strade ferrate da Napoli al mare Adriatico, colle modificazioni aggiunte all’esemplare unito alla presente legge.

«Art.2. In qualunque tempo i concessionari usino della facoltà lasciata loro nell’alinea terzo dell’articolo iS della convenzione, il Governo resta autorizzato sin d’ora a continuare i lavori sino alla somma di 30 milioni.

«Art.3. Sarà provveduto con appositi stanziamenti sul bilancio passivo dell’anno corrente e dei successivi, per l’adempimento del disposto dell’articolo 8° della convenzione predetta.»

Quanto alla convenzione, non ne darò lettura, perché è lunga, ed altra parte penso che la Camera ne ha già cognizione; però, quando verranno in discussione gli articoli, darò la parola a coloro che vorranno parlare su alcuno di essi; anzi pregherei i signori deputati, che desiderassero di proporre emendamenti, di deporli sul banco della Presidenza; così a mano a mano che verranno presentati, io potrò darne lettura e metterli in deliberazione.

VALERIO. Domando la parola sull’ordine della discussione.

Credo che lo stesso procedimento che propone l’onorevole nostro presidente rispetto alla convenzione sarà da adottarsi anche riguardo al capitolato.

PRESIDENTE. Ho inteso parlare della convenzione e del capitolato, e non soltanto della convenzione.

La discussione generale è aperta.

Il deputato Levi ha facoltà di parlare.

LEVI. Molto si parlò in questo ricinto della questione di Napoli. Questione di Napoli, dacché il Borbone ne fu espulso, e l’Italia meridionale entrò nel vasto movimento italico, più non esiste. Agita però Napoli, come molte parti d’Europa, una questione economica, e, se vuolsi, sociale, che reclama una soluzione. Ed una soluzione presentava quel popolo intelligentissimo, quando nelle Calabrie e negli Abruzzi, facendosi incontro alle nostre schiere di volontari e di truppe regolari, stringeva i suoi voti in sole queste parole: strade e scuole.

Strade e scuole. Tale il programma che il popolo opponeva al programma borbonico. Isolamento per mezzo degli esigli, delle prigioni, dei sospetti, ignoranza, era il sistema del re, era la sua ragion di Stato. Associazione, fratellanza, istruzione, è la ragione del popolo.

E le scuole si vanno istituendo nelle Due Sicilie, e sulle strade dobbiamo ora deliberare.

Il problema delle ferrovie è così vasto e svariato, s’intreccia di tanti e sì diversi elementi finanziari, economici, politici e tecnici, che, a non abusare della vostra benignità, credo conveniente imporre al mio dire i limiti più ristretti e più precisi. Io mi farò quindi a parlare del contratto che è sottoposto alla vostra approvazione, esaminandolo nelle parti esteriori, cioè i patti, convenzioni, ecc.

Parlerò dei principii che governano queste materie, e di quelli a cui meglio si riferisce la presente convenzione.

Infine, del sistema che a me sembra più conveniente nell’interesse economico e sociale delle Due Sicilie, per costrurre colla maggior rapidità e profitto della nostra industria la nostra linea di ferrovie.

L’impressione prodotta da questa concessione a Torino, a Milano, come a Napoli, non fu favorevole. Essa parve a tutti così onerosa dal lato finanziario, funesta dall’economico, e pericolosa dal lato politico, che tutti, rendendo pur giustizia all’intelligenza ed all’arguto ingegno del ministro dei lavori pubblici, credettero che egli abbia dovuto subire questa convenzione, più che accettarla, trovandosi in certo modo vincolato dagli obblighi anteriormente assunti dal Borbone, obblighi che solo il Parlamento potrà sciogliere, e aprire per tal modo la linea alla libera concorrenza, rendendo al Governo del Re la facoltà di abbracciare un miglior sistema a tutelare l’interesse della nazione e non comprometterne l’avvenire industriale.

Il Governo, con questa convenzione, cede ad una compagnia, che ha già il monopolio delle nostre ferrovie in Lombardia e nell’Italia centrale, le linee più importanti dell’Italia meridionale; e ciò a condizioni in varie parti più onerose che non quelle sanzionate dall’Austria, dai duchi, e quasi dallo stesso Borbone.

Nella convenzione per le ferrovie lombarde, l’Austria non guarentisce l’interesse che al 5 per cento, di più obbligava la società di rifondere lo Stato in caso di eccedenza negl’introiti.

Nella convenzione per l’Italia centrale si determina la somma da pagarsi per ogni chilometro, e si accenna a varii compensi allo Stato, come negli articoli 12,15, là, ecc., del capitolato.

Per questa di Talabot, il Governo assicura alla società il 6 per cento, più l’ammortizzazione. Il Borbone l’aveva limitata al 5 per cento pel corso di soli 50 anni; i nostri ministri hanno largheggiato, l’assicurarono per 90 anni!

Il Borbone aveva determinato il capitale, fissandolo a 155,000 ducati al miglio; somma enorme, se vuolsi, ma meglio sempre dell’incertezza e dell’incognita a cui si abbandona la presente convenzione, e che aprirà il varco ad ogni sorta di abusi.

V’ha di più; il Governo, mentre riceve una cauzione derisoria a fronte di tanta impresa, si obbliga d’anticipare alla società 50 milioni, che il Governo non potrà procurarsi a meno di 40 milioni.

Vero è bene che, durante i nove mesi che da noi si pagano i 50 milioni, la società dovrà spendere il doppio della sovvenzione somministrata dallo Stato; ma su ciò quanto v’ha di reale, di efficace, di possibile?

La società potrà di leggieri con la sola nostra sovvenzione condurre una somma triplice di lavori; ma ogni uomo tecnico conosce quanto arduo torni in sì breve spazio di tempo fare realmente per 90 milioni di opere; né lo dissimulava il ministro stesso, che concede cinque anni a terminare la via intiera.

Tuttavia, se arduo riesce fare i lavori, non del pari difficile tornerà ai concessionari il farne figurare il costo; e a ciò porge loro agevolezza, e la mancanza assoluta di studi precisi, e il controllo sempre tardo, spesso vano, del Governo, ed infine il modo stesso onde la società è costituita.

Le leggi economiche, come il più semplice buon senso, insegnarono sinora essere conveniente tener separata in una società la speculazione del banchiere dall’industria del costruttore. Per tal modo si perviene a creare una specie d’antagonismo d’interessi fra i due contraenti, da cui lo Stato riceve una specie di guarentigia, e l’interesse pubblico è tutelato. Anche quest'ultima guarentigia fu sacrificata, come i limiti alla spesa, come la cauzione.

I nomi che compongono la società sono altamente rispettabili; non ne fo questione. Ma, se noi prendiamo ad esaminarli, troveremo essere essa composta parte di capitalisti, parte di costruttori, i quali hanno interessi identici. Ora che cosa avverrà? Che avendo ambi interesse di trarre il maggior lucro dall’impresa, cederanno ai soci costruttori i lavori al più alto prezzo. Se perdono cinque come capitalisti, guadagnano dieci come soci costruttori.

Essi, come si suol dire, si tengono il sacco; si faranno appalti, ma per pura forma. V’interverranno tutti, tranne il pubblico. Controllo reale dello Stato è impossibile. Esso, secondo l’articolo 8 del capitolato, non chiederà i conti che due anni dopo l’esercizio.

Il Governo che era in sulla via di largheggiare non si arrestò a mezzo cammino.

La ferrovia di Salerno a Napoli era concessa alla compagnia Bayard senza guarentigia d’interessi. Entro 55 anni doveva essere proprietà dello Stato.

I signori Talabot comprarono tal via. Ma il Governo gli assicura gl’interessi al 6 per 0|0 per 99 anni. Ora tale strada costò 12,500,000. Si addizioni questa somma per 44 anni, avremo 50 milioni d’interessi perduti dallo Stato; più, circa 100 d’interessi da pagare in seguito. Altro piccolo dono che il Governo offre al signor Talabot.

Questi oneri non si dissimula il valente e ingegnoso relatore della Commissione. Ma, da sottile logico ch’egli è, il chiarissimo traduttore di Platone, forse per virtù dei contrari, si sforza a provare la bontà della concessione. Però accade, come avviene sempre in tali casi, ch’egli pecca per eccesso; vuol provare troppo, e col provar troppo, è adagio antico, spesso conduce all’assurdo.

D’altronde, relatore e ministro, non dissimulano la gravezza di fai contratto, ma oppongono due ragioni in sulle prime quanto speciose.

Primo, la ragione politica, o il bisogno d’unire al più presto l’alta colla bassa Italia; secondo, la ragione finanziaria.    

Ma con tal contratto non raggiungiamo lo scopo politico. Malgrado tanti sacrifizi, noi, col tracciato di Foggia, non saremo congiunti a Napoli prima di 5 anni.

Quanto alla ragione finanziaria, è illusione più dolorosa ancora.

Noi anticipiamo alla società 50 milioni. Con quelli le sarà facile condurre lavori per 90 milioni. Intanto emetterà azioni e obbligazioni, che, rivestiti del nostro bollo, equivalgono alla nostra rendita, ed hanno di più l’ipoteca della ferrovia.

Riescirà a collocarle? Avrà assicurata l’operazione coi larghi lucri. Non ci riescirà? E, appoggiato all’articolo 15, smetterà dall’impresa. Noi ne pagheremo ogni spesa e ne avremo i danni.

Se poi i signori Thalabot staranno saldi alla convenzione, il danno allo Stato non sarà sventuratamente minore.

Prima di possedere la ferrovia, noi l’avremo pagata tre o quattro volte più del costo reale. Infatti, parleranno le cifre con maggior eloquenza delle mie parole.

Il Governo non determinò verun prezzo; quindi il prezzo può variare per ciascun chilometro da 200,000 a 400,000 lire, secondo il buon volere dei capitalisti costruttori.

Facciamo una media di lire 300,000 sopra 1100 chilometri, e ci darà per somma complessiva del valore della strada lire 550,000,000.

Il Governo deve così assicurare un interesse annuo di lire 19,800,000.

Mettiamo una media di 50 anni che pagherà tali interessi per detrarre la somma ammortizzata, e Io Stato avrà pagato tale strada 990,000,000 prima di averne la proprietà.

Si obbietterà che il 6 per cento non dovremo pagarlo intero, esservi gl’introiti della strada.

Osservo, a mia volta, che contro tali introiti stanno ancora i fondi d’ammortizzazione che non calcolai, i 50 milioni della ferrovia di Salerno, i 3 milioni di premio, ed infine, ed è la parte più essenziale, i lavori e i lucri di cui priviamo i nazionali per offrirli ad esteri. I guadagni fatti da questi, le continue importazioni dall’estero, vagoni, macchine, vetture, ecc., e perdite d’ogni sorta, e vedrete a che somma colossale ascenderà il costo di tal ferrovia. Noi verremo a pagarla, entro 50 anni, oltre un miliardo!

Ottimi auspicii cotesti per rialzare il nostro credito e contrarre il nuovo prestito.

Ma coteste, altri ci dice, sono piccolezze, sono calcoli da massaio. Che sono i miliardi per l’Italia unita? Essa è ricca abbastanza per pagare le sue ferrovie ed i suoi errori.

Non so se tale sarà pure il linguaggio dei contribuenti. So però, e la storia lo insegna ad ogni pagina, che gli errori finanziari si mutano in crisi economiche, e queste si traducono in cifre pericolose, micidiali, che alfine si chiamano rivoluzioni, e talvolta rivoluzioni sociali!

Mi sia concesso adunque, dopo aver esaminato il lato puramente finanziario del contratto, di parlare dell’economico, cioè il sistema che governa tal contratto.

Egli è noto come tre principali sistemi si sono seguiti sinora per costrurre le ferrovie: o furono abbandonate all’industria privata, o costruite da! Governo per proprio conto, oppure le compagnie ricevettero sovvenzioni ed un minimo d’interesse.

Ciascuno di questi sistemi, come avviene d’ogni cosa quaggiù, presenta i suoi vantaggi e i suoi inconvenienti. Ora, dopo un’esperienza di 50 anni, moltiplicata da un cumulo immenso di lavori, condotti in ogni parte del mondo, si riesci a questo risultamento, che si può dire essere l’ultima parola dell’esperienza e della scienza su questo grave soggetto.

Che, se l’industria privata offre maggiore economia nei lavori, presenta però meno guarentigia per la loro solidità, e meno sicurezza pei viaggiatori.

Che, se le società sono uno stimolo all’operosità individuale, conducono all’aggiotaggio, al giuoco, all’industria corruttrice, riproduttrice, di che suole essere vittima il pubblico.

Ed i moderni statisti, massime le nuove scuole economiche, che, opposte alle antiche, dottrinarie e individualiste, mirano a rendere forza ed autorità allo Stato, concordano quasi tutte in queste sentenze.

Convenire che le grandi linee siano costrutte dallo Stato, e sua proprietà; e abbandonare le secondarie all’industria privata, alle compagnie, ai comuni.

Tale il sistema seguito, e con ottimo successo, sinora in Piemonte. Il signor Peruzzi invertì tal sistema. Egli non solo combinò le condizioni più gravose allo Stato dei due sistemi, la sovvenzione e la guarentigia d’interesse, ma le linee secondarie e meno infruttuose resteranno allo Stato, le principali e nazionali sono abbandonate senzastudi, senza limiti, senza guarentigia ad una compagnia straniera.

Duplice danno politico e morale.

Politico: infeuda le linee nazionali ad una compagnia straniera, che già forma uno Stato nello Stato. Morale: recide, si può dire, dalla radice il germe del lavoro nel nostro paese.

Perocché, o signori, queste grandi imprese, non solo hanno un valore materiale per sè, ma ancora, per quel movimento economico, industriale, quell’ardenza di lavoro che promovono; intorno ad esse si raggruppa, quasi un conserto di operazioni finanziarie, tecniche, economiche, che da esse prendono nutrimento e vita. La vaporiera è più che una locomotiva materiale, è locomotiva morale, che triplica il credito, il moto commerciale e la ricchezza d’un popolo. Dalla ferrovia data il nuovo moto che alzò a tanta potenza d’industria l’Inghilterra, l’America e la Francia.

Ma ad ottener tali risultati è mestieri che le grandi imprese abbiano salda base nella nazione, che emergano dalle forze vive del popolo. Ora, grazie al sistema del signor Peruzzi, tali forze sono paralizzate, le nostre industrie schiacciale nel germe.

Le ferrovie, che potrebbero essere valido strumento ad educare il popolo all’associazione, al lavoro, non saranno che importazione straniera. Sarà un moto fittizio, passeggierò, senza radici nel paese, e di cui noi saremo gli spettatori che pagano, i braccianti che obbediscono. Le vaste operazioni industriali, finanziarie, saranno condotte a Parigi, a Londra, Bruxelles. I vagoni, che avrebbero potuto uscire dai nostri opifizi stabiliti in Napoli, Ancona, Milano o Genova, verranno forniti dagli opifizi Talabot, confezionati a Parigi o Marsiglia, al prezzo che tornerà loro più a conto; a noi non resterà altro onore che pagare.

Ma Talabot reca i capitali, ci si ripete, ed i capitali non hanno patria. Già sopra dimostrai al punto di vista finanziario quale illusione sia cotesta, e come Talabot finirà per costrurre la ferrovia coi nostri capitali. Al punto di vista morale ora aggiungerò: il capitale è l’uomo, l’uomo è il lavoro. Falso l’adagio che i capitali non hanno patria. Patria al capitale è il lavoro. Egli corre dietro al lavoro, si accumula dietro l’attività. Suscitate, incoraggiate il lavoro nell’Italia meridiana, e vedrete rifluirvi il capitale da ogni parte.11 lavoro, fatto in breve un bisogno, un abito, un’educazione per quei popoli, ne duplicherà le ricchezze. Ma se invece di suscitare le forze della nazione, la sua energia, voi non pensate che ad attirarvi momentaneamente interessi ed operazioni straniere, voi, con enorme dispendio dell’erario, procurerete sì le ferrovie, ma il vero capitale, l’industria, l’attività, Io spirito d’associazione non sorgerà certo, l’avrete paralizzato, distrutto.

Non così, o signori, si rifanno le nazioni; solo dalle forze vive della nazione può sorgere durevole e vigorosa la vita delle nazioni. Esse devono creare i propri destini colle proprie intelligenze, le proprie forze, le proprie risorse. E l’edilizio nazionale sorgerà tanto più saldo e durevole, quanto più sarà cementato dal sangue e dal sudore del popolo che deve abitarlo.

Ciò sentiva istintivamente Garibaldi. Volle realizzarlo nell’ordine militare coll’appello dei volontari, e tentò adombrarlo nell’ordine economico e sociale coll’associazione al lavoro, io non approvo in ogni sua parte la convenzione Adami e Lemmi. Essa vuole essere modificata, vagliata, ricorretta. Ma il sistema in sè era equo, il principio elevato, liberalissimo, e poteva riescire d’utili risultati fecondo. A quel modo che Garibaldi in politica voleva che tutte le forze vive e militanti della nazione concorressero a formare la nazione, così nell’economia sociale era suo concetto raccogliere, consociare le forze vive, laboriose, della nazione. Capitale, ingegno e lavoro, per promuovere la ricchezza pubblica e le grandi opere. Colà i volontari della guerra, qui i volontari del lavoro.

Suo pensiero era attirare a noi colla concorrenza, colla maggior pubblicità, colle grandi imprese, ogni forza nazionale ed estera. Spingere unite ad una grande impresa ogni classe di persone. Consociarle, unirle per condurre colla maggior alacrità le pubbliche opere, e allettarle al lavoro per accumulare il prodotto e la ricchezza.

Il concetto che il dittatore aveva appena adombrato, conveniva migliorarlo a vantaggio dello Stato, come del popolo; condurlo meglio formulato sul terreno pratico.

Voi che cosa faceste invece?

Ne accettaste una parte, la modificaste, senza recarvi miglioramenti intrinseci, reali; la applicaste per le linee meno fruttuose, le quali resteranno per lungo tempo a carico dello Stato, mentre abbandonaste le più grandi, le più necessarie e più attive, ad una schiera di speculatori, all’aggiotaggio, al giuoco.

