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Progetto di legge per concessione 

di una ferrovia da Napoli all’Adriatico

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TORNATA DEL 3 LUGLIO 1861
PRESIDENZA DEL COMMENDATORE RATTAZZI.

SOMMARIO. Urgenza di alcune petizioni. — Domande del deputato Depretis per relazione di quella dei signori Adami e Lemmi, relativa alle ferrovie delle provincie meridionali— Osservazioni dei deputati De Blasiis e Capone. — Annunzio d’interpellanza del depilato Mayr sui Codici. — Invio di una carta geografica ferroviaria d’Italia. — Convalidamento di due elezioni. — Seguito della discussione generale del progetto di legge per concessione di una ferrovia da Napoli all’Adriatico — Seguito e fine del discorso del deputato Susani contro il progetto — Considerazioni in favore del progetto, del deputato De Blasiis — Discorso del ministro dei lavori pubblici, in difesa della proposta ministeriale — Spiegazioni personali dei deputali Levi e Massari — Replica del deputalo Brunet — Chiusura della discussione generale — Reiezione della priorità della proposta Brunet — Altri emendamenti.

La seduta è aperta alle 7 e tre quarti antimeridiane. I

NEGROTTO, segretario, dà lettura del processo verbale della tornata precedente, il quale è approvato.

GIGLIUCCI, segretario, espone il seguente sunto di petizioni:

7478. Altri 980 cittadini delle provincie napolitane rivolgono petizioni identiche a quella registrata al numero 7420, in appoggio alla concessione ferroviaria fatta al signor Talabot.

7479. Il Consiglio comunale di Patti, provincia di Messina, domanda che l’istituzione dei tribunali venga estesa a tutti i capoluoghi di circondario della Sicilia.

7480. Il municipio e i notabili cittadini di Campi, nella provincia di Terra d’Otranto, reclamano contro il pagamento delle decime feudali tuttora vigenti, e ne domandano l’abolizione.

7481. Il Consiglio comunale di Cetona, distretto del circondario di Montepulciano, con distinte dellberazioni, fa istanza per ottenere la gratuita cessione del locale della soppressa Dogana, il rimborso delle spese sopportate nel passaggio in quel comune della legione Garibaldi, l’esenzione dal pagamento della tassa prediale.

7482. Salto Giuseppe, di Maglione, circondario d’Ivrea, domanda, a termini dell’articolo 93 della legge sul reclutamento, che suo figlio Antonio venga congedato dal militare servizio.


7483. Polliuzi Saverio, di Catanzaro, provincia di Calabria Ulteriore 2, a nome anche di altri suoi compagni di sventura, imputati politici, chiede di essere indennizzato delle somme pagate per spese di giustizia e per la difesa sostenuta dai loro avvocati.

7484. 1 Consigli comunali che compongono l’attuale mandamento di Cortale, provincia di Calabria Ulteriore 2 domandano che i comuni di Vena e di Caraffa, staccati da quel mandamento per arbitraria disposizione del cessato Governo, siano nuovamente al medesimo aggregati.

7483. Gl’impiegati subalterni dell’ufficio delle ipoteche nella città di Como, provvisti di tenuissimo stipendio, fanno istanza per ottenere di essere equiparati ai loro colleghi di Milano, o quanto meno gratificati di qualche aumento di stipendio.

7486. 30 cittadini di Canonica al Lambro, frazione di comune nella provincia di Milano, aggregata ai comuni di Origgjo e Lainate dal cessato Governo, chiedono di essere ripristinati nella loro autonomia comunale.

GIOVIO.  Domando la parola.

NISCO. Domando la parola.

PRESIDENTE. Il deputato Giovio ha facoltà di parlare.

GIOVIO. Ho l’onore di pregare la Camera a voler accordare l’urgenza in favore della petizione 7485, stata presentata dagli impiegali subalterni dell’ufficio delle ipoteche in Como, i quali addimostrano come l’esiguità dello stipendio loro sia tale, che col costo attuale dei viveri e delle pigioni essi si trovano in uno stato miserabile.

Del resto, la cifra del loro stipendio è abbastanza eloquente. Sono lire 750 all’anno, ed anche meno, secondoché sono o non sono impiegati stabili, mentre sono essi tenuti ad operazioni che li obbligano ad un orario gravoso e ad un lavoro della maggior precisione e scrupolosità. Raccomando vivamente alla Camera questa petizione.

(E ammessa l’urgenza. )

PRESIDENTE. Il deputato Nisco ha facoltà di parlare.

NISCO. Domando l’urgenza delle due petizioni 7261 e 7463, per le quali i cittadini dì San Giorgio la Montagna e di San Giorgio la Molara si fanno a chiedere l’abolizione della decima feudale che pagano agli eredi del cardinale Ruffo; decima concessa nel 1799 da Ferdinando Borbone a quel principe della Chiesa di pietà e di amore, in premio d’aver condotte le bande armate nella città di Napoli a desolarla per eccidii, furti e crudeltà iniquissime, e d'aver così dato luogo alla più tremenda reazione de’ tempi moderni.

L’urgenza di questa petizione è tanto più importante, considerando che appunto in questo mese si va ad esigere tal decima, tal premio di sangue e di rovine.

(E ammessa l’urgenza. )

DEPRETIS. Io domando l’urgenza sulla petizione 7477.

Essa è presentata da alcune rispettabilissime case bancarie e ditte commerciali di Milano e di Torino, unitamente al signor Adami di Livorno. I postulanti reclamano perché sia mantenuta la concessione a loro fatta dal dittatore generale Garibaldi. La petizione tratta di un oggetto strettamente connesso alla legge attualmente in discussione.

Io quindi prego la Camera che voglia rimandare questa petizione alla Commissione incaricata di esaminare la concessione Adami, dandole mandato di riferire, se fia possibile, durante la discussione della concessione Talabot. Ripeto che la connessione strettissima che esiste tra queste due leggi, giustifica, a mio credere, nell’interesse stesso dello Stato, la domanda che io rivolgo alla Camera.

DE BLASIIS. Intorno alla domanda avanzata dall’onorevole Depretis, dirò ch’io non mi oppongo a che la petizione, di cui si tratta, sia dichiarata urgente dalla Camera; e rimettendola alla Commissione per la concessione Adami, sia riferita da questa prima che la Camera si faccia a dellberare sulla detta concessione Adami; ma trovo perfettamente inutile che si dia incarico di riferire sulla medesima durante la discussione della concessione Talabot, di cui la Camera ha già cominciato ad occuparsi.

Ieri la Camera respinse la proposta pregiudiziale, che tendeva a far subordinare la concessione Talabot alla concessione Adami; ed infatti è chiaro che o la concessione Adami meriterà di essere dalla Camera accolta, ed allora non vi è a temere che rivivano i pretesi diritti di Adami sulla linea Talabot; poiché, per virtù di quella trattativa, egli espressamente vi rinuncia; ovvero la concessione Adami sarà per avventura respinta dalla Camera, e ciò avverrà certamente sulla considerazione che i diritti vantati dall’Adami non saranno giudicati meritevoli di considerazione; per conseguenza, tanto meno la Camera potrebbe farne caso innanzi, ed arrestarsi nella discussione della concessione Talabot.

Non mi oppongo quindi a che la petizione raccomandata dall’onorevole Depretis sia dichiarata urgente, e rimessa alla Commissione della concessione Adami; ma mi oppongo a che sia ritenuto necessario il riferire su questa petizione innanzi che la Camera venga a decidere sulla questione Talabot.

PRESIDENTE. La questione sta adunque nel vedere se questa petizione debba essere inviata alla Commissione incaricata dell’esame del progetto di legge per la concessione delle vie ferrovie calabro-sicule, o non piuttosto alla Commissione della legge attualmente in discussione, perché ne riferisca durante questo dibattimento. Questa mi pare sia la questione.

DEPRETIS. Non è questa. Domando la parola.

PRESIDENTE. La parola è al signor Depretis.

DEPRETIS. Darò una spiegazione all’onorevole signor Presidente. Io non ho chiesto che la petizione fosse rimandata all’esame della Commissione incaricata di riferire sulla concessione Talabot; solo non mi opporrei quando alcuno lo chiedesse; ma ho chiesto che, secondo i precedenti della Camera, fosse inviata alla Commissione incaricala dell’esame della concessione della linea calabro-sicula, alla quale più specialmente si riferisce. Rispetto all’epoca in cui debba farsene relazione alla Camera, io ho chiesto che nei limiti del possibile venga la petizione riferita durante la discussione della concessione Talabot.

Il signor De Blasiis diceva che ieri la Camera ha pronunziato sulla questione pregiudiziale in modo che non è più il caso di esaminare e riferire questa petizione. Ma egli, secondo me, s’inganna; la questione risolta fu ben diversa. Ieri si chiedeva che si sospendesse la discussione della concessione Talabot, finché non fosse discussa la concessione delle lince di Calabria e Sicilia.

DE BLASIIS. Domando la parola.

CAPONE. Domando la parola.

DEPRETIS. Ora io non propongo che s’introduca mutazione nella dellberazione della Camera; si continui pure la discussione sulla concessione Talabot; ma, siccome egli è evidente che la petizione tratta di un argomento strettamente legato alla concessione stessa, secondo i precedenti della Camera dovrebbe essere riferita durante la discussione, affinché la Camera possa essere completamente illuminala.

Io quindi persisto nel chiedere che la petizione sia mandata alla Commissione incaricata dell’esame della concessione delle linee calabro-sicule, col mandato di riferirne durante l’attuale discussione.

PRESIDENTE. Quanto all’invio della petizione alla Commissione incaricata dell’esame della concessione Adami, questo, secondo le dellberazioni prese dalla Camera, non può essere contraddetto.

DEPRETIS. Ho domandata l’urgenza.

PRESIDENTE. Non solo l’urgenza, ma ella vorrebbe che quella Commissione ne riferisse alla Camera durante questa discussione.

DEPRETIS. Precisamente.

DE BLASIIS. Io ho già dichiarato di non oppormi a che, se è possibile, si faccia pure alla Camera relazione della petizione di cui si tratta, durante la discussione della convenzione Talabot; ma sostengo che non debba essere per nulla arrestata la decisione della Camera su questa concessione in aspettazione della relazione stessa.

DEPRETIS. No! No!

DE BLASIIS. Allora siamo d’accordo.

CAPONE. Signori, io amo le posizioni molto nette. Quale è lo scopo di questa petizione?

Venire per via indiretta a far rivocare la decisione presa ieri dopo una solenne discussione.

Che cosa domandano i signori Adami e Lemmi? Domandano che si tenga conto dei diritti che essi credono di avere, e se ne tenga conto in questa discussione; e ciò per ritardarla e per pesare sul voto definitivo della Camera.

Or la Camera ieri ha esaminala precisamente questa questione, e la Camera ha deciso che, se diritti vi sono a prò dei signori Adami e Lemmi, questi non vanno esaminati da essa, ma sì bene son di competenza dei soli tribunali giudiziari!.

Ciò posto, la petizione essendo diretta a farci ritornare sulla decisione di ieri, vivamente insisto che sia respinta la domandata urgenza; ed in ogni caso prego che non s’imponga l’obbligo di riferire intorno a quella petizione alla Commissione incaricala di esaminare la convenzione Talabot.

Ter rispetto poi all’altra Commissione delegata per rapportarvi circa la pretesa concessione Adami e Lemmi, sono d’accordo coll’onorevole Depretis, e dico che le si mandi pure la petizione ad esaminare; ma quanto poi a pretendere che la Camera se ne occupi in questa occasione non debbe assentirsi, ché sarebbe un contraddire allo stabilito ieri da noi medesimi.

Ciò posto, io chiedo l’ordine del giorno puro e semplice sulla domanda di urgenza.

DEPRETIS. Io spero che la Camera non approverà l’ordine del giorno puro e semplice, di che pare assai fecondo l’onorevole Capone.

CAPONE. Quando occorra, lo sarò in ogni incontro.

DEPRETIS. Va bene; e dirò brevemente i motivi sui quali io mi appoggio.

Qui non si tratta  né punto  né poco di ritardare la discussione del progetto di legge in discussione, ma solo di riferire, se fia possibile, durante la discussione, sopra un argomento che è colla medesima strettamente connesso.

Ma è ben singolare, o signori, che si venga a contraddire ad una domanda che è la più naturale del mondo. Non s’è mai dato, ch’io sappia, nei precedenti della Camera, che una petizione connessa coll’argomento in discussione, e di cui si chiedesse l’urgenza e la relazione pendente la discussione, senza ritardarla, fosse ricusata.

L’onorevole Capone dice che ieri la Camera ha deciso che i diritti spettanti al signor Adami od a’ suoi cessionari non consistono che nella pretesa ad una indennità, da ventilarsi avanti ai tribunali.

La Camera, che sappia io, non ha votato alcuna dellberazione simile. Ieri nella Camera si chiese la sospensione della discussione, perché si facesse prima quella della concessione delle linee calabro-sicule. Questa dimanda fu respinta. Tale e non altra è stata ieri la discussione e la decisione della Camera, quantunque sia vero che siasi accennato l’argomento a cui alludeva l’onorevole Capone.

Ma questa è un’altra controversia toccata da qualche oratore, e per nulla risolta. Intanto la domanda ch’io faccio è semplicissima. Evvi una petizione sopra un affare connesso a quello che attualmente è in discussione; io chiedo che la relazione sulla medesima si faccia, s’è possibile, prima che la discussione sia terminata. Quindi insisto nella mia proposta.

PERUZZI, ministro pei lavori pubblici. Credo che siavi qui più una discussione di parole che una discussione di sostanza. Mi pare che nulla osti a che l’urgenza sia riconosciuta dalla Camera, ed io per parte mia appoggerei la proposta dell’onorevole Deprelis, giacché è chiaro che la discussione sul progetto di legge relativo alla concessione delle ferrovie calabro-sicule verrà presto all’ordine del giorno; in conseguenza, se non si dichiarasse d’urgenza quella petizione, la medesima non potrebbe essereesaminata in tempo dalla Commissione; invece, dichiarata d’urgenza, la Commissione l’esaminerà e avrà tempo di riferirla prima che sia ultimata questa discussione       

DEPRETIS.  Chiedo di parlare.

PERUZZI, ministro pei lavori pubblici... lo farà, ed in ciò vedo nulla di male. Solo desidererei che sia bene inteso che non si ritardi neppure d’un minuto la discussione attuale...

DEPRETIS. Sta bene.

PERUZZI, ministro pei lavori pubblici...e che se la legge potesse essere votata prima che la Commissione abbia riferito su questa petizione, la Camera procederà oltre senza fermarsi a questa difficoltà.

Credo che questa sia l’intenzione del deputato Depretis, il quale ha troppa pratica dei precedenti parlamentari, per potere oggi proporre di ritornare sulle prese dellberazioni. Per parie mia non mi opporrei, anzi credo equo che sia dichiarata d’urgenza e che sia rinviata alla Commissione delle strade calabro-sicule, la quale poi, venendo l’urgenza dichiarata dalla Camera, riconoscerà il dover suo di riferire al più presto che sia possibile.

PRESIDENTE. Mi pare che la questione sia finita dal punto che anche il ministro è d’accordo che questa petizione si possa riferire, quando le circostanze lo permettano, nel corso della presente discussione;  né quindi occorre più che io metta la proposta ai voti, restando inteso che questa petizione è dichiarata d’urgenza e da riferirsi giusta l’avvertenza anzidetta.

   

ATTI DIVERSI.

MAYR. Domando la parola per fare una breve interpellanza al signor ministro di grazia e giustizia.

PRESIDENTE. Vuol fare un’interpellanza o soltanto chiedere che sia determinato il giorno per farla?

MAYR. È relativamente al Codice e al progetto preparato da una Commissione, per essere presentato al Parlamento, di una legge relativa all’affrancazione delle enfiteusi, e prego il signor ministro di fissarmi il giorno per muovergli questa interpellanza.

MINGHETTI, ministro di grazia e giustizia. Io sono agli ordini della Camera e dell’onorevole interpellante.

MAYR. Io non domanderei che pochi minuti.

Voci. No! no! Dopo le ferrovie!

PRESIDENTE. Non bisogna interrompere il corso di questa discussione. Si potrà porre all’ordine del giorno dopo che siasi discussa la presente convenzione e quella delle strade ferrate calabro-sicule, che si trovano poste all’ordine del giorno ordinario. (Si!)    ’

MASSARI. Domando che sia dichiarata d’urgenza la petizione 7481, colla quale il Consiglio comunale di Cetona, nel circondario di Montepulciano, chiede la gratuita cessione del locale della soppressa dogana, e fa altre domande di questo genere.

(È ammessa l’urgenza. )

PRESIDENTE. Il ministro dei lavori pubblici scrive:

«Onorevole signor Presidente,

«Ilo l’onore di rimettere alla S. V. illustrissima una carta d’Italia sulla quale ho fatto indicare le linee di strade ferrate costruite, in costruzione e quelle delle quali il Governo ha proposto la costruzione in questa Sessione; e le sarei grato se ella volesse disporre che questa carta venga affissa in un luogo accessibile facilmente a tutti i signori membri di codesta Camera, acciò possano prender cognizione della intiera rete ferroviaria italiana, qual sarebbe dal Governo ideata.

«In questa carta ho fatto notare con diversi colori le. strade concesse e quelle proposte; e delle prime, sono segnate in nero quelle costruite, in bleu quelle concesse, in rosso quelle proposte nella presente Sessione, designando con linee piene quelle che dovrebbero essere attivate entro due anni, ed in linee punteggiate quelle che dovrebbero esserlo nei tre anni successivi.

«Devo inoltre far avvertire come per le sirade non ancora studiate, le direzioni segnate indicano soltanto i punti estremi già determinati, senza che possa da esse venir indotto verun argomento della definitiva designazione dei punti intermedi per i quali dovrebbero passare.

«Ilo l’onore di proferirmi con sensi della massima considerazione. »

Si disporrà in modo che la carta venga affissa in luogo conveniente.

Vi sono alcune elezioni da riferire. A questo fine, do la parola al deputato Conti.

VERIFICA?, IONI DI POTERI.

conti, relatore. Ilo l’onore di riferire, per mandato del I ufficio, sopra reiezione fatta nel 1° collegio di Torino nella persona dell’onorevole barone Bettino Ricasoli, presidente del Consiglio e ministro degli esteri.    

Nel primo scrutinio, gli elettori inscritti essendo 1571, se ne presentarono 355. Il barone Bettino Ricasoli ne ebbe 340,3 il principe di Piombino, 3 l’avvocato Vincenzo Mìglietti; voti dispersi 3, voti nulli 4.

Nessuno dei candidati avendo ottenuto il numero dei suffragi voluto dalla legge, si addivenne ad un secondo scrutinio, nel quale i votanti furono 286, ed il barone Bettino Ricasoli ebbe 278 voti,0 il principe di Piombino; 2 nulli.

Tutte le operazioni delle varie sezioni essendo regolari, il I uffizio vi propone la convalidazione di quest’elezione.

(La Camera approva. )

PRESIDENTE. La parola è al deputato Ferracciu.

FERRACCIU, relatore. Per incarico dell’uffizio I, ho l’onore di riferire alla Camera intorno all’elezione del 2° collegio di Torino.

Questo collegio è diviso in quattro sezioni, ed ha inscritti 1219 elettori.

Alla prima votazione non ne intervennero che 286; e di questi,277 votarono a favore dell’avvocato Vincenzo Miglietti, e soli 3 a favore del barone Bettino Ricasoli; 4 voti andarono dispersi,2 altri furono dichiarati nulli.

Nessuno dei candidati avendo riportato il numero dei suffragi richiesto dalla legge, fu mestieri addivenire al ballottaggio. In questo si trovarono presenti e votanti 243, dei quali 242 tennero per l’avvocato Miglietti, e 3 pel barone Ricasoli.

L’avvocato Miglietti fu quindi proclamato deputato del 2° collegio di Torino.

Le operazioni elettorali furono regolarmente compiute,  né consta d’essersi sollevato richiamo di sorta; epperò l’uffizio venne unanime nella sentenza di proporvi, come, per mezzo mio, vi propone di validare la fatta elezione.

(La Camera approva. )

(Il deputato Miglietti presta il giuramento. )


SEGUITO DELLA DISCUSSIONE DEL PROGETTO

DI LEGGE RELATIVO ALLA FERROVIA

DA NAPOLI ALL’ADRIATICO.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul progetto di legge per l’approvazione della convenzione Talabot per le strade ferrate da Napoli al mare Adriatico.

La parola è al deputato Susani per continuare il suo discorso.

SUSANI. Ieri ho avuto l’onore di esporre come, a mio avviso, sia chiaro che la società, la quale qui si chiama concessionaria, quando realmente essa si sarà costituita, noto porterà del suo effettivamente all’impresa che un capitale di 50 milioni.

Ora mi resta a fermare l’attenzione della Camera sopra altri punti del progetto sottopostole, dai quali risultano aggravi per lo Stato, per me evidenti, e che vogliono essere presi in considerazione.

Io ho già detto come lo Stato debba sovvenire di 50 milioni la formazione del capitale sociale. È di più accordato un premio di 3 milioni, premio perduto.

