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Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024)

PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

DIFESA

del Cagliari

PRESSO

LA COMMISSIONE DELLE PREDE E DE' NAUFRAGI

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)

La eccezione della incompetenza de' tribunali del Regno

dedotta negli atti dalla Compagnia Rabattino sarà

trattata con lavoro a parte.


UN CENNO PRELIMINARE

Noi imprendiamo ad esporre le ragioni che difendono la compagnia Raffaello Rubattino e soci di Genova, proprietaria del piroscafo il Cagliari che in suo danno si ritiene, e che l’Intendenza generale della Real Marina di Napoli domanda al magistrato abbia a dichiararsi una legittima preda.

Se egli è cosi, che le disputazioni forensi non hanno altramente importanza propria e vera che quando ei torni arduo il pronunziarne giudizio, né il grido dell'avvenimento, onde muove l'attuai contesa, né il valor pecuniale del piroscafo e del suo carico che vi rimane impegnato, le apprestano gravità di sorta. Raggiunta la verità de' fatti, nitido il dettato delle leggi, a noi opera lieve la difesa, a' giudici la sentenza.

La compagnia Rubattino, nota all’universale per fama che respinge col solo nome la nefanda e stolto colpa che si ha la forza d’animo di apporle, affidato avea da lunga pezza il comando del Cagliari, uno dei molti piroscafi co’ quali esercita il suo cospicuo traffico, al capitano Antioco SITZIA, esperto e savio marino quanto ora è sventurato padre e marito.

Muovea costui dal porto di Genova col suo naviglio sul volger della sera del 25 giugno 1857, per compiere la consueta corsa postale che il menava a Cagliari di Sardegna, indi a Tunisi, fatti gli adempimenti richiesti alla regolare partenza, e munito delle carte tutte di spedizione a forma di legge, tra le quali quelle risguardanti e l'equipaggio, ed i passeggieri, e le mercatanzie.

Una mano di uomini, da' quali Iddio ebbe ritirato ogni lume di ragione, montata era sul naviglio, e d’innocui passeggieri simulava le sembianze. Non sì tosto si ebbe valicalo alquanto mare, che quei folli, insorgendo, impugnano gli stili e le corte armi da fuoco, che ascose aveano sotto le vesti, sul petto e sulla gola del capitano; lo dimettono dal comando e lo gittano in fondo al bastimento; eleggono altro condottiero tra gl'imbarcati; e, conquiso lo scarso equipaggio, divergono il cammino, s’indirizzano ed approdano, il di 27 alle cinque pomeridiane, alla isoletta di Ponza ne’ domini del nostro Re.

Colà, padroni del male arrivato naviglio, mentiscono la cagione dell'approdo, ed attirano così a loro i preposti all'autorità marittima. Discendono traendo con essi quasi che tutto il dominato equipaggio, e tra pazze grida ostili alla legittima Sovranità, manomettono qualche pubblico ufizio, uccidono qualche vecchio soldato, tra’ pochi che il Governo vi tiene a guardia di alquante centinaja di rilegati, e di un picciol numero di condannati a pene più gravi.

Liberata una parte di costoro, cd ingrossata la schiera con tali eletti campioni, rimontano il naviglio, e solcano, dopo solo sei ore d’indugio, per la terra ferma del regno, ove, giunti alle nove di sera del 28 e disbarcati, alzano le medesime forsennate grida incitando i cittadini alla rivolta, e, senza l’eco di una voce sola, senza il più lieve molo che li secondi, rimangono in breve ora e disfatti e morti e prigioni dalle civiche milizie, e da un drappello di soldati ell'ebbe solo a mischiar le armi perche accorso.

Il capitano, pertanto, non appena col disbaroo in Sapri, che così ha nome il paesello invaso, vide sé ed il naviglio liberati, quanto potè più prestamente, alla volta di Napoli s’incamminava per farvi il racconto al Governo della incorsa catastrofe, e, pervenuto già nelle acque di Capri, non sì tosto ebbe scorto due regie navi, che a raggiugnerle si affrettò, ed, inteso il tiro del cannone dell'una, fatti i segni della pronta ubbidienza, si avvicinava. In tal guisa restava egli cattivo, e con lui l'equipaggio, i pochi passeggieri innocenti, e tre altri individui che traea seco perché feriti in Ponza.

Un vasto procedimento penale è in corso, e si spinge con altrettanta debita alacrità con quanta osservanza scrupolosa delle forme di giustizia, perché in quello è il magistrato solo che agisce, ed il suo fatto non vien guasto dallo zelo degli avvocati.

Il capitano SITZIA rimane involto nell'accusa con parte del suo equipaggio, e sventura vuole che il giudizio non possa onninamente scindersi per mandarli assolti più prestamente.

Al doloroso dramma s’innesta l’episodio della presente causa, perocché dagli uomini della Real Marina, ond'eran guidate le due regie navi che s’incontravano col Cagliari ed il riteneano, si è preteso che questo legno che profferivasi, sia stato in vece per essi catturato, e che sia una loro buona preda; e di qui la contesa, la quale non è che uno scontro d’interessi civili tra private persone, onde a noi la libertà piena della difesa.

Ed ecco a gran tratti delineato il quadro che ne poniamo a compiere, e, certo,vi sarà di che non rimaner delusa la pubblica espettazione, sempre vaga del maraviglioso, perocché coloro che avranno letta la voluminosa scritta pubblicata già gran tempo a difesa degli asserti predatori, se vorranno anco volgere uno sguardo alle presenti meschine pagine, converranno di leggieri che quella scritta si elevi a monumento imperituro e per magia di creazioni. e per niego del vero ne’ fatti, e per mal governo delle leggi, e per travisamento de' dettati della scuola e del foro.


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ASSUNTI


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Che sostiene l’attrice nel giudizio che ha contestato. — Sistema della nostra difesa

La Intendenza generale della Real Marina, che ha la rappresentanza giuridica de' voluti predatori, pone per vere quattro principali proposizioni nelle sue instanze: son desse ne’ propri termini queste appresso:

«1. Che il sig. Rubattino fu REO E COMPLICE nei fatti operati dal piroscafo.

«2. Che il capitano SITZIA fu CORREO O COMPLICE PRINCIPALE di tutti i fatti di guerra e di pirateria eseguiti dal Cagliari, e da quelli che vi erano imbarcati.

«3. Che la perdita del legno a danno del proprietario è la conseguenza irrepugnabile della dichiarazione della legittimità della preda del medesimo, sia pure che fosse il proprietario straniero a' fatti di guerra e di pirateria consumati dal bastimento di suo dominio. E che a lui non resti che il regresso per risarcimento, o contro il capitano del bastimento da lui scelto e preposto, o contro di coloro che invertirono la destinazione del legno da commerciale in piratico ed ostile.

«4. Che la forza maggiore, che si asserisce e non si pruova, non menerebbe ad altro che a liberare il capitano e l'equipaggio dalla risponsabilità verso del proprietario a motivo del fatto generatore della preda, e non mai alterar potrebbe menomamente il diritto acquistato da' predatori del detto legno predato, del quale è di già in essi trapassato il dominio per titolo legittimo.

Dagli enunciati assunti vien fuori che la contesa stia nel fatto, e nel diritto: nel fatto vitalmente, per chiarire se il proprietario del naviglio fu, con effetto correo e complice, anche nel fatto con assai minore importanza, per determinare se il capitano fu, in reattà, reo o complice principale. Nel diritto due quistioni si fan sorgere dalla contesa, l’una che ne merita alquanto il nome, e consisté nell’indagare se vi possa esser preda a danno del proprietario innocente, suddito di potenza amica, supposta la colpa del capitano; l’altra, che pur diciamo quistione sol perché vi ha l'attrice che afferma ed i convenuti che negano, e risiede nel se vi abbia diritto a predare, innocenti proprietario e capitano, sudditi di amica potenza.

Per compiere il meglio che sappiamo i nostri doveri di difesa, ne proponiamo trattar la causa col seguente sistema. Comeché l’ordine logico-legale ne imponesse di versare primamente nelle quistioni di diritto, perché queste nel caso in proposito assorbirebbono ogni disputa di fatto, tali che l’attrice si fa a proporle, ne atterremo, nulla meno, al contrario tra perché, nel vero, il giudizio s’impegna seriamente nel fatto, e perché l’attrice, che questo vero di leggieri ravvisava, non altramente fa progredire il suo attacco.

Però alle discettazioni di fatto adempiremo esponendo una per una le colpe che si appongono al proprietario, ed al capitano; le pruove ed i documenti onde si avvalorano, e così le combatteremo; per modo che l'opera nostra in questo sarà di confutazione, anziché di esposizione.

Le quistioni di diritto che abbiamo testé enunciate, solo per le ultime conseguenze giuridiche che ne emergerebbono, ne faremo a svolgere ne’ loro elementi, con che intendiamo le disamine opportune che pel ca«so in proposito nella ragion pubblica delle genti si vorrebbono impegnate. E protestiamo che quanto al diritto, saremo sobri non avendo né dottrina né tempo né volontà a dettar volumi, persuasi come sempre fummo, che la dottrina de' lavori forensi non debba esser quella de' trattati; e che opere, come davvero sono, tra le men dilettevoli per non dir tra le più nojose, non si rendano altramente tollerabili che quando men divaghino dal loro argomento.

Non cosi quanto al fatto, perché iu questo ogni obblio ne si porrebbe a carico, o per difetto di solerzia nella difesa, o per impossibilità di farla trionfare in ogni sua parte.

Ché anzi, onde non ne si apponga di aver noi alcuna contraria affermazione posta da banda, alcun argomento trascurato, premetteremo alla confutazione singola l’insieme per compendio di quanto si espone nella scritta avversa, sotto il capo che s’intitola Storia degli avvenimenti che prestano l'argomento all’attuale giudizio, e quindi sotto l’altro capo che reca Disamina critica degli avvenimenti descritti finora al quale s’innestano i due capi seguenti. E separatamente esporremo quanto si contiene ne’ quattro ultimi paragrafi di cui il primo s’intesta Non solo il SITZIA e l'equipaggio, ma pure la compagnia proprietaria del legna fu correa o complice de' ribelli.

Il lettore, che ne presti fede, potrà tralasciare questa parte del nostro lavoro, la quale non è breve, ed è di grave noja, e venirne, senz’altro, alla confutazione. Chi dubiti di nostra esattezza, ne sconti la pena, tutto leggendo.


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SOMMA


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Della storia degli avvenimenti come si fa dall'attrice

Narra lo storico che l’apparente missione del legno era postale per Tunisi toccando, tra via, Cagliari di Sardegna; e comincia dall’avvertire che de' passeggieri dieci aveano mentito i loro nomi, degnali otto erano marinai stranieri all’equipaggio; altri mentirono la loro condizione civile; e che dell'equipaggio nove erano sforniti di passi e di libretti, trai quali il pilota Agostino Ghio, il nostromo Pietro Io Santo Codale, i macchinisti Errico Watt e Carlo Park, il cameriere Giuseppe Mercurio, ed il cuoco Carlo Noce, persone che chiama le più interessanti dell'equipaggio.

Narra che il SITZIA salpava trasportando gran numero di casse ripiene di armi dette improprie nel linguaggio marittimo, e GRAN FODERO di munizioni da guerra, senza quei documenti imprescindibili per legge i doveri del capitano di un bastimento, addimandati carte di bordo.

Qui inattesa una prima digressione critica sul fatto della violenza sofferta dal capitano da parte dei ribelli, la quale si oppugna cogli accenni seguenti, promettendo lussuoso corredo di pruove nel prosieguo: Dalle due dichiarazioni dei capitani SITZIA e Bocci, dall'altra del cosi detto capitano di circostanza Giuseppe Daneri, e dalle deposizioni de' passeggiai e degli evasi da Ponza, raccolte dagli uffiziali dei legni predatori, a norma delle Ordinanze generali della Reale Marina, risulta che il capitano SITZIA non patì mai né patir polca l'assenta forza maggiore: ed egli, sin dal suo partire, direttamente navigava per Ponza, mentre dal Daneri e dagli altri si depone di essere stato dubbio, a mezzo del cammino, se vi fosse nelle tramogge del piroscafo provvigione sufficiente di carbon fossile per approdare all'isola precennata, e seguire il premeditalo disegno; o meglio si dovesse deviare per Cagliari o per l'isola di Montecristo, affine di rifornirsi di legna; che nel punto stesso il capitano SITZIA, mentre assume d’ignorare, perfettamente sapeva che le molte casse che trasportava eran piene di boccacci e di altre armi da guerra, di contrabbando, ed improprie ai bastimenti, e massime a' mercantili.

Narra lo storico che all'apparire del Cagliari a Ponza concorreano sulle sponde grandi tratte di persone gridanti le sediziose parole, viva la repubblica, viva la libertà, viva l’Italia, svelatrici del preordinato concerto cogli ospiti infesti; e che il SITZIA fu QUEGLI che entrava nel porto rompendo le leggi sanitarie, e che, pretestando guasti alla caldaja, spinse il capita. no del porto ed il pilota a recarsi sul piroscafo, dove furono violentemente trattenuti.

Narra che disbarcarono 25 de' 33 passeggieri, e con essi l'intero equipaggio meno i macchinisti, il che afferma innegabile, da che Acquarono e Mercurio, entrambi camerieri, disbarcarono aneli essi; il primo pugnò a terra, e rimase ferito; il secondo lo raccolse e lo ricondusse sul bordo; e questi poi combattette nella discesa a Sapri, fu ferito ed imprigionato.

Qui fa un altro rilievo critico, pel quale pretende che il SITZIA rimase tanto libero nel comando ch'esci dal porto, si pose in rada, e poi vi rientrò per raccogliere, e trasportare i rivoltosi in terra ferma, e che ben poteva avvertire il Real Governo del funesto accaduto dirigendosi a Gaeta dalla quale non era distante che per sole ore quattro di cammino.

Soggiugne che i disbarcati costituivano una banda di oltre a cinquanta persone di punto armate, e dispensatori di presso che dugento fucili.

Narra lo storico che, effettuato lo sbarco, il Cagliari in sulle undici della notte tra il 28 ed il 29 prendeva il largo della costa per compiere la sua missione; e che il SITZIA, preveggendo una possibile sorpresa, oltre alle dichiarazioni che avea già suggerite all’INTERO EQUIPAGGIO, crasi ancor provveduto di altra dichiarazione rilasciatagli da' capi della banda ribelle, per avvalorare ch’egli ed il suo equipaggio fossero stati costretti dalla forza a cedere il legno.

Narra che, pervenuta la nuova dell’avvenimento in Gaeta, le due Reali fregate il Tancredi e l’Ettore Fieramosca mossero a rintracciare il Cagliari; addita il corso che tennero, e come si offrì alla vista un Vapore che dirigeva per ponente, e come si venne in credenza fosse il battello ricercato, e come in certezza alle ore e mezzo del mattino del 29. Segue così: Allora le due Reali fregate, ordinate in completo zaffarancio di combattimento, diressero a tagliargli il cammino.

Il Cagliari facea tale una rotta all’O 26° N. che, abbandonando man mano la primiera direzione, ACCOSTAVA SULLA DRITTA, obbligando il Tancredi a fare altrettanto sulla sinistra, movimento che non isfuggì né al comandante di quel legno, né al retroammiraglio Cav. Roberti, il quale sul ponte disponeva le manovre, registrale nel giornale di navigazione del Tancredi; sicché al termine di questo inverso reciproco movimento de' due legni, il Tancredi alle ¾, tirato un colpo di cannone a palla, assicurava la bandiera del Re (N. S.), e chiamando all'ubbidienza il Cagliari, LO ARRESTAVA. Nel momento della giunzione, il Tancredi rilevava la punta Ovest di Capri per N. 15° O, alla distanza di un dieci miglia dalle bocche piccole per N. 8.° N. E miglia tredici in distanza, e dalla città di Salerno per N. 53° O, trenta miglia lontano. Innalberando il Tancredi, e l'Ettore Fieramosca la Reale bandiera, arrestavano la macchina, ed il Cagliari, GIÀ' SOTTO IL TIRO DELLE LORO ARTIGLIERIE, imbrogliando prontamente le vele, sì FERMÒ.

Narra che chiamato il SITZIA sul Tancredi, vi rimanea arrestato, e che, pertanto, il retroammiraglio disponea che il tenente Imbert avesse fatto una prima perquisizione sul piroscafo, al che l’uffiziale avendo adempiuto, vi sorprendea PIU' CASSE di armi improprie, una aperta con entro canne di fucili, e quindici fucili ancora carichi, una carabina, un boccaccio, due pistole, due baionette, ed una sciabla, disperse e nascose in più punti della coverta.

Narra del primo interrogatorio subito dal SITZIA sul Tancredi, e come da costai si affermasse esser diretto per Napoli nel fine di ragguagliare il Governo de' fatti occorsi, e, rimettendo ad altro luogo il combattere le asserzioni tutte del SITZIA, si ferma su quell'una di esser, con effetto, egli diretto per Napoli, oppugnando questa, e sostenendo, invece, di essere di ritorno a Ponza per rilevarvi altri malviventi, e recarli in Sapri a raggiugnere i compagni. Ma, mettendo anche a banda per poco un tale impegno, vi frappone un’altra digressione retrospettiva, e fa sostrato pure delle sue imputazioni al SITZIA che, divenuto libero in Ponza, dopo il disbarco de' ribelli, e CON POCHI della ciurma, trovarsi tuttavia IN NUMERO SUFFICIENTE per salpare se non altro per la propinqua Gaeta. Che, per contrario, il SITZIA riprese l'ancoraggio, cambiò sito per iscegliere ima posizione più logica meglio in rapporto cogli eventi, ai quali po tea dar luogo la sorte delle armi, e dalla quale, guardando il corso dalla costa, poter lasciare isola a suo talento, se per poco andasse fallito il piano della meditata rivoluzione.

Segue un altro rimprovero ed è questo, che se«davvero, il SITZIA avesse avuto il disegno che mentisce, avrebbe potuto indirizzarsi da Sapri alla vicina Salerno, sede pur cospicua di autorità governative.:

E dopo tutti cotali incidenti, passa il narratore a dimostrare coll'ajuto di una carta idrografica, per lui ordinata, e che alliga al volume della sua scrittura, che il battello del SITZIA non potea onninamente correr cammino per Napoli. Poniamo il Cagliariegli scrive, nel punto che risulta da' documenti legali, cessiamo dalle ipotesi, prolunghiamo la sua rotta di O 26° N, ed all'estremo di questo rombo fatale, troveremo non Gaeta, non Salerno, non Napoli, ma l'isola di Ponza, dove dovea aver termine il cammino del Cagliari, e la missione del SITZIA. Ed a sorreggere la impossibilità fisica dell'asserzione del SITZIA del suo viaggio da Sapri per Napoli, il narratore fa appello alle deposizioni raccolte in Sapri da' PRIGIONIERI ARRESTATI, onde il pieno accordo del SITZIA co' capi rivoltosi, e la perfetta intelligenza con Pisacane, Nicotera, Falcone; onde quella provvidenziale disposizione del SITZIA di far che si appiattassero bocconi per terra ed equipaggio e rivoltosi, nello scoprirsi da Ponza a Sapri un Vapore napolitano; onde quel distribuir del SITZIA le armi, confezionare e ripartire le cartucce, incoraggiar tutti,e andar ripetendo a voce sonora auguri e speranze. Ed ancora il narratore, a sorreggere quella impossibilità fisica, fa appello delle armi rinvenute sul Cagliari alla primiera visita fallavi, e di nuovo alle deposizioni de' rivoltosi prigionieri che indicavano daddovero il SITZIA come il più efficace cooperatore, come il solo che avea sempre tenuto il comando del bastimento, e da cui tutte le disposizioni erano partile. Ed a rendere, da ultimo, incrollabile quella impossibilità fisica, il Narratore vi sottopone il saldo puntello della deposizione di Salvatore Barberio, per la quale i rivoltosi promisero che si sarebbe effettuato il primo viaggio, e quindi si sarebbe ritornato a prendere gli altri.


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SOMMA

Della disamina critica degli avvenimenti secondo vi procede l’attrice

Si fa capo alla disamina del primo interrogatorio diretto al SITZIA dal. tenente d'Ayala Valva il dì 29 giugno. Si dice di radicale falsità il deposto di essere stato egli costretto a lasciare il comando per violenza di 25 tra' 33 passeggieri33 passeggieri, i quali fecero prigione tutto l'equipaggio. Si rileva che l'equipaggio era di 32 individui, e gli aggressori non eran che lo o 20, secondo le deposizioni del Corte del Bonomo: quindi impossibilità che i più soggiacessero a' meno, Altronde niuna pruova della forza maggiore subita, e l'agevolezza di respingere ogni attacco da parte de' marinai, montando su’ bastingaggi, sulle sarzie ed altrove, e nel tenebrore della notte opprimere, possenti ed inavvertiti, gl'inesperti nemici. prova quindi certa della niuna resistenza fatta, la quale sola esclude ogni idea di maggior forza. Né codardi, né imbelli i marinai del Cagliari, siccome mostrarono in Ponza i domestici Acquarone e Mercurio. Anche ammessa la violenza sul bordo, inammessibile l'esercizio della forza maggiore nella discesa all'isola di 20 sopra 32. Bastava la sola inerzia a non volersi armare, discendere e combattere: l’inerzia pe’ corpi è la prima forza repellente in natura. SI PUÒ SOPERCHIARE ALTRUI E METTERLO IN SOFFERENZA, MA NON SI PUÒ FAR MUOVERE ED OPERARE UNA PERSONA CHE È DECISAMENTE RENITENTE E RESTIA.

Si continua dando di mendacio l’asserzione apposta al SITZIA, che nel 27 giugno, presso all’arrivo a Ponza fu trasportalo sotto coverta e messo in un camerino. Si fa capitale all’uopo della deposizione del Daneri, là ove reca che nel dì 26, incontrato da prima un brigantino napolitano, e dappoi la squadra inglese, i capi della rivolta mandarono a basso tutto l'equipaggio del Vapore e pochi passeggieri, obbligandoli colla forza a rimanervi. Quindi si argomenta: delle due l'una, o il SITZIA davvero discese sotto coverta, e torna chiaro che non poteva né vedere né ascoltare quanto asserisce; o si trattenne sul bordo, E SAREBBE RIMASO SOLO E LIBERO SIN DAL PRIMO MOMENTO DELLA RIVOLTA.

Qui un passo in dietro, anzi molti, e si ritorna alla partenza da Genova per affermare che il SITZIA avesse in animo decisamente di mentire la sua destinazione per dirigersi difilato a Ponza, il che si desume dal suo deposto che a quell’isola il piroscafo dovea giungere dopo l'incontro di due barche ripiene di armi e di armati, incontro che dovea succedere nelle vicinanze di Sestri, e che si ailese indarno.

Si aggiugne che il SITZIA preconosceva anche le operazioni che doveano consumarsi in Ponza, il perché egli esprimea, e quindi si sarebbero diretti per l'isola di Ponza per liberare i presidiavi, il che niun altro degl'interrogati dichiarava, e però correo, partecipe dei criminosi progetti. Il diretto viaggio per Ponza, si prosegue, trovarsi niegato dal Daneri e dal Rocci, i quali pongono in mezzo la necessità di deviare per Montecristo onde legnare.

Ancora un’altra avvertenza nella pretesa contraddizione del SITZIA,. che dice trasferito il comando al Daneri, e di costui che confessa e nega nel tempo stesso, perocché amendue attribuiscono in massa ai ribelli il comando e la direzione del legno dalla sedizione a Ponza, scuse mal compre, ispirano a chi ben pensa l’impossibilità del fatto. E questa impossibilità si rafforza col mettere in veduta le difficoltà di tenere il comando nel volger della notte, onde escludere vieppiù che i ribelli lo assumessero, e la incompatibilità che da vari sediziosi il comando stesso in una volta si esercitasse tra i perigli di una navigazione in alto mare.

Si appone altro mendacio al SITZIA nell'asserzione,che tra le casse imbarcate vi fossero armi di lusso da consegnarsi in Tunisi, e che i ribelli rintracciando nel dì 27 in tutto il bastimento eransi di quelle armi impadroniti. Si desume il mendacio della prima parte di colai deposto,. dal che, interrogato esso il SITZIA dal tenente d’Ayala sul fatto che i rivoltosi avean rinvenuto sul bordo una quantità di boccacci, rispose, i detti boccacci erano rinchiusi nelle casse di armi destinate per Tunisi, e però si trae a fil di logica conoscere il SITZIA innanzi, che nelle casse non vi fossero armi di lusso. E poi si aggiugne che i ribelli non poteano antivedere la esistenza di armi in un battello mercantile, onde la conseguenza che il SITZIA ne facesse loro la manifestazione. Sulla seconda parte del deposto, si osserva esser dessa esclusa dalla dichiarazione dei ribelli rinvenuta nel portafogli del Pisacane. Questa, si fa marcare, esser segnala alle ore 12 di sera del 20 giugno, due ore e mezzo dopo la partita da Genova, due giorni prima del ritorno da Sapri. Confessano in quella i ribelli,di aver congiurato di impossessarsi del Cagliari; di aver ricercato sul legno, di aver scoperto le armi, di essersene impadroniti, e di aver deciso di morire per la causa della libertà. DUNQUE DAL PRIMO MOMENTO DELLA PARTENZA IL SITZIA RIFORNÌ LE ARMI, E POI NELLO STESSO MENTRE FECE VERGARE QUELLO ATTESTATO D'INNOCENZA. A raffermare la varietà dei tempi in cui sarebbe avvenuta la perquisizione delle armi, si pone innanzi che il Daneri ed il Rocci la riportano al venticinque o al ventisei, e qui una scappata sulla importanza della cennata dichiarazione dei ribelli onde dirla impotente a provare ha forza maggiore, la quale debbe risultare da fatti e detti estrinseci, e non dalle spontanee asserzioni delle immaginarie violenze.

Si continua con l'affermazione che tutto l'equipaggio del Cagliari prese parte alla guerra, il che si pruova col detto del SITZIA suggellato da quello del Daneri e del Rocci nel punto ove il primo dichiara che Finterò equipaggio fosse stato obbligalo a viva forza di sbarcare a terra; e poi nell’altro ove aggiugne che i rivoltosi imposero al mio equipaggio di mettere in mare tutte le imbarcazioni; e poi ancora nel seguito ove, discorrendo il ritorno da Sapri,dicea rimasero ancora a bordo tre rivoluzionari feriti, cioè il SOLITO Acquarone, Cori ed il Bonomo, il primo cameriere del Cagliari come si sa, il secondo ed il terzo nel numero dei ribelli. Dunque SITZIA spontaneamente li dice rivoluzionari; dunque bando a qualunque pruova in favore del Silzia.

Si passa ad un computo di numeri, ed all’uopo si rammenta che il SITZIA fa montare le persone imbarcate in Ponza o rimbarcate a 450, con che si conchiude che TUTTO L'EQUIPAGGIO prese parte e pugnò a Ponza, perocché quei 450 si componeano di 391 rilegati già militari e presidiarì, 25 dei 33 passeggieri, 30 dell’equipaggio, in una 446. Che poi l’equipaggio abbia combattuto in Ponza, si pretende confessato dal Silzia che dichiara essere restato solo a bordo, giacché l'intero equipaggio era stato obbligato di viva forza di sbarcare in terra con loro; e lo conferma il Rocci con le parole ci ordinarono di mettere in mare tutte le imbarcazioni, e dandoci le armi ci obbligarono di secondare i primi; e lo rafferma il Cori coi detti i quali obbligarono tutta la gente di bordo di calare armati a terra, io fui obbligato di tanto fare. E, da ultimo, il fa più lucido quel Mercurio il quale per la milluna volta si rammenta che era il compagno di Acquarone, ferito questo in Ponza, e quel desso, che disbarcò coi ribelli in Sapri, combatté a Padula, fu ferito nel primo fatto d'armi, e fu prigione dei vincitori. Dunque TUTTO o GRAN PARTE dell'equipaggio guerreggiò non pure a Ponza, ma benanche a PADULA e SANZA.

S’invoca ripetutamente l’interrogatorio al SITZIA del. 29 giugno, e si fa appello altresì a quello del 3 luglio, e del primo si reca la risposta in questi termini: Era rimasto solo a bordo con quei pochi passeggieri neutrali, giacché l’intero equipaggio era storto obbligato a viva forza di sbarcare a terra, confessione che si dice ripetuta dall'altra risposta resa, di cui si sopprimono le. parole, all’inchiesta del seconda interrogatorio fatta così: Quando i rivoltosi sono sbarcati a Ponza, perché non avete tentato di uscire dal porto, e venire ad avvertire nel continente? E da questo per la centesima fiata s’induce la libertà del SITZIA, della quale vuoisi faccian fede anche Antonio Roberti, pilota della Real Marina comandante la scorridoja di Ponza, e con lui Giovanni Colonna pilota pratico colà. Amendue costoro depongono, si scrive, e più il pilota pratico Roberti assicura «che il legno si avvicinò alla bocca del porto, ma poi retrocedette, e quindi ritornò alla rada ove lo rinvenne ancorato; che non vide altri che il capitano di cui ha parlato esercitare il comando marino; che avvertì che il Vapore era uscito dal porto, e poi rientrò fino alla batteria di Leopoldo, ritornando sul punto stesso: che le mosse del capitano si non facevano addivedere che avesse avuto relaziono coi ribaldi, ma diceva che era stato ingannato; ma che essendo uscito fuori del porto, non vi era alcuno che lo avesse potuto trattenere; che vide sul legno armi, ma non vide gente armata, sebbene vi fosse qualche persona; che durante il tempo che fu trattenuto sul legno, i comandi alla ciurma si davano, e la direzione era portala da quel capitano che gli disse di essere stato ingannalo, né vi era altri che avesse avuto esercizio di comando....»

Si lascia alla pur fine Ponza, e non si esita a dar per fermo che la stessa piena ed assoluta potestà di comando che serbò il SITZIA fino all'arrivo in quell’isola ritenne dopo la partenza ì del che si fa pruova lampantissima colla testimonianza di Eugenio Lombardi, ed in vero questi depone che «il generalissimo della banda (Pisacane) accompagnato dal comandante del Vapore, col quale stava in perfettismo accordo, e che potrei benissimo indicarlo, incominciarono ad aprire delle casse di armi, distribuendole a tutti, TRANNE CHE IO CHE NON NE VOLLI ACCETTARE, accusando la mia infermità; dippiù lo stesso capitano del Vapore somministrò della polvere, che sotto della sua direzione si ridusse a cartucce. Vidi poi che a bordo vi erano tre feriti, e tre morti, i quali dal capitano del legno furono gittati a mare appena allontanatici da Ponza. Debbo l'aggiungervi pure che lo stesso capitano del legno, la mattina del 28, scorgendo da lontano un altro Vapore, che lui supponea esser da guerra, con bandiera napoletana, ci obbligò a nasconderci tutti, onde liberamente seguire la sua rotta. Fece inoltre occultare i suoi camerieri, e chiudere la portelleria. Il punto del disbarco, mi si disse, essere stato prossimo sopra la strada del Cilento, ed il punto di riunione co’ calabresi, Campotenese.»

Segue la trascrizione del verbale del secondo interrogatorio al Lombardi in presenza del capitano SITZIA. A noi pure torna acconcio il riportarlo per lettera.

«Ci abbiamo fatto venire alla nostra presenza il comandante suddetto il SITZIA, e posto in mezzo ad altri individui, lo abbiamo fatto riconoscere colle seguenti domande:

«D. Ditemi voi, Eugenio Lombardi, chi fra questi è il comandante del Cagliari?

«R. Signore, il comandante del Cagliari è questi (nel così dire ha effettivamente indicato il capitano del Cagliari D. ANTIOCO SITZIA).

«D. Diteci voi adesso, Eugenio Lombardi, IN SEGUITO SEMPRE DELLA VOSTRA PRIMA DICHIARAZIONE, fu egli il sig. D. Antioco SITZIA che in Ponza, allorché voi ne fuggiste, che imbarcò tre morti?

«R. Sì signore.

«D. Fu egli, il signor Antioco SITZIA, SECONDO LA VOSTRA ANTECEDENTE DICHIARAZIONE che, unito al capo detto vostro generale, che apriva delle casse di armi, facendone la distribuzione?

«R. Sì signore.

«D. Fu egli, il signor SITZIA, che ora vi sta innanzi che, cacciando della polvere, la ridusse in cartucce, e quindi ne fece somministrazione alla vostra banda?

«R. Sì signore.

«D. Fu egli, il signor Antioco SITZIA, che ora vi sta innanzi, mentre navigavate, nello scorgere un Vapore da lontano, vi fece tutti abbassare, e nascondere, onde libero proseguire la sua rotta?

«R. Sì signore.

«D. Avete da aggiungere altro, ora che vi sta innanzi il signor Antioco SITZIA, circa la sua condotta tenuta a bordo del Cagliari, da lui comandato?

«R. Signore, oltre alle cennate cose, dico che tra lui ed il generale passava un perfettissimo accordo.

«D. Avete altro da aggiungere, o togliere a questo atto di ricognizione?

«R. Niente altro ho da aggiugnere, o togliere essendo questa la verità.

Da cotali dichiarazioni del Lombardi, e dal riconoscimento fatto per costui del SITZIA, si deriva che le altre dichiarazioni de' dieci rilegati di Ponza, evasi, disbarcati in Sapri, e quivi arrestati ed esaminali nel processo di bordo, nulla più lascino a dubitare che le loro precise indicazioni colpiscano appunto la persona di quell'operoso comandante. Che Salvatore Barberio, e Carlo Lafalo riconoscono, come il Lombardi, la persona del SITZIA, e nel resto concordano col Lombardi medesimo, Vincenzo Paparo, Francesco Gallo, Filippo Conte, Pasquale Battista, Michele Milano, Michelangelo Marta, e Vito Luigi Cofano; fortificano le stesse cose, e raffermano il deposto del Lombardi.

Segue, e pon fine a' carichi ond'è aggravato il SITZIA, quest'altro, che fosse egli legato coi rivoltosi da stretti vincoli di antica simpatia ed amicizia, il che si mostra vero col fatto che nel portafogli nel quale egli custodiva le carte di bordo, e che si ritrovò nella sua camera erari il certificalo di permanenza (carta di soggiorno) rilasciata il 10 marzo 1853 dal questore di Torino a Giovanni Nicotera, quel desso che fu uno de' più caldi ribelli, e colonnello delle squadre bellicosa discese in Sapri, e poi belligeranti in Padula, ed in Sanza.

E come se il SITZIA non avesse altro scampo alla sua salvazione, si aggiugne non doversi tener conto alcuno del suo giornale di navigazione, che faceva scrivere con scaltrito disegno, affine di pretessere e preparare una sfuggila opportuna alla imputazione di cotanto misfatto.

Sospesi qui, mal dicevamo esauriti i carichi del SITZIA, si frappone un’analisi del valore delle diverse deposizioni degli esaminali, e ne giugne inatteso che vi fosse un equipaggio, e de' passeggimi che anche subirono degl'interrogatori; ma non giova la deposizione dell'equipaggio a vantaggio del capitano. Non giovano le deposizioni dei passeggieri. Pregiudicano il capitano SITZIA le deposizioni DEI RILEGATI DI PONZA.

1° Non giova la deposizione dell'equipaggio primamente perché, tutti marinari si rimettono alla lettera ed in massa al deposto di Francesco Mascarò. È. questi un viaggiatore sospetto: medico e chirurgo si professò possidente nel passaporto. Comincia la deposizione affettando sentenze morali. Scende ad accennare confusamente, e non senza contraddizione,maraviglioso e male immaginata sommossa dei pochi passeggieri sul Cagliari. Non è testimone di vista.

E cosi rimane abbattuta la sua testimonianza, e con questa l’eco uniforme di tutto l’equipaggio, perché in legge, come in ragione, non esiste né può esistere negli uomini LA IDENTICA CREAZIONE DE' PENSIERI, e OMONIMA ESPRESSIONE DELLE PAROLE, il che si applica a quel tritissimo vero che, non meritino fede quei molti testimoni che depongano colle medesime proprie parole. Rimane poi abbattuto quell’eco uniforme per altra ragione, ed è che viene dall'equipaggio compromesso tutto o la maggior parte, e NULLUS IDONEUS TESTIS IN RE SUA INTELLIGITUR.

Non giovano quindi al SITZIA le deposizioni del Cori e del Bonomo, perché correi e feriti fra' tre rimasi sul bordo.

2.° Non giovano le deposizioni de' passeggieri, perché i sette rimasi neutrali non fiderò nella notte ilei 26 giugno, nella quale vuoisi far credere successo il tumulto, ma sibbene APPRESERO DA ALTRI l'accaduto; e perché niente potevano vedere, tra perché la notte Io impediva, e perché non si trovavano a prua, dove si asserisce di essersi praticata la violenza al capitano; e perché quei pochi forestieri, alieni per natura, e per deliberalo consiglio a qualunque disordine, REGOLARMENTE non attesero AVVERTITAMENTE a quei simulati trambusti generatori di quelle asserle macchinazioni. ESSI HAN RIPETUTO TUTTOCIÒ CHE CONFUSAMENTE, E TRA LE TENEBRE DELLA NOTTE, APPRESERO DA ALTRI.

3.° Pregiudicano, invece, il capitano SITZIA le deposizioni de' rilegati di Ponza] perché, mescolati a’ ribelli, messi nella condizione di udire e di vedere tutt'i discorsi e lutti gli avvenimenti da Ponza a Sapri, le deposizioni de' dieci rilegati sono le più credibili, sia PER LA CONDIZIONE DELLE PERSONE, sia pel CONCORSO DELLE CAUSE MORALI e della opportunità di tempo, di luogo, e di modo che raccomandano il dello di quei dieci, alla cui testa è quell'Eugenio Lombardi. Sono poi le deposizioni medesime valide ed efficaci per legge, non solo in un'lustrazione militare instantanea, ed AMMINISTRATIVA, ma in solenne giudizio di qualsiesi natura. Lo sono perché l’articolo 17 delle leggi penali toglie a' condannati ai ferri il deporre in giudizio, noi toglie a' condannali alla rilegazione, ed il divieto potrà forse derivare da una pena maggiore che loro sarà inflitta per la evasione, e pei reati commessi dopo questa.

Esaurita in tal guisa l’analisi delle deposizioni, eccone da capo su’ carichi del SITZIA, e da capo sul ritorno del Cagliari da Sapri. Quindi che si avviava per raggiugnere anche una volta Ponza, e non per venire a Napoli; quindi ripetute le stesse argomentazioni. Si aggiunge, non però, che se con fumo di dubbio si cercasse ad oscurare la luce di questo vero, ei sarebbe dileguato dal chiarore di un documento rinvenuto nel portafogli del Pisacane, il piano della campagna. All’uopo si fa scaturire dalle pruove compiute che più battelli abbisognavano all’impresa, non uno; si che il Cagliari dovea incontrare ne’ paraggi di Sestri una o due barche onuste di armi ed uomini. Lo sforzo era troppo per la sola Ponza, ed era scarso per tutte le isole di pena che vi stanno vicine, e poi quel documento del Pisacane attesta che non pure i molti rilegali e gli assai più soldati doveano far parte delle schiere ribelli, ma anche i moltissimi servi di pena trattenuti in quelle isole. Mancati gli ajuti, sorse la necessità che il solo Cagliari accorresse a tutte le esigenze, e però da Sapri risalpava per Ponza per vuotarvi le prigioni, e le custodie. E basta leggere il riadditato documento, e si rimarrà convinti dell’intima persuasione de' rivoltosi di essere il Cagliari un LEGNO LORO PROPRIO: tanto erano fermati gli accordi con RUBATTINO, e con SITZIA. Infatti il Pisacane tra tutte le sue preveggenze, non gli gira pel capo alcun sospetto relativamente al niego dell'uso del piroscafo.

Un estremo argomento. La Real fregata il Ruggiero, spedita dal Governo a Ponza, non sì tosto si apprese l’abbominato caso, era presso a quell’isola. Scambiata questa col Cagliari, si ridestarono impetuosamente le sospese per poco concitazioni di ribellione e di guerra. I faziosi concorsero a folle frotte; proruppero nelle usate grida sediziose; gioirono di lusinghiera speranza, ogni casa fu agitala, e commossa. Tutto finì quando si riconobbe il Ruggiero. Bravi adunque un accordo preordinato tra il SITZIA, ed i ribelli.