Vera concorrenza non la cercaste neppure, né lo potevate, mancando studi precisi; donaste tal ferrovia all'alta banca, al privilegio. Garibaldi voleva chiudere l’adito all’aggiotaggio, ai monopolii; ma voi aprite le porte a due battenti al nuovo feudalismo, al peggiore dei feudalismi, il bancario. L’antico feudalismo almeno entrava in Italia pei ponti di ferro; voi gli preparate i ponti d’oro.

Io quindi respingo tal contratto come lesivo al punto di vista finanziario. Aumenterà in modo indeterminato, enorme, il nostro passivo.

Lo respingo come pericoloso al punto di vista politico. Infeuda le nostre grandi arterie longitudinali ad una società estera.,

Lo respingo come immorale, perché apre il varco all’aggiotaggio, al giuoco, all’industria sterile, anziché al lavoro che produce e moralizza. Contratto unilaterale, è sin d’ora un giuoco degli speculatori col Governo, per esserlo domani col pubblico.

Lo respingo come funesto al punto di vista economico. Schiaccia nel germe Io spirito d’intrapresa, l’iniziativa nazionale. Mostruoso, come sistema, unisce e combina insieme le due più onerose condizioni per uno Stato, cioè sovvenzione e guarentigia d’interesse.

Non raggiunge infine l’unico scopo per cui ci sottomettiamo a tanti sacrifizi, cioè di unire al più presto l’alta e la bassa Italia, perché con tale sistema non potranno unirsi prima di cinque anni almeno. Comprendo tuttavia che il ministro fu per avventura costretto a subire tal contralto come parte del funesto retaggio borbonico; ma egli, come il Borbone, si riservava l’approvazione del Parlamento. Noi non rileviamo che da noi; a noi spetta svincolare il Ministero da tal contratto, che sollevò ovunque la pubblica opinione, per tutelare le finanze, la dignità, l’avvenire della nazione. Ed in nome della dignità, dell’equità, dell’interesse futuro della nazione, dobbiamo respingerlo.

Dobbiamo rigettarlo, ma provvedere ad un tempo che tal ferrovia si costruisca, e al più presto. Ora, quale il mezzo più pronto? La linea che urge compiere è quella che da Ceprano si unisce alla rete romana, e da Napoli al Tronto. Questa linea può essere di 200 chilometri, se da Ceprano a Pescara; di 550, se passa da Termoli, per la valle del Biferno, a Santa Maria di Capua. Nel primo caso costerà da 50 a 60 milioni, nel secondo, da 80 a 90.

Ora, ai 50 milioni che Io Stato accordava a Talabot, altra ugual somma se ne aggiunga, perché continui i lavori con pubblici appalti, come si fece con ottimo successo, da Ancona al Tronto, e ad un tempo si compiano gli studi di massima per tutta la linea dell’Italia meridionale.

E allora si vorrà adottare il sistema delle concessioni a private compagnie? Ciò si faccia sì, ma con conoscenza di causa, si pubblichi il capitolato, si dia la maggior pubblicità, si ecciti la concorrenza di varie compagnie; e quella dell’Adriatico è linea cosi fruttuosa, così desiderata, che noi potremo imporre, non subire le condizioni, trarne utile allo Stato, non aggravio.

Oppure si vorrà condurre ad economia per conto dello Stato? E per me lo credo il miglior partito per una linea così strategica e produttiva come questa. Allora pubblicità ancora; pubbliche licitazioni. Il Governo si procurerà di leggieri il danaro con azioni ed. obbligazioni guarentite sulla linea stessa, come fece spesso il Belgio. Si aprino piccoli appalti di 50, di 100 chilometri alla portata del piccolo industriale, come del grande; si associ ed interessi all’impresa nazionale ogni classe di persone; il patrizio, il borghese, il bracciante, possidente, negoziante e proletario. Unire ad uno scopo, stringere d’un pari interesse il capitale o il banchiere; l'intelligenza o gli uomini d’arte e il lavoro. Il che ben è possibile (come all’uopo proverò) sotto la tutela del potere moderatore dello Stato.

E a quel modo che nei tempi della fede religiosa ciascuna classe concorreva a deporre la sua pietra al sacro monumento che doveva attestare ai secoli l’ardimento e il genio degli avi nostri, non altrimenti tutte le forze della nazione insieme consociate concorreranno ad inaugurare presso di noi l’epoca nuova del lavoro e della giustizia; a dar opera a questo simbolo vivente della nostra fede politica: l’unità italiana, le ferrovie.

E le ferrovie non saranno per noi solamente un mezzo di moto precipitato e materiale, ma mezzo d’associazione fra le diverse classi, ma leva al lavoro, ma istrumento a condurre nella pratica un grande e nuovo principio economico: la costituzione del lavoro.

Signori, è. nei giorni di rivoluzione che si fondano i grandi principii. E nissuna rivoluzione riceve dai popoli e dalla storia il suggello che la cousacri, se non rechi in seno coi benefizi speciali ad un popolo alcuni grandi veri universali, eterni.

Con magnifiche parole diceva ieri il presidente del Consiglio: «La rivoluzione italiana è grande rivoluzione; fonda un'era nuova per l’Italia e l’umanità.» lo ne accetto lo splendido augurio; ne saluto con entusiasmo la meta.

E infatti il grand’uomo che precedette su quel seggio il barone Ricasoli, e di cui lungamente avremo a deplorare il fato immaturo, il conte di Cavour, oltre ai veri luminosi da lui proclamati nell’ordine economico e politico, inaugurò quasi un nuovo sistema diplomatico nei rapporti internazionali, e fece trionfare nei Gabinetti il nuovo diritto pubblico europeo.

Garibaldi, a sua volta, mentre iniziava quasi una nuova e ardita strategia nell’arte militare, coi volontari additava per tempi meno agitati e fortunosi il rimedio onde liberare l’Europa dalla piaga che ne rode la ricchezza, e dissecca il benessere delle popolazioni, le armate permanenti.

Ma le grandi riforme militari e politiche vogliono essere completale dalle economiche. Solo per tal mezzo le masse sentiranno il benefizio della libertà. E noi giungeremo a sciogliere uno dei più ardui problemi, se a condurre le nostre grandi imprese di ferrovie sapremo unire il capitale, l’intelligenza, il lavoro; ripartirne equamente l’opera cornei profitti, e fare le grandi imprese nazionali, non monopolio per pochi privilegiati, ma che siano condotte dal popolo, pel popolo e col popolo.

All’Italia, ultima ad entrare nel vasto movimento industriale che spinse a nuovi destini l’umanità, all’Italia spetta forse l’onore di sciogliere l’arduo problema della costituzione economica d’Europa.

Ad un ministro nato in Toscana, la terra dell'intelligenza e della civiltà quasi imperitura, la terra che fu prima ad aprire l'era industriale moderna, ed opporre le associazioni artigiane al feudalismo germanico, ad un ministro toscano, invece d’introdurre in Italia il nuovo feudalismo bancario, la gloria di prendere l’ardita iniziativa di condurre il nuovo pensiero sociale ad una larga applicazione, e, fidando sopratutto nelle forze della nazione che reclama lavoro, imprimere al lavoro un ordine fondato sull’equità, e far le grandi imprese mezzo d’associazione, di unione, di benessere d’ogni classe sociale.

BONGHI, relatore. Chiederei di parlare per dare uno schiarimento.

PRESIDENTE. Parli.

BONGHI, relatore, lo mi riservo a rispondere alle altre parti del discorso dell’onorevole Levi quando la discussione stessa lo provi necessario, e che manchino risposte da altre parti della Camera. Non ho preso la parola per ora che per dare uno schiarimento che non ho potuto fornire nella relazione stessa, e che, spero, impedirebbe ad altri di ripetere una parte piccola, è vero, degli argomenti del deputato Levi.

Nella relazione, per provare che la vendita della strada Bayard alla società Talabot, che approviamo coll'accettazione di questa convenzione, non fosse onerosa allo Stato, ho fatto un ragionamento sopra l’ipotesi peggiore; cioè a dire sopra l’ipotesi che oggi lo Stato non dovesse nulla a questa società Bayard per le strade di cui è proprietaria.

Il mio ragionamento è parso all’onorevole Levi così sottile, che ha creduto meglio d’insultarlo che di scioglierlo; di insultarlo però combinando molti elogi per il ragionatore coi più atroci vituperi al raziocinio; giacché ha lodato il ragionatore di logico, ed ha chiamato il raziocinio assurdo.

Poiché egli si è contentato d’una lode e d’un biasimo, io devo ringraziarlo della lode, ma non sono in obbligo di non rispondere al biasimo.

Mi basta però aggiungere soltanto che il mio ragionamento così sottile, ch’egli non ha potuto risolverlo, può essere ancora migliorato mediante una nozione di fatto più precisa, che io non aveva quando lo formava dentro di me, e lo esponeva alle saette dell’onorevole Levi; nozione che non potei acquistare se non dopo, giacché non m’è stato possibile di avere nelle mani, se non ieri soltanto, l’atto col quale fu conceduto alla società Bayard di prolungare la strada da Nocera a Salerno.

Io aveva creduto che questa strada di Nocera la società Bayard avesse dovuto prolungarla a tutto suo rischio e pericolo, come l’aveva fatta sin lì, senza che il Governo borbonico dovesse in nulla sussidiarla. Invece nell’atto con cui fu conceduto questo prolungamento alla società Bayard, il giorno 8 marzo 1856, il Governo borbonico assumeva due oneri rispetto alla società stessa. Il primo era che dovesse pagare esso sino all’ammontare di 18,000 ducati il costo delle espropriazioni che dovesse questa società fare per costrurre il solo tratto da Nocera a Salerno. Al di là di questi 18,000 ducati, il costo delle espropriazioni sarebbe ricaduto a carico della società. Il secondo onere, poi, era che il Governo si obbligava a pagare 15,000 ducati all’anno per anni 15, quando il tratto da Nocera a Salerno fosse messo in esercizio.

Se si bada che il tratto da Nocera a Salerno è di sole nove miglia; se si concede anche che queste nove miglia dovessero costare 100,000 ducati al miglio, quantunque costrutte a un binario solo, e perciò valere 900,000 ducati; se si computa che questi 900,000 ducati avessero reso al 5 per 100 un interesse di 45,000 ducati, si vede che il Governo borbonico si obbligava per i primi anni della concessione, cioè per gli anni nei quali è più improbabile che una strada ferrata renda tutto quello che può rendere poi, tutto ciò che renderà negli anni successivi; si obbligava, dico, qualunque fosse il reddito di questa strada, a dare 15,000 ducati all’anno alla società Bayard.

Ora, siccome è molto probabile che questa strada, una volta compiuta sino a Salerno, avrebbe dato per lo meno il 4 per 100, l’obbligo del Governo tornava ad una garanzia del 5 1/2 per 100, anche quando la strada avesse dato il 6 per cento; a dare, dico, di tasca sua l’uno e mezzo circa per 15 anni. Cosicché il mio sottile ragionamento circa questa società Bayard è molto più complicato e più difficile a sciogliere, e meno soggetto al rimprovero del signor Levi.


INCIDENTE SULL'ORDINE DELLA DISCUSSIONE

PRESIDENTE. La parola spetterebbe al deputato Cini; ma prima debbo interrogare la Camera se vuole domani tenere due sedute.

VALERIO. È impossibile; bisogna lavorare negli uffici.

PRESIDENTE. Scusi, gli uffici si radunerebbero quest’oggi.

VALERIO. Io non vorrei parer nemico delle sedute straordinarie della Camera; ma pregovi a ricordare come, appunto coll’aver affrettate le sedute, siamo ora nella condizione che vi sono cinque o sei leggi di grave importanza, per le quali non si hanno le relazioni. Com’è possibile che, sedendo dal mattino alle 7 sino al mezzodì, e nel pomeriggio dalle due sino alle sei, com’è possibile che si possa seriamente lavorare dalle Commissioni? Io non voglio portarmi, per esempio; ma un uomo di lavoro lo sono sempre stato e lo sono tuttora; eppure oggidì per difetto materiale di tempo io sono in ritardo per incarnili ricevuti, di cui mi è fatta premura invano; perché senza la materialità del tempo non si fanno gli studi occorrenti, non si fanno le relazioni.

Io credo che la Camera affretterà molto meglio i suoi lavori, se lascia il mezzo di progredire ai lavori degli uffici e delle Commissioni.

Oggi nel pomeriggio, per esempio, non essendovi seduta, sarà possibile di conferire colla Commissione e col ministro, a riguardo dei molti e gravi emendamenti che son persuaso si vogliono proporre.

Non è egli meglio, o signori, che queste cose abbiano a succedere con una certa preparazione, anziché venire con discussioni improvvise, inaspettate, a far perdere tempo, a riuscire, non voglio dire a far perdere l’orizzonte, ma certo a scombuiare l’orizzonte della Camera?

Abbiamo parecchie leggi importanti assai, fra le quali citerò alcune strade ferrate: quella di Savona, quella di Brescia e Codogno, quella da Chiusa a Orte; abbiamo le cinque leggi d’imposta annunciate dal ministro delle finanze, abbiamo quella del decimo di guerra, che non porterà grande discussione, ma che deve pure essere studiata negli uffici.

Quando tutto il lavoro relativo a queste leggi sarà in pronto, allora dirò anch’io alla Camera: non una, ma due sedute teniamo; stiamo anche in seduta permanente finché tutto sia finito; ma ora, prego la Camera di limitarsi ad una seduta al giorno.

PRESIDENTE. Le considerazioni fatte dall’onorevole Valerio avrebbero senza dubbio un gran peso quando si trattasse di tenere tutti i giorni due sedute; ma egli deve avvertire che io ho fatto tale proposta soltanto per domani, perché sono in pronto quattro progetti, che è a credere non daranno luogo a discussione. Dirò anzi che fra questi ve n’è uno specialmente d’urgenza somma, quello, cioè, relativo alla proroga dei termini per i procuratori.

Questi lavori si potrebbero sbrigare, qualora si tenessero domani due tornate; però, siccome il deputato Valerio si oppone, consulterò la Camera in proposito.

VALERIO. Se questa legge si mettesse in discussione, per la prima, domattina, si otterrebbe lo scopo che vuole il Presidente.

Voci. No! no!

PRESIDENTE. Il signor Valerio sa che per ordinario al mattino alle ore 7 si è difficilmente in numero.

CAPONE. Farmi che la Camera abbia già deciso questa questione quando deferì al signor presidente di convocare, anche due volte in un giorno, i deputati in seduta...

PRESIDENTE. Di proporre.

CAPONE...nei casi che il credesse utile per il disbrigo di progetti di minore importanza. Ricordo ciò alla Camera per evitare che per avventura si metta ia contraddizione con sè stessa.

PRESIDENTE. Interrogherò adunque la Camera se intende di tenere domani due sedute.

(La Camera delibera affermativamente. )


SI RIPIGLIA LA DISCUSSIONE SULLA STRADA FERRATA 

DA NAPOLI ALL’ADRIATICO

PRESIDENTE. Il deputato Cini ha facoltà di parlare.

CINI. L’onorevole signor Levi, combattendo il progetto ora sottoposto alle vostre deliberazioni, ha poco men che svolto le teorie di una nuova scuola economica, secondo la quale si cerca di ottenere l’adempimento di illusioni che hanno formato il desiderio delle anime generose da molti secoli, ma che sono rimaste e rimarranno sempre ben lontane dal campo della pratica. Io non lo seguirò nel suo cammino, e sarò molto più umile. Qui si tratta semplicemente di costruire un’opera di pubblica utilità; quello che noi dobbiamo esaminare egli è se i mezzi che il Ministero propone per eseguirla siano i più opportuni allo scopo che si vuole ottenere.

Lo stesso onorevole Levi conviene della necessità di costruire le strade ferrate meridionali al più presto possibile; ed è così evidente la importanza grandissima politica, ed ugualmente grande economica, non tanto di dotare le provincie meridionali di rapidi mezzi di comunicazione, quanto di dotamele con la maggiore sollecitudine possibile, che io non credo di dovermi soffermare a provarla. Prenderò invece a considerare se le condizioni proposte sieno quelle che meglio possano condurre allo scopo desiderato.

Voi tutti sapete che le strade ferrate, come qualunque altra opera di pubblica utilità, possono eseguirsi in due modi: o lo Stato le costruisce a proprio conto, o le concede ad una società, la quale a proprio conto e rischio le costruisca e le eserciti. Io non combatterò le teorie della nuova scuola economica, la quale vorrebbe che le strade tutte importanti venissero costruite dallo Stato; sarebbe facile dimostrare come questo principio condurrebbe in quella via che poco per volta renderebbe lo Stato amministratore di ogni qualunque importante impresa industriale, in quella via che per un lato farebbe sdrucciolare verso il socialismo.

Io credo, e tutte le persone pratiche meco ne converranno, che lo Stato è sempre il peggiore dei costruttori ed intraprenditori delle opere pubbliche. Non vi sono che ragioni eccezionali che possano far preferire l’azione diretta dello Stato a quella dell’industria privata.

Ma lo Stato può talvolta prendere un sistema medio, affidando la costruzione di una strada ferrata all’industria privala, e riservando a sè stesso l’esercizio.

Questo sarebbe forse il modo di costruire una strada ferrata con maggior sollecitudine di quello che farebbe costruendola direttamente.

Ma una obbiezione fondamentale è sempre stala fatta a questo sistema, ed è che la società appaltatrice della costruzione di una strada ferrata, allorquando non deve essa stessa averne l’esercizio, non ha alcun interesse diretto a fare i lavori con la solidità e con la perfezione dovuta.

Qualunque sia la sorveglianza che per mezzo dei proprii agenti lo Stato eserciti sopra l’esecuzione di un’opera pubblica, non è a dubitarsi che l’interesse privato di chi poi deve avere il mantenimento e l’esercizio di quest’opera non valga più di quella sorveglianza.

Quindi, ogniqualvolta si può dare all’industria privata non solo la costruzione, ma anche l’esercizio di una strada ferrata, è, senza dubbio, il sistema preferibile.

Ritenuto pertanto che, fra le due vie che possono seguirsi, quella della concessione all’industria privata sia preferibile, è da vedersi se le condizioni poste nella concessione presente sono quelle che possono meglio assicurarci della sollecitudine con cui sarà condotta l’opera.