Per l’effetto che si propone di ottenere, io non disapprovo il premio, ma non è per ciò meno vero che lo Stato sacrifica con esso altri tre milioni. È. strano poi come per uno degli articoli della concessione, la società, quando sia costituita, esiga dallo Stato la rinuncia a ciò che è voluto dalla legge sulle opere pubbliche, la quale prescrive che, tuttavolta gli utili delle imprese concesse a società private per costruzioni ed esercizi di ferrovie superino il dieci per cento, lo Stato debba intervenire a dividere, in parte eguale, l’eccedente profitto. Io in verità non so, o signori, perché, quando lo Stato fa tanti sacrifici per rendere possibile, secondoché ne disse il ministro, la costituzione di questa società, a lei poi, in mercede di essere stata posta in piedi dallo Stato, si debba ancora accordare il privilegio di non tenersi soddisfatta del dieci per cento e più della metà degli utili, che eccedono il dieci per cento. Io confesso che non so approvare questa abdicazione dei diritti dello Stato consacrati da una legge generale

Nè qui finiscono i sacrifici richiesti allo Stato; ed è strano come uno di essi, il quale ascenderà certo a qualche milione, sia quasi, direi, dissimulato in un articolo del capitolato, il 25°, nel quale è detto: che il Governo dovrà pagare una metà delle spese necessarie per la costruzione della stazione centrale in Napoli.

Egli è chiaro, o signori, che, oltre a quelli che ricordai ieri, altri oneri ci sono in questo capitolato, i quali vogliono essere presi in considerazione; ed è strano come la Commissione abbia emendati alcuni articoli della convenzione in senso favorevole alla società. Cosi all’articolo 7 fu aggiunto allo Stato l’onere, implicito, è vero, e non esplicito, di costrurre un tronco di ferrovia intorno ad Ancona, del quale prima non era parola; e ciò onde facilitare l’esercizio all’attuale società. Di più all’articolo 4 della convenzione la Commissione ha fatto un emendamento, nel quale è detto che lo Stato guarentisce alla società il pagamento dell’interesse annuo del sei per cento, e l’ammortizzazione calcolata in base di 99 anni sull’intero capitale sborsato per fare la costruzione e per l?arredamento della rete della strada ferrala.

Io desidererei di avere in proposito qualche spiegazione, e vorrei sapere che cosa intenda la Commissione per arredamento, se cioè è compreso in questo il materiale mobile, o no. Io credo che la Commissione intenda anche il materiale mobile (Il ministro dei lavori pubblici ed il relatore della Commissione (anno cenni affermativi), altrimenti non avrebbe senso quest’emendamento.

Vedo che l’onorevole ministro ed il relatore della Commissione mi accennano che non mi sono male apposto con questa interpretazione.

Ora io domando alla Camera, come mai, se l’ammortizzazione si fa e si paga sopra il materiale mobile, stia poi il disposto dell’articolo 10 del capitolato, per cui, quando le ferrovie ritornino allo Stato (noti bene la Camera questo), Io Stato dovrà rimborsare ai cessati soci concessionari tutto il valore del materiale mobile che resta. Ma, o signori, se io l’ho ammortizzato, non l’ho più a pagare, e quindi, s’io lo pago, l’avrò, mi sembra, pagato due volte. È questo un onere sul quale credo mio debito di chiamare l’attenzione della Camera, ed intorno al quale sentirei volentieri le spiegazioni che mi vorrà dare l’onorevole relatore della Commissione.

Egli è evidente, o signori, che queste considerazioni dimostrano sempre più quanto sia gravoso allo Stato, finanziariamente parlando, il contratto sottoposto alla vostra sanzione. Ma ancora se esso mi costituisse veramente una concessione, se io potessi credere di aver assolutamente assicurata la costruzione della desiderata rete di strade ferrate, potrei proporre a me stesso di passare sopra a queste difficoltà finanziarie, e, riluttante qual sono, pure approverei il contratto. Ma è questa una vera concessione?'Siamo noi certi di avere con ciò assicurata la ferrovia?

Io non lo credo. E, come ciascuno di voi di subito vede, mi corre alla mente l’articolo IS del contralto, nel quale è detto apertamente come sia accordato ai cosiddetti concessionari (perché concessionari non sono) il termine di un anno per pronunziarsi, se hanno formata la società, se vogliano effettivamente ritenere la concessione.

E nel caso che ciò non sia, in quale condizione ci troveremo noi? Evidentemente noi ci troveremmo esposti all'indennizzo rilevantissimo di cui parla la seconda parte del contralto, ove è detto che noi dovremmo rimborsare a questi, non più concessionari, ma diremo più esattamente accollatari della costruzione, gl’interessi prestabiliti di lutto il capitale sborsato, ed il capitale (s’intende valutando le spese di qualsiasi natura sostenute nella compilazione dei progetti, e notate quel qualsiasi natura, che per verità è d’un’elasticilà non ordinaria) e le spese, o signori, di negoziazioni relativamente alla concessione che non avrà avuto luogo. È strano che lo Stato debba rifondere le spese delle trattative, di pratiche fatte in fin dei conti in suo danno; perché, se la concessione non ha luogo, egli è ovvio che lo Stato si troverà in una posizione meno fortunata di quella in cui si sarebbe trovato se non avesse mai iniziate pratiche con questi signori.

Che così sia ve lo provano i precedenti dello Stato subalpino, e l’onorevole ministro dei lavori pubblici, mi pare, ha altra volta ricordato egli stesso, che Tessersi più volte concessa senza effetto la ferrovia così detta ligure, la ferrovia delle due riviere, ha sempre peggiorate le condizioni della costruzione di quella linea, finché un giorno lo Stato si è dovuto decidere a farla egli a condizioni più onerose di qutdlo che avrebbe altrimenti potuto ottenere, se si fosse determinato anche a quella medesima maniera di esecuzione, in tempi in cui aveva accettate delle proposte di concessioni che poi andarono a vuoto.

Io sostengo che, in virtù dell’art. 15, questi signori, i quali non costituiscono mica una società, poiché si riservano la facoltà di costituire sì o no la società anonima, ma non costituiscono che una riunione di alcuni individui, i quali si sono messi insieme per trattare quest’affare, insino a che la società non sia costituita, sono veramente accollatari, i quali si sono assunti di costrurre a spese dello Stato, e nel termine di un anno, un certo tronco di strada di ferro, senza prezzo prestabilito, senza nessuna di quelle garanzie, le quali lo Stato avrebbe pur prese, se fosse passato alla costruzione di questo medesimo tratto di strada ferrata per mezzo di accolli parziali, a mo’ d’esempio, così come ha fatto per la ferrovia da Ancona a San Benedetto del Tronto.

I risultali pratici per lo Stato, in quanto all’avere la linea costrutta, sarebbero stati i medesimi; e notate bene, o signori, che da una parte non si sarebbe preoccupato l’avvenire, dall’altra lo Stato, con quei medesimi sacrifizi ch’esso fa in quest’occasione a prò dei terzi, avrebbe potuto facilmente raggiungere l’intento, provvedendoassai meglio a’suoi interessi.

Ed invero qual è il capitale che questi signori metteranno fuori nel primo anno? Io credo che in realtà ce ne metteranno ben poco. Lo Stato dà ad essi 30 milioni, e con questi io penso che i 60 milioni, i quali, a termini del capitolato, dovrebbero essere investiti per far luogo a quella corrisponsione da parte dello Stato, effettivamente essi non li dovranno cacciar di saccoccia. Egli è chiaro infatti che, provvedendo questi signori alla costruzione per via di piccoli accolli, precisamente così come avrebbe potuto fare il ministro, ne avverrà che essi non debbano effettivamente sborsare denaro se non alla fine dell’anno; ed alla fine di quest’anno, o l’affare risulterà ad essi eccellente, e si presenteranno dicendo: siamo qui, paghiamo la strada; o questo non si verifica, ed allora la concessione non sarà fatta. Allora il Governo si troverà sulle braccia la necessità o di dar loro altri maggiori premii, o di costrurre egli medesimo la slrada. È ovvio come in lutti e due i casi sia peggiorala la condizione dello Stato; meglio valeva avesse fatto oggi quello che dovrebbe fare da qui ad un anno; imperocché la situazione sarebbe almeno stata più sgombra,

In verità, o signori, io non so concepire come si possa approvare tal quale quest’articolo 15, dove non veggo alcun corrispettivo a prò dello Stato. Questo è un contratto unilaterale,  dirò così, tutto a favore di questi concessionari, che io chiamo accollatari. Se dunque l’avvenire sarà favorevole ad essi, noi avremo fatto un cattivo contralto; e se da qui ad un anno, per le mutazioni politiche d’Europa, il nostro credilo si rafferma; se crescono i valori delle nostre carte pubbliche; se si prepara un avvenire di stabilità, quale noi auguriamo, oh! allora noi ci troveremo di avere completamente rinunciato a fruire di questi vantaggi. E se la guerra scoppiasse? E se anche, per minaccia solo di guerra, il mercato si avvilisse a nostro danno? È altrettanto certo che noi, per fare la strada, avremmo allora a subire delle condizioni assai peggiori di quelle che oggi sopporteremmo.

Io avrei quindi creduto che nell’articolo 15, se pure alla società si voleva dare questo diritto di sciogliersi dalla concessione, per parità di trattamento Io stesso diritto si dovesse riservare anche al Governo, il quale avrebbe potuto anch’egli essere giudice se o no gli convenisse da qui ad un anno di tenersi vincolato a questi patti.

L’onorevole Valerio ha detto che l’articolo 15, il quale gli aveva fatto da principio una grande sensazione, non gli sembrava poi ostacolo vitale, dacché egli s’era persuaso che, se la società non si costituisse, se si rescindesse il contralto, questi soci avrebbero fatto un magro affare. Se le cose andassero sempre secondo i principii astratti, l’onorevole Valerio, credo, avrebbe ragione; ma il inondo pratico, il mondo materiale che noi conosciamo non è mica quell’Eden del paradiso terrestre che alcuni moralisti s'immaginano.

Io credo, per esempio, clic sia facile il concepire come possa venire un momento nel quale l’indennizzo delle spese di qualsiasi natura, sostenute nella compilazione dei progetto, nelle trattazioni relative alla concessione, nell’impianto ed esecuzione dei lavori, per quei pochi che costituiscono il nucleo della società, rappresenti un guadagno superiore a quello che essi individualmente potrebbero fare, anche con un contratto lucroso; dovendo chiamare a parteciparvi un gran numero di individui, tanti quanti ce ne vogliono per formare il corpo degli azionisti. Quindi non si può negare che resta aperto l’adito a fare un guadagno che può essere anche considerevole, senza effettivo e considerevole sborso di capitali, e sarebbe giusto il sospetto in chi volesse ammettere che molti potessero trovarsi allettati da questa prospettiva.

Il signor Conforti disse ieri che coloro i quali respingono il contratto come troppo vantaggioso per la società, e dicono poi che i concessionari non formeranno la società stessa, cadono in contraddizione. Che contraddizione non vi sia apparirà ove si consideri come coloro i quali temono che la società non si formi, e pensano che i concessionari siano per usare dell’articolo 15, fanno l’ipotesi che, peggiorando le condizioni del mercato in dipendenza delle condizioni generali d’Europa, avvenir possa che ciò che oggi è ravvisato troppo oneroso allo Stato non lo potesse essere più nella stessa misura alla fine dell’anno. Si tratta d’un giudizio pel quale la valutazione dell’onerosità dipende dal termine di confronto mutabile che si ha nelle condizioni del mercato all’epoca nella quale s’istituisce il confronto.

A questo proposito ricordo ciò che disse ultimamente il signor ministro degli esteri con tanto plauso della Camera e del paese. Egli diceva, l’altro giorno, clic noi vogliamo, che noi dobbiamo andare a Roma ed a Venezia; a fronte di ciò io domando se sia tanto assurdo il pensare che possa esservi fra un anno uno scombussolamento improvviso in Europa, il quale rechi danno transitorio alle nostre condizioni finanziarie. Ora, prevedendo questo, perché non cercheremo fin d’ora i mezzi di compiere una strada, che io credo dovrebbesi condurre a termine anche sotto il cannone nemico?

Ma la Camera ricorda (e qui, parlando di una questione di qualche rilievo, non può a meno di venire in tutti la dolorosa ricordanza dell’assenza di quell’uomo che dominava coll’alta sua intelligenza tutte queste discussioni), la Camera ricorda come nell’anno scorso, circa a questi giorni, io proponessi una dilazione di un mese alla sanzione di un articolo accessorio di un contratto di ferrovia, e come l’onorevole conte Di Cavour sorgesse allora da quei banchi, e in nome del convegno di Varsavia dichiarasse che non si avesse a por tempo im mezzo, che si stabilisse in modo inscindibile il contratto, perché le eventualità che si sarebbe potuto correre potevano portare a sacrifizi enormi.

Io domando ai ministri: oggi siamo noi più sicuri del nostro prossimo avvenire finanziario di quello che lo fossimo un anno or fa? Non lo credo.

Io penso che noi siamo assai più sicuri di quello che fossimo un anno fa del grande avvenire italiano; ma di quell’avvenire, il quale vale sulle mobili arene delle transazioni bancarie, e si sconta e quota alle borse, io credo che oggi noi non siamo più d’allora sicuri; anzi io credo che lo siamo assai meno; imperocché ciò che fa rallegrare i cuori dei cittadini in generale, spesso riempie le borse di spavento, opprime i mercati e fa abbassare di valore tutte le carte pubbliche. Quindi io credo che questo sia un grave argomento contro l’approvazione di questo contratto, in forza del quale, per un anno intiero, in mezzo a tanti pericoli, tutto si tiene in sospeso.

L’onorevole Massari ricordò il detto che l’inferno è tappezzato di buone intenzioni.

Egli dichiarò che quelli i quali negano questa concessione rimandano alle calende greche l’adozione di questa ferrovia.

Ma, signori, se cosi fosse, io vi ho già detto abbastanza quanto sia persuaso della importanza di farle e presto, e certo non vorrei io porre in mezzo impedimenti.

Mi resta dunque a provare come effettivamente si possano, a mio avviso, le linee altrimenti costrurre. Di più io credo che, oltre al costruirle altrimenti, si sarebbe anche potuto per avventura provvedere all’esecuzione di un tracciato, il quale permettesse effettivamente una più rapida comunicazione tra Napoli e l’Italia superiore.

Si dice: noi andremo a Napoli in 18 mesi. Grazie tanto. Ma come ci andremo? Avremo di mezzo 47 chilometri, se non di più, 47 chilometri di montagna, dove non vi sono strade e dove all’infretta si farà una strada carrettiera che non sarà la cosa la più amena del mondo; quindi impiegheremo 10 o 12 ore a percorrere i due tratti di ferrovia, e ne metteremo in molta parte dell’anno più che altrettante a fare quei 47 chilometri. Per questo a me pareva che il Governo avrebbe potuto più utilmente dare la preferenza all’altra linea, la quale mette pel Celiano.

Ho veduto nella relazione del dottissimo deputato Bonghi, come egli e la Commissione abbiano studiato quest’argomento senza formarsi un’opinione decisa, e sembra che nemmeno il signor ministro abbia potuto ben fissare le idee su questo proposito. Egli crede infatti, ed in questo lo lodo, d’aver bisogno di studi positivi per pronunciarsi in proposito.

La cosa è in qualche modo rimasta in sospeso; ma sentirei molto volentieri dal relatore quelle ragioni, le quali ci condurrebbero a non pronunciare un giudizio definitivo; da che, per quanto io abbia studiata la sua molto elaborata e bellissima relazione, di ragioni convincenti in proposito non m’è avvenuto di trovarne alcuna.

Ho detto come importasse ora provare esservi altri mezzi per eseguire queste ferrovie, per eseguirle prontamente e più conforme all’interesse finanziario e politico dello Stato. E qui prego la Camera di accordarmi un po’ d’indulgenza. Sono condotto a dover pigliare a ribattere alcuni argomenti i quali furono posti in mezzo da parecchi preopinanti in quest’occasione, da molti deputati in altre consimili, per combattere assolutamente in tesi generali l’esecuzione delle ferrovie per opera dello Stato.

In tesi generale io sono pel primo convinto che, a condizioni ordinarie e in tempi normali e finanziariamente prosperi, il miglior modo di provvedere alla costruzione delle opere pubbliche sia la concessione ai privati assuntori, cosicché l’interesse loro, collimando coll’interesse del pubblico, se ne abbia il più economico e il meglio assicurato servizio.

Ma, o signori, ogni legge generale ha la sua eccezione, e certo egli è improvvido assai colui il quale, a cavallo di una tesi generale, vuol dare contro proprio all’eccezione per misurarla di forza a quella medesima stregua. Che così debba essere, mi pare non sia necessario di molte parole a provarlo.

Come si fanno le teorie generali nelle scienze economiche? Credo di non errare pensando che allo stesso modo come in tutte le altre scienze di osservazione. Si piglia un gran numero di casi particolari, si contrappongono, gli uni agli altri, si paragonano, si trovano molte qualità comuni a quasi tutti o almeno ad un gran numero di essi, e se sopra 100 di questi casi si trova che 90 si ponno. stringere dentro a una formola comune, si dice che quella legge può ragionevolmente essere eretta a principio generale. Ciò vuol dire che, se ad uno si presentasse un caso qualsiasi, il quale fosse dei cento paragonati per trarne la formola che è detta generale, così alla cieca, senza che fosse abbastanza caratterizzato, sarebbe certo grande errore il non ammettere per esso l’applicabilità della legge generale del principio; l’applicazione di ogni altro assai più probabilmente sarebbe erronea. Ma se mi si presentasse uno di quei dieci casi nei quali ho riconosciuto non esistere quella comunanza di fenomeni che mi ha autorizzato a fondare il principio, sarei ben pazzo se, sapendo che quello è uno dei casi eccezionali, credessi di poterlo ancora affrontare a cavallo del mio principio generale; imperocché in quel caso sarebbe certissimo che io sarei tratto in errore. Or questo, o signori, mi pare sia del caso attuale.

Si è detto troppo leggermente, o signori, che lo Stato è sempre un pessimo esecutore di strade ferrate e che è sempre un pessimo esercente. Ciò che può essere vero in molte circostanze, le quali erano le normali, quando fu stabilito il principio su cui poggia l’asserzione, può non valere, può non essere più vero a circostanze mutate.

Io mi sono procurato alcuni dati, che mi permetto di sottoporre alla Camera. Il signor ministro, che è così dotto in queste materie, potrà far fede dell’esattezza delle cifre da me citate; e se alcuno degli onorevoli miei colleghi desiderasse di vedere i documenti originali autentici, ufficiali, da cui io le ho desunte, non ha che a rendermi avvisato del quando egli desiderasse pigliarne conoscenza a casa mia.

In Francia, come voi sapete, o signori, le reti di ferrovie, di cui è dotato il paese, si esercitano da società private. Io tengo nota di diciotto esercizi, dal 1841 al 1888.

Il capitale impiegato nelle ferrovie a quel tempo sommava a 4,686 milioni e mezzo circa. Questo capitale era rappresentato per un po’ meno della metà, cioè per 2,210 milioni dal ricavo della emissione di obbligazioni. Nel resto era rappresentato da 1,457 milioni inazioni; ed il rimanente constava di sussidi dati dal Governo, sia con lavori fatti e ceduti gratuitamente alle società, sia con sussidi effettivi in danaro pel valore di circa 400 milioni, sia per prestiti e sovvenzioni che arrivano a 61 milioni circa.

Io comincio da qui a ricavare un insegnamento di cui ho bisogno a proposito di questa discussione.

Il capitale obbligazioni, del quale la relazione, a sostegno delle proporzioni stabilite dal contratto nostro (il quale permette che due terzi del capitale si costituiscano di obbligazioni), dice che in Francia siasi così largamente usato, è quivi notevolmente inferiore alla metà di tutto il capitale investito nelle strade ferrate. Noi riscontriamo questo medesimo fatto in tutte le altre principali reti di Europa. A considerare le quali fra poco passeremo rapidamente.

L’interesse per cento sopra questo capitale di 4,686 milioni circa mutò del 2 5/10 per 0/0, al minimum, ad un maximum di 6,9 per 0/0. La media fu nel triennio 1855, 1856, 1857, del 4,4 per 0/0, e su tutti i 18 anni di esercizio non passa il 4 1/2 per 0/0.

Ma, o signori, si parla sempre del grandissimo utile che ritraggono le società private da queste operazioni. Intendiamoci e vediamo quale esso veramente sia.

Vi è molte volte un considerevole dividendo distribuito agli azionisti, perché agli azionisti è riservato il buon boccone della minor parte del capitale effettivamente investito, ed anco per altre ragioni che non sono sempre prova buona della prosperità reale dell’impresa.

Ora, io domando, è egli nell’interesse della società rappresentata dallo Stato, che tutto il capitale renda il più possibile, o basta allo Stato, e conviene alla società che quattro quinti di questo capitale rendano poco meno di quello che altrimenti avrebbe potuto per favorire un accrescimento di rendita al quinto privilegiato?    :

lo non saprei restare in dubbio, imperocché la forza produttiva dello Stato, la ricchezza pubblica si avvantaggia dal buon profitto che ricava dalla totalità dei capitali, e non dal singolo vantaggio di pochi azionisti.