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CONFUTAZIONE

Della storia degli avvenimenti, e della loro disamina critica

Siamo stati lungamente in forse, se dar forma a questo nostro lavoro in fatto combattendo la scritta contraria brano per brano, anziché, senza nulla tralasciare, disporre in guisa le nostre osservazioni da coordinarle col successo degli avvenimenti, e colle pruove che vi rispondono. Il primo metodo, comeché più stringente, ne avrebbe fatto incorrere in mille ritorni e ripetizioni, che anzi non avremmo potuto compiere un argomento solo senza richiamarvi altri cento, e ripigliarlo poi molte fiate. Ci atteniamo, adunque, al secondo, e verseremo complessivamente sulla storia e sulla disamina.

I periodi saranno divisi:

I. PARTENZA DA GENOVA. — II. PARTENZA DA PONZA. — III. PARTENZA DA SAPR I .

Comprenderemo così quanto seguì nel malaugurato viaggio, e nelle soste ch'ebbe a fare il battello sino all'incontro delle Regie navi.


PRIMO PERIODO

Partenza del Cagliari da Genova — Precedenti, e sussegnenti al suo viaggio ed all’arrivo in Ponza

I

«Se fosse dato di penetrare addentro nel bujo misterioso, nel quale si ordiscono le trame efficaci per operare i civili rivolgimenti,chiaro si scorgerebbe che sin da gran tempo ricorreano preliminari di accordo tra gli esuli ribelli del Reame delle due Sicilie con altri rivoltosi di nazioni diverse; che tali accordi necessitavano, per attuarsi, di armi, di danajo, di mezzi di trasporlo; che il fine unico di tanti moti, e di tante sollecitudini era sommergere quasi tutta Italia ne’ precipizi di una guerra civile, rovesciando e distruggendone le legittime Sovranità, alle quali la Provvidenza ha fatto avventuroso mandato di reggere i dentini e di procurare la felicità de' popoli; che la COMPAGNIA RUBATTINO di Genova era il centro delle speranze de' faziosi, ed il necessario instrumento per eseguire l’orrendo disegno, da che, a prezzo convenuto, e col rimerito di lucri vistosi, prestar dovea i suoi piroscafi per compiere l'impresa; che veramente furon composti, e fermati i patti, pe’ quali, non pure il Cagliari dovea essere adoperato al bisogno,e che per fortuna fu solo, certo perché mancò il denajo alle esigenze del RUBATTINO; che mesi innanzi, e poi nel corso del giugno dell’anno che volge, il precennato piroscafo fece continui viaggi, e trasportò in diversi siti e città quantità quasi innumerevole «di armi da guerra.

«Ma poiché non si può intravedere nelle folte tenebre delle cospirazioni; rompendo il filo delle DIVINAZIONI, comunque probabili ed accreditate, passiamo alla fedele narrazione ecc.

Sono queste le parole colle quali il nostro contraddittore dà cominciamento a quella ch'egli intitola storia degli avvenimenti.

Noi non sapremmo se da gran tempo, o da poco alcuni emigrali del regno, in accordo con esuli di altre nazioni, volgessero ne’ loro funesti pensieri l'ultima ruina nostra: il disegno infernale parne indubitato dopo il fatto, e nulla mostra meglio la follia e la perversità de' congiurati che lo scarso numero; e nulla potrebbe dar carattere più scolpito alla impresa che i fautori che si ebbe tra noi, e le opere alle quali se ne raccomandò il successo.

In questo non veggiamo che il nostro avversario abbia mestieri di affaticarsi per penetrare nel bufo delle trame, ma quando vuol ricercarvi la compagnia Rubattino, allora noi gli diciamo che non perverrà mai a raggiugnerla perché gli manca la fiaccola del vero.

Infinger la penna nel fiele solo per farne scaturire una divinazione, egli è il peggio, è un. errore.

La compagnia Rubattino centro ed instrumenio per distruggere tutte le Sovranità legittime; che fa traffico cogli anarchisti, in odio ora a tutta Europa, de' suoi molti navigli; che va dispensiera con questi alle città d’innumerevole quantità di armi da guerra; e che i Governi di Europa svegliati, come ora stanno, lascino sussistere e prosperare, egli è un concetto che può solo albergare in coloro che sanno occuparsi di divinazioni.

E solo nella impossibilità di crear fatti non veri, noi ravviseremo il perché lo storico si tramuti in indovino, e gli diremo, ancora, che peggio non potè a apporsi.

Gli diremo che la compagnia Ruhattino, comeché risegga in città che si governa con leggi, le quali tollerano si dia ricovero alla emigrazione, vi è rimarchevole per composta condotta ed aliena da pensieri di politica; vi è mal gradita, per lo meno, alla setta radicale; onorata e distinta, invece, nel suo direttore da' contrassegni della grazia piena del suo Sovrano.

Gli diremo che la G. C. criminale di Salerno, la quale procede sopra fatti e non sopra divinazioni, non ha potuto sospettarla colpevole; ché anzi il Proccurator generale non ha richiesto neppure di sommetterla all’accusa.

E gli diremo, da ultimo, e bastava questo solo, che gli uomini, come il Ruhattino, preposti ad un vasto stabilimento commerciale, che vuol terra e mare in pace per alimentarsi, non possono esser gli amici de' berretti rossi; e perché il fosse il Rubattino, ei bisognerebbe prima che impazzasse, lasciando di essere, quale davvero è in contrario, savissimo.

Ma egli è tempo, oramai, da mettere in disparte le parole, e venirne ai fatti.


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II

Non apparente, ma reate e vera fu la missione del piroscafo per Tunisi, toccando Cagliari di Sardegna. Era questo uno de' viaggi periodici postali di quel battello, annunziato in Genova coi consueti avvisi, sì per modo che otto passeggieri innocenti vi prendeano imbarco. E ne darebbe pruova indubitata, se di pruova abbisognasse un vero evidente, il carico dello stesso naviglio, del che depongono con ampiezza le carte rinvenute a bordo.

Noi non abbiamo altramente contezza di cotali carte, se non per un estratto che ne facea il segretario della G. C. criminale di Salerno, preso dal processo penale che vi si è compilato. L’estratto era intimato dall'attrice, ma invece di contenere per intera lettera ciascuna carta, non ne rende, per la massima parte, che la sola epigrafe o intestazione, e per talune un monco cenno in pochissime parole. Nondimeno, in questa qualsiesi menzione troviamo registrate le polizze per una quantità svariata di mercatanzie che inviavansi altre a Cagliari, altre a Tunisi, reclamate di seguito da' proprietari. E vi troviamo registrato un infinito numero di lettere tra quelle di cui i capitani di Vapori sogliono direttamente assumere il ricapito, e le altre consegnate dall'autorità governativa della posta di Genova. Tra le prime ve ne ha molte del Rubattinó stesso spedite a Cagliari ed a Tunisi, sia risguardanti propri affari, sia quelli della compagnia in urgente corso.

Ma tutto questo, dirà, certo, il nostro avversario e un nonnulla: sembianze mentite. Noi lasciamo a' lettori imparziali il vagliare se vi ha mente umana sì travolta da accogliere che il Rubattino s’impegnasse in una impresa che ritenea, non fosse altro, di tanto risico da accorrere al riparo con simiglianti preveggenze!

Quel medesimo Rubattino cotanto solerte, diviene di colpo il più improvvido uomo, e con lui il capitano del suo naviglio, ed improvvidi a segno, da offrire e nell'equipaggio, e ne’ passeggieri ammessi, i primi sospetti. Dieci de' passeggieri aveano mentilo i loro nomi, altri la condizione: nove dell'equipaggio erano sforniti di passi e di libretti, tra i quali i più interessanti. È questa una delle accuse più formidabili quanto alla mossa da Genova: esaminiamola.

Lo stato de' passeggieri era inviato dal Rubattino al console di Sua Maestà il Re nostro (D. G.) in Genova colla lettera per lui indirittagli il 2 luglio. L’attrice intima la lettera, ma non lo stato. Tra le carte rinvenuto sul bordo è mentovato lo stato de’ passeggieri al numero di 33 senz’altro. Però la stringente necessità per noi di farne rilasciare dalle competenti Autorità pubbliche in Genova quello stato onde esibirlo compiuto di tutte le indicazioni, quale era presentato innanzi la partenza alle prefate Autorità, e quale qui in piè di pagina il riportiamo (1).

(1) GENOVA LI 25 GIUGNO 1851

STATO NOMINATIVO dei Passeggieri imbarcati sul Pacchetto a Vapore partito da Genova il detto per Tunisi toccando Cagliari.
Porto d’imbarco Nomi e cognoni Età’ Nazione Condizione Destino Osservazioni
1 Genova Daneri Giuseppe » Sardo Cap. marittimo Cagliari
1 » Copici Luigi » » Bottaio »
1 » Battifora Tommaso » » Pizzicagnolo »
1 » Bornioli Ferdinando » » Vetraio »
1 » Bonomi Amilcare » Austriaco Lavorante » Nulla risulta.
1 » Pisacane Carlo » Napolitano Possidente » Vistato la carta di permanenza per Cagliari.
1 » Giannoni Lorenzo » Sardo Marinaio »
1 » Poggi Gaetano » » » »
1 » Poggi Felice » » » »
1 » Barbieri Luigi » » » »
1 » Nudusei Francesco » » » »
1 » Rolla Domenico » » » »
1 » Porro Domenico » » » »
1 » Landini Cesare » » » »
1 » Risso Antonio » » Falegname »
1 » Bruno Giacomo » » Intagliatore »
1 » Nicotera Giovanni » Napolitano Avvocato » Vistato la carta di permanenza per Cagliari.
2 » Mascarò Giuseppe » Spagnuolo Possidente Tunisi Con moglie munito di passaporto regolare dato a Tunisi da quel console Spagnuolo li 12 maggio 1867, e visato per Tunisi il 25 giugno 1857. Munito di regolare passaporto dato da questo console Romano il giugno 1857 e visato a Tunisi.
1 » Peruci Achille » Romano Marinaio »
1 » Mazzoni Domenico » » » »
1 » Cori Cesare » » » »
1 » Negroni Conte Ludovico » » Possidente » Con passaporto da Orvieto da quel Governo, il 24 aprile 1857, e visato per Tunisi il 24 giugno 1857.
1 » Venturino Carlo » Sardo » » Con passaporto dato a Londra dal console Sardo li settembre 1856,e visato per Tunisi il 24 giugno 1857.
1 » Camillucci Gioanni » Romano Marinaio » Con passaporto da questo console Romano li 10 giugno 1857, e visato il 25 detto per Tunisi.
1 » Solari Filippo » Sardo Maestro di lingue » Con passaporto dato a Genova dalla Intendenza Generale il 20 agosto 1856, e visato a Tunisi il giugno 1857.
1 » Galli Michele » Toscano Bracciante » Con passaporto dal governo di Livorno il 30 marzo 1855, e visato il 25 giugno 1857 per Tunisi.
1 » Schneider Giovanni » Prussiano Possidente » Con passaporto dato a Coln da quel Governo il 2 marzo 1857, e visato il 25 giugno per Tu
1 » Mò Eligio » Sardo Verniciatore » Con passaporto dato a Torino il 2 gìugno 1857, e visato per Tunisi il 25 giugno 1857.
1 » Donadei Vincenzo » » Sellaio » »
1 » Durando Gioanni » » Garzone » Con passaporto dato a Torino il 24 giugno 1857, e visato il 25 giugno per Tunisi.
1 » Luchi Giuseppe » Toscano Bracciante » Con passaporto di questo console Toscano dato li 4 maggio 1857,e visato per Tunisi il giugno 1857.
1 » Moreu Enrico » Sardo Commesso » Con passaporto dato a Genova 11 8 febbraio 1857, e visato il 25 giugno per Tunisi.

N. B. Per i nazionali diretti a Cagliari non si è vidimata alcuna carta non essendo ciò necessario per la destinazione della Sardegna.

Errata Corrige. Il Bonomi Amilcare da Milano otteneva il 25 giugno 1857 il libretto di scorta a Milano il 21 agosto 1855 per Cagliari.

Visto e approvato
Genova 24 novembre 1857.
L’Assessore capo
Ramognini.
N. 234.
Genova 24 novembre 1857.
Visto all'Intendenza Generale in Genova per legalizzazione della firma dicente
Ramognini.
L’Intendente Delegato del Ministero Esteri
Della Marmora.
N. 207. R.° B.
Genova 25 novembre 1857.
Visto, buono per la legalizzazione della qui controscritta firma del sig. della Marmora
Intendente Generale della Divisione Amministrativa
Il Console Generale
Ippolito G arroti.

È egli mai da supporre, che il nostro avversario non abbia curato di apprendere le pratiche a compiersi da' proprietari o da' capitani di legni da commercio nel darsi l’imbarco a' passeggieri che il domandino? E se non è da ammetter questo, di quale appicco ei va in traccia co’ mentiti nomi, e colle mentile condizioni In Napoli, come in Genova, come altrove, ogni persona che vuole esser del viaggio, e prenderne la carta, esibisce il suo passaporto: il proprietario del bastimento fa di tutti i richiedenti quello che dicesi stato de' passeggieri che, unitamente a' passaporti, presenta all’autorità governativa marittima per ottenerne il vidimato. A questo adempiuto, ogni risponsabilità rimane coverta. Or se nel caso in proposito, certo, il Rubattino non mancò a cotale suo obbligo; e se, non a sua giustificazione ché, nell'esistenza del vidimato, niun’altra se ne richiede, lo stato per lui esibito mostra che i passeggieri eran muniti di regolari ricapiti, come egli scrivea al console nella cennata sua lettera; che montino, non sappiamo vedere, i nomi mentiti, e le condizioni. Fosse anche vero il fatto, da noi neppure indagato, qual colpa nella compagnia se le àutorilà liguri non costatavano la identità delle persone nel rilasciare i passaporti? É qual mai colpa ed in chi se le leggi nel Piemonte non esigono che i nazionali sien provveduti di passaporti nelle loro andate entro i confini del regno come era quella per Cagliari? E qual colpa nel Rubattino se nella città ove risiede la sua compagnia, tenean dimora i Pisacane e simili, per modo da non poter loro negare il transito co’ suoi piroscafi?

Né a migliore addentellato si affida il nostro avversano, quando, da' passeggieri venendo all'equipaggio, ei rileva che a nove individui tra coloro che il compdueano mancassero i così detti libretti o passi, e che tra costoro vi fossero i camerieri, il cuoco, macchinisti, il pilota. Noi non sapremmo affermare se l’avversario nostro ignori davvero la portata di simiglianti futilità, o pretenda sorprender noi nella ignoranza. In questa seconda ipotesi, ei non s’appone, perocché noi conosciamo perfettamente che i libretti ed i passi della gente di un bastimento sono una e non due carte, e che il libretto o passo vai quanto vale nel patrio linguaggio marino la matricola. E conosciamo in qual maniera si formino da' capitani di mare i ruoli di equipaggio per rassegnarli alle autorità marittime. Siffatti ruoli si compongono della ciurma propriamente detta, e delle altre persone che non lo sono, e che pure si addicono al servigio del naviglio, come camerieri, cuochi ed anche macchinisti pe’ Vapori. Conosciamo che, nell’esibirsi il ruolo dell'equipaggio per questi ultimi, si richiede la presentazione de' passaporti, qui in Napoli per ogni viaggio, in Genova e più comunemente a capo di sei mesi una volta, a più lungo o a più corto periodo, bastando nel corso di questo la reiterata esibizione del solo ruolo di equipaggio. E sappiamo, da ultimo, che alla ciurma propriamente detta si dà il libretto o passo, o altramente la matricola che alle altre persone dell'equipaggio non si dà. Riportiamo in piè di pagina le disposizioni del nostro decreto del l.° agosto 1816 sulla navigazione mercantile, comuni pressoché a quelle di altri reami (2).

Premesso questo vero notissimo, suppongasi che tutto l’equipaggio, e non solo nove individui non fossero stati muniti di libretti o passi, e che il cuoco, i camerieri, i macchinisti avessero pur dovuto esserne provveduti, a che la mancanza? Il ruolo delV equipaggio era dal Rubattino inviato al console; il ruolo dell'equipaggio rinveniasi a bordo del piroscafo come dal reperto delle carte: dunque Rubattino o SITZIA lo aveano esibito alla legittima autorità, e questa avealo vidimato perché in regola, perché consono a quelli de' precedenti viaggi. Dunque la ciurma avea i suoi libretti o passi; e dunque le altre persone dell’equipaggio aveano adempito alla presentazione de' passaporti. Il ruolo dell'equipaggio garentiva il capitano nella sua navigazione all’estero, col vidimato ultimo del console della nazione presso la quale ei s’indirizzava, ed ogni difetto di adempimento nel formarlo rimanea nelle relazioni del proprietario o del capitano col proprio governo. Il ruolo dell'equipaggio trovato a bordo del Cagliari avea l’ultimo visto del console della data di Genova del 2 giugno per la partenza per Tunisi, di 30 persone di equipaggio, parole queste che il segretario della G. C. criminale di Salerno lasciava cader dalla penna.

Che si viene, adunque, le miriadi di volte a ridirne di questi libretti o passi? Noi dovevamo non però subire tutta questa pena di rispondervi, perocché se ne fossimo appagati di opporre che i libretti o passi di coloro che ne eran premuniti andaron dispersi in quell'inferno che si accese sul Cagliari, il nostro avversario ne avrebbe schiuso un sorriso d'incredulità. E ben potevamo dirglielo perché, con effetto, alcuni de' libretti o passi, ed anche qualche passaporto lasciati in Genova, o rintracciati dappoi nelle vesti de' componenti l'equipaggio, si son per noi prodotti negli atti.


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III

Eccone a materia assai più grave, e ad un’accusa davvero tremenda. E il SITZIA che imbarca gran numero di casse ripiene di armi IMPROPRIE, ma… nel linguaggio marittimo, e gran fodero di munizioni da guerra senza quei documenti imprescindibili per legge ai doveri del capitano di un bastimento addimandati carte di bordo.

Anche lasciando da banda quel gran fodero di munizioni da guerra che pone sul piroscafo il desiderio del nostro avversario, e che non sono, certo, le cartucce onde eran carichi nelle tasche i ribelli Imbarcati, il gran numero di casse di armi schiaccia per sé solo il SITZIA se trasportavate senza i documenti imprescindibili, ma egli è così se noi non abbiamo occhi per leggere: leggano, adunque, con noi i nostri lettori una carta ch'è nel reperto del bordo:

«AUTORIZZAZIONI PARTICOLARI DEGLI OGGETTI DI CONTRABBANDO, E DI GUERRA

«Genova, 2 giugno 1837. Ha caricato col nome di Dio a buon salvamento in questo porto di Genova Giuseppe Fabiani, quondam Michele, per conto e rischio di chi spetti sotto coperta del piroscafo nominato Cagliari, comandato dal capitano Antioco a SITZIA sardo, le sotto mercate mercanzie asciutte, intiere, ben condizionale, e numerale, come in margine, (BE. CF armi 449. 1471 eh. 974) per essere condotte in questo presente viaggio nella stessa condizione in Tunisi, e consegnarle al sig. Paolo Gassanello contro il nolo di niente affatto, l'essendo il tutto qui stato pagato, ed in obbligazione di ciò il suddetto capitano ha firmata questa con altre simili, da valere ad un solo effetto. Dio l'accompagni in salvamento.

«Dico CASSE sette mercate e numerate come in a margine, contenenti armi in tutta buona condizione, a ed in peso CHILOGRAMMI novecentosettantaquattro Giuseppe Fabiani, quondam Michele — Domenico Bacigalupi cancelliere — Buono per imbarco — VISCONTI — Per Copia conforme — Il della Procura generale Maglialiarca — Visto il Proccuratore generale Pacifico».

Non sapremmo renderne ragione del come l'attrice, che mancava di produrre tanti altri documenti essenziali sol perché non la favorivano, intimalo abbia quello per noi trascritto, meno che non vi sia stata indotta dal voler mostrar vero che sul Cagliari s’imbarcavano, con effetto, sette casse di armi. Ma se ella questo scopo raggiugnea, scrollava altronde dalla base principalissima tutto il congegnalo edifizio, perocché, e noi non avremmo neppur mestieri di additarlo, se il cennato documento non lascia più in forse l’invio delle armi, assolve senz’altro il capitano e la compagnia di aver tolto l’incarico di recarle alla loro destinazione. La polizza di carico in piena regola, l’autorizzazione del Governo per assumerne il trasporlo, esonerano appieno e la compagnia ed il capitano, e fanno venir nel dovere l’attrice di pruovare che quell’invio di armi per Tunisi era mentito, e che collusi fossero all’uopo e capitano e compagnia, e caricante e destinatario; che, insomma, la polizza di carico fosse tutta una carta simulala, il che l'attrice non ha osalo neppur di asserire, se togli che abbia detto essere il capitano per quelle armi senza i documenti imprescindibili addimandati carte di bordo, il che come vada insieme colla intimazione della polizza di carico, il comprenda chi può, noi noi sappiamo in modo niuno: e sembrane il darsi da sé colla scure su’ piedi in un fatto, che, stando nel preciso contrario, fa cader di polso almeno una metà della scritta avversa, e raccomanda assai male l'altra.

Sono queste, che abbiamo discorse, tutte le imputazioni che risguardano la mossa del Cagliari dal por to di Genova, né altre ve ne ha; e vedremo come si attenga la promessa che nella scritta per la Real Marina leggiamo a pagina 24 con queste parole: Utile carte rinvenute a bordo del piroscafo il Cagliari, nel momento del suo arresto, registrate e descritte nel legale inventario, compilato dalle autorità competenti, LUCIDAMENTE si raccoglie che il capitano SITZIA navigava sfornito di quasi tutti i documenti ne cessar!, SICCOME a suo LUOGO RILEVEREMO. Ma questa ma mera di attacco è davvero condannevole, e sdegna ogni decoro di difesa. Noi, promettendo per attene re, mostreremo in reattà, che l’autore della scritta promettea per non potere adempiere né in atto, né dopo.


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IV

Giungiamo al punto vitalissimo della nostra disamina, a quello in cui il piroscafo cadde in balia dei ribelli. Consentì volonteroso il capitano, o fa sforzato insieme all’equipaggio dalla violenza di coloro? Dubbio egli è questo che, certo, va sciolto con elementi svariati e molti da attingersi in quanto avveniva prima che il capitano, secondo egli assume, non fosse svestito del comando, e dopo che il sarebbe stato; ma sovrattutto in quanto si allega avvenuto nel momento stesso nel quale la violenza avrebbe avuto principio.

Il nostro avversario che non ha né il prima né il dopo, né il mentre per sé, confonde ad arte i tempi, e, senza avvantaggiarne il suo assunto, riesce almeno a lasciarli un tal misto d’idee disparate ed incomplete, che non sai più ove sia il bandolo della matassa che t’intriga. Però facciamone noi a mostrarlo.

Né il possiamo altramente, ed in prima, che col deposto delle persone che ne sarebbero state testimoni, salvo a vagliare il vero delle loro deposizioni.

cotali persone van collocale in tre categorie: il capitano stesso, ed il suo secondo coll’equipaggio; i passeggieri innocui; i passeggieri autori del misfatto: vi ha poi un individuo di assai rilievo, ed è questo il Daneri, cui i ribelli affidarono il comando del legno, e che fa classe a sé solo: gli evasi da Ponza, le Autorità del regno non possono render fede di un fatto al quale non furon, certo, presenti: verrà la loro volta a proprio tempo.

Il capitano SITZIA dichiarava, nel suo primo interrogatorio del 29 giugno sul Tancredi, per quanto si attiene allo scoppio della rivolta che partito da Genova alle 7 p. m., alle 8 feci mettere a segno la guardia ordinando la rotta per S. 16° In questo frattempo andava a prora per fare le mie osservazioni, e mi son trovato circondato da una banda di 28 individui, che componevano buona parte de' miei passeggieri, che in tutto erano 33, facendo prigioniere tutto l'equipaggio, ed obbligandomi a deporre il comando;, e quindi si diressero ad un tale Giuseppe Daneri, capitano marittimo che faeea parte degli otto residuali passeggieri, ordinandogli di continuare la stessa rotta. — Sulle inchieste se i rivoluzionari avessero o no munizioni, e come non se ne fosse accorto nell’imbarcarli, rispondea che ne aveano, ma in pochissima quantità essendo molta gente disarmata, e che allorché s'imbarcarono quest'individui a bordo non aveano alcun segno di gente malvagia: dopo la partenza ho veduto che ognuno era armato di pistole e Stili.

II capitano in secondo Rocci, nel suo interrogatorio dello stesso dì 29, dichiarava parimenti che partiti alle ore sette, alle otto prese la guardia il capitano in primo; mi ritirai nel mio camerino onde cambiarmi, udii de' gridi: fermi fermi siamo padroni del bastimento, andremo dove noi vogliamo. Sortito dal mio camerino, trovai due colle pistole montate, dicendomi che io non era più nulla, e che non avessi nessun timore. Subito sentii chiamare il capitano Danari, che cenava tra gli altri passeggieri, e lo forzar Tono colle armi alla mano di prendere il comando del Vapore, e gli ordinarono dirigere per la stessa direzione.

Il primo macchinista Watt, nel suo interrogatorio di quel dì 29, dichiarava che dopo circa due ore dalla partenza, trovandomi in sul ponte, vidi diverta persone armate con pistole e stili, che si diressero al capitano del Vapore, dicendo di essere i padroni del bastimento, e dirigere dove a loro piaceva. Diversi marinari imbarcati da passeggieri s'impossessarono del timone. In questo mentre, diverse persone armate di pistole mi obbligarono di calare a basso alla macchina. Quindi quattro di loro armati, calati nella macchina, mi portarono una lettera scritta in inglese senza firma che tuttavia conservo colla quale mi obbligava di essere dal canto loro per tutto ciò che in essa si contiene. Fui minaccialo di essere massacrato di unita al mio secondo, se mi negava. Fui obbligato di accettare.

Il secondo macchinista Park, nel sito interrogatorio pure del 29, se ne riportava del tutto alle risposte del Watt.

Tutto il rimanente dell’equipaggio, interrogato altresì nel giorno 29, affermò essere accaduto a bordo nel momento della partenza tutto quanto ha fatto relazione il passeggiero dottore Mascarò.

Come deposto ancora del capitano, e, fuori dubbio, non potremmo esser più discreti, terremo quello che va raccolto dal Giornale della navigazione trovalo sul Cagliari: vi leggiamo: Alle 7 p. in. partiti con calma di mare, e picciolo vento al nord, facendo rotta al sudest, alle ore 8 p. m. si rese la guardia. Poco dopo il capitano, essendo di prima guardia, ordinava al nostromo di bordo di fare aprire il boccaporto di prua per dar ricovero ai passeggieri di terza classe. In questo frattempo, il capitano trovavasi alla veglia di prua a sinistra: fu assaltalo da un gruppo di rivoluzionari armati di pistole e stili, guidandolo a poppa, e gridando in nome della repubblica italiana di cedere il comando a forza, altrimenti ne andrebbe la vita di tutto r equipaggio, e passeggieri. della destinazione di Cagliari e Tunisi, del che trovandoci convinti dalla forza armata, fummo prigionieri de? suddetti, e guidarono il bastimento a loro volontà con farne assumere, il comando ad un passeggiere per nome Daneri Giuseppe ecc.

E dall’equipaggio passando agl’interrogatori subiti dagl'innocui passeggieri, faremo capo da quello del cennato dottor Mascarò, che è l’unico prodotto in giudizio dalla Real Marina, la quale ne ha obbligato ad intimarle noi gli altri sette univochi. Dichiarava il Mascarò, nel di 29, che verso le sette di sera mettemmo in moto. Dopo di un'ora in circa, in mezzo delle grida e del rumore, mentre era situato alla poppa del detto Vapore di unita alla mia consorte ed altri passeggieri, vidi comparire il capitano in mezzo a diversi individui con berretti rossi, su cui appoggiavano delle pistole e degli stili. Domandai di che cosa si trattava, e, senza altra risposta, mi fu imposto di scendere senz'altro nella camera, congiunto cogli altri passeggieri, amminacciandomi di non farlo, di servirsi della violenza. Dopo pochi momenti, un capitano passeggiere, che trovavasi nella camera (3), scesero i rivoluzionari imponendo al detto capitano contro le minacce a prendere il comando del detto Vapore. Il capitano si negò, ma fu obbligato colle minacce della vita ecc.

La consorte del prefato Mascarò, a nome Rosa, pur dichiarava che dopo un'ora partiti, diverse persone armate di stili e pistole gridavano rendetevi rendetevi! ché il Vapore è nostro. Dopo dì questo mi dicevano non temete non temete mandandomi con mio marito a basso. Calarono a basso nel nostro locale tre de' capi armati, e mi dicevano di non temere giacché loro volevano unicamente salvare l’Italia, e delle persone dabbene, asserendo che egli era sufficiente che il capitano si rendesse. Dopo di questo, è calato il capitano spaventalo dalla sommossa, accompagnato da molti degl'insorti essendo obbligato da questi di non salire più sopra. È stato chiamalo il capitano Daneri, e gli dissero che lui doveva essere il capitano.

Dichiarava Giulio Schneider, che essendosi allontanato il Vapore dieci miglia circa, mi trovava a poppa: in quel mentre si sentiva un forte grido di molte persone con arme in mano, pistole stili, ferma ferma scendete a basso. Dopo questo, domandavamo che cosa è questo chiasso? Dicevano non temete niente, ché noi siamo venuti per liberare l'Italia. Poi ci hanno presentato il capitano con forza, e condottolo innanzi di noi passeggieri, asserivano che il comandante non aveva più alcun potere, e che essi erano padroni del tutto del bastimento.

Dichiarava Eligio Mò, che alle ore sette partimmo, 6 dopo di un'ora venne a me un uomo armato di pugnale e pistola obbligandomi di varare a basso con minacce di vita. Questi aveva il berretto rosso: dopo mi sono coricato essendo calate nel mio locale molte persone armate che gridando dicevano di aspettare una barca ecc.

Dichiarava Vincenzo Donadei che verso le sette della sera partimmo, e dopo di un'ora vennero armati di pugnali e pistole due de' passeggieri imbarcati dirigendosi a me, che era con altri, obbligandoci di calare a basso con minacce di vita. In seguito son venute altre persone armate a basso asserendo CHE ERANO VINCITORI, ed incuorando tutti noi altri da non doverci prendere alcun timore.

Dichiarava Ferdinando Bornioli che di quanto è accaduto a bordo di questo legno sin dalla partenza da Genova, che si avverò nella sera verso le otto circa, mi rimetto precisamente a quanto su di ciò ha detto l'altro viaggiatore signor Mascarò, e ciò sino a quando incontrammo i Vapori napolitani da guerra.

Dichiarava Giandomenico Durando che verso le sette della sera partimmo, e dopo di un'ora vennero armati di pugnali e pistole due de' passeggieri imbarcati dirigendosi a me, che era con altri, obbligandoci di calare a basso con minacce di vita. In seguito, son 'venute altre persone armate a basso asserendo che erano vincitori, assicurando tutti noi altri di non doverci prendere alcun timore.

E dai passeggieri innocenti passando ai malfattori, ne si offrono in prima Cesare Cori ed Amilcare Bonomo, de' quali per altro noi non intendiamo aggravare la condizione, e che riportiamo in questa categoria sol perché furono rinvenuti feriti sul Cagliari.

Dichiarava il Cori che non appena partiti da Genova la sera, quindici o venti persone armate, imbarcate da passeggieri che parlavano! italiano, incominciarono a gridare viva la repubblica, in seguito di che scoppiò una rivolta.

Dichiarava il Bonomo che durante il viaggio accadde una sommossa tra le genti di bordo dopo di che si diresse all’isola ecc.

Dichiarava Giovanni Nicotera, quegli che rimane imputato di essere uno de' condottieri de' ribelli, che ritornato il Pisacane in Genova il 20 o 21 di giugno, dette opera a trovar danaro per via di soscrizioni col fermo proponimento di provvedersi di bel nuovo di armi, e muovere per Sapri il giorno 25. In fatti, si acquistarono altri 100 fucili, e s'imbarcarono di unita a 20 romagnuoli su di un battello genovese che doveva raggiungere il Vapore a trenta miglia da Genova. Ma per fatalità questo non rinvenne quello, per cui, tenutosi consiglio fra' capi,si deliberò assalire il capitano e la ciurma, ed impossessarsi delle armi, non che della munizione che eravi pel legno: dietro di che, si chiese al comandante dello stesso lo staio delle mercanzie imbarcate per vedere se e quante armi vi erano, ben conoscendosi che i Vapori postali voleano portarne in Tunisi ecc.

Dichiarava Giuseppe Santandrea nell'interrogatorio subito in Sapri il luglio, che in alto mare i nostri capi posero mano alle pistole, ed obbligarono il comandante del Vapore, ch'era stato ingannato a trasportarci, a mettersi sotto i nostri individui. Egli schiamazzò, si vide sorpreso, giacché noi eravamo forniti di carte in regola, e siccome il suo equipaggio era di pochi uomini, non potette opporsi, gli fu forza cedere. — Ed avvertite che questo Santandrea nelle sue risposte ampissime mostravasi fortemente compunto e pentito, facea appello alla pietà ed alla clemenza, e tutte disvelava le trame ordite della congiura.

Come deposto poi di tutta la turba de' congiurati, rechiamo altresì la dichiarazione che sui cadaveri di essi fu rinvenuta, da tutti sottoscritta sul Cagliari la sera de' 2 giugno alle ore 12. Vi si legge: Noi qui sottoscritti dichiariamo altamente che, avendo tutti congiurato d'impossessarci del Vapore il Cagliari, ci siamo imbarcati come passeggieri, 6 dopo che eravamo due ore lontano da Genova, abbiamo impugnate le armi, e forzato il capitano,e tutto l'equipaggio a cedere il comando del Vapore. Il capitar no, e tutti i suoi, vedendoci decisi piuttosto di perire che di cedere, hanno fatto quanto era in loro potere per evitare lo spargimento del sangue, e tutelare gli interessi dell'Amministrazione. Eravi a bordo come passeggiare per Cagliari il capitano marittimo Danari, avendolo saputo, l'abbiamo costretto a prendere il comando: egli ha ceduto alla forza, né poteva fare altrimenti sprezzando le calunnie del volgo ecc.

E come deposto ancora de' ribelli recheremo che in uno dei due piani per essi scritti sulla esecuzione dell’impresa infernale, troviamo già premeditalo il disegno d’impadronirsi del Vapore quando la spedizione dovea avere effetto il 10 anziché il 25 giugno: le parole ne son queste: Alle ore dieci, ovvero a circa 40 miglia dal porto, si esegue la sorpresa del Vapore.

Riportiamo, da ultimo, il deposto di quel Daneri, che fu il capitano assunto dai ribelli, nel suo interrogatorio del 29 giugno. Ei dichiarava: Partimmo la sera alle sette circa, ed alle ore 8 io era in coverta, e calai a basso onde cenare. In questo mentre, sento precipitarsi un uomo, il quale gridava rivoluzione, rivoluzione. A questo, mi fu inibito di salire in coverta da un uomo vestilo di rosso ed armato con pugnale e pistola, che chiuse il passaggio a tutti, onde salire in coverta. Intesi chiamare ripetutamente il mio nome, e scesero altri due uomini armati, mi condussero in coverta, ed avanti vidi il capitano del Vapore circondato da molti individui armati, e vestiti di rosso, i quali m’imposero di prendere il comando del Vapore: io cercai di rifiutarmi, ma fui obbligato di accettare a forza a prendere il comando del Vapore. Allora domandato consiglio dal capitano, lui mi rispose contro la forza ragion non vale. Allora uno de' capi che nominavano Pisacane, mi prese per il braccio, e mi condusse nello stanzino del capitano, e con una pistola in mano, mi disse: «Voi siete un buon giovane, e non dovete temer di nulla, purché facciate a modo nostro; ma se per qualunque evento il Vapore non sarà ben diretto al punto che noi vogliamo, la vostra vita sarà la prima ad essere sacrificata».

Il fatto, adunque, della insurrezione de' 25 passeggieri rimane univocamente affermato e da coloro che l'operarono, e da coloro che vi soggiacquero, e da coloro che dappoi ne divennero testimoni indifferenti, comeché pur ne avessero patite le conseguenze per quanto risguardavali. E col fatto della insurrezione intendiamo anche quello che, per effetto di essa, ed il capitano fu deposto, e l'equipaggio conquiso per azione di forza maggiore.


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V

Or veggiamo se il nostro avversario, che non ha una sola bocca che parli per lui in questo periodo essenzialissimo del funesto dramma, pretenda a ragione di chiuder le bocche di tutti. Ed innanzi a tutt'altro, ammirate, se vorrete a questo arrestarvi, come si sia osalo scrivere: Che dalle due dichiarazioni de’ capitani, dall’altra. del Daneri, e DALLE DEPOSIZIONI DE' PASSEGGIERI risulta che il capitano SITZIA non patì mai, né patir potea l'asserta forza maggiore.

Esaminiamo, in vece, perché non sien credibili tutte cotali dichiarazioni, solo assunto che crediamo nostro debito il confutare.

Non sarebbon, primamente, credibili per la impossibilità che il minor numero preponderasse di forza sul maggiore, gl'insorti essendo tra' 15 e i 20, e l’equipaggio di 32 individui. Lasciando stare che non erano 15 o 20 i congiurati, ma 25, e Cori e Bonomo intendono a scemare il numero per sottrarre le loro persone e lasciare scampo a qualche superstite, ei bisogna por mente alla condizione dei meno in concorso di quella de' più. L’equipaggio di un bastimento mercantile non è al certo armato, e se il bastimento è un Vapore, l'equipaggio è per la massima parie occupalo alla sua condotta; né tutto è vegliante, e quei che non sono alla guardia, o si danno al sonno, o se ne stanno spensierati, sotto coverta intenti alle loro faccende. Altri, come cuochi e lor vassalli, camerieri e simiglianti o occupati all'uffizio, o dormienti: macchinisti, fuochisti, carbonai sepolti nel fondo del naviglio. Or ponete dall’una parte 32 individui siffattamente costituiti, a tutto pensanti fuori che a subire un attacco notturno della sorta; e dall'altra 25 indemoniali, di concerto all'assalto; colle pistole e cogli stili impugnali, decisi, disperali com'erano, a morire, anziché a veder mancare la loro impresa, investendo con minacce di morte or l'uno or l'altro, e spaventando tutti colle furie ond’erano invasali; e poi dite, se siete uomini di senno e di coscienza, che quei 25 non ebbero la forza maggiore per loro; e dite, se quando il nostro avversario vi parla di marinari che avrebbon dovuto, (sei eran tutti) montare su' bastingaggi e sulle sarzie per opprimere possenti ed inavvertiti gl'inesperti nemici, vi favelli da uomo che abbia diritto ad essere ascoltato.

E qui, onde esaurire ad un tratto l’argomento che ora ne occupa, sentile lo stesso nostro avversario, il quale mentre vi dà, alla pur fine, ammessibile la violenza Sul bordo, ve la nega del tutto alla discesa in Ponza, perocché, egli afferma, che la inerzia è la prima forza repellente, e che si può soverchiare altrui e metterlo in sofferenza, ma non si può far muovere ed operare una persona, ch'è decisamente renitente e restia. Conveniamo della teorica in questo senso, che quando si è risoluti a morire, non vi è umana forza capace ad indurre quella specie di azione che dipende dalla nostra volontà, e conveniamo che l’equipaggio, anziché accompagnare nelle imbarcazioni i ribelli a Ponza, avrebbe potuto farsi uccidere. Rimane non però a provare che il dovesse, e che l'eroico sagrifìzio della vita, avrebbe fatto fallir la impresa. Si mostri l'uno e l'altro vero, e così noi converremo non già nella conseguenza che non vi fu la forza maggiore, ma che avrebbe potuto anche risultare inoperativa.