Veramente non saprei immaginare come, oltre ai soliti termini che si mettono nelle concessioni per condurre a fine un lavoro, si potrebbe far di più che promettere un premio allorché la costruzione sia fatta in breve tempo, e stabilire una pena, la quale consista in qualche cosa più che la privazione del premio, quando l’esecuzione dell’opera sia tratta in lungo. Noto in questa concessione che, se la via ferratasi compie nel termine prescritto, si dà in premio ai costruttori niente meno che tre milioni; e se invece la società concessionaria non termina i lavori nel tempo prescritto, essa viene assoggettata alla perdita di un milione al mese.

In verità non saprei trovare un sistema in cui l’interesse della società sia più energicamente spinto a condurre a fine i lavori nel tempo prefisso; mi meraviglio anzi chela società si sia sottoposta ad un rischio così grave come quello di pagare un milione al mese quando non avesse, nel termine stabilito, aperto al pubblicò esercizio i tratti di strada indicati nel contratto.

Per questo lato adunque non saprei immaginare come il Ministero avrebbe potuto dare uno stimolo maggiore alla società ond’ella adempisse esattamente ai propri impegni.. Ma v’ha una condizione, la quale offende a prima vista, ed io non nego che a me pure ha fatto una grande impressione, ed c quella di dare alla società una sovvenzione di 50 milioni.

Qui noterò di passaggio non essere esatto quello che l’onorevole Levi diceva, cioè che, dando questa sovvenzione, il Governo ha seguito ambedue i sistemi, quello delle garanzie e quello delle sovvenzioni; in realtà sovvenzione è una parola che io stesso ho adoperato impropriamente, dacché non è questa che un’anticipazione. Il sistema delle sovvenzioni è quello in cui lo Stato dà un sussidio, perduto assolutamente per lui, ad una società di strade ferrate che nell’esercizio della strada stessa teme di non trovare un corrispondente frutto al capitale impiegato. Qui non si tratta di ciò, si tratta d’una anticipazione che la società deve restituire nel corso di alcuni anni con più l’interesse. Certamente è condizione insolita questa sovvenzione; non dirò che non sia già stata usata, e, se non isbaglio, alcune concessioni di grandi strade ferrate in Francia ce ne dettero già l’esempio; ma converrò che in Italia è una condizione insolita. Ma, se noi consideriamo le presenti condizioni dei mercati europei, le difficoltà di raccogliere grandi somme, io confesso che non trovo più strano che una società seria, una società, la quale ha veramente intenzione di mantenere quello che promette, venga a dire sinceramente: io in 18 mesi potrò sborsare 50, 60 milioni, ma non ne potrei sborsare 90 e 100.

Quello che dovrebbe principalmente osservarsi sarebbe se, così facendo, il Governo non corra alcun rischio serio per la somma che impresta; ma, allorquando egli non dà questa anticipazione di 50 milioni a mano a mano, se non quando l’ammontare dei lavori già costrutti è doppio di quello che egli paga, mi sembra che non corra il menomo rischio, ed una volta che rischio non vi è, e che quest’anticipazione può condurre all’effetto grandemente desiderato di ottenere la strada ferrata in un termine molto breve, io non vedo perché non si debba approvare.

Si è osservato che allo Stato questi 50 milioni costano da uno al due per cento di più del frutto che ne viene a lui retribuito dalla società; ma saviamente l’onorevole relatore della Commissione faceva notare che, se in un altro sistema lo Stato avesse costruito la strada a tutte sue spese, questo uno o due per cento sarebbe invece che sui 50 milioni caduto sopra 200 o 500 milioni, sopra al capitale intero, insomma, che sarebbe occorso per compire l’opera; quindi questa stessa condizione dell’anticipazione dei 50 milioni, che, per me, confesso trovai la più grave, cade dinanzi ad una riflessione di entità assai maggiore.

BRUNET. Domando la parola.

CINI. Ma vi ha un’altra condizione, si dice, la quale è enorme, ed è quella che, se dentro un anno i concessionari non hanno formata la società anonima che si propongono di formare, hanno diritto di rinunciare all’impresa e rimetterla nelle mani del Governo.

Molto ho sentito dire contro questa condizione. L’ho sentita indicare come una delle più grandi, quasi direi, follie che potessero farsi nei concedere un’ impresa di questa natura.

Bisogna ch’io dica apertamente, che a me è sembrata invece cosa di piccolissima importanza, direi di nessuna importanza.

Qui avverto che non vorrei mai portare le questioni personali in mezzo agli affari. Io vorrei solamente discutere delle cose e mai delle persone; ma poiché l’onorevole Levi me ne ha dato l’esempio, e poiché lo stimo necessario alla retta considerazione del presente articolo, io dico che, quando vedo in una concessione i nomi dei cinque o sei dei primi grandi intraprenditori di tutta Europa, in fatto di strade ferrate, i quali ne hanno costrutti migliaia e migliaia di chilometri, che hanno mantenuto sempre i loro impegni, e chiunque si è occupalo di queste materie sa che talvolta li hanno mantenuti a scapito di milioni e milioni; quando io vedo costoro riuniti per un’impresa di questa natura, non posso dubitare, che, se sarà umanamente possibile di formare una società per quest’impresa, essi la formeranno. Quando le condizioni delle borse europee andassero ancora peggiorando da rendere grandemente difficile la formazione di questa società, da rendere difficile l’emissione dei valori che debbono servire a raccogliere il capitale necessario, io sono sicuro che uomini così altamente locati nella classe dei costruttori ed intraprenditori di strade ferrate faranno ogni sacrifizio, ogni sforzo per formarla. E quando, locchè mi sembra veramente da non doversi temere, entro un anno costoro venissero e dicessero al Governo: noi rinunziamo, perché non abbiamo potuto formare la società, io ho la profonda convinzione che questo ci dimostrerebbe, che a chiunque sarebbe stato impossibile dì formarla, che sarebbe stato impossibile al Governo stesso, senza sacrifizi straordinariamente maggiori dell’importanza della cosa, di raccogliere i milioni che ci occorrono.

Io dunque non dubito che il sistema seguito dal Ministero per la concessione di queste strade ferrate non sia quello che possa con maggior probabilità di ogni altro, direi quasi con piena sicurezza, condurre ad avere questa linea importantissima nel termine prefisso dalla concessione.

Per altro si potrà dire: ma questa sollecitudine, che voi avete ottenuta con le condizioni che ora si discutono, non costa ella troppo allo Stato, non è ella un gravame troppo forte in proporzione dell’importanza della cosa?

Io convengo che questa sollecitudine costerà, perché, fra le cose che più costano in questo mondo, quella che costa sopra ogni altra è il far presto; ma non vedo che nel caso presente questo maggior costo ecceda i limiti che ragionevolmente può meritare la maggior celerità.

Infatti, in che consiste esso? Nei tre milioni che si danno di premio, se la strada è compiuta nei diciotto mesi; consiste di più in quell’uno o due per cento che può costare allo Stato il provvedere i trenta milioni, oltre il frutto che ritirerà dalla compagnia. Consisterà in conseguenza in otto o dieci milioni che lo Stato pagherà di più di quello che avrebbe pagato se avesse eseguito la strada, non dirò per proprio conto, perché quello certamente è il sistema più costoso, ma se ne avesse dato in appalto la costruzione ad altri.

Ora, o signori, otto o dieci milioni di maggiore spesa per un’opera che al suo termine ascenderà forse a 500 o 400 milioni, è egli troppo per avere questa sollecitudine che politicamente è tanto importante, e non lo è meno economicamente? Io non lo credo, e credo in generale che, per dotare un paese di strade ferrate, la sollecitudine non sia mai troppa.

E qui bisogna fare una distinzione.

Vedo in generale che si annette una grande importanza, e l’onorevole Levi ce lo ha molte e molte volte ripetuto nel suo discorso, ai guadagni che fanno prima i costruttori delle strade ferrate, ed in secondo luogo quelli che ne hanno l’esercizio.

Io confesso che sì l’uno che l’altro mi sembrano di pochissima importanza rispetto al vero immenso guadagno che fanno i consumatori, cioè il popolo, che fa il paese.

Ora i primi due guadagni sono più appariscenti, colpiscono la fantasia; perché è facile il dire: questi baroni della finanza, che vengono ad infeudarci coi loro capitali, guadagnano il 7, l’8 per 100 sui capitali che ci portano; questi costruttori che vengono e ci portano le loro macchine, le loro guide di ferro, guadagnano il 10 per 100: questa è cosa facile a dirsi, ed è verissimo che, essendo cosa più appariscente, come io dissi, più colpisca; ma non si pensa, non si dice: un milione, cinque milioni, sei milioni di. consumatori, cioè a' dire di persone che lavorano, che si muovono, risparmieranno ogni giorno nel loro lavoro, nei loro movimenti quale dieci soldi, quale venti, un altro trenta, e guadagneranno così, alla fine dell’anno, non sette, non dieci per cento, ma il venti, il quaranta per cento sui loro piccoli capitali. Io non voglio tediare la Camera con dei calcoli che sono stati fatti già, e che sarebbero, nel caso presente, facilissimi a rifarsi, ma è certo che in un paese il quale sia dotato di una strada ferrata, il guadagno che fa ogni anno la popolazione, l’aumenlo della ricchezza nazionale che si forma per economie, per veri e próprii risparmi fatti nella sfera di ciascheduno,'eccede immensamente tutti i guadagni che possono fare gl’intraprenditori, che possono fare le società. Quindi io non mi spavento di questi baroni feudali che vengono a portarci i loro capitali, che vengono a schiacciarci con i prodotti delle loro manifatture; io li ringrazio: invece vorrei che venissero da Pechino, dal Giappone, da tutte le parti del mondo, e che ci affogassero coi loro capitali; io me ne chiamerei ben fortunato, invece di gridare contro il monopolio, contro il nuovo feudalismo che sorge nella nostra società.

Nulla di più giusto e di più utile, non a loro, ma a noi, che essi ritraggano il frutto del loro danaro; imperocché noi ne abbiamo un frutto, un utile ben più grande: frutto, utile che non consiste nell’interesse del danaro, ma nei mezzi che danno a noi di sviluppare le nostre ricchezze, di utilizzare tutte le vive forze del popolo, forze le quali non si utilizzano già per mandare quattro, cinque, o diecimila uomini a scavare la terra per costruire una strada ferrata, ma si utilizzano dando occasione al popolo di trasportare i prodotti del proprio lavoro a miglior mercato, di avvicinarsi con economia e sollecitudine gli uni agli altri, e di comunicarsi a vicenda non solo i prodotti materiali, ma le idee che, in questa guisa, sono il mezzo più potente di civilizzare un paese.

E poiché ora si vuol mescolare il nome di un illustre generale anche nelle questioni economiche, e poiché si vuol mettere un’organizzazione guerresca quasi a modello di un’economica, dirò che anch’io voglio i volontari del lavoro nell’Italia meridionale; ma voglio i volontari del lavoro in un senso diverso da quello che ha inteso l’onorevole Levi. Io voglio volontari che combattano non una guerra di uno, di due, o di tre anni, ma la guerra di tutta la vita; la guerra tutta la vita, perseverando costanti nel lavoro, vincendo le difficoltà che incontrano, e prendendo poi amore al lavoro, perché troveranno che il loro lavoro profitterà, perché troveranno che l’industria non ha nessun mezzo più potente, nessun mezzo più valido per isvilupparsi dì quelli delle comunicazioni rapide e sicure. (Bravo!)

Io pertanto trovando, come diceva, che le condizioni proposte dal Ministero sono quelle che, a parte tutte le illusioni, possono condurre più praticamente, più sollecitamente, al compimento delle strade ferrate nel tempo che noi desideriamo, e trovando che queste condizioni, conducendo a quello scopo che io diceva, non aggravano le finanze in un modo eccessivo, prego la Camera a voler dare la sua approvazione al presente progetto di legge, e la prego a non lasciarsi sviare da teorie, che, come ho detto da principio, sono generose, ma conducono a grandi illusioni.

Le rivoluzioni, ha detto l’onorevole Levi, fondano dei grandi principii; la rivoluzione italiana deve fondare un grande principio economico. Non è vero: la rivoluzione italiana ha fondato un grande principio politico; ma per i principi economici l’Italia li ha dai tempi di Genovesi e di Verri, e di tutti i nostri più distinti economisti. Non abbiamo nulla di nuovo da fondare in fatto di principii ‘di economia, abbiamo solo da applicare con saviezza e fermezza i principii che avevamo. (Bravo! Benissimo!)

PRESIDENTE. Il deputato Massari ha facoltà di parlare.

MASSARI. Il mio egregio amico il deputato Cini, con maggiore autorità di quanto avrei potuto farlo io, ha risposto, per la massima parte, alle obbiezioni svolte dall’onorevole Levi contro il progetto di legge sottoposto ora alle vostre deliberazioni. L’onorevole Cini ha quindi reso un doppio servizio alla causa che noi propugniamo: il primo, perché l’ha difesa, lo ripeto, assai meglio di quanto io avrei potuto farlo; il secondo, perché necessariamente, dopo quanto egli ha detto, io sarò assai più breve di quanto mi proponeva di essere.

Io non ho che un’osservazione da fare a quanto disse l’onorevole Levi intorno ad un punto di fatto.

Se ho bene intese le sue parole, egli asserì che l'annunzio di questa convenzione era stato accolto con molta disapprovazione, non solo a Torino ed a Milano, ma ancora a Napoli. (Segni d'affermazione del deputato Levi)

L’onorevole Levi con un gesto affermativo conferma l’interpretazione che io ho data alle sue parole.

Ora, senza porre menomamente in dubbio la buona fede colla quale egli ha presentato alla Camera quest’asserzione...

LEVI. E' una petizione venuta al Parlamento.

PRESIDENTE. Non interrompa.

LEVI. Domando di parlare.

MASSARI. Io sarei molto curioso di sapere a quali fonti egli abbia attinta questa pellegrina notizia.

L’onorevole Levi mi cita una petizione; ma a quella io ne contrappongo moltissime altre che sono ancora arrivate in questi ultimi giorni e furono depositate al banco della Presidenza. Poc’anzi un nostro onorevole collega, il deputato De Blasiis, vi ha annunziato com’egli avesse ricevuto dalle sue provincie (gli Abruzzi) una quantità di petizioni, tutte dirette a supplicare il Parlamento a voler sanzionare la proposta di legge di cui ora si tratta. L’onorevole Leopardi vi ha poi aggiunto di poter dare alla Camera la stessa assicurazione per quanto riguarda la sua provincia, quella di Aquila. Io non so dunque comprendere con quale fondamento l’onorevole deputato Levi abbia asserito che questa concessione sia veduta di mal occhio a Napoli.

Dopo questa parte, dirò così, negativa del mio discorso, io vengo dal canto mio a fare un’affermazione.

Io posso assicurare la Camera, che non solo l’annunzio di questa concessione non ha prodotto in Napoli la sensazione dispiacevole, a cui testé alludeva l’onorevole deputato, ma ha prodotto la sensazione contraria. Anzi il solo annunzio che dei dubbi gravi fossero insorti in questo Parlamento contro questo progetto di legge, il solo sospetto che questa Camera potesse rifiutare la proposta di cui parliamo, hanno prodotto a Napoli la sensazione la più spiacevole e la più dolorosa.

Potrei, e un onorevole mio amico mi permette di citarlo, potrei citare il nome di uno dei più illustri e più ragguardevoli napoletani, di un uomo il quale avrebbe fatto parte di questa Camera, se pur troppo gravi ragioni domestiche non glielo avessero impedito, l’illustre Roberto Savarese.

Ho qui tra le mani una lettera indirizzata al mio egregio collega e vicino (Indicando il deputato Pisanelli), nella quale l’illustre uomo esprime i sentimenti di sgomento da cui gli animi dei Napoletani sono stati compresi per il solo sospetto, ripeto, per il solo timore, il quale, spero, sarà infondatissimo, che questa proposta di legge non possa essere approvata.

Dirò anche un’altra cosa. Il sospetto è stato così grande, che perfino gli onorevoli componenti della Commissione sono stati argomento delle ire dei nostri cittadini.

Io medesimo ho ricevute molte e molte lettere, di persone autorevolissime, nelle quali il povero relatore della Commissione è conciato, Dio sa come!

Io ho adempiuto naturalmente ad un debito di verità e di giustizia, facendo sapere a tutti coloro che avevano questi sospetti, che dessi erano assolutamente infondati, e che la Commissione non aveva fatto altro se non che adoperarsi, ed adoperarsi lodevolmente, e, mi piace il dirlo, con prospero successo, perché le condizioni del capitolato fossero migliorate.     .

Signori, naturalmente la Camera indovina ch’io non posso menomamente addentrarmi nella parte tecnica; non lo faccio perché non sono competente, non Io faccio perché nel novero degli oratori iscritti per parlare contro questa proposta è l’onorevole mio amico il deputato di Sondrio, ed io temo in modo particolare i suoi fulmini. (Ilarità)

Io mi limito a trattare solamente la questione sotto l’aspetto politico. Parrà singolare, che, a proposito d’una questione di via ferrata, venga a sollevarsi la questione politica; ma pure, tant’è, o signori, questa è avanti tutto, essenzialmente una quistione politica; dirò di più, è una questione amministrativa.

Se le strade ferrate nell’Italia meridionale non sono fatte, e non sono fatte presto, io non credo di far offesa a nessuno affermando che nessuno potrà dire di governare, o di poter amministrare quelle provincie, nel senso in cui le parole Governo ed amministrazione debbono essere intese; ed io son tanto persuaso di ciò, che, anche prescindendo dal debito della solidarietà ministeriale, io credo che in questo recinto l’uomo che più di tutti è interessato a che la proposta dell’onorevole ministro pei lavori pubblici venga adottata, è il suo onorevole collega, il ministro per l’interno.

Certo è, o signori, che se vi è qualche rimprovero da fare in questa circostanza all’amministrazione, si è quello d’aver aspettato troppo tempo. Io non muovo censura a nessuno, e non voglio riandare il passato; certo è che, se i lavori che stanno per incominciare, qualora la Camera approvi, come spero, questo progetto di legge; se questi lavori, dico, invece d’incominciare oggi, fossero cominciati nel mese di novembre o dicembre, oh! quanti mali, o signori, avremmo evitati! quante ragioni di malcontento sarebbero eliminate! Il principio d’autorità, tanto necessario, sarebbe forse a quest’ora pienamente reintegrato, e noi non avremmo a lamentare il flagello del brigantaggio, da cui sono ora contristate quelle povere provincie. (Approvazione)

Oltre a ciò, o signori, il concedere le ferrovie all’Italia meridionale non solo è un’opera di buona amministrazione e di buon governo, ma è ancora un’opera di riparazione.