Del resto nel 1858, ultimo anno del quale ho avuto i dati officiali, nel 1858, dico, il capitale effettivamente impiegato, considerato anche società per società, non diè ad alcuno grandissimo beneficio, imperocché s’ebbe un maximum di 7,7 per 0/0 alla società des chemins de fer du nord, ed alle altre corrispose meno del 5, essendo state ancora in media del 4,4 per 0/0.

Questo io cito unicamente, perché mi fo forte di provare come gli esercizi ferroviari affidati a molti Governi in Europa non si trovino realmente in condizioni economiche inferiori a quelle che qui si constatano per moltissime società private. Diffatti passiamo per un momento all’Inghilterra. Voi sapete, o signori, come l’Inghilterra sia il paese della massima libertà commerciale; Voi sapete come là ad altro non si pensi che a far fare da società private, a cui non è accordata alcuna garanzia d’interessi. Ora, io ho potuto fare lo spoglio dei redditi avuti da 95 società di strade ferrate della Gran Bretagna durante l’anno 1854, che sommavano allo sviluppo di 7892 miglia inglesi. Il capitale investito in queste linee di ferrovie era di 275 milioni e 564,951 lire sterline. Anche in Inghilterra, sebbene lo Stato non c’entri per nulla, la convenienza degli azionisti ha condotto ad avere una parte del capitale in obbligazioni propriamente dette, una altra in obbligazioni che sono di diversa forma, ma si accostano al principio che fu poi generalmente applicato sul continente.

Nessun miglior misuratore della convenienza dell'interesse proprio, si dice, che il privato; or bene, vediamo quale è il rapporto tra il capitale azioni e il capitale obbligazioni in questo fondo rappresentante nel 1854 le ferrovie del Regno Unito. Anche qui il capitale obbligazioni è al disotto della metà del capitale complessivo investito nelle ferrovie. L’interesse medio, reso dal capitale, è di 3 lire e 14 scellini per 0|0, il che corrisponde prossimamente al 5 e 7 decimi per 0/0.

Notisi che solo otto società diedero un interesse superiore al 5 per 0/0, e che quarantanove lo diedero inferiore al 5 per 0/0.

Nel 1859 il Belgio (e qui veniamo a costruzioni ed esercizi fatti dallo Stato), il Belgio per 746 chilometri di ferrovie, che esso aveva costrutte, aveva speso 191 milioni e mezzo di franchi, e ne aveva avuto un reddito netto di circa 14 milioni. Aveva adunque quel capitale reso un interesse del 7 per 0/0, più qualche frazione. Ma a cercare di questi esempi, noi non abbiamo bisogno di andare molto lontano. L’onorevole mio amico, il deputato Valerio, pochi giorni or sono, ebbe ad esporre alla Camera come le ferrovie dello Stato nelle antiche provincie rendessero il 5 e 45 per cento.

Egli è ovvio come questo interesse sia venuto gradatamente crescendo su quel che era da principio. Anche nel Belgio nel 1858 le prime strade davano niente; nel 1840 diedero gradatamente l’uno, il due, il tre per cento, e poi assai lentamente il reddito salì al 7 per 0/0, del quale ho detto.

Voi vedete che l’amministrazione dello Stato nel Belgio e l’amministrazione dello Stato nelle antiche provincie hanno saputo fare assai più di quello che in media hanno saputo fare le società private, considerate le forze produttive del capitale effettivamente investito in Francia ed in Inghilterra.

Ma vi ha un paese sul quale ancora m’importa assai di chiamare la vostra attenzione; e mi preme per questo singolarmente che fin qui noi siamo venuti paragonando delle condizioni di cose, le quali, sebbene si prestino al paragone, pure si sono verificate in condizioni territoriali, in condizioni materiali e morali assai diverse, che potrebbero supporsi rendere meno legittimi questi confronti.

E invero io ho dovuto pigliare l’Inghilterra e la Francia per paragonarle al Belgio ed all’Italia; ora io vado in Germania.

Non si spaventi la Camera se vede che prendo tra le mani alcuni fogli; non le darò che pochissime cifre di quelle che ho qui, e domando il permesso di comunicare poi il complesso alla stenografia, perché ciascuno possa meglio vedere quello di cui non darò qui che un riassunto.

In Germania adunque, nel 1858, c’erano circa 12 mila chilometri di strade ferrate; e questi 12 mila chilometri di strade ferrate erano stati eseguiti, e si esercitavano in due diverse maniere: dallo Stato e dalla società.

Due quinti erano erariali, tre quinti delle società private.

Vi erano in Germania sessantatré diverse società, venti delle quali non avevano esercizi propri, ma venivano esercitate dagli Stati nei quali sono, e sei dalle direzioni di altre ferrovie private.

Di queste società, venti diedero agli azionisti, nel 1857, un dividendo superiore al 5 1/2 per %; venti, inferiore al 4,7 per % e tredici al disotto del 5 per %.

Ma, signori, se noi badiamo alle ferrovie le quali furono costrutte dagli Stati, io piglio in primo luogo la Prussia, il più illuminato, senza dubbio, il più potente tra gli Stati della Germania. In Prussia, lo Stato aveva, a quell’epoca, alcune linee che io ho qui, in queste note, nominate, e che non citerò per non far perder tempo alla Camera. A proposito delle quali, essendo amministrate dallo Stato, unicamente dirò questo: che una, la quale era lunga 389 chilometri, diede allo Stato circa l’11 per % del capitale impiegato; le altre diedero interessi dal 3,14 a 8,60 per %; ed una, appena incominciata ed appena in esercizio, circa il 2 per %: ma, ad ogni modo, la media di tutti questi più che 1000 chilometri esercitati dalla Prussia diede un reddito medio quasi del 6 per %.

Voi vedete dunque, o signori, come il reddito medio ottenuto dalla Prussia possa superare in Germania il reddito medio ottenuto dalle società private.

Ma, mi si potrebbe dire, questa è una condizione particolare della Prussia; vediamo qual è la condizione di altre linee ferrate che nella Germania furono esercite dagli Stati.

Lo Stato possiede le strade di ferro in Sassonia, le esercisce egli stesso. Ora, lo sviluppo di queste linee, che è in complesso di meno che 400 chilometri, diede, avendo variato l’interesse dall’8 16 al 5 per 00, un reddito medio di 6,4 per 00, superando il reddito ottenuto dalle amministrazioni prussiane.

Le vie Main-Nekar e Main-Weser, strade amendue erariali, sebbene di non molta importanza rispetto allo sviluppo che in complesso è di soli 254 chilometri, resero all’Assia la prima il 6,75 per 00, la seconda il 6,66 per 00.

Osservo che sopra 45 società private tedesche, delle quali ho potuto conoscere i redditi negli anni 1856 e 1857, solo per ventuna superarono il 5 per 00.

Dunque, o signori, i due terzi circa delle strade ferrate esercite da società private in Germania resero l’un per cento meno della media che diedero in quello stesso paese le strade esercite dallo Stato, e questa media non fu raggiunta dalla media generale delle strade ferrate esercite dalle società privale.

Resta a dire del rapporto che passa in Germania tra il capitale investito e il capitale rappresentato dalle obbligazioni (*).


(*) Risulta dalle più attendibili informazioni che in Germania alla fine del 1855 erano in esercizio non meno di 11856 chilometri di strade ferrate, due quinti circa dei quali, cioè 4779 chilometri, di erariali. I 7077 chilometri di società private si suddividevano tra 63 diverse società, 20 delle quali non avevano esercizio proprio ma vengono esercite dagli Stati nei quali sono, e 6 dalle direzioni di altre strade private. Di queste 20 diedero agli azionisti nel 1857 un dividendo superiore al 5,50 per cento, e 20 inferiore al 4,75 per cento, tra cui 15 al disotto del 3 per cento.

Considerando a parte le strade ferrate prussiane trovo che, mentre il complesso della rete esistente in quello Stato è di 4646 chilometri, di questi 1341 sono di proprietà dello Stato ed eserciti da lui.

Le linee erariali, omessa come si conviene la linea di cintura attorno a Berlino che ha un'entità eccezionale, sono:

1 ) Niederschlesisch-Màrkische.

2) Preupische-Ostbahn.

3) Saarbruker-Eisenbahn.

4) WestphSlische-Eisenbahn.

Le lunghezze di queste linee sono ordinatamente, omesse le frazioni, di chilometri:

1)

Chilometri

389

2)

id.

520

3)

id.

42

4)

id.

103


La 1a rese

nel 1857 il

10 83 per %

di capitale impiegato.

2a)

id.

3   14

id.

3a)

id.

8  60

id.

4a )

id.

1  80

id.


Il capitale investito era nel 1838 di 860,000,000 di talleri prussiani circa, ed il capitale, il quale non era in azioni, era anche questo al disotto della metà. Da questo rapido passaggio attraverso i dati incontrastabili, che ho avuto l’onore di presentarvi, ne ricavo, in primo luogo, una conseguenza per il mio assunto essenziale, ed è che in Europa non sia generalmente ritenuto conveniente che il capitale in obbligazioni superi la metà del capitale totale effettivamente investito nella ferrovia.

 


A proposito delle quali rendite però vuolsi osservare che un quarto circa della seconda linea non fu esercito che a partire dal 12 ottobre dello stesso anno 1857, sicché il reddito qui registrato deve aversi per assai minore di ciò a cui salirà fra qualche anno. Anche la quarta era compita solo dalla fine del 1856.

Tenuto conto del capitale impiegato che è ordinatamente:


per la 1a

23

milioni di talleri

2a

34

id.

3a

3

id.

4a

12

id.


mi risulta a fronte del reddito netto un interesse medio del 5,65 per cento, quasi il 6 per cento.

Dunque, il reddito della rete erariale dell’amministrazione dello Stato prussiano andrebbe annoverato tra i più pingui di tutta la Germania, e ciò a dispetto dell’essersi voluta fare da me la media senza tener conto, per eliminarli, degli elementi eccezionalmente sfavorevoli che entrano a comporla.

Anche le strade dello Stato in Sassonia presentano risultati i quali portano a credere che lo Stato possa benissimo costruire ed esercire le ferrovie con risultati economici direttamente non inferiori a quelli che le private società ottengono.

Le linee erariali sassoni costrutte ed esercite a tutto il 1857 sono:

1) Sàchsisch-Bayvrische.

2) Sàchsisch-Botimische.

3) Sàchsisch-Sehlesische.

4) Chemnitez-Niesaer.

Lo sviluppo di queste linee è in complesso di chilometri 309, e nel 1857 il reddito dei capitali rispettivamente impiegati essendo dall’una all’altra linea variato'tra l’otto e un sesto per cento ed il cinque percento, risultò mediamente del sei e quattro decimi per cento.

La MainNekarBachn e la MainWeser, strade ambedue erariali sebbene di non molta importanza per rispetto allo sviluppo che è in complesso dì soli 274 chilometri, resero all’Assia la prima il 6 75 per cento e la seconda il 6 66.

Questi risultati meritano di essere profondamente meditati.


Dunque, allorché trovo che si concede l’emissione non della metà, ma dei due terzi, io sono fondato a ritenere che da ciò verrà un argomento di discredito a quella carta, discredito il quale rifletterà sul nostro credito pubblico.

Quando io vi diceva che i risultati di queste cifre, delle quali chieggo vogliate scusare la noia, varrebbero contro coloro i quali asseriscono non essere da pensare in nessun caso alla costruzione ed all’esercizio per parte dello Stato, sì che importasse di qui pigliarle a considerare, io, lo ripeto, voleva unicamente mettermi in misura, e credo d’esserlo, di poter sostenere fondatamente in faccia alla Camera, come nelle condizioni eccezionali nelle quali noi oggi ci troviamo, il miglior sistema, quello per cui l’interesse dello Stato meglio si sarebbe fatto, stava nella costruzione a conto dello Stato; ciò non vuol dire, o signori, per opera diretta, immediata del ministro pei lavori pubblici. Ieri si è posta innanzi la difficoltà che lo Stato non potrebbe assolutamente fare nei termini voluti, anche colle migliori intenzioni del mondo, questi lavori. Ma io prego la Camera a voler considerare che come si è fatto per il tratto da Ancona a San Benedetto, tratto di circa 80 chilometri, si ponno dividere in due o tre accolli parziali questi 500 chilometri che, secondo il progetto di legge presentato alla sanzione della Camera, devono essere costrutti per la linea che mette in comunicazione San Benedetto del Tronto con Napoli.

Ciò posto, io tengo per fermo che nel tempo stesso, e l’opera sarebbe assicurata, e il Governo non sarebbe stato in pena a trovare gli accollatari; imperocché la società Talabot e compagnia non altrimenti procede all’adempimento di questi obblighi, che cercandosi degli accollatari, i quali sarebbero stati felicissimi di prestare l’opera loro al Governo, così come la presterebbero alla società Talabot.

Io non vedo perché il Governo, precisamente nelle attuali circostanze, non si possa sostituire alla società. Egli è ovvio come noi oggi, rivolgendoci a società private, dovremo subire gravissime condizioni, per parte non solo della società Talabot, ma di una società privata qualsiasi che le si volesse sostituire. Queste società naturalmente non vorranno scontare l’avvenire a nostro vantaggio; non sarebbe ragionevole aspettarselo da esse; esse non sono tenute ad aver fede nell’avvenire d’Italia; ma il Parlamento e il Governo d’Italia possono essi dubitarne? E se noi abbiamo fede ne’ destini nostri, perché vender oggi per un secolo i proventi avvenire di queste lince? Perché abdicare oggi a tutti i vantaggi i quali direttamente potrebbero venire allo Stato quando egli medesimo se ne facesse assuntore? Che cosa succederebbe, alla peggio, se lo Stato si mettesse egli medesimo a costrurre ed esercire? Egli raggiungerebbe certamente su questa linea i vantaggi che ha saputo ottenere sopra la ferrovia da Torino a Genova e sulle altre della rete governativa nelle antiche provincie; e, come è avvenuto nel Belgio, come avviene in Germania, a poco a poco il reddito salirebbe, non al 6, ma al 7, all’8 per cento. All’incontro, facendo noi oggi questa concessione, abdichiamo a qualunque partecipazione a questi miglioramenti del reddito presumibile. E perché? Per risparmiare di metter fuori direttamente SO milioni, imperocché io vi ho dimostrato che più di 80 milioni certamente la società, quando pure si formi, non ci metterà.

Io quindi, per queste ragioni, persuaso intimamente dell’urgenza di provvedere alla costruzione della ferrovia in discorso, e di provvedervi rapidamente, come ho avuto l’onore di dire da principio, preoccupandomi però anche di conciliare, per quanto sia possibile, le necessità politiche ed economiche coll’interesse finanziario dello Stato, preoccupato dal pensiero di non mangiare il fieno in erba, come si suol dire, preoccupato del pensiero di non mettere sul bilancio avvenire dello Stato degli aggravi, i quali alla fin dei conti alla potenza italiana saranno d’inciampo e d’indebolimento, ' avevo preparato un progetto di legge semplicissimo, col quale facevo autorità al Governo di dar egli esecuzione alla convenzione sottoposta alla sanzione della Camera, costruendo per conto dello Stato tutte le linee che vi si contengono, e sostituendo sè stesso ai così detti concessionari.

A provvedere ai mezzi finanziari avrebbe certamente bastalo lo stanziamento di cento milioni da erogarsi in tre anni e l’autorizzazione data al Governo di emettere tante obbligazioni garantitesulleferrovie da costruirsi colle modalità concesse alla società, quante ne occorrono a completare la spesa.

In tal modo lo Stato nell’anno corrente e nel venturo non avrebbe effettivamente sborsato un soldo di più di ciò che si spende col progetto attuale, e noi non avremmo speso in tutto più che cinquanta milioni, oltre quanto è richiesto attualmente,  né avremmo rinunciato a quei futuri guadagni, che io, fidente nei destini d’Italia, credo dover essere considerevoli e che non so concepire perché si vogliano gettare a pasto ad una associazione particolare, la quale non porla in tanto affare che tutt’al più la miserabile somma di cinquanta milioni.

Ma io credo che, se presentassi il mio progetto, lo si manderebbe per la solita trafila, e la Camera, la quale è in disposizione di dare ampiamente ragione al ministro dei lavori pubblici, approvando questa convenzione, manderebbe il mio progetto al limbo, dove io non mi sento volontà di corrergli dietro; quindi, sebbene io sia contrario all’adozione del contralto quale è proposto; sebbene io mi riservi di proporre se mi sembri opportuno anche come emendamento quel temperamento di cui io parlava, e che tenderebbe a mettere le provincie napoletane, non nello stato creato dalla convenzione, ma in una condizione di cose assai più rassicurante, pure, avendo sentite le osservazioni fatte dal mio onorevole amico l’ingegnere Valerio, osservazioni al certo assai ragionevoli, osservazioni che, quando fossero menate buone, adottando la Camera gli emendamenti da lui proposti, scemerebbero l’esorbitanza del contratto e riparerebbero a molti sconci, io piglierò parte alla discussione degli articoli e degli emendamenti.

Se il contratto mi risulterà l’unico modo pratico di avere dalla Camera l’approvazione di questa ferrovia, quando la concessione sia sufficientemente emendata tanto da escludere i maggiori pericoli che io vi scorgo per l’interesse dello Stato, forse la voterò.

Importava a me il constatare in faccia alla Camera ed al paese quale fosse la mia maniera di giudicare di questo contralto, imperocché io credo fermamente, o signori, che non lontano sarà il giorno in cui molli di quelli ai quali appaiono vane e superflue le osservazioni che furono fatte dagli oppositori, dovranno convincersi che non male ci apponevamo.

Io mi ricordo come nell’anno scorso si dicesse in questo Parlamento che non c’era un quarto d’ora da perdere a concedere la ferrovia ligure, e mi ricordo di aver sostenuto che passerebbe un anno senza che per questo ci fosse un chilometro di strada di ferro.

Fui tacciato di allarmista; ma io credo, o signori, che l’anno sia trascorso e che il chilometro di strada non ci sia.

Non posso finire senza pregare gli onorevoli deputati delle provincie meridionali a considerare che questo contratto fatto colla società Talabot e compagni, quand’anche essi diventino veramente i concessionari, vincola orribilmente l’avvenire dello sviluppo delle reti nell’Italia meridionale.

Se lo Stato costruisse, egli sarebbe sempre libero di completarle secondo i bisogni di quelle provincie; sarebbe libero di dare incremento all’industria indigena, che sarà necessariamente conculcata di deliberato proposito dal capitale forerstiero, ed intorno a ciò ho già detto ieri che ho presentato un emendamento, che a suo tempo svilupperò. (Segni d'impazienza)

Quando l’onorevole Massari parla, ho l’abitudine d’ascoltarlo.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Susani di non rivolgersi così particolarmente ai deputati, e di continuare il suo discorso.

MASSARI. Io non interrompo.

SUSANI. Prego dunque caldamente i deputati delle provincie napolitane a voler riflettere nell’interesse delle loro medesime provincie (interesse che per me è, lo ripeto, eminentemente italiano) come colla concessione attuale si comprometta lo sviluppo avvenire della loro rete ferroviaria; prego i deputati di quelle provincie di badare alla condizione in cui fu messa la Lombardia da una società gemella di questa. Domando se sia così invidiabile quella condizione, perché si abbia, a clamore di popolo, a chiedere che a quella medesima condizione il loro paese sia assoggettato. Egli è certissimo che questa società, quando sarà formata, sarà uri' impedimento allo sviluppo degl’interessi ferroviari, che nel mezzodì d’Italia sono assai ben compresi e rappresentati. Certo l’Italia meridionale non vorrà contentarsi,  né si potrebbe definitivamente limitare a contentarsi di quei chilometri che oggi le son dati; imperocché, da quanto ebbe a dichiarare una dotta Commissione napoletana, eletta dall’onorevole Deviucenzi, quando resse a Napoli il dicastero delle opere pubbliche, e da uno scritto assai pregevole dello stesso signor Devincenzi, ho rilevato che molti ancora saranno i bisogni da soddisfare in quel paese anche dopo che queste linee saranno costrutte. Nè mi si dica, come la Commissione ha voluto sostenere, che la clausola stabilita di fare esercitare alle condizioni espresse nell’articolo aggiunto dalla Commissione le diramazioni dei tronchi di congiungimento sia un buon rimedio; imperocché, signori, l’onere che dovrebbero sostenere il Governo, le provincie o i municipi di quel paese, quando volessero poi costrurre quelle loro strade, sarebbe tale che assai meglio, a mio avviso, varrebbe di fare addirittura anche dei sacrifizi maggiori di quelli che occorrono a mettere oggi lo Stato in condizioni di potere esso costrurre la rete principale, non fosse altro per salvarne Io sviluppo futuro.

Signori, permettete ve Io ripeta, tre o quattro accolli, quali quello da Ancona a San Benedetto del Tronto, assicurerebbero la costruzione della parte più urgente di queste ferrovie. (Interruzioni) Intanto possono migliorare le condizioni del mercato, e certo noi non abbandoneremmo tutti i vantaggi a questa società, la quale si dice concessionaria, mentre anch’essa in fondo altro non è che una privilegiata accollataria; accollo per accollo, io preferisco quello il quale non compromette l’avvenire. (Rumori) Se il Governo si mettesse lui al posto della società Talabot, sarebbe un gran servizio reso alle provincie meridionali, ed io son convinto che nell’avvenire dovranno esse ben persuadersi che in quel modo si sarebbe a loro reso un assai maggior servizio che non votando oggi, quale è proposta, la convenzione Talabot.