Quanto a noi, riteniamo la teorica dell’AZUNI cui ne richiama lo stesso nostro avversario, a sarà tenuto il capitano (con chi intendi l’equipaggio) di difendersi sino all’ultimo sangue, qualora sia in istato di ciò praticare CON PROBABILITÀ’ DI POTER RESISTERE ALLA FORZA NEMICA E DI SOPERCHIARLA. Non COSÌ però allorché potendo resistere, non lo fece, o SIESI CIMENTATO CON UNA FORZA MAGGIORE A CUI ABBIA DOVUTO SOCCOMBERE.

E, certo, l'AZUNI vi tien proposito di legno armato in guerra, o guerresco, e quando vi favella di ultimo sangue obblia del tutto i poveri capitani mercanteschi ch’espongono di troppo la vita tra gli scogli e le tempeste per cimentarla volentieri innanzi alle bocche da fuoco, ed alle punte di acciajo.

«VALLIN osserva, scrive l'EMERIGON, che non si esige da un capitano mercatantile la stessa bravura che da un militare. Il primo non è punibile, che nel caso in cui, potendosi difendere con successo, non l’abbia fatto: ei non è biasimevole se,veggendo che non può resistere, pieghi la sua bandiera. Si resistere nauta potuerit, tenetur. Si vero propter vim maiorem, aut potentiam piratae resistere non poterat, excusatur. Resistere enim, et se defendere debet, cum potest, et dolo facere videtur, nauta, qui cum posset, non resistit. — STRACCA, de nautis, part. 3. n. 50. — Roccus, de navibus, not. 70 et resp. 22. — CASAE REGIS, dis. 28 n. 75 (4).

Dunque il capitano non solo debbe aver probabilità di uscir vittorioso dalla pruova, ma è altresì colpevole di aver preso un cimento temerario. Dunque, se aperto egli è che vi fu forza maggiore da parte de' ribelli, l'equipaggio del Cagliari non solo non è imputabile, ma lo sarebbe stato verso il proprietario pe’ danni emergenti da un combattimento che avesse impegnato, e d'altronde non avrebbe distolta la impresa che i 2avrebbon sempre per se soli fornita.

Non sarebbon credibili le dichiarazioni tutte perché navigando il SITZIA sin dal suo partire direttamente per Ponza, il Daneri e gli altri depongono di essere stato dubbio a mezzo del cammino se vi fosse provvigione sufficiente di carbone per approdare all'isola precennata, ovvero si dovesse deviare per Cagliari o per l'isola di Montecristo a fine di rifornirai di legna. E perché il SITZIA, mentre assume d’ignorare, perfettamente conosceva che le molte casse che trasportava eran piene di armi.

Ma quali interrogatori ha letto il nostro avversario? Onde ha raccolto che dal partire si navigasse per Ponza? Il SITZIA, dopo aver mentovato la investitura del comando conferito al Daneri, soggiugne ordinandogli di continuare la stessa rotta, e poscia ripete il detto de' ribelli di doversi incontrare una barca carica di munizioni da guerra, più sessanta uomini, e che quindi si sarebbero diretti per l'isola di Ponza. Dichiara altresì che la navigazione si è durata con diverse rotte per cercare la suddetta barca, e dice, da ultimo, che a mezzanotte hanno ordinato di mettersi in rotta per lo capo Corso, ed alle 3 ½ a. m. del 26 ci siamo diretti per l'isola di Ponza.

Il Daneri, dopo avere univocamente deposto quanto alla ricerca della barca, soggiugne: Alla mattina mi si ordinò di far rotta pel capo Corso, e poscia proseguimmo la rotta per Montecristo onde far legna giacché i macchinisti asserivano che non vi era carbone sufficiente pel viaggio da farsi, e dappoi,accennato l’incontro della flotta inglese, si proseguì la rotta per Cagliari. Passata la flotta scesero nella carboniera, e, rassicuratisi della quantità del carbone, decisero di far rotta per Ponza.

Se i detti del SITZIA e del Daneri non valgono la identica affermazione, noi, certo, non ci apponiamo in cosa che ne sembra evidente.

E quanto poi al simulare del SITZIA che ignorasse di trasportare le sette casse di armi mentre ne era conscio, ne dica pure il nostro avversario ov'è che abbia attinto tal vero. Noi leggiamo invece nel interrogatorio che il SITZIA dichiarasse per sé spontaneo la esistenza delle armi dicendo: Dimenticavo dire che il giorno 27 fecero una perquisizione in tutto il bastimento, in cui tra le mercanzie di Tunisi trovavansi sette casse di armi di lusso tra montate e smontale, l'ultima delle quali mi lasciarono a bordo.

Ancora un'altra contraddizione tra il SITZIA ed il Daneri. Leggiamo nella scritta contraria ASSUME IL SIGNOR SITZIA CHE NEL GIORNO 27 DI GIUGNO, PRESSO ALL’ARRIVO A PONZA, FU TRASPORTATO SOTTO COVERTA, E MESSO IN UN CAMERINO. Quindi si argomenta: se Daneri depone che allo scovrirsi della flotta inglese, i ribellali mandarono tutto l'equipaggio a basso, delle due l’una, o SITZIA discese egli pure, e non potè vedere tutto quello che afferma di aver veduto, o rimase sul bordo, e così essendo, solo e libero sin dal primo momento della rivolta.

A questo, ne persuadiamo che il nostro avversario faccia capitale che i giudici dell'attuale contestazione la decidano senza leggere i principalissimi tra' documenti. Ed, in vero, ov'è mai che il SITZIA nel suo primo interrogatorio e nel secondo risponda che PRESSO ALL’ARRIVO sia stato trasportato SOTTO COVERTA e messo in un camerino? Nel secondo sulla inchiesta: Allora quando si praticò lo sbarco della gente armata in Ponza, perché non cercaste con tutti i mezzi possibili di lasciare quel porto, e riferire tulio l'accaduto a chi credevate? ei rispondea? Allora quando la gente armata praticò lo sbarco in Ponza, io fui messo in arresto nella stanza di poppa, con tutti i passeggieri, il capitano del porto di Ponza, ed un vecchio uffiziale di piazza, e tutt'insieme eravamo minacciali di vita da due persone armate di boccacci, che ci vietavano di salire in coverta.

Dunque, non presso all'arrivo, il che importerebbe lungo il cammino, ma DOPO L'ARRIVO A PONZA, ciò importando e per la inchiesta e per la risposta allora quando si praticò lo sbarco, il SITZIA dichiarava nel modo espresso. Dunque, presso all'arrivo, e lungo il cammino potea vedere ciò che dice di aver veduto.

Ancora si rileva che il SITZIA, allegando rincontro che dovca seguire delle due barche con armi ed armati, e la liberazione de' presidiarì cui si sarebbe data opera in Ponza, era di tutto con anticipazione sciente, e però complice. Ma, buono Iddio! il SITZIA depone quello Che i ri belli gli avean detto: Che doveano incontrare, cioè, la barca, non due, e quindi si sarebbero diretti per l'isola di Ponza per liberare i presidiar}. Meschini travolgimenti da raddrizzarli col semplice rimando all’interrogatorio.

E si continua ad avvertire che mentre il SITZIA affermi trasferito il comando al Daneri, e questi confessi e nieghi nel tempo stesso, entrambi poi attribuiscano, con effetto, a' ribelli il comando, il che si esclude colla impossibilità che costoro l’esercitassero tutti in una volta, ed anche per la difficoltà di guidare il legno.

Noi osserviamo che il confessare ed il negar Da neri ad un tempo non stia col vero, perocché costui nel suo interrogatorio nettamente si afferma investito del comando, e solo aggiugne che la navigazione era' regolata dagli ordini degli ammutinali, con che il SITZIA riman fuori d'imputazione, e noi sdebitati dall’avere ad oppugnare la impossibilità che i ribelli dirigessero il naviglio.

Si oppone, d'avvantaggio, che il SITZIA abbia asserito che tra le casse di armi ve ne fossero di lusso, e che i ribelli se ne impossessarono nel di 27. Da questo si trae il mendacio del SITZIA perocché figli nell’interrogatorio dichiarò che i boccacci stavano rinchiusi in quelle casse, e quindi ei conoscea che non fossero, in reattà, ripiene di armi di lusso. Si aggiugne la necessità che il SITZIA manifestasse ai rivoltosi la esistenza delle armi che costoro non avrebbon potuto antivedere. Né si rifina dal dire che nella dichiarazione trovata sui cadaveri degli estinti rivoltosi stia espresso di aver ricercato sul legno, di avere scoperto le armi, dal che la conseguenza che il SITZIA rifornì le armi. E si allega, da ultimo, la varietà dei tempi quanto alla perquisizione perocché il Daneri ed il Rocci la riportano al 20 al 26.

Nojoso egli è quanto agevole lo sgarbugliare siffatti intrighi. Il SITZIA nell’interrogatorio dichiarava da sé, senza che gliene fosse stata diretta domanda, la perquisizione operala delle armi, e qui le dice arme di lusso, e poi, sulla inchiesta dei boccacci, risponde che eran nelle casse tra le altre arme. Esclusi pure i boccacci dalle armi di lusso, non si sa vedere perché non potessero esser misti tra queste, ed, in ogni modo, non mai se ne trarrebbe la illazione che il SITZIA avesse manifestata la esistenza de' boccacci. Quanto poi alla varietà de' tempi, il Daneri ed il Rocci non indicano giorno, e solo nella narrazione dell'avvenuto pongono senza cronologia la ricerca effettuata delle armi. E quanto, in fine, all’anacronismo che pur si rimarca nella dichiarazione rinvenuta addosso ai cadaveri, ei non si sa comprendere come si muovino attacchi che lascino cosi aperto il trionfo della difesa. Si ricorre alla data di quella dichiarazione, che legnava le ore ½ della sera del 23, e non si avverte che la dichiarazione medesima, dopo la data e dopo tutte le firme, recava un postscriptum in queste parole: Noi sottoscritti dichiariamo eziandio che avendo scoperto, dopo una perquisizione, che a bordo vi erano sette casse di armi, ce ne siamo impadroniti. Dunque sta la successione de' tempi, dunque sta che innanzi alle ½ della sera del 2 si era eseguito tutto che la dichiarazione contiene meno la scoverta delle armi, e però il postscriptum.

E poiché siamo a far motto di quella dichiarazione, noi conveniamo che per sé sola ella non compirebbe la difesa del SITZIA senza la colluvie delle altre pruove irresistibili che la stabiliscono. Piaccia, nondimeno, risguardare a questo che il supporre quella dichiarazione formala di concerto, lascia la necessità di ammettere i dati meno plausibili. SITZIA sarebbe stato uno de' correi principali; avrebbe fornito nullamanco che il battello, le armi, ed il suo equipaggio armato e combattente; avrebbe cosi giuocato fortuna e vita, e però sarebbe stato dall'un de' lati confidente nella riuscita della impresa: dall’altro ne avrebbe diffidato in guisa da procacciarsi un vano presidio di scampo. I congiurati non avrebbero consentito a togliere per compagno tra' principali un uomo che invece di darsi intero, non si sarebbe dato che a metà; né avrebbon, per certo, tollerato che, disposti essi a morire in un attentalo di tanta stolta audacia, il SITZIA solo si affidasse ad un’ancora di salute. Non può esser questo negli umani concetti, perché non è nel cuore degli uomini il confidare ed il diffidare sì per gli estremi, una fiera e stupida temerità, ed una prudenza antiveggente, e cauta.

E perché, invece, non ammettere col vero della dichiarazione, il rimorso che pur non si scompagna dal misfatto? I ribelli, che sì tristo governo avean fatto del SITZIA, ebbero un ritorno sulla loro vittima, e vollero almeno attestare di averla sagrifìcata. E quel Pisacane,che Iddio ebbe mandato a castigo di tanti, non pago di aver lasciata la testimonianza del vero nelle mani dello sventuratissimo capitano, volle pure che gli fosse superstite sul corpo, che intravedea di breve cadavere!

E se non può il SITZIA invocare la dichiarazione de' ribelli ancor meno può addurre il suo giornale nautico perché questo sarebbe del tutto opera sua, scaltrito disegno affine di pretessere una sfuggita opportuna, scrive l’avversario. A noi, invero, ne par d’essere non che fuori dell'arena giuridica, fuori i termini di ogni contraddizione razionale. La legge impone a' capitani di mare il compilare un giornale della loro navigazione, e se non vi adempiono, son tenuti di tutti gli accidenti che colpiscano il bastimento ed il carico. SITZIA dettava il suo giornale dal 25 al 30 inclusivo, e vi registrava fil filo gli avvenimenti incorsi, i quali n’emergono, univochi al suo deposto, non che a quello dell'equipaggio, de' passeggieri indifferenti, e degli autori stessi' del mal fatto. Però il giornale è inattendibile, e lo è per tal ragione appunto; e lo è perché. SITZIA fu correo, o complice principale, e pretessea una sfuggita. Risponda chi sa a cotal foggia di argomentare!


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VI

Qui vogliamo darne un po’ di sosta nel penoso carico per noi tolto di respingere gli attacchi dell avversario, ed, invece, muoverne noi uno a lui. Le armi ne sono somministrale da Giuseppe Daneri, quell’uno che si fa innanzi spontaneo a manifestarne che i ribelli gli conferirono il comando del piroscafo, dopa: che n’ebbero spogliato il Silzia, il quale non l'avrebbe racquistato che dietro il disbarco in Sapri.

In difetto della volontaria confessione, supplirebbono le dichiarazioni dell'equipaggio, e de' passeggieri che valgono, invece, a rivestirla.

Togliete d’in sul capo del Daneri la imputazione di aver tenuto quel comando, ed ei non subirebbe, ora un’accusa di morte: sarebbe rimaso nel numero de' passeggieri innocenti. Nulla palesa che fosse nella congiura: non pugnò in Ponza, non discese a Sapri, e di quivi partì col liberato battello insieme al capitano ed all'equipaggio, ridonali a loro stessi. Ma da banda pure questo che diciamo, rivolgeremo un quesito al nostro avversario: vuole egli che il Daneri fossa tra gli otto passeggieri innocui, o tra' venticinque re9? Se tra' i primi, oh! fuori dubbio ch'egli è altro che ufficiale pel SITZIA, perocché mette in bilico la sua vita non per salvar con certezza quella dell’amico, ma per solo tentarlo, e di questi olocausti si pretende che le età eroiche dessero gli esempi, la nostra non ne offre.. Se poi il Daneri fu tra' venticinque, se fu un insorgente egli stesso, chiaro allora torna che insieme a' suoi compagni ei scorse fosse necessità il deporre SITZIA dal comando, e prendere invece di costui il governo del legno.

Insino a quando, adunque, la Beai Marina non verrà a pruovarne che il Daneri mentisse per la gola onde precipitarsi nel baratro in cui è caduto insino a quando non verrà a pruovarne che tutti ell'erano fui battello ve l’abbiano, lui consenziente, travolto, noi alto proclameremo la innocenza del SITZIA sulle fole dichiarazioni del Daneri.


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VII

Dovremmo ora, a compiere il primo stadio, far passaggio all'arrivo ed al disbarco in Ponza; ma qual pro del nostro affaticarne sino al punto in cui ne siamo, se l'avversario ne oppone che non giovino le deposizioni dell'equipaggio nel favor del capitano, non quelle de' passeggieri che se ne rimasero spettatori della ribellione? Egli è bene, adunque, indugiare anche un momento per discuter quest'altra tesi.

Rammenterete che non giovi, primamente, il deposto dell'equipaggio perché non ha sembianza di verità, avendo tanti individui resa la medesima testimonianza cogli uniformi pensieri, colle proprie identiche parole, il che, come sa ognuno, è argomento di dubbia fede. A questo, ei non vi ha chi non immagini che quei molti individui, interrogati un per uno in disparte, avessero, con effetto, narrati gli avvenimenti, univochi nelle idee, e ne’ detti; ma egli è tutt'altro il vero, ed i lettori già il sanno appieno. Quanto all'equipaggio, se escludi i macchinisti, non vi ha per gli altri separati interrogatori, ché anzi non vi ha interrogatori in forma. Vi ha, invece, una maniera di certificato del tenente di vascello che comincia mentovando la data del 29 giugno, prosegue coi nomi de componenti equipaggio, in seguito de' quali si leggono le parole; Tutt'i sunnotati individui, formanti in parte l'equipaggio del Vapore genovese il Cagliari, cui dal giorno 2& del corrente mese, nel quale il detto Vapore era ancorato in Genova, da dove ne partì la sera onde portarsi in Cagliari e Tunisi, asseriscono essere accaduto a bordo dal momento della partenza tutto quanto ha fatto relazione il passeggiero dottore Mascarò, ed in verità del vero segnano il loro nome come sopra.

Dov’è qui la identica creazione de' pensieri, eia omonima espressione delle parole? Noi non conosciamo come il prefato tenente di vascello abbia regolato la bisogna: se tutti gl’interrogali subirono un’inchiesta in massa, o successivamente ciascuno; ma pongasi come piace meglio: se in massa, un solo ebbe a rispondere per il primo, e tutti gli altri presenti, se ne riportarono a' suoi detti; se successivamente, ognuno adempì alla sua dichiarazione nel proprio modo. Or s’egli è indizio molto fondato di mendacio il rendere colle stesse espressioni la medesima testimonianza, è, per lo contrario, pruova luminosa del vero l'affermarsi da' molti concordemente l’avvenuto, il che, e non altro vien fuori dal certificato. All'udire, invece, il nostro avversario, li pare che il numeroso equipaggio, mandatosi a memoria l’interrogatorio del Mascarò, siesi fatto a recitarlo dinanzi all'instruttore.

Seguita il rifiuto delle testimonianze dell’equipaggio con una ragione che avrebbe dovuto collocarsi prima di ogni altra, e consiste nell’addurre di non poter essere ascoltato per trovarsi tutto o almanco la maggior parte compromesso. Salvo a veder questo vero più ampiamente, osserviamo in prima che tra' nomi di coloro che appajono dal certificalo, non leggiamo alcuno che si abbia una specifica imputazione. Potremmo, altronde, richiedere del perché eran dessi chiamati a deporre. Si stia, adunque, a quello ch'è di ragione, com'è di legge: se vuoisi affermare che il magistrato abbia la facoltà di vagliare le dichiarazioni dell'equipaggio per dar loro quel valore che meritano, certo, noi non pretendiamo che abbiasi ad attenervi di necessità; se poi vuoisi che quelle dichiarazioni non si debbano neppur leggere perché si assume che l’equipaggio fu ancor desso colpevole, noi crediamo che chi il pretende s’inganni. E lasciando dall’un de' lati che le nostre leggi ripongano nell'equipaggio, in tanti svariati casi, tal fiala il consiglio ì tal altra il censore del capitano per condannarlo od assolverlo; noi dimandiamo il come, mentre si sostiene dall'attrice che la pruova della forza maggiore sia a peso del capitano, si possa volere che alla pruova si adempia altramente che con quei mezzi che soli si offrono a compierla.

Ma non che non giovi al capitano l’equipaggio, non gli giovano i passeggieri che dell'attentato non furon partecipi. E, fuori dubbio, in questo ognuno terrà per fermo che nella scritta contraria si venga a delibare almeno sol deposto di tutti quei passeggieri; se ne faccia almeno un cenno fuggevole: no, altri testimoni preoccupano il nostro avversario, e ne vedremo la stampa. Non si favella che del solo Mascarò, e lo si fa sforzato perché il suo deposto valse di rimando a quello dell'equipaggio.

Ora ascoltate i rimprocci a questo maladetto Mascarò che si spiegava con tanto accerto. Egli è un viaggiatore sospetto: medico e chirurgo, nel suo passaporto è un possidente — Rispondano i lettori per noi — Affetta sentenze morali — Quali? non ve n’ha sillaba nelle sue risposte — Scende poi ad accennare confusamente, e non senza contraddizione la maravigliosa e male immaginata sommossa — Piano a questo, ché voi immaginate la confusione e la contraddizione: Mascarò parla netto, e rileggete qui in piè di pagina le sue risposte (5), ed avvertile ch'egli vi GIURAVA SU, il che non facevano altri a' quali volete voi dar fede.

Né altro sul Mascarò: e della consorte, nitida ed affermativa quanto il marito, e degli altri sei passeggieri, lutti onorevoli e tranquille persone, verbo niuno: e perché mai se non perché ne avreste raccolto un’eco assordante? Quindi ben fatto il non intimarne neppure i loro interrogatori che noi vi stampiamo qui allegati.

Voi ne dite, pertanto, che quei passeggieri non videro, ma appresero da altri l'accaduto, e ne allegate che testis ex audito ALIENO fìdem non facit. Sia per poco che non avesser veduto, avrebbero ascoltato da quelli che videro, non da quelli che ascoltarono, come rende l’ex nudito alieno. Dite poi che non potevano vedere perché era notte, e perché non si rimaneano a prua, e poi quei pochi forestieri alieni a qualunque disordine REGOLARMENTE non attesero AVVERTITAMENTE.

Ma la consorte di Mascarò vide, e vide tutto. Vorremmo tutte trascrivere le sue risposte: contentiamone di un brano: Tre de' capi armati calarono a basso nel nostro locale, e mi dicevano voler salvare l’Italia — Dopo di 'queste è calato il capitano spaventato dalla sommossa, accompagnato da molti degl'insorti, essendo obbligato da questi di non salire più sopra — È stato chiamato il capitano Daneri, e gli dissero che lui dovea essere il capitano.

Ma Giulio Schneider vide, e vide tutto. Anche un brano di lui: Mi trovava a poppa, ed in quel mentre si sentiva un forte grido di molle persone con arme in mano, pistole, stili, ferma ferma, scendete a basso. Dopo questo dimandavamo che cosa è questo chiasso? Dicevano che.... poi ci hanno presentato il capitano con. forza, e condottolo innanzi di noi passeggieri, asserivano che il comandante non aveva più alcun patere, e che essi eran padroni di tutto il basti mento.

Ma Vincenzo Donadei vide, e vide tutto. Anche di lui un brano: Dopo di un'ora vennero armati di pugnali e pistole due de' passeggieri imbarcati dirigendosi a me che era con altri obbligandoci di calare abbasso con minacce di vita. In seguito son venute altre persone armate abbasso asserendo che erano vincitori.

Ma Ferdinando Bornioli vide, e vide tulio quanto vide il dottor Mascarò, al cui deposto precisamente si riporta.

Ma Giandomenico Durando vide, e vide tutto. Anche di lui un brano. Dopo un'ora vennero armati di pugnali e pistole due de' passeggieri imbarcati dirigendosi a me che era con altri obbligandoci di calare abbasso con minacce di vita. In seguito son venute altre persone abbasso asserendo ducerono vincitori.

Ma, e da ultimo, Eligio Mò vide, e vide tutto. Anche di lui un brano: Dopo di un'ora venne a me un uomo armato con pugnale e pistola obbligandomi di calare abbasso con minacce di vita. Questi aveva il berretto rosso. Dopo mi sono coricato: essendo calato nel mio locale molte persone armate che gridando dicevano di aspettare una barca con arme èd uomini che doveva raggiungerli.

E non crediate, pertanto., che tutta questa onesta gente deposto abbia,nel modo additato dopo che, fallita la impresa, il SITZIA sarebbe stato, compromesso. No, che quando il battello si era finanzi a Ponza, montatevi le varie Autorità marittime dell’isola, tutte udirono da quei tranquilli passeggieri il raccontò del come i ribelli fossero pervenuti a rendersi padroni del legno, e tutte, o quasi tutte, ne fecero dichiarazione solenne negli atti instruttorr. Ma come qui trascrivere i tanti volumi della processura penale?

A note, pertanto, sì chiare non faremo comenti, ed ansiosi, come ne siamo, eccone giunti, la Dio mercé, a Ponza.


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VIII

Quivi il nostro avversario rincalza il suo attacco; quivi SITZIA rimane alla scoverta. E noi, onde sieno anche più micidiali le armi che ne si rivolgon contro, le vogliamo ravvicinare: lasciando il figurato, diciamo di voler raggruppare tutti gli argomenti pe’ quali si crede di far manifesto «ohe il capitano, arrivato che fu ih piroscafo a Ponza, volontario si prestò al disbarco degl'invasori, lo agevolò; e poi fu egli che stette al governo del naviglio dinanzi all'isola; e, potendolo, non lasciò quei demoni nell'inferno che andavano a suscitare, vogando ratto o alla vicina Gaeta, 0 altrove per dar contezza al nostro Governo degl’indorsi avvenimenti.

E poiché col SITZIA, dinanzi a Ponza, è pure l'equipaggio che vien parte principale nel dramma, ricorderemo le colpe dell’uno e dell’altro, che or sì cumulano, or si distinguono.

Il SITZIA, adunque, fu QUEGLI ch’entrava nel porto rompendo le leggi sanitarie, e che, pretestando guasti alla caldaja, spinse il capitano del porto ed il pilota a recarsi sul piroscafo dove furono violentemente trattenuti. L'INTERO EQUIPAGGIO, meno i macchinisti, discese co’ 25 perché Acquarone e Mercurio, camerieri, furono feriti, l’uno in Ponza, l’altro in Sapri.

Il SITZIA, secondato ch'ebbe il disbarco, sarebbe rimaso affatto padrone del comando sì che esci dal porto si pose in rada, e poi vi rientrò per raccogliere i rivoltosi. Egli con POCHI DELLA CIURMA trovarsi tuttavia in numero sufficiente onde salpare per Gaeta. Egli, invece, riprese l'ancoraggio, cambiò sito per prender norma dagli eventi che avrebbe incontrati l’impresa. Egli stesso confessa nel suo primo interrogatorio che era rimaso solo a bordo con quei pochi passeggieri neutrali. Egli stesso il riconfessa nel suo secondo interrogatorio. L’attestano poi Antonio Roberti, e Giovanni Colonna, l'uno pilota comandante la scorridoja di Ponza, l’altro pilota pratico di colà. — Diremo che attestino per non ripeterlo.

Che TUTTO L’EQUIPAGGIO del Cagliari prendesse parte alla guerra il depone cento volte Silzia; il rafferma Daneri e Rocci; e lo suggella il computo del numero degl'individui imbarcati, o rimbarcati in Ponza. Lo direbbe anche il Cori. — Preghiamo i lettori ad indugiare un momento sul come di tutto questo se non l'hanno presente per averlo di già letto.

Facciamone ora alle discolpe. Franchi e risoluti conveniamo innanzi tutto che se pervenuti non siamo a dimostrare che il Silzia fosse stato per irresistibile violenza sforzato a dismettersi dal comando nel quale fu supplito dal Daneri; e che il battello rimaso fosse alla balia de' ribellati; se vuoisi, per contrario, ed a priori ritenerlo il correo originario nella impresa; ogni nostra opera ulteriore va perduta.

Ma se la evidenza pone qualche peso negli umani giudizi, noi non dobbiamo oltre difendere il SITZIA che del non avere riassunto il governo del legno al giunger di questo in Ponza.

Fu desso davvero il SITZIA che entrava nel porto, ingannandone il capitano ed il pilota? Noi non sapremmo vederlo. Dichiarava il SITZIA nel suo interrogatorio che alle 3 ½ p. m. del 27 eravamo a poca distanza dal paese di Ponza, e posta la bandiera onde chiamare il pilota pratico che giunse immantinente, l'OBBLIGARONO a montare a bordo unitamente al suo uomo, e colle armi rivolte al petto l’OBBLIGARONO a confessare la qualità della forza del paese. Il disgraziato disse a voce tremante molle cose che io non compresi. In questo intervallo, venne a bordo una lancia del porto con quattro uomini e due uffiziali, uno era il capitano del porto, e l’altro un ufficiale di piazza: l’invitarono a montare a bordo, e questi si ricusavano dicendo che se non prima prendevamo pratica, secondo le leggi, non potevano montare a bordo. A ciò due de' rivoltosi calarono abbasso alla scala, e con le pistole in mano le diressero al petto de' detti uffiziali, e li obbligarono a rendersi, ed a deporre le loro spade.

Egli è d’uopo salvar dalla dannazione cotal deposto del SITZIA che farebbe autori i ribelli della imputazione che a lui si appone.

Qui si fa innanzi per lo primo il Daneri, il quale ne dichiara che verso l'imbrunire giungemmo a Ponza, dove si chiamò il pilota colla bandiera a prua. Questi dopo poco giunse, e fattolo salire, gli si obbligò con minacce della vita a dire la guarnigione dell isola. In seguito di che ancorammo nel porto, ed io in compagnia de’ due capi nominati uno Nicotera e l’altro Falcone (io credo) mi condussero a terra colla patente di sanità per prendere pratica. — E soggiugne lo stesso Daneri nel suo secondo interrogatorio che, approdato col Vapore in Ponza, io fui imbarcato nella lancia con due de’ capi che mi condussero a terra per dare il costituto.

Il Daneri, adunque, dall’una banda confermate manifestazioni del SITZIA che i ribelli procedessero di per loro al fatto in disamina, e dall'altra appropria a sé, come sforzalo da coloro, le pratiche che, secondo il nostro avversario, sarebbero state compiute dal SITZIA, perocché dice lui condotto a recar la patente di sanità, ed a dare il costituto. Or supposto che il Daneri avesse agito spontaneo, si avrebbe un reo confesso, e rimarrebbe al nostro avversario preclusa la facoltà di ricercarne uno diverso.

Né altramente dichiara il Rocci capitano in secondo colle parole decisero di chiamare il pilota alzando la bandiera: vedendo che il pilota non veniva, il capo mi ordinò imbarcarmi in una lancia, ed assieme a lui,nominato Pisacane, ci diressimo verso il porto. Quando fummo vicino al molo, sì trovò il pilota che si dirigea a bordo. Gli chiese allo stesso pilota se vi erano carboni nell’isola, e se il bastimento poteva entrare in porto per fare una piccola riparazione alla macchina. Quindi prosegue il Rocci a narrare, univocamente al Daneri ed al SITZIA, l'approdo del capitano del porto, e la violenza usatagli dai ribelli. Avremmo quindi nel Rocci un altro reo confesso, se la reità di tutti non fosse largamente coverta sotto l'egida spaziosa di quella del Pisacane, perocché il Rocci avrebbe attratto a sé il pilota, protestando i guasti della caldaja, epperò sempre il SITZIA rimarrebbe posto fuori.

E lasciando da banda tutti gli additati deposti, ed invocandone degli altri anche più efficaci, noi faremo appello a quei dei passeggieri innocenti. E vi troveremo che con un’eco sola rispondono: il Mascarò: Si alzò immediatamente la bandiera del pilota che giunto fu obbligato di salire di unita con un uffiziale regio: fecero imbarcare con viva forza il secondo ed il pilota, come parimenti IL NUORO COMANDANTE DEL VAPORE.

La Mascarò: Arrivati al porto di Ponza si è alzata la bandiera del pilota eh essendo venuto, l’obbligarono di salire a bordo minacciandolo di ammazzarlo: dopo di questo due individui con uniforme regio venuti sul bordo furono egualmente obbligati di salire a bordo. Lo Schneider: Colà giunti si alzò la bandiera del pilota il quale venuto con una barca l'obbligarono di salire a bordo minacciandolo della vita: indi giunse il capitano del porto con un ufficiale regio, i quali furono obbligati anche per forza di salire a bordo. Così infine tutti gli altri innocui passeggieri, dei quali a risparmio di noja non trascriviamo i consoni detti.

E passando dal meglio all'ottimo, allegheremo una testimonianza irrepugnabile dall'attrice, sulla quale torneremo indi a poco per maggiore occorrenza. È dessa nullamanco che del pilota pratico del porto di Ponza, Giovanni Colonna, ed è renduta nella sua dichiarazione del 7 luglio fatta in Gaeta, che trascegliamo, tra le molte, perché a noi intimata. Vi si legge: Dichiara: Uscì di sua casa ed imbarcandosi sulla propria lancia colla bandiera del Re (D. G.) si avviò verso il legno, e fuori la bocca del porto trovò là lancia del Vapore che veniva a richiederlo come pilota. Che questa barca si trovava equipaggiala da quattro marinari che vogavano secondo la regola deW arte, e vestivano da marinari. Vi era altra persona che non distinse, se era timoniere, o persona estranea; in tutto, quelli che erano nella lancia, erano quattro, cinque, o sei dell'incontro gli chiesero se era il pilota, ed alla risposta affermativa, l'invitarono ad avvicinarsi con essi al legno, DICENDO CHE LA MACCHINA SI ERA GUASTATA, E VOLEVANO QUINDI ACCOMODARLA, ESSENDO QUESTO IL MOTIVO PER LO QUALE VOLEVANO ENTRARE IN PORTO: rispose ch'era il pilota, e disse che avessero camminato, perché egli veniva a seguirli. A certa distanza dal legno, domandò al bordo del comandante, ED UNO DI QUELLI CHE STATA SUL LEGNO, gli disse favorite da parte di poppa, che era l’opposto del legno, e che guardava il sud. Quando fu nel punto prescritto, gli uscì la lancia del Vapore che era quella che da esso era stata vista, e portando 5 o 6 persone vestite chi con giacca, chi da marinari, lo portarono sul legno, e dopo di averlo fatto sedere, gli posero impugnate delle pistole e due stili sulla testa, soggiungendo, dite la verità altrimenti la vostra testa te ne va per l'aria.

Manifesta di seguito il pilota nella stessa dichiarazione l’arrivo al battello del capitano del porto e del tenente di piazza, la forza alla quale soggiacquero, e quindi soggiugne tornando a sè: Lo fecero salire sul casseretto dicendogli che avesse diretto il Vapore nel porto, e mentre si stava sul casseretto istesso, vi era anche un individuo che si faceva credere capitano: questo individuo era dell'età di oltre 40 anni di statura regolare, senza poter badare ad altro, ESSO DICHIARANTE FACEVA GIRARE IL VAPORE SULLA DRITTA, E COSÌ ENTRAVA NELL’IMBOCCATURA DEL PORTO GETTANDO L’ANCORA.

Dunque è desso il pilota stesso del nostro Governo che declina senza più dal SITZIA la imputazione dell’inganno in cui fu tratto, ed è il pilota stesso che regolava le mosse per la entrata del piroscafo nel porto. Certo, il SITZIA rispettar dovea un paese amico; ma l’obbligo se era stringente per lui, era stringentissimo pel pilota, che agevolava col suo fatto l’enorme 'attentato contro il paese proprio. E che altro scusa quel pilota non per la inerzia, ma per l'azione se non la forza maggiore? Ma SITZIA se stette inerte, se agì per non farsi travolger nelle onde da' ribelli... SITZIA è correo o complice principale!!!


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IX

E, con effetto, se SITZIA non entrò nel porto, non però pose in rada, e poi rientrò nel porto per raccogliere i rivoltosi. Egli trovarsi libero onde salpare per Gaeta: così l’avversario. È questa davvero la colpa irremissibile, è questa l’ancora saldissima dell’azione che si è contestata.

Simigliante accusa va esaminata insieme ad un’altra ancor grave che l'equipaggio, cioè, prendesse parte nella GUERRA di Ponza.

Facciamo un’inchiesta prima di entrare in discussione, e vogliamo che il nostro avversario risponda netto e preciso. Egli, a seconda che debbe o condannare l’equipaggio o il capitano, afferma variamente milluna volta che TUTTO INTERO L’EQUIPAGGIO scese e pugnò in Ponza, e milluna volta che non scese e non pugnò se non UNA PARTE, UNA MASSIMA PARTE, IL MAGGIOR NUMERO, QUASI CHE TUTTO.

Se non avessimo tante altre vie di salvazione, ei sarebbe per noi molto rilevante l’accertarne se il capitano rimaso fosse solo sul bordo, o con alcuni della ciurma, e quali e quanti. Difenderemo, nondimeno, il SITZIA nelle diverse, e contrarie affermazioni che si fanno sul fatto allegato.

Sarebbe ei medesimo il SITZIA il suo accusatore e nel primo, e nel secondo interrogatorio. Si ascoltino pertanto le sue risposte. L’inquisitore dimandavagli: Quando i rivoltosi sono sbarcati a Ponza perché non avete tentato di uscire dal porto, e venire ad avvertire nel continente? Rispondea: Perché era rimaso solo a bordo con quei pochi passeggieri neutrali giacché l'intero mio equipaggio era stato obbligato a viva forza di sbarcare a terra con loro. L’inquisitore non si appagava di quest'una prima ragione, e della stessa domanda faceva obbietto di un secondo interrogatorio. Dicea: In seguito di quanto avete riferito di essere rimaso sul bordo del Vapore allora quando si praticò lo sbarco della gente armata in Ponza, perché non cercaste con tutti i mezzi possibili di lasciare quel porto, e riferire tutto l’accaduto a chi credevate? Il nostro avversario, che riporta le due domande e la prima risposta, tace la seconda: però la scriviamo noi ed è questa: Allora quando la gente armata praticò lo sbarco in Ponza, io fui messo in arresto nella stanza di poppa con lutti i passeggieri, il capitano del porto di Ponza ed un vecchio uffiziali di piazza, e tutti insieme eravamo minacciati di vita da due persone armate di boccacci che ci vietavano di salire in coverta, e di parlare: perciò inabilitato a poter fare la menoma azione. Oltre di che, i miei marinari furono adibiti obbligatoriamente in tutte le lance del bordo, ed adibiti allo imbarco della gente provveniente da terra; ed è perciò che se fossi stato libero del mio agire, neanche avrei potuto muovere da questo ancoraggio, giacché mancante di marinari. —Ma l’inquisitore non però si ristava e soggiugnea: Perché non cercaste di lasciare quel porto ì servendovi de' fuochisti, carbonari, nostromo, e tutt’altri che potè rimanere sul bordo? Ed il SITZIA a sua volta: Tutta questa gente è tale che nella ricorrenza del momento, invasa da spavento, non poteva adibirsi ad alcun servizio.

Or ne sembra, posto anche da banda il sacro dovere di non passare a ricercar la colpa che quando sono esaurite le vie di rinvenire la innocenza, che dalle reiterate risposte del SITZIA niuna onta veramente risulti alla sua immacolata condotta. Che le risposte, lungi dall'essere cootraddicenti, cumulate, debbono vieppiù appagare. In somma a doppio verso l'inquisito si giustificava. Non avea potuto lasciar Ponza perché il naviglio era senza ciurma, ed un naviglio a vapore non può andare coi soli macchinisti come vorrebbe il nostro avversario, ed ei solo il vuole; e perché, anche potendolo, gli sarebbe stato inibito da' ribelli rimasi sul bordo. Riman quindi solo ad indagare se cotali sue assertive fossero mentite o vere. Noi qui non faremo lunga diceria di testimonianze, ché anzi non vogliamo riportarne niuna di quelle che si direbbon sospette, sicuri del nostro assunto per argomenti irresistibili e moltiplici.

Intratteniamone,quindi, sulle sole testimonianze invocate dall’avversario, le quali non può egli rifiutare nell'intero loro contesto. Ed intendiamo accennare per la prima alla dichiarazione di Antonio Roberti pilota in Ponza della Real Marina, e comandante colà la regia scorridoja. Nella sua dichiarazione leggiamo da prima il lungo racconto insino alla detenzione forzata sul piroscafo, e quindi le seguenti parole: Fu trattenuto a bordo sino al tempo in cui mossero, ed ebbe a soffrire minacce di morte se la Torre non avesse ceduto. Che il legno si avvicinò alla bocca del porto, ma poi retrocedette, e quindi ritornò alla rada, ove lo rinvenne ancorato. Che egli vide andar sotto e sopra un individuo attempato che si chiamava capitano, MA IN CIÒ FARE UBBIDITA AGLI ORDINI DI QUELLI CHE REGOLAVAN LA MASSA... Che non vide altro che il capitano che ha potuto esercitare il comando marino, e che mentre era trattenuto a bordo, un individuo di circa 40 anni annunciandosi a lui gli manifestò che anche lui era passeggiero, e correva rischio della vita al par di lui.