Io non ho mai compreso, lo confesso francamente, non ho mai compreso così bene la perversità del Governo borbonico come quando ho vedute le condizioni miserande in cui, sotto l’aspetto delle pubbliche costruzioni, quel Governo ha ridotto le povere provincie meridionali. Voi altri stessi, o signori, permettetemi di dirvelo, non vene potete fare un’idea esatta; chi di voi non è stato sui luoghi non può immaginare, e nemmeno supporre, certe enormezze. Mancano le strade, e non in una, ma in moltissime provincie. Uno dei nostri amici, l’onorevole avvocato Cornero, ha dovuto fare, nel mese di dicembre, o gennaio, un viaggio da Napoli a Reggio; quante e quante volte non ha egli dovuto fermarsi per istrada senza poter andare né avanti, né indietro, perché mancavano i mezzi di comunicazione! Dagli Abruzzi a Napoli, se non sono male informato, mancano nientemeno che nove ponti; di maniera che, quando i fiumi ingrossano un tantino, per fare un viaggio bisogna raccomandarsi l’anima.

Dall’Abruzzo Teramano alla Capitanata sono frequenti i contatti, le ragioni di commercio, e non vi è strada.

Da Taranto a Reggio, magnifico litorale, separate dalla distanza di 450, al più 500 chilometri, non vi è strada!

Dunque, non credo di esagerare affermando che fra tutti i misfatti, fra tutti i delitti, di cui si è reso colpevole il Governo borbonico, questo è il maggiore. (Segni di assenso) Adesso, o signori, venendo a indugiare il benefizio che le provincie meridionali aspettano con tanta impazienza e con tanto desiderio, noi verremmo a commettere un errore, le cui conseguenze sarebbero fatali ed incalcolabili.

Ci si dice che nessuno certamente muove dubbio alla necessità ed all’urgenza di questa via ferrata; nessuno muove dubbio, ed io credo alle intenzioni, alle rette e benevole intenzioni di tutti gli avversari di questa legge; ma, mio Dio! è noto il vecchio proverbio che l’inferno, dicono i Francesi, est pavé de bonnes intentions.

lo non pongo in dubbio che gli onorevoli preopinanti abbiano delle buonissime, cortesi e benevole intenzioni verso le provincie meridionali, ma il fatto si è che se ci negano oggi questa via ferrata, le loro buone intenzioni rimarranno allo stato di progetto.

Dirò di più: la condizione nostra rimane peggiorata, poiché, non ci facciamo illusione, se questa concessione non è approvata, l’attuazione delle ferrovie nell’Italia meridionale viene rimandata alle calende greche.

Si dirà che il Ministero poteva far meglio; io credo che nessuno abbia ciò contrastato, né lo contrasta nemmeno l’onorevole mio amico, il ministro dei lavori pubblici..

Far meglio, ma come? Perdendo il tempo. Ora, nelle circostanze attuali, ogni giorno che si perde è un fatto gravissimo che noi dobbiamo ad ogni costo evitare. Ciò che noi possiamo ottenere domani, non dobbiamo differirlo a dopodomani, e ciò che possiamo avere oggi non dobbiamo differirlo a domani.

Uso ad esser breve, lo sarò di più in questa occasione, perché non vorrei essere tacciato di studio, di amore municipale.

Io confesso, o signori, che, se non fossi profondamente persuaso che si tratta di un interesse eminentemente italiano; che si tratta di provvedere con un mezzo efficace, pronto ed immediato all’attuazione dell’unità che vogliamo lutti; se non fossi stato convinto di ciò, ve lo dico schietto, non avrei nemmeno preso la parola, e mi sarei fatto un dovere di imitare il delicato procedere dei nostri onorevoli colleghi rappresentanti delle antiche provincie, i quali, in una recente discussione che toccava ad un interesse immediato di questa nobilissima città, con una delicatezza che mi ha profondamente commosso, preferirono il silenzio.

Io nutro speranza, o signori, che fra poco i fili elettrici recheranno alle provincie meridionali la grata novella che finalmente l’antico loro desiderio è esaudito, che le beffe e gli scherni dei Borboni sono terminati, e che fra poco anche ad esse sarà assicurato il possesso di questa nuova guarentigia della prosperità e dell’incivilimento, a cui, come tutte le altre provincie d’Italia, hanno diritto di aspirare..     .

PRESIDENTE. La parola sarebbe al deputato Susani.

SUSANI. La cedo al deputato Brunet.

BRUNET. Le ultime osservazioni dell’onorevole Massari mi inducono a fare una dichiarazione prima di parlare circa a questa concessione.

Col progetto di legge in discussione noi intendiamo di dotare le provincie meridionali di parecchie ferrovie, le quali, insieme colle linee proposte con altre leggi che presto andranno in discussione, formano il complesso principale delle ferrovie meridionali.

L’esecuzione di questa parte di linee ferrate forma lo scopo reale della presente legge.

Le linee state proposte, e che trattasi di eseguire, io le credo convenienti.

Credo del pari sia una necessità la loro esecuzione, e che nessuno vorrà contraddire a questa opinione.

Quindi le questioni che si possono sollevare relativamente a queste strade non possono, di certo, ravvisarsi come una opposizione, la quale tenda ad impedirne l’esecuzione. La questione si raggira soltanto circa alla scelta del miglior modo di attuarle.

Osservava l’onorevole Cini che vi sono due modi di ottenere le strade ferrate: o il Governo le eseguisce egli stesso direttamente, oppure le ottiene col mezzo di concessioni.

Io assento con lui che sianvi questi due modi di attuare le ferrovie, ma non concorro nella sua opinione circa alla scelta del modo.

Io credo che il Governo potrebbe, come ha già fatto altra volta, e come in parte vedo che intende di fare per altre linee, eseguire le strade direttamente per conto proprio.

Io non temo tutti i mali che egli dice doversi incontrare nell’esecuzione di ferrovie operata per parte del Governo. Non temo cioè che il Governo, così operando, precipiti in cattive condizioni e s’incammini, come dice il signor Cini, al socialismo. Sono anzi persuaso che, allorquando l’amministrazione dello Stato può disporre d’un personale intelligente e capace a fare i progetti e dirigere i lavori, il Governo può anzi compiere un ordinamento di strade ferrate meglio che noi potrebbe fare qualunque società.

Ma supponiamo che si debba lasciar da parte il sistema di far eseguire le ferrovie dal Governo stesso; supponiamo che per queste ferrovie dell’Italia meridionale, e delle quali si tratta, vogliasi adottare il sistema delle concessioni. Potremo noi dire che colla legge proposta e coll’atto che vi sta annesso noi realmente compiamo un’operazione di concessione regolare, legale, compiuta, e tale da aver fiducia che le strade si possan dire realmente concesse? Questo contratto quale è stato proposto non costituisce una vera concessione, questo contratto non è altro che una domanda di concessione fatta da persone le quali intendono unicamente di promuovere la costituzione d’una società.

Se si trattasse d’un atto definitivo di concessione, se si trattasse di una concessione seria, io direi: sopportiamone anche gli oneri, tutto che gravosi, come compenso a che le strade sarebbero in breve e senza dubbio alcuno intraprese e portate a compimento:

Ma basta il leggere l’articolo 15 della convenzione per persuaderci che questa non contiene né uria reale e definitiva concessione, né lascia quella indispensabile certezza di che noi abbisogniamo circa alla reale attuazione delle ferrovie.

In quest’articolo è detto in sostanza che alcuni capitalisti e costruttori si dichiarano disposti ad adoperarsi per costituire una società anonima nello spazio di un anno.

Essi per costituire questa società si appoggiano intieramente al credito del Governo, dal quale chiedono garanzia d’interesse; e quanto all’intraprendere tosto i lavori, anche nel Governo trovano i mezzi, mentre, questi stando alla convenzione proposta, il Governo loro somministrerebbe a prestito la somma di 50 milioni.

L’onorevole Cini osservava che il nome delle persone colle quali venne stipulata questa convenzione ispira fiducia che realmente la società sarà organizzata.

Io professo il massimo rispetto per quelle persone, né voglio punto portarle in discussione. Osservo come non basta il buon volere di pochi individui all’ordinamento d’una società così estesa quale esser dovrebbe quella delle ferrovie di che si tratta.

E di ciò ne ebbimo esempio nella convenzione relativa alla ferrovia litoranea. Anche in quell’occasione uomini distinti si presentavano e dicevano di voler costituire una società. La minima osservazione che si voleva opporre a tal concessione pareva diretta ad osteggiare l’impresa; e poi che cosa è avvenuto di questa strada ferrata? Per questa strada ferrata litoranea il concessionario non potè mettere insieme una società. E si venne non è gran tempo a proporre al Parlamento, che, avendo questo concessionario fatto invano il possibile per riuscire a formare una società, si dovesse condonargli la somma di cauzione stata depositata.

Questo fatto non mi inspira fiducia che i promotori di questa, tuttoché capitalisti e costruttori distintissimi, e di alta reputazione anch’essi, non abbiano a fallire nel tentativo. Se ciò fosse, quali ne sarebbero le conseguenze?

Mentre noi crediamo di soddisfare al desiderio delle popolazioni meridionali, con dotare quelle regioni delle principali ferrovie; mentre noi crediamo di veder assicurata la esecuzione di queste opere, noi ci troveremo all’apertura della nuova Sessione parlamentare senza sapere se realmente la società possa costituirsi, e correremo rischio di vederci fra un anno costretti a dover ripigliare lo studio sul modo di portare a compimento quelle linee, la cui esecuzione così facilmente crediamo ora assicurata dalla proposta convenzione.

E questo basti a dimostrarvi come noi ci troviamo in una falsa posizione. Da un lato tutti noi, non i soli deputati napolitani, ma tutti noi, dico, desideriamo queste strade. Queste strade sono utili allo Stato dal Moncenisio all’Etna, quindi sentiamo tutti la necessità che siano eseguite, quand’anche occorrano sacrifizi.

La Commissione propose l’articolo 16 per modificare in parte le conseguenze e le incertezze che sull’attuazione delle ferrovie derivano dall'articolo 15; ma raggiunta riesce affatto inefficace.

Per togliere o scemare in parte l’incertezza sull’esecnzione di queste strade, qualora questa convenzione si voglia adottare, conviene assolutamente ché la dilazione per la costituzione della società sia ristretta a due o tre mesi, e così alla nuova riunione del Parlamento; si sappia se realmente questa società sia costituita, ovvero convenga provvedere altrimenti all’esecuzione di queste strade e soddisfare così al comun desiderio di vedere attuata questa parte della rete ferroviaria del regno.

Ogni maggior incertezza, ogni maggior dilazione a tale riguardo sarebbe sconveniente e dannosa, e tradirebbe la giusta aspettazione, che le provincie meridionali aspettano di vedere da noi soddisfatta.

Ed io non crederò l’attuazione di queste strade assicurata, finché o la società venga definitivamente costituita, o il Governo pronunzi che egli stesso le farà eseguire.

Brevi parole dirò sopra alcune disposizioni contenute in questa concessione. Leggesi nell’articolo 15 che, se questa società non potrà dai promotori entro un anno essere organizzata, il Governo pagherà i lavori che essi avranno eseguito. Pagherà gli interessi delle somme spese, pagherà le altre spese qualsiensi relative a questo lavoro non solo, male spese di studi ed altre relative all’ordinamento della società.

Parmi che questo completo rimborso di spese per cose di sempre difficile giustificazione, e mentre nessuna garanzia è data dai promotori della società, faccia al Governo una posizione non molto favorevole in confronto di quella in cui sarebbero i signori concessionari, i quali, in sostanza, non conferiscono in questa concessione il loro credito, mentre, siccome il. Governo assicura un interesse, è il suo credito che sta in campo, non quello dei concessionari.

Non conferiscono nemmeno capitali, mentre il Governo, come abbiamo già osservato, si obbliga di anticipare loro 50 milioni in pochi mesi.

Io ravviserei meritevole di riguardi un concessionario il quale, offrendosi di eseguire le ferrovie, definisse precisamente il compenso da darsi dal Governo.

Io vedrei in ciò messo in campo il credito del concessionario stesso.

Ma la concessione, quale ci viene ora proposta, è tale che non si può considerare come concessione, ma come un embrione di concessione, sulla cui vita futura non si ha quella fiducia che sarebbe pur debito nostro in qualche modo di ottenere.

Havvi nella convenzione l’articolo là, al quale, a mio credere, la Commissione, proponendo l’adozione della convenzione stessa, avrebbe potuto aggiungere una modificazione, a fine di renderlo meno gravoso all’erario dello Stato. L’articolo è così concepito:

«La società è autorizzala a realizzare il suo capitale, parte in azioni e parte in obbligazioni. La quota-parte realizzata in azioni non potrà mai essere minore di un terzo del capitale sociale.

«Le cartelle di obbligazioni emesse dalla società saranno rivestite della firma di un commissario governativo, per constatare la garanzia dello Stato.

«Gl’interessi delle obbligazioni verranno pagati dalle pubbliche casse.»

In quest’articolo non si dice che l’interesse che dovrà guarentire Io Stato debba limitarsi alle somme che nella emissione di questi titoli saranno realmente riscosse e impiegate realmente nei lavori.

Se l’onere dello Stato fosse entro questo limite, la cosa sarebbe meno gravosa; ma il lasciare in facoltà della società remissione di un numero indeterminato d’azioni ed obbligazioni, senza stabilire il loro valore nominale, abbandonandolo invece in balìa della società, tale fatto porrebbe in grave pericolo le finanze del Governo, le quali pagherebbero garanzie di somme, che non sarebbero state impiegate nella costruzione delle strade.

La disposizione dell’articolo là, con cui si è detto che un terzo soltanto vi saranno di azioni, e due terzi di obbligazioni, non è una disposizione la quale dimostri come l’ordinamento di questa società sia sopra una base sincera e solida, come dovrebbe essere. Quella sproporzione tra le azioni e le obbligazioni non é un pegno di buona organizzazione di società, quindi io credo che quest’articolo, qual è redatto, sia inammessibile, mentre altrimenti l’erario pubblico verserebbe in condizione tale da non saper quali siano le gravezze, che in definitiva in avvenire dovrà sopportare.    

Parmi quindi che quanto meno a quest’articolo si dovrebbe, aggiungere che la garanzia del 6 per 0/0 non sia concessa che pelle somme che realmente sono state impiegate nei lavori.

Una voce. Vi è già!

BRUNET. Mi si dice che c’è; tanto meglio. Dubito peraltro che ciò non sia; e quindi persisto nella mia proposta, la quale consiste in che s’inserisca un’annotazione all’articolo, a seconda di quanto èbbi a proporre.

Tutte queste osservazioni mi inducono a credere che nell’atto di concessione che ci si propone all’approvazione, il signor ministro non raggiunge lo scopo che si prefigge.

Difatti, stando al suo sistema, io sono persuaso che sarebbe meglio che il Governo, anzitutto per far conoscere alle provincie meridionali che si ha realmente intenzione di eseguire queste strade ferrate, dichiarasse di eseguirle per conto proprio, serbandosi facoltà, quando lo stimerà opportuno, di far concessioni parziali a chi crederà conveniente, ma non sarà vincolato da una concessione, della quale non può misurare le conseguenze.

Io credo che le popolazioni, quando avranno veduto come il Parlamento ha votato le strade ferrate, si preoccuperanno ben poco da chi queste sieno eseguite; ed io credo che questa determinazione soddisferà maggiormente quelle popolazioni, perché saranno certe che questi lavori si eseguiranno, che non il sapere che quei lavori si faranno da una società, la quale propriamente non esiste, la quale è ancora in fieri.

Se il Ministero ha in mira di far sì che l’esecuzione delle strade ferrate, di che si tratta, sia realmente rassicurata; se ha in mira di soddisfare ai giusti desiderii delle popolazioni meridionali e ai bisogni dì tutto il regno, collo stabilire con quelle provincie pronte e rapide comunicazioni, io credo che opererebbe meglio assai emanando una legge colla quale fosse stabilito che queste strade saranno eseguite per conto dello Stato, e che gli opportuni fondi verrebbero a tempo stanziati nei bilanci dello Stato.

In questo modo il Governo non sarebbe vincolato sul modo d’appalto che crederebbe opportuno per intraprendere i lavori; in questo modo il Governo potrebbe anche più tardi studiare qualche combinazione con società private in modo più consentaneo a’ suoi interessi; ed intanto sarebbero soddisfatte le popolazioni, le quali vedrebbero intrapresi ed attivati i lavori.

I lavori intrapresi in questo modo dal Governo assicurerebbero ben più il compimento dei lavori, e tranquillizzerebbero le popolazioni sulla reale esecuzione dei lavori, ben più di quanto noi possa fare questa concessione di che si tratta, la quale non è una concessione stabilita, ma una proposta di concessione sul cui risultato non si può a meno di dubitare, dovendo aspettare un anno per sapere se potrà essere costituita. La mia proposta contiene una realtà, una vera sicurezza dell’esecuzione dell’opera. La concessione, in vece, che il signor ministro ci propone all’approvazione, non contiene già una proposta di concessione, ma contiene soltanto un atto il quale in nessun modo può rassicurarci che queste strade tanto desiderate ottengano il loro compimento.

Queste considerazioni ho creduto di esporre come risposta ad alcune osservazioni fatte da alcuni oratori che mi precedettero, riservandomi di esporre alcune considerazioni ancora allorquando la discussione si raggrupperà specialmente sugli articoli dell’atto di concessione.

PRESIDENTE. Il deputato Valerio ha facoltà di parlare.