DE BLASIIS. Io ho sempre davanti agli occhi una verità detta in quest’aula dal mio onorevole collega ed amico, l’onorevole Conforti, non esservi, cioè, figura rettoricale più noiosa della ripetizione. Mi guarderò bene pertanto dal ripetere qualsivoglia cosa sia stata già detta dagli onorevoli miei preopinanti, e ciò implica una chiara promessa che io fo alla Camera di essere brevissimo, inquantoché si è già dagli oratori che mi hanno preceduto ampiamente mietuto un campo, nel quale a me non rimane che a spigolare, mettendo in rilievo qualche osservazione che per avventura è ad essi sfuggita.

Sulla questione tecnica, dopo il lungo ed elaborato discorso dell’onorevole Susani, io mi guarderò bene di entrare; dappoiché  né presumo di avere le cognizioni nelle quali egli è maestro,  né io mi fiderei veramente di seguirlo nel lungo viaggio ch’egli ci ha fatto fare per la Francia, pel Belgio, per la Germania, e per quasi tutte le parti del mondo civile percorse da ferrovie. D’altronde io credo che, al suo argomentare, abbiano dato di già anticipata risposta gli onorevoli Cini e Valerio. Mi limiterò quindi ad una sola osservazione, che mi pare sia sfuggita ai medesimi, e che io credo tale da poter molto pesare sugli animi di quelli che sono d’altronde persuasi della necessità di far eseguire le ferrovie delle quali ci occupiamo, e di farle eseguire nel più breve tempo possibile.

Signori, anche concedendo al signor Susani che il miglior metodo di costruzione per le ferrovie sia quello di costruirle o farle costrurre a patto del Governo, anche concedendo al medesimo che il Governo abbia disponibile e pronto tutto il denaro che sarebbe richiesto per tale opera, io credo che il Governo non dovrebbe,  né potrebbe in alcun modo assumere di fare, nel breve spazio di diciotto mesi, quello di cui la società Talabot prende l’impegno, e ciò per una semplicissima considerazione, cioè perché il Governo non ha certamente alcun apprestamento di materiali corrispondente ad una così vasta costruzione, alla quale, senza un immenso materiale già preparato, sarebbe follia l’accingersi, dappoiché non basterebbe  né il danaro,  né il buon volere del Governo, a creare questo materiale in sì breve spazio di tempo.

D’altronde l’onorevole Valerio osservò saviamente, a fa vore della società Talabot, che in essa non tanto l’elemento bancario deve riguardarsi, quanto l’elemento costruttore, trovandosi di fatti in essa la maggior parte dei più serii costruttori di strade ferrale che sieno in Europa. Egli è chiaro adunque che questa società, avendo una grandissima quantità di materiali in pronto, può effettivamente ed immediatamente metter mano ai lavori, e corrispondere così ad impegni che nessun’altra società, e molto meno il Governo, potrebbe assumersi di fare in cosi ristretto tempo.

Entrando nella questione politica non ripeterò ciò che gli onorevoli Massari, Conforti ed altri hanno detto egregiamente sul proposito; pregherò solamente la Camera di riflettere su questo, cioè che l’Italia non è stata mai unita politicamente; l’Italia è stata unicamente aggregata all’impero romano al momento in cui non l’Italia sola, ma la Spagna, la Gallia, l’Africa, l’Asia e tante altre parti del mondo erano violentemente congiunte insieme dalla forza del prepotente impero romano; ma l’Italia politicamente come nazione non è stata mai unita. Ora, il più grande ingegno che sia sorto sul finire del secolo scorso e nell’incominciare del presente, nel suo esiglio sullo scoglio di Sant’Elena, considerando questo fatto, aveva non a torto dedotto che alla unità politica dell’Italia si opponesse la sua geografica giacitura; essa infatti, prolungandosi di molto nel seno del mare e trovandosi spartita e frastagliata dall’aspra catena degli Apennini, evidentemente si mostra per tali ragioni poco propria a costituire un’unità compatta e volenterosa.

Noi dobbiamo dunque ringraziare la Provvidenza che, nel preparare questo grande avvenimento dell’unità politica d’Italia, fra le altre grandi cose che ha fatto verificare quasi per miracolo, abbia alla nostra epoca serbata anche la meravigliosa invenzione di questo rapido e potente sistema di locomozione, per virtù del quale spariscono le distanze e le difficoltà del suolo sono vinte e domate.

Sarebbe dunque, credo, andar contro la Provvidenza l'arrostarsi per un solo istante a valersi di un mezzo di tanta efficacia e che solo può dare all’Italia quello che la natura pareva gli avesse negato, cioè la facilità di percorrere il suo suolo montuoso e di stringere in istretto consorzio i suoi abitatori.

Quanto ai vantaggi economici e finanziari di questa intrapresa, io mollo meno ripeterò ciò che tanto bene han detto parecchi onorevoli preopinanti, e che tutti d’altronde possono assai facilmente considerare, ma indicherò anche un notevole vantaggio che ne ritrarremo e che ai preopinanti è forse sfuggito.

Tra le cose che rendono attualmente scabra la posizione del Governo, specialmente relativamente alla parte meridionale d’Italia, vi è una specie di mania invalsa, per virtù della quale molti credono di poter far a meno dell’aria, piuttosto che non di un impiego; e diffatti gl’innumerevoli petenti di impieghi, che non sono,  né possono essere appagati, diffondono principalmente quell’agitazione e quel malcontento che nell'Italia meridionale prevale pur troppo.

Questi aspiranti ad impieghi, adunque, potranno essere calmati di alquanto, se viene ad offrirsi un novello e vasto campo alle loro aspirazioni colla costruzione e con le amministrazioni delle novelle ferrovie; ed è sperabile che cessino così di assediare e di maledire il Governo.

Anzi, il Governo istesso, che, per incamminarsi alle riforme finanziarie, più volte dalla Camera raccomandate vivamente, dovrà disbrigarsi di una gran quantità d’impiegati che gli sono a carico, perché soverchi (il che facilmente si verificherà per gl’impiegati doganali, che dovranno essere di molto ridotti, stante l’abolizione delle barriere doganali che esistevano fra i vecchi Stati), potrà, anziché mettere sulla via questi impiegati, o pensionarli con grave discapito della finanza, trovar modo d’inlrodurli nelle costruzioni e nelle amministrazioni suddette per le vaste linee di ferrovie che vanno a costruirsi.

Io perciò, non in linea di emendamento, come pare che taluno de’ miei onorevoli colleghi abbia cercato di fare, ma in linea semplicemente di raccomandazione, pregherei il ministro di fare il possibile per mettersi d’accordo coi concessionari, a fine di poter far si ch’essi non si rifiutino ad accogliere questa classe di persone, come impiegati ed agenti alla di loro dipendenza, stanteché essi avranno bisogno al certo di un assai numeroso personale.

Quanto alla questione di giustizia, si è detto da molti, e ciascuno sente nell’animo che, se si è di già accomunato il debito pubblico italiano, se si tende a perequare le imposte in tutte le parti d’Italia, è necessario che le provincie meridionali sieno eguagliate alle altre in quello di cui esse mancano, vale a dire nella facilità delle comunicazioni che deve servire d’incentivo al loro sviluppo industriale e commerciale.

Ora io non credo di dover spendere troppe parole per confermare questa verità, e per far considerare alla Camera che la parte meridionale d’Italia, e specialmente la parte sull’Adriatico, non avendo  né porti,  né strade rotabili, e nemmeno per ombra ferrovie di sorta, certamente non potrà mai adagiarsi a fare quello che tutti desideriamo, ed io innanzi tutti, cioè a pagare allo stesso livello in cui pagano le altre provincie dello Stato, ed a sovvenire ai bisogni dell’erario nell’istessa proporzione, se prima le di loro migliorate condizioni economiche non rendono possibile e giusta una tale perequatone.

Si affretti adunque la Camera a votare una legge da cui possono attendersi i benefici risultamenti; ed io credo che la Camera per votarla prontamente debba cominciare da! respingere gli emendamenti che sono stati proposti; dappoiché io veggo nel rapporto presentatoci dall’onorevole relatore Bonghi che la Commissione si è studiosamente occupata in non breve spazio di tempo a migliorare per quanto era possibile non solamente il testo di legge, ma anche il contratto ed il capitolato;  né credo che la società concessionaria, dopo di essere addivenuta già a molte e non lievi concessioni, sia ora disposta a cedere sopra novelli punti.

Quindi a me pare che il voler discutere sugli emendamenti, e molto più il volerli accogliere, sarebbe lo stesso che respingere la legge indirettamente.

Fra gli emendamenti introdotti dalla Commissione io debbo specialmente lodarmi di quello introdotto nella legge all’articolo 5, numero 4, nel quale è così detto:

«Per la diramazione da Ceprano a Pescara la costruzione avrà luogo tra cinque anni a partire dalla data della legge approvativa della presente convenzione. »

Ma si soggiunge:

«Quando dagli studi di questa diramazione risulti che sia di più facile e pronta costruzione della linea di Pescara ad Eboli...»

Dice ad Eboli, ma prego la Camera e la Commissione di osservare che credo sia occorso un errore di stampa, e che dovrà forse dirsi a Ceprano.

BOSCHI, relatore. Si.

DE BLASIIS. «...il Governo avrà facoltà di concertarsi coi concessionari, perché quella diramazione, salvo il tratto da’ pressi di Popoli a Colle Armeno, sia costrutta in diciotto mesi, restando però la compagnia obbligala a costrurre sull’altra linea, nello stesso termine, chilometri 154, ed a compire la linea di Conza nel termine di cinque anni. »

Signori, nel progetto che il Ministero ci ha presentato vi è chiaramente l’idea di congiungere Napoli, non solamente alla parte superiore d’Italia, ma anche alla parte inferiore della linea adriatica, per mettere quella nobilissima città in posizione di godere anche del commercio orientale, che abbiamo la speranza di attivare in questa grande arteria che noi apriaino; ognun vede però che sarebbe sempre più urgente di aprire a Napoli la comunicazione coll’Italia superiore innanzi tutto; ora a questa comunicazione è specialmente consecrata la linea da Pescara a Ceprano, ché è pure la più breve; sicché, ove le altre condizioni che si sono contemplate nell’emendamento della Commissione si potessero dal Ministero ottenere, dietro gli studi che saranno fatti, sarebbe ai certo utilissima cosa che questa linea di Pescara a Ceprano fosse costruita anche a preferenza di quella da Foggia ad Emboli e Salerno, ed io raccomando ciò con molto calore all’onorevole ministro.

Per questi motivi, prego la Camera di voler approvare la concessione proposta a favore della società Talabot, e di fare così il più grande beneficio non solo allo Stato, ma specialmente alle provincie meridionali, che più delle altre ne abbisognano.

PRESIDENTE. Il ministro pei lavori pubblici ha facoltà di parlare.

PERUZZI, ministro pei lavori pubblici. Quando in una delle prime tornate di questa Camera io annunziai di avere la speranza che in diciotto mesi Napoli sarebbe stata riunita a Torino, ad eccezione della traversata dell’Appenino e della collina sovrastante alla città di Ancona, io ricordo come quella dichiarazione fosse accolta da molti con entusiasmo, da altri con diffidenza, da tutti siccome audace.

Io per altro ben sapeva come a voler far presto, anzi prestissimo, a voler fare con una rapidità della quale io sfido i più vivi oppositori di questa legge a trovare un esempio nelle altre concessioni di strade ferrate in Europa; io sapeva che a volere far presto, come ben diceva ieri l'onorevole Levi, conviene spender molto di più che a fare con un’ordinaria celerità.

Quindi io ben mi aspettava, come suol dirsi, che all’hosanna! tenesse dietro il crucifige! Ed il crucifige! venne appena si conobbero le condizioni che in un tempo ristrettissimo e con una difficoltà somma era a me riuscito conseguire, perché tutte le strade ferrate necessarie a compiere una rete arteriale ferroviaria in Italia fossero condotte a compimento in uno spazio brevissimo di tempo, nello spazio di cinque anni.

La concessione Talabot, come quella che fra tutte è la più importante, ed è, forse, di una forma fra noi più insolita, dette naturalmente argomento a più aspre ed a più generali censure. Nè io me ne allarmai; ho lasciato che le polemiche si facessero, poiché era certo che il buon senso generale avrebbe finito per rendermi giustizia.

Ed, in verità, io non ho a lagnarmi del risultato; e, se alcuna cosa valesse a confortarmi, sarebbe la discussione che ieri e stamane ebbe luogo in questo Parlamento.

Rare volte è accaduto che in una discussione così importante quanto è questa, tre soli oratori fossero inscritti contro il progetto di legge.

Io non seguirò l’onorevole Levi nella lunga censura, clic egli fece bellamente del mio progetto. Dico ch’egli fece bellamente, perché l’onorevole Levi parte da principii; in questi principii ha una fede profonda, li difende animosamente, li applica senza reticenza. A me piace questo genere d’opposizione.

Noi non siamo d’accordo. Io non mi tratterrò dunque a ribattere una ad una tutte le obbiezioni dell’onorevole Levi, perché non potrei farlo meglio di quello che l’abbiano fatto diversi degli onorevoli preopinanti, e specialmente gli onorevoli Cini e Conforti, ed altro non farei che occupare inutilmente l’attenzione della Camera. Soltanto durante questo mio discorso andrò di quando in quando ribattendo alcuna delle accuse mosse dall’onorevole Levi, quando l’occasione si presenterà.

L’onorevole Brunet ha egli pure attaccato la legge, ed ha ripetuti quegli argomenti che gli valsero per oppugnare la concessione della strada ferrata aretina; li ha, per questa, ripetuti in novella forma.

Ma l’onorevole Brunet, ed era da aspettarselo, perseverò nei principii che allora manifestava, ed, avendovi perseverato, era ben naturale che perseverasse nella sua proposta.

La Camera però avendo, in occasione appunto dell’Aretina, creduto non solamente di non accogliere la proposizione fatta dall’onorevole Brunet, ma avendo perfino respinto altre proposte, alle quali, con una condiscendenza che fu da molti miei amici tacciala di debolezza, io aveva consentito, mi pare che a fortiori rigetterebbe quelle che, nello stesso senso, le venissero oggi rinnovate. Imperciocché, checché ne dica l’onorevole deputalo Susani, il quale facevami l’onore di chiamarmi furbissimo, perché appunto io aveva scelto il terreno dell’Aretina per invitare la Camera a decidere una questione di sistema, io non credo che il terreno dell’Aretina fosse di lutti il più favorevole, credo invece che meglio e più di qualunque altro favorevole sarebbe stato quello della discussione attuale.

Il prolungamento infatti dell’Aretina è certamente utile, è certamente urgente per quella parte d’Italia che sarà traversata e vivificata da quella linea, ma di gran lunga inferiore è la sua urgenza, o signori, di fronte a quella del progetto di legge che oggi vi è proposto. Ed invero io ben ricordo che allora i rimproveri che venivano mossi contro la mia condiscendenza partivano principalmente da coloro i quali temevano che quella condiscendenza potesse essere argomento che mi venisse poi rinfaccialo quando si addivenisse alla discussione attuale.

Quindi io credo far bene se mi astengo dal ribattere le obbiezioni dell’onorevole Brunet, per non fare inutili ripetizioni, giacché credo che le sue opinioni e le deduzioni che egli ne traeva sieno già anticipatamente state condannate dalla maggioranza di quest’Assemblea.

Quanto all’onorevole Susani, la faccenda procede molto diversamente. In lui, o signori, come ebbi già l’onore di dirlo un’altra volta, io vedo un fenomeno psicologico singolarissimo, imperocché mi trovo sempre d’accordo coll’onorevole Susani nei principii, ma quando si viene all’applicazione ci troviamo sempre discordi.

In verità io ho voluto studiare questo fenomeno, e stamane l’onorevole Susani stesso si è incaricato di rivelarmi la spiegazione che io cercava; egli ci ha fatto la genesi dei principii, secondo lui. I principii, a parer suo, si desumono dall’osservazione dei fatti; egli vi diceva poco fa: noi vediamo, per esempio, cento casi; di questi cento casi ne vediamo novanta che sono conformi tra loro, dieci solo differiscono; quindi noi diciamo che quei novanta casi costituiscono il principio.

Io in verità aveva proceduto sempre diversamente nel formarmi l’idea dei principii, aveva proceduto colla sintesi e non coll’analisi; forse essendo egli espertissimo nelle scienze fisiche, le quali appunto sopra il metodo sperimentale si appoggiano, porta nella scienza morale questo stesso sistema.

L’onorevole Susani vi dice che il sistema delle concessioni all’industria privata è, secondo lui, il più favorevole; e anche l’anno passato, in occasione della discussione della ferrovia ligure, disse la stessa cosa; ma oggi vi viene a dire che nelle condizioni attuali, nelle condizioni nostre speciali sarebbe molto preferibile la costruzione per conto dello Sfato; e perché questo? Perché le condizioni attuali sono tali da persuaderlo ad applicare questo ultima sistema.    

Io in verità non so vedere quanto differiscano le condizioni attuali da quelle nelle quali ci trovavamo nell’ottobre del decorso anno quando si discuteva la concessione della ferrovia ligure. Quindi non so spiegarmi come mai l’onorevole Susani abbia ieri ed oggi avversato il sistema delle concessioni e patrocinato quello degli appalti, quando nello scorso anno avversava il progetto dell’onorevole mio predecessore, il ministro Jacini, perché, secondo lui, il sistema della concessione meglio risparmiava il credito dello Stato coll’impedirgli di emettere tanta rendita, e meglio contribuiva a che Io Stato potesse aspettare dei momenti più prosperi; perché il sistema dell’appalto, a parer suo, peggio conduceva a che il prezzo preventivamente calcolato non fosse ecceduto; perché il più grande inconveniente di quel sistema stava nell’affidare la costruzione a chi non ha interesse nell’esercizio; perché infine la sorveglianza, in caso di accollo, doveva essere presso a poco la stessa che quella occorrente al Governo se egli avesse costrutto da sè.

In verità che il signor Susani non avrebbe lo scorso anno potuto parlar meglio per sostenere quel sistema che oggi crede di dover avversare.

Io non so invero quale sia la differenza dall’ottobre 1860 in qua. In oggi la Camera ha già votato un prestito di 800 milioni; allora ne votò uno, se non erro, di 150.

L’avvenire? Ma l’avvenire, o signori, è molto migliore di quello che allora non fosse: oggi sediamo nazione al banchetto delle grandi potenze d’Europa; allora eravamo tapini; e nonché riconoscerci, l’Europa appena ci tollerava: noi soli avevamo fede nel nostro avvenire; ora tutta l’Europa civile ha fede nell’avvenire d’Italia. (Bene!)

Le condizioni, o signori, sono grandemente migliorate nel rapporto della fiducia, e se diverse sono, lo sono nel senso che oggi dobbiamo, anche più d’allora, risparmiare il credito diretto dello Stato e ricorrere al credito indiretto che risulta dalle concessioni all’industria privata.

Quanto alla convenienza di sostituire la garanzia che nasce dall’interesse dei concessionari, quando eserciscono la linea, alla sorveglianza diretta del Governo, la quale, come ben diceva l’onorevole Susani, per il Governo equivale alle necessità che sorgono dalla costruzione per conto proprio, a mille doppi sono cresciute le ragioni per le quali non è conveniente il sistema che allora avversava ed oggi sostiene l’onorevole Susani.

Imperocché oggi dovendo io mandare un commissario per sorvegliare i lavori da Napoli, per esempio, ad Eboli, mi troverei nell'imbarazzo: i nostri ingegneri di primo ordine, che ben conosco e sui quali posso fare intero assegnamento, sono sopraccarichi di lavoro per le tante opere dallo Stato intraprese. Nelle nuove provincie, in ispecie nelle napolitane, io so bene esservi uomini abilissimi, ma essi non sono praticamente esperti nella costruzione delle strade ferrate, le quali, se in sé nulla hanno di singolarmente difficile, esigono peraltro un personale tecnico che siasi in questo genere di costruzioni per qualche tempo esercitato.

Di questa necessità ebbi novella prova nell’esaminare alcuni studi presentati da ingegneri napoletani, imperocché in essi studi, che ho veduto egregiamente disegnati; nei quali tutti i rilevati sono fatti perfettamente dal punto di vista scientifico e tecnico, ho trovato mancanza di quel senso pratico che si possiede solamente quando si sono veduti molti di questi lavori.

La scelta della linea è fatta secondo principii giusti, ma non è mai fatta secondo quel pratico colpo d’occhio che l’esperienza sola può dare, e che gl’ingegneri napoletani acquisteranno, se vedranno costruire strade ferrate e costruirle bene, e non male, come sono state costruite fin ora nell’ex-regno di Napoli; e se appunto ammaestrati dagli stranieri e dai nazionali, essi faranno quel tirocinio che gl’ingegneri francesi hanno fatto sotto gl’ingegneri inglesi che primi portarono la costruzione delle strade ferrate in Francia, e che i nostri ingegneri hanno fatto in concorso con ingegneri esteri, che con savio accorgimento il Governo subalpino chiamò dal Belgio e dall’Inghilterra.

Io inoltre debbo dividermi dall’onorevole Susani in quanto si riferisce ai principii economici; imperocché l’onorevole Susani ha detto essere egli grande fautore della libertà economica, ma, quando si viene alla pratica, egli crede che questo principio debba essere limitato, debba essere vincolato.