Facciamo il debito omaggio alla fede che merita l’onorato marino, ma facciamolo intero. Però riteniamo quel che egli dice per il primo, cioè che il battello dal porto retrocesse alla rada. E adottiamo del pari, concessione per certo non lieve, che colui che si chiamava capitano fosse per lo appunto il SITZIA. Cotesto capitano non avrebbe ubbidito che agli ordini di quelli che regolavan la massa. Dunque due conseguenze specchiate; l'una che sul bordo vi rimanea tuttavia un picciol numero di ribelli onde emanavano gli ordini; l'altra che il preteso capitano agiva sforzato non volontario in quegli andirivieni del suo legno. Operava non altramente che il pilota pratico del nostro Governo in Ponza, quando dirigeva la prima entrata nel porto.

Passando dalla dichiarazione discorse all’altra di Giovanni Colonna, pilota pratico, vi leggiamo, dietro la menzione dell’arrivo nel porto, che dopo gittata l'ancora fecero muovere le lance che aveano: una si diresse etc. Ch’essendosi ritirato a casa avvertì che il Vapore era uscito fuori del porto, e poi rientrò sino alla batteria di Leopoldo ritornando sul punto stesso. Che le mosse del capitano NON FACEVANO ADDIVEDERE CHE AVESSE AVUTO RELAZIONE COI RIBALDI, ma diceva che era stato ingannato, MA CHE ESSENDO USCITO FUORI IL PORTO, NON VI ERA ALCUNO CHE LO AVESSE POTUTO TRATTENERE. Esso vide sul legno armi, ma non vide gente armata, sebbene vi fosse qualche persona. Che durante il tempo che fu trattenuto sul legno, i comandi alla ciurma si davano, e la direzione era portata DA QUEL CAPITANO, CHE GLI DISSE DI ESSERE STATO INGANNATO, NÉ CI ERA ALTRO CHE AVESSE AVUTO ESERCIZIO DI COMANDO.

Protestiamo di non saper dare né capo, né mezzo, né fine ad alcuni brani di siffatta dichiarazione, con che però non attendiamo a tacciarla di mendacio. Ei ne pare impossibile il conciliare che il dichiarante fosse stato intrattenuto dalla violenza di coloro che gli posero impugnale delle pistole e due stili sulla testa minacciando che se non diceva la verità se ne va per l'aria; impossibile il conciliare che fosse stato costretto a guidare il bastimento nel porto e dargli l’ancora, con quello che sul medesimo vi fossero armi, e non armati. Ma sia che vuoisi di simiglienti deposti, il fatto che in reattà vi fossero armati saio sì denti consiste necessariamente, per la detenzione cui soggiacque ed il dichiarante, ed il pilota comandante la scorridoja, ed il capitano del porto, ed il tenente di piazza, questi due che il dichiarante stesso afferma li presero, e li portarono a bordo del Vapore, facendoli situare sotto coverta, uniformemente all’asserto del SITZIA, i quali, di unita al rimentovato comandante la scorridoja regia, non furono liberati che quando il piroscafo salpò per Sapri.

Ed impossibile torna a noi il conciliare che, mentre il dichiarante allega che durante il tempo che fa trattenuto sul legno, i comandi alla ciurma si davano e la direzione era portata da quel capitano, altronde con bella lealtà confessi ch’esso DICHIARANTE faceva girare il Vapore sulla diritta, e cosi entrava nella imboccatura del porto, gittando l’ancora. Or se risguardate ch'esso dichiarante, giunto che fu il battello nel porto, ne discese, non saprete in niunissima guisa porre di accordo le due affermative. E quale era il comando che dal capitano si esercitava, e quale la direzione cui dava norma colui, se esso il dichiarante nel tempo, assai breve, che il piroscafo dalla rada pervenìa nel porto, ebbelo guidato, esterrefatto dalle minacce di morte de' ribelli? nel che, fuori dubbio, un vero inoppugnabile, menoché non si supponga nel pilota pratico, un altro amico sì cordiale del SITZIA quanto il Daneri si ritiene.

E pure egli è certo che noi fosse, non per falsare i fatti, ché di questo ne guarderemmo, ma pei suoi concetti. Non per falsare i fatti ché altramente non avrebbe lasciato scrivere nella sua dichiarazione: Che le mosse del capitano non faceano addivedere che avesse avuto relazione co’ ribaldi; ma per quello che volle si aggiugnesse: Che essendo uscito (il capitano) fuori il porto non vi era alcuno che lo avesse potuto trattenere. Un poco da banda questo giudizio estimativo, certo è che il capitano non lasciava intravedere fosse indettato co’ ribelli, il che rende che il suo operato, anche quando fosse stato partecipe al governo del legno, non era che necessitato da quelle pistole e da quegli stili che affranto aveano l'animo di esso dichiarante sino al punto di farlo divenire condottiere di coloro che gliel’impugnavan contro.

Ne additi, adunque, il nostro avversario altre fonti, perocché, siccome negl'interrogatori del SITZIA rinveniamo tutt’altro di quello ei fa sembianza di ravvisarvi, così nelle dichiarazioni del Roberti, e del Colonna vi è franca ed ingenua la difesa dei SITZIA, con quel piglio schietto e non curante anche di sé stessi, che è proprio degli uomini di mare.

Ché se il Colonna ne venia altronde a quel suo opinare che il capitano, escito che fu del porto, niuno lo potea intrattenere, noi in questo gli opponiamo ragioni assai ponderose per mostrargli che si avvenga in grosso fallo. Ed in prima, lo invitiamo a riflettere che, disceso egli nel porto dal battello, nulla potè oltre conoscere dello stato in cui su questo si rimasero le cose. Nulla, del se il capitano potè essere da alcun che intrattenuto, e di ciò non potè esser buon giudice come il suo compagno Roberti il comandante del porto, e l'uffiziale de' quali durò la prigionia. Ora il buon Roberti non azzarda quel suo giudizio, e non l’hanno smaltito né il comandante del porto, né l'uffiziale.

Ma il Roberti, il comandante, e l'uffiziale continuarono ad essere ritenuti in ostaggio: dunque, ebbe a rimanere sul bordo chi loro ne facesse forza per chiuderli nella camera di poppa; dunque, vi potè essere chi facesse forza del pari al capitano: crolla, quindi a precipizio la logica del Colonna.

Il nostro avversario, pertanto, che si mal fonda sulle dichiarazioni del pilota pratico, e del pilota comandante la scorridoja, tace affatto sul rapporto del capitano comandante il porto di Ponza. Pure egli avrebbe dovuto tenerne proposito qual documento che partiva da una delle primarie autorità dell'isola, e tenerne proposito perché quel capitano, essendo rimaso sul bordo del Cagliari dal suo avvicinarsi al porto insino a quando non muovea per Sapri, certo, era un testimone sotto tutti gli aspetti di alto rilievo.

Noi leggiamo nel rapporto come vi si narri dal punto in cui egli si Ri avvicinato al battello il quale si rimanea ancor fuori del porto col pilota pratico già montatovi: Che in un momento mi vidi più di venti bocche a fuoco composte di fucili boccacci e pistole da sulla frisata del Vapore imponendomi col dire montate scellerato: cosi fui obbligato ad avvicinarmi alla scala, ed allora tre individui vennero sulla lancia mettendomi dei pugnali alla gola, e mi condussero in coverta unito all’uffiziale che portava meco. Non appena fui in coverta, ci obbligarono di calare nella camera con sentinelle a vista. E vi leggiamo come vi si continuino ad esporre pei particolari tutte le violenze che gli si ebbero a far soffrire insilo a quando non colse il destro di scendere dal piroscafo nel momento in cui questo salpava per Sapri, ricordando sempre la presenza degli armati, sia che egli rimanesse detenuto nella camera di poppa, sia che gli si permettesse di sa' ire in coverta. Irrefragabile testimonianza questa che, mentre giustifica appieno il capitano del porto, non può non richiamare gli animi imparziali a rivolgere le loro considerazioni sullo stato identico del SITZIA!


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XI

E parrà ad ogni uomo, che voglia fare uso delle facoltà mentali, che in punto sì decisivo della impresa, nel più esecrato momento di reità, quel sì provvido SITZIA non sarebbe divenuto imprudentissimo. Ei che avrebbe intessuta quella lunga tela della più accorta e studiata simulazione per covrire la sua risponsabilità; ei che, di concerto con tutto il suo equipaggio, non avrebbe avuto nel cammino altri testimoni da cui guardarsi se non quei pochi tranquilli passeggieri; sarebbe ricorso, nondimeno, alla scena della ribellione: èi che si avrebbe preparato nel Da neri una vittima volontaria; ei che avrebbe indotto quella eletta di disperati a lasciare a lui solo una luce di speranza nella dichiarazione che il mettea fuori della trama; ei poi, giunto sul teatro ove il nodo del funesto dramma si dovea sciogliere; ei, in presenza delle autorità governative del paese che veniva a manomettere, ostilissime come gli si mostravano; ei con alcune di quelle autorità sul bordo, testimoni ben diversamente tremendi che non i pacifici passeggieri; ei tutte le sue colpe avrebbe denudate, e sembianze ed atti avrebbe tolto di condottiere della nefanda aggressione: il dica ed il creda chi vuole!!

Per noi il deposto del SITZIA negl’interrogatori risponde al solo vero possibile; al vero che sta in accordo con tutt’i precedenti; ai fatti che il Daneri assume a suo carico anche dinanzi al porto di Ponza, fatti che sono propri del capitano della nave; a' fatti che assume a suo carico il pilota stesso del porto; alla permanenza, non che pruovata, necessaria di taluno de' ribelli sul piroscafo anche dopo effettuato il disbarco, senza che i militari ed il comandante della scorridoja non avrebbono avuto chi gl'imprigionasse e ne fosse a guardia. E risponde, sovratlulto, alle stesse dichiarazioni e di quel comandante e del pilota pratico che accordano,non si sa a chi, l’uffizio di capitano, e che noi abbiamo pur voluto supporre fosse il SITZIA, ma di capitano che soggiace agli ordini altrui. E risponde a capello a quanto ne riferiva il capitano comandante il porto di Ponza.

E però, largheggiando oltre ogni confine di concessioni, proponiamo si ritenga per verità o per menzogna tutto il detto dal SITZIA ne’ due interrogatori. Se per verità, ond'è che se ne tragga la sua accula? Rimaso solo perché il suo equipaggio si sarebbe adoprato in Ponza, e come salpare per Gaeta o per altrove? Rimaso solo, ma messo in arresto nella stanza di poppa e minaccialo di vita come disporre del battello? Giù, adunque, l’avventata affermazione che il Silzia confessasse. Se vuoisi poi che mentisse, ed in che avrebbe potuto egli mentire? nell'arresto, e nelle minacce di morte: togliete questo, rimarranno sempre i ribelli che il dominavano, coloro che, fuori dubbio, tenean rinchiusi nella stanza di poppa ed i militari ed il comandante la scorridoja. Ponete pure a conto del SITZIA ed il ritorno in rada, e la rientrata nel porto, sarà sempre il Silzia obbligato, non il Silzia volontario.

Ne fermeremo noi al perché della uscita in rada, dopo il disbarco, che il nostro contraddittore si fa ad apporgli? No certo, perocché egli è uno sragionare evidente. Confidavano o no i disbarcati nel SITZIA? se confidavano, come suppone il nostro contraddittore, Silzia, amico, non sarebbe stato capace di abbandonarli, disfatti che erano, e costretti i superstiti a rimbarcarsi; se diffidavano, oh! ed allora non gli avrebbon dato arbitrio alla uscita dal porto che accennava alla fuga!

Si riconosca pare ciò che è chiaro di per sé. La uscita in rada ponea. in salvamento. il battello, mentre l'attacco durava, da' colpi che avrebbero potuto essergli diretti, e che, anche supposti vittoriosi come furono i ribelli, avrebbero potuto tor loro il mezzo da esser condotti in terra ferma, essi che non volevano, per certo, conquidere il meschino scoglio di Ponza, ma col regno nostro, almeno distruggere e rovesciare le Sovranità legittime di tutta Italia.


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XII

Ne intrattiene ancora innanzi Ponza fatale il carico che si dà all'equipaggio ora intero, ora mezzo di aver preso parte alla pugna su quell’isola. Questa accusa è altrettanto esiziale quanto è sfornita di qualunque sostrato. Lo rafferma, dice il nostro avversario, il Silzia e con lui il Daneri ed il Rocci, e Io ribadisce il Cori.

Ma sia lode al Signore! che dicon mai costoro? Il SITZIA dice: Imposero al mio equipaggio di mettere in mare tutte le imbarcazioni, onde ajutare a fare lo sbarco, e poi: Giacché liniero mio equipaggio era stato obbligato a viva forza di sbarcare a terra con loro. Il Daneri nulla dice di proprio che riguardi l’equipaggio se togli la violenza a lui fatta di scendere in Ponza con Nicotera e Falcone, se logli che gli ultimi a scendere furono gl'insorti a bordo dopo la partenza di Genova, il che include la violenza falla ai primi. II Rocci dice: Allora subito si diressero al porto, ed appena ancorati ci ordinarono di mettere in mare tutte le imbarcazioni e dandoci delle armi ci obbligarono di scendere i primi. Il Cori dice: Le quali obbligarono tutta la gente di bordo a calare armati a terra, ed io fui obbligato di tanto fare.

È maraviglioso il metodo di argomentare che si usa. Tutti coloro deponevano la violenza falla all'equipaggio per traghettare i ribelli, ed anche le armi date, e da questo si fa procedere l’inverso, cioè, che volontari scendessero, e che le armi impugnassero! Ei bisognerebbe almeno una qualunque contraria pruova, non mai per ritenere che SITZIA Rocci Daneri e Cori inducessero la spontanea discesa e la pugna, ma che l’opposto assumendo fossero bugiardi.

Esiste la pruova, ripiglia l’avversario, perché Acquarone, cameriere del piroscafo, fu ferito in Ponza; perché Mercurio suo compagno fu ferito in Sapri: dunque Acquarone e Mercurio avrebbero pugnalo, e non tutto l'equipaggio. Ma Acquarone e Mercurio furon feriti, egli è vero, non però necessariamente pugnarono, ed essi ne danno il perché ed il come, e questo come e questo perché, in concorso del trovarsi feriti, subisce ora un procedimento penale. Com’è che si faccia appello ad un fatto su cui pende il pronunziato de' magistrali? E fossero pure Acquarone e Mercurio colpevoli, e quale addebitò agli altri dell'equipaggio? e quale addebito al capitano, se quei due avrebbon soggiaciuto alle seduzioni de' ribelli? La loro causa rimarrebbe tutta propria ed isolata.

L’avversario aggiugne un computo numerico. Se il novero di quelli che si rimbarcarono in Ponza, ei pone, fu di 450 secondo il SITZIA, egli è evidente che nella cifra va compreso l’equipaggio, perché 391 erano i rilegati, 21 ribelli, 30 l'equipaggio, il che lascia scoverto quattro soli. Ma SITZIA deponea che LA BANDA era già composta di 450 CIRCA. Dunque SITZIA, con calcolo di approssimazione, parlava de' ribelli e de’ rilegati, e non potea comprendere giammai l'equipaggio nella BANDA. Ne sentiamo in vero ammiserir l’animo nel discendere a meschinità della fatta. Dimanderemo, da ultimo, come di cotesta partecipazione dell’intero equipaggio alla zuffa di Ponza non si faccia deporre a niuna. delle Autorità presenti e violate, a ni uno degli abitanti di Ponza. Rimane al nostro avversarlo il darne una ragione qualsivoglia, altramente, ripetendo le parole che testò scrivevamo, conchiuderemo che il fatto non ha per sé sostrato di sorta. ché anzi diremo all’avversario nostro che ove gli piaccia rileggere molti de' documenti che ne ha intimati, e tra gli altri, gl’interrogatori fatti in Sapri, onde ei trae fede di evangeli, rinverrà che il numero de' discesi che furono ostili in Ponza non si afl«ferma che d’intorno a' venti, il che non comprende neppure tutti i sicuri ribelli. Così il Paparo,una. ventina, ed una ventina pure il Barberio, e tutti gli altri, della gente., alcuni, e simiglianti modi da escludere che fossero 33. Ma noi siamo ben folli a combatter le ombre.


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SECONDO PERIODO

Partenza del Cagliari da Ponza sino all’arrivo in Sapri

I

Il Cagliari lasciava Ponza, e venia diretto a Sapri, ma oh in quali peggiorate condizioni! L’inferno apertosi da Genova a Ponza era agitato da ben altro numeroso stuolo di demoni, e certo non meno malvagi. Da venticinque eran divenuti più che quattrocento, e la giunta si componea di soldati espulsi dalle armi per trista condotta, di condannati per ogni maniera di misfatti comuni; vi erano bestemmiatori della DIVINITÀ, omicidi e peggio: in somma le tavole del Cagliari albergavano un’eletta rassembrata da tutte le bolge dell’Alighieri.

A questo, e chi non rivolge un pensiero di verità, un senso di compassione al misero equipaggio, al miserissimo capitano? Ogni gesto, ogni respiro non che ostile, non consenziente alla volontà, agli ordini de' terribili dominatori di si angusto campo, sarebbe stato una colpa di morte. E poi, a che il gesto, a che il respiro se non per farsi vittime volontarie, e sconsigliale, ed indurre colla loro ruina la perdizione indubitevole del bastimento?

Ma il nostro avversario non può né così pensare, né così sentire, e non vede che il SITZIA consigliere di aguati, fabbro di cartucce e dispensiere di armi, e, novello Tirteo sulla prua del concitato naviglio, avvalorare la impresa, prometter la vittoria.

Noi vede egli per gli occhi degl'innocui passeggieri che pure gemeauo sul bordo da Ponza a Sapri; il vede per quelli de' soldati indegni della divisa onorala del nostro Re Augusto, il vede per quelli de' mariuoli, de' bestemmiatori, degli omicidi, e sono venti nullamanco gli occhi che veggono per lui. Il vede più chiaro di tutti Eugenio Lombardi, e con costui il veggono ed il Barberio ed il Lafato, Paparo, Gallo, Conte, Battista, Milano, Mundo, e Parrilli.

Tutti costoro avrebbon veduto che il SITZIA all’incontro di un legno nelle acque tra Ponza e Sapri, ordinasse a tutti di calare sotto coverta, ed avrebbon veduto, con effetto, il SITZIA confezionare le cartucce, dar le armi, ed incoraggiare all’impresa.

Non è egli vero primamente che tutti quei dieci deponcssero siffatte cose. Quanto all'ordine di celarsi sotto coverta, come quello che sarebbe stato ingiunto dal capitano, non si afferma che dal Lombardi e dal Barberio. Il Paparo invece allega che r avvertimento all'uopo fu fatto da molti capi. Il Parrilli nulla dice sul proposito. Il Gallo asserisce solo che vi fosse concorso l’accordo del comandante del legno. Nulla ne dice il Conte. Nulla il Battista. Il Milano favella dell’accordo del comandante, e cosi il Mundo. Il Lafato, da ultimo, non ne fa motto.

Quanto poi alla distribuzione delle armi e delle cartucce, egli è bene riportare il deposto per lettera da ciascuno.

Il Lombardi, soldato rilegato: «Il generalissimo della banda, accompagnato dal comandante del Vapore, col quale slava in perfettissimo accordo, e che potrei benissimo indicarlo, incominciarono ad aprire delle casse di armi, distribuendole a tutti «tranne che io che non ne volli accettare: dippiù lo stesso capitano del Vapore somministrò della polvere che sotto la sua direzione si ridusse a cartucci.»

Il Paparo per contrario: «Le operazioni furono «quelle della somministrazione delle armi.»

Il Parrilli, nulla sul fatto in niun senso.

Il Gallo soldato rilegato: «Vi fu distribuzione a bordo di armi e di munizioni concorrendo in tutte i queste operazioni la decisa volontà ed il pieno accordo del comandante del legno.»

Il Conte: «Niente posso assicurarle su di ciò dal perché non faceva parte de' loro discorsi segreti.»

Il Battista, in contrario del Lombardi: «Signore, al mio arrivo a bordo alcuno non si curò di me: solo sentiva nominare un generale, non vidi altro che somministrasse armi.»

Il Milano, soldato rilegato: «Il comandante del «legno sembrava di perfettissimo accordo con loro stando sempre in loro compagnia, progettando e confabulando insieme.»

Così parimenti l’altro soldato rilegato il Mundo.

Il Barberio: «Le operazioni furono quelle della distribuzione delle armi, della manifatturazione delle cartucce, il tutto eseguito da molti capi e col consenso del capitano del legno, col quale stavano in perfettissimo accordo.»

Il Lafato sull'inchiesta se conosceva il comandante del legno: «Lo conobbi subito annunziandosi egli stesso, conservando una condotta dell'uomo della indifferenza, dispensandoci de' sigari, ed animavaci col dire, allegri figliuoli.»

Dunque se togli il Lombardi, non altri ti resta che dica essersi le armi somministrale, e fatte le cartucce dal capitano. E basterebbe a riconvenire del mendacio più sfrontato cotesto Lombardi, osservando solo com'egli asserisca che il generalissimo col comandante del Vapore incominciarono ad aprire delle casse di armi, solennissima menzogna perocché tutto quant'è il processo assicura che i rivoltosi, impadroniti che si furono del piroscafo, fecero ricerca di armi che avrebbe potuto trasportare, rinvennero le casse che le contenevano, e da queste le estrassero. Secondo il deposto, pertanto, del Lombardi, l’apertura delle casse non sarebbe avvenuta che dopo Ponza!

Tolto il Lombardi, vi ha taluno che depone del consenso, e dell’accordo del capitano, ma non dell'azione sua propria. Vi ha altri che assicurano il generale coi capi essere i soli distributori. Vi ha infine chi nulla dichiara sul proposito.

Non è egli vero,quindi, che tutti i nove fossero univochi col primo interrogato che fu il Lombardi, ed è falsissimo che il Barberio ed il Lafato riconoscessero, come il Lombardi, la persona del SITZIA.

L’atto di affronto, del quale ne occuperemo or ora, non ebbe effetto che col solo Lombardi.

Piaccia porre a disamina il valore delle cennate deposizioni, a parte per un momento la loro inattendibilità legale.


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II

I dieci che interrogavansi in Sapri nel giorno trenta, non dall'Ayala che procedeva ai precedenti interrogatori del ventinove, ma dal Lecaldano secondo tenente del reggimento Real Marina, chi eran dessi? Erano ribelli presi colle armi in braccio, felloni e spergiuri al proprio Re, del pari o più che i venticinque. Erano una vile genìa che cercava scampo nella mal fondata speranza di rovesciare su gli altri la colpa che avevan divisa. Erano una mano d’infami, per la più parte, che faceano appello alla indulgenza, non risguardando che mettessero a sopraccarico delle loro reità la calunnia.

Ma infine se escludi il Lombardi, che solo, per certo, non debbe far fede, e che ti rimane altro se non il consenso e l’accordo deposto pur da pochi ad aggravio del capitano? consenso ed accordo apparente e necessario nella fatale condizione in cui era ridotto: né, fuori dubbio, que’ pochi eran giusti estimatori delle sembianze colle quali il capitano avrebbe condisceso ai voleri ed ai fatti de' ribelli.

Noi,altronde, saremmo vaghi di conoscere e perché mai agli otto innocui passeggieri non si eran dirette le medesime inchieste, che anche non tutte e variamente si facevano ai dieci? Quei tranquilli e veridici passeggieri avrebbero dichiaralo per l’andata da Ponza a Sapri non altramente che per la precedente da Genova a Ponza, ed, in difetto di questo, debbe valere il loro deposto onde la violenza al capitano, e sforzato quanto costui avrebbe o operato o consentito nel continuar del viaggio.

E ponete a sacramento tutto che dal Lombardi riman detto, e da talun altro in parte ripetuto, chi sarà egli quel capitano che tenne il comando da Ponza a Sapri? Sarà il SITZIA se ve ne state all’atto di affronto che col Lombardi segui; ma non sarà il SITZIA se ve ne state alle dichiarazioni dell’equipaggio e dei passeggieri pacifici, i quali vi attestano tutti che, indi alla ribellione, il Daneri subentrò nel governo del battello, né alcuno vi ha che dica essersene costui dismesso al punto di muovere da Ponza.

Non lo dice lo stesso Daneri, e basterebbe il suo silenzio, il silenzio di lui che confessa di avere assunto il comando, obbligato che vi fu dagl'insorti: ma non è il silenzio che viene in nostro ajuto, è la parola stessa del Daneri. Ei nel suo primo interrogatorio dichiara:

«Il Vapore si riempiva di gente armata che venivano da terra, e giunte verso le 11 della sera al numero di un 400 in circa, METTEMMO IN MOTO E FUI OBBLIGATO DI DIRIGERE SOPRA SAPRI dove, giunti l’indomani sera alle circa, SBARCAMMO tutta la gente armata che volle».

E nel secondo interrogatorio aggiunge, dopo aver narrato del suo ritorno sul piroscafo dietro la di scesa in Ponza: «Arrivato a bordo, trovai il bastimento pieno d’insorti, ai quali IL MIO DOVERE era solamente quello di ubbidire.»

Dunque non fu desso il SITZIA, che avrebbe riprese le parti di capitano da Ponza a Sapri. Fu il Daneri che confessa di averle continuate e quando dice che il battello coverto dagli evasi da Ponza ebbe a salpare per Sapri e che era suo dovere l’ubbidire agl'insorti, e più quando dice che egli, e non il SITZIA, fu obbligato di dirigere sopra Sapri.

Eccone però sempre a quell’assurdo di voler ricercare il reo chi fosse, nel fatto che, se un reo vi ebbe, lo si avrebbe confesso.


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III

Ma l'atto di affronto del Lombardi col SITZIA fa crollare il nostro assunto, dirà certo l’avversario. Noi non staremo ad indagare in qual guisa abbia potuto cotale affronto avvenire, né rileveremo che il Lombardi era gravemente infermo giacente in letto. Diremo solo che l’unico Lombardi non può, certo, condannare il SITZIA; diremo che l’averlo ravvisato a nulla monti perché certo ebbe a conoscerlo sul bordo, il che fa sempre rimanere a scoverto l’indagine se quel SITZIA, che era il capitano titolare del Vapore, fosse quel co mandante che guidavalo da Ponza a Sapri, quel comandante, cui senza più si accennava da quei taluni tra' dieci che gli attribuiscono ed accordo e consenso co’ ribelli.

Il nostro avversario che rifiuta ogni fede all’equipaggio; che si avventa sull’interrogatorio del dottor Mascarò, solo di cui tien proposito tra quei de' passeggieri indifferenti, per dirlo di mendacio; che inattendibili pretende gli altri sette perché diretti a passeggieri che non furono testimoni, e non si curaron di esserlo; lasciando stare che accordi fede pienissima agli alcuni tra' dieci, afferma pure non oppugnatili per la via delle leggi le loro dichiarazioni. Veggiamo se bene il pretenda.

Le Ordinanze della Real Marina han cessalo di aver vigore colla pubblicazione della legge del 30 giugno 1819, di cui l’art. 2° a quelle sostituisce lo Statuto penale per l’armata di mare, e questo pel dettato dell’art. 96 è soccorso dallo Statuto penale militare.

La pruova testimoniale sinora raccolta appresta ampio campo a disamina, il che va riserbato al giudizio penale: noi ne diciamo qui quel tanto che più da vicino si attiene al deposto de' dieci, ed all’atto di affronto, o meglio di ricognizione, della persona del capitano SITZIA.

In prima osserviamo che radicalmente nullo sia cotal atto, e gl’interrogatori in quanto che vi procedea un sottotenente del reggimento Real Marina, il sig. Leopoldo Lecaldano, nel quale avveravasi una totale deficienza di poteri; perocché, ne’ termini degli articoli 90 a dello Statuto penale dell'armata di mare, ei dovea essere all’uopo adibito l'uffiziale di dettaglio, o, in mancanza, altro, ma sempre che fosse dell'armata di mare.

Dicevamo che tutti quei dieci sono correi, complici, e coimputati nel giudizio a carico de' ribelli, nel quale trovasi ravvolto il capitano e l'equipaggio. E vero che per l'art. 177, i soci del reato divengono testimoni necessari, ma egli è quando si ottenga la loro confessione: nella fattispecie quei dieci, lungi dal confessare il loro concorso ne’ misfatti, se ne traggon fuori, ed, a via di scampo, accusano e calunniano il capitano. In ogni modo, la legge vaglia al giusto le deposizioni di cotali testimoni, lasciando al criterio del giudice il pesar la forza de’ loro detti, e quale efficacia debbano avere quelli de' dieci si raccoglie da quanto ne abbiamo esposto.

L’art. 166 dell’additato Statuto dispone inoltre: «Gl’inimici capitali de' rei, gl’infami di fatto o di diritto, i mendici che abbiano inquisizioni anche leggerissime, quelli che con qualunque alto abbiano violato l’indifferenza propria de' testimoni, sono incapaci di far testimonianza.»

Non vi ha mestieri di andare spigolando nella scelta di queste categorie per rinvenirne una da collocarvi i dieci.

L’art. 190 detta che ove «il reo, CONFESSANDO, comprenda altri nel suo reato, gli sarà ricordata la santità del giuramento, ed inoltre, gli si avvertirà che dovrà un giorno ratificare il suo detto alla presenza di quello che nomina, e che forse colla instruzione regolare del processo potrebb’essere verificato il contrario, nel quale caso rimarrebbe convinto di falso;—ed ancora» se l’imputato «persista nella sua confessione, ciò dovrà notarsi dal cancelliere.» Niente di tutto ciò da' verbali degl’interrogatori. Niente della prestazione del giuramento, e però inconcussa la loro nullità.

L’atto poi di affronto o di ricognizione, del quale tanto si occupa il nostro avversario, racchiude tali patenti infrazioni delle forme tutelari di legge da disgradarne il men perito instruttore.

L’art. 195 impone che «abbiansi a scegliere almen cinque persone approssimativamente consimili all’imputato, niuna nota a colui che dovrà fare la ricognizione. —Che l’imputato dee frammischiarsi tra esse scegliendo il posto che gli piacerà. —Che la persona che dovrà fare la ricognizione sarà tenuta in una camera separata senza che comunichi con alcuno, e senza che possa vedere ciò che si opera nella camera dello sperimento.»

Simiglianti disposizioni sono conformi a quelle delle leggi comuni dettate dagli articoli 94 e seguenti della Procedura penale.

Or di tali indispensabili solenni neppure un solo fu adempiuto, il che è indubitevole leggendosi solo nel verbale compilato:

«Ci abbiamo fatto venire alla nostra presenza il comandante suddetto, e posto in mezzo ad altri individualo abbiamo fatto riconoscere colle seguenti domande.»

Riman, quindi, appieno ignorato se quegl'individui fossero almeno cinque, se fossero approssimativamente consimili all'imputalo, se alcuni fossero noti al Lombardi, se, da ultimo, si osservassero gli altri additamenti quanto alla camera separata, e quanto alla camera dello sperimento. Solo quello che si conosce è che il SITZIA non scelse egli il posto che gli fosse piaciuto perocché nel verbale si afferma in contrario, posto in mezzo ad altri individui.

L’art. 196 indica il compimento delle formalità per lo momento in cui la ricognizione sì effettua, delle quali anche niuna se ne ravvisa osservata, e poscia dispone così: Quindi al testimonio o complice che fa la ricognizione si deferisce il giuramento, essenzialissima esigenza della legge che fu trasandata, mancanza che sola fa risultare il verbale una carta affatto inattendibile.

Né ciò è tutto: concorre altra flagrante nullità nel difetto d’intervento del commessario del Re, e del presidente. Tale intervento è richiesto letteralmente dal mentovato art. 196, e per l’atto in disamina al ministero del presidente accorre il comandante del legno, secondo i dettami dell'articolo dello Statuto penale dell’armata di mare.

Che fare, adunque, e de' dieci interrogatori e dell'ostentato atto di ricognizione? Il meglio che si può per l’avversario nostro è quello di dannare all’obblio procedura cui la legge grida l'anatema, e raccogliere il vero in tante fonti purissime anziché pretendere di attingerlo in quell’una sì torbida, rassegnandosi piuttosto a vederla inaridita, che a lordarsi del fango che se ne trae.


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TERZO PERIODO

Partenza del Cagliari da Sapri sino al suo incontro colle Regie navi

I

I venticinque partiti da Genova, i quattrocento, più o meno, evasi da Ponza, tutti disbarcarono in Sapri, e di colà, tantosto, muoveva il vuotato piroscafo,e muoveva senza più sotto il comando del SITZIA: è ora egli stesso che si fa innanzi a palesarlo. Per dov’è che muovesse? ecco il dubbio: la verità che muovesse per Napoli lo salverebbe; dunque debbe muovere, non crediate già per sottrarsi alla cattura colla fuga; debbe muovere per Ponza onde ricolmare il suo legno di rilegali ancora rimasivi, e quindi venirne ancora a Sapri. Sobbarchiamone con visceri di bronzo a combattere quest'ultima accusa.

E moralmente impossibile che muovesse per Ponza. Piacciavi risguardare come l’involuto dramma ha il suo pieno scioglimento dopo il disbarco a Sapri; e come tutti coloro che furon tratti a prendervi una parte involontaria, ne escirono, lasciando ai veri attori subirne la catastrofe. In Sapri non più occorrea ai ribelli il servigio del naviglio, né voleano né poteano trattenerlo a mezzo di scampo. Noi voleano, perché erano discesi in terra ferma per vincere o morire, e lo aveano scritto in quelle tante loro carte. Noi poteano, perché calcolavan certo che, fallita la impresa, il Governo di Napoli colla poderosa sua marina a vela ed a vapore non avrebbe lasciato sfuggirsi il Cagliari, il quale anzi sarebbe stato arrestato al lido stesso ove gli avrebbe attesi.

Or bene chi si rimanea su quel piroscafo? gl’innocenti, cioè gli otto passeggieri, e con essi il Daneri, il quale o era un congiurato, e sarebbe pur disceso in Sapri; o non lo era, ed in tal caso perché assunto avrebbe il comando, perché avrebbe confessato di averlo esercitato, altramente che obbligatovi da' ribelli, il che è argomento irrepugnabile della forza fatta al SITZIA? E si rimanea sul piroscafo il reintegrato capitano, e con lui l’intero equipaggio, il quale se fosse mai stato complice de' ribelli, se avesse pugnato in Ponza, certo avrebbe voluto trionfare in Sapri. Né si dica che l’equipaggio fosse necessario al SITZIA per navigare insino a Ponza, perocché non sarebbon bastati, fuori dubbio, i soli macchinisti, come vuole l’avversario nostro, ma trenta persone eran bene di troppo. Chi, adunque, discese co’ ribelli? il solo Mercurio cameriere, e se per aver parte agli ulteriori successi, sei vedrà egli nel giudizio penale che or subisce. E de' ribelli chi rimase sul piroscafo? niuno, se togli i due feriti in Ponza coll’altro cameriere Acquarone. Come, adunque, si andava per un novello carico di rilegati in Ponza, e neppure uno de' 25, e neppure uno de' 400 accompagnava la spedizione?

Ma, invero, di questo SITZIA si fa un uomo incomprensibile. Prevede, provvede, simula, ed infin

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ge lunghe e studiate scene quando è lunge tanto dalle coste del nostro regno; quando, sorpreso colla compagnia de' ribelli, avrebbe solo per la loro presenza avuto largo campo di scuse. Si fa rilasciare le dichiarazioni da quelli, inette sul bordo un fantoccio di capitano a rappresentarlo. E poi giunto a Sapri, eccolo smascherarsi egli solo ribelle per sè, e col suo equipaggio: eccolo salpar solo per Ponza, e ritornarne con altri quattrocento, ed impiegare due giorni all’andata ed al ritorno senza più darsi pensiero de' pericoli che tanto lo avean preoccupato! E non darsene pensiere sino al segno di aver per certo che il Governo di Napoli non mandasse una sola nave da' tanti punti propinqui alla linea ch’egli avea a percorrere per affondarlo in mezzo alle onde; non ne mandasse una alle rive di Ponza, non una a quelle di Sapri, e molte ovunque rattissimamente ne inviò! Però per sola impossibilità morale, che di mille altre ragioni potremmo pur corredare a mera esuberanza, il SITZIA non potea navigare da Sapri a Ponza, meno che non avesse perduto ad un tratto ed appieno l’intelletto, il che non si suppone, o assolve.

II.

II nostro avversario, pertanto, tei dà di certo, e tei dimostra, oltre a mezzo della carta idrografica ónde rileva il cammino del Cagliari ed il sito dell’incontro colle Reali fregale, al che or ora passeremo, lei dimostra, ripetiamo, con una bizzaria di argomenti a' quali non ti attendi in guisa del mondo.

Ei ti dice che il Cagliari iva da Sapri a Ponza perché quei dieci rilegati che a Sapri s’interrogarono risposero come sai del contegno del SITZIA da Ponza a Sapri, e per quelle risposte appunto, SITZIA dovea tornare a Ponza.

Ei ti dice che SITZIA riandava a Ponza per un argomento assai più grave, ed è che viaggiava armato qual fu sorpreso dal nostro retroammiraglio Roberti. Ma piano colla quantità e colla qualità delle armi: a noi piace attingerle nel nolamento ufiziale fattone dall'altro retroammiraglio Gaves, ed invialo al Direttore del Ministero della Marina che ne ha emesso certificato, anziché nella scritta dellavversario. Colai notamente reca: fucili a due colpi per uso di caccia numero 7 fucili a due colpi a percussione boccacci a mano 4pistole a percussione 2 fucili di caccia a percussione 4fucili di munizione guernili di ferri 2 carabina a percussione 1. I suddetti fucili eran mancanti di alcuni pezzi al completo. Due casse contenenti numero 100 canne di fucili nuovi per uso di caccia, sciafila mancante di fodero.

Ne vieu vaghezza di trascorrere nel ridevole, ma ne intrattiene la gravità della materia che trattiamo. Colle canne nude rimase nelle due casse tra le sette prese in Genova ni n si fa guerra, e co’ fucili mancanti del completo la non si fa; e poi con pochi fucili da caccia si fa la guerra agli uccelli. Quelle armi, perché non atte al fuoco, erano state lasciate dalle bande discese in Sapri, e basta di esse ché già ne abbiamo dello oltre il debito.

no —

Ancora un altro argomento per raffermare chtf SITZIA da Sapri si dirigesse a Ponza, e l’argomento si trae dal piano di campagna rinvenuto nel portafogli del Pisacane. Si fa raccogliere da quel piano che non solo i rilegati di Ponza dovessero infoltare le schiere ma anche i servi di pena delle isole circostanti, e però non bastare a tutto il solo Cagliari, e però il convegno dato alle due barche cariche di uomini e di armi ne’ paraggi di Sestri. E però mancate queste, il Cagliari si trovò obbligalo a quel suo ritorno in Ponza.

In siffatto modo si ergono edilizi senza base. Ond’ò che argomenta il nostro avversario che senza gli ajuti de' condannati sulle altre isole la impresa non si sarebbe compiuta? Il contrario emerge da' due piani, ché due sono quei che dettava il Pisacane. Questi vi giugno a intravedere il caso in cui non avessero trovato seguito alcuno, e che manco i rilegati di Ponza si avessero voluto unir loro, e nondimeno si delibera alla discesa in Sapri. Se tutto va malissimo, e che i rilegati non vogliono venire, noi sbarcheremo con 2$ armati e 200 fucili, il che riduceva di tentare la impresa coi soli partiti da Genova.. Così rimane abbattuta la necessità che pone in mezzo l’avversario di aumentare con altro numero di rilegali quelli posti sulla terra di Sapri che eran già venti volte i venticinque tenuti sufficienti.

Al proposito di questi piani del Pisacane, rileva pur l’avversario che dal loro contesto non sorga idea che dubitassero i ribelli dell’uso pieno del Cagliari, il che involve a suo modo il concorso non solo del Sit

— ili —

zia ma del Rubattino stesso. Sì egli è vero, l’auìor di quei piani non dubita di questo perché non ne fa motto, ma ei comincia per tracciarli colle parole a circa quaranta miglia dal porto si esegue la sorpresa del Vapore.. Pisncane non dubitava, adunque, del successo detta sorpresa, e non poteva dubitarne, e però riteneva che impadronitisi del piroscafo, l’uso non De potesse mancare. ché se la sorpresa non fosse riuscita, tutto sarebbe mancato in sul cominciare, e quindi inutile il preveder questo caso nel corso delle operazioni successive. E basti pure il detto su quei piani perché il tener oltre dietro a ciò che non ha sostrato nel fatto, ed è tutto speculativo ne’ calcoli del nostro avversario, non deve impegnarne in vane disamine.