VALERIO. Quando prima si riunì questa Legislatura, pensando all’importanza gravissima del problema che non poteva mancare di presentarsi, quello della costruzione di tutte le strade ferrate, sulla cui necessità, non è bisogno di ripeterlo, tutti siamo d’accordo; necessità, è bene il dirlo ancora una volta, non solo per lo sviluppo delle forze nazionali commerciali e industriali, non solo per gli effetti futuri della guerra, ma per la governabilità del nostro paese; quando, dunque, io dico, pensava all’importanza del problema che stava per presentarsi al nostro Parlamento ed al Governo, io era ansioso, cercando fra i sistemi conosciuti, di vedere quale avrebbe potuto rispondere in pratica alle necessità del paese. Io lo dico francamente, riandando e ciò che si era fatto da noi, e ciò che si era fatto nell’Inghilterra, nell’America, nella Francia, nel Belgio e nella Germania, io era affatto sgomentato dal vedere che nessuno di questi sistemi poteva, per sè, rispondere ai bisogni attuali.

Quindi, quando prima ebbi a studiare la questione dell’Aretina, quando prima ebbi a presentire il programma dell’onorevole signor ministro dei lavori pubblici, io non tardai a dichiarargli, come lo dichiarai alla Camera, che gli faceva lode del coraggio col quale si metteva per una via che a tutti noi poteva parere, ed è certamente nuova, ma nella quale, a mio avviso, procedendo con saviezza e con prudenza, potremo ottenere quello scopo che, per tutte le altre vie, era impossibile di raggiungere.

Nella discussione che ebbe luogo stamane, due sistemi furono principalmente toccati: quello dell’esecuzione diretta o indiretta, che per me è tutt’uno, per parte dello Stato; e quell'altro che è incarnato nello schema di legge che avremo a discutere, sulla concessione Adami e Lemmi.

Io non credo di dover ritornare nel campo nel quale spaziò con tanta larghezza di vedute l’onorevole Cini per dimostrare come l’esecuzione o diretta od indiretta dello Stato non sia certo quella che ottiene le economie maggiori. Aggiungerò solo a quello che diceva l’onorevole Cini, che per mezzo dell’esecuzione diretta o indiretta dello Stato il problema, che abbiamo davanti agli occhi, sarebbe insolubile.

Io capisco come un ministro possa, in condizioni in cui non abbia a’ curarsi troppo seriamente dei modi di ricavare il danaro, possa lanciarsi nell’esecuzione di una determinata rete di strade ferrate; capisco che un ministro possa eseguire direttamente due, trecento chilometri di strade ferrate all’anno (sarebbe un grand’uomo quello che fosse capace di arrivare a questo punto), ma non capirei in nessun modo che il Governo possa avviarsi a fare quello che abbiamo bisogno di fare noi, cioè due o tre mila chilometri di strade ferrate in due o tre anni. Questo non è possibile. Accelerate, abbreviate i termini delle vostre burocrazie, spingeteli nel modo migliore che possiate immaginare, non troverete mai il mezzo di far progredire i lavori con questa celerità. E se ne volete un esempio, guardate alla Francia.

La Francia si avviò dapprima per questo sistema, ed impiegò a fare le sue strade tanto tempo, che scontò gravemente in finanza, in industrie, ed anche in certa parte in potenza, il risparmio che possa aver fatto di danaro, e ciò perché non volle lanciarsi nella via larga, che l’industria le apriva. Eppure essa era allora in quell’epoca, in cui l’industria privata della Francia e dell’Inghilterra le avrebbe fatte tali offerte, che noi, nello stato in cui ci troviamo attualmente, non possiamo assolutamente sperare.

Non parlerò molto a lungo del sistema adottato nella convenzione Adami e Lemmi. Io vorrei considerare questo sistema a parte affatto dall’onorando nome, da cui esso ha la sua origine.

Io credo che in tutte le questioni, che sono davanti al Parlamento, vi siano due elementi importantissimi: quello sostanziale della questione e quello accessorio; quello ordinariamente amministrativo, questo politico.

Quando verrà avanti al Parlamento la convenzione Adami e Lemmi, se, come spero, qualche importante modificazione la potrà ridurre in termini più convenienti, io l’appoggerò pei riguardi politici; ma, come sistema, lo dico francamente, non credo che si possa sostenere una discussione seria, allo scopo di dimostrare che questo sia un sistema che si debba adottare. Ed io credo che l’onorevole ministro dei lavori pubblici, se ci presenta quel sistema, ce lo presenta pure per quei riguardi che dicevo accessorii, ma che hanno una grande. importanza in questo caso speciale.

Il contratto Adami e Lemmi può considerarsi da un lato solo come logico, ed è il lato da cui riflette, direi, come un appalto degli studi; in tutte le altre sue parti non è che una mascherata esecuzione indiretta per mezzo dello Stato, ed in condizioni deteriori a quelle in cui potrebbe farla lo Stato direttamente.

Ammesso dunque che l’esecuzione diretta od indiretta per parte dello Stato non sia accettabile, verrò agli altri sistemi che ci si parano dinanzi, dando loro un’occhiata generale.

Certamente io preferisco (ed in questo vado d’accordo in teoria coll’onorevole Levi) sopratutto il sistema delle concessioni determinate, precise, in cui o per favori o per sovvenzioni prestabilite, che preferirei sempre alle garanzie, si potessero costituire delle società; preferirei ancora che queste società nascessero nel paese, fossero nazionali; e che con queste si potesse stabilire una buona rete ferroviaria. Ma questo non è un sistema di elezione; è un sistema che vuole determinate condizioni finanziarie e politiche, perché si possano averne gli elementi; ma che non si può creare a volontà.

Attualmente chi può dire che si possa attivare questo sistema in un modo pratico?

La mia convinzione è adunque che nelle condizioni in cui si trovava, il Governo non aveva altra via, non aveva via migliore che quella di cercare di raggruppare tutte le forze vive che trovava e nel paese e fuori del paese, le quali gli si presentassero allo scopo di volgerle alla creazione di quella che io chiamerò potenza ferroviaria del paese.     .

Da questo lato io credo che il problema è risolto in modo abbastanza soddisfacente, e con buon fondamento di pratica riuscita.

Il gruppo delle Lombardo-Venete, il gruppo delle strade ferrate delle vecchie provincie, il gruppo delle Toscane, quello delle Romane, quello delle Meridionali, la rete delle Calabro-Sicule, sono tanti gruppi di strade ferrate, che stanno bene da per sè, e che costituiscono degli enti industriali, degli enti finanziari, da cui può venire lo sviluppo delle forze del paese, sia dal Iato industriale, che da quello finanziario.

Ma per creare questi enti, per creare questi gruppi, potevamo imporre delle condizioni sia di tempo, sia di rendita, diverse da quelle che ci presentava il mercato?

Di tempo? Sarebbe certo stato utilissimo che noi avessimo potuto, prevedendo quello ch’è successo, avere que’ studi, che soli ci avrebbero potuto dare il mezzo di ottenere lo scopo a cui mirava l’onorevole Levi, che soli avrebbero potuto metterci in grado di ottenere quelle regolarità di procedimento che vorrebbe l’onorevole Brunet.

Ma questi studi non ci sono. Volete voi venire nell’idea di fare questi studi direttamente e di decidere poi dopo?

Ma, per carità, chiunque conosca come si conducano, come si possano condurre le cose d’un’amministrazione, vedrà che a fare questi studi, nel modo che far si devono, ci vorrà più tempo assai forse che a fare buona porzione delle strade ferrate medesime.

Quindi io credo di poter dare al sistema, che ci ha presentato l’onorevole ministro dei lavori pubblici, il mio appoggio, anche nelle condizioni del contralto attuale; quando però queste condizioni con prudenti clausole, con previdenti restrizioni siano condotte in quella cerchia in cui la forza amministrativa possa farsi sentire sopra questi enti di una certa potenza che stiamo creando; quando il controllo del Parlamento abbia il mezzo di potere, quando che sia, intervenire colla sua sorveglianza nel processo finanziario e nello sviluppo dagli importanti servizi pubblici che loro si affidano per tal modo.

Venendo ora alla considerazione speciale della convenzione che vi è sottoposta, io vorrei rilevare, tra le obbiezioni fatte, una a cui non ho sentito sinora a rispondere, ed è quella che riguarda la concessione Bayard. Lascio da parte i rilievi fatti dall’onorevole relatore della Commissione, che non cambiano dì molto il valore delle cose (e con ciò non intendo per nulla di togliere il valore a ciò ch’egli ci ha esposto), ma, ripeto, non cambiano molto il valore delle cose, considerate nell’insieme del contratto. La concessione Bayard fu fatta solo per 80 anni, senza garanzie; essendo già in esecuzione da venticinque anni, non rimarrebbero più a benefizio dei concessionario che cinquantacinque anni, dopo i quali la ferrovia ritornerebbe allo Stato. Noi con questa concessione diamo via (si usò questa parola) questa linea alla società, con cui ha avuto luogo la convenzione di cui ora si tratta, e guarentiamo ad essa il sei per cento.

Io credo che, se la Camera vuol esaminare attentamente, e, dirò anche, praticamente, questo dono, come fu chiamato, che facciamo alla società, vedrà che non è un dono, non è altro che una liquidazione di uno stato di cose che non si poteva, forse, liquidare altrimenti.

Supponiamo un momento di lasciare la società Bayard da per sé sola, e di costituire un’altra società: vogliamo che quest’aura società non vada a Napoli, oppure ci vada per mezzo della società Bayard? Ecco il primo questo. Se ci và per mezzo della società Bayard, in allora non avremo fatto altro se non che con sacrifizio dello Stato creare una condizione di cose lucrosissima, tale, che sarebbe, direi, la manna caduta dal cielo per la società Bayard, la quale si troverebbe riassunta sulla sua linea una massa di commercio enorme. Chi vi guadagnerebbe a questo stato artificiale di cose? La società Bayard. Chi l’avrebbe pagato? Lo Stato. Oppure volete chiedere a questa nuova società che vada direttamente a Napoli senza toccare la società Bayard; ma allora bisogna fare un’altra linea.

Notiamo in prima che sarebbe per ciò necessario di costrurre una terza linea su di una striscia di terreno, sulla quale ne corrono già due parallele, e pochissimo fra di loro distanti. E notiamo di poi che la spesa per questa terza linea bisognerebbe farla, tanto e come dobbiam fare quella per l’acquisto della linea Bayard. E voi scorgete quindi che all’un modo ed all’altro voi riuscite allo stesso risultalo, e che col sistema adottato nella convenzione voi ottenete di liquidare lo stato delle cose al prezzo il più giusto possibile, perché la linea Bayard la prendete nelle condizioni attuali e il frutto che si ricaverà da questa linea verrà tutto a benefizio dello Stato, perché, se non dessimo alla società Talabot questa linea, bisognerebbe o darle l’equivalente in danaro, e lasciare sussistere la concorrenza della società Bayard; o permettere che la società Bayard essa stessa utilizzi sulla sua linea lo speso dallo Stato per mezzo della società Talabot.

Anch’io, guardando sul principio all’articolo 13, ne fui singolarmente sgomentato, e mi parve di vedere che questo insieme di combinazioni fosse, per cosi dire, senza base, dal punto in cui, con una clausola di esso articolo 1 ti, la società resta libera di procedere o di dismettersi dai suoi impegni; e molto mi sono occupato a studiare se avessi potuto trovare un mezzo pel quale, rispettando il principio del contratto, avessi potuto levar via questo difetto; ma, lo dico schiettamente, non l’ho trovato. Di più, esaminando a fondo questo articolo th, il fantasma che dapprima mi si era fatto innanzi, si è poco alla volta dileguato nella mia mente.

Quando io presi a considerare il disposto di questo articolo in riguardo alle condizioni attuali del mercato, in riguardo alle altre stipulazioni del contralto, quando vi si aggiunsero le variazioni proposte dalla Commissione (cui debbo lode, perché per esse trovo meglio concretato il principio che informa questa convenzione), io mi feci persuaso che con queste stipulazioni, piuttosto che creare uno stato di cose assolutamente arbitrario, a scelta ed a favore dei. concessionarii, si ha una combinazione, per cui essi hanno vero e reale interesse di procedere, piuttostoché quello di smettere l’opera iniziata.

Egli è evidente che, nelle condizioni attuali del credito, qualunque società farebbe un magro affare, quando si accingesse ad una grande impresa per la prospettiva soltanto di un sei per cento del capitale impiegato; quindi le condizioni che sono fatte alla società dall’articolo 15, quando si verificasse il caso che essa potesse dismettere l’impresa, sono tali da fare che la società non debba cercare che quest’eventualità si verifichi.

So che si risponde, ed era venuto in mente anche a me, che ciò sarebbe vero quando il controllo sui lavori desse modo di conoscere la somma effettivamente spesa, ma che potrà non esser vero quando i costruttori, abusando della condizione di cose in cui si trovano, potessero in via indiretta guadagnare di tanto più da rendere di loro interesse, non di curare la costituzione della società, ma di limitarsi a quei grossi guadagni che potrebbero dai lavori stessi ottenere.

Due ordini di considerazioni devono tuttavia far passare sopra questa difficoltà, sebbene non sia destituita di fondamento.

L’uno io lo ricavo da ciò che notava l’onorevole Cini relativamente alle persone i cui nomi vediamo scritti in questa convenzione, persone che riassumono non solo l’elemento capitale, l’elemento bancario, per cui non sarei tenerissimo, ma specialmente l’elemento costruttore, l’elemento esecutore serio, rappresentato dai migliori e più conosciuti conduttori di grandi intraprese di opere pubbliche.

Io dico che questa considerazione dall’un Iato ci deve far presumere con abbastanza di fondamento che queste persone non possono, anche considerate rispetto ai loro mezzi, rispetto al loro solo interesse, non possono avviarsi in questo genere di operazioni col solo scopo di lavorare un anno; ma aggiungo che vi ha un altro genere di considerazioni, che entra anche maggiormente nelle vedute dell’onorevole Brunet, che ci dovrebbe dall’altra parte dimostrare come questo pericolo non abbia quella gravità che gli si vuol dare. Ed è che noi possiamo non solo con misure preventive (ed io vi domanderò di inserirne alcuna nella legge a questo scopo), ma anche con una sorveglianza severa, come possiamo aspettarci dalla nostra amministrazione, esercitare un sindacalo bastevole perché non possano succedere quei grandi smarginamene che soli potrebbero forse indurre gli imprenditori di questi lavori a mettersi in quella via, che pure sarebbe sempre falsa, ma che pure da alcuni si teme possibile.

Ila una importanza al certo grave l’obbiezione fatta dall’onorevole Brunet all’articolo 14, ed io pregherò la Camera, quando saremo nella discussione particolare, di permettermi di proporre un emendamento che, senza alterare per nulla lo spirito di questa concessione, tuttavia richiamerà alle norme generali del diritto amministrativo, alle norme generali della sorveglianza dello Stato, sia l’emissione delle obbligazioni, sia il rapporto fra le obbligazioni e le azioni.

Io credo tino ad un certo punto che questo principio non sia per nulla escluso dal contratto com’è stipulato, e che anche, senza inserirlo nella legge, forse il Ministero lo avrebbe potuto ottenere dopo con altre disposizioni. Ad ogni modo io credo che sarà bene di inserirlo, dacché, senza alterare menomamente Io spirito del contratto, ne regolerà meglio le condizioni rispetto al credito e rispetto all’amministrazione.

E procedendo nell’esame della convenzione medesima, allo scopo sempre di determinarne più precisamente la dipendenza necessaria della società verso l’amministrazione ed anche la pratica possibilità dell’alto controllo del Parlamento, io vi proporrò di stabilire per questa concessione alcune norme che voi sanciste già per altra consimile intrapresa.

Così pure vi chiederò di voler provvedere sin d’ora a stabilire per le linee che formano cotesta concessione, in rapporto alle altre linee di strade ferrate con cui si rilegano, quella uniformità di tariffe e di sistema per trasporti, che sarà certo utilissimo, forse necessario.

A questo scopo è diretta una proposta che vi farò quando verremo alle condizioni speciali. Questa proposta tende ad applicare anche a questa strada ferrata la tariffa già approvata col decreto luogotenenziale del 22 dicembre per le strade dell’Italia centrale. La medesima vi parrà tanto più opportuna, quando noterete che fu già adottata dalla Commissione e dal Ministero per l’impresa delle ferrovie romane, colle quali quest’altro gruppo si rannoda molto opportunamente.

E considerando per fine questa società nei suoi futuri esercizi delle linee che intraprende ora ad eseguire, poiché nell'indeterminazione in cui siamo per rispetto ai particolari delle linee non ci è dato di segnare in preventivo quei limiti che accennava già (nell’occasione in cui si discuteva dell’Aretina) l'onorevole Susani, io vi proporrò pure di applicarle quelle stesse condizioni, per cui fu opportunamente provvisto all'intervento preventivo e limitativo dello Stato nelle spese d’esercizio pella società delle Livornesi.

Premesse queste considerazioni, quando voi crediate di entrare in questi sistemi di miglioramento che, a mio avviso, non cambiano per nulla al valore della concessione per rapporto ai concessionari, i quali io ho fiducia vogliono in buona fede adempire gli obblighi assunti, ed i quali non possono quindi rifiutarsi a quelle norme che meglio esplicano l’intelligenza retta del loro contratto, io appoggerò col mio voto volentieri questa concessione.

Rimane però ancora una considerazione, ed è quella che concerne l’articolo 29 del capitolato. Coll’articolo 29 del capitolato, la società è dichiarata esente dall’imposta sulla rendita; io desidererei che le considerazioni che avrò l’onore di esporvi v’inducessero ad entrare nel mio avviso, di levar via questo articolo, il quale non fa altro, a senso mio, che sanzionare una massima non buona, senza fruttare cosa alcuna né al credito, né all’effettiva finanza della società. Non frutterà al suo credito, né alla sua finanza, perché noi le guarentiamo il 6 per 0/0; il che vuol dire certamente che tutte le spese che graveranno sulla sua rendita lorda saranno tenute in conto per valutare il concorso dello Stato corrispondente alla garanzia, e così pure sarà portata in deduzione ogni spesa che dovesse pagare per ragione di imposte.

Ora, io credo che si possa francamente dichiarare che anche questa rete, per quanto sia buona, per alquanti anni non giungerà al 6 0/0; io ciò affermo senza esitazione, perché non credo che la Camera si sgomenterà dell’onere che noi imponiamo allo Stato di dover sopperire per alcuni anni a cotesta differenza tra la rendita della strada e la garanzia del 6 per 0/0.