Mi pare in verità, a me almeno che ho grande fede nei principii e in ispecie nei principii di libertà, mi pare l’onorevole Susani come quei devoti del medio evo, i quali, avendo una fede religiosa ardente, andavano a confessarsi dei peccati che intendevano di commettere (Si ride); in egual guisa l’onorevole Susani viene a dirvi, o signori, che professa la libertà, ma intende di applicarla con prudenza, di applicarla con delle limitazioni.

«Quindi io voglio, ei dice, che i concessionari provvedano all’estero il materiale di cui hanno bisogno, ma prima mi riservo di esaminare quale è il prezzo pel quale l’hanno provveduto; voglio, in certo modo, interrogare tutti i mercati d’Italia (giacché sono certo che i principii di libertà non gli permetteranno di tariffare i prodotti dell’industria italiana, col quale sistema si potrebbe a colpo d’occhio vedere il prezzo dei materiali in tutta Italia), e quindi quando avrò fatto tutto quest’esame, allora, se mi risulterà che costino meno di quello che costerebbero in Italia, allora io permetterò che questi signori li portino.»

In verità, o signori, quand’anche la fede che ho nei principii di libertà non mi vietasse d’accettare siffatta proposta, me lo vieterebbe l’interesse della cosa, l’interesse del fare e del far presto; imperocché, non solo non si farebbe presto, ma non si troverebbe nemmeno chi a queste condizioni volesse fare. Per parte mia, lo ripeto, ho fede nei principii lutti di libertà, e di libertà economica in particolare. Credo che, quando si ha fede nella libertà, non bisogna vincolarne l’esercizio, perché la libertà è apportatrice di tanti beneficii da compensare alcuni piccoli mali, che forse potrebbero nascere, ed è tale da largamente rimediare a quelli che per avventura sorgessero dall’esercizio e dall’abuso della libertà stessa. Per quello che si attiene in ispecie al nostro argomento, non posso nascondere come in Italia l’industria che l’onorevole Susani intenderebbe favorire non sia  né punto,  né poco sviluppata, a segno tale da provvedere neppure in lieve parte ai bisogni, ai quali si vorrebbe ch’essa facesse fronte. L’ho veduto dirigendo una ferrovia in Italia, lo vedo oggi come ministro dei lavori pubblici.

Quando si trattò dei materiali delle strade ferrate ho sempre cercato, e nell’una e nell’altra qualità, di favorire l’industria nazionale; ma, signori, quest'industria non esiste od esiste in esigue proporzioni. Pochissime locomotive possiamo costrurre nel corso di un anno.

Per vagoni e carrozze abbiamo delle buone officine, ove £i costruisce bene, ma lentamente; quindi, quando si tratta di fare grandi provviste in breve tempo, è insufficiente l’industria nazionale a provvedere a queste necessità. Ricorrendo all’industria nazionale non avremmo materiali sufficienti.

Dirò di più che, se ciò facessimo, musicherebbe quest’industria e metteremmo improvvidamente degli ostacoli, a che dall’estero venissero questi materiali. Imperocché, o signori, come sarà che potranno venire questi materiali, come sarà che potrà l’industria nazionale svilupparsi? Essa si svilupperà quando avrà i grandi elementi che le sono necessari; quando avrà capitali, mano d’opera abile e materiali a buon mercato. Ebbene, ora io dico che l’industria nazionale avrà i capitali quando per mezzo delle strade ferrate si saranno moltiplicate le transazioni, facilitate le comunicazioni, aumentata la ricchezza nazionale, la quale, divenuta esuberante ai bisogni, farà si che i cittadini accumulino dei risparmi, e che, svolgendo il credito, questi capitali accumulati andranno più specialmente circolando per tutte le vene della nazione per infonderle una vita prospera e felice.

L’industria italiana disporrà di braccia intelligenti, quando gli stranieri saranno venuti a completare l’educazione degli industriali italiani; quando noi avremo avuto degli stranieri i quali, venendo qui a costruire strade ferrate, formeranno degli abili discepoli; essi stessi troveranno la loro convenienza ad istituire qui grandi officine, e queste officine si nazionalizzeranno; sì! quando il nostro paese si troverà in condizioni favorevoli per sviluppare quelle date industrie. E, se esse non potranno svilupparsi nelle nostre contrade e prosperare, signori, noi ne prenderemo delle altre, venderemo i nostri prodotti che meno ci costeranno, li venderemo cari, e con quelli noi compreremo macchine e vagoni. (Bravo!)

Ora, io dico che quella che io formulo adesso non è una di quelle astrazioni che spesso si rimproverano agli uomini i quali, perché hanno fede nei principii, si tacciano di essere teorici e di abbandonare la pratica.

Quello che io affermo è accaduto in Francia. Io mi rammento benissimo che, quando era in Francia a fare i miei studi, e che per ragione di essi andava a visitare i lavori di costruzione delle strade ferrate, ho veduto in questi laboratori! ed il signor Loch ed il signor Stephenson ed i principali costruttori ed ingegneri inglesi; vedevo i principali fra gli operai, fra i caporali essere Inglesi; vedevo sistemi inglesi, macchine inglesi spesso anche peggiori delle macchine francesi; e i Francesi, i quali sono certo, di tutte le nazioni, quelli che più altamente sentono la loro dignità nazionale, e la spingono talvolta all’eccesso, tanto da farli disprezzare, anche a torto, le altre nazioni, i Francesi hanno tollerato tutto questo; e che ne avvenne? Ora essi non solo costruiscono da sè le loro strade ferrate, ma emigrano e vanno a portare quest’industria altrove, ed a far concorrenza in estere contrade ai loro maestri. (Bravo!)

Questo, signori, questo faremo noi; io ne ho la ferma convinzione. Noi lo faremo; imperocché, già dal momento in cui si c cominciato a costrurre strade ferrate in Italia, io ho veduto impiantarsi qui molte officine che prima non vi erano. Io stesso. Italiano, sono succeduto, nella direzione di una strada ferrata, ad un Inglese. Io ci ho trovati macchinisti tutti inglesi, e ve li ho lasciali tutti italiani. I capi di officina che, pochi anni fa, erano quasi dovunque inglesi, vengono adesso in molti luoghi suppliti da italiani abilissimi.

Ora, se questo è accaduto sopra una piccola scala, quando dei piccoli tronchi di strade ferrate potevano aumentare bensì la vita della nazione, ma aumentarla in piccola proporzione, che cosa accadrà, o signori, quando migliaia e migliaia di chilometri di' tali strade percorreranno la nostra Penisola, e porteranno la vita, l’industria e la ricchezza in tutte le parli del nostro paese? Io credo, o signori, che lo sviluppo della pubblica ricchezza sarà meraviglioso; credo che l’incentivo degli industriali stranieri a venire ad impiantare fra noi non questa o quella industria qualunque, ma quelle industrie che possono allignare, e debbono prosperare nel nostro paese, sarà immenso; e che quello che è accaduto finora in una proporzione di dieci, accadrà in quella di mille, quando quest’incentivo farà si che in tutta Italia, la quale ha tanta varietà di condizioni locali, si potrà stabilire quello che finora non si poteva nei piccoli confini del Piemonte o della Toscana. (Bene! Bravo!)

Ora, o signori, io credo che per ciò fare non bisogna avere queste meschine diffidenze, e considerare gli stranieri che vengono qui a portarci i frutti del loro lavoro, i frutti di una prosperità nazionale che hanno dovuto a Governi migliori di quelli che abbiamo avuto noi, non bisogna guardarli con diffidenza o considerarli come nemici, non bisogna considerarli come arpìe che vengono a dissanguarci, dobbiamo considerarli come benefico cibo che viene a nutrire il nostro paese, che viene ad aumentare la nostra ricchezza, ad aumentare le nostre forze, la nostra prosperità, la nostra educazione. (Benissimo!)

Quando eravamo piccoli e meschini, quando non potevamo nulla fare da noi, allora, o signori, anch’io qualche volta, lo confesso, mi sono abbandonato al vezzo di fare della poesia nazionale, di dire: noi Italiani bastiamo a noi stessi, e di riposarmi sugli allori dei nostri padri, di Dante, di Galileo, di Leonardo da Vinci; ma oggi, o signori, noi non dobbiamo  né abbandonare  né dimenticare le tradizioni di questi grandi; dobbiamo andar superbi di esserne discendenti; ma dobbiamo dire una cosa sola, che, se questi seppero nei loro tempi far tanto malgrado le molte difficoltà pel bene della loro patria, noi dobbiamo oggi imitarli, con far tuttto quello che possiamo, ed accettare, da qualunque parte ci vengano, gli aiuti delle nazioni sorelle.

L’Italia è venuta a fare una rivoluzione in Europa, ma non una rivoluzione che distrugge, bensì una rivoluzione che edifica. L’Italia ebbe il merito delle teorie che per noi sono antiche, essendo sorte in Italia quando il servaggio ci impediva di applicarle; oggi che gli ostacoli sono caduti ed è giunto il momento di applicarle, dobbiamo noi ripudiarle?

Quali sono queste teorie?

Sono forse teorie di esclusivismo, sono forse teorie di limitazione alla potenza dell’umano sapere?

Niente affatto; queste teorie c’insegnano a distruggere le difficoltà che vi fossero alla libera circolazione dell’intelligenza, del capitale e del lavoro. (Bravo!) Noi non dobbiamo oggi rinnegare quelle teorie;. noi abbiamo avuto chi le ha rinnegate, e noi abbiamo avuto chi ha largamente applicato altri principii che oggi taluno dei nostri onorevoli contraddittori, certo senza intenzioni maligne, vorrebbe che noi applicassimo; questo qualcheduno, che sarebbe, secondo quei principii, l’italianissimo degli Italiani, sarebbe re Ferdinando II di Napoli.

Egli, o signori, ha circondato il suo paese di una muraglia come la China; egli ha messo nelle concessioni delle sue strade ferrate delle esclusioni di stranieri; egli ha avuto una costante diffidenza verso tutti quelli che sono venuti a portare i loro lavori ed i loro capitali nell’exregno di Napoli; egli ha istituito uno stabilimento a Pietrarsa, dove ha preteso di fare tutto quello che è possibile di fare in materia di industrie; egli, o signori, in certo modo ha preteso di seguire l’esempio della China, circondando il suo paese di una muraglia morale, che era peggiore della muraglia che divideva il celeste impero dal resto del mondo. Ebbene, o signori, voi ne avete veduto il risultato. Noi dobbiamo distruggere quello che ha fatto Ferdinando II; noi dobbiamo riparare ai mali che egli ha prodotto (Bene!) e ciò dobbiamo fare applicando il principio vivificatore della libertà, senza reticenze, senza meschini timori che ci si venga a togliere quello che disgraziatamente noi non abbiamo, diciamolo pure schiettamente; poiché, se non l’abbiamo, non è colpa nostra, troppo avendo fatto la nazione italiana mentre era così mal governata, e furono soltanto i Governi che ci tennero sotto il loro giogo, che ci hanno impedito d’averlo. (Vivi segni d’approvazione)

Venendo all’applicazione di questo principio, io mi permetterò di far osservare all’onorevole deputato Susani come egli che teme la riunione dei capitalisti e dei costruttori si trovi precisamente confutato dall’onorevole Levi, altro dei miei contraddittori; imperocché l’onorevole Levi vi diceva che, se questi signori non guadagneranno come capitalisti, guadagneranno come costruttori. E ben diceva l’onorevole Levi: questo che a lui dispiace, perché naturalmente siamo in un campo diverso di principii, piace a me perché è il fondamento del sistema che ho l’onore di proporre alla Camera. Che dispiaccia all’onorevole Susani che è d’accordo con me nei principii, questa è una cosa che non saprei intendere senza la spiegazione che ho avuto l’onore di dare poco fa. E perché piace a me? Per una ragione semplicissima, perché basta esaminare la convenzione Talabot per avere subito un’impressione singolare, ed è quella di dire: ma se il signor Talabot

venisse ad offrirci di entrare in quest’affare, egli chiederebbe cento lire e ci darebbe la garanzia di lire sei di rendita; noi abbiamo gran fede nell’avvenire di questa strada, ma, a dir la verità, quando con 70 o 71 lire io posso comprare cinque lire di rendita, non vado a spenderne cento per averne sei. Quindi subito si dice: qui sotto c’è una trappola, ed il signor Talabot viene qui per mangiarci quelle male spese che potrebbe fare, ed ha già l’animo deliberato di ritirarsi prima che spiri l’anno.

Ed io l’intendo perfettamente questo; è un ragionamento che trovo naturale. Ma quand’è che questo si spiega? Si spiega appunto quando si esamina la riunione dei capitalisti e dei costruttori; imperocché, come diceva benissimo l'onorevole Levi, se perderanno come capitalisti guadagneranno come costruttori. Ed io aggiungo che, se non guadagnano come costruttori, guadagnano come capitalisti. E perché questo fenomeno?Per questa ragione semplicissima: perché nei momenti di crisi accade che naturalmente l’interesse del danaro è alto, l’industria si rallenta, le officine diminuiscono il loro lavoro. Quelli che hanno dei grandi capitali impiegati nelle officine o nelle intraprese di grandi costruzioni, che hanno un gran personale ed un gran materiale a loro disposizione, cose tutte che rendono niente, che anzi restano a carico se non lavorano, evidentemente si trovano in quei momenti in grandi imbarazzi. Allora costoro devono cercare di lavorare, e di lavorare per il minimo guadagno, qualche volta anche a perdita, pur di non chiudere le fabbriche.

Questo è quello che vi spiega come in Francia, dopo la crisi del 18à8, si poterono ultimare tante strade ferrate che da molto tempo non erano ultimate. Egli è appunto perché a finirle mancava il materiale fisso e mobile; ed allora i costruttori si contentarono di prendere delle azioni al di sotto del corso, perché era di loro convenienza far lavorare le fabbriche in un momento nel quale l’esito mancava. In tal modo essi poterono aspettare che il credito fosse in miglior condizione, ed allora vendettero le azioni che avevano comprate a basso prezzo, e le vendettero facendovi dei vistosi guadagni.

Signori, se ciò che accadde in Francia in momenti così critici, come quelli che tennero dietro alla rivoluzione del 1848, potesse accadere anche fra noi, io non ne sarei punto spiacente; e mi pare che la combinazione, sulla quale è fondato il contralto attuale, sia precisamente di questo genere.

Senza queste considerazioni è evidente che non sarebbe spiegabile.

Ora, se. si viene ad imbarazzare il guadagno di questi costruttori, ma è meglio dire schiettamente: noi non vogliamo fare la ferrovia. Perché l’affare è basato su questo; non vi faccio misteri. D’altronde, tutti quelli fra voi che sono pratici di queste faccende sono certo che avevano subito veduta la cosa senza bisogno di queste mie osservazioni, le quali probabilmente sono superflue, ma che pure non ho voluto tacere di fronte alle opposizioni dell’onorevole Susani.

Questa parrai ancora che sia la principale di tutte le garanzie, perché della facoltà che è data ai concessionari dall’art. 15, questi non debbono, a meno di circostanze eccezionali, valersi; imperocché è evidente che uomini come sono Talabot, Salamanca, ecc. , pei quali io nutro, al pari di tutti quelli che hanno parlato prò e contro questo progetto, moltissima considerazione, è evidente che io non vado fino al punto di crederli dei Bernardini da Feltre, che vadano a girare il mondo per impiantare delle istituzioni utili, che vengano qui in Italia a farci delle strade ferrate per spirito di carità; io credo che vengano a costruircele perché sperano di guadagnare del danaro. In questo siamo tutti d’accordo.

Ora, a dir vero, che questi signori vogliano mettersi in un affare come quello di cui si tratta, vogliano impegnarsi a costituire una società, cominciare a spendere molti danari in questa costruzione, giacché quelli che hanno già speso mi sono garanti di quelli che vanno immediatamente a spenderci, che vogliano mettersi in un affare simile, e senza un motivo plausibile, ragionevole, impellente e straordinario si debbano poi ritirare unicamente per fare quella meschina speculazione di rubacchiarci un milione o due, in verità, o signori, io non lo posso credere. 8e si trattasse unicamente di fiducia nelle persone, quantunque in materia di credito quella sia moltissimo, pur nonostante io non mi ci arresterei; ma qui si tratta di fiducia nell’interesse di quest’operazione, imperocché l’Italia e le strade ferrate italiane, quando siano spinte molto innanzi, saranno un mercato da non disprezzare, e credo che questi signori saranno ben lieti di assicurare ai prodotti delle loro fabbriche, della loro industria, un esito quale sarà quello offerto dalle strade ferrate italiane, l’esito che procaccia un gran mercato quale sarà fra qualche anno l’Italia.

Quindi io credo che questa garanzia sia sufficiente, e la credo molto migliore che quelle garanzie che consistono in depositi di somme, imperocché garanzie di tal fatta io pure le ho volute, quando rispetto a certe persone, le quali non avevano avuta occasione di mostrare la loro capacità e la loro solidità, non mi pareva vi fossero bastanti argomenti da dovermi fidare ciecamente in loro e nel loro credito personale.

Ma in questo caso io credo di potermi fidare e nel credito personale e nell’interesse che hanno a non fare, come suol dirsi, un fiasco, perché certamente vi scapiterebbero moltissimo la loro riputazione e il loro credito. E quando soprattutto ho veduto che a fare li spinge il loro interesse, e dal non fare li trattiene il non interesse, allora ho creduto che dovesse far parte del sistema generale quello d’immobilizzare la minor quantità possibile di capitale, e di ricercare piuttosto la costituzione di una garanzia utile nell’esecuzione degli studi e dei lavori.

Questa scarsezza di garanzia forma dunque parte di tutto il sistema, ed a me pare giustificata da questi argomenti che ora aveva l’onore di esporre alla Camera. Ma dirò di più: non è poi una cosa tanto nuova quella di un tempo dato ai concessionari a costituire una società.

Moltissime sono le concessioni che potrei citarvi ad esempio. Solamente si dice in generale: noi vi diamo tempo a costituire una società; ma, se non la costituite dentro questo tempo, voi perderete una somma che avete intanto depositata; peraltro in cotesto sistema i concessionari non sono obbligati ad eseguire lavori, si occupano di studi, di costituire la società e di raccogliere i capitali; se non arrivano a questo, perdono le loro ragioni ed il loro deposito. In tempi ordinari sta benissimo questo sistema, va perfettamente; ma qui, signori, non bisognava perdere neppure un giorno, e questo è quello che sentì egregiamente l’illustre conte di Cavour, al quale poco fa l’onorevole Susani faceva allusione. Questo contratto, o signori, che oggi io ho l’onore di difendere, non ho avuta la sorte d’immaginario io, ne sarei lieto, ma il merito è tutto del conte Cavour, imperocché fu il conte di Cavour il quale, colla convenzione del 3 febbraio del corrente anno, pattuì che i signori Talabot e compagnia s’impegnassero a spendere 10 milioni di lire nel corso d’un anno nelle strade ferrate napoletane, e per parte del Governo prese impegno di modificare le condizioni del contralto del 21 agosto 1860, conformemente alle concessioni ed ai capitolati delle strade lombarde.

Il conte di Cavour, con quell’acume che lo caratterizzava, vide perfettamente in germe quanto fosse necessario, quanto fosse urgente di attivare immediatamente i lavori e di far spendere delle somme; naturalmente egli non mise che un germe, mise 10 milioni; ma l’idea era, secondo me, savissima, era degna di quel grande uomo che noi piangiamo.

Venuto al Ministero pei lavori pubblici, io dovetti sviluppare questo germe che il conte di Cavour aveva messo nella convenzione del tre febbraio, c procedendo innanzi sul terreno pratico sul quale si era posto il conte di Cavour, io vidi che sarebbe stata inefficace la stipulazione di 10 milioni, e che bisognava, non già spendere 10 milioni, ma spenderne almeno 100. Quindi io pregai l’onorevole Ranco di portarsi a Napoli, e di riferirmi in qual tempo, il più breve possibile, fosse dato di andare a Napoli col mezzo di strade ferrate e colla minor possibile interruzione; e quell’abile ingegnere, tanto esperto nella costruzione di ferrovie, mi scriveva creder egli di potere in 18 mesi congiungere Torino a Napoli, a patto di prendere la traversata da Foggia ad Eboli, con le interruzioni necessarie per il varco degli Apennini. Quantunque questa linea fosse più lunga, ed esigesse in conseguenza una maggiore erogazione di capitale e un maggior tempo per percorrerla, non esitai a sceglierla, siccome quella che, essendo già studiata, permetteva di metter mano quasi subito all’opera, laddove sapeva quanto tempo si perde negli studi e nell’esame degli studi stessi, quando si tratta di varchi appenninici non ancora determinali. Ne avevo fatta l’esperienza in altre parti d’Italia, e l’esperienza, ne sono certo, avrebbe dato lo stesso risultalo nella strada per Napoli. Inoltre io considerava che il traversare per Foggia, piuttosto che per un altro varco più prossimo all’Italia centrale e superiore, avrebbe avuto un altro vantaggio, quello di portarci immediatamente più basso verso le provincie dell’Italia meridionale, e quindi di far partecipe del benefizio della strada ferrata un maggior numero di provincie.