Ma l’andata del Cagliari da Sapri a Ponza ha pel nostro avversario una testimonianza irrepugnabile nel deposto del Barberio, uno di que’ dieci rilegati interrogati in Sapri, il quale assicura che avendo i ribelli in Ponza raggranellato un numero maggiore che non ne potea contenere il battello, dissero loro che si sarebbe effettuato il primo viaggio, e quindi si sarebbe ritornato a prendere gli altri. Questa promessa dei ribelli si rimarrebbe in un vago inconcludente, se non trovasse la sua naturale spiegazione nel non voler quelli raffreddare gli animi concitali della turba che avean mossa in Ponza; se non trovasse la sua naturale spiegazione nel non volere che i rimasi se ne stesserà malcontenti, e far luogo ad una pugna di zelo per correre alla impresa.

E come osa l’avversario nostro sul proposito giovarsi di testimouianza sì futile ed inattendibile senza far poi motto veruno del contrario attestato da tutti gli olio passeggieri innocenti, i quali si rimasero sul bordo dopo lo sbarco effettuato in Sapri? Negl’interrogatori di quegli otto sta scritto che il capifano aveva loro annunziato, nell’atto di lasciar Sapri, che si recava in Napoli per quivi far carbone, e rassegnare al governo tutti gli occorsi. Qual ragione a mentire nel capitano? E qual ragione, diremo noi, a portar seco quegli otto passeggieri, pesante ed inutile fardello, tostocliè il capitano volto aveva il suo legno a fazioni della sorta? Ei li avrebbe gittati in Sapri o in altro lido, e corse avrebbe le sue venture.

Il Cagliari, nonpertanto, ne oppone l’avversario, era atteso di ritorno a Ponza. La Reni fregata il Ruggiero, che vel precorse, fu creduta, al suo apparir da lunge, non fosse, invece, quel piroscafo. Gl’indettati dell'isola esultarono di gioja, corsero a folla sul lido, novella commozione, novella agitazione.

Ma quali i documenti, quali le pruove di un tal fatto? non vi ha che la penna del nostro avversario. E ritenete pur questa un organo di verità infallibile, che mai ne raccoglierete? Certo, non altro che i rilegati ed i servi di pena rimasi a Ponza, nutrirono la speranza che si apprestasse loro lo stesso mezzo di evadere, di cui i compagni più solleciti si eran giovati. Ma da questo all’accordo col SITZIA, al proponimento effettivo di costui di ritornare, a Ponza vi ha un varco incommensurabile.


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III

Riman, da ultimo, a combattere la possibilità che il Cagliari si recasse novellamente a Ponza colla disamina del cammino che serbò sino all’incontro delle due Regie fregate.

Noi vogliamo augurarne che la carta idrografica alligata alla scritta della Real Marina, e le argomentazioni esposte in questa per indurre che il Cagliari viaggiasse da Sapri a Ponza non sieno opera di persona dei mestiere, che, certo, se lo fossero, non sapremmo dargliene perdono.

Ei bisogna eutrar nel proposito ordinatamente.

Il retro ammiraglio Cav. Roberti, comandante le due Reali fregate poste in corso, nel rapporto che rassegnava da Salerno, il dì 29 giugno, al Direttore della Real Marina esprimeva che «dirigendo pel fiume Sele, e percorrendo poi il littorale, verso le ore otto e tre quarti, annunziato dalla scoverta un 2 legno a vapore di prua, che dirigeva a ponente 2 dell’isola di Capri, feci rotta in conseguenza per 2 raggiungerlo. Alle nove e mezzo si osservò che il 2 detto legno, il quale navigava con macchine e ve le, aveva accostato alla sua diritta, e sembrava 2 che dirigesse per le bocche piccole di Capri. Feci accostare allora molto alla sinistra per tagliargli il cammino, cd alle dieci, essendo a poca distanza, 2 feci tirare un colpo di cannone per chiamarlo all’ubbidienza, ed essendo giunto a traverso molto vicino, colle macchine fermate, feci chiamare il capitano con tutte le sue carte, al che egli ubbidì a immediatamente.

Nel processo verbale della così detta cattura leggesi: «Oggi che sono li 29 giugno 1857, alle ore otto e tre quarti a. m., essendo all’ovest di Capri distante miglia 12 circa, si è scoverto un Vapore, che dalle acque di Capo Licosa dirigeva colla macchina, e colle vele fuori la punta ovest di Capri e si è immediatamente diretto verso di lui onde riconoscerlo, ed essendoci avveduti alle nove e mezzo che man mano accostava alla sua diritta, da noi si è diretto per tagliargli il cammino onde raggiungerlo al più presto. Alle dieci a. m. essendoci molto avvicinali al medesimo, si è tiralo un colpo di cannone a palla, fermando la macchina per chiamarlo all'obbedienza, al che ha fermato la macchina ed imbrogliate le vele.

Nel giornale di navigazione del Tancredi montato dal retro ammiraglio si scrivea: «Alle ore otto e tre quarti, in vista di un Vapore che dalle acque di Licosa corre per fuori Capri, perciò si è accostato alla sinistra, navigando per incontrarlo. Alle ore nove e mezzo, essendoci assicurato che il Vapore sopraddetto è genovese di commercio, e giusto quello per il quale siamo in crociera per catturarsi lo, si è battuta la generale. Alle ore dieci si è i tirato un colpo di cannone da trenta a palla, per chiamare all'ubbidienza il suindicato Vapore, il quale subito ha fermato la macchina, e mandato a bordo il suo comandante.

Questo è tulio quanto si raccoglie da' documenti uffiziali. Veggiamo ora quello vi aggiugne del suo Fautore della scrilla avversa. Ei dice: «Che il Tancredi e l'Ettore Fieramosca alle otto e tre quarti dirigevano all'E 30 S. e che di quivi si riusciva)) a scovrire sull'orizzonte un fumo di Vapore che l'uomo di scoperta indicò verso ponente». Soggiungne, avvertite «raddoppiando di sollecitudine fu certo essere il legno in vista un Vapore a tre alberi ad elica che a vela ed a macchina dirigeva per ponente. Che alle nove e mezzo si riconobbe es«sere il Cagliari, ed allora le due Reali fregale di«ressero a tagliargli il cammino. Che il Cagliari faceva tale una rotta all’O 26. N, che abbandonando man mano la primiera direzione, accostava sulla diritta, obbligando il Tancredi a fare altrettanto sulla sinistra, sicché al termine di quest'inverso e reciproco movimento de' due legni, il Tancredi alle nove e tre quarti, tirato un colpo di cannone ecc. Afferma, da ultimo, a che nel momento della giunzione, il Tancredi rilevava la punta ovest di Capri per N. 15 O, alla distanza di un dieci miglia dalle bocche piccole per N. 8 N. E miglia tredici in di«stanza, e dalla città di Salerno per N 50, trenta miglia lontano.

Così determinati i punti, si passa alle conseguenze, e però s’induce che il Cagliari non potea dirigersi a Salerno, il che non si è dal SITZIA mai asserito; perocché e governando il battello all'O 26 N, e le bocche piccole di Capri restandogli per N. 8 E, era un fatto compiuto che quella rotta fosse stata a disegno evitala. E quando riflettiamo che il Cagliari partito alle undici della notte trovavasi alle 8 ¾ a 71 miglia da Sapri, si sarà dimostrato che non aveva avuto, né avrebbe potuto avere altra rotta che quella che seguiva quando fu scoverto, cioè l’O 26 N., dappoiché ove fosse altramente avvenuto, calcolando che il Cagliari, a cammino medio, percorrea circa otto miglia l’ora, o non si sarebbe punto scoperto, o il Tancredi non l’avrebbe mai incontrato in quel punto.

E così, quod eroi demostrandum, il Cagliari ritornava a Ponza perché «poniamolo nel punto che risulta da' documenti legali; cessiamo dalle ipotesi, prolunghiamo la sua rotta di 0 26 N, ed all’estremo di questo rombo fatale, troveremo non Gaeta, non Salerno, non Napoli, ma l'isola di PONZA.

Si appresti in soccorso di tal vero la carta idrografica levata, per la quale si mena il Cagliari direttamente a Ponza, falsando la sua rotta, i suoi movimenti di seguito alla scoverta del Tancredi, il cammino intrapreso dal Tancredi stesso alla scoverta del Cagliari, ed il punto d’incontro.

Prima flagrante contraddizione: se il fumo dì Vapore si scoprì verso ponente, ed il Cagliari dirigeva per ponente, questo vuol dire che si trovava a ponente dal punto onde il Tancredi lo scoprì, il che induce che tendeva ad allontanarsene, e che il Tancredi non l'avrebbe potuto raggiugnere deviando, come fece, sulla sinistra, ed incontrarlo nel luogo che si segna sulla carta; ma, in contrario, avrebbe dovuto declinare alla diritta, e così lo avrebbe arrivato nelle acque di Ventotene.

Il Tancredi non scovrì, nel vero, il Cagliati che per levante 15. al sud che dirigeva, secondo il rapporto del retro ammiraglio, concorde cogli altri documenti ufiziali, a ponente dell'isola di Capri in sulle ore otto e tre quarti.

Il dirigere a ponente di quell'isola va inteso per passarla a ponente, perocché la si può transitare anche a levante.

Il vero punto, adunque, nel quale fu veduto il Cagliari debb’essere quello per noi indicato, il che concorda appieno con quanto si legge nel verbale della pretesa cattura: Si è scoverto un Vapore che dalle acque di capo Licosa dirigeva fuori la punta Ovest di Capri. Precisamente muovendo dalle acque di capo Licosa per la punta ovest di Capri si è nella rotta che seguiva il Cagliari allorché fu scoverto, mentre per l'opposto, supponendolo ove il colloca l'avversario, il nostro retro ammiraglio, ch'è sì distinto marino, non avrebbe espresso nel suo rapporto che il Cagliari sembrava dirigesse per le bocche piccole di Capri, ed invece, assolutamente dirigeva, il che tornava evidente se si risguardi che, ritenuto per vero il punto additato, da questo alle bocche piccole di Capri, il Cagliari avrebbe accennato una direzione pressoché perpendicolare, diremo, a quella del Tancredi, e di non dubbia determinazione. Ed in questo caso, ne sarebbe necessariamente emerso tutt'altro punto d’incontro de' due legni che quello si pretende, ed il punto preciso sarebbe stato a miglia 15 sul cammino del Tancredi, che corre dodici miglia per ora, dopo che questo ebbe scoverto il Cagliari, ed a miglia 8 2/4 sul cammino del Cagliari, ch'è il massimo che tal battello potea esaurire in un’ora ed un quarto dal momento della scoverta all'incontro. Però, ritenendosi il punto che vuoisi in cui si sarebbe trovato il Cagliari quando fu scoverto, ed indirizzando questo alle bocche piccole di Capri, ei bisognava dire procedesse dal largo, non, come si afferma, dalle acque di capo Licosa.

Ed, altronde, per chiarire vieppiù come fossero falsate le posizioni in cui si sarebbe il Cagliari scoverto, e succeduto rincontro, ei basta osservare che il Tancredi percorreva, secondo si è accennato, 12 miglia per ora. Ora essendo trascorsa un’ora ed un quarto dalla scoverta alla congiunzione dei due legni, il Tancredi dovea aver percorso miglia 15, ed il Cagliari non più che 8 e 3/4 attesa la sua massima velocità di miglia 7 per ora. Riunendo i due cennati spazi, ne risulta il punto sicuro d’incontro; ma ritenuti gli additamenti che si vorrebbon per veri, dai due punti di partenza del Tancredi e del Cagliari non si avrebbe frapposto che un cammino di sole 18 miglia, ed il sito d’incontro equidistante. Ciò importerebbe il doversi desumere che il Tancredi non avesse percorso in un’ora ed un quarto che sole circa miglia 8, mentre nella scritta contraria si legge che all’annunzio della scoperta raddoppiando di sollecitudine etc., il che induce che il Tancredi spingesse a tutta forza, e così meglio che 12 miglia l'ora fornisse. Falsato adunque, senz’altro, il punto d’incontro, il quale, debb’essere almeno miglia 15 distante dal punto di partenza del Tancredi.

In cotal maniera rimane onninamente provato che diverso fu il punto nel quale il Cagliari fu scoverto, onde diverso altresì quello della congiunzione; né si potrà quest’ultimo ritener per. esatto, d’altra parte, ammettendo ancora il rilevamento che indica il nostro avversario punta ovest di Capri per nord 15 ovest., perocché da cotal sito d’incontro rilevando la punta ovest di Capri resta al nord 39 est, e non già al nord 15 ovest, fatto imperdonabile, davvero, se non al nostro avversario, certo agli uomini che debbono esserne instruiti.

In fine, si abbia la sofferenza di attendere ancora ad un’altra osservazione. Il punto ove si vorrebbe che il Cagliari si trovasse, è lontano dalla marina di Sapri per miglia 75, con che s’induce che il Cagliari per compiere in ore ¼ cotal cammino, essendo partito alle Ile scoverto alle 8 ¾, dovea correre miglia 7, 7 per ora, mentre egli è indubitevole che, anche colla maggior velocità, non ne facesse che sole 7, epperò, ritenendosi li vero punto nel quale fu scoverto, si avrebbe un cammino di 67 miglia da Sapri, il quale risponde perfettamente alla mentovata velocità, deposta dai giornali tutti delle sue precedenti navigazioni.

Ché se il Cagliari, come davvero è, non avesse appoggiato sulle Reali fregate non appena furon queste vedute, ei non è mestieri neppur dirlo, che, seguendo il cammino che si gli vuole attribuire nella scritta contraria, non sarebbe stato possibile alle Reali fregate il raggiugnerlo che oltre le bocche piccole di Capri, cosi importando il computo delle rispettive velocità.

Chi voglia chiarite queste nostre esposizioni debbe verificarle sulla carta che per noi si alliga, tracciata come abbiamo potuto meglio.

Non sapremmo affermare se sia più prevalente a mostrare la impossibilità che il Cagliari tornasse a Ponza, la nostra argomentazione morale, o la pruova fisica: il certo egli è che cotale assertiva fa evidente di quali assurdi abbia avuto mestieri il nostro avversario per avvalorare la sua imputazione della complicità del capitano.


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SOMMA

Di quanto si espone e si ragiona dall’attrice sull'assunto che la compagnia Rubattino fa correa o complice de ribelli

La Real Marina adempie alla PRUOVA che la compagnia proprietaria del legno fu correa o complice de' ribelli cogli argomenti che seguono:

1.° Primamente ella dice che, quantunque sia giusto che il capitano scelga le persone che adopra nella condotta del bastimento, non di meno il proprietario vi abbia a concorrere, e più se l’armamento segua nel luogo stesso ove quest’ultimo risiede, come nel caso in proposito. Però è desso risponsabile, ne conchiude, de' fatti dell’equipaggio.

2.° La risponsabilità divien maggiore se la cattiva scelta si avvenga nella parte che è la principale dell’equipaggio. Pone tra questa il pilota, e più di lui i tre camerieri. Quanto ai macchinisti ed al nostromo, pretende che sien dessi preposti esclusivamente dal proprietario. Erano tutti, allega, ignoti o sospetti perché senza passi, o senza libretti.

3.° Aggiugne il GRAVISSIMO PONDO DELL’ESPLICITA CONFESSIONE. DEL RUBATTINO che legge nella lettera da costui indiritta il 2 luglio 1837 al console generale del nostro governo in Genova, e ve la legge in queste parole: Che le carte di bordo, le spedizioni ecc. tutto può giustificare l'innocenza dell'amministrazione, e del suo equipaggio; ed ancora con maggior chiarezza nelle altre che tengon dietro: Il mio equipaggio—e dell’intero equipaggio ì onde ricava che le confessioni del Rubattino sono così lucide e piane da schivare ogni ulteriore illustrazione perché chi. die# — mio equipaggio — dice da me scelto, di mio gradimento e di mia fiducia.

4.° Passando dall’equipaggio a' passeggieri, rileva che nell'indicata lettera il Rubattino dichiarava che tutti i 33 passaggieri, de' quali rimetteva il notamento, eran forniti di ricapiti; e che attesa la loro indole ei presagiva quel che avvenne dappoi. Esser la prima confessione una solenne menzogna, imperciocché 20 non aveano passaporto, 10 aveano mentito il nome, ed altri le professioni. Essere la seconda confessione UNA DICHIARAZIONE DI REITÀ: il Rubattino si mostra presago de' futuri sinistri, e quasi predice ALLA LETTERA gli avvenimenti che dappoi intervennero, QUASI CHE UN CONCERTO PREVENTIVO FOSSE ESISTITO TRA LUI, IL CAPITANO SLTZIA E L’EQUIPAGGIO. Rimuovere poi ogni esitanza il brano della lettera con cui il Rubattino assicurava conoscere la indole le abitudini, e le INTENZIONI de' ribelli imbarcati, e qui trascrive quel brano che rende cosi: Esaminando le qualità de' passeggieri imbarcati, riesce per me evidente che questi, non si tosto allontanato (il Cagliari) dalle nostre coste, s’impadronii ono con violenza, e forse peggio, del comando del piroscafo, lo deviarono dalla sua destinazione per eseguire i meditati progetti. Così ribadisce il tema della risponsabilità, così al Rubattino non rimane scampo di sorta per francarsi dalla giusta opinione della di. lui correità nelle sacrileghe pratiche del Cagliari, perché POMPONIO il giureconsulto dettava che quegli che senta il danno per sua colpa non si risguarda che il soffra.

5.° Continua ancora confermarsi il concorso del Rubattino perché il macchinista inglese Enrico Watt, che il Rubattino avea assoldato e scelto direttamente, era in assisa di repubblica, vestito all'uniforme de' rivoltosi, camicia e berretto rosso, e più avea tra i suoi effetti il piano della cospirazione. E confermarsi altresì perché l'intero equipaggio di codardo, ch’era in sul partire da Genova, divenuto animoso e guerriero all'avvicinarsi di Ponza, fu strumento principale delle morti, e delle depredazioni che disastrarono quell’isola. Che in vero Lorenzo Acquarone, uno de' camerieri, ritornò ferito dalla mischia di Ponza; Giuseppe Mercurio, di lui compagno, scese in Ponza ed in Sapri, e fu ferito in Padula.

6.° Compie, da ultimo, la pruova col far ritorno alla lettera di cui or ora favellevamo, e mettendo in mostra che il Rubattino vi si affatica di scusare se stesso, la compagnia e tutto il suo equipaggio, confessi non solo la sua risponsabilità, ma col ripeter più volte la INNOCENZA sua, dell'Amministrazione, dell'equipaggio, e del capitano, fa una scusa anticipata e svelatrice de' rimorsi, e de' timori della propria coscienza. Che più il Rubattino, sempre nella lettera, dà notizia della cattura del legno, e del giudizio che sarà per instituirsi. Però il giudizio non poteva essere che quello della PREDA, della cui LEGITTIMITÀ non dubitava egli medesimo. Che poi non valga l'oppugnare in contrario che il piroscafo traesse seco tanta provvigione di carbone che appena bastava tra Genova e Cagliari, perché questo trovalo è smentito dal fatto che in reattà il piroscafo navigò da Genova a Ponza senz’altro approvvigionamento di sorta; pervenne a Sapri, vi dimorò tutto un giorno, e ripartì per L'ISOLA DI PONZA. Però dal 25 al 29 era munito di combustibile per lunghi viaggi, e che, volendone anche dubitare, avrebbe avuto modo a rifornirsene largamente ritornato.... A PONZA.


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RISPOSTE

Al discorso assunto dell'attrice

I

Nel farne a respingere gl'impotenti attacchi che muove l'attrice contro la compagnia proprietaria del Cagliari, distingueremo in quelli il fatto dal dritto. Il dritto consiste nell'investigare per quali casi il proprietario risponder debba dell'operato del capitano e dell'equipaggio, indipendentemente dal suo concorso; il fatto sta, invece, nel ricercare se, supposti nel proposito colpevoli e capitano ed equipaggio, la compagnia Rubattino fu correa o complice dell'attentalo. Qui ne occuperà il solo fatto, perocché del diritto faremo obbietto di apposita disamina.

È letterale disposizione delle nostre leggi che il capitano faccia la scelta dell'equipaggio di concerto co proprietari allorché sarà nel luogo del loro domicilio. Però noi non staremo ad indagare se l’equipaggio del Cagliari siesi formato dal SITZIA o dal Rubattino, e riterremo che tutto, quanto era, fosse stato trascelto dal Rubattino, onde inutili le categorie cui discende il nostro avversario.

Questi avrebbe, invece, dovuto a ben altro attendere, e farsi a discutere se vi ha risponsabilità morale nel proprietario il quale formi un equipaggio capace di prender parte ad una congiura politica; poi se il Rubattino abbia potuto conoscere anticipatamente la indole de' suoi preposti a tal risguardo. ché, invero, argomentare dalla morale risponsabilità al fatto costante del concorso all'attentato, è del tutto intollerabile.

Ponete che il capitano e l'equipaggio del Cagliari fossero stati il fiore de' rivoluzionari, e qual mai addebito alla compagnia? Ella residente in un paese nel quale non si guarda alle opinioni politiche; ella intenta a' suoi traffichi per non mirare nella composizione de' suoi numerosi equipaggi che alla idoneità nel mestiere, e che avrebbe ella potuto andar rintracciando in individui che, per le classi cui appartengono, non sono certamente noli pel grido de' loro pensieri in materia di governi? Marinai, camerieri, cuochi, ed anche piloti e macchinisti, non rimangono che sempre persone ignote, le quali non si svelano se non quando sono adoprate ne’ fatti di esecuzione.

E di qual nuovo conio non è mai cotale addebito? In Genova, come in Napoli, come ovunque, è il Governo che esaurisce le indagini della specie.

L’equipaggio non si ritien formato se non dietro l’approvazione delle autorità governative, ed in Genova stessa, secondo altrove lo abbiam detto, per ogni viaggio vi ha mestieri della vidimazione al ruolo dell'equipaggio, la quale per ultimo si adempie dal console del paese ove il bastimento è diretto.

Or se queste forme pienamente compiva il Rubattino; se il suo Governo avrebbe ignorato che l'equipaggio del Cagliari un dì sarebbe addivenuto ligio de' Pisacane e simiglianti; e qual colpa nel Rubattino di non premunirsi di una inquisizione più diligente? Il fatto, pertanto, del Governo covre senz’altro il suo.

E se così non fosse, rimarrebbe sempre a provarsi dall'attrice che in reattà dal Rubattino si potè conoscere, e si conobbe qual genìa era quella del suo equipaggio secondo vuoisi; e poi ancora un precipizio a riempiere per volgere tale scienza sino al fatto del concorso.

Quanto, da ultimo, al difetto de' passi e de' libretti, abbiamo di troppo discorso questo miserevole insussistente appicco. Sia pur, dunque, che il macchinista Watt vi appaja quell'efferato repubblicano che si pretende; sia che quei soliti Acquarone e Mercurio fossero feriti pugnando, il che pruoverebbe a luce meridiana che l’intero equipaggio pur combattesse in Ponza; sia, in somma, evangelo tutto e quanto si va immaginando, dimanderemo sempre pruove e fatti allorquando ne si favella della complicità del Rubattino.


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II

Ma ne avvediamo di meritar noi il rimprovero che indirizzevamo al nostro avversario: vi ha più che le pruove ed i fatti, perché vi ha confessione piena e spontanea del Rubattino di esser egli il correo ed il complice, e questa si trae esplicita dalla lettera per lui scritta il 2 luglio al console del Re nostro in Genova. Con effetto, il Rubattino viene egli mallevadore del suo equipaggio allorché ne proclama la innocenza.

È impossibile di non passar oltre che di volo a simiglianti allegazioni. Rubattino pone in evidenza la regolarità della spedizione riportandosene all'adempimento di tutto che tale la chiarivano, e da questa fa derivare colla innocenza dell'Amministrazione anche quella dell’equipaggio. Ponete che ei non si apponesse quanto a quest’ultimo, la sola conseguenza ne sarebbe il suo inganno sulla condotta del medesimo; l’aver egli errato allorquando mettea in esso la sua fiducia il suo gradimento. Aggiunger poi l’altra conseguenza che dall'inganno,e dalla tradita fiducia proceda la complicità, è una maniera d’induzione che meglio di noi sapranno diffinirla i nostri lettori.

E Rubattino in quella lettera si lascerebbe riconvenir di mendacio solenne allorquando vi afferma che i 33 passeggieri, de' quali pure rimetteva al console il notamento, fosser tutti forniti di ricapiti, mentre 20 non avevano passaporto, 10 avevano mentito il nome, ed altri le professioni.

E’ davvero menzogniero in questo il Rubattino? Noi l’abbiamo già chiarito per lo contrario colla esibizione dello Stato de' passeggieri presentato alle autorità competenti di Genova, vidimato per esse, e dal nostro console. Quella mancanza di passaporti viene adeguata dal fatto certificato delle prefate autorità, consistente in questo che i nazionali non avesser mestieri di passi onde recarsi in Cagliari appartenente al reame Piemontese: ed i mentiti nomi e le professioni supposte nulla porrebbero sul capo del Rubattino, perocché i passeggieri non annunziano che i loro nomi, e rassegnano i loro passaporti, né di questo rispondono, per certo, i preposti all’uffizio del bastimento, che parte, in altra guisa che per rassegnare pure alle competenti autorità lo stato de' passeggieri lutti. Sia, adunque, che si risguardi al vero per se stesso che respinge ogni imputazione; sia che si risguardi agli adempimenti compiuti in perfetta regola, gli aggravi al Rubattino sono affatto irragionevoli.

Ma quella lettera del 2 luglio è un tesoro inesauribile pel nostro avversario, perocché ei vi sa rinvenire nullamanco che, colla prescienza nel Rubattino degli avvenimenti seguiti, la necessaria sua complicità, o meglio la dichiarazione della sua reità. E come no se scrivea «che esaminando la qualità dei passeggieri imbarcati riesce per me evidente che questi, non sì tosto allontanato il Cagliari dalle nostre coste, s’impadronirono con violenza, e forse peggio, del comando del piroscafo, e lo deviarono dalla sua destinazione per eseguire i loro meditati progetti?». Ma è dessa davvero una divinazione quella del Rubattino sì fattamente arrischiala da indurre il sospetto della prescienza? Vi sarebbe a dubitarne senza quanto altro si premette nella lettera; senza i fatti venuti a conoscenza del Rubattino dopo la partita del piroscafo, il che alla divinazione supplisce l’aver tratto la più nitida conseguenza delle più ferme premesse. In vero, prima delle parole cui si attiene il nostro avversario, scrivea Rubattino al console: «Secondo il suo orario, il Cagliari dovea giungere in Cagliari sabato a sera, e partire per Tunisi la domenica. Lunedì io ricevea dispaccio da Cagliari che mi avvisava il Vapore non essere anco giunto al destino, attribuendo il ritardo o a mancanza di carbone, o a qualche guasto? di macchina. Telegrafai al mio agente di spedire in ricerca il Vapore Piemonte, o di ottenere che il Go«verno di Cagliari mandasse il reat Vapore Ishenusa alla ricerca del ritardato naviglio. Se non che, DOPO I TENTATIVI DI SOMMOSSA ch’ebbero luogo in Genova nella notte del 29 al 30 corrente, e che fortunatamente, per le provvidenze del nostro Governo, andarono falliti, corse jeri vagamente la voce che il Cagliari AVEA IMBARCATI INDIVIDUI CHE SIMULARONO LA QUALITÀ DI PASSEGGIERI unicamente per impadronirsi del legno, e dirigerlo chi sa dove. Questo dubbio divenne jeri sventuratamente UNA CERTEZZA QUANDO IL DISPACCIO CHE LA S. V. ILL.MA SI COMPIACQUE COMUNICARMI AVVERTIVA CHE UN PIROSCAFO, A BANDIERA PIEMONTESE, ERA STATO CATTURATO DALLE REALI FREGATE NELLE ACQUE DI PONZA.»

Ecco, adunque, un profeta retrospettivo che, certo, non si direbbe de' maggiori. Il piroscafo non giugne alla sua destinazione, ne manca ogni novella; orribili trame si cominciano a svolgere in Genova; vi si buccina il disegno degl’imbarcati venticinque che non potea non esser noto a' consorti in Genova rimasi; ché anzi Rubattino legge nel notamento di quei venticinque il nome del Pisacane, e qualche altro del pari sospetto; e si pretende la necessaria prescienza in lui per aver esposto il concetto dell'avvenuto? Ma se quei dati, che pure erano ridondanti, non fossero stati bastevoli, e qual più dubbio dopo il dispaccio al Rubattino comunicato dal nostro console, che un piroscafo a bandiera piemontese era stato catturato, siccome vi si esprimea, dalle Regie fregate napolitane nelle acque di Ponza? Niun altro piroscafo piemontese in quelle acque che il Cagliari, catturato, e perché mai? Dunque il dubbio, per tante incalzanti prenozioni, diventa certezza.

Ritenete, quindi, l’insieme della lettera, invece che prenderne un brano, se volete adempiere le parli di un giureperito, e se vi piace di esser conseguente; e ravviserete, e toccherete con mani il vero.

E, poi, avrete con noi a convenire che se vi fosse mestieri di pruovare la innocenza del Rubattino, la sua lettera non ne sarebbe un documento, ma un monumento. Egli sollecito, quanto schietto, si rivolge al console del regno nel quale il misfatto si era consumalo, e sol perché sicuro del capitano e dell’equipaggio, vi afferma la necessità della violenza usata loro; egli vi giustifica appieno sé e la sua compagnia colla verità, colla regolarità evidenti della spedizione; egli lamenta l’enormità del fatto; egli fa appello alla giustizia del nostro Governo; egli rammenta che per sedici anni di frequentissima navigazione de' suoi Vapori a' nostri porti, non ad una doglienza sola aveva aperto adito; ei prega di rassegnare il suo dolore al nostro Re; egli fa assegnamento sulla contezza che di lui avea il console napolitano. Ma... tutto questo non è scritto nella lettera pel nostro avversario: per lui non vi è che un brano della divinazione.... post factum.

No, vi è altro: vi è che Rubattino già vi favella di giudizio, e questo non potea altro essere che quello della preda della cui legittimità non dubitava egli medesimo!! Rubattino scrivea: «Io prego V. S. illustrissima a a voler prendere in proposito anche più ampie informazioni, e trasmetterle senza indugio al Real Governo di Napoli, ONDE NEL GIUDIZIO CHE SARÀ PER INSTITUIRSI, risulti chiara e limpida la verità di quanto le espongo, e da essa la innocenza la più perfetta della mia Amministrazione, e del mio equipaggio». Rubattino prevede il giudizio, e come non farlo? Egli apprende il suo piroscafo CATTURATO: e che sa egli del come ed in quali condizioni catturato? Se avente tuttavia a bordo i ribellati; colto nella esecuzione stessa dell’attentato. Egli, adunque, prevede il giudizio, ma il giudizio che dovea colpire i rei, nogl’innocenti, ed il giudizio solo potea discernerli; e poiché gli si tenea proposito di cattura, ben potea pur prevedere il giudizio della preda, ma tolta la cattura, ma instruito il Rubattino dappoi di quanto avvenne, ma patente, intuitiva la innocenza dell’Amministrazione e dell'equipaggio, e qual giudizio di preda avrebbe potuto mai volgerglisi pel capo? E, pertanto, ascoltate il nostro avversario che il Rubattino NON DUBITAVA EGLI MEDESIMO DELLA LEGITTIMITÀ’ DELLA PREDA!!

Scrivea Rubattino, sempre in quella sua lettera al console: «Tanto era fiduciosa l’Amministrazione, e l’ufficialità che il viaggio non potea che farsi sotto le più normali condizioni che il piroscafo partiva senza aver ripieni i suoi magazzini di carbone, per la ragione che, avendone attualmente esuberante deposito in Cagliari, avrebbe in quella preso il necessario onde proseguire per Tunisi, e solamente 35 tonnellate esso avea a bordo, quando partì da Genova, quantità appena necessaria, o poco più, per arrivare a Cagliari».

Era questa una delle cento ragioni che Rubattino esponea al console. Il nostro avversario ne tralascia le novantanove,e cerca di affrontare l’una perché crede che gli apra una cruna a redarguire l’autor della lettera coll’addurre che il piroscafo ebbe carbone bastevole per arrivare a Ponza e quindi a Sapri, come se da Genova a Cagliari o da Genova a Ponza, indi a Sapri vi fosse una differenza di distanza per migliaja di miglia; come se quel poco più di carbone che per a Cagliari, del Rubattino, non fosse stato sufficiente ad accorrere per il picciol cammino fornito di più; come se un battello non potesse consumarne maggiore o minor quantità! Rubattino intendea dire che un naviglio che salpi per le imprese, cui fu declinato, esposto a rimanere lunghi giorni in mare, e correre tutte le vicende cui va incontro, senza potersi oltre riprovvedere, non muove che stracarico di combustibile.

Ma che il battello recasse poco carbone è un vero assicurato da tutte le deposizioni, dell’equipaggio, de capitani, del Daneri per l’occorso co’ ribelli lungo il viaggio da Genova a Ponza: né queste deposizioni erano note al Rubattino quando costui scrivea la lettera, quelle adempiute il 29 giugno nel mare di Capri, questa indiritta il 2 luglio da Genova in Genova. Dunque un altro premeditato accidente, o pure un altro avvedimento del Rubattino e del SITZIA preconcetto innanzi la partenza! E noi a questo appunto volevamo ridurre il nostro avversario per dirgli ch'ei pretenda a raccoglier vento in rete; il fatto allegato dal Rubattino, quanto al carbone, che sarebbe dimostrato vero altronde lo è da un tratto provvidenziale che ne manda assolti da ogni altro argomento.

No, non è vero che il Cagliari navigò da Genova a Ponza, e quindi a Sapri,e da Sapri si riavviò per Ponza (intendi per Napoli) senza altro combustibile. No, non è vero, e lo assicura nullamanco che il CAPITANO DEL PORTO DI PONZA. Il Cagliari fu rifornito in Ponza stessa. Riferisce quell'onorevole uffiziale nel rapporto del 5 luglio, di cui abbiamo di sopra tenuto parola, della sua discesa dal Cagliari: Mi buttai sul paranzella che poco prima avea finito di SBARCARE LEGNA SUL VAPORE, e contemporaneamente mi menai ecc. Dunque tanta era la penuria del carbone che per girne da Ponza a Sapri fu mestieri supplir colle legna, e tanto urgente il bisogno che i ribelli ebbero a dovervi pensare tra le occorrenze culminanti che loro si offrivano nella discesa all’isola! Dunque il Rubattino avea asserito ciò ch'era verissimo, non aver carbone il battello che per circa due giorni di corsa, quanti se ne impiegavano per a Cagliari, quanti ne si spesero per a Ponza.

E basti il fin qui detto sulla innocenza della compagnia ché, come avviene di specchio nettissimo che aombri se vuoi tergere, macchieremmo se oltre difendessimo.


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DISAMINE DI DIRITTO

Svolgendo gli assunti che in diritto sostiene la Real Marina, e facendone ad oppugnarli, noi imprendiamo a dimostrare le seguenti proposizioni:

1.° Che abbattuta, come rimane, la imputazione di complicità e di correità che si appone alla compagnia proprietaria del piroscafo, ed al capitano che il comandava; anche tollerale per vere un momento le teoriche che voglionsi imperanti nelle guerre miste, sarebbon desse affatto straniere al caso in contestazione per derivarne la legittimità della vantala preda, non trovando luogo che l’esercizio del diritto d’imperio per la punizione de' colpevoli.

2.° Che nella tesi della innocenza della compagnia e del capitano, i fatti di pirateria commessi dai ribelli, non appresterebbono titolo alla legittimità dell’asserta preda, ed ogni investigazione su quei fatti torni vana ne’ rapporti giuridici che impegna la causa.

3.° Ch’escluso dall’attentato il concorso della compagnia e del capitano, e volte in tesi le più dannate ipotesi, ed applicati pure i principi che si addicono alle guerre miste, e quei che regolano la pirateria, il Cagliari debbe sempre essere restituito.

4.° Che, supposto il peggio contro ogni vero patente, della complicità e correità, vogliam dire, del capitano, e ritenuta innocente la compagnia, il Cagliari debbe pure, senza altro, essere restituito.

Alle enunciate dimostrazioui, ne preporremo un’altra per la quale verrà chiaro come la pendenza del giudizio penale vieti di procedere nel presente della preda, meno che questa non si pretenda legittima, in onta che non vi sia stata colpa né della compagnia, né del capitano.

Esclusoche vi possa esser preda senza la colpa del proprietario e del capitano,

il giudizio penale è pregiudiziale al civile, e ne sospende le procedure

I

La eccezione, che noi proponiamo, onde abbia a soffermarsi Fattuale giudizio insino a quando il magistrato non si pronunzii nel penale, va chiarita pe’ termini ne’ quali è dedotta.

La Real Marina la dice inattendibile con argomenti svariati: noi francamente replichiamo che ve ne ha un solo irrepugnabile, il quale non però si attinge in un assunto di merito che, se avesse consistenza, non che la eccezione in disamina dovrebbe rigettarsi, accogliersi appieno le domande dell’attrice.

L’assunto di merito risiede in questo che l’asserita preda abbia a dichiararsi legittima per occupazione bellica, come uso di guerra solenne, il quale spegne il diritto di proprietà, e quindi quello di rivindicazione, onde inefficace e superflua la ricerca se tra' nemici vi fosse il proprietario del bastimento ed il capitano.

Se cotale assunto ha il minimo sostrato che il puntelli, certo, il giudizio penale, niuna influenza può spiegare sul civile; perocché, supposta l’assoluzione, gl’immaginati predatori avrebbero altronde il titolo per l’acquistato dominio, e lo rinverrebbono più in alto, nella ragion pubblica delle genti.

Ma se questo titolo, anziché essere un pensiero di mente desta, è un sogno in ardente febbre, niun dubbio che la eccezione sulla quale versiamo è fondatissima.

Esclusa la occupazione, come in guerra formale, sia che alla preda si aspiri per fatti di pirateria, ai quali abbia servito di mezzo il piroscafo; sia che vi si pretenda per fatti di ribellione, consumati mercé l'ajuto di quello, in qualità d’instrumento del delitto, la investigazione sul concorso della compagnia proprietaria e del capitano diviene necessaria, ed emerge vitale al racquisto od alla perdita del battello. Se colpevoli il capitano e la compagnia, son dessi pure i pirati, e la preda è santa; son dessi pure i ribelli, e la confisca del naviglio, instrumento del misfare, è scritta nelle nostre leggi punitive. Ma se la compagnia ed il capitano sono innocenti, i pirati furon coloro che s’impadronirono del Cagliari, e questi i ribelli soli, insieme agli altri che vi si uniron dappoi; ed il bastimento ritolto a' pirati, e l’instrumento al reato che non si appartiene al delinquente, debbe restituirsi al proprietario. Noi accenniamo qui le cose per poi svilupparle a proprio luogo.

Posto questo vero, il nostro ragionare, lungi dall'avere il merito della più erronea tracotanza, ha la discretezza di sostenere un vero patente nel quale ora conviene l’universale.


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II

Discorrer materia sì nota pe’ principi quale è quella risguardante la cosa giudicata, instituzione cui il diritto positivo ebbe a ricorrere per declinare il male intollerabile di una continuata incertezza de' rapporti giuridici posti in contesa, non si addice al cospetto degli eminenti magistrati, cui ne indirizziamo. Narrar pe’ primordi quanto si disputò e si scrisse sulla influenza della cosa giudicata nel penale sul civile, ed in questo su quello, ei sarebbe davvero recar vasi a Samo.