Su questo punto noi siamo tutti concordi nell’apprezzare la grande necessità di queste ferrovie. Egli è dinanzi a questa grande necessità che noi dobbiamo disporci ad ottenere questo scopo anche con qualche sacrifizio; massime che questo ci sarà ripagato a cento doppi dagli effetti benefici che se ne ricaveranno, non solo pei vantaggi politici ed amministrativi che ne deriveranno, ma anche pecuniari, i quali entreranno nelle casse dello Stato sotto cinquanta forme diverse, abbenché lo Stato alla fine di ogni anno si trovi in obbligo di sborsare la somma necessaria per la garanzia data alla società.

Egli è adunque evidente che l’imposta non riuscirà a farsi sentire nei risultati economici di questa società, né potrà quindi essere produttiva pello Stato se non dopo molti anni, allorquando i prodotti delle strade ferrate costituenti la rete concessa saranno saliti a superare sensibilmente il saggio guarentito dallo Stato.

Malgrado queste considerazioni, io non trovo ragione per cui noi dobbiamo, per così dire, creare una manomorta nello Stato. Egli è evidente che questo benefizio alla società non avrà altra conseguenza, se non quella di toccare quel più del sei per cento che nel futuro essa potrà percepire. Dunque il benefizio non sarebbe effettivo se non quando il prodotto della strada sarà molto grande.

Ora, egli è ben chiaro che nelle condizioni attuali del mercato del denaro, coloro che prendono azioni non tstanno a guardar tanto a quel lontano avvenire; essi guardano all’investimento del danaro attuale, assicurato e diretto, né possono portarsi colla mente a dar valore a quest’esenzione. Egli è ben vero che un favore simile sta scritto in un’altra concessione di ferrovie da noi approvata, in quella delle Lombardo-Venete e dell’Italia centrale, però solo pelle linee dell’Italia centrale; ma a questo riguardo io noterò clic, se ivi si legge tale patto, si è perché noi vel abbiamo trovato come eredità dei Governi che reggevano prima la Lombardia ed i paesi dell’Italia centrale, i quali si unirono a noi nello scorcio dell’anno passato. Quando in luglio 1860 noi esaminammo quella legge, nella Commissione, di cui era relatore il signor ministro dei lavori pubblici, fu ben discusso se ci fosse un modo qualunque di levar via quest’aggravio, che non pareva ragionevole, ma si dovette cedere, perché vi era un diritto stabilito e determinato, ed il trattato di Zurigo ci obbligava a rispettarlo.

lo dico adunque che nelle condizioni attuali non veggo ragione per cui noi dobbiamo mantenere questa condizione.

Prima di chiudere, dirò ancora di un’obbiezione mossa dall’onorevole Brunet per rispetto alle obbligazioni, pelle quali la società ha facoltà di costituire i due terzi del suo capitale.

Se ho bene inteso il sistema della convenzione e della garanzia consentita dallo Stato, pare a me che sia inutile lo scrivere nella convenzione la natura di queste obbligazioni.

Io vi pregherò, come già dissi, di scrivere nella legge alcune cautele, per cui nell’emissione di queste obbligazioni sia introdotta ia migliore delle cautele possibili, quella della pubblica concorrenza, ma troverei perfettamente inutile di prescrivere quale dovrà essere il capitale nominale delle obbligazioni, quale dovrà essere la loro rendita ed in qual modo dovrà essere pagata.

Pare a me che l’interesse a pagarsi di queste obbligazioni non sarà altro che una di quelle passività che bisogna togliere dalla rendita lorda per costituire quel netto prodotto, il quale, se non aggiunga al sei per cento guarentito dallo Stato, toccherà allo Stato di pagare la differenza. Perlocché ogni considerazione relativa al servizio di queste obbligazioni verrà a liquidarsi in questo conto finale, senza che occorrano altre preventive disposizioni.

Per tutte queste ragioni, colle riserve che vi ho accennate, prego la' Camera di appoggiare col suo volo il progetto di legge che le è sottoposto.

PRESIDENTE. La parola è al deputato Conforti.

CONFORTI. Pregherei il signor presidente di voler invitare a parlare un oratore che parli contro.

PRESIDENTE. I! deputato Valerio ha parlato in merito, il deputato Brunet contro, e sarebbero tutti gli altri iscritti in favore.

Alcune voci. Susani.

PRESIDENTE. Non ve ne sarebbe che uno contro; perciò potrebbesi esaurire il turno di coloro che vogliono parlare in favore.

CONFORTI. Dopo le considerazioni svolte dai precedenti oratori intorno alla concessione Talabot, io certamente non voglio abusare dei momenti preziosi della Camera, e riandare le cose da altri cosi bellamente e così dottamente dette. La cosa che più annoia al mondo è la ripetizione. Osserverò semplicemente che tre ordini di difficoltà si rivolgono contro la concessione Talabot: la prima difficoltà consiste in questo, che la concessione sia oltremodo onerosa; la seconda, che non dia alcuna guarentigia che le ferrovie, le quali si desiderano con tanta impazienza, sieno costrutte e condotte a compimento; la terza difficoltà, secondo l’onorevole Levi, consiste in ciò che, concedendo al signor Talabot una cosi vasta rete di strade ferrate, torna lo stesso che porre uno Stato nella Stato, torna lo stesso che concedere un monopolio ai capitali stranieri, esautorando i capitali italiani. In questo modo, dice l’onorevole Levi, i concessionari faranno venire altronde le macchine, gl’istrumenti ed ogni altra maniera di materiali, perocché li possono avere a miglior patto, ed il lavoro nazionale rimarrà intanto abbandonato, con grave scapito della classe operaia.

Cominciando a parlare di quest’ultima difficoltà, me ne sbrigherò facilmente.

L’economia politica sviluppala dall’onorevole Levi in verità è molto antica; io credeva che simili teorie, dopo i lavori stupendi che sono stati dati alla luce, specialmente da Bastiat e Stuart-Miil, non potessero più riprodursi nel Parlamento.

Diceva beassimo l’onorevole Cini che, se tutti i capitali del mondo venissero in Italia, saremmo avventurosi. Io soggiungo che, se ciò accadesse, si scioglierebbe il più gran problema che si agita nel secolo decimonono, il problema che riguarda la sorte dei lavoranti. Nel secolo decimonono sorgerebbe in Italia il quarto stato, gli operai, siccome nel secolo decimottavo sorse in Francia il terzo stato, la borghesia.

Che poi i concessionari facciano venire dall’estero le macchine ed altri istrumenti, a fine di risparmio, non solo è loro diritto, ma è un dovere; perocché, se, a fine di animare il così detto lavoro nazionale, fossero i concessionari costretti a fare maggiore spesa, questa andrebbe a carico dello Stato, non essendo determinata innanzi tempo la spesa di ciascun chilometro, ma prendendosi in considerazione la spesa effettuale.

D’altra parte è dimostrato in economia politica che, allorquando si risparmia coll’importazione, il vantaggio riesce tutto a favore dei consumatori.

Trattandosi di verità economiche definitivamente stabilite, io non voglio intrattenere ulteriormente la Camera.

Se questa concessione Talabot venisse riguardata in sè medesima, assolutamente, senza guardare alle condizioni del mercato europeo, certamente non sarebbe la più bella concessione del mondo. Ed in vero, allorché io mi trasporto ad altri tempi, e veggo concessioni senza guarentigia, senza ammortamento, senza alcun carico dello Stato, io sono quasi tentato a dire: questa concessione è cosa satanica; il Ministero si è lasciato trascinare da soverchio entusiasmo. Ma quando si tratta di concessioni di ferrovie, come di tutte le cose pratiche della vita, bisogna guardare intorno, bisogna vedere le speciali condizioni in cui noi versiamo.

Ora, o signori, tutti sappiamo che il corso del debito pubblico è assai basso; e il corso del debito pubblico è quello il quale dà la norma dell’interesse, dà la misura del valor della moneta. Per conseguenza, se investendo i capitali nello Stato si riceve una rendita del sei e mezzo o del sette per cento, non si vede per qual ragione si debba riguardare come esorbitante, che lo Stato guarentisca la rendita del sei per cento sopra i capitali, i quali vengono investiti nelle ferrovie dai concessionari Talabot e compagni. Ma questa garanzia del sei per cento sulla spesa effettuale non costerà nulla al Governo; perocché la ferrovia adriatica, per la sua importanza, darà ai concessionari un profitto ancor maggiore pel sei per cento.

Ma la difficoltà unica che veramente si volge contro il progetto di legge è questa: i concessionari non assumono alcun obbligo di compiere la ferrovia.

Infatti, i concessionari assumono l’obbligo di condurre a termine la ferrovia, se nel corso di un anno riescono a costituire la società. Certamente i concessionari dovrebbero avere interesse a costrurre e recare a compimento l’intera ferrovia secondo il progetto di legge, perocché in tal guisa ne ritrarrebbero maggiori vantaggi. Ora, se essi fanno la sopradetta riserva, è segno che vi possono essere circostanze straordinarie, eccezionali, che tolgono la possibilità che là società si costituisca.

Signori, l’Europa non si trova in uno di quegli stadi che diconsi di riposo: da un momento all’altro essa può avere delle scosse. E se queste accadessero, domando io, ove si potrebbero trovare i capitali necessari a costituire una società anonima? I capitali, o signori, sono paurosi e di difficile contentatura. Facendo i concessionari questa riserva, hanno mostrato che vogliono fare davvero, che vogliono seriamente costrurre la ferrovia; ma se per avventura non riescono a costituire la società, essi cedono ad una necessità inesorabile.

A questo si aggiunga, che pur quando a capo dell’anno il signor Talabot si sciogliesse dagli obblighi assunti, non per questo una parte della ferrovia non sarebbe costrutta; dappoiché, secondo l’articolo 15, il signor Talabot deve proseguire gli studi ed i lavori con tutta l’attività possibile, non altrimenti che se la società fosse costituita, ed a somministrare a quest’uopo le somme occorrenti.

Ma l’onorevole Valerio, come uomo versato nella scienza e negli studi che riguardano le ferrovie, fece un’osservazione, la quale, secondo me, dilegua tutte le difficoltà. Egli ha detto che lo Stato, secondo vorrebbe l’onorevole Levi, assumendo sopra di sé il carico di costrurre questa rete vastissima di ferrovie, vale adire circa due mila chilometri, cosa veramente maravigliosa, non la potrebbe a patto niuno recare a compimento nello spazio di tempo che viene assegnato al signor Talabot e compagnia.

Il Governo, o signori, ha tanti impacci, tante attribuzioni, ha tra le mani una matassa così arruffata, ora che di molte membra divise si è fatto un corpo solo, che l’onorevole ministro dell'interno dimanda una legge, per essere autorizzato a delegare ai capi delle provincie molle attribuzioni che gli sono proprie.

Ora, perché il Governo dovrebbe addossarsi ancora un carico pesantissimo, e farsi commerciante, industriale, manifattore, costruttore di strade ferrate?

Che cosa accadrebbe secondo questo sistema?

Invece d’essere costruite le ferrovie nello spazio di tre, quattro o cinque anni, secondo il contratto, si costrurrebbero nello spazio di dieci.

Ora, o signori, io sostengo che, se noi possiamo avere le ferrovie due anni od un anno prima, mercé la concessione Talabot, sarà poca cosa la spesa maggiore di trenta, quaranta o cinquanta milioni. Pel tempo risparmiato noi guadagneremo altro che quaranta o cinquanta milioni. Il nostro vantaggio sotto il lato economico e finanziario, a prescindere dal lato politico, sarebbe inestimabile. Il tempo in questa quistione è la cosa capitale.

Io ricordo, o signori, un discorso magnifico dell’illustre conte Di Cavour in questa Camera. È uno di quei discorsi come sapeva farli l’illustre trapassato.

Ragionando delle conseguenze e dei vantaggi che produceva la rete delle ferrovie in Piemonte, con calcoli esattissimi fece conoscere che, e per la minore spesa di trasporto dei viaggiatori e delle merci, ed il minor tempo impiegato (perché, come diconovgl’Inglesi, il tempo è moneta, ed io dico è la vita), i cittadini dello Stato risparmiavano nell’anno la somma di diciotto milioni di lire.

Michele Chevalier nel 1842, quando non erano ancora compiute le ferrovie belgiche in tutta la loro estensione, calcolò che i Belgi risparmiarono dodici milioni e seicento mila lire. Questo risparmio è andato crescendo con gli anni.

Se a questo s’aggiunga lo slancio che si dà all’industria, il vantaggio che la finanza ritrae per la maggior consumazione dei prodotti, pel registro ed altre tasse, evidentemente riluce che l’indugio è funesto, doveché il tempo che si guadagna è un tesoro. Questo sotto l’aspetto economico e finanziario.

Ma l’onorevole ministro, ragionando altra volta di questa concessione, si è espresso con molta chiarezza; egli ha detto: non è quistione di danaro, non è quistione di economia; noi ci proponiamo uno scopo più alto, uno scopo più sublime, ed è lo scopo politico.

Signori, io non voglio tediare ulteriormente la Camera; ma dirò una cosa, dirò che questo nome santo d’Italia, nella mente dei sapienti, che sono l’intelletto delle nazioni, è esplicato e chiaro, ma nella mente delle moltitudini è un intuito confuso, un sentimento indistinto. È necessario che esso diventi a tutti intelligibile, eloquente. Le armi dell’esercito stanziale, le armi dell’esercito volontario, la rivoluzione, i plebisciti, che sono la più splendida manifestazione della rivoluzione, hanno iniziato l’Italia, ma l’Italia non è fatta. L’Italia sarà compiutamente fatta quando la rivoluzione, i plebisciti saranno cementati dalla comunione degli interessi, dalla frequenza de’ commerci, dalle facili e rapide comunicazioni, dai vantaggi materiali, dal benessere della vita; infine, da quel sentimento morale, il quale ci dice che noi apparteniamo alla stessa famiglia, che noi siamo nazione.

Signori, la nazionalità, la libertà non sono il fine dell’uomo; la nazionalità, la libertà sono le condizioni necessarie allo sviluppo materiale e morale dei popoli. È necessario quindi che i popoli veggano i vantaggi del Governo italiano. Quando l’Italia meridionale vedrà che ha aspettato 24 anni indarno le ferrovie dal Borbone, mentre il Governo italiano con ardire forse unico fa costrurre quasi per incanto oltre duemila chilometri in brevissimo tempo, l’Italia meridionale dirà: il Governo italiano è pari all’alta sua missione, ed il Governo caduto sarà viemaggiormente stimatizzato. (Bravo! Bene! )

PRESIDENTE. Se il deputato Susani è breve, potrebbe ancor parlare   

SUSANI. Io pregherei la Camera di riflettere che l’ora è avanzata; ho d’altra parte da produrre alcune cifre, e domanderei alla compiacenza della Camera che rimandasse a domani.

Varie voci. Parli! parli adesso!

SUSANI. Pregherei la Camera di permettermi di cedere la parola ad uno di quelli che parlano in favore; essendo io l’unico ancora inscritto contro, credo sia meglio che parli qualcuno di quelli che intendono parlare in favore.

LANZA GIOVANNI. Domando la parola per l’ordine della discussione.

PRESIDENTE. La parola è al signor Lanza sull’ordine della discussione.

LANZA GIOVANNI. L’onorevole deputato Valerio ha annunciato una serie di emendamenti da introdursi nel capitolalo e nelle condizioni. Io pregherei l’onorevole Valerio di deporre tutti que’ suoi emendamenti sul banco del presidente, perché venissero stampati e inviati alla Commissione, affinché essa potesse prenderne cognizione e venire alla seduta con una determinazione presa riguardo a questi singoli emendamenti. Diversamente non sarebbe possibile di continuare in questa discussione, qualora questi emendamenti venissero di mano in mano proposti e sviluppali dal preopinante, senza creare pericoli alla convenzione che discutiamo.

POLSINELLI. Ilo anch’io qualche emendamento da proporre.

LANZA GIOVANNI. Faccia lo stesso.

PRESIDENTE. Se il signor Valerio ha qualche emendamento da inviare   

VALERIO. Scusi, signor presidente, voglio solo notare all’onorevole Lanza che tale precisamente era la mia intenzione, e che anzi in anticipazione ne aveva prevenuto già l’onorevole relatore e l’onorevole Devincenzi, membro anch’egli della Commissione, come pure il signor ministro, perché vedevo benissimo che, esaminandoli prima, si sarebbe potuto risparmiare lungo tempo alla Camera, non portando nella discussione cose che fossero nuove affatto a coloro che principalmente dovevano dare sulle medesime il loro parere.

LANZA GIOVANNI. Chiedo di parlare.

Per spiegare più chiaramente la mia idea, dirò che appunto perché siano ben conosciute, e da tutti, le nuove proposte, io vorrei che fossero stampate e distribuite a tutti i deputati.

PRESIDENTE. Se il signor Valerio le manda, saranno senza dubbio stampate e distribuite.

Ve n’è già un’altra del signor Leopardi, una del deputato Ricciardi sul capitolato...

RICCIARDI. Due, due. (Si ride)

PRESIDENTE...e le faremo stampare anch’esse. Anzi io prego i signori deputati che avessero altri cambiamenti da proporre, di volerli deporre in tempo al seggio della Presidenza, perché possano essere tutti contemporaneamente stampati; così la Camera avendoli sott’occhio potrà farsene più facilmente un concetto chiaro e preciso.

Ora la parola è al signor Susani.

SUSANI. Poiché la Camera vuole che parli ora, io la prego di essermi benevola della sua tolleranza; imperocché, sorgendo come iscritto a parlare contro al progetto, so d’averne grandemente bisogno.

Qui è mestieri che le quistioni si pongano nettamente. Da parte mia sento vivo il desiderio che ogni equivoco venga tolto sulla situazione nella quale, parlando io contro al progetto, mi pongo in faccia a quella questione politica ed amministrativa che fu detto e ripetuto essere in questo momento la predominante, ed a cui io stesso riconosco tutta quella importanza che nessun discorso potrà mai mettere abbastanza in evidenza, ma che ciascuno di noi sente in cuore, e per la quale ciascuno di noi, ed io per il primo, siamo disposti a fare notevoli sacrifizi. Ma, se è giusto che sacrifizi si facciano là dove è provato che si debbano fare, io non credo che lo si debbano senza ragione. Nè io credo, o signori, che si debba alla nazione domandare sacrifizio il quale ecceda lo stretto bisogno.