Ma, signori, se il conte di Cavour era riuscito ad obbligare i concessionari a spendere dieci milioni entro un anno, lasciando loro, durante questo periodo, la facoltà che è stabilita all’articolo 15 della presente convenzione, era chiaro che a me doveva riuscire molto più difficile di far spendere una somma, che io calcolo di 100 a 110 milioni. Questi signori mi dicevano: fateci fare le strade nelle condizioni in cui si sogliono fare; fateci fare quel numero di chilometri all’anno, che eseguiscono in generale i costruttori di strade ferrate, e noi prenderemo quest’impegno; ma che voi vogliate che tutta la rete sia finita in cinque anni, anziché in dieci, e che vogliate che in diciotto mesi noi vi facciamo quasi cinquecento chilometri di strade ferrate, alcune delle quali in condizioni difficilissime, in località mancanti di mezzi ordinari di comunicazione, mancanti d’operai abituali ai grandi lavori, mancanti insomma di ogni maniera d’aiuti; a questi patti, dicevano essi, non possiamo accettare le vostre proposizioni. Allora fu che noi prendemmo quel sistema che era stato adottato con tanta utilità in molli altri paesi, e segnatamente in Francia, solamente riducendo la sovvenzione in anticipazione, lo che mi parve che fosse un benefizio.

Dirò poi che essi avrebbero ben volentieri costrutto anche la strada da Ancona al Tronto; ma, nell’intendimento sempre di diminuire gli ostacoli al far presto, ho creduto di applicare in parte il principio della divisione del lavoro e di costrurre quell’ultimo tronco per conto dello Stato, dandolo poi come parte di anticipazione alla società, perché, movendo esso da Ancona, dove teniamo un commissario ed un personale piuttosto numeroso già richiesto per altre strade, quelle di Roma ad Ancona e di Bologna ad Ancona, mi parve che non riuscisse difficile di sorvegliare l’esecuzione anche del tronco da Ancona al Tronto, il quale, del resto, non presenta in generale gravi difficoltà, ad eccezione di un tunnel.

Questa è la genesi della convenzione presente; queste, che colla massima semplicità vi esposi, sono le ragioni perle quali il Governo ha creduto di doverla sottoscrivere; questi i motivi per i quali il Governo, senza portarsi verso di voi garante che l’eventualità prevista dall’articolo 15 non sia per verificarsi, tuttavia ha molto fondamento di credere che veramente non si verificherà salvo circostanze eccezionali c straordinarie È poi da osservarsi che tutti gli oratori hanno ragionato come se il beneplacito dei concessionari bastasse per sciogliere a loro profitto la concessione; ma questo non è. Infatti l’articolo 15 dice:

«È accordato ai concessionari il termine di un anno per costituire nelle forme prescritte dalle leggi una società anonima che assuma gli obblighi e i fritti della presente concessione. Nel caso in cui, durante il suddetto termine, le circostanze politiche o finanziarie fossero tali da rendere impossibile la costituzione di una società anonima, potranno i concessionari rinunziare alla presente concessione. »

Essendo tutte le contestazioni fra i concessionari ed il Governo sottoposte al giudizio di arbitri, è evidente che, qualora i concessionari stessi intendessero di usare intempestivamente di questa facoltà, sarà il caso di un giudizio arbitramentale.

Del resto, o signori, saremo noi, a quell’epoca, qualora anche questa eventualità accada, nella condizione stessa in cui ci troviamo ora?

Certo che no; imperocché noi avremo intanto gli studi fatti, i lavori iniziati e spinti abbastanza innanzi, giacché, colle anticipazioni che dobbiamo dare ai concessionari a mano a mano che hanno fatto una determinala quantità di lavoro, noi li obblighiamo a spingere innanzi l’opera.

Di più la Commissione ha provvidamente proposto di aggiungere una garanzia, secondo me, efficacissima.

Quindi, signori, noi ci troveremo sempre in molto miglior condizione di quella in cui ci troviamo ora.

Del resto, le circostanze critiche le quali potrebbero sopravvenire, e tali da rendere impossibile la costituzione di una società, siete voi certi, o signori, che, se sopravvenissero queste condizioni tanto eccezionali, quell’ intraprenditore a cui fosse stato dato l’appalto, quel fornitore con cui aveste fatto il contralto di fornitura, il tesoro stesso, il quale forse potrebbe in quell’occasione fare un uso molto più direttamente profittevole alla nazione e molto più urgente de’suoi denari, fornirebbero tutto quanto il necessario per la prosecuzione dell’impresa?

Io, a dir vero, mi permetto, anche a questo proposito, di dubitare.

PRESIDENTE. Se il signor ministro vuol riposare, la seduta sarà sospesa per cinque minuti.

(La seduta è sospesa. )

PERUZZI, ministro dei lavori pubblici. La Francia, signori, che è stata citata da alcuni dei miei onorevoli contraddittori, ci offre, oltre l’esempio ch’io adduceva testé, un altro esempio, e mentre quello io proponeva siccome esempio da ammettere, l’altro che sto per addurre mi pare esempio che noi dobbiamo studiarci di non imitare. In Francia le prime strade ferrate furono fatte nel 1825; nel 1835 fu presentata una prima legge di strade ferrate, nel 1857 un’altra, ed una simile nel 1838. Si discusse lungamente sopra i sistemi da adottare; chi ne sosteneva uno, chi ne sosteneva un altro, e chi un terzo promiscuo, come facciamo noi tutte le volte che si presenta un progetto di ferrovia; imperocché ricordo d’aver udito le stesse discussioni quando l’anno scorso si deliberava sul progetto delle strade lombarde; le stesse discussioni si ripeterono a proposito delle ferrovie liguri, si rinnovarono poco fa in occasione delle aretine, e sono risorte in questa che stiamo esaminando. In verità i discorsi non sono stati diversi; gli argomenti, com’è ben naturale, sono stati press’a poco uguali.

Per buona sorte il nostro Parlamento composto d’italiani, i quali hanno un pregio, secondo me singolarissimo, d’avere molto più senso pratico di quello che abbiano altre nazioni, il nostro Parlamento, dopo aver lasciato libero campo a tali discussioni, le quali è bene sempre che sieno fatte, si è pronunciato per il sistema che gli era proposto. Invece il Parlamento francese rigettò i disegni di legge statigli presentati, e adottò sistemi misti, come quelli che da taluno dei nostri contraddittori ci vengono proposti, ad effetto di cominciare le strade per conto dello Stato, per poi concederle a tempo opportuno a società private. A dir vero il risultato non è stato punto incoraggiante. Dirò anzi che è opinione di molli, ed anche opinione mia, io confesso, che questo modo nel quale il Parlamento francese ha trattato le questioni che conducevano direttamente o indirettamente all’applicazione dei principi! della scienza economica, sia allo sviluppo delle industrie, sia alla riforma di quei regolamenti e di quelle leggi economiche che potevano esercitare un benefico influsso sopra Io svolgimento della ricchezza nazionale, sia stato uno dei grandi argomenti dei quali si sono valsi coloro che per vari anni seppero gittare in discredito quasi generalmente in Francia il sistema parlamentare.

Io che per parte mia feci di questo sistema l’aspirazione di tutta la mia vita, siccome lo fu di tutti i nostri colleghi; io che, oltre allo sviluppo della ricchezza nazionale, tengo principalmente allo sviluppamelo e consolidamento del sistema parlamentare; io, per la parte mia, vedo sempre con immensa gioia che il Parlamento, il quale, dopo di avere pacatamente, e con una tolleranza che l’onora, lasciato svolgere quegli argomenti che dai deputati contrari alle opinioni della maggioranza sono esposti, finisce per prendere il suo partito pratico, adottando una deliberazione, la quale può essere immediatamente seguita da un risultato benefico per la nazione. Io non dubito che voi farete lo stesso di questa legge che ebbi l’onore di sottoporvi; io non ho la pretensione di avervi presentato una legge perfetta; probabilmente altri espedienti vi sarebbero stati per raggiungere forse in miglior modo lo scopo, ma non mi fu dato di rinvenirli; in questo che io ho scelto ebbi la fortuna di aver consenziente l’illustre capo del Gabinetto, il quale, come vi diceva, aprì la via in cui io mi sono spinto più innanzi con fiducia, e nella quale ho invitato il Parlamento a seguirmi. Questo progetto è stato ora liberamente ed ampiamente discusso dai miei onorevoli contraddittori, i quali hanno cercato, come era da attendersi, di presentarlo sotto il peggiore aspetto possibile, ed è naturalissimo che chi lo avversa si studi di scoprirne tutte le parti deboli, di scoprirle sino al vivo, ed anche più in là.

Si è detto, per esempio, che lo Stato anticipa 50 milioni, e con quella da Ancona al Tronto 40 milioni, e che la società non dà altro che 50 miserabili milioni.

A dir vero, capisco che si è presa una gran confidenza coi milioni, ma che 50 milioni, provveduti in meno di 18 mesi, si possano chiamare una miseria, io ne faccio i miei complimenti all’onorevole mio contraddittore. (Ilarità) Io, per mia parte, vorrei essere miserabile con cinquanta milioni.

Questi 40 milioni che noi anticipiamo non vogliono essere paragonati ai 60 o 70 milioni, che debbono in poco più di un anno spendere i concessionari (ed il paragone sarebbe già abbastanza importante), ma bisogna paragonarli a tutto l’insieme della spesa che dovrà essere fatta, la quale spesa, per una rete che avrà circa 1200 chilometri, sarà, secondo i calcoli fatti anche dagli onorevoli miei avversari, di circa 300 milioni.

Ora, se noi anticipiamo questi 40 milioni, li anticipiamo noi per tutta la durata del periodo assegnato alla costruzione? No. Appena costituita la società, cominciano a decorrere i termini per la loro restituzione, la quale deve essere fatta in trenta mesi. E questa restituzione deve essere fatta coll’interesse del 6 per 00.

A questo proposito si è detto che l’interesse dei 30 milioni costerà assai di più allo Stato. Egli è vero; ma, o signori, dacché si è stabilito che, nel caso eventuale di non costituzione della società, lo Stato debba restituire ai concessionari i capitali impiegati col solo interesse del 6 per 00, era naturale che reciprocamente lo Stato non imponesse ai concessionari altro interesse che quello del 6 per 00. E se noi paragoniamo questo nostro sacrifizio, il quale non è fatto per dar vita all’impresa, ma unicamente perché essa possa costruire quasi 500 chilometri di strada ferrata nello spazio di 18 mesi, se noi lo paragoniamo alle sovvenzioni che hanno dato altri Governi, e segnatamente il Governo francese che si voleva prendere a modello, noi troveremo il sacrifizio ben lieve.

In Francia nel 1823, come diceva, furono cominciate le strade ferrate. Nel 1838 non ve ne erano che 175 chilometri; nel 1842, 564; nel 1848, 1821; nel 1852, 3541; quindi in quell’anno ne furono concessi 2965 chilometri; nel 1853, 1857; nel 1854, 581; nel 1855, 2193; nel 1857, 2596; e cosi dal 1852 a tutto il 1857 le concessioni ascesero a 9992 chilometri.

Come vedono, si è di molto aumentata in pochi anni questa rete di strade ferrate francesi; ma che cosa è questo grande aumento ad un tratto nello spazio di soli sei anni in confronto della stagnazione di questa industria dal 1823 al 1851, nel mentre che l’Inghilterra avea già 4000 chilometri di strade ferrate, ed altri paesi ne aveanopiùche la Francia?

La ragione, almeno secondo me, si è questa, che il Governo francese non avea mai adottato un sistema razionale, un sistema largo nella concessione delle strade ferrate; avea proceduto con quello spirito di diffidenza verso l’industria privata e verso gli speculatori, che era pur troppo la regola di condotta di quel Governo nelle questioni economiche, e che taluno vorrebbe far seguire anche a noi.

Allora sino al 1852 erasi praticalo il sistema delle aggiudicazioni, od altri sistemi analoghi a quello che si vorrebbe introdurre, e si era andati a tasto, ora facendole, mediante una piccola garanzia, ora costruendole a spese dello Stato, e dandole in seguito alle società private quando non mancava altro che l’armamento, secondo la legge del 1842.

Quando nel 1852 l’imperatore Napoleone III vide che conveniva innanzi tutto sviluppare l’industria e la ricchezza nazionale, egli cominciò a fare due cose: a prendere decisamente un sistema di concessioni di strade ferrate, a largheggiare verso le società, e costituirle in condizioni tali da poter pròsperare, da poter dare a quelli che impiegavano in tali intraprese i loro capitali un interesse superiore a quello del corso del danaro in piazza. Per far ciò egli riunì in poche le molte imprese di strade ferrate, che allora in numero di circa sessanta esercitavano la rete ferroviaria francese, e fece delle nuove larghezze dando molte sovvenzioni, ed a talune società anche garantendo gl'interessi.

Nel 1837 le società delle strade francesi erano in questa condizione, che le società avevano speso due miliardi e 900 milioni, e lo Stato aveva dato una sovvenzione di 756 milioni e 300,000 lire, di cui una piccolissima porzione, otto milioni, rimborsabile. Si aveva quindi una proporzione di quattro quinti spesi dalle società, e di un quinto speso dallo Stato. Noi diamo a questa società assolutamente nulla, imperocché non le diamo altro che la concessione e la garanzia dell’interesse, ma quanto a sovvenzione non diamo altro che quella differenza che ci può essere fra l’interesse del sei per cento ed il corso della rendita, ed anche questa la diamo in compenso, in corrispettivo d’un obbligo che la società stessa ha verso di noi.

Quanto alla garanzia degl’interessi c naturale che non se ne possa fare a meno, e su questo tutti vanno d’accordo generalmente, meno quelli i quali avversano il sistema delle concessioni all’industria privata. In Francia furono attivati nel 1832 518 chilometri; nel 1853, 191; nel 1854, 590; nel 1855, 890; nel 1856, 665; nel 1857,1265: in tutto, in sei anni,3917, cioè circa 650 chilometri all’anno. Ora, in seguito alle concessioni già fatte, e di quelle di cui propongo alla Camera l’approvazione, le condizioni delle nostre strade ferrate saranno le seguenti.

Abbiamo 1757 chilometri di strade ferrate in esercizio. Nello spazio di due anni ne saranno attivati circa 1500 chilometri, e nello spazio di altri tre anni circa altri 2560 chilometri, meno la strada calabro-sicula, per la cui costruzione non è determinato il tempo; talché entro un quinquennio noi avremo 5817 chilometri di strade ferrate.

Io prego la Camera di notare qui, che in meno di due anni avremo circa 1500 chilometri di strade in esercizio fra quelle già costrutte e quelle le cui convenzioni furono presentate al Parlamento; cioè poco meno di quello che la Francia, dopo il grande sviluppo dato alle concessioni nel 1852, costruì in quattro anni, poiché essa in quel tempo non potè compiere che 1900 chilometri di strade ferrate.

Di più queste strade ferrate noi le costruiremo in condizioni evidentemente molto più difficili di quelle in cui si trovava la Francia, perché la Francia era mia nazione molto più antica nel concerto europeo di quello che non siamo noi, e perché la Francia era un paese largamente dotato in tutto il territorio di ogni mezzo di comunicazione, e di ogni mezzo atto a sviluppare la ricchezza e ad agevolare i lavori; laddove noi dobbiamo costrurre la maggior parte di queste strade ferrate in paesi i quali finora furono diseredati di ogni genere di migliorìe in queste materie, e dove in conseguenza sono molto più difficili i lavori di questa specie.

E in questo proposito, io sono lieto, o signori, di assicurare alla Camera, come i concessionari abbiano giustificato ampiamente la fiducia che il Governo aveva in loro riposta; imperocché già sono pronti gli studi per metter mano alla linea sopra 520 chilometri; i lavori della stazione di Napoli sono incominciati, e ci sono stati impiegati finora in media da quattro a cinque cento lavoranti al giorno; di più gli accolli sono stati fatti; e, se la Camera me lo permette, le darò lettura della ripartizione delle linee, secondo i diversi lotti ai varii intraprenditori.

«Il lotto da San Benedetto del Tronto a Sangro è stato dato a degli intraprenditori lombardi (quelli che hanno fatto una confidenza all’onorevole Susani (Si ride), sulla quale ritornerò fra breve); il secondo lotto, da Sangro a Foggia, a degli intraprenditori modenesi; il terzo lotto, da Foggia al sotterraneo di Conza, compresavi una strada rotabile per attraversare l’Apennino durante i lavori della galleria, ad una società d’intraprenditori napolitani; il quarto lotto, sotterraneo, a degli intraprenditori piemontesi; il quinto lotto, dal sotterraneo ad Eboli, ad una società d’intraprendìtori napolitani; il sesto lotto, da Salerno ad Eboli, ad una società mista di questi vari intraprenditori; il settimo lotto, e la stazione centrale di Napoli, ad un’altra società napolitana. »

Di più il direttore di quei lavori, nel darmi queste notizie, mi aggiungeva che, quanto al suo personale, egli cerca di fare tutto ciò che può per reclutarlo fra i Napolitani, per quanto lo permetta la poca pratica che essi hanno dei grandi lavori di strade ferrate condotti con rapidità; ma sperava che a poco a poco arriverà a non conservare intorno a sè che un numero ristrettissimo di agenti venuti dall’estero.

Ma, e come mai, mi si dirà, questa concordia fra questo straniero e quelli i quali vogliono lo sviluppo dei lavori nazionali? Per una ragione semplicissima, perché ci trova il suo tornaconto; perché tutte le volte che si trovano sul luogo delle persone capaci, queste servono assai meglio, perché conoscono le località, gli usi, le abitudini, le leggi, i regolamenti del paese, e perché, generalmente, costano assai meno.

Per esempio, quando si fanno venire macchinisti dall’estero, essi costano il triplo ed anche il quadruplo; tanto che, tutte le società straniere, che sono venute tra noi, hanno finito a poco a poco per prendere dei macchinisti italiani, i quali sono egualmente abili e conoscono meglio il paese, reggono alla temperatura più di altri abituati a temperature diverse, e poi costano meno. Perché, davvero, bisognerebbe avere un’avversione sistematica all’Italia per sentire questo stimolo, contro i propri interessi, di preferire gli stranieri agl’italiani, quando, prendendo questi, si trova il proprio tornaconto. E questo tornaconto esiste sempre tutte le volte che si trovano nel paese uomini capaci ad esercitare un determinato ufficio.

Quanto poi a quella calcina ed a quei mattoni intorno ai quali l’onorevole Susani credette di trattenere la Camera, quantunque invero sia più cosa da Consiglio tecnico, che da Camera di rappresentanti, pur tuttavia l’accusa è troppo viva, perché non mi si debba permettere di giustificarla, e tanto più "domando questa giustificazione, in quanto il colpevole in quest’affare sono precisamente io.     '

Me ne confesso, ed ecco perché mi resi colpevole.

Io non mi sono contentato di stipulare un contratto, ma ho voluto trovare ed assicurare i modi di eseguirlo; giacché, per fare un contratto, poco ci voleva; l’essenziale era di assicurarmi che effettivamente fosse eseguito, e fosse specialmente eseguito nel termine voluto, perché, di questo mi preoccupo forse esageratamente, ma mi pare che, se noi possiamo arrivare ad unire Napoli all’Italia superiore in diciotto mesi, abbiamo fatto una cosa della più grande utilità per la nazione. In conseguenza confesso che di ciò mi sono preoccupato immensamente.

Ora io osservava, per una certa pratica che ho in queste faccende, osservava, dico, come fosse difficile di cominciare subito i lavori, senz’aver materiali, senza mattoni, senza calcina. Da noi queste difficoltà non ci sono, perché in tutte le parti del nostro paese è tale il consumo dei mattoni, della calcina, dei materiali, che dappertutto sorgono di queste industrie, come accade sempre che là, dove v’è il consumo, v’è la produzione, v’è il commercio che soddisfa ai bisogni dei consumatori. Là, dove non v’erano costruzioni, era naturalissimo che non vi fossero fornaci, od almeno non ci fossero in

quella quantità necessaria per attivare un gran numero di

lavori in poco tempo.

Per istabilire una fornace ci vuol tempo; per costrurla bi

sogna ricercare le terre adattate a fare i mattoni; bisogna

ricercare i boschi dove procacciare il legno; bisogna fare

delle strade per trasportare questo legno. Mi scusi la Camera

se entro in questi dettagli, ma è unicamente osservando la

pratica che si può emettere un giudizio.

Mi domandarono questi intraprenditori, specialmente il si

gnor Tatti, d’accordo col direttore, come si poteva fare e se

si potevano trasportare materiali da quelle grandi fornaci,

ch’essi avevano costrutte vicino all’Adriatico, dalla parte di

Venezia, per costrurre le grandi strade ferrate che ora hanno

compiute appunto questi signori Gonzalez e Tatti; io dissi

che, se avessero speso qualche cosa di più, ne sarebbe tenuto

conto; che cercassero sì di costrurre delle fornaci nel paese,

ma che intanto non si sospendessero i lavori per questo;

e quindi furono dati gli ordini alla dogana, perché lasciasse

sbarcare al porto di Pescara questi materiali che venivano

da Venezia. Egli è chiaro che costano di più, non per altro in

quelle proporzioni nelle quali l’onorevole Susani ha esposto.

Io confesso la verità che, quando sono a scegliere fra il

non cominciare subito i lavori ed il pagar più caro, sotto la

mia responsabilità, preferisco di pagare più caro, e son certissimo che la Camera mi darebbe sempre la sua sanzione.