Ricordiamo, nondimeno, come inevitabili premesse del nostro ragionamento, che là ove si avveri che un secondo giudicato possa distruggere il contenuto del primo, fondata emerge la eccezione della litependenza, e però i medesimi motivi atti a sorreggere la eccezione della cosa giudicata, sono valevoli a sostenere la eccezione della litependenza.

La cosa giudicata milita in tre guise quanto ai suoi effetti, per la via della esecuzione, coll’actio judicatiì coll'exceptio rei judicatae. L’attore si prevale della prima e della seconda in linea di procedimento; il reo, e tal fiata anche l'attore, della terza, la quale tiene al fondo del diritto.

Quanto all'ultima, ne sia guida e maestro il più profondo investigatore di questa parte del gius civile, il SAVIGNY, il quale scrive:

«lo arrivo all'ultimo de' tre effetti enumerati, «l'exceptio rei judicatae, o eccezione della cosa giudicata. Ho detto che lo sviluppo storico dell’autorità della cosa giudicata si rannodi a questa eccezione come al suo vero centro: è dessa soprattutto chiamata a reatizzare la finzione della verità attribuita alla cosa giudicata; in altri termini, ella impedisce che il contenuto di un giudicato si trovi «giammai in contraddizione con quello di un giudicato anteriore.

«Cotale eccezione può risultare parimenti da una assoluzione che da una condanna: ella ha, adunque, una sfera d'azione ben più vasta che la esecuzione 5, e l’actio judicati le quali si applicano unicamente alle condanne. All’assoluzione corrisponde una eccezione che protegge il reo contro ogni azione nuova, di natura a compromettere il risultamento di quella assoluzione. Alla condanna corrisponde una eccezione che l'attore o il reo possono invocare egualmente, l'attore allorché, con un’eccezione novella l'antico reo pretende un diritto in contradizione colla condanna pronunziata; il reo quando è convenuto in virtù del diritto riconosciuto dal giudicato, ma al di là de' limiti che fissa la condanna (6).

Or, fuori ogni dubbio, il giudicato che sarà emesso nella linea penale appresterà all'attore sia l’actio judicati per appropriarsi la preda in forma di procedimento, sia l’exceptio rei judicatae per respingere la pretensione di negarla. Ed appresterà al reo l'exceptio rei judicatae per oppugnare l’azione alla preda, come quella che verrebbe contro i risultamenti della pronunziata assoluzione.

E ciò perché mai? perché gli obbietti esteriori delle due azioni, comeché diversi, comeché tendenti a vario fine, provocandosi colla penale la punizione del reo, colla civile pretendendosi all’acquisto dell'instrumento servito alla consumazione del misfatto, non impegnano che la medesima quistione, la colpa della compagnia e del capitano.

Niuno, al certo, confonde l’obbietto giuridico delle azioni, la domanda, col fatto o col dritto su cui si fonda, in che la quistione. Or quando egli avviene che gli obbietti esteriori delle due azioni s’identificano nella medesima quistione, cioè quando le due domande, benché dirette ad ottenere due cose diverse, impegnino la medesima disamina di fatto e di diritto che, una volta esaurita, abbiano entrambe ad accogliersi, o entrambe a rigettarsi, nel primo pronunziato consiste la cosa giudicata.

Le condizioni che ne stabiliscono la eccezione trovansi variamente indicate in molti luoghi delle leggi romane, ed anche con ridondanza di enunciazioni nell’art. 1305 delle nostre LL. CC.

La scuola ed il foro adottano oramai di accordo i due testi di ULPIANO, come quelli che riassumono e riducono al vero i requisiti necessari a determinare quella eccezione. I due lesti sono la L. excep. rei iud., e la L. 7. §. 4. cod. — IULIANUS, lib. Dig. respondit, exceptionem rei iudicatae obstare quotiens eadem quaestio inter easdem persona# revocatur. —Et generaliter, ut IULIANUS definit, exceptio rei iudicatae obstat quotiens inter easdem persona# eadem quaestio revocatur, vel alio genere iudicii.

La identità delle due quistioni può concorrere assoluta, ed in tal caso, niun dubbio: può essa mancare per taluni dati, e tuttavia valere per fondarvi la eccezione.

Il SAVIGNY, con sagacissimo giudizio, si fa ad indicare le differenze che possono esistere tra le due azioni senza impedire l'applicazione della eccezione, e ne annovera sei principali, di cui la quinta è nel nostro proposito, e che enuncia ne’ seguenti termini:

«L’obbietto giuridico del litigio può non esser «lo stesso nelle due azioni.

Uditene lo sviluppo:

«Cotale differenza ancor meno impedisce che si applichi la eccezione. Così quando si reclama in virtù della conditio furtiva l’indennità di un furto, se il giudice rigetti l’azione perché neghi il fatto del fur«to, non si può più perseguitare la PUNIZIONE DELLA MEDESIMO FATTO in virtù dell'actio furti. Ei sarebbe lo stesso nel caso inverso, in cui l’actio furti fosse stata da prima esercitata e rigettata. Nondimeno, l’obbietto giuridico di ciascuna delle azioni, l'INDENNITÀ e la PENA, è perfettamente distinto, e l’attore che riuscisse nella prima azione può sempre esercitare la seconda, senza che gli si possa opporre il principio del concorso. Questa seconda azione non è, al certo, esclusa altronde dal principio della «consumazione della procedura. Nondimanco, egli è evidente che le due azioni stanno sopra una sola e medesima quistione di diritto: se, adunque, il giudice chiamato a conoscere della prima azione, neghi l'esistenza del furto, cotal niego esclude la seconda azione PERCHÉ ENTRAMBE HANNO EGUALMENTE PER CONDIZIONE IL FATTO DEL FURTO COMMESSO (7).

Ed ecco come quel dotto giureconsulto, quasi senza volerlo, perocché egli non si occupa propriamente che degli effetti della cosa giudicata nelle azioni civili, irrompe a vagliarli anche nelle relazioni dell’azione civile colla penale, allorquando la medesima quistione meni a pronunziar la pena o l’assoluzione, il concedere o negar la riparazione a colui che alleghi il danno patito.


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III

Noi dicevamo che l’assunto nel quale versiamo è una vecchia materia trattata a fondo ed esaurita. E chi ignora del nostro mestiere l'animatissima disputa che per essa si suscitò tra quei due luminari della Francia nella scienza del dritto, il MERLIN ed il TOULLIER? E chi non ha Ietto una parte degli scrittori che gli han tenuto seguito nel discutere l’argomento, fosse non altro, tra noi, il solo NICOLINI, di cara ed onorevole memoria?

La quistione si può dir sorta sotto il novello ordinamento giudiziario, in cui le giuridizioni civili rimasero affatto separate dalle penali.

Gli oppugnatori della teorica che la cosa giudicata dovesse a vicenda influire nel penale e nel civile, intendeano a far militare due argomentazioni, entrambe attinte nell’articolo con cui le leggi civili determinano i requisiti onde si fa luogo alla eccezione del giudicato; o, meglio, adduceano mancare il concorso appunto di quei requisiti, che pur consentivano ridursi a due, la identità della quistione, la identità delle persone giuridiche.

Non concorrere, pretendeano, la identità della quistione perocché nel criminale il giudicato pronunzia sulla punizione del reo; nel civile sul ristoro del danno: in quello procedersi con azione pubblica, in questa con azione privata.

E quanto alla identità delle persone, ancora, con accerto maggiore, la negavano, perocché nel criminale, dicevano, quando avvenga che l’offeso non si costituisca parte civile, ei non è nel giudizio; è il Pubblico Ministero che agisce; e però res inter alios. E così nel civile, l’azione pubblica non ha rappresentanza giuridica in persona del privato, il quale non può contendere che del suo interesse particolare.

E, quantunque molta dottrina ed ingegno si spendesse in cotali allegazioni, non di meno agevoli e trionfanti furono le risposte.

Sulla identità della quistione si osservava, confondersi questa col fine dell’azione, il che è cosa del tutto diversa, un medesimo diritto un fatto stesso potendo sorreggere svariate domande, ingenerare due azioni, civile l’una, penale l’altra; gli obbietti giuridici differenti non escludere la eccezione della cosa giudicata allorché toglieasi a fondamento di essi una causa unica sulla quale necessariamente doveasi pronunziare il secondo magistrato, e che decisa era stata dal primo.

Questa causa unica si ravvisava ad evidenza nelle quistioni pregiudiziali propriamente dette, «ex fine harum actionum proprio, quia etiam praeiudicii aliis rebus faciendi causa ex professo instituuntur; atque ut instituuntur, ita et sine exceptione omnibus faciunt, etiam inter alias personas inter quas postea de eodem statu quaestio inciderit, praejudicium; quamvis alias, res inter alios iudicata, aliis non noceat (8).

Così pel criminale sono quistioni pregiudiziali deferite al giudice civile quelle che s’impegnano sullo stato delle persone, sulla proprietà immobiliare. Il magistrato penale non può giudicare di un’azione per soppressione di stato se prima nel civile dello stato non siesi pronunziato; né di usurpazione o violazione che vogliasi del diritto di proprietà innanzi che nel civile del dominio non si sia deciso.

E, viceversa, sono pel civile quistioni pregiudiziali, deferite al magistrato criminale, generalmente tutte quelle derivanti dal consistere o no il fatto punibile onde emerga l'azione pel danno, sì per modo che quando del fatto siesi pronunziato, il giudice civile debba di forza aggiudicare o respingere la domanda, e quando sul fatto penda tuttavia il procedimento, debba il giudice civile sospendere la sua sentenza.

Queste risposte eran così calzanti che riduceano gli avversari a distruggere il fondamento del loro sistema, con ammettere talun caso che consentivano di, sottrarne, come quello della quistione sullo stato delle persone. Di qui denudato il loro torto, perocché il principio prevalente alla esclusione rendea irresistibili le induzioni di analogia, le quali però si elevavano a dominar la regola, e faceano irragionevole il comportare che vi fosse influenza del civile sul penale quando, ad esempio, rifiutala da quello la legittima filiazione, si agisse in questo per soppressione dello stato; e non vi fosse poi influenza del penale sul civile allorché in quello si fosse giudicalo di non costare o costare del non di un furto, e si agisse in questo per la indennità.

Ed era affatto irragionevole, ripetiamo, l’argomentare per le quistioni di stato sul dettato dell'art. 249 delle LL. CC. perché per esso si sospende, con effetto, l’azione criminale contro il delitto di soppressione sin dopo la sentenza diffinitiva del giudice civile; e non fare altrettanto per l’azione del danno nascente da reato in vista dell’art. 5. delle LL. sulla proc. pen. pel quale quella «può essere sperimentata anche separatamente presso i giudici civili: in questo caso, l’esercizio ne è sospeso finché non siesi pronunziato diffinitivamente sull'azione penale.»

Sulla identità delle persone giuridiche osservavasi con pari irrepugnabilità di ragioni che, quantunque l'offeso non fosse intervenuto nel giudizio penale costituendovisi parte civile, nondimeno in questo il Pubblico Ministero che vi è parte principale, agendo per la repressione del misfatto o del delitto, operava nell’interesse di tutte le persone cui il reato avea indotto danno, c, comeché non fosse mandatario speciale per ripetere la riparazione di questo, era il mandatario universale di tutti i cittadini per far pronunziare che il fatto esistesse o no, senza il concorso del qual fatto, non si apriva adito all’azione del privato per risarcimento.

Eccovi, in mal conce parole, esposta la teorica quanto al preteso difetto d’identità di causa, e di persone onde si vorrebbe sempre il civile indipendente dal penale, e questo da quello; teorica sulla quale, come dicevamo, il MERLIN ha scritto un volume che, a compendiarlo, sarebbe opera come di colui che un grande e pregevole dipinto si ponesse a ritagliare perché entri in una piccola cornice.

Riportiamo, invece, qualche tratto del nostro NICOLINI che si occupa della quistione, e conchiude cosi dopo le ottimamente ragionate premesse:

«Ma se la causa prossima dell'azione nel giudizio penale e nel civile sono le stesse, o se l’azione è nascente sempre dal REATO propriamente detto, e dal FATTO giudicato competentemente dal giudice «penale, certamente il giudizio penale è essenzialmente pregiudiziale al civile, e PREGIUDIZIALE IN TUTTA LA FORZA DELLA PIÙ STRETTA PROPRIETÀ DEL VOCABOLO (9).

A questo il dotto uomo fa seguire un ampio sviluppo della teorica delle quistioni pregiudiziali di varia indole, ed applica quelle propriamente dette, secondo il dettato comune della scuola, a tema della influenza della cosa giudicata nella concorrenza del penale e del civile. «Ma se il fatto è per se stesso egli scrive qualificato reato dalla legge, siccome il falso omicidio, il furto, ed il reo ne sia stato assoluto, parmi chiaro che l’opinione del TOULLIER non possa esser vera...

«Dalle quali cose deriva che il giudizio penale è sempre pregiudiziale in tutto il rigore del termine al giudizio civile. Se l’azione civile non tende che i alla riparazione de' danni che il reato ha prodotto e si sospende necessariamente fin tanto che dura il giudizio del reato, se il solo reo condannalo può esser tenuto all'azione de' danni interessi per effetto i del reato, né può alcuno esser condannato per reato se non da' giudici penali; se il giudizio penale è essenzialmente pubblico, e nell'interesse di TUTTA LA SOCIETÀ se le parli principalmente interessate in questo, sono da un lato il solo Ministero Pubblico, e dall’altro il reo; se la parte civile ha intera la facoltà d’intervenirvi o non intervenirvi, né alcuno può obbligarla ad esservi necessaria interventrice, e in conseguenza è sola sua colpa se non vi è intervenuta; se giudicato il reo nel giudizio penale non ha più contro altri integrata defensionem nel giudizio civile; è evidente che l’azione penale è instituita ex professo PERCHE’ SIA UN GIUDIZIO FONDAMENTALE E PREGIUDIZIALE (praejudidum faciat) a tati’ i giudizi che ne dipendono come una necessaria conseguenza; di modo che non appena ch'ella è istituita, sospende di dritto ogni giudizio civile; ED IL GIUDIZIO CHE NE DERIVA, FA STATO CON TUTTI, senza alcuna eccezione, ancorché sieno persone che non vi sono intervenute, purché l’azione sia ex delicto, ed il giudizio di essa sia dipendente necessariamente da questa.

«L'assoluzione nel giudizio criminale estingue del tutto l'azione civile nascente dal reato, comecché l'offeso non sia intervenuto nel giudizio; ugualmente che il giudicato di condanna diventa un titolo dell'offeso nel giudizio civile contro il condannato, comeché costui non sia stato condannato nell'interesse dell'offeso, né si sia difeso nella qualità di reo convenuto per questo oggetto. ALL'INCONTRO, IL GIUDIZIO PENALE SOSPENDE E FA CESSARE GLI ATTORI NEL GIUDIZIO CIVILE, ove questo ne sia dipendente: essi non sono liberi ad agire che dopo la condanna penale (10).

Il MANGIN nel suo insigne trattato dell'azione pubblica e dell’azione civile in materia criminale, come tanti altri sull'argomento, delibatone magistralmente il meglio, conchiude:

«Io, adunque, riduco il fin qui detto a tre principi.

«1.° La cosa giudicata sulla quistione pregiudizi al e serba autorità sull’azione che l'è subordinata.

«2.° Quando il Ministero Pubblico procede per la repressione de' misfatti, derelitti, e delle contravvenzioni, egli opera in rischio ed in pro degl'interessati, e pel suo mezzo costoro sono parti intervenute nella istanza criminale.

«3.° L’autorità della cosa giudicata sulla quistione pregiudiziale riguarda quell’obbietto unicamente che fu giudicalo (11).

E vogliamo finirla con le brevi e belle frasi dell’avvocato generale MOURRE alla Corte di Cassaz. di Francia:

«Un giudicato criminalmente renduto non è un atto ordinario dell'autorità pubblica, che comi prende, come nella più parte de' giudizi civili, un interesse privato di alcuni individui: sibbene è DESSO UN MONUMENTO INNALZATO NELLA SOCIETÀ’, DA TUTTI RISGUARDATO, E SU CUI È SCOLPITA UNA VERITÀ’ PUBBLICA.»

Riprendiamo, adunque, le nostre prime parole. Noi non possiamo non convenire che se vi ha un fatto, una quistione, che non sieno pregiudiziali, il magistrato della preda non debba sospendere di pronunziarsi. Nel contrario, se vi ha una quistione, un fatto di tale indole, sia obbligato ad astenersene sino a quando il magistrato penale non ne abbia giudicato.

La quistione non pregiudiziale alle due azioni sarebbe quella che va ponendo l’avversario, cioè, che vi possa essere legittima preda in onta dell’innocenza della compagnia e del capitano. Se cosi vorrà opinare il magistrato della preda, il giudizio penale non gli è di ostacolo; ma se questa è un’ipotesi dannatissima, quel magistrato s’incontrerà nel fatto eminentemente pregiudiziale, la colpa della compagnia e del capitano, e tal fatto debb’essere deciso pel sì o pel no dalla Gran Corte criminale nell'interesse di tutti che, comunque ed innanzi a qualunque altro tribunale, pretendano raccoglierne le conseguenze.

E basta il fin qui discorso ad abbattere quanto in contrario adducesi nell’avversa scritta, in cui è patente, e per nulla ammirevole,l’industria di confondere i principi onde va diffinita la disputazione per lo caso in. cui non concorra il fatto o la quistione pregiudiziale alle due azioni, con l'altro in cui concorra, e poi renderne comuni le conseguenze.

Né sapremmo perché mai il nostro avversario alleghi l’esempio della preda del Vesuvio fatta in danno della compagnia Viollier, esempio che ne darà molto a ragionare di seguito. Egli è vero che, nella causa che per quella si agitò, fu eccepita l’amnistia conceduta dal Sovrano; ma le conseguenze delle amnistie, quanto alle azioni civili nascenti dal reato rimesso, sono ben diverse da giudicati che dichiarino la innocenza degl’incolpati, del che torna ridondante il tener proposito, perocché nella preda del Vesuvio, il Consiglio, che ne giudicò, non ebbe ad attendere all’amnistia come non avrebbe atteso all'assoluzione giuridica della compagnia proprietaria del battello, avendo opinato appunto che, anche militando la innocenza di questa, legittima era la preda perché la guerra Sicula fu guerra formale, e solenne.


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Suposto che si faccia luogo a diritto di preda nelle cosi dette GUERRE MISTE, il caso in proposito ne rifiuta ogni applicazione. - L'esercizio del diritto d'imperio respinge e condanna le teoriche che s'invocano

I

Il nostro avversario narra i fatti che i rivoltosi operarono in Ponza, e poscia in Sapri e negli altri paesetti propinqui. Esecrabili, come furono., ei non avrebbe anche potuto, volendolo, ritrarli più odiosi: il quadro non pecca, certo, in questo; pecca nelle dimensioni, esagerate in guisa da farti obbliare e Ponza e Sapri, o, meglio, da persuaderti che in quell’umile scoglio, in quella diserta marina stettero in forse le sorti del Regno; una guerra civile si accese ch'ebbe fazioni come nelle maggiori guerre pubbliche e solenni. Il perché del tanto magnificare; il perché del mutar forma e natura agli avvenimenti; egli è molto chiaro per sé, e consiste nel voler applicate a' casi di Sapri e di Ponza le teoriche che il nostro Consiglio delle prede applicava in altri casi, senza misura più gravi e sostanzialmente diversi, teoriche che, altronde, nella medesima contestazione ebbe rifiutate il primo magistrato; che la Consulta del Regno non condannò né applaudì perché si divise ne’ voti; e che dubbie, come si offrivano, pe’ veri pronunziati, inclinarono l’animo clemente della Maestà del Re nostro a dar poco manco che causa vinta a' succumbenti.

I nostri lettori avranno già compreso che noi favelliamo del giudizio agitato pel battello il Vesuvio che i Siciliani, nella guerra ordinata che combatteano contro il Governo del nostro Augusto Sovrano, ebbero preso a danno della compagnia Viollier; e che questa si fe a reclamare dopo che, spenta quella davvero tremenda guerra civile, gli eserciti vittoriosi se ne impadronirono.

Egli è, adunque, mestieri rammentare in quai confini se ne rimasero i fatti di Ponza e di Sapri, e dar loro il carattere e l’importanza vera che si ebbero, onde discutere con accerto le conseguenze di diritto che ne procedono quanto alla materia che ne occupa.


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II

Trascegliamo un esponitore di quei fatti, del quale la esattezza è irrepugnabile, come debb’essere inconcusso il giudizio.

Il nostro Giornale uffiziale in data del 30 giugno, narrava che un piroscafo con bandiera Piemontese aveva dato fondo nel porto di Ponza sotto pretesto di avarie. Che il capitano del porto erasi recato a bordo, e quivi era stato ritenuto prigioniero, mentre dal legno era spiccata a terra gente armata con lance, la quale con sorpresa avea disarmato il posto doganale in sulla marina. Che altri armati, recanti innanzi una bandiera rossa, al grido di viva l’Italia e viva la repubblica, aveano aggredita la piccola guardia dei veterani, e che vi era stato qualche colpo di fucile scambiato. Che la poca forza militare dell'isola non si era ristata dalla possibile difesa, onde un uffiziale morto ed uri ajutante ferito, ed uccisi e feriti pure taluni dei ribaldi. Che a quell'orda eransi associati alcuni condannati, ed insieme avean messo a sacco ed a ruba le sostanze di quei PACIFICI isolani, e poiché ebbero incendiala qualche abitazione, eransi rimbarcati recando un numero di quei rilegati. Narra quindi l’invio delle Reali fregale all’inseguimento del legno e de' ribelli, e la cattura seguita, soggiugnendo che la gente armata era disbarcata al piccolo villaggio di Sapri, e le pubbliche forze erano in movimento per arrestarla. Compie il racconto colle seguenti parole: È soddisfacente annunziare in questo rincontro che lo «spirito delle popolazioni da per tutto si è mostrato avverso a questo iniquo e stoltissimo TENTATIVO; e da per tulio si benedice la mano saggia, ferma, energica e paterna del Re N. S. che con tanto studio ed indefessa cura felicemente ci governa».

Lo stesso Giornale, in data del l.° luglio, ragguagliava che i faziosi, a attaccati sol dalla gendarmeri a e guardie urbane erano stati battuti, ed in «parte si erano sbandati e presentati». Vi è detta inoltre: «Continua in quei luoghi, e da per tutto, la tranquillità consueta, e l’avversione delle popolazioni al colpevole e forsennato TENTATIVO viemaggiormente si manifesta.

Lo stesso Giornale, in data del luglio, narra che la banda dei rivoltosi era stata in Padula interamente distrutta e dispersa dagli urbani e dalla gendarmeria, sostenuti e coadjuvati dall’arrivo di un battaglione di Cacciatori, rimanendo morti un centinaio de' ribelli, ed altri 30 feriti e parecchi arrestati, deplorandosi la perdita di qualche cacciatore, gendarme ed urbano, e le ferite di pochi. Che i rimanenti fuggiaschi per la maggior parte erano stati altresì arrestati. Continua con queste parole:

«I rapporti che pervengono dalle provincie di Salerno, Basilicata, Cosenza, e dalle altre Calabrie somministrano evidente pruova della massima tranquillità, come dell'orrore contro un tanto misfatto. Rileva, da ultimo, che gli urbani erano da tanto zelo animali che, inteso lo sbarco di quei fuorusciti, avean trascurato le messi, ed ogni proprio affare per correre a combatterli. »

Lo stesso Giornale, in data del 4 luglio, proseguendo, riferisce che gli scampati della banda in Padula eransi incontrati in Sanza cogli urbani, e con parte di un battaglione di Cacciatori, e che «dopo uno scontro avuto, al quale prese anche parte buona porzione di quegli abitanti spinti da incredibile entusiasmo per la causa del Re N. S. lasciarono da 30 morti sul terreno, tra' quali il loro conduttore. Gli altri sono stati arrestati; sicché IN POCHE ORE ha avuto fine un abbominevole TENTATIVO diretto a disturbare la quiete di popolazioni pacifiche, devote, ed amanti del nostro adorato Sovrano.

Ed, infine, lo stesso Giornale, in data degli 8 luglio, scriveva che «nell'annunziare l'esecrabile quanto forsennato TENTATIVO della banda sediziosa, cui piena disfatta era stata contemporanea al suo arrivo, non avea mancato di encomiare l’ottimo spirito che informava non pur le Reali truppe e la gendarmeria, ma le guardie urbane e le popolazioni, manifestando a gara coll'orrore contro il criminoso attentato, la fede, e la devozione incrollabile verso il Real Trono, e l’Augusta persona del nostro adorato Monarca.»

Soggiungeva «che gli abitanti dell’angusto spazio in cui fu circoscritta ed abbattuta l’audacia de' rivoltosi, ed i comuni ove giunse la nuova del nefando CONATO, presero unanimi il medesimo sdegnoso atteggiamento. Qui prosegue ad esaltare la devozione degli abitanti dei paeselli invasi rimarcando che quelli, onde i facinorosi non potessero lusingarsi neppure un istante di ricevere qualsiesi ajuto, aveano abbandonati i loro luoghi, e così avean pur fatto le popolazioni più remote al solo annunzio della nuova. »

Il Giornale registra in quel suo numero degli atti onde il Sovrano manifestava la sua soddisfazione allarmata, ed a' suoi popoli. A questi ultimi colle seguenti belle parole: Sua Maestà il Re nostro Augusto Signore ha ordinato comunicarsi per mezzo dell’Intendente della Provincia di Principato citra a tutte le Autorità civili, ai Giudici di circondario, alle Guardie urbane, non che ALLE INTERE POPOLAZIONI di tale provincia, di essere la M. S. pienamente contenta del sommo attaccamento, e della bravura che han mostrato nell’opppugnare l’orda de' rivoltosi disbarcati a Sapri, i quali TENTARONO di disturbare la pubblica pace. »


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III

Con tali premesse di verità sulla portala degli avvenimenti, e sulla loro indole, ne faremo a trattare l’argomento della guerra mista, il quale, quantunque insolito ne’ giudizi di prede marittime, è divenuto tra noi assai nolo, ed è oramai vieto ed esaurito nel nostro foro, dopo quando se ne scrisse nella mentovata causa pel battello il Vesuvio da' magistrati che con contrario opinare ne giudicarono. Quindi la parte storica è la parte dottrinaria, sulle quali allora ebbe a versarsi abbondevolmente, tornerebbe ora una ridondante quanto agevole diceria, e però verremo di volo all'ultimo stato della controversia.

Nella specie in disamina, l’assunto della guerra mista, onde la Real Marina intende a sostenere l’esercizio del diritto di preda sul Cagliari, si offre ne’ seguenti termini. La innocenza del capitano e del proprietario a nulla gioverebbe per non incorrere nella perdita del bastimento; i ribelli sarebbero stati i primi legittimi predatori di questo, e col fatto del possesso ne avrebbero acquistato il dominio; il possesso stesso abbandonato, non avrebbe impedito che il dominio si continuasse negli occupatori. Da tutto ciò, la conseguenza che, quantunque nell’atto della pretesa cattura, il legno non muovesse guerra al regno, e si trovasse restituito a' sudditi di potenza amica, cui si appartiene, non dimeno, essendo divenuto un momento proprietà del nemico, è desso di giusta preda! Noi crediamo che non mai siesi fatto più grave, più assurdo oltraggio all’umana ragione.

Pochi fuorusciti ribelli, rassembrati a tre o quattro centinaja di servi di pena evasi, sarebbero divenuti il nemico nel senso proprio del dritto delle genti, da impegnare una guerra civile capace di acquistare il carattere di una guerra pubblica, onde reclamarne gli usi, e con questi la occupazione bellica. La preda, comeché fatta in danno di sudditi di una potenza amica, quali vanno considerati meglio che i propri, non solo non sarebbe restituita a' proprietari, tolta che fu al nemico, ma sarebbe una seconda legittima preda dopo l'abbandono fattone! Ne pare di far noi un secondo oltraggio alla ragione umana nel richiamare le cose a' loro eterni principi, né mai obbligo di difesa fu più costernante.

Chi è desso il NEMICO nel senso del diritto pubblico delle genti, il quale solo può legittimare colla occupazione bellica il bottino, in taluni casi, sulla terra, la preda sul mare?

Si rammentino verità notissime. La guerra pubblica e solenne sospende il diritto di proprietà: per essa si apre un novello mezzo di acquistarla, comunque, invero, il dominio non rimanga consolidato che dal trattato di pace, potendo le cose tolte dal nemico essere a lui ritolte, nel qual caso si restituiscono al proprietario. Ma siffatto diritto non procede dalla ragion civile, sibbene da quella delle genti. A chi ripetere senza fargli molestia il dettato delta sapienza romana? Item ea, quae ex hostibus capimus, IURE G ENTIUM stati m nostra fiunt: adeo quidem, ut et liberi homines in servitutem nostra m deducantur; qui tamen si evaserint nostra m potestatem et ad suos reversi fuerint, pris t inum statuit recipiunt (12) .

La occupazione bellica procedendo, adunque, dal diritto delle genti, in questo non si ha che guerra pubblica e solenne, quella che si combatte tra due nazioni independenti e sovrane, le quali legittimano appunto il fatale privilegio di farsela perché tra loro, siccome non vi ha imperio dell'una sull'altra, così non vi ha giudice superiore per derimere sulle cagioni della contesa..

Il significato, quindi, della parola hostis non debbe ricercarsi nella genesi ideologica; ancor meno nel suo originario uso, e negli usi posteriori in cui fu travolto ed ampliato per la flessibilità della sua applicazione. Vorremmo ammirare in questo la erudizione del nostro avversario, ma ne sembra un fuordopera. Il significalo debbe attendersi quanto agli effetti che si vogliono attribuire alla parola, e però cotali effetti attingendosi nella ragion pubblica delle genti, egli è a vedere qual fosse per questa, e però ristrettivamente al suo uso giuridico. E se, per avventura, ne incontriamo non pure nell’uso, ma nella diffinizione certo non se ne potrà oltre contendere che in vana polemica. E siamo sempre a ricordare cose che non vi ha chi ignori: Hostes, insegnava ULPIANO, sunt quibus BELLUM PUBLICE populus Romanus decrevit, vel ipsi populo romano: caeteri latrunculi vel praedones appellantur. Et ideo qui a latronibus captus est, servus latronum non est, nec postliminium, illi necessarium est ab hostibus autem captus, ut puta a Germanis et Parthis, et servus est hostium, et postliminio statum pristinum recuperat (13).

Né altramente POMPONIO nella legge 118 ff. de verbor. significai, diffiniva hostes che coloro quibus publice bellum decrevimus.

La dissertazione, che il nostro avversario scrive sull'intendimento di quella parola, la leggiamo parimenti nella decisione renduta dal Consiglio delle prede sulla contestazione pel Vesuvio. Noi ne contentiamo di adottare le ultime conseguenze della dotta disamina in cui versa il preclaro autore di quel pronunziato. Ei, dopo aver tenuto proposito delle due accennate leggi, scrive:

«Il carattere, adunque, di nemico soggettivamente contemplato, secondo i pensamenti di quei due solenni giureconsulti, riposa tutto nel genere di ostilità che lor si muovan contra. Così gli alti ostili che una indeclinabile necessità impose di esercitare contro la rivoluzione PADRONEGGIANTE i Reali domini oltre il faro che altro furon mai se non una guerra pubblica che la nazione delle Due Sicilie ha combattuto ecc?»

Ritengasi, adunque, per ora che il dettato della parola hostis fu volto in applicazione alla guerra combattuta contro la Sicilia insulare, elevata, Come si Credette, alla forma delle guerre che Roma si ebbe coi Parti e co’ Germani. Gli altri nemici, non Costituiti in quelle condizioni, non sono che ladri e predoni coi quali, siccome non si pugna in guerra solenne, non vi è perdita di cose per occupazione bellica, non diversamente che non vi ha mutamento di stato né prigioni; non si ha mestieri di reintegra per invocar favore di postliminio.

Questo vero ha miriadi di testimonianze dettate dal sapere de' latini, il quale non si può vilificare che quando solo ne torni avverso. Noi trasceglieremo un testo, non perché altri non ne avremmo del pari prediletti, ma perché svolto dal nostro avversario. È pure un responso di ULPIANO: In civilibus dissensionibus, quamvis saepe per eas respublica laedatur non tamen in exitium reipublicae contenditur, qui in alterutras partes discedent vice hostium non sunt eorum inter quos fura captivitatum aut postliminiorum fuerint; et ideo captos et venundatos posteaque manumissos, placuit supervacuo repetere a Principe ingenuitatem quam nulla captivitate amiserant (14).

Odasi il Noodt su questa legge e sulla precedente.

«At non tantum iure civili fiunt servi; sed etiam jure gentium. Exemplum unum Marciano in bis qui ab hostibus capiuntur d. 1. o. §. 1. h. t. Sunt autem hostes, ut Ulpianus definit, quibus bellum publicae Populus Romanus decrevit, vel ipsi populo i Romano: caeteri, inquit, latrones aut praedones appellantur. Et ideo qui a latronibus captus est; servus latronum non est, nec postliminium ei necessarium est. Ab hostibus autem captus, puta a Germanis aut Parthis, et servus est hostium, et postliminio statum pristinum recuperat 1. 24. D. de captivis. Quid, si quis captus sit civili bello? aliud cent set Ulpianus 1. 21. §. 1. D. d. t.: qua ratione? quia civile bellum proprie non est bellum: sed civilis dissensio. Nam verum bellum in ter hostes geritur hostili odio ad internecionem reipublicae: contra in civili bello, etsi per id saepe noceatur reipublicae, pars utraque vult, eam salvam esse: tantum dissentiunt de modo servandi. Non igitur sunt hostes, sed manent cives; nec locum habent jura captivitatum. Sic Ulpianus: etiam Cicero, Pro Ligario cap. 6 verba eius: Secessionem tu illam existimavisti, Caesar, initio, non bellum, non hostile odium, sed civile dissidium, utrisque cupientibus rem publicam salvam; sed partim consiliis, partim studiis a communi utilitate aberrantibus. —Idem Catilin. cap. 10: Civiles dissensiones erant huius modi quae non ad delendam, sed commutandam rem publicam pertinerent (15).

Né altrimenti il CULACIO, il VOET e tanti.

Udite, per l’opposto, il nostro contraddittore. Ei vi allega che altra sia dissensio civilis, altra bellum civile. Che il giureconsulto abbia inteso accennare alla prima, non alla seconda, nel che in guanto alla semplice locuzione, noi gli opponiamo tutti i chiosatori, tutti i comentatori della legge, i quali pongono col dissensio civilis il contrapposto al bellum solemne. Stiasi col NOODT, il quale fa seguire al dettato della legge 24 quello appunto della legge 21 per rilevare i contrari effetti della guerra pubblica, e della civile. Quid si quis captus sit CIVILI BELLO? e così apre adito a favellare della legge 21, e vi fa capo col diffinire il BELLUM CIVILE non bellum proprie sed che mai? civilis dissentio della legge.

Ma e qual dubbio è mai questo? Lo stesso ULPIANO è l’autore de' due responsi: per lui non vi ha che il bellum solemne onde le conseguenze contrarie a quelle del civilis dissentio: ogni altra specie di guerra che non fosse simigliante alla guerra co’ Parli e co’ Germani, nazioni autonome ed independenti, non est proprie bellum.

Prosegue il nostro avversario ad affermare e ripetere che ULPIANO contempli che il caso della sedizione semplice, non quello in cui «la rivolta fosse arrivata al punto della piena guerra civile onde ne andassero possibilmente spenti la repubblica e l’imperio.» No, ULPIANO vi contempla tutti i casi, e l’exitium reipublicae non è l’abbattimento della forma del Governo, la caduta della legittima Sovranità, proponimenti che pure eran quelli de' Catilina e simiglianti coll’incendio delle città, e co’ conflitti armati tra' cittadini: l’exitium reipublicae era il an quis vivai, non il an quis imperet: era, al dire del NOODT, l'internecio reipublìcae, l'an vivat. In somma, la differenza era nella intenzione, non ne’ mezzi, perocché nelle guerre civili sventuratamente i mali possono essere anche maggiori che non nelle guerre pubbliche, e nondimeno non tollerare, non ammettere gli usi di quest’ultime.

Continua il nostro avversario riportando il concetto di ULPIANO alla sentenza di CICERONE per la quale sunt duo genera decertandi, alterum per disceptationem, alterum per vim, e qui fa entrare la differenza tra il jus majestatis ed il jus imperii onde per quello il Sovrano richiama i sudditi dissidenti co’ giudizi esercitando la ragion civile, per questo li riduce colle armi.

Qual mai confusione I il decertandi per disceptationem non importava, certo, l’uso delle armi, il quale non ha luogo che ove intervenga il decertandi per vim, e solo quando si adoperano le armi si fanno i prigionieri della sorte de' quali tien proposito il giureconsulto.

Il decertandi per disceptationem era un compromesso pacifico pel quale i popoli, pria di venirne alle armi, rimettevano le loro controversie ad un giudice superiore, del che non solo a' tempi dell'antica Roma erano frequenti gli esempi eleggendosi a giudice il senato Romano; ma anche presso i popoli che allora diceansi barbari; e l’uso salutare prevalse altresì presso le nazioni moderne, e mai più che ai tempi nostri è praticato ad onore dell’umanità.

Allorquando il Sovrano pone in esercizio il diritto di Maestà non vi ha dissensione civile, perché il rigor delle leggi richiama co’ giudizi i sudditi inosservanti, e però non vi è che il dritto d’imperio, il quale si spiega ne’ casi a' quali accenna il giureconsulto onde il chiosatore annota in civilibus dissensionibus, idest cum cives inter se committunt, idest PRAELIANTUR, et alti de aliis capiunt.

Prosegue il nostro avversario con un’affermazione, la quale rovescia dalle fondamenta i principi più saldi del dritto delle genti secondo era per la romana legislazione, confondendo gli effetti propri della guerra pubblica con quei della guerra civile, e facendo degli uni e degli altri il più tristo governo. Egli, nella somma, dice che ULPIANO, dettando che i cittadini non aveano bisogno del favore del pustliminio per riconquistare la ingenuità, prigioni che diventano e poi liberati nelle guerre civili, adotti, come un implicito, che la servitù e la vendita fossero ravvisate legittime, onde argomenta alla legittimità dell’occupazione bellica delle cose, e quindi della preda. Siffatto implicito è il più incompatibile assordo, perocché occupazione bellica non vi era altrimenti che per diritto delle genti, il quale suppone la guerra pubblica. La servitù e la vendita non erano che un fatto degl'ingiusti nemici co’ quali si combatteva, onde ingiusta la servitù, e la vendita conseguente. Odasi il CULACIO, il quale, dopo aver distinti appunto i servi giusti dagl'ingiusti, soggiugne: Ad haec notandum est, eum, qui ingenuus est, etiam non omittere ingenuitatem, si bello civili capiatur: nam in bellis civilibus jura captivitatum, et jura postliminiorum non servantur. IDEOQUE CAPTUS BELLO CIVILI PROPRIE NON EST CAPTIBUS, QUIA NEC SE REUS EST EIUS, QUI EUM CEPIT. CAPTIVI SUNT SERVI: QUAPROPTER SI FORTE CAPTUS BELLO CIVILI VELUT E PRAEDA SUB CORONA VENEAT UT CAPTIBUS EA RES NIHIL OFFICIT INGENUITATI (16).

Le due leggi di ULPIANO, adunque, lungi dallo stabilire una eccezione in grazia della ingenuità, non operavano che la indicazione dell'effetto della ingiusta guerra quanto alla condizione de' cittadini che vi s’impegnavano.

E poi di una franchezza inimitabile il vedersi asserito che ninna legge s'incontri nel corpo del dritto romano, la quale escluda l’occupazione bellica nelle civili dissensioni, come se a nulla valesse il dettato del guae ex hostibus capimus JURE GENTIUM, nostra fiunt, bastevole a ricolmare il vuoto che il nostro avversario suppone.