E quando l’onorevole mio amico il deputato di Bari mi diceva lo sgomento dei Napolitani al solo annunzio che in questo recinto si potesse far opposizione alle strade ferrate, e quando mi parlava dell’aver dovuto egli, il deputato di Bari, venire a difesa dell’onorevole relatore Bonghi, minacciato dai lunge-portanti strali della calunnia, per verità io sentiva che la questione era spostata.

E quando l’onorevole Massari mi diceva che, se le strade ferrate non sono fatte, e presto, il ministro dell’interno non potrà governare; e con ciò ripeteva quello che l’onorevole ministro dei lavori pubblici, alcune tornate or sono, ebbe a dire egli medesimo quando annunziò alla Camera essere opinione non solo sua, ma di tutto il Gabinetto, che la responsabilità del governare non si poteva serbare, né assumere da lui, a meno che i poteri dello Stato non concorressero a sanzionare prontamente i progetti delle ferrovie da lui sottoposti alla loro approvazione, per fermo, o signori, la questione era spostata.

Io convengo che le strade ferrate bisogna farle, e presto; anzi io convengo in più, e con uno degli onorevoli preopinanti dirò che, se c’è un rimprovero da fare al Governo, non tanto al presente, come a quelli che l’han preceduto, si è di aver perduto tempo.

Sì, o signori, se io avessi mai avuta facoltà di intervenire con un consiglio, all’epoca in cui il movimento nazionale ha cominciato nel regno di Napoli, l’avrei usata per raccomandare che si facessero sacrifici anche maggiori di quelli proposti oggi, purché si fosse data mano allora subito subito a lavorare. Il grande difetto è stato, non giova dissimularlo, che si è perduto molto tempo a fare chiacchiere, le quali non hanno prodotto né un mezzo chilometro di ferrovia, né lo sterro pure di un metro cubo di terra.

Ma dal dire: le strade ferrate bisogna farle subito, al dire: bisogna farle subito colla società concessionaria Talabot e compagni, e in nessun’aìtra maniera, passa una gran differenza.

Ora io dico che le pressioni che si esercitano e da Napoli e qui, e i falsi giudizi, i quali furono a Napoli fatti serpeggiare onde favorire l’attuale concessione, non vogliono essere tollerati, ed affermo che questo è uno spostare ad arte la questione, e sostengo che non bisogni lasciarsene imporre.

E notate bene: io ho qui in mano una lettera, la quale è pubblicata da un giornale semi-ufficiale che venne ieri distribuito ai deputati. È il numero del 30 giugno della Lombardia, giornale che si pubblica a Milano, giornale semi-ufficiale, o, più esattamente, giornale ufficiale per l’inserzione degli atti ufficiali.

Il numero 30 di questo giornale, distribuito a tutti i deputati, contiene una lettera scritta da Napoli il 20 giugno sulla questione delle strade ferrate.

Non vorrei avanzare una cosa meno esatta, perché, trattandosi di memoria d’un fatto non troppo vicino, avrei timore di non essere assolutamente nel vero; ma qualcuno degli onorevoli preopinanti, credo sia l’onorevole Massari, fece allusione ad una lettera scritta dall’illustre Savarese al suo collega, l’onorevole Poerio.

UN DEPUTATO. Anche a me è stato scritto.

SUSANI. L’onorevole Poerio ebbe la bontà di mostrarmi quella lettera. Le espressioni di quella lettera, della quale ho tenuto gran conto, come d’espressione di ciò che correva per Napoli, fanno ch’io non possa a meno di chiamare sull’articolo che ho ricordato l’attenzione della Camera. Questo articolo dimostra meglio d’ogni altra cosa quanto io avessi ragione poc’anzi dicendo che la questione si sposta.

Si chiamano in fatti nemici della patria, aggiotatori, compagni dei Borboni, si chiamano alleati dei socialisti, dei camorristi, dei briganti, alleati con quanto v’ha di peggio, affine di farsi battere le mani da que’ molti che al mondo han paura di tutto.

POERIO. Chiedo di parlare per un fatto personale.

SUSANI...tutti coloro i quali non approvano la concessione Talabot. Coloro, dice l’articolo, che si agitano contro il contratto Talabot, danno la mano ai concessionari decaduti, a chi teme di vedersi strappare di pugno l’inveterato monopolio delle pubbliche opere e di tutti quelli che hanno interesse nel disordine; è un’alleanza nelle debite forme, che sembra diretta ad ingenerare lo scontento nelle popolazioni, ed a constatare la debolezza del nuovo Ministero.

PRESIDENTE. Permetta l’onorevole deputato: ha detto che è stato distribuito un numero di giornale; io non lo credo. (Sì! sì! No!)

L’avranno mandato per la posta a tutti; questo non si può impedire.

POERIO. Io non l’ho ricevuto!

Voci. Nemmeno noi!

UN DEPUTATO. Si metterà fra le carte inutili!

UN ALTRO DEPUTATO. Non è stato distribuito ufficialmente, ma è stato dato alla posta.

PRESIDENTE. Non è dalla Segreteria che è stata fatta questa distribuzione.

SUSANI. Io debbo fare una dichiarazione: col dire che è stato distribuito, non volli significare che sia stato distribuito officialmente, ma dichiaro che non solo fu mandato per la posta, ma ne furono mandate alla Camera un gran numero di copie, che furono depositate come tutte le carte che si distribuiscono non officialmente alla posta, e ne fu dato un numero a chiunque si presentava per ritirare le sue lettere.

PRESIDENTE. La cosa è diversa.

SUSANI. Del resto, o signori, io non ho citato questo giornale, se non perché ammetto per certo, che tutti coloro i quali non sottoscrivono a questo contratto quale esso è presentato, importa grandemente che le questioni non si confondano. L’ho citato per dichiarare che respingo ogni taccia consimile a quella con cui chiude la dichiarazione che ho letta, e dico che qui, rappresentante della nazione, io espongo quello che credo nella mia fede e coscienza, e che quando io dico, o signori, che credo nell’importanza delle strade ferrate, che io sono disposto a fare dei sacrifizi perché si facciano, e tutte, e presto, e bene, affermo che nessuno ha il diritto di mettere dubbio sulle mie intenzioni.

Io credo, o signori, che quando, per favorire una società privata, che potrebbe forse dirsi una camarilla, si venga a questo, io ho diritto di dire che il ricorrere a questi mezzi è indecoroso e turpe.

Ciò posto, entro direttamente a parlare del contratto.

Furono esposte dagli onorevoli preopinanti alcune considerazioni, altre prò, altre contro, le quali m’avrebbero fatto desiderare di parlar domani; e dico francamente il perché. Io avrei voluto aver tempo di ricorrere a cifre e documenti positivi che avrei desideralo e che avrei creduto poter contrapporre con qualche efficacia ad alcune considerazioni che furono fatte, e che per avventura io non aveva creduto che potessero venir portale in mezzo, e contro alle quali, appoggiandomi unicamente alle reminiscenze della mia memoria, io sarei meno atto a resistere.

Però vediamo d’accostarci a quest’ingrato lavoro cominciando da alcune considerazioni generali.

Parlò per ultimo il signor Conforti, il quale ha dichiarato la sua opinione intorno a certi principii economici posti fuori dall’onorevole Levi.

Ora, siccome l’onorevole mio amico il deputato Levi era inscritto contro, come lo sono io, per quanto io stimi il deputato Levi, credo mio debito di svincolare quella qualunque risponsabilità che potesse venire dal trovarci tutti due armati a trarre contro lo stesso bersaglio, almeno per quanto è dei principii economici che hanno chiamata l’attenzione dell’onorevole Conforti, e sopra di ciò desidero di spiegarmi chiaramente.

Io divido pienamente l’opinione degli economisti moderni quale fu riassunta dal preopinante quando disse: «In quanto a me io desidero che tutti i capitali del mondo si riversino in Italia.» Certo, o signori, sarebbe questo un guadagno per noi. Ma quando l’onorevole Conforti ha detto che, tuttavolta che i capitali venuti dal di fuori in Italia si applichino a provvedere attrezzi e meccanismi fuori d’Italia, è augurabile che così facciano, perché Io fanno nell’interesse naturale dei consumatori, allora io non sono più così proclive ad annuire senza qualche riserva sul senso delle sue dichiarazioni, e mi accosterei un pochettino a quanto ha detto l’onorevole Levi; ma, lo ripeto, desidero che sopra di ciò c’intendiamo bene.

Se si ponga la questione generale quale l’ha posta l’onorevole Conforti, se si dica in astratto: è innegabile che tutto quel risparmio che si fa nell’introduzione del materiale ed altro risulta a vantaggio dei consumatori, io, o signori, ancora in linea di teoria generale, di principio astratto, non vi ho opposizione da fare; l’asserto è vero. Ma, prima d’applicare il principio generale ad un caso concreto, vorrei che si ammettesse la necessità di prima considerare se legittima ne sia l’applicazione, vorrei che si vedesse se il fondamento sul quale si vuol fabbricare sia buono.

Qual è il punto di partenza? Qual è il postulato sul quale si fonda la rettitudine di quel principio? Il postulato, se non erro, è che il capitalista vada là a prendere ciò di cui egli abbia bisogno, dove la cosa possa più economicamente reperirsi, e che, provvedendosi il capitalista là dove trova il miglior mercato, egli provveda insieme ed agli interessi suoi ed a quelli dei consumatori.

Questo, io credo, è il postulato, sul quale si fonda in principio la risposta dell’onorevole Conforti; ed io supplico la Camera a voler fermare un poco la propria attenzione sopra l'attendibilità non in generale, ma nel caso concreto di questo postulato.

Quali sono le provviste che una società concessionaria di strade di ferro va fare all’estero?

Sono in primo luogo i rails, i regoli.

Una voce. Le guide!

SUSANI. Certe parole non piacciono ai Toscani; hanno ragione; dirò dunque guide, non rails... vanno insomma in primo luogo a pigliare all’estero tutto ciò che è indispensabile per l’armamento della via.

Io credo sia fuori di dubbio che nelle condizioni attuali del nostro paese, all’infuori delle traverse, che nessuno pensa di andare a prendere all’estero, tutto il rimanente ci venga in principale utilmente dagli altri paesi, ed io in massima concordo con quel che sta nel capitolato per ciò che è necessario all’armamento corrente della via. Pensare a far noi le guide sarebbe attualmente assurdo. Ma vanno eziandio a pigliar fuori il materiale circolante, il materiale di servizio, che non è armamento proprio della via; come, per esempio, tutto ciò che serve alle forniture delle stazioni, come le grue idrauliche, le piattaforme girevoli, le macchine rifornitrici, i serbatoi, i vagoni, o, per meglio dire, le carrozze, perché anche vagone, sebbene ci sia sul capitolato, non pare toscano, e di più ancora vanno a pigliar fuori il combustibile.

Ora, per questi due ordini di provviste io prego la Camera di vedere se, non già parlando astrattamente, ma badando piuttosto al caso concreto, si verifichi il postulato anzidetto.

Chi sono queste, ad ogni modo onorevolissime persone (e mi piace dichiarare che sulla loro perfetta onorabilità nessuno potrebbe certo muovere dubbio), le quali qui si presentano assuntrici della concessione? Sono essi tutti costruttori o banchieri? Io credo che no; io credo che molti di essi, innanzi di essere costruttori di ferrovie, sono proprietari di miniere, sono proprietari di fabbriche di materiale circolante, e così via discorrendo, e tra gli altri il signor Buddicom, assai lodevolmente noto nel mondo industriale, mi affretto a dirlo, è, se il nome non m’inganna, uno dei più celebrati fabbricatori <ìi locomotive in Francia: tutti conoscono la fabbrica che ha il signor Buddicom sulla strada di Rouen.

Una voce. Non l’ha più.

SUSANI. L’aveva qualche tempo fa. Io credo che nessuno vorrà negare come, se noi potessimo avere la certezza che a parità di condizioni si preferissero i prodotti dell’industria nostrana, e se con ciò si potesse ammettere il postulato di cui vi faceva poc’anzi parola, tutto questo anzi che essere un male sarebbe un bene; ma io sono convinto che ciascuno di noi, onestamente, se fosse al posto dei concessionari, i quali sono proprietari di tante fabbriche ed opifici da cui si ricava questo materiale, ciascuno di noi, dico, ed io lo farei per il primo, anche a cose pari preferirebbe le sue proprie officine, perché preferirebbe di fare esso medesimo il guadagno, piuttosto che lasciarlo ad un altro.

Ecco dunque dove l’interesse dello Stato si discosta dall’interesse dei privati concessionari, e senza questo beneficio per i consumatori si vorrà estendere il rigorismo del principio, senza vedere se non possa meglio, salvi i principii, provvedere all’interesse vero dello Stato? Nè queste sono gratuite ipotesi; noi abbiamo veduto molte volte come, sebbene si potessero avere in paese delle carrozze od altro materiale mobile a parità di condizione di quello che si faceva venire dall’estero, i concessionari forestieri preferirono sempre le provviste all’estero.

Nè a ciò si limita la cosa, quando noi procediamo in questa maniera di considerazioni, ché io credo possa benissimo avvenire (e l’onorevole Conforti non durerà fatica a volermelo concedere perché è cosa ovvia) che gli amministratori della società, i quali in fin dei conti si preoccupano fino ad un certo punto degli interessi degli azionisti, ma si preoccupano assai più di alcuni azionisti privilegiati, che non del resto degli azionisti, i quali poi si menano facilmente là dove si vuole; io credo, dico, possa benissimo avvenire che questi concessionari trovino maggior conto a provvedersi dei materiali che occorrono alle ferrovie, anche a prezzo più alto di quello che sarebbe altrove, nelle officine dove sono essi interessati; e ciò con danno degli industriali del paese non solo, ma dei consumatori e dello Stato. Io quindi, considerando il capitolato da questo punto di vista, proporrò, in via d’emendamento, l’introduzione di un articolo addizionale. Io non mi farò ora a discutere più minutamente di questo emendamento, solo annunzierò come a me  sembri che nel capitolato dovrebbe introdursi una clausola, la quale permettesse di ottenere che, a condizioni eguali, si desse la preferenza ai prodotti delle industrie nazionali. E mi affretto a dire come io creda che questa proposta sia tale da non potersi di certo avere come repugnante a quei principii di libero scambio, ai quali io mi professo devoto. Se credessi che questa proposta potesse menomamente andar contro a quei principii, io non la produrrei.

Ma veniamo ad altro. Si è parlato degli oneri di questo contratto e principalmente dei finanziari, e se ne è parlato da diversi in sensi opposti ed in diverse maniere. Permetta la Camera che io mi accosti a questa questione, imperocché in essa ravviso una delle principali ragioni per cui non saprei dare il mio voto favorevole a questo contratto quale esso sta. E mi faccio premura di dichiarare, o signori, che io, proponendomi di respingere questo contratto, ed essendo convinto nel medesimo tempo dell’urgenza di avere rapidamente costituite le strade, non reputo cadere in una contraddizione, imperocché è mia intenzione di proporre il modo col quale praticamente e rapidamente provvedere all’interesse dello Stato, ai bisogni delle provincie meridionali; bisogni, il soddisfacimento dei quali io dichiaro di ritenere assolutamente urgente, non per quelle sole provincie, ma per tutta l’Italia. E chi mai vorrebbe negare che la rapida costruzione delle ferrovie sia il più urgente bisogno dell’attualità?

Si è detto da parecchi dei preopinanti come, in fin dei conti, questa concessione non presenti niente di anomalo, e, se si abbia riguardo alle condizioni attuali del mercato, niente di eccessivo; anzi fu detto di più, e perché lo Stato garantisce il 6 percento, in tempi ne’ quali il valore plateale dei fondi pubblici assicura un impiego a saggio superiore, fu asserito esserci anzi vantaggio in prò dello Stato.

Signori, intendiamoci bene. Le linee, le quali costituiscono il complesso di questo gruppo, sommano su per su a 1000 chilometri, eccedono anzi i 1000 chilometri; ma pigliamo una cifra rotonda; quello che vale per 1000 vale anche per 1100, per 1200 o più.

Questi 1000 chilometri non si è detto nel capitolato quanto abbiano a costare. Non lo sappiamo; però poniamo un prezzo probabile; mettiamo che la somma da erogare sia di 500,000 franchi per ciascun chilometro.

Se mille chilometri costano 500,000 franchi l’uno (in media ci accosteremo lì per lì a questa somma), ne verrà che noi dovremo impiegare un capitale di 500 milioni nella costruzione di queste linee. Di questo capitale è guarentito, sento, il 6 per cento. Ma, signori, qui c’è, mi sembra, qualche illusione.

Io non ho sentito alcuno a fare un’osservazione capitale, la quale fu, è vero, accennata dall’onorevole Brunet, ma che egli non ha forse svolta abbastanza, sicché io credo che molti non abbiano veduto precisamente dove mirasse la sua osservazione.

Cercherò di mettere la cosa sotto forma un po’ più palpabile.

Di questi 500 milioni di capitale, che supponiamo dover essere investiti nella costruzione della rete di che trattiamo, quale è, io domando, quella parte che quei signori, i quali è convenuto di dire concessionari, portano effettivamente in nostro servizio?

Secondo l’art.  15 del capitolato essi hanno diritto di comporre il capitale sociale per un terzo in azioni, per due terzi in obbligazioni. Come si procederà a questo?

Lo dice abbastanza chiaro l’art. 14, il quale si preoccupa minutamente di tutto il necessario per far sì che le obbligazioni, colle quali 200 dei 500 milioni sono a raccogliersi, abbiano carattere di carta pubblica dello Stato.

Si vuole che lo Stato faccia pagare in tutte le sue casse gli stacchi o coupons della rendita; si vuole in fin dei conti tutto quello che è necessario, perché queste cartelle d’obbligazioni possano elevarsi al rango di carta del debito pubblico.