Ma in questo caso non ci è neppure gran perdita, perché

il prezzo della calcina è di 57 o 58 franchi la tonnellata a Pescara, ed a Venezia è circa 7 od 8 franchi a più buon mercato;

i mattoni costano circa HO franchi il migliaio invece che 22.

Questa è la confessione che io ho creduto di fare, e dichiaro

che, quantunque abbia dovuto fare queste confessione alla

Camera, non mi pento d’aver dato l’autorizzazione.

Il far presto, o signori, è d’un’utilità, d’una necessità che

mi pare evidente, e credo che, quand’anche si guadagnasse

una settimana, sarebbe sempre un guadagno che bisognerebbe pagare quanto occorre, non però mai al di là.

Il far presto costa, ma giova ancora.

Farò solo alcune osservazioni: per esempio, abbiamo do

vuto far venire molte truppe da Napoli ultimamente, queste

truppe hanno impiegalo da Napoli a Bologna 40 giorni, e sono

arrivate, come accade, stanche, lacere, sudicie, ecc.; in

istrada ferrata da Napoli a Bologna, essendoci circa 800 chilometri, anche con una velocità moderatissima, andrebbero

in 24 ore; e quando si dovessero fermare per il rancio e per

riposare, in due giorni, cioè in due volte 12 ore.

Vede la Camera quanto sarebbe il vantaggio anche economico di questi trasporti, e come noi potremmo con un’istessa

quantità di truppe avere un effetto immensamente maggiore,

non dico  né quadruplo  né quintuplo, ma molto di più, imperocché noi saremmo certi che contro qualunque attacco, con

tro qualunque eventualità contraria al nostro essere nazionale, che potesse venire da qualsivoglia parte, noi avremmo

un rimedio pronto, avremmo un dato numero di truppe da

mandar là dove il bisogno lo richiedesse.

Quanto poi alle conseguenze economiche non ho bisogno di

dimostrarle alla Camera. La Camera rammenta un magnifico

discorso che l’illustre conte Di Cavour fece in quest’aula in

risposta ad un deputato che attaccava il sistema delle grandi

anticipazioni che si erano fatte in Piemonte per sviluppare in ogni maniera la ricchezza nazionale; in quel discorso troverete, o signori, tutti gli elementi per giudicare dell’immenso vantaggio che viene dalle strade ferrate ai consumatori, e la classe dei consumatori è quella che dobbiamo aver di mira, imperocché da questi vantaggi, da questi risparmi di cui fruiranno i consumatori, da questa agevolezza di commercio, da questa facilità di vendere i prodotti del paese, nascerà la possibilità di imporre maggiormente quelle provincie, le quali la natura ha dotate in tale dose di ricchezza nel suolo e di iintelligenza negli uomini, da poter divenire il giardino del nostro paese e la fonte più produttiva della nostra prosperità nazionale.

Ebbene, o signori, il ministro delle finanze ve lo diceva, io credo, l’altro ieri, che bisogna affrettarlo molto il giorno nel quale potremo estendere le imposte a queste provincie; imperocché le imposte bisogna estenderle in una larga misura ma non con una mano la quale voglia la pubblica ricchezza isterilire, ma che vuole far sì che il cittadino divenuto facoltoso lasci una parte della sua rendita a beneficio dell’intiera nazione.

Se vogliamo veramente ristabilire l'equilibrio tra le entrate e le spese, bisogna estendere le imposte ed aggravar molto la mano, ma aggravarla quando sapremo che sotto la nostra mano troveremo una pianta rigogliosa che potrà darci i frutti che nell’ interesse generale le chiediamo. (Bravo!)

L’onorevole Susani faceva ieri un’allusione che fu già ribattuta dall’onorevole Poerio, ma che io non posso lasciare senza risposta, imperocché io non avrei quella finezza che egli mi supponeva, se non avessi capito la portala di quanto egli asseriva, dell’ essere, cioè, quell’articolo venuto in un giornale semiufficiale, e distribuito ai signori deputati, nel modo stesso che sogliono farsi le distribuzioni ufficiali. Io non aveva letto l’articolo di cui ora parlo, e ringrazio uno dei principali redattori della Perseveranza, perché, facendo abnegazione totale di rivalità, mi indusse a leggere la Lombardia. (Ilarità generale)

Lessi dunque il famoso articolo, il quale dice:

«Coloro che si agitano contro il contratto Talabot dar! la mano ai concessionari decaduti, a chi teme di vedersi sfuggire di pugno l’inveterato monopolio delle pubbliche opere, a tutti quelli che hanno interesse nel disordine. È una alleanza nelle debite forme che sembra diretta ad ingenerare lo scontento nel popolo, e a constatare la debolezza del nuovo Ministero. »

Io non ho bisogno di dire alla Camera che il Ministero è completamente estraneo a questo articolo, di cui io non conobbi che ieri l’esistenza, quando fu annunziato dal signor Susani; ma osservo che, se forse è poco conveniente per le parole con cui è redatto, il fatto è che molte delle petizioni mandate contro la concessione sono redatte appunto dai partigiani dei Borboni, e favorite molto dalla camarilla che risiede a Roma. Questo fatto mi consta in modo ufficiale, e tale da non poterne dubitare.

Voci. È vero! è verissimo!

PERUZZI, ministro pei lavori pubblici. A questo proposito mi permetterà la Camera che le dia lettura di una lettera del conte Ponza di San Martino, luogotenente del Re in quelle provincie. (Movimento di attenzione)

Il conte di San Martino mi scriveva, parlandomi di questa concessione:

«Si va propagando la voce qui che negli uffizi della Camera insorgano opposizioni contro la sanzione del contratto inteso col signor Talabot per la ferrovia dell’Adriatico.

«Io non parlo della parte finanziaria e tecnica del contratto che, a mio parere, merita molto riguardo, perché mai, fino alla stipulazione del contratto, eransi da una compagnia seria presentate altre offerte di così pronta e sicura esecuzione. Parlo solo dell’effetto politico che il voto della Camera avrebbe in questo momento pel ritardo che necessariamente arrecherebbe all’intraprendimento dei lavori, e, sotto questo rapporto, io prego la E. V. di considerare:

«1° Che queste popolazioni hanno, sotto il Governo borbonico, avuto appunto innanzi agli occhi continui esempi di opere pubbliche solennemente annunziale ed abbandonate poi or sotto un pretesto or sotto l’altro, e che uno dei mezzi principali di persuadere le masse che il Governo è stabilmente cambiato, e cambiato in bene, sta appunto nel non dar più quel triste spettacolo. Ho ragioni gravissime per ritenere che, moralmente, questo fatto sia uno dei più importanti, e che maggiormente meritano l’attenzione del Governo e del Parlamento;

«2° Che grazie all’attività veramente rara del signor Amilhau, rappresentante la casa Thalabot, le cose sono già in questo momento talmente preparate, che, approvato appena, per parte della Camera il contratto, si apriranno i registri per l’accettazione immediata di quarantamila operai. È questo un fatto di immensa importanza per incamminare queste provincie ad una vita tranquilla di ordine e di libertà.

«Non è tanto vero, come certuni credono, che qui la popolazione non voglia lavorare, principalmente quando è offerto un discreto compenso; non si lavora perché il Governo inerte dei Borboni ha chiuso le principali fonti del pubblico benessere.

«Or tocca a noi ad aprirle e farle feconde, e se nella Camera qualcuno insta su proposte, che rimandino questi lavori ad altro tempo, se non provvedono contemporaneamente varii milioni per mantenere la gente senza lavoro, ridurranno il Governo a dovere impiegare la forza per far tacere la fame.

«Queste cose tanto più mi rincrescono in quanto che vedo esservi qui tutti gli elementi per dare una grande sodezza all'edificio italiano. Questa cosa non si conseguirà tuttavia fuorché affrontando risolutamente e distruggendo molti abusi. Uno sovrattutto ha proporzioni incredibili, ed è l’opinione generale in tutti che tocchi al Governo di provvedere con impieghi ed altri favori a tutti i bisogni.

«Da quando il Governo nazionale è qui impiantato, le suppliche presentate sommano a centinaia di migliaia.

«Confido che tutto il Ministero voglia trattare questa questione come una delle più importanti, dinanzi alla quale non si può dare indietro. »

Ed il Ministero, signori, considera infatti questa questione siccome una di quelle innanzi alle quali non potrebbe in verun modo dare indietro. Il Ministero ritiene che sarebbe la più grande soddisfazione che si darebbe all’elemento reazionario e nemico all’ordine delle cose attuali nell’antico regno di Napoli, quando si adottasse una deliberazione qualunque, la quale anche per brevi istanti facesse non pur ritardare in fatti l’esecuzione dei lavori, ma facesse nascere qualche oscillazione, qualche titubanza, la quale è inevitabile nel passare da un sistema già inizialo ad un sistema nuovo. In Napoli il Ministero ha sotto la sua responsabilità iniziati i lavori della stazione centrale di quella città, d’una stazione centrale, le quale dovrà servire ad un tempo ed alla strada ferrata che fa argomento della concessione, di cui parliamo, e della strada ferrata che per Capua e Ceprano farà capo a Roma; strada ferrata che fa soggetto di concessione alla società delle strade ferrate romane, e per la quale un disegno di legge, di cui già vi ha una relazione favorevole, venne presentato al Parlamento. A questo proposito basta l’enunciativa del fatto per ribattere un’altra delle obbiezioni dell’onorevole Susani, il quale vi ha detto che trova strano che sia sfuggito alla Commissione essere la metà della spesa di questa stazione a carico del Governo. È a carico del Governo, finché la linea, la quale muoverà da questa stazione con quella da Napoli a Salerno, sia posseduta od esercitata dal Governo; ma evidentemente il Ministero non è stato tanto cieco da non porre a carico della società delle strade ferrate romane quest’onere, e la Commissione s’era naturalmente informata di questo fatto che il Ministero le aveva fatto conoscere.

Ebbene, signori, nei lavori di questa stazione, dove, come io vi diceva, sono impiegali da 400 a 500 operai al giorno, si sono stabiliti da qualche tempo quelli che si chiamano scioperi, e questi scioperi, o signori, è a notizia del Governo che sono eccitati in odio dell’ordine di cose attualmente esistente, il che è affatto conforme a quello che io vi diceva poc’anzi, e senza che io discenda menomamente a supporre neppure lontanissima la più piccola solidarietà tra gli avversari del presente progetto di legge con questi fatti, nulladimeno si può dire che i partigiani del sistema borbonico sono contrari a questa concessione. (Movimenti in senso diverso)

Io tralascierò di riandare sopra altre osservazioni che sono state fatte, per non tediare la Camera, tanto più che meglio ch’io noi possa potrà farlo l’onorevole relatore, il quale ha così profondamente studiato questa questione, che si può dire la conosce più di quello che ne sappia io stesso.

Solo mi fermerò, e quindi darò termine a questa già troppo lunga discussione, sopra un voto della Commissione, il quale fornì argomento di specialissima osservazione all’onorevole signor Susani, ed è quello relativo alle linee secondarie.

L’onorevole Susani vi ha detto: badate bene, o signori, noi abbiamo già l’esempio della Lombardia; in Lombardia è venuta questa società straniera, la quale ci ha invaso il paese, e ci ha impedito di sviluppare la nostra rete ferroviaria; badate bene di non istabilire a Napoli gli stessi guai.

Prima di tutto io domanderò se in Lombardia si sviluppassero più le reti ferroviarie durante il lungo periodo, nel quale società nazionali, intisichite in mezzo ad una infinità di dissenzioni, prepararono la via all’esecuzione delle strade ferrate per mezzo dello Stato, o se abbiano avuto maggiore sviluppo dacché questa società straniera è venuta a fecondarle coi suoi capitali.

Io credo che mi sarebbe facile il dimostrare il mio assunto favorevole al secondo quesito. Inoltre osserverò che non credo che la concessione originaria delle ferrovie lombarde sia stata fatta nel modo istesso nel quale abbiamo fatto quella che forma argomento del presente progetto di legge; imperocché là il diritto di preferenza della società ha una durata eguale a quella della concessione, e la scelta delle linee, checché se ne possa dire, è stata fatta con vedute, come era ben naturale, conformi agl’interessi del Governo che le concedeva. Quindi io credo che, se fosse stato un Governo nazionale quello che avesse impiantate le reti lombarde, lo avrebbe fatto diversamente. E questo io mi ricordo di averlo udito dalla bocca di distinti nostri colleghi lombardi, quando, insieme con essi, io sedeva nella Commissione che riferì, nell’anno decorso, intorno alle concessioni fatte a quella società.

Comunque sia, è un fatto che il Governo è venuto, pochi giorni fa, a presentarvi un progetto di strada ferrata, il quale potrà non essere l’ottimo, ma certamente mette le reti lombarde in una condizione (avuto riguardo alla loro sfavorevole situazione creata da questo dimezzamento della vallata del Po fra due potenze discordi fra loro), che oggi è la più conveniente che si possa immaginare, mirando ai fatti che devono svolgersi nell’avvenire, e dai quali dipende il maggiore sviluppo di quelle reti. Ma in questo proposito mi permetta la Camera di elevare anche qui la discussione ad una questione di sistema. Checché si possa dire della mia smania di elevare le questioni ai principii, io penso che questo sia sempre il terreno più sicuro, sul quale bisogna che chi vuol trattare le pubbliche faccende in un modo conveniente si tenga per quanto è possibile.

E, per far questo, mi permetta la Camera che io brevemente le delinei la rete italiana quale è stata concepita dal Governo, e quale sarà, qualora il Parlamento approvi i progetti di legge che ora pendono dalle sue deliberazioni. Io ho avuto l’onore d’inviare questa mattina all’onorevole nostro presidente una carta d’Italia, sulla quale ho approssimativamente fatto delineare le linee di ferrovie in modo che i signori deputali possano prenderne una sommaria cognizione. È mio intendimento, quando sia finita questa Sessione, di far pubblicare in un volume tutte le concessioni di strade ferrate italiane, munirlo di una carta che esprima la rete ferroviaria d’Italia, distribuirlo a tutti i membri del Parlamento e dargli una grande pubblicità; ma nel fare questo, o signori, io non ho lo scopo di soddisfare l’altrui curiosità o la mia personale vanità; lo scopo che ho si è di accompagnare questo documento con una dichiarazione solenne, che a nome dell’intero Ministero io credo indispensabile nell’interesse del credito pubblico di fare in questa occasione, e questa dichiarazione si è che il Ministero ritiene essersi abbastanza avanzato in questa strada, nella quale con un’audacia forse soverchia, ma di cui non si pente, ha proceduto sin qui. Il Governo crede che la rete principale delle strade ferrate italiane sia compiuta; il Governo ritiene che sarebbe un aumentare le difficoltà che si oppongono al reperimento dei molti capitali necessari a compiere questa rete ferroviaria, abbastanza estesa, come ho detto di sopra, e ad assicurare tutti gli altri lavori e tutte quelle spese che lo Stato deve commettere nell’interesse della grandezza, della sicurezza, della prosperità della nazione, il non raffermare la fiducia che abbiamo acquistato col far certi tutti i capitalisti, col far noto all’Europa che noi sappiamo accoppiare l’ardire alla prudenza.

La rete di strade ferrate italiane metterà, dentro due anni, in facile e pronta comunicazione fra loro tutte le principali città d’Italia; noi andremo da Torino, Bologna, Firenze, Siena, Chiusi, Orte a Roma, con una strada ferrata sempre continua, di una lunghezza di 71S chilometri; per il litorale, che sarà ultimato più tardi, sarà di 666 chilometri; noi andremo da Torino a Bologna, Ancona e Napoli per la strada che attualmente vi è proposta della lunghezza di 1014 chilometri con un’interruzione, che spero non oltrepasserà i 90 chilometri, e che nel corso del 1863 potrà essere molto diminuita. Roma sarà congiunta a Napoli per Ceprano e Capua con una strada della lunghezza di 226 chilometri. Faccio grazia delle altre linee, le quali naturalmente estenderanno queste comunicazioni ed a Genova, ed a Milano, ed alle altre principali città della nostra Penisola.

Noi, avendo provveduto in questo modo alle principali comunicazioni italiane, avremo provveduto ai bisogni più urgenti della nazione.

Verrà allora il secondo periodo, quel periodo nel quale noi dovremo più specialmente provvedere ai bisogni provinciali, in cui avremo ad estendere la diramazione di questa rete principale delle strade ferrate italiane. Quelle ragioni che militavano perché noi facessimo con una straordinaria rapidità questa rete principale, non militano egualmente quando si tratta di fare questa rete secondaria.

L’imperatore Napoleone III, che in fatto d'ardimento non ha eguali, quando si tratta in ispécie d’aumentare le ricchezze della Francia, stabiliva nel 1852 la sua rete principale; nel 1859 vi aggiungeva la rete secondaria; e Io sviluppo della rete principale e l’aumento della ricchezza che per esso venne prodotta, il numero d’intraprendilori, di costruttori, di operai, di capitalisti francesi che, per effetto di questo grande impulso che nel 1852 aveva dato alla sua rete, vennero ad accrescersi, permisero di fare, a condizioni relativamente buone, la rete secondaria.

Ebbene, o signori, questo sistema mi pare doversi adottare, e questo sistema sarebbe intendimento del Governo che venisse accolto, e, per adottarlo, il Governo crede che convenga innanzi tutto impiantare solidamente il credito dello Stato.

Per impiantare solidamente il credito dello Stato comincio dal fare quella dichiarazione che avete tutti udita; alla quale dichiarazione io faccio soltanto due eccezioni principali, oltre quelle piccole linee, le quali, senza sacrificio dello Stato, oppure per specialissime ragioni strategiche o per altri gravi motivi potrebbero per avventura essere intraprese in questo tempo, e che non potrebbero mai influire sostanzialmente sul credito dello Stato. Le due sostanziali eccezioni che io faccio sono quelle della traversata delle Alpi per mettere in comunicazione la nostra rete ferroviaria colla rete della Svizzera e della Germania meridionale, e le strade che per avventura potessero essere giudicate eseguibili nell’isola di Sardegna.

Il Governo ha studiata la prima questione, e fra pochi giorni saranno distribuiti alla Camera gli alti della Commissione, nominala dall’onorevole mio predecessore, per istudiare la ferrovia alpina. Il Governo continua a studiare questa questione, e spera di giungere a qualche risultato, onde potere, nella prossima seconda parte della Sessione, richiamare l’attenzione della Camera sopra questa grande impresa, che da tanto tempo occupa la mente ed i desiderii degl’italiani; ed il Governo confida che, in questo suo compito, sarà grandemente aiutato dagli splendidi risultamenti, che io stesso, pochi giorni fa, insieme con alcuni onorevoli colleghi della Camera, ho avuto l’occasione di ammirare nell’applicazione delle macchine perforatrici del monte Cenisio.

Io spero che quelle macchine, le quali già producono tutto il loro effetto, le quali hanno perforato sotto i nostri occhi circa un metro di roccia sopra una superficie di circa tre metri quadrali, quelle macchine, io spero, potranno fra breve produrre un effetto maggiore tostoché sia compiuta l’educazione degli operai, tostoché l’ordinamento pratico del servizio sia perfezionato, ciò che non può accadere se non dopo un certo tempo di attuazione nella galleria stessa.

Quanto alle strade ferrate della Sardegna, io credo che, quando noi spargiamo su tutto il territorio italiano ed anche nell’isola di Sicilia i beneficii di questo rapido mezzo di comunicazione, il Governo non possa trascurare quell’isola interessante, la quale, e per la sua orientazione, e per la lunga porzione pianeggiante che presenta da Sassari a Cagliari, sembra dovere prestarsi alla costruzione di questo mezzo di locomozione.

Forse queste strade ferrate della Sardegna, le quali produrranno un utile effetto sopra lo sviluppo della ricchezza di quell’interessantissima isola, potranno, per avventura, quando sieno compiute le strade del litorale italiano fin verso Civitavecchia, abbreviare anche le comunicazioni fra il continente l’isola di Sicilia e l’Africa. Di questo il Governo formerà argomento di serie considerazioni, e sarà lieto se questi studi e questi esami Io porranno in grado di potere delle strade di Sardegna fare soggetto di una proposta di legge da presentare nella prossima Sessione al Parlamento.

Quando dunque sia compiuta questa rete principale, allora noi potremo intraprendere 1? rete secondaria; potremo anche intraprenderla prima, se le condizioni del credito miglioreranno grandemente, o se la provvista di capitali fosse già fatta in tal misura per la rete principale, da permetterci d’iniziare anche la secondaria. Ma, quando noi inizieremo questa rete secondaria, non ci accadrà di trovarci in quelle condizioni, in cui, per colpa dei Governi che ci precedettero, ci siamo trovati ora; talché al Governo è toccato di presentarvi dei progetti incompleti, sono il primo a convenirne, come l’ho concordato altra volta, per lo che al Parlamento è convenuto accordare al Ministero delle facoltà per avventura eccessive.

In conseguenza è mio fermo proposito d’iniziare immediatamente lo studio d’urta rete secondaria di strade ferrate italiane, ed a tal uopo io mi propongo di valermi dell’opera di quel Comitato consultivo delle strade ferrate, che, con provvido consiglio, venne istituito dal mio predecessore e di cui grandemente sono stato dolente di non potermi valere per apparecchiare i progetti che ora vi ho presentato; dappoiché se alle discussioni d’un Comitato così numeroso io avessi sottoposto questi progetti, voi ben intendete, o signori, per la pratica che avete di queste faccende, che non avrei potuto presentarli, in questo periodo di Sessione, all’approvazione del Parlamento.