E quando gli prendesse vaghezza di vederlo ricolmalo specificamente, anziché per un principio generale, egli sa bene che non dovrebbe dipartirsi dal titolo del digesto in cui si leggono le due leggi discorse. Quivi s’incontra nel responso di GIAVOLENO contenuto nella legge XXVII, il quale rende così: Latrones Ubi servata eripuerant: postea is servus ad Germanos pervenerat: inde in bello victis Germanis, servus venierat. Negant posse usucapi eum ab emptore Labro, Ofìlius, Trebatius: quia verunt esset eum subreptum esse: nec. quod hostium fuisset, aut postliminio redisset, ei rei impedimento esse.

Dunque i ladroni non avean fatto buona preda del servo perché essi non vantavano diritto di occupazione bellica, e l’essere quello pervenuto dappoi in potere de' giusti nemici non purgava il difetto originario, così che il servo dovea far ritorno al proprietario.

E chi non ritiene a memoria dagli anni infantili le belle parole di TULLIO con cui rimprovera a Cesare e Silla l’avere esposto a vendita i beni de' cittadini tolti nelle guerre civili, onde pur cangiò faccia il mondo, ed al secondo di avere osato di chiamarli sua preda!

Il GROZIO: «Egli è altrettanto, come dicono i «giureconsulti ULPIANO, e GIAVOLENO delle cose che. sien state prese da' briganti e da' corsari, perché il diritto delle genti non gli ha punto autorizzati ad appropriarsele in pregiudizio dell'antico padrone. Così le cose che da tali genti sien state prese possono essere reclamale ovunque si trovino (17). »

Conchiudiamo, quindi, tralasciando il più, che le sottigliezze onde si fa rimprovero alla romana legislazione, e dalle quali voglionsi preoccupati i più eminenti tra' pubblicisti moderni, anziché rinvenirsi in quella, non furon dappoi messe in campo che da coloro nelle menti de' quali davvero s’insinuarono.

I Romani, sempre tenaci al rigor de' principi, non ravvisarono diritto di guerra che nella solenne, quella che combatteano con altre nazioni che si reggevano con propria sovranità indipendente. Tutte le altre, sia che si agitassero tra' cittadini, sia che s'impegnassero con popoli, comunque a loro soggetti, non eran che dissentiones, seditiones.

Il nemico non era che quello che impugnava le armi contro Roma nella pubblica guerra; tutti gli altri non erano che ladroni, pirati, e ribelli.

Però non vi erano usi di guerra che pel caso in cui questa fosse pubblica e ciò non meno quanto alle persone che alle cose de' combattenti; e però non preda se non per occupazione bellica, secondo il dritto delle genti.

Nelle dissensioni, nelle sedizioni, nelle ribellioni non usi, non bellica occupazione. Roma non combatteva contro le provincie insorte che per dritto d’imperio onde richiamare i ribellati alla ubbidienza, onde punirli della ribellione.


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III

Alla romana legislazione succede il dritto pubblico moderno,il quale va esaminato, prima che ne’ dettami positivi de' codici delle varie nazioni, nel sapere della scuola, e però innanzi tutti si presenta il GROZIO. Questi, cui si appone più che ad altri la taccia di pedissequo delle romane dottrine, nulla lasciava in forse quanto all’argomento che trattiamo. Parimenti assoluto, come il furono gli oracoli della sapienza latina, ammaestrava così: «Il dritto esteriore in virtù del quale si acquistano le cose prese al nemico è talmente proprio e particolare, secondo il dritto delle genti, alle GUERRE PURBLICHE fatte nelle fori me, che non trova alcun luogo nelle altre, perocché nelle altre guerre da straniero a straniero non si acquistano punto per dritto delle armi le cose prese, ma a compenso di un debito che non ha potuto essere altramente soddisfatto. E per ciò che concerne le GUERRE CIVILI, ei non si fa in quelle alcun cangiamento di padrone che in virtù della sentenza di un giudice (18).

Ma non la sola taccia di pedissequo si dà al GROZIO, sibbene quella di cattivo scolare, in questo che avrebbe declinalo dagl'insegnamenti del suo maestro ALBERIGO GENTILE. Or noi abbiamo volalo consultare cotali insegnamenti, e nulla vi abbiam rinvenuto che ne sembri giustificare il rimprovero. ché, per contrario, ampiamente. vi abbiamo appreso quanto già sapevamo per dritto. romano. Con effetto, vi troviamo che non vi ha usi e conseguenze di guerra che nella pubblica, cui ambe le parli sien sovrane ed eguali da non riconoscere, giudice comune. Che il dritto di guerra non competa a' sudditi contro il proprio Sovrano, il quale invece li combatte,e li punisce in forza del dritto d’imperio. Che non vi ha nemico, secondo la ragion delle genti, che l’eguale, e che però tra Sovrano e sudditi non vi ha che dependenza. ed ubbidienza.

Egli è non però vero che ALBERIGO GENTILE si proponga: Id hic videndum est nobis, ne ex latrone et latrocinio in ducem et in bellum evadatur, e nel proposito discende a ricercarne gli esempi in ARISTONICO, in VIRIATE, in ARSACE ed in altri, soggiungendo:

«Quodque fiet non tam iusti exercitus a auctu,et urbium interceptu ut scriptores isti, et alii historici credere videntur, quam ADEPTIONE PUBLICAE CAUSSAE. Ita enim VIRIATUS, quum a privato latrocinio ad patriae caussam tuendam se contulisset, dux de latrone factus est, et bellum gessisse dicetur. Et itaque pacem cum eo, et foedus iniit populus Romanus: et eumdem appellavit amicum. Et ita etiam 5 ARSACES, quum patriae regnum subducere Macedonibus occoepit, de latrone rex in Persia fuit. Et a ita ARISTONICUS, dum Asiae regni successionem iure vindicat sanguinis, Imperator fuerit merito, et a bellum habuerit cum Romanis iustum. AT VERO QUI CAUSSAM ISTAM NON HABENT, HI NEQUE HOSTES SUNT, ETIAM SI EXERCITUS HABENT, ET NON IMPROSPERE REM GERUNT, ET MILITES, IMPERATORESQUE SE FERUNT ET IMPERATORES ET LEGIONES ADVERSAS EXCIPIUNT. Conchiude in somma colla sentenza di CICERONE. Ille hostis est, qui habet rem publicam, curiam, aerarium, a consensum et concordiam civium, et rationem aliquam si res ita tulerit, pacis, et foederis, il perché non addice l’hostis a SPARTACO, comeché muovesse guerra si poderosa a Roma; non l'addice a' Saraceni pugnanti contro CARLO MARTELLO comeché si contassero a centinaja di migliaja, avessero e duci, e campo, ed insegne: e perché mai? non haberent belli caussam (19).

Dunque perché da ribelli e ladroni si divenga un giusto nemico; perché dalla sedizione e dalla ribellione si passi al diritto di muovere e sostenere pubblica guerra, egli è mestieri di essere un Arsace, fondare il regno de' Parti, e sostenere con armi invincibili la independenza racquistata. Pervenirne, insomma, alle condizioni richieste da CICERONE.

E queste stesse condizioni si avveravano per ARTSTONICO, dopoché ebbe ristaurata la paterna monarchia, e sconfitto un console romano, il che non gli evitò di riperderla, e di morir prigione.

E se VIRIATE ebbe trattati di pace co’ Romani, e ne fu chiamato amico ed alleato, noi fu che per impotenza a soggiogarlo, e quando costui ebbe fondato a. sua volta un vasto impero. Non però i Romani si seppero dar pace del prostrato loro orgoglio, e non finiron mai di risguardare in lui un ribelle, e non mai si tennero dovergli fare la guerra rispettandone gli usi, e non mai obbligati dagli accordi che la necessità loro imponea, tanto che rotti questi, e violali quelli, a tradimento lo fecero uccidere.

Non sappiamo, quindi, in guisa niuna riconoscere la differenza che vuoisi nelle teoriche professate dal GENTILE, e dal GROZIO. I principi univochi, il diritto uniforme, gli uni e l’altro applicati nelle guerre civili, e nelle ribellioni le più famose. Solo il GENTILE ha voluto muover dubbio per casi rarissimi in cui il diritto d’imperio ha dovuto cedere alla forza preponderante, e questa si è costituita in diritto ella stessa, per l’acquisto della pubblica causa, conseguita la independenza e la eguaglianza di provincie, di popoli, prima soggetti ed inferiori.

In ogni modo, noi non potremmo essere più larghi del nostro stesso contradditore nell'assegnare i confini della divergenza tra' due pubblicisti, non quale egli la pone nella scritta in danno del Cagliari, ma quale la dettava in sensi alquanto più ingenui in una di quelle a difesa de' predatori del Vesuvio: vi leggiamo cosi:

«Portò giudizio (il GENTILE) più esatto del batavo pubblicista sul dritto di preda, e degli usi di guerra negl'incontri di ribellione, e di guerre civili. Avvisò saggiamente non essere il caso di assolvere il dubbio con una opinione precisa, ma che fa d’uopo scorgere il processo graduale della rivolta, e seguirlo sino al punto NEL QUALE OCCUPI IL POTERE DELL'IMPERIO, sicché, umile dissensione nei suoi principi, si giri in guerra civile, e figuri UN POTERE COSTITUITO, E PUGNANTE COLLA SOVRANITÀ’ DELLO STATO. In questo caso, è guerra quanto la pubblica quella che s’impegna tra l’ANTICO GOVERNO, ed i ribelli, tra' quali non vi sono leggi e magistrati per decidere la GRAN LITE, ma ESERCITI e BATTAGLIE: non sono adoperati i mezzi ripressivi di un discorrimento di POCHI, ma si attuano rimedi SOLENNI ed ESTREMI per la ribellione di molti, QUALI SI ATTUEREBBERO CONTRO UNA POTENZA INDIPENDENTE E RICONOSCIUTA. »

Noi vogliamo tener dietro al nostro avversario in tutto ch’egli crede allegare a sostegno del suo assunto, e però non faremo molto di SAMUELE COCCEJO che intera ed assoluta adottava la dottrina del GROZIO; e però trascriveremo, invece, quella del BARBEYRAC, altro annotatore di quest'ultimo, ma non la riporteremo mutilata, come nella scritta avversa:

«Nella maggior parte delle guerre civili non si riconosce punto un giudice comune. Se lo Stato è monarchico, la disputa si raggira o sulla succesisione al regno, o perché una parte considerevole dello Stato pretenda che il Re abbia abusato del suo potere in guisa che autorizzi i sudditi a prendere le armi contro di esso. Nel primo caso, la natura stessa del soggetto per cui si è devenuto alla guerra, fa che le due parti dello Stato formino allora come se fossero due corpi distinti, sino a quando non convengano di un capo con alcun trattato fatto o di buon grado, o in conseguenza della superiorità dell'uno de' due partiti. Così egli è che da un tal trattato dipende il dritto che si può o no avere sopra ciò che sia stato preso dall’una parte, e dall'altra; e nulla impedisce che la cosa non sia rilasciata nello stesso modo che ha luogo nelle guerre pubbliche tra due Stati sempre distinti. L’altro caso, io vuò dire la sollevazione di una parte considerevole dello Stato contro il principe regnante, non può avvenire che quando il Re vi abbia dato luogo per la sua tirannia, o per la violazione delle leggi fondamentali. Così il Governo è allora disciolto, e lo Stato diviso in due corpi distinti ed indipendenti, di modo che ei bisogna giudicarne parimenti che nel primo caso. A più forte ragione ciò segue nelle guerre civili di uno Stato repubblicano, in cui la guerra distrugge dapprima per se stessa la Sovranità, la quale non consiste che per l’unione del Corpo (20)

Né altrimenti, anzi pressoché colle stesse parole, il BURLEMACHIO.

Ed il PUFENDORFIO: Sic et minus sollemnia sunt bella civilia quando civitas est divisa, ut EX QUA PARTE STAT SUMMUM IMPERI USI NON SATIS ADPAREAT (21).

Nella stessa guisa opina il VATTEL, ed il nostro avversario avrebbe dovuto risparmiarsi di citarlo, fosse non per altro che per non richiamare alle conseguenze tutte che quel pubblicista trae dal caso in cui la guerra civile siesi elevata al punto che discorre. Con effetto scrive:

«Così essendo, egli è bene evidente che le leggi comuni della guerra, le massime di umanità, di moderazione, di rettitudine, e di onestà, che noi abbiamo dinanzi esposte, debbono essere osservate dall’una parte e dall’altra nelle guerre civili. Le stesse ragioni, che ne costituiscono il dovere di Stato a Stato, le rendono altrettanto, e più necessarie, ne’ casi sventurati in cui due partiti ostinati lacerino la patria comune. Se il Sovrano si crede in diritto d’impiccare i prigionieri, come ribelli il partito opposto userà di rappresaglia cc. ecc. (22).

Per noi, che non riconosciamo se non diritto l'imperio ed obbligo di ubbidienza; se non Sovrano e sudditi ribellati, abbandoniamo facilmente la preda per non incorrere in tutti gli altri usi che si reclamano per le guerre civili.


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IV

Or procediamo all’applicazione degli esposti principi. La scuola è divisa ella stessa in due partiti: l'uno che ritiene integra la regola, l'altro che la inclina a rare eccezioni: nell'opinare di entrambi, rimane salva, ed illesa la ragione che propugniamo.

La eccezione, secondo ALBERIGO GENTILE, declina impercettibilmente la regola, perocché ella richiede, nullamanco, che la ribellione abbia raggiunto appieno il suo disegno, e sia pervenuta a stabilire una nazionalità autonoma.

Il BARBEYRAC ed il BURLEMACHIO suppongono che si combatta tra due pretendenti per la successione al regno, o perché il monarca abbia violato le leggi fondamentali dello Stato; né diversamente professano queste due eccezioni che ritenendo o la inesistenza del Governo, o il suo discioglimento; per modo che la pugna s’impegni tra due corpi distinti ed independenti.

Il PUFFENDORFIO esige quel poco che non appaja più in quale delle parli contendenti stia il sovrano imperio.

Il VATTEL nel luogo trascritto, ed in altri, per la meglio, taciuti procede da teoriche che incardinano altramente la quistione, ed alle quali giova più il rinunziare che il far plauso per derivarne il diritto di preda.

E, da ultimo, il nostro avversario che è per noi la più pregiata autorità, vuole che la rivolta nel suo processo graduale occupi il poter dell'imperio, e si giri ad un potere costituito, e pugnante colla SOVRANITÀ’ DELLO STATO, e dice: In questo caso, è guerra quanto la pubblica.

E dopo tutto questo, chi ricorderà più i venticinque folli partiti da Genova, meschini quanto colpevoli? Chi crederà che si tratti di qualche centinajo di rilegali o servi di pena fuggiti dalla custodia, e dalle prigioni? Ed, intanto, per essi si favella di parti, di partiti, di corpi distinti ed independenti, di conquisto della pubblica causa, di dubbio imperio, di occupazione del poter dell'impero, di potere costituito pugnante colla Sovranità, di leggi fondamentali violate, di pretendenti al trono 11 Buon Dio I come adeguare tanta distanza? come in tanta anomalia far procedere il paragone?

Certo, che esecrandi furono i misfatti commessi in Ponza ed in Sapri, ed il rigor delle leggi con santa giustizia punirà i malfattori; ma non perché soli ventriloque tra esuli del regno ed altri nemici di ogni ordine governativo, ed un’orda di delinquenti che scontavano i loro delitti, devastarono qualche pubblico ufizio in una povera isoletta, e vi posero a ruba qual che casa, e vi uccisero qualche soldato, dovremo consentire che GROZIO co’ più eletti pubblicisti moderni non ricordò che vi ebbero gli ARSACI ed i VIRIATÌ. E non perché in un piccolo paesello proruppe una masnada, e vi ebbe scontro colla forza pubblica in cui rimase sconfitta e prigione, dovremo rammentare e la Svizzera, e l'Olanda, e l’America che si sottrassero alle dominazioni ond'erano imperate.

La penna ne cade dalle mani a simili aberrazioni. Rileggete il racconto degli avvenimenti che ne faceva lo stesso nostro Real Governo, e vi troverete qualificata sempre la impresa di stoltissimo ed iniquo TENTATIVO qual si fu con effetto, e, più che questo, vi troverete mille volte ripetuta la verità consolatrice del consentimento unanime delle popolazioni a risguardurlo con orrore, e ad avversarlo colle benedizioni, e colle acclamazioni divote al nostro Augusto Sovrano.

E dopo questo, rileggete, ché noi non vogliamo più dirlo, le condizioni cui debbano esaltarsi le guerre civili, e le ribellioni per tollerare, come si pretende, un diritto che suppone la eguaglianza tra le parti belligeranti.


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V

Che diremo poi dell'esempio al quale si rifugge della insurrezione della Sicilia, e del pronunziato del Consiglio delle prede pel Vesuvio. Innanzi tutto invocheremo l'esito ultimo che si ebbe la contestazione; ed affermeremo, altronde, la condanna del Vesuvio esser l’assoluzione del Cagliari, come la difesa de' predatori di quello, esser l'accusa de' voluti predatori di questo. Quale esempio! La rivolta della Sicilia avea occupato pressoché intero il dominio di quella parte si rilevante del Regno; la independenza e l’autonomia proclamale; un governo proprio e separato stabilito; un altro Re eletto, eserciti che combatteano in ordinate battaglie; Potenze di prim'ordine che poneansi a mediatrici; e, per ultimo, la magnanima clemenza del Sovrano legittimo che esauriva ogni via per ricondurre i ribelli all'ubbidienza onde un termine all'eccidio di sì vasta e sanguinosa guerra fratricida.

Hostis est ille, esclamava il nostro avversario, con quel che segue di CICERONE; la rivolta Sicula HA OCCUPATO IL POTER DELL’IMPERIO; HA COSTITUITO UN POTERE PUGNANTE COLLA SOVRANITÀ’ DELLO STATO. Quanto a noi, neppur si apponea, perocché alla stessa Sicilia mancavan le cagioni onde le guerre civili abbiano a reclamare gli usi delle guerre pubbliche; ma, infine, l’appicco era, certo, assai saldo, e grave la discettazione.

Ma poiché il nostro avversario discorre ampiamente l’esempio della guerra combattuta contro la Sicilia, e fonda sul pronunziato onde il Consiglio dichiarò buona preda il Vesuvio, egli è bene rammentare che le teoriche adottate da quel magistrato non furono diverse da quelle che professa la scuola che vuolsi oppugnatrice del GROZIO, e che non altramente si ritenne nelle guerre miste il diritto a predare che quando le condizioni di queste siensi elevate al livello cui le suppone giunte la scuola che si afferma innovatrice. Vorremmo qui trascrivere tutto il ragionamento sul proposito, ma per la sua ampiezza ne trasceglieremo alcun brano.

«Ha osservato che, dalla genesi e dai diversi stadi di cotesti funesti avvenimenti, si fa aperto come la rivoltura Sicula ut pessimum facinus pauci auderent; come dipoi venisse applaudita da un numero maggiore di tristi plures vellent, e finita per esser tollerata dalla immobile passività delle masse omnes paterentur: onde è che ella, in sul bel principio, costituì il crimen turbatae reipublicae, e fu nella sua cuna secessio, initio non bellum, mercé la quale si attentò alla maestà del governo, ed alterata l’autorità di esso, degenerò, da ultimo, in ostilità organata di una parte della nazione contra dell'altra, tal che si ebbe a combattere chi vantava un sedicente governo a sé, rem publicam, curiata, aerarium chi ostentava di avere consensum et concordian civium; chi in fine pretendeva di avere rationem aliquam, si res ita tulerit pacis et foederis, ne’ quali enunciatisi riassume al pensar di CICERONE la definizione del nemico, hostis. In siffatta guerra adunque, di cui potrebbe dubitarsi se addimandar si dovesse civile o meglio ostile, i faziosi a combattere congiunsero alla indelebile nota di ribelli l'altra di nemici del regno, a' termini dell’art. 1° della L. del 12 ottobre 1807.

(I 25 di Genova, ed i tre o quattrocento di Ponza rimasero ribelli, cosi furono morti; e così i superstiti subiscono il giudizio punitivo).

«Ha osservato che questi principi razionali del dritto alla preda hanno la loro applicazione tanto nella guerra pubblica colle nazioni straniere, quanto nelle guerre che la scuola del XVI secolo appellò miste, nelle quali il potere legittimo, onde conservare intera la personalità politica dello Stato, è costretto ad abbandonarsi alla suprema necessità delle armi contro una PARTE DEL REGNO, la quale spezzando colla forza bruta i legami della società, fiaccato e distrutto l’impero dall’autorità costituita, si predica INDIPENDENTE… »

… «Fino a che i perturbatori dell’armonia interna di uno Stato, Enceladi novelli, nell'assalire il legittimo potere rimangon da meno, i fulmini che rovesciano gli accavallati monti sono i FULMINI DELLE LEGGI IMPERANTI; l’impiego delle armi rappresenta l'azione repressiva che dal Governo si spiega jure imperii; ma quando sotto la imbaldanzita ribellione....

… «Quando i ribelli hanno soggiogato un popolo, e scavalcato il potere legittimo è mestieri che l’aggredita maestà del Governo agisca coll’impero della l’orza.... Allora la guerra tra due masse rivali di una medesima nazione è solenne e pubblica dal lato del legittimo potere, privata e criminosa dal lato della ribellione....

«Ha osservato che cotesto vero del diritto teoretico delle genti vien rifermato dall’elemento pratico delle moderne nazioni civili. Le memorie del DUCA DI ROHAN che accennano alle guerre civili della Francia; gli annali di GROZIO che ricorda quelle dei Paesi Bassi; il TUCIDIDE moderno che descrive le fazioni combattute per l’independenza d’America; MILLER che tramandò ai posteri le rivolture della Svizzera contro i duchi d'Austria; CERISIER che rammenta quelle del Belgio contro l’Olanda; fan solenne, irrecitabile testimonianza di essersi osservate in quelle sanguinose tutto intestine le leggi della guerra non escluse le rappresaglie, e le prede.

(Precipitate da tanta altezza a' 25 di Genova ed a' 400 di Ponza, e fate il paragone se avete ampiezza di niente per afferrarne gli estremi!!)


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VI

Nulla poi ne si offre di più ammirevole che la maniera onde si declini l'argomentazione. Si vorrebbe che un grido, comeché senza niun’eco, avverso al Governo, il solo attentato contro la pubblica autorità da qualsiesi uffiziale rappresentata, il solo investire la forza pubblica o il resisterle importi costituirsi pubblico nemico nel senso della ragion delle genti; importi una guerra mista col delinquente, e la occupazione bellica degli oggetti che han servito al misfare: la occupazione bellica, intendete! non l’appropriazione dell'instrumento adoprato nel reato, secondo le nostre leggi penali.

E sapete il perché di questo? perché i Governi non debbono lasciare alle ribellioni la possibilità d’ingrandirsi, debbono spegnerle ne’ primordi.

Dunque, conchiuderemo, che non vi ha se non la via della preda per reprimerle. Dunque chiuse tutte quelle onde si spiega il diritto d'imperio, e suppliti alle leggi, a' magistrati gli usi delle guerre formali, che soli comportano il diritto di preda. Quale sovversione di cose!

Dunque basterà che una banda di fuorusciti invada qualsiesi villaggio; vi assalga i due o tre gendarmi preposti al mantenimento dell'ordine; li uccida pure, e metta poi a ruba le sostanze di qualche cittadino, per constituirsi in guerra formale col Governo ne’ rapporti del diritto delle genti. Qual caos!

Ma cotali misfatti, ed anche peggiori se ve ne ha, sono registrali non ne’ codici di diritto pubblico, sibbene in quelli del gius civile punitivo. Nel nostro Codice penale abbiamo, la Dio mercé, altrettanti titoli e capi che preveggono i misfatti consumati in Ponza ed in Sapri, e vi provveggono un per uno. De' reati contro la sicurezza interna dello Stato — Dell'uso illegittimo della forza armata, della guerra civile, della devastazione, e del saccheggio — Delle violenze pubbliche — Art. 123. — È misfatto di lesa Maestà, e punito colla morte e col terzo grado di pubblico esempio, l'attentato o la cospirazione che abbia per oggetto o di distruggere, o di cambiare il Governo, o di eccitare i sudditi e gli abitanti del Regno ad armarsi contro l'Autorità Reale — Art. 129. — Chiunque ecciterà la guerra civile tra popolazione e popolazione del Regno, o tra gli abitanti di una stessa popolazione, armandogli, o inducendogli ad armarsi gli uni contro degli altri, è punito colla morte. — Art. 130. — Chiunque porti la devastazione, la strage ed il saccheggio in uno o più comuni, o contro una classe di persone, è punito colla morte e col secondo grado di pubblico esempio. — Art. 133. — Chiunque avrà organizzato bande armate per invadere o saccheggiare piazze, fortezze, posti militari, magazzini, arsenali, porti o legni da guerra; chiunque vi avrà esercitato una funzione qualunque ecc. ecc. sarà punito colla morte — Sotto il titolo delle violenze pubbliche vari articoli vi ha che provveggono sulle comitive armate, e sullo loro divisioni nella preveggenza del vasto numero ondo fossero composte ecc. ecc.

Son questi i misfatti de' venticinque venuti di Genova e. de' consorti di Ponza, e di questi misfatti accusali, i superstiti, ripetiamo, subiscono meritamente il giudizio presso il magistrato penale. li diritto d’imperio è in atto, quindi, di spiegare tutto il suo potere; ha combattuto i ribelli, ed ora gli punisce.

Si chiudino, adunque, i codici di diritto pubblico, e si lasci aperto, come sta, il codice punitore onde le leggi fulminino da allo nel loro abisso ì colpevoli. Si restituisca pure la preda, e così la Sovranità legittima dello Stato. oltraggiata, che fu, non compromessa, si rimarrà nella regione eminente in cui risiede, inaccessibile, nel nostro Reame, alle procelle.


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I fatti di pirateria, e simiglianti e commessi da ribelli non apprestano titolo di PREDA ne’ rapporti giuridici tra gli asserti predatori, e la compagnia proprietaria

L’attrice vuol far valere il diritto ad appropriarsi la vantata preda a doppio risguardo, in forza, cioè, degli usi di guerra solenne, cui eleva le fazioni criminose de' ribelli, ed in virtù delle leggi che colpiscono la pirateria.

Veggiamo come il nostro avversario tratti di questo secondo titolo al dominio acquisito dagli asserti predatori.

Ei comincia dal ricordare che la nostra legge del 12 ottobre 1807 dichiari di buona preda i bastimenti COMANDATI da pirati, o da persone che corrono il mare senza speciale commessione di alcuna Potenza.

Si dilunga, quindi, in ampia dissertazione a diffinire il pirata, ad indagare la origine del mestiere, le sue vicende, il diverso modo col quale fu risguardato nella opinione de' popoli; l’anatema, da ultimo, universale in cui si avvenne. Tutto questo è un fuordopera, e, certo, non è molto peregrino.

Si affatica a dimostrare che sia pirata e colui che rapini sul mare, e colui che faccia altrettanto sulla terra, e perviene a conchiudere che le opere de' ribelli in Ponza ed in Sapri ben si pareggino a quelle della più nefanda pirateria. In questo scrive le prime parole che possono interessare la nostra difesa: son desse: E veramente il Cagliari facea commercio di generi di contrabbando, e praticava tutte le maniere sospette ed ostili a danno del nostro Governo.

Giunto a tal punto il nostro avversario, sospende l’argomento della pirateria, e s’intrattiene, invece, a chiarire come sia non solo in facoltà delle nazioni, ma in debito, di prevenire le aggressioni della guerra anziché subirle, lasciandole ingigantire, onde crede di legittimare la preda del Cagliari pe’ fatti commessi dal medesimo, esercitando gli atti di bellica difesa, ed usando in tutti i modi i rigori della guerra.

Al proposito avvalora quella ch’egli intitola teoria del giure moderno delle genti, ricordando un classico esempio avvenuto in Francia nel 1832, del quale, poiché scrive per molte pagine, dobbiamo tener proposito.

Ricordiamo tutti del tempo, che, volgendo l’anno 1832, la duchessa di Berry con alquante persone devote alla ristaurazioue del ramo primogenito in Francia, facea noleggiare in Livorno un piroscafo Sardo, il Carlo Alberto, con simulata destinazione per Barcellona. Che la duchessa, mentre con parte de' suoi seguaci, disbarcava sulla costa occidentale di Marsiglia, avveniva una sollevazione in questa città a favore della sua causa. Che quel battello, navigando di seguito per la direzione di Nizza, avea dovuto far sosta alla rada della Ciotat a cagione di guasti avvenuti alla caldaja; e che quivi gli altri seguaci della duchessa, rimasi a bordo, furono arrestati dalle Autorità francesi.

Che costoro, insieme a' compagni discesi e pure imprigionati, subirono giudizio dinanti alla Corte di Aix, la quale ebbe a discutere, nel risguardo de' primi, fa eccezione della illegalità dell'arresto, come quello che diceasi effettuato sul territorio straniero, di cui il bastimento dovea ritenersi una continuazione, non revocandosi in dubbio che questo appartenesse a sudditi Sardi, e che innalberasse Sarda bandiera. Che la Corte di accusa, accogliendo la eccezione, dichiarava illegittimo l’arresto.

Che contro il pronunziato essendosi richiamato con ricorso per annullamento il Pubblico Ministero la Corte di Cassazione fe’ diritto al gravame sulle conchiusioni del Proccuratore generale DUPIN. Che questo illustre magistrato fe’ valere la teoria ch’enunciava sul cominciare della requisitoria ne’ seguenti termini:

«Ma no, ei non vero il dire, di una maniera generale ed assoluta, che qualunque naviglio, recante bandiera neutrale o amica, sia inviolabile, e che per essa tutto si ricuopra. Sarà quello inviolabile se rimanga nelle condizioni del diritto delle genti, e noi sarà se le abbia violate o sconosciute. Niuno contesterà che la pirateria ed il contrabbando possano essere repressi, sia qualsivoglia la bandiera all’ombra di cui si esercitino. Lo stesso diritto di repressione deve esistere in vantaggio di ogni nazione, presso la quale un bastimento, sotto bandiera che piaccia, porti soccorsi alla guerra civile, riconducendo de' banditi, o cerchi introdurre de' cospiratori destinati a recare torbidi, e la devastazione nel suo seno.

Dall'allegato esempio, il nostro avversario procede al paragone de' fatti commessi dal Carlo Alberto con quei consumati dal Cagliari, e rileva esser più gravi, e più numerosi questi ultimi, perciocché il Carlo Alberto servì, dice, ad instrumento per suscitare la guerra civile in Francia, mentre il Cagliari valse e per destar questa, e per operare la devastazione, e tutt'altro in Ponza ed in Sapri.

Aggiunge il nostro avversario la lista de' documenti di cui debbe esser fornito il capitano in viaggio, non meno, come asserisce, in virtù del codice di commercio per gli Stati Sardi, che per quello imperante tra noi, i quali sono: 1.° l'atto di proprietà del bastimento; 2.° la patente di nazionalità; 3.° un passaporto marittimo; 4.° il ruolo dell'equipaggio; 5.° le polizze di carico ed i contralti di noleggio; 6.° i verbali di visita; 7.° le quitanze di pagamento. Avverte che sul Cagliari mancavano: 1.° l'atto di proprietà del bastimento; 2.° il passaporto marittimo; 3.° i contratti di noleggio; 4.° i verbali di visita. Torna poi sull'assertiva che 22 dei passeggieri mancassero di passaporti, e nove individui dell'equipaggio non fossero forniti di passi e libretti. Nota altresì che ad arte nel ruolo di equipaggio teneansi alcuni fogli in bianco per supplire i nomi di coloro che non erano in regola. Dimostra, da ultimo, la importanza de' documenti de' quali afferma fosse in difetto il battello, e conchiude non potervisi altramente supplire in virtù della nostra legge del 12 ottobre 1807, la quale limita l'esame della legittimità della preda alle carte rinvenute sul bordo nel momento della cattura. Fa appendice, a tutta questa diceria, la narrazione, ripetuta tante volte precedentemente, dei fatti commessi dai ribelli in Ponza ed in Sapri.

Rispondiamo col medesimo metodo, alle cose esposte e ragionate dall’avversario, anziché coordinandole negli svariali assunti cui accennano, il che ne menerebbe a lunga fatica: altronde il più è già detto, e ridetto.

I. Ed in prima, noi non abbiamo acume che basti a comprendere come possano militare in una volta e le teoriche della guerra mista, ed i principi regolatori della pirateria per legittimare la preda in contesa. L’arne, invece, che le une escludano gli altri, dappresso, almeno, alle dottrine che professa il nostro avversario.

«La pirateria, o il brigantaggio sul mare, è un delitto contro la legge universale delle società. Un pirata è il nemico comune del genere umano, e come egli ha rinunziato a tutt’i vantaggi, parimenti che al governo della società, essendosi rimesso nello stato selvaggio della natura, col dichiarare la guerra al genere umano, il genere umano debbe dichiarargliela a sua volta (23).

E più calzantemente:

«I PIRATI NON HANNO IL DIRITTO DELLE ARME SODO de' ladri e degli assassini, che non formano un corpo di stato. Nemici di tutte le nazioni contro le quali esercitano indistintamente i loro brigantaggi, tutte le nazioni sono in diritto di assalirli, e di esterminarli senza dichiarazione di guerra (24).

Or nelle guerre solenni, i di cui usi si reclamano per le guerre miste, la preda è appunto tra quegli usi, e questi procedono dal diritto delle genti, il quale suppone società, governi, cd anni legittimamente impugnate, il che tutto esclude la pirateria.

II. Ma sia che piace della compatibilità dell'uno e dell'altro titolo che si è intenti a far valere simultaneamente, e sia pure che regga per tutti gli estremi il paragone tra pirati, propriamente detti tali, ed i ribelli, ché, certo, le loro opere non furon da meno; domandiamo, se vuoisi che sieno stati pirati il capitano del Cagliari e la compagnia proprietaria del medesimo insieme a' ribelli, noi concediamo la legittimità della preda. Il nostro avversario, che ritiene cotal concorso, meglio avrebbe fatto a spendere le cento pagine che detta sulla pirateria, a dimostrare quel vero, e la causa sarebbe finitaché in questo vero o falso comincia e si compie.

III. Il classico esempio che si trae dall'avvenuto in Francia pel battello il Carlo liberto, torna davvero classico in danno di chi lo produce. L’unica quistione agitata e decisa, nel giudizio al quale si fè luogo, fu quella della regolarità dell'arresto eseguito sul bordo degl'individui che vi rimaneano allorché il bastimento approdò alla Ciotat; quistione impegnata ne’ termini di giuredizione internazionale, e giudicala rettamente al dire dell’ORTOLAN, il quale, enunziato il caso in genere, conchiude: «Si agirebbe non più di giuredizione, ma di difesa legittima, e Io Stato attaccalo avrebbe, senza verno dubbio, il diritto di prendere, non solo nelle sue acque territoriali, ma ancora in pieno mare, tutte le misure neces«sarie a cotal difesa (25).

Noi non veggiamo che una simigliante quistione potrebbe essere suscitata nel giudizio penale cui sono sommessi i ribelli del Cagliari, perocché vennero essi in potere della' giustizia sulla terraferma del regno ma dichiariamo che, ove si fosse aperto adito a promuoverla, certo, noi non l'avremmo sostenuta, di pieno accordo con quanto ne. opinò nella sua censura la Corte di Cassazione di Francia.

Per gli arrestati, adunque, sul Carlo Alberto, ottimamente, ma pel Carlo Alberto 11 Governo di Francia non pensò neppure che potesse far luogo a preda, quantunque i fatti operati per mezzo di quel naviglio, se non ebbero le brutture di Ponza, non furono meno ostili al potere allora regnante nella Francia; e, certo, di bene altra gravità, promossi e sostenuti da una Principessa, madre ch'era del legittimo Re.

E le colpe che apponeansi al capitano, e che sarebbero state divise co’ proprietari del Carlo Alberto, erano altramente vere ed esiziali che quelle che s’immaginano a carico del SITZIA e del Rubattino.

Leggete intere le conclusioni del DUPIN, e v’incontrerete nelle seguenti parole:

«Vi è stato complotto, concerto dei prigionieri venuti dall'Italia co’ congiurati dell'interno della Francia: il noleggio del bastimento ha arido luogo nel disegno di venire a riunirsi ad essi; la bandiera Sarda non è stata spiegata che per abbagliare la marina francese, e le false carte dell'equipaggio sono state immaginate per ingannare la sorveglianza degli agenti francesi. Quel bastimento ha fatto falsa rotta, non si è recato a Barcellona; ei si è messo volontariamente in contatto colle coste della Francia, di notte, ed in contravvenzione flagranti te delle leggi sanitarie, e de' regolamenti sulla polizia de' porti. Esso ha violato le nostre leggi, e commesso un attentato alla sicurezza dello Stato disbarcando sul territorio francese la duchessa di Berry.

E quanto alla preda, udite lo stesso DUPIN: «Ma su tal punto, quale che sia la generalità dei motivi della decisione attaccata, la Corte non ha giudicato una quistione di preda marittima; ha lasciato intera colai quistione, mantenendo solo i sequestri; ella ha esaminata la quistione di cattura de' passeggieri del Carlo Alberto relativamente alla loro qualità di accusati; ella avea cosi tutta la competenza per giudicare del merito del loro arresto (26).

E notate che, mentre la Corte di Aix dichiarava illegittima la prigionia dei passeggieri rinvenuti sul bordo, sottoponea ad accusa i passeggieri discesi colla duchessa, e riserva, cosi pronunziava, i diritti e le azioni del Ministero Pubblico contro Giorgio Zara, capitano del Carlo Alberto.

Ora ascoltate il nostro avversario il quale scrive: «Che per effetto di questi pronunziati, quel legno era di buona preda, al dir del gran DUPIN, e dei sapienti che decorano quella nazione.

Pertanto, come palliare il fatto che il legno fu restituito ai suoi proprietari, e che non mai si pretese di averlo predato? Ascoltate ancora il nostro avversario, il quale sen cava pel rotto della cuffia, continuando cosi:

«Che il Consiglio di Stato, giudice competente per tali giudizi, fu dello stesso avviso, al riferire di FAUSTIN HÉLIE, E CHE FORSE NON SI PRESTÒ IL FATTO PER DICHIARARLA, da che MANCAVANO IL PREDATORE, e L'ACQUISTO BELLICO, avendo le vigili autorità, custodi della tranquillità pubblica, ARRESTATO i congiurati ed IL LEGNO.

Il fatto non si prestava pel Carlo Alberto, siccome non si presta pel Cagliari. Il fatto si prestava a stabilire la congiura e la tentala rivolta de' passeggieri, non la complicità del proprietario, il quale non fu neppure inquisito, tanto che l'azione del Ministero Pubblico fu solo riservata contro il capitano.

Qual derisione non è quella poi con cui si allega che la preda non fu dichiarata perché mancavano il predatore e l'acquisto bellico? E come mai eseguivasi l’arresto de' passeggieri sul bordo, se non impadronendosi del bastimento, e però coll’opera di navi appartenenti al Governo? E peggio ancora, non si sa comprendere come mancasse l'acquisto bellico, senza che non si dia causa vinta al Cagliari. Il Carlo Alberto era in una rada francese, ed avea tuttavia con se i congiurati passaggieri; il Cagliari gli avea disbarcati, ed era in alto mare.

E se non vi fu predatore ed acquisto bellico, vi furono le vigili autorità che arrestarono, come si scrive, i congiurati ed il legno. Dunque arrestato il legno, non si pretese alla preda, o si giudicò illegittima, e solo si procedette contro i congiurati.

Il nostro avversario conchiude così: Se ciò si disse allora pel Carlo Alberto, che si dirà oggi pel Cagliari?

Dia egli stesso la risposta.

IV. Facciamone, da ultimo, alla imputazione che il capitano del Cagliari nel momento del cosiddetto arresto mancava di avere a bordo: 1.° l’atto di proprietà del bastimento; 2.° il passaporto marittimo, 3.° i contratti di noleggio; 4.° i verbali di visita.