Questi 200 milioni dunque si emetteranno ad un saggio il quale per certo non sarà migliore di quello dei fondi pubblici. Se poi queste cartelle d’obbligazioni per la garanzia che trovano nelle strade si emettessero ad un saggio superiore a quello dei fondi pubblici, in tal caso nessuno vorrebbe dubitare che, quando il ministro emettesse egli direttamente una carta speciale privilegiata dalla garanzia di queste strade, egli non ottenesse per lo Stato quei benefizi che derivano dalla garanzia che gli altri domandano da lui.

Io non sono uomo di borsa, ma vedo qualche volta i listini che sono nei giornali. Veggo che il prestito Hambro, il quale ha una garanzia speciale sulle ferrovie dello Stato vostro, è negoziato ad un corso del h al 8 per cento superiore agli altri fondi pubblici dello Stato; vedo per contro il corso delle obbligazioni analoghe di moltissime strade di ferro essere a condizioni eguali, alcune altre a condizioni inferiori della carta del debito pubblico.

A parte le obbligazioni, resta a provvedere un terzo del capitale, restano a trovare 100 milioni. Per questi 100 milioni che cosa fa il Governo? Il Governo dà un’anticipazione, fu detto dall’onorevole Cini; un sussidio, in fin dei conti, il quale consiste in primo luogo in un’anticipazione di 30 milioni sonanti. Ma nessuno, o signori, sinora ha fatto parola di quell’altra piccola anticipazione che si dà sotto forma di strada ferrata da Ancona a San Benedetto del Tronto, e questo vale altri 12 milioni. Cosi 30 e 12 fanno 42 milioni; in tutto 42 milioni di anticipazione. Ma ancora quale specie di anticipazione è questa? La società pagherà l’interesse di questo capitale al 6 per cento oggi che lo Stato ne pagherà egli il 7, e comincierà a pagarlo quando? Dopo cominciato l’esercizio. Dunque tutti gli interessi che decorrono durante il tempo della costruzione vanno perduti. Quindi io credo di non punto esagerare se vi domando di voler ammettere giusto ch’io ritenga che l’anticipazione, la quale sarà fatta dallo Stato, compresa la perdita sulla differenza degl’interessi e gli interessi che corrono senza ricupero per parte dello Stato durante il tempo della costruzione, questa anticipazione, dico, rappresenti un concorso dello Stato per 50 milioni. Ora, quale è effettivamente la somma che i così detti concessionari portano a questa impresa? Signori,200 milioni loro li danno le obbligazioni, 50 milioni li dà lo Stato, restano 50 milioni. Questa è effettivamente la somma, per la quale noi non abbiamo pudore a dichiarare che lo Stato, se non avesse il soccorso di questa privata società, sarebbe impotente a provvedere. E noi facciamo questa dichiarazione il giorno in cui avendo giusta fede nei destini dell’Italia, confidiamo che il mercato europeo concorrerà a coprire un prestito di 500 milioni.

Ciò posto, ripeto che il Governo non guarentisce mica un interesse del 6 per cento, come a prima vista sembra, ma sì un interesse assai maggiore.

Infatti, come si farà? ed a ciò già ha accennato, parmi, l’onorevole mio amico Valerio, sebbene non l’abbia sviluppato sotto questo punto di vista; come si farà a mettere in atto la garanzia quale è scritta nella convenzione che noi siamo chiamati ad approvare? Si farà in questo modo: si terrà conto dell’entrata lorda, poi si detrarranno le spese d’esercizio, si detrarrà tanto per cento per L’ammortizzazione, tanto per cento per il fondo di riserva, e si detrarranno tutte le altre partite che è abitudine di detrarre, finalmente si avrà quello che si chiama reddito netto. Di questo si comincierà a pagare tutto l’interesse dovuto ai detentori delle obbligazioni, i quali naturalmente avranno prestato a un saggio certo superiore al sei per cento, almeno al sette: sarà dunque il sette per cento che effettivamente noi guarentiamo sui due terzi del capitale. Poi resta l’altro terzo: se per questo non vi è tutto il sei per cento guarentito, alla deficienza supplirà lo Stato.

Colla metà di questo terzo che abbiamo data noi potremmo, come avrò l’onore di dire fra breve, provvedere assai bene a costrurre quello che più preme di questa strada. Quindi credo che le condizioni così brillanti, come si volle dire da taluno, di questo contratto, furono vedute a traverso di un roseo vetro, e penso che l’avvenire dimostrerà come i carichi imposti da questo contratto allo Stato siano assai maggiori di ciò che credono coloro che lo raccomandano senz’altro all’approvazione della Camera.

Tuttavia, se io credessi che altrimenti non si potesse provvedere al bisogno, lo sottoscriverei; ma qui mi è d’uopo di entrare in un altro ordine di argomenti. Mi spiace di abusare della pazienza della Camera, ma credo mio dovere di esporli.

GALLENGA. A domani!

Varie voci. No! no! Parli! parli!

SUSANI. L’ordine di considerazioni su cui debbo fermare l’attenzione della Camera porta a stabilire un criterio per giudicare se gl’interessi dello Stato siano salvi per ciò che riguarda l’entità vera del capitale, che figurerà come investito in questa ferrovia.

E qui non voglio riprodurre una questione, la quale abilmente il signor ministro dei lavori pubblici ha creduto di dover trattare a fondo e sciogliere nelle condizioni a lui più favorevoli, cioè a proposito delle Aretine. Con ciò egli agiva da quell’abile oratore e furbissimo... (Il ministro Peruzzi fa allo di ringraziamento) Scusi, non ho inteso di attribuire a questa parola alcun cattivo significato, voleva dire da quel finissimo dialettico ch’egli è.

Ora spiego subito quale sia questa questione.

La Camera ricorderà che l’onorevole ministro, in occasione della discussione delle strade aretine, usciva in questa sentenza:

«Bisogna che c’intendiamo bene una volta per sempre. Si vuol far presto, si vuol fare secondo certe necessità del momento: dunque è inutile che domandiate studi finiti, è inutile che mi domandiate delle limitazioni che io non posso fare.» E fin lì egli aveva perfettamente ragione.

Chi vuole il fine, vuole i mezzi; e qui il fine essendo la speditezza, il mezzo sarebbe, o di non avere alcun controllo, o almeno d’averne assai poco.

Ma, anche in quell’occasione, la Commissione, assenziente l’onorevole signor ministro, ha potuto introdurre nella convenzione alcune clausole che io reputo avere in qualche modo provvisto, meglio che prima non fosse, all’interesse dello Stato. Di queste clausole qui non ne veggo.

Sentii con piacere che il mio amico, ingegnere Valerio, ha in mente di proporre qualche emendamento, che riconduca in alcuni articoli di questa convenzione quelle garanzie, delle quali il signor ministro ha allora omessa la consacrazione.

Tornando a questo contratto, è intanto certo che qui noi non abbiamo alcun limite di spesa prefissa.

Si è detto con questo contratto, non solo al Parlamento ed al paese, ma agl’intraprenditori: facciamo presto, a qualunque costo facciamo presto.

Voci. No! no!

PRESIDENTE. Non interrompano.

SUSANI. Non hanno sentito a dir questo dal signor ministro alla Camera? Non dico ch’egli abbia detto precisamente queste parole, dico che il risultato di tutto quello che abbiamo sentito equivale al sunto che ne ho fatto in queste brevi parole che ripeto. Si dice: fate presto, fate presto tutti. Ora credo di poter asserire che per la necessità di far presto, e di ciò non muovo rimprovero ad alcuno, si è proceduto alla costruzione di tronchi rilevanti di questa ferrovia, senza aver fatto letteralmente alcun contratto. L’appaltatore che assunse questi lavori mi ha detto essere stato chiamato da una persona che aveva veste a ciò dalla società concessionaria di questa linea, e gli fu detto di costrurre certi tronchi di ferrovia, di far presto, per essere la cosa urgente.

Dichiaro che non intendo porre in dubbio l’onestà di questo costruttore, che io stimo assai e che è uno dei migliori costruttori; ma il certo è che si lavora e si lavora non d’altro più preoccupandosi che del far presto.

Premeva di far presto; perciò nei paesi dove i Romani lasciarono qualche vestigio di monumenti ragguardevoli, che furono celebrati anche per la bontà dei materiali ch’erano trovati sul sito, si è cominciato ad ammettere che non vi fossero né mattoni, né calce, né altre cose simili, e si è fatto provvista a Vicenza di una certa quantità di mattoni, ed a Serravalle sul Veneto di una certa quantità di calce. Questi materiali furono imbarcali a Venezia, quindi per mare furono trasportati al luogo dove si debbono impiegare.11 risultato di queste operazioni, intorno alle quali, mi alfretto di dirlo, tengo per fermo che il signor ministro avrà preso le debite precauzioni per constatare fino a qual limite di quantità fu operato; al modo che dissi, fu che il prezzo dei mattoni, i quali furono pagati, poniamo, 43 lire a Vicenza, col trasporto sul luogo ascese al doppio. Lo stesso sarà avvenuto della calce.

Ora è evidente che un metro cubo di muratura fatto sul luogo, di questa maniera dovrà costare circa il doppio di quello che avrebbe costato qualora la calce e i mattoni si fossero comprati sullo stesso luogo, pur nell’ipotesi che ivi avessero lo stesso prezzo che a Vicenza.

Io ripeto, voglio credere che questa prima parte d’esecuzione del contratto sia stata fatta nell’intendimento di accelerare l’esecuzione dei lavori per soddisfare un poco anche all’impazienza di quelle popolazioni, le quali, vedendo arrivare una piccola flotta di calce e di mattoni, avranno detto: ecco i nostri liberatori! (Ilarità)

Ma sarebbe molto pericoloso, se sui prezzi di quei mattoni e di quella calce si dovessero fondare i rilievi del costo di tutte quelle costruzioni.

In verità, io credo che il contratto non presenti garanzie sufficienti per assicurare che la controlleria, che è pur tanto necessaria, ci sia per essere e possa venire esercitata, come importa all’interesse dello Stato. Io credo benissimo che tanto l’onorevole signor ministro, come tutti i suoi agenti e dipendenti, si adopreranno a controllare nel miglior modo possibile; ma qui non trovo che essi abbiano scritto nel contratto nessuna di quelle clausole che veramente assicuri libero ed efficace il sindacato, come vuol farsi in questa sorta di cose. Me ne appello agl’ingegneri che siedono in questa Camera, i quali sanno come tuttavolta che si opera nell’interesse proprio e si metta la massima gelosia ed il più minuto sindacato; tuttavolta che si tratti di verificare anche sole piccole cose, pure si trovino quasi sempre, in fin dei conti, delle differenze che, in generale, non tornano a danno degli appaltatori.

Io mi ricordo di aver veduto all’osservatorio di Greenwich una certa misura che si adoperava per compensare le mutazioni igronometriche della carta nelle osservazioni meteorologiche di quel mirabile osservatorio; la riga era di caout-chouc, elastica, perché, secondo lo stato igrometrico, potesse distendersi; ebbene, questa misura elastica vi rappresenta assai bene il metro degli appaltatori, il quale si allunga e si accorcia secondo le convenienze del caso. Quindi è ch’io avrei veduto con piacere che in questo contratto ci fosse una qualche maggiore guarenzia, perché, in fin dei conti, noi qui guarentiamo l’interesse su tutto il capitale che apparirà speso, e mi pare che prema assai di controllare efficacemente la erogazione di questo capitale.

Quelli che negano allo Stato la possibilità di costrurre esso medesimo per la ragione della deficienza di controlleria debbono considerare che queste ragioni militano anche contro un contratto fatto in questa maniera. (L’oratore si riposa un momento)

Molte voci. A domani!

SUSANI. Se così piace alla Camera, parlerò domani.

Voci. Parli! parli!

PRESIDENTE. Si potrebbe continuare.

SUSANI. Io sono agli ordini della Camera. Certamente preferirei di parlare domani; ma, poiché molti desiderano che parli oggi, accetto il vincolo.

Voci. Domani! domani!

Altre voci. No! no!

PRESIDENTE. Giacché ha cominciato, potrebbe proseguire. Continui.

Voci. Parli! parli!

PRESIDENTE. Ila ancora da durare molto tempo il suo discorso?

SUSANI. Io credo che dovrei ancora annoiare la Camera per due o tre quarti d’ora. (Mormorio)

Del resto, ripeto ch’io sono agli ordini della Camera.

PRESIDENTE. Allora do la parola al deputato Poerio per un fatto personale.

POERIO. Il deputato Susani ha creduto di dover citare una lettera d’un mio egregio amico, l’illustre Roberto Savarese. Il fatto è questo.

Un giorno, trattenendomi in amichevole colloquio col signor Susani, egli mi esternò il concetto che l’opinione pubblica in Napoli respingeva la concessione Talabot. Io gli risposi che le mie informazioni erano di tutt’altro genere, ed in prova gli mostrai un brano di lettera del mio egregio amico Roberto Savarese, nel quale erano enumerate tutte le potentissime ragioni politiche ed economiche che consigliavano la pronta discussione di questo progetto per parte del Parlamento, ed il massimo desiderio che venisse accettato. Io non intendo giudicare se della mia amichevole comunicazione l’onorevole mio amico, signor Susani, poteva valersi in questa discussione, essendo egli decisamente contrario al progetto di legge. Ma però non posso rimanermi di esternargli la mia dolorosa sorpresa nel vedere ch’egli abbia citato questa lettera in occasione di non so quale articolo non sottoscritto, inserito in un giornale, nel quale, in modo veramente inverecondo, tutti gli avversari di questo progetto sono tacciali di essere o borbonici o socialisti.

Io amo constatare che nella lettera del mio onorevole amico (e questo certamente nessuno poteva mai immaginarlo) non vi erano, né potevano esservi espressioni oltraggiose contro chicchessia. Egli è troppo conosciuto; il solo suo nome basta per respingere questa indegna accusa, o per Io meno questa insinuazione sì poco favorevole.

E poiché l’onorevole signor Susani ha citato contemporaneamente alla lettera dell’onorando Savarese, anche un articolo in cui con modi così poco convenienti erano stimatizzati gli avversarli di questo progetto di legge, senza pure farne la debita distinzione, io prego la Camera di ritenere che in questa discussione tutto ciò che è estraneo alla proposta del Governo, e che riguarda opinioni particolari, non dovrebbe essere tenuto in conto alcuno.

Quindi è, lo ripeterò, che ho inteso con profondo dolore che l’onorevole Susani in questa occasione abbia voluto associare due fatti totalmente diversi, cioè l’apprezzamento giusto e conscienzioso di tutti i vantaggi di questo progetto di legge, che era in una lettera tutta confidenziale, e l’invereconda accusa di un articolo di giornale lanciata contro coloro che lo avversano, c mi credo nell’obbligo di esternargliene pubblicamente il mio profondo rincrescimento. (Segni di approvazione)

SUSANI. Citando la lettera di cui avea parlato l’onorevole Massari, del signor Savarese, e ricordando che ne avea letto anch’io una in un senso eguale a quello che era esposto dall’onorevole mio amico Massari, non ho menomamente inteso di mescolare quella lettera colle espressioni dell’articolo citato dall’onorevole Poerio.

Io era ben lontano dall’intendere questo; mi dispiace di rilevare dalle parole dell’onorevole Poerio che quanto ho detto abbia potuto fare sopra di lui questo effetto.

Queste dichiarazioni io faccio piuttosto per riguardo a me stesso, che perché io le reputassi necessarie a stabilire la verità. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Poerio, nessuno avrebbe potuto restare in dubbio sul vero senso della lettera del signor Savarese.

Poiché ho la parola per fatto personale, mi resta da rispondere ad un appunto. Io ho detto un po’ ingenuamente (Si ride), perché la distribuzione non era stata fatta in modo ufficiale, che l’articolo della gazzetta era stato distribuito; mi fu detto che oflìcialmente non lo fu.

PRESIDENTE. Non lo fu.

SUSANI. Prego però l’onorevole presidente di constatare che il fascicolo che io tengo in mani fu distribuito dagli uscieri in questa seduta, e che in esso è detto che, nell’attuale condizione dell’Europa, avversare la concessione Talabot è un protestare contro le vie ferrate, è un rimandarle ad un tempo futuro, indeterminato, remoto; è opera di cattivo cittadino; ed altre cosa ancora che risparmio di citare.

PRESIDENTE. Avverto l’onorevole Susani che il fascicolo è combattuto dal deputato stesso che lo fece distribuire; si tratta di cosa fatta distribuire da uno dei membri della Camera, non di cosa ufficiale.

SUSANI. Permetta il signor presidente; io credo di essere stato interprete de’ miei colleghi, dichiarando che, qualunque opinione sul modo di fare queste strade si avesse ad esprimere, ciò non può mai tollerarsi che sia interpretato come se si volesse dar la mano ai nemici d’Italia, a quei nemici che coloro i quali siedono qui hanno combattuto per tutta la vita.


PRESENTAZIONE DI UN DISEGNO DI LEGGE PER LA COSTRUZIONE 

DI UN PONTE IN CHIATTE SUL PO PRESSO CASALMAGGIORE

PERUZZI, ministro dei lavori pubblici. Ho l’onore di presentare alla Camera, a nome del mio collega il ministro delle finanze, un progetto di legge per autorizzare il comune di Casalmaggiore a costruire un ponte in chiatte sul Po.

Pregherei la Camera di voler dichiarare d’urgenza questo progetto di legge, il quale non credo possa incontrare ostacoli di sorta.

PRESIDENTE. La Camera dà atto al signor ministro pei lavori pubblici della presentazione di questo progetto di legge, il quale sarà dichiarato degenza, non essendovi à ciò opposizione.

La seduta è levata ad 1 ora e  ¼.

Ordini del giorno per le tornate di domani:

Alle ore 7 del mattino.

1° Seguito della discussione sul progetto di legge concernente la convenzione colla società Talabot per la costruzione di ferrovie da Napoli all’Adriatico;

2° Discussione del progetto di legge per disposizioni transitorie relative all’ordinamento amministrativo dello Stato.

Alle ore 2 ½ pomeridiane.

Discussione dei progetti di legge:

1° Occupazione temporanea di case appartenenti a corporazioni religiose;

2° Facoltà di riesportazione dai depositi doganali fatti a Napoli e a Palermo;

3“ Maggiori spese sul bilancio 1860 ed anni precedenti;

4° Proroga del termine fissato ai procuratori per la prestazione della malleveria.


Il primo scandalo toscopadano: le ferrovie meridionali di Zenone di Elea


















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