Io credo che in tal guisa noi eviteremo allora tutti quegli inconvenienti che abbiamo incontrati adesso; e di più ho ferma fiducia che, sviluppate, come io diceva, le ricchezze nazionali, educati i nostri lavoratori, ed abituati i nostri ingegneri di tutta Italia alle specialità che sono proprie delle costruzioni di strade ferrate, siccome è accaduto nell’Italia superiore per effetto delle medesime cause, io ho fiducia, dico, o signori, che la costruzione della rete secondiaria potrà essere fatta dal regno d’Italia solidamente costituito, prospero, ricco, sapiente, in modo ben diverso, in modo ben più utile, ben meno dispendioso di quello che noi dobbiamo oggi, nonio neghiamo, dobbiamo oggi adoperare per essere prontamente dotati d'una grande ed importante rete ferroviaria.

Per questi motivi, o signori, io credo che, votando il progetto di legge che ho troppo lungamente sostenuto, voi non solamente non porrete ostacolo alla soddisfazione futura degli interessi secondari, ma voi agevolerete lo sviluppo futuro delle reti italiane, in quel modo che meno costerà alla nazione, e più le profitterà.

Per questo io vi prego, e caldamente vi prego, di approvare il progetto di legge, passando sopra anche a qualche menda che per avventura potrebbe essere utilmente da taluno degli emendamenti che vi sono proposti rimediata. Imperocché io vi prego di considerare come qui non si tratti di dare un’autorizzazione al Governo di stipulare un contratto quando gli attendenti si presentino, ma si tratta d’approvare o disapprovare un contratto già stipulato, nel quale sia dalla Commissione che dal ministro con grande stento si è riuscito ad ottenere che fossero introdotte le migliorie che la Commissione vi ha proposte, ed anche alcune di quelle che ieri vi furono presentate.

Oggi, o signori, non avremmo più tempo d’introdurre nuove modificazioni, e potrebbe darsi che l'effetto di questi emendamenti, quando fossero adottali dalla Camera, quello si fosse di tener vincolato il Governo coi concessionari, dando ai concessionari stessi libertà piena di ritirarsi da questo impegno; ed il Governo, o signori, come rimarrebbe, se questo contratto venisse meno in questi momenti?

Signori, gli argomenti che vi ho lungamente sviluppati, ve l’hanno, io credo, ampiamente dimostrato. (Bravo! Benissimo! dai banchi dei deputali)

PRESIDENTE. La parola spetta al deputato Levi.

Voci. La chiusura! la chiusura! (Rumori)

PRESIDENTE. Domando se la chiusura è appoggiata.

(È appoggiata. )

LEVI. Voleva rispondere solamente poche parole alle insinuazioni fatte al mio riguardo dall’onorevole Massari, le quali mi parvero non troppo benevole.

Voci. Ai voti! ai voti!

MASSARI. Io prego la Camera, dopo le espressioni che sono testé sfuggite all’onorevole Levi, a volergli permettere di parlare.

PRESIDENTE. Mi pare che si potrebbe lasciar parlare il deputato Levi, e poi chiudere la discussione.

LEVI. L’onorevole Massari aveva posto in dubbio quanto fu da me detto sull’impressione poco favorevole prodotta a Milano, a Torino, come a Napoli, dal contratto Talabot.

Io, asserendo questo, non mi sono fatto che interprete di un’opinione che è giunta da molte fonti sino a me. Interpreti dell’opinione pubblica, nell’alta Italia sopratutto, sono i giornali; ora io vedo nei giornali ufficiosi, come in quelli della opposizione quasi tutti, impugnata per motivi finanziari, politici ed economici, la convenienza del contratto Talabot; citerò fra gli altri: l'Opinione, la Perseveranza, il Pungolo, come il Regno d'Italia.

L’onorevole Massari ha poi detto che ha ricevuto lettere da Napoli, tutte favorevoli e molte ispirale da spavento che il contratto non fosse sanzionato dal Parlamento. Io ho ricevuto altre lettere in senso contrario, e certo non sono borbonici quelli che mi hanno scritto.

Ma più d’ogni altra cosa credo faccian fede dell’opinione pubblica in Napoli le petizioni che sono state deposte sul banco della Presidenza, e delle quali io ritengo copia. Queste petizioni tutte riclamano contro molti punti del contratto Talabot; fra le altre in questa, diretta al presidente del Parlamento italiano, si legge:

«Il paese ha deplorato vivamente che il Governo non siasi rivolto innanzi tutto all’attività e all’industria nazionale per la esecuzione delle nostre strade ferrate, e non avesse còlta la opportuna occasione per isvolgere tra noi in grande scala l’amore delle associazioni, che è uno degli elementi fecondatori della pubblica ricchezza. Invece ha preferita la speculazione straniera, cui ha concesse le linee più belle e più fruttifere e meno costose... »

Un’altra petizione fu diretta al Senato, e ne ho qui copia; altra pure fu diretta al Parlamento, di cui mi compiaccio leggere alcuni brani come saggio dell’ottimo spirito che anima quelle nobili provincie:    '

«I sottoscritti cittadini per adempiere ad un sacro dovere, e facendosi interpreti della pubblica opinione, ecc. , ecc. Il Governo faccia mostra di voler propugnare animosamente una grande società italiana. Il sentimento nazionale è forte tra noi, siamo altamente premurosi del nostro sviluppo industriale, di cui abbiamo sempre date non dubbie prove. Che il Governo ci accordi il suo alto patrocinio, e vedrà ben tosto accorrere ogni cittadino che sarà fiero di poter accorrere alla grande opera nazionale... »

Io non istancherò di più la Camera leggendo quelle lettere e petizioni che mi pervennero da Napoli, tutte improntate dello stesso pensiero, cioè che la nazione conduca le grandi opere nazionali, e con forze nazionali schiuda l'era industriale italiana.

In queste parole, più che altrove, io amo scorgere il vero pensiero che anima le popolazioni dell’Italia meridionale. Ora io non credo che il signor Massari sia l’unico interprete del sentimento nazionale di Napoli. Queste provincie non mancarono mai d’iniziativa e di grande iniziativa. Nè sarà mai che tutto debba loro venire quasi importazione dall’estero. Le industrie, come la libertà, il genio creatore non venne ivi mai meno;  né farebbe difetto sotto gli auspicii d’una gran nazione e dell’Italia rinnovata. Tale la mia fede sull’Italia meridionale.

Respingo poi l’altra insinuazione dell’onorevole Massari, che cioè chi diniega la concessione Talabot o sia borboniano o non voglia ferrovie; come non ammetto neppure quell'opinione, la quale asserisce che la concessione Talabot quasi sia rappresentante di un pretendente...  (Rumori)

Voci. Ma chi dice queste cose?

LEVI. Lo non Io credo; ma, nel modo stesso che si fece camorrista chi vota contro la concessione Talabot, altri può dire murattiano chi vota in favore. (Rumori)

Misere insinuazioni di partiti politici che non devono mescolarsi in soggetti d’interesse, d’amministrazione, e possono riescire fatali al buon andamento della cosa pubblica!

Io sono ben lungi dal non volere capitali e società straniere, e mi spiace che in questo il mio pensiero sia stato franteso; ne respingo persino l’idea. Il lavoro come l’intelligenza non hanno patria; sono i veri cosmopoliti. Donde movano, sono per me i bene accetti, mi sono sacri. Non voglio ostracismo per nessun popolo, nessun individuo. Quello che io non ammetto è’ il privilegio, il monopolio, l’aristocrazia, qualunque sia il manto di cui si vesta, qualunque i ponti che si fanno per agevolarle la via, siano di ferro, siano d’oro.

L’onorevole ministro parla di libertà, e in ciò siamo affatto concordi, ci troviamo sullo stesso terreno: libertà, libera concorrenza, appalti reali. Se si fossero aperti capitolati, attirata la concorrenza di varie società, io voterei di gran cuore questa legge; ma invece si accetta in gran parte la concessione Delahante con pochissime modificazioni a profitto dello Stato. Il Ministero ha per avventura dovuto subirla come parte del gravoso retaggio dell’antico regime. Spetta al Parlamento svincolarlo, spazzar la via, aprir la concorrenza perché si faccia meglio. Non posso però lasciar trascorrere quest’occasione senza replicare qualche parola al signor ministro e presentargli per tal modo il mezzo di meglio tutelare, che non si fa con questo contratto, l’interesse e l’industria del paese.

Numerose voci. Ai voti! ai voti!

LEVI. Egli disse che i nostri principii economici sono opposti, e difficilmente potremmo su tale via incontrarci. E vero, noi per avventura non potremo incontrarci sul terreno dei principii, possiamo però incontrarci sopra quello dell’urbanità e cortesia, ed io lo ringrazio di quella con cui rispose a varie osservazioni che ebbi l’onore di presentare alla Camera.

Sarei stato lieto che la libera concorrenza fosse stato mezzo a migliorare tal progetto e tutelare più efficacemente l’interesse e l’industria nazionale.

Si vuole altrimenti? Ebbene! abbia i suoi fati la legge.

MASSARI. Domando la parola per un fatto personale.

Voci. Ai voti! ai voti! (Rumori)

PRESIDENTE. La parola è al deputato Massari per un fatto personale.

MASSARI. Siccome io non ho fatto l’insinuazione di cui mi accagionava l’onorevole deputato Levi, cosi mi pare che io abbia diritto di difendermi e di addurre le mie ragioni.

Voci. Parli! parli!

MASSARI. L’onorevole deputato Levi non rammenta le espressioni del mio discorso di ieri.

Ieri ho detto che riconoscevo la perfetta buona fede colla quale egli aveva enunciato il fatto che l’annunzio di questa concessione Talabot avesse prodotto a Napoli una sensazione spiacevole.

Le sue intenzioni sono perfettamente fuori di causa. Io non le ho menomamente accagionate.

Ho detto bensì che ho inteso con un certo stupore, e oggi non posso che confermare ciò che io diceva, un’asserzione di quella fatta.

Io desiderava che l’onorevole deputato Levi m’indicasse le sue fonti; ma non mi pare che oggi l’abbia fatto.

Io non mi arrogo il diritto di essere il solo interprete delle opinioni del mio paese.

In questo recinto seggono molti e molti egregi Napoletani i quali non hanno certamente contraddetto le mie asserzioni; ma, se io non mi arrogo il diritto di essere il solo interprete delle opinioni del mio paese, non posso nemmeno concedere all’onorevole deputato Levi il diritto di considerarsi come l’interprete dell’opinione pubblica, di quell’opinione pubblica la quale, egli disse, in questa circostanza ha avuto per organo l'Opinione di Torino e la Perseveranza di Milano.

L’onorevole deputato Levi ha ripetuta l’asserzione di ieri sulle petizioni rivolte al Parlamento contro la convenzione; io ho l’onore di assicurarlo che al banco della Presidenza e in Segreteria sono depositate molte petizioni le quali propugnano calorosamente l’approvazione di questa convenzione, e che il numero delle firme di cui sono coperte ascende ad oltre 15 mila, e sono firme di persone molto rispettabili e molto note nel commercio e nelle diverse classi della società di Napoli.

L’onorevole deputato Levi ha detto ancora che io ho accagionato coloro che oppugnano questa convenzione di essere borbonici.

Io non ho detto questo: ho detto solamente che credo alle buonissime intenzioni di quelli che oppugnano questa convenzione, ma dico che con tutte le loro buone intenzioni essi non riusciranno a nessun altro risultamento, se per grande sventura la Camera approvasse la loro opinione, che a quello di privare, Dio sa per quanto tempo, le povere provincie meridionali del beneficio delle ferrovie. Ora, siccome i borbonici che sono in Napoli, che non sono tanti quanti si crede, ma che pur troppo ci sono, ed i cospiratori che sono a Roma, non desiderano altro se non che le ferrovie non siano fatte, così, senza volerlo, anzi avendo intenzione contraria, l’onorevole deputato Levi e quelli che parteggiano per la sua opinione, si trovano essere complici dei Borboni. (Rumori a sinistra)

Voci. Ai voti! ai voti!

BRUNET. Chiedo di parlare. Pregherei   

Numerose voci. Ai voti! ai voti!

levi. A tali parole non rispondo neppure; vi sono molti che non sono favorevoli a questa concessione. (Ai voti! ai voti! Segni di generale impazienza).

PRESIDENTE. Scusi il deputato Levi, non ha a dolersi d’alcuna personalità.    

LEVI. Protesto contro queste parole. (Rumori e movimenti prolungati)

PRESIDENTE. Metterò ai voti la chiusura della discussione.

Prego i deputati di far silenzio; sarà impossibile votare, se continuano questi rumori.

La chiusura essendo stata appoggiata, ed essendosi, dopo il ministro, inteso un oratore, porrò ai voti la chiusura. brunet. Chiedo di parlare contro la chiusura.

Dopo le parole testé pronunciate dal signor ministro, ed ora dal signor Massari, credo che sia conveniente di pronunciare alcune parole relativamente all’interpretazione che si è data all’opposizione fatta a questa legge. (Rumori. Segno d'impazienza a destra ed al centro. Alcune voci a sinistra: Parli! parli!)

PRESIDENTE. Prego i signori deputati di far silenzio.

BRUNET. Intendo di dir poche parole, non intendo fare un discorso.

Io ho sempre detto che l’attuazione della strada ferrata napolitana è un atto di giustizia, è un’opera di grande interesse nazionale. La questione che si è fatta non fu punto per vedere se si dovessero sì o no eseguire queste strade ferrate. Tutti siamo d’accordo per fare queste strade. La questione non consiste sul fare o non fare le strade, ma consiste in che l’atto di concessione presentato alla Camera non raggiunge lo scopo che il Ministero si prefigge. Ilo indicato un articolo di questo contralto, il quale evidentemente lascia in dubbio l’attuazione di questa strada; tale dubbio risulta incontestabile dalla lettura di tale articolo, e nessuno potrà mai dire che, votando questa concessione, noi votiamo precisamente c stabilmente la strada ferrata, alla quale essa si riferisce. Noi non votiamo che la speranza che fra un anno la società che deve eseguirla sia costituita. La certezza non l’avremo che fra un anno.

Queste sono le osservazioni che ho esposte circa alla convenzione stata proposta con questa legge.

Ciò che fu detto da me, fu detto nel senso appunto che si accertasse l’esecuzione di questa strada, e che non si lasciasse in sospeso la sua definitiva approvazione per un anno intero.

Signori, il dubbio e l’incertezza in cui per un anno versa l’attuazione sì o no della società sta scritto nell’articolo 15 della convenzione. Ciò nessuno potrà contrastare, e finora il signor ministro, che ha parlalo così a lungo, non ha dato risposta alcuna su questo essenzialissimo punto.

Quanto poi a ciò che disse il signor ministro, essere questa concessione osteggiata dal partito borbonico, da un partito avverso alle nostre istituzioni, mi limiterò ad osservare come non credo conveniente che in questioni amministrative si frappongano questioni politiche, e che io a tale partito non ho inteso descrivermi quando esposi le mie osservazioni. Conchiudo, osservando al signor ministro come non si debbano mettere in campo certi paragoni, i quali, malgrado qualsiasi riserva, non tralasciano d’essere inopportuni e sconvenienti.

PRESIDENTE. Metto ai voti la chiusura.

(La Camera approva. )

La parola è al signor relatore.

Se intende riassumere la discussione...

Molte voci. Ai voti! ai voti!

BONGHI, relatore. Quanto a me rinunzio volentieri a parlare (Bravo!), poiché vedo l’Assemblea già pronta a votare nel modo in cui le mie parole vorrebbero persuaderla a votare. E rinuncio tanto più facilmente, ché  né ho fatto un discorso,  né ho in mente di farne uno, e  né anche di chiedervi il permesso di stamparlo poi, giacché  né l’ho scritto,  né ho tempo di scriverlo.

PRESIDENTE. Dunque io metterò ai voti prima di tutto gli emendamenti che si riferiscono al progetto di legge; poi verranno gli emendamenti che hanno tratto alla convenzione ed al capitolato.

Il primo emendamento, che sovvertirebbe intera la legge, è quello del deputato Brunet, di cui darò lettura:

«Art. 1. Sarà dal Governo dato in appalto, secondo il metodo che si ravviserà più consentaneo agli interessi dello Stato, ed alla pronta attuazione dei lavori, la costruzione delle seguenti linee da Eboli ad Ascoli:

«1° Linea lungo il litorale adriatico da Ancona ad Otranto per Tremoli, Foggia, Barletta, Bari, Brindisi e Lecce, con una diramazione per Otranto;

«2° Linea da Foggia a Napoli per Eboli e Salerno;

«3° Linea da Ceprano a Pescara per Sora, Solmona e Popoli.

«Art. 2. Per l’attuazione di queste linee viene iscritto nel bilancio del 1861, la somma di 40 milioni.

«Le somme occorrenti alla prosecuzione e compimento dei lavori verranno iscritte nei successivi bilanci. »

Io metterò dunque ai voti se la Camera intende di dare la preferenza al progetto di legge proposto per via d’emendamento dal deputato Brunet, oppure a quello presentato dal Ministero.

Chi è d’avviso che si debba dare nella discussione la preferenza al progetto di legge presentato dal deputato Brunet, voglia alzarsi.

(La Camera non ammette la priorità del progetto del deputato Brunet. )

Ora vengono gli emendamenti proposti ai diversi articoli del progetto della Commissione.

Il primo occorre all’articolo 1°, ed è proposto dai deputali Torre e Pallotta:

«Art,1. È accordata, ecc. , ecc.

«1° Una linea, ecc. , ecc.

«2° Una linea, ecc. , ecc.

«5° Una seconda linea di congiunzione dell’Adriatico con Napoli:

«Sia da Pescara per Popoli, Solmona, Celano, Sora e Ceprano;

«Sia da Termoli per le valli del Biferno, del Tammero e del Calore;

«Sia da Foggia per Benevento, scegliendosi quella che risulti la più agevole e la meno dispendiosa. »

BONGHI. Domando la parola.

VALERIO. Non è l’articolo 1° della legge questo; è il primo articolo della convenzione.

PRESIDENTE. Ora metterò in discussione gli emendamenti del deputato Valerio.

Il deputato Valerio propone.

«Art... L’ammontare totale delle spese di costruzione di ogni sezione delle linee concesse, del costo del materiale mobile e di ogni altra spesa occorrente per ridurla in condizione di essere aperta all’esercizio, come limite al capitale, oltre il quale non potrà in nessun caso essere estesa la guarenzia stipulata coll’articolo U della convenzione 12 maggio 1861, verrà stabilito con decreto reale sui progetti e sui preventivi da presentarsi dalla società, prima di far luogo ad alcuna emissione di obbligazioni.

«Art... Le epoche, la quantità ed il saggio, al quale si faranno, a misura del bisogno, le emissioni delle obbligazioni di cui all’articolo 14 della convenzione 12 maggio 1861, saranno stabiliti dal Governo con quelle norme che valgano ad assicurare ampiamente la pubblica concorrenza.

«In nessun caso non potrà essere fatta alcuna emissione d’obbligazioni, se il capitale in azioni non sia tutto collocalo ed effettivamente pagato. »

(Sono appoggiati. )

II deputato Valerio ha la parola per isviluppare il suo emendamento.

Una voce. Sia breve; l’ora è avanzata.

VALERIO. Non è possibile essere tanto breve; si tratta di un sistema di emendamenti che ha le sue ragioni, le quali sono in debito di esporre; se la Camera crede di rimandare la discussione a domani, io sono ai suoi ordini.

Io credo di poter affermare che non ho abusato mai del tempo della Camera; non sono oratore, non mi dilungo in discussioni; e sono uso a raccogliere più che posso in succinto quello che ho da dire. Ma pure il tempo necessario mi ci vuole; e la domanda che io tagli corto non mi par giusta...

DEPRETIS. A domani; sono le dodici ed abbiamo gli ufficii convocati per l’una, per le due e mezzo abbiamo la seduta.

PRESIDENTE. Ma pare che potrebbe continuare ancora. Voci. A domani! a domani!

VALERIO. Io sono agli ordini della Camera; ma ho creduto di far osservare a qualcuno che mi invitava ad essere breve, che non avrei potuto esserlo quanto lo desiderava.

SUSANI. Mi pare che questa discussione potrebbe rimandarsi a domani; è una discussione su emendamenti abbastanza importanti da richiedere uno studio attento e profondo.

PRESIDENTE. Oggi la discussione sopra gli emendamenti non si chiude; postoché abbiamo ancora un po’ di tempo, si potrebbe incominciarne la discussione; se non sarà possibile di terminarla, si rimanderà a domani.

Voci. Ad un’ora vi sono gli uffici convocati.

Molte voci. Alle 2 e 1/2 vi è l’altra tornata.

PRESIDENTE. Gli uffici essendo convocati per l'una, si potrebbe continuare ancora per mezz’ora.

Voci. A domani! a domani!

PRESIDENTE. Allora si rimanderà a domani.

Oggi la seduta è alle 2 e 1/2.

La seduta è levata alle 12 e 1/4.




















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