Se non avessimo a respingere per mille guise l’insussistente attacco, ne faremmo ad osservare, e basterebbe senza più, la niuna legalità serbata nel procedere alla verifica, descrizione, e reperto delle carte ch’erano sul battello. Dal verbale intimato si rileva che a quell’essenzialissimo operato non fu presente il capitano SITZIA, irreparabile mancanza, perocché in forza di dettati specifici delle Ordinanze della Real Marina vuoisi che il comandante di un bastimento che s’intende predare abbia non solo ad assistere a quanto si dà luogo dal momento in cui il predatore s’impossessa de' suoi documenti di bordo, ma che abbia il diritto a farne il riscontro in quel momento stesso, e dappoi innanzi al magistrato cui si reca il giudizio della preda.

Ma ove si potesse lasciar da banda cotale avvertenza, la pretesa mancanza delle carte svanirebbe nel fatto. L’atto di proprietà del bastimento era senza alcun dubbio sul bordo, e quale, tra le tante, la cagione onde andò disperso ed il come, noi mal sapremmo indicare. In ogni modo, abbiamo adempiuto a procacciarne un duplicato, e ne faremo la esibizione nelle forme giuridiche (27). Quanto al passaporto marittimo, inviliamo il nostro avversario a rilevare che nelle nostre leggi di commercio, non è desso richiesto, e che però egli non potrebbe far rimprovero al SITZIA di non esserne provveduto, egli che vuol decisa dal magistrato del nostro regno la causa. Ma poiché invoca le leggi liguri per cacciare in mezzo la necessità del passaporto, era mestieri che se ne instruisse appieno per conoscere che di passaporto non debbano esser forniti i bastimenti a vapore (28). Quanto da poi a' contratti di noleggio, noi non sapremmo avvisare di che favelli il nostro avversario.

Il Cagliari non era ad alcuno noleggiato: esso avea passeggieri come ogni altro Vapore postale, e mercatanzie, e per queste le polizze di carico in piena regola, e tutte, e principalmente in regola pienissima quella per le sette casse di armi. Quanto, da ultimo, a' verbali di visita, l’avversario si avviene in manifesto inganno. Ei confonde le verifiche dell’uffizio delle, dogane, che si compiono prima di rilasciare le bollette di spedizione, colla visita del bastimento che ha per oggetto di accertare se sia questo atto alla navigazione.

Le prime furono necessariamente adempiute, senzaehé l'imbarco delle mercanzie non sarebbe seguito, e però è peggio che fantasia ciò che si allega nel risguardo delle armi. Quanto alla visita del bastimento, della quale intende la legge, è dessa rimasa una lettera morta, perocché né la fanno i capitani de' Vapori né quelli de' legni a vela, ed altronde è cosa che nulla ha di comune con legittimità, o illegittimità di preda.

Ma, domanderemo, un capitano che viaggi senza esser munito a bordo di tutte le carte indicategli dalla legge a che mai rimane esposto? Il dice la legge stessa: «È tenuto di tutti gli accidenti verso gl'interessati del bastimento e del carico.» Dunque sarebbe stato iL SITZIA tenuto verso la compagnia proprietaria del battello, ed i proprietari delle merci che trasportava.

Nel rapporto de' pretesi predatori, la mancanza dell'alto di proprietà del bastimento, ed anche del passaporto se fosse stato necessario, certo che non' rileverebbe. L’attrice non pone in dubbio che il Cagliari si appartenga alla compagnia Rubattino, ed in suo danno sostiene di averne fatto la preda, e lei manda a citare nel giudizio che ha instituito. Niunissimo dubbio che il Cagliari si dirigesse a Cagliari ed a Tunisi, almeno, secondo il nostro avversario, «Apparentemente, ed in difetto del passaporto, il ruolo dell'equipaggio vidimato per quel viaggio, lo stato de' passaggieri pur vidimato pel viaggio medesimo, e tutt'i passaporti de' passaggieri, che ne doveano essere provveduti, e tutte le polizze di carico, e tante lettere missive supplirebbono ampiamente il passaporto marittimo, sempre che la legge lo esigesse.

L’atto di nazionalità, rinvenuto sul bordo, assicura, altronde, che il bastimento fosse genovese, e quindi di Potenza amica; né la mancanza pure di quell'alto avrebbe aggiunto alcun che, non trovandosi il Reame delle due Sicilie, la Dio mercé, in guerra con niuna nazione del mondo, e non affermandosi che il Cagliari fosse di fabbrica de' venticinque che se ne impadronirono.

Come adunque, nel caso in proposito, si possa fare appello, quanto a' documenti di bordo, alla legge del 12 ottobre 1807, niuno il saprà vedere. Questa legge suppone la guerra esistente, e tutte le sue disposizioni convergono a tal fatto: pretendere di applicarle nello stato di pace, ripetiamo, è un aperto controsenso.

È egli vero che quella legge detti col suo articolo 20 che non si avrà riguardo che alle sole carte trovate a bordo, e tutte quelle, che fossero prodotte dopo fatta la preda, non saranno di verun) momento s. Ma ciò è inteso alla giustificazione della qualità del legno, se alleato, neutrale, o nemico. Or quando il legno, non può essere che amico, i documenti di bordo non impegnano niuna disamina. L’attrice stessa deduce, ed in questo tutto fa consistere il giudizio che ha promosso, essere il Cagliari da amico divenuto ostile, da legno mercantile, guerresco. Qual discettazione, quindi, su’ documenti di bordo per rivocare in dubbio che il Cagliari fosse genovese, che appartenesse a. Rubattino, che viaggiasse per Cagliari e Tunisi?

Il discorso art. 20 fa seguito a quanto ne’ due precedenti, si contiene. Per l’art. 18: Sarà di buona preda ogni bastimento estero su cui trovasi imbarcato un sopraccarico negoziante, un commesso, o uffiziale graduato di paese nemico, come ancora ogni bastimento a bordo del quale sievi un numero di marinari sudditi di nazioni nemiche del Regno, che ecceda la terza parte dell’equipaggio o che non abbia a bordo il ruolo di equipaggio riconosciuto da pubblico ufficiale del paese neutro, da cui il bastimento medesimo è partito.

L’art. 19°, consuonando al 18°, sottrae al disposto in questo i capitani che facciano costare con documenti esistenti a bordo che fossero stati costretti a prendere uffiziali o marinari nei porti ov’abbiano ancorato per sostituirli ai morti nel viaggio.

Però l’invocato art. 20°, favellando di carte di bordo evidentemente se ne riporta al dettato de' due articoli che il precedono, nel riguardo sempre di diffinire la qualità del legno.

Nella fattispecie, non è disputa né di uffiziali né di marinari ne’ miei, ed il ruolo dell’equipaggio del Cagliari trovasi riconosciuto dalle autorità liguri, ed i pretesi fogli in bianco sono una fantasia del nostro avversario dileguata dal vidimato del console del 25 giugno per la partenza in quel giorno stesso effettuata per Tunisi, secondo depone il medesimo reperto delle carte verificate dal Procuratore generale.

E quando tutto questo non eliminasse così onninamente ogni disputa, e quando davvero si fosse nel tema di guerra esistente tra il nostro Regno ed un’altra Potenza, noi avremmo richiamato il nostro avversario a quest’ultimo vero che la disposizione del rimentovato articolo 20 non fu mai applicata nella sua efficacia letterale per giureprudenza costante in Francia, comeché il dettame di quell'articolo v'imperasse parimenti in forza del Regolamento del 26 luglio 1778, e dell’Ordinanza del 1681.

«Ma da ciò si è conchiuso a torto scrive il MASSE’ secondo noi, che la pruova della neutralità non possa risultare che dalle carte trovate a bordo.... Egli è più giusto in contrario, poiché non si pretende al dritto di preda che sopra bastimenti o mercanzie che non pruovino la loro neutralità, di rilasciar quelli che adempiono a tal pruova dopo la preda, perocché se lo avessero fatto innanzi, la preda non avrebbe avuto luogo. La quistione non è che di tempo; e non si comprende come un belligerante abbia il dritto di appropriarsi un bastimento neutrale riconosciuto cosi, per solo motivo che i documenti e le carte, onde risulta la neutralità, sieno stati prodotti in un tempo piuttosto che in altro (29)».

Aggiugne quell’insigne scrittore le ragioni che avvalorano il suo opinare, e conchiude citando appunto la consona giureprudenza del suo paese, il che noi tralasciamo perché davvero ne sembra di abusare intollerabilmente de' nostri lettori, traendoli con noi a vagare in un campo affatto straniero a quello della contesa.


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Ritenute in tesi le più assurde ipotesi, la Real Marina non avrebbe operato che una ripresa, e dovrebbe restituire il piroscafo senza emolumento di sorta

I

Ponete il vero che la compagnia ed il capitano fossero innocenti; recale l'attentato nel campo della ragion delle genti; egli è chiaro che i primi predatori del Cagliari sarebbono stati i ribelli che se ne impadronirono; e la prima in cui danno si sarebbe effettuata la preda risulterebbe la compagnia.

Tra' modi, onde un naviglio predato torni nel dominio del proprietario, vi ha quello deV abbandono che ne faccia il nemico, come quello del riscatto che ne procacci il capitano, come quello della redenzione che ne operi l’equipaggio (30).

I giuspubblicisti, e le leggi delle varie nazioni han potuto opinare e disporre in diverse guise quanto a' dritti emergenti ne’ casi moltiplici di riprese, ma vi ha accordo universale in questo che l’abbandono induca piena reintegrazione della proprietà senza prelevazione determinata a coloro che per avventura abbiano raccolto il legno rilasciato.

L’art. dell'Ordinanza di Francia del 1681 stabiliva: «Se il bastimento, senza essere ripreso, è abbandonato da' nemici, o se per tempesta od altro caso fortuito, ritorni nel possesso do’ nostri sudditi, prima che sia stato condotto in alcun porto nemico, sarà reso al proprietario che lo reclamerà entro un anno ed un giorno, quantunque sia rimaso più di ventiquattro ore nelle mani dei nemici.»

Siffatto dettato non ingenerò altra discettazione se non quella dell’essere o no dovuta la retribuzione del terzo come pel caso di ricupero dietro naufragio, et il voto affermativo del VALIN, comentatore dell’Ordinanza, fu combattuto da tutta la scuola, e dalla decisione del Consolato del mare, come si attinge, tra' tanti, nell’EMERIGON che scrive: «La decisione del Consolato del mare è giustissima. L’Ordinanza non prescrive nulla di contrario, e deve in conseguente essere intesa consentaneamente a ciò che l’equità naturale avea di già determinato su tal punto: bisogna, adunque, che quegli che riconduca a buon punto il naviglio preso e abbandonato dal nemico, si contenti di un’onesta ricompensa, sempre inferiore al terzo del valore (31)

Ma quale onesta, qual debita ricompensa se il bastimento è rilasciato insieme all'equipaggio intero che ne riassume il governo? niunissima. L’Ordinanza, come vedremo della nostra legge del 1807, suppone un’opera spesa dal raccoglitore onde porre a salvamento il legno, dato, senza più guida, alla balìa delle onde, suppone il ricovero effettuato nel porto.

I ribelli, poiché furono disbarcati a Sapri, restituirono il Cagliari al suo capitano, non che ne fecero l’abbandono. Che se a questo ne si opponga che il capitano indirizzavasi novellamente a Ponza, e non a Napoli, noi rispondiamo che in ciò stanno le investigazioni di fatto, e che noi intendiamo ora di ragionare nella ipotesi dimostrata della innocenza della compagnia e del capitano; perocché; posta la complicità della prima, non contrastiamo la perdita del bastimento, e posta la complicità del secondo, e la risponsabilità della compagnia, neppur ne dissentiamo.

Avveratosi, adunque, il rilascio del nostro piroscafo, cessa ogni idea di preda, e subentra l’altra del più ingiusto arresto eseguito a danno di un naviglio restituito al dominio di sudditi di una potenza amica.

È questo il tema unico della causa a chi voglia guardarvi dentro con animo scevro da interessate preoccupazioni; ma poiché noi ci siamo proposti, a volontario nostro martirio, di declinare la tesi sola e vera che si offre, con assunti che vi stanno a tanto disagio, ne piace di aggiugnere un’altra ipotesi che si attiene alle disamine di guerra mista, e di pirateria.


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II

Si metta da banda per un momento che il bastimento siesi racquistato perché ne avvenne la restituzione. Si supponga, invece, che rimanesse al momento dell'arresto tuttavia nel potere dei ribelli, sia che vogliansi considerare quali belligeranti in guerra divenuta pubblica, sia quali pirati; non sarà men vero doversi ridare, senz’altro, alla compagnia proprietaria. Che avrebbe operato, in cotal supposto, la nostra Real Marina? Certo una ripresa, perocché la prima preda era già avvenuta da parte dei nemici o dei pirati. Avrebbe ella acquisito niun dritto? munissimo.

Ravvisate, pertanto, la forma che prenderebbero gli avvenimenti elevati nelle alte regioni del dritto pubblico, il che, supponendo, ne pare non che di sognare, di delirare. Considerati i ribelli come nemici solenni del regno, la compagnia Rubattino sarebbe un suddito di potenza amica, il che vale di potenza neutrale. Or la ripresa di un bastimento appartenente a potenza neutrale non che si pareggi a quella di un bastimento nazionale o di proprietà di potenza alleata, non attribuisce a' riprenditori alcun dritto, come per quest'ultimo si avvera, sia che la ripresa abbia effetto da parte di un legno armato alla corsa, sia da parte delle navi dello Stato.

A chi sia vago di vedere esposta la materia magistralmente, ed in maniera compiuta quanto alla parte storica a cominciare dalla romana legislazione, noi non sapremmo indicar di meglio che il Masse univoco a tutti gli altri pubblicisti. Ci terremo, pertanto, alle ultime sue parole: egli scrive:

«Se dunque, nello stato attuale del nostro dritto, un naviglio francese o alleato è ripreso da corsari su’ nemici dello Stato, dopo che desso sarà rimaso ventiquattrore tra le mani di questi ultimi, apparterrà in totalità a' detti corsari; se, al contrario, la ripresa segua innanzi le ora ventiquattro, il dritto di ricupero non sarà che del terzo del valore del naviglio e del suo carico. Nel caso in cui la ripresa è fatta da un bastimento dello Stato, la regola si modifica: La ripresa è allora restituita ai proprietari col debito di pagare agli equipaggi riprenditori il trentesimo del suo valore, se segua prima delle ventiquattro ore; ed il decimo se la ripresa abbia 2 avuto luogo dopo le ore ventiquattro. Tali sono le disposizioni dell’art. 34 del precitato Regolamento del 2 pratile anno XI.

«Questa legislazione, o almeno la dilazione delle ore ventiquattro che le serve di base, è seguita in quasi tutta l’Europa.

Segue l'autore col ricordo delle leggi della Spagna, dell'Inghilterra, e dell'Olanda e quindi così:

«Tra questi differenti sistemi, io non esito a pronunziarmi per quello che in caso di ripresa, si restituisca la cosa al proprietario sul quale la cattura è stata primitivamente eseguita.

«Che negli antichi tempi, in cui la guerra si faceva per lo saccheggio e pel bollino, siesi annoverata la guerra tra' mezzi di acquistare, si comprende; ed ancora abbiam noi veduto che le cose prese non passavano nel dominio del prenditore che quando le avesse collocate al coverto dalla caccia del nemico, e che questi avesse perduta la speranza di ricuperarle. Ma nei tempi moderni, in cui la guerra ha altro incentivo che l’interesse individuale, ed in cui non si combatte più per saccheggiare, si possono adottare i principi del dritto romano, ed ancora nell'applicazione esagerarne la portata? Io nol credo ammissibile.

Continua l’autore con gli annunziati principi a svolgere l'argomento sempre per combattere il diritto acquistalo dal corsaro dopo le ventiquattro ore, e conchiude siffattamente:

«Quando, adunque, una ripresa abbia avuto luogo, qualunque sia il tempo trascorso dopo la presa, la cosa debbe esser restituita al suo precedente proprietario colla sola deduzione delle spese, e dell'emolumento dovuto all’equipaggio riprenditore.

«Poco importa altresì che la cosa sia stata posta al coverto della persecuzione, intra prassidia, perché la impossibilità attuale di questa non impedisce che si abbia la volontà di ricuperarla. Ed importa ancor poco che sia stata dessa venduta ad un terzo, nemico o neutro, che ne conoscesse l’origine, e che non potrebbe conseguentemente aver dritti maggiori del suo venditore (32)

Ma si dimanderà se questo vero, quanto alla retribuzione dovuta a' riprendi lori ed al tempo pel quale il bastimento sia rimaso in potere di costoro, pei casi espressi nel rapporto de' nazionali o di potenza alleala, lo sia del pari pel bastimento appartenente a potenza neutrale. Certo che no, per la più evidente ragione. diritti del corsaro o dello Stato riprenditori derivano dalla legittimità della preda che fa il nemico, ed il proprietario del naviglio predato non altramente ne opera il racquisto che pel favore del postliminio: il diritto nascente dalla occupazione del predatore è essenzialmente risolubile sino a quando non cessi la guerra, donde il fondamento alla rivindicazione. Per la cattura fatta a danno del neutrale, non vf è legittima occupazione, e però non milita trascorrimento di tempo, né alcun motivo alla prelevazione in favor del corsaro e dello Stato riprenditori, menoché il bastimento neutrale non abbia commesso alti di ostilità che avessero autorizzato la preda.

Odasi lo stesso MASSE’ in continuazione del luogo riportato:

«Ma sarebbe egli lo stesso di un bastimento neutrale che, preso da un belligerante, fosse ripreso da un altro belligerante? 11 bastimento neutrale potrebbe esso divenire la proprietà del secondo prenditore se la ripresa avesse avuto luogo dopo le ventiquattro ore, o se la ripresa avesse avuto luogo prima i delle ventiquattro ore, non potrebbe esso esser restituito al proprietario che sotto la deduzione del dritto di ricupero determinalo dalla legge? Io lo credo, ma per lo caso solo in cui la presa del neutrale fosse stata determinata da un atto ostile, perché allora, comportandosi da nemico, dovrebbe esser trattato come tale. Se, al contrario, il neutrale fosse stato indebitamente preso, e in onta che si fosse mantenuto ne’ limiti di un’esatta neutralità, la presa che non sarebbe stata legittima, e che non avrebbe conferito alcun dritto al prenditore, non potrebbe per la ragione stessa conferirne alcuno al riprenditore.»

La quistione è stata ne’ medesimi sensi reiteratamente decisa dal Consiglio delle prede in Francia sulle conchiusioni dell'insigne PORTALIS. Rechiamo qui per tenore quelle date nella causa del Kity:

«La preda del naviglio il Kity è mai valida? Decidendosi che non lo è, sarebbero dovuti danni ed interessi al catturato? Tali sono le due quistioni della causa.

«Il naviglio Kity sotto bandiera Americana, fu ricuperato contra il nemico dal corsaro francese il Bravo, e condotto ad Algesiras. La causa fu portata al console francese in Cadice. Il console francese, con sentenza del 7 pratile anno 6, ordinò il dissequestro del naviglio, e la confìscazione del caricamento, sull’unico motivo del ricuperamento. Appello da questa sentenza al tribunal civile del dipartimento della Loira inferiore, il quale rivocò la decisione del console, ed ordinò che il caricamento fosse restituito, ma senza danni ed interessi, La controversia era pendente al tribunale di Cassazione, quando il Consiglio delle prede fu stabilito.

«Il Consiglio ha manifestato i suoi principi sul ricuperamento nella causa relativa alla preda del naviglio la Statira. Esso ha riconosciuto che non bisogna ragionare sopra un naviglio che si pretende neutrale, ricuperalo da un naviglio francese, come si ragionerebbe sul ricuperamento di un naviglio francese, fatto da un altro naviglio francese.

«In questo secondo caso,le nostre leggi garentiscono la proprietà del naviglio ricuperalo al prenditore che ha fatto il ricuperamento. Esse nulla statuiscono sull'ipotesi di un naviglio che si pretende neutrale, e ricuperato da un francese: questa ipotesi è abbandonata al dritto comune.

«Ora, giusta il dritto comune e generale, un naviglio che si pretende neutrale, e ricuperato contra il nemico, non diviene confiscabile se non per quanto non possa giustificare la sua neutralità. Bisogna condursi a suo riguardo, come si sarebbe condotto il nemico stesso contro del quale noi l'abbiamo ripreso. Ora, presso il nemico, il naviglio di cui trattasi non sarebbe appartenuto al prenditore, se non per quanto fosse stato dichiarato di buona preda dal magistrato. Dunque noi dobbiamo, malgrado il ricuperamento, osservare le medesime forme. I dritti della neutralità debbono essere rispettati da per tutto e sempre. Obbiettasi che è assurdo di trattare più favorevolmente gli stranieri che i nazionali. Io rispondo che sarebbe molto più assurdo voler governare colle medesime regole cose le quali sono interamente differenti.

«Quando un legno francese cade nelle mani del «nemico, esso è confiscato irrevocabilmente; riprenderlo, è fare una vera conquista contra il nemico medesimo. Non è così del naviglio straniero che si pretende neutrale; questo naviglio non può divenire confiscabile che per sentenza; bisogna dunque giudicarlo dopo il ricuperamento, come si sarebbe giudicato se non fosse stato ricuperato.

«Sarebbe senza dubbio più generoso, da parte de' nostri compatrioti, di restituire al vero proprietario le mercanzie od i navigli francesi ch'essi riprendono contra il nemico l’ultima guerra ci ha offerto molti esempi di questa generosità di cui ho di già favellato in altra occasione. Ma le leggi, senza rinunziare all'avvantaggio d’inspirare le virtù dolci e disinteressate, non possono proporsi per oggetto principale altro che il più gran bene dello Stato. Esse avrebbero temuto di scoraggiare il ricuperai mento de' navigli francesi per opera di altri francesi se non avessero garantito al prenditore ciò che i egli aveva involato al nemico colla sua intrepidezza, e col suo coraggio.

«Il proprietario francese predato dal suddito di «una nazione in guerra colla nostra, è irrevocabilmente spogliato del suo avere; se la sua situazione non cambia, ricuperato da un francese, egli non i ricupera personalmente la sua proprietà; ma lo Stato la ricupera. Ora, è l’interesse dello Stato che ha dirette le vedute del legislatore: poiché non si poteva attendere di rendere gli uomini generosi, sono stati invitali, colla considerazione del loro proprio interesse, a divenire utili. Le leggi han più direttamente per oggetto il bene della società che l'utile particolare del cittadino, e più l'utile del cittadino che la perfezione morale dell’uomo.

«Si scorge dunque attualmente per qual motivo devesi usarne altramente riguardo agli stranieri ricuperati, che riguardo a' francesi che rinvengonsi nel medesimo caso. Il ricuperamento fatto contro il nemico del naviglio il Kity da un francese, non poteva dunque mai per se stesso divenire un giusto motivo di confiscazione, se questo naviglio ed il suo caricamento sono verificati neutrali. Ora, risulta evidentemente da' considerando i quali hanno motivato la sentenza del console francese a Cadice, che nel pronunziare la confiscazione delle mercanzie sul naviglio il Kity, questo console non si è determinato che per la circostanza del ricuperamento.

«Egli è stato inconseguente, anche nel suo proprio sistema; perciocché la circostanza del ricuperamento se avesse potuto essere concludente, avrebbe colpito tanto il naviglio che il caricamento. Perché dunque confiscare il caricamento, e rilasciare il naviglio?

«Il tribunale di appello, più giusto e più conseguente, ha rilasciato il naviglio ed il caricamento.

«Esso ha giudicato, in conformità de' principi adottati dal Consiglio, che il ricuperamento solo non poteva motivare la validità di una preda.

«Non si sono censurati né la natura del caricamento né i documenti di bordo; si è riconosciuto che tutto era neutrale. Dunque sarebbe impossibile di non pronunziare che la preda è invalida (33).


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III

Considerate ora i ribelli in qualità di pirati, e fuori dubbio l'assimilazione si adagia meglio, e ne ritira dalle ridevoli fantasie che ne hanno intrattenuto sino ad ora. Diremo col LOCCENIUS: Ea quae nobis eripuerunt piratae, non opus habent postliminio, quiajus genlium illis non concedit, ut jus domini mutare possint (34). Diremo cell'AZUNI, e con tutti che lo precedono, o lo seguono: «Nella ricuperazione di nave predata deve sempre distinguersi il caso, in cui la preda siesi fatta da' pirati, o sieno ladri di mare, da quello eseguitosi da veri nemici dichiarati, o aventi un titolo tollerato per ciò fare. Nel primo caso, non vi è alcun dubbio che la nave predata, liberandosi anche da un terzo sopraggiunto, debba restituirsi al suo proprietario, giacché mancando quegli del diritto di acquistare legittimamente, non ha questi perduto mai il suo dominio, e deve perciò considerarsi tale ricuperazione come quella fatta di cose furtive (35).

Celebre, e notissimo egli è un esempio patrio datone dall'immortale Re Carlo III, esempio al quale il nostro Consiglio delle prede nella causa pel Vesuvio retribuiva il più debito omaggio. È desso narrato dal REAL si fattamente:

«La Corte di Napoli decise il seguente caso in maniera conforme alla regola. — Un bastimento francese fu preso da un corsaro di Barberia, verso la metà del 1740, ed il corsaro egli stesso colla sua presa divenne preda di un armatore napoletano. Il proprietario del bastimento francese lo reclamò alla Corte di Napoli, e l'armatore pretese che a lui si apparteneva. L’affare fu messo in deliberazione nel Consiglio del Re delle Due Sicilie, e questo Principe fece rendere al francese il suo bastimento. Fu questa giustizia? Fu riguardo particolare pel Re di Francia? Questa fu giustizia. Era un bel dire, che una nave è un mobile, che ogni effetto mobiliare appartiene al possessore, che il capitano francese avea non solamente perduto il suo bastimento, ma la sua libertà ed era schiavo del corsaro; che era nel numero dei suoi beni; che la sua sorte dipendeva oramai dal suo padrone; e che in questa situazione il corsaro medesimo essendo stato preso co’ bastimenti che gli appartenevano, tutti questi bastimenti dovevano rimanere al vincitore. Questo ragionamento non era che specioso, e mancava di solidità. Egli è certo, negli usi del mare, che un bastimento il quale non è stato condotto in alcun luogo della giurisdizione dello Stato che se n’è impadronito, non è punto reputato una preda appartenente a colui che l'ha fatta; ed in secondo luogo, i corsari di Barberia sono de' veri pirati, e pubblici nemici del genere umano. Un uomo che avesse tolto ad un ladrone la sua preda, sarebbe egli in dritto di appropriarsela? La Francia e l'Olanda per loro trattato di commercio hanno convenuto che le navi ed i beni presi da pirati e FUORBANDITI, i quali si troveranno in natura, saranno immantinenti, e senza forma di processo, restituiti liberamente a' proprietari che li reclameranno l’art. 2 del trattato di commercio tra il Re Cristianissimo, e le Provincie unite del 21 dicembre 1739 (36).

Esaurite, adunque, ogni ipotesi, le più incompatibili col fatto vero, e patente che si offre; supponete che le navi della nostra Real Marina avessero incontrato il Cagliari nel suo viaggio da Ponza a Sapri, quando, dopo i misfatti consumati nell’isola,recava i ribelli in terra ferma per commetterne altri simiglianti, certo che altrettanto legittimo era l’arresto e la punizione de' delinquenti quanto debita la restituzione del piroscafo.

Però conchiuderemo ogni dimostrazione come le cominciamo tutte: senza la complicità del capitano e della compagnia; senza la risponsabilità di questa per la colpa anche pruovata di quello, l’azione promossa rimarrebbe abbattuta dai principi elementari i più fermi della ragione delle genti, ove mai l’applicazione ne fosse impegnata.


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Le verità discorse hanno perfetto riscontro nella legge del 11 ottobre 1807

I

L’art. 1.° della legge del 12 ottobre 1807 detta;

«Saranno legittimamente predati tutt’i bastimenti appartenenti a' nemici del Regno, o comandati da pirati, o da persone che corrono il mare senza speciale commessione di alcuna potenza. »

Eccone da capo sulla intelligenza del nemici. Son dessi i sudditi di straniere nazioni con cui si è in guerra solenne, o saranno anche i propri sudditi e chiunque in qualsivoglia modo muova atti di ostilità al paese?

Combattiamo da prima gli avversi argomenti. Vuoisi che il precedente decreto del 30 agosto del medesimo anno pareggi al legno nemico l'altro che sia evidentemente tale.

Leggiamo nell’art. 7. del decreto del 30 agosto: «Terminato che sarà l'informativo, ancorché risulti da esso, che il legno sia stato predalo avendo bandiera nemica, o che esso sia evidentemente tale ecc.»

Non vi è, adunque, assimilazione, e però non vi è pareggiamento tra due specie di legni: vi ha, invece, indicazione moltiplice del legno nemico, in questo che abbia o nemica bandiera, o che si palesi per altri segni ad evidenza tale, come sarebbe il fatto di essere in realtà appartenente a sudditi di nazione colla quale si è in guerra, e da essi condotto, quantunque sotto mentila bandiera amica, come l’altro dell’esser sorpreso in atto di commettere guerresche ostilità, e cento altri diversi, inutili a mentovare in tanta chiarezza.

Le teoriche, cui fa passaggio l’avversario, intese tutte al vero che la realtà vinca l’apparenza, o rimangono spiazzate nella specie, o non sono altramente a questa applicabili che nel senso pel quale un naviglio appartenente, con effetto, ad una nazione con cui si è in guerra, invano mentisca sembianze diverse.

Si soggiugne che la legge, nel ritenere di buona preda tutt'i bastimenti di bandiera nemica, stabilisca l’’espresso, e da questo poi passi alle «congetture ed alla interpretazione, e ritiene come inimico del regno quel bastimento che combatta sotto la bandiera diversa da quella della potenza dalla quale tiene commissione; come ancora se abbia commissione da due potenze diverse. Del pari è di buona preda il bastimento allorché la neutralità non ne sia appieno giustificata; come pure un bastimento qualunque che resista al bastimento che gli dà caccia, dopo di essere stato chiamato all'obbedienza. Lo stesso accade ad un bastimento di qualsivoglia nazione anche alleata, quante volte qualche carta fosse stata gettala in mare o in altro modo sorpresa o distrutta dall'equipaggio; i bastimenti di fabbrica nemica; ogni bastimento estero su cui trovasi imbarcato un sopraccarico; come ancora ogni bastimento a bordo del quale siavi un numero di marinari sudditi di nazioni nemiche del regno, che ecceda la terza parte dell’equipaggio.

Tutti questi casi, scrive il nostro avversario, «non sono d’inimico palese ma di nemico per congetture, e per condizioni che possono farlo credere tale».

Abbiamo voluto riportare le proprie parole, perocché altrimenti sarebbe sembrato inverosimile che si pretendesse attingere ragioni là ove non si trova che il torto più palese.

Primamente, si muta la locuzione della legge sostituendo a nemici, bandiera nemica. L’espresso, adunque, sta non meno in quella parola che in tutte le altre di neutralità, potenza, nazione, fabbrica nemica, bastimento estero, e le congetture e la interpetrazione non menano che a far convergere tutte le altre indicazioni con quella di bastimenti nemici, il che rende sempre più evidente che quest’ultima espressione non sia adoperata che nei rapporti di nazione a nazione, e nel senso unico del dritto delle genti.

E non solo questo vero emerge da quanto ne allega il nostro avversario, ma dall'intero tenor della legge, in cui la parola nemici è scritta sempre in antitesi colle altre che le appropriano la equipollenza di nazione nemica. Così nell'art. 5.° «allorché un bastimento nazionale o di potenza alleata sarà ripreso ai nemici ecc.»; così nell’art. 6.° «se un bastimento nazionale o alleato, per abbandono fattone da' nemici ecc. ecc.» e così in altri luoghi per amor di brevità. Per contrario, allorché la legge vuole intendere di altri nemici che non fossero gli stranieri co’ quali si è in guerra pubblica, non si vale che della espressione propria: così nell’art. 10.° «i bastimenti e gli effetti dei nazionali e degli alleati ritolti ai pirati» e così parimenti sempre. Che anzi la legge è talmente osservante del tecnicismo esclusivo alle relazioni internazionali che, anche quando usa in forma di aggiunto qualificativo la parola, non ne declina giammai l’unica intelligenza: così nell’art. 16.° «i bastimenti di fabbrica nemica, o già stati in possesso di un proprietario nemico»; così nell’art. 17.° «in quanto a' legni di fabbrica nemica, che presi da' corsari nazionali o alleati» né mai in altra guisa.

Il nostro avversario non è più felice nelle autorità degli scrittori di quel che risulta pel testo della legge, comeché ei vada col fuscellino ricercandone gli esempi. Ei ne cita il PIANTANIDA nella definizione della preda: «La presa è un atto con cui sul mare ed in luogo navigabile, per arte o per forza viene preso il bastimento o carico nemico, o riputato tale per dritto o sotto pretesto di guerra.» Egli è chiaro che queste ultime parole sien mille miglia lontane dalla significazione che loro si vorrebbe annettere, perocché lo scrittore, dopo aver detto nemico, aggiugnendo quelle ha voluto alludere alla estimazione che faccia il predatore della qualità dei bastimento che cattura, riputandolo per dritto nemico, o pretestando che tale fosse. In questo l’avversario confonde la definizione generica della preda con quella della giusta preda.

Né altramente quanto alla diffinizione che viene attribuita della preda all'AZUNI, la quale si afferma sia questa: «L’impossessamento di un legno nemico, o creduto tale, esercitato da un belligerante in tempo di guerra». Noi non abbiamo rinvenuto in entrambe le opere dell’AZUNI cotal maniera di diffininizione. Invece troviamo che egli la renda così: «La preda è un arresto di nave fatto da un belligerante in tempo di guerra con animo d’impossessarsi della medesima, ed appropriarsela spogliandone il vero padrone» (37). Distingue quindi l’AZUNI la giusta preda dalla ingiusta, e la prima dice esser quella che accade per parte d'un nemico dichiarato secondo le leggi della guerra. Ma ove nell’esemplare dell’AZUNI in cui noi leggiamo si trovasse trasandata l'altra definizione che reca l'avversario, non però la rifiuteremmo, perocché il creduto tale annesso all’altro legno nemico rende nell’insieme nemico reale o apparente, non mica per le mille due maniere di nemici.

Aggiungeremo ora, dopo esaurita la confutazione, qualche nostro argomento. Invitiamo innanzi tratto l’avversario a rimarcare che non vi ha giuspubblicista moderno il quale, favellando in materia di prede, non adopri la parola in disputa nel significato che le dà la nostra legge. Parimenti la parola stessa non è usata ne’ vari dettati legislativi de' diversi popoli di Europa che nel senso medesimo. La nostra stessa legge non ritrae che dalle varie Ordinanze e Regolamenti promulgali in Francia a cominciare da' più antichi, e si attiene più da vicino alla Ordinanza del 1778, ed al Regolamento del 2 pratile anno 11.° Ecco come sull'obbietto che ne intrattiene brevemente scrive il MASSE contentando l'art. 51 dell'additato Regolamento onde è tolto di peso l’art. 1.° della nostra legge del 12 ottobre 1807: «Sono di buona presa tutti i bastimenti appartenenti a' nemici dello Stato, o comandati da' pirati, ladri di mare o altri che corrono il mare senza commessione di alcuna potenza. Tali sono i termini dell'art. 51 del Regolamento del 2 pratile anno 11°. «Si sa che per NEMICI DELLO STATO s’intendano qui cittadini dello STATO NEMICO comeché inoffensivi che sien dessi: in simigliante materia, il commercio il più essenzialmente pacifico è riputato ostile (38).


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II

Percorriamo ora rapidamente le disposizioni della legge onde, volgendo sempre in tesi la ipotesi che il Cagliari fosse stato ripreso mentre era tuttavia in potere sia de' nemici in guerra solenne, sia de' ribelli assimilati a' pirati, dovrebbe farsene in ogni modo la restituzione alla compagnia proprietaria, la mercé della varia retribuzione dovuta a' riprenditori se quel piroscafo fosse stato di un nazionale, o di un suddito di potenza alleata, onde poi, appartenendosi il naviglio al suddito neutrale, senza alcun emolumento, a norma delle discorse teoriche.

L’art. 5. prevede il caso che un bastimento nazionale o di potenza alleata fosse ripreso a' nemici da un bastimento di guerra della Marina Reale, prima che sia stato ore 24 in loro potere, e dispone che sarà restituito a' proprietari col rilascio della trentesima parte del valore della preda in favore dell’equipaggio del bastimento che avrà effettuato la ripresa. E se questa fosse avvenuta dopo le ore 24, il rilascio si recherà al decimo.

L’articolo 6.° va trascritto intero: «Se un bastimento nazionale o alleato, per abbandono fattone da' nemici antecedentemente alla caccia datagli da' bastimenti di guerra o armati in corso, per tempesta, o per altro caso fortuito, torni o venga in possesso de' nazionali, prima che sia stato condotto in un porto nemico, sarà reso al proprietario, che lo reclamerà nel corso di un anno ed un giorno, ancorché sia rimaso più di 24 ore in possesso del nemico».

L’art. 7.° ripete lo stesso dettame per lo caso in cui il bastimento appartenga a potenza neutrale, e se esige il rilascio della terza parte del suo valore, egli è perché suppone un’opera prestata da' raccoglitori, la custodia fattane sino alla consegna, del che nulla concorre nella specie.

L’art. 8.° vuole anche la restituzione a' proprietari degli effetti e degli avanzi di naufragio raccolti in mare e lungi dalle coste da' bastimenti nazionali di qualunque specie colla retribuzione a questi della terza parte del valore purché la richiesta se ne faccia tra un anno ed un giorno.

L’art. 9.° impone che sia renduto a' proprietari di qualunque nazione non nemica, sotto la stessa condizione che ne facciano la domanda tra un anno ed. un giorno, il prezzo cavato dalla vendita dei bastimenti naufraghi o arrenali, e ciò senza niuna retribuzione.

E, da ultimo, l’art. 10.° stabilisce che i bastimenti e gli effetti de' nazionali o degli alleati ritolti a' pirati, e reclamati tra un anno ed un giorno, sieno parimenti ridati a' proprietari col pagamento della terza parte del valore. Il quale pagamento nella fattispecie non si potrebbe in niun modo pretendere, perocché i pirati, o i ribelli che vogliansi, avean liberato il naviglio, e piacque a' vantati predatori impossessarsene quando al capitano ed all'equipaggio se n’era fatto restituzione.

Ed ecco l’ultima somma delle cose, ed a che mai si riduce tutta questa causa per la quale il nostro avversario ne ha obbligato a dettare anche noi un volume.

Non peggio, che si fa, potrebbe invocarsi l’art. 25 delle nostre Ordinanze per la Real Marina secondo il quale «se un bastimento di proprietà de' nostri sudditi predato dal nemico, con cui si è in guerra solenne e dichiarata, sarà condotto ne’ suoi porti, ed indi ripredato da' nostri Reali legni, apparterrà in questo caso interamente a' medesimi come tutt'altro legno nemico predato».

Cotale eccezione, scritta com’è, pe’ bastimenti nazionali, cui il Consiglio delle prede ebbe a fare appello, per aggiudicare il Vesuvio a' riprenditori, essendo questo battello rimaso ne’ porti della Sicilia lunga pezza, e servito nelle fazioni ulteriori della guerra, non trova applicazione niunissima nella specie in disamina.

In questa, stanchi noi oramai d’ipotesi e di concessioni le più contrarie a' fatti e le più assurde, non si avvera,ripetiamo, neppure il preveduto nell’art. 7.° della legge che ne occupa. Il Cagliari non fu ritolto né a' nemici, né a' pirati: subì la occupazione violenta di questi ultimi, come voglionsi, e fu quindi restituito a chi si apparteneva; non perdette mai la qualità di legno proprio di sudditi di amica potenza; ed il suo arresto, e la detenzione, che ne fa la Real Marina, non hanno niun titolo legittimo, per. quanto la scienza si travolga, per quanto alle più patenti fallacie si dia l'affermazione franca del vero.


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Nella ipotesi men vera della colpa del capitano e dell'equipaggio, la compagnia proprietaria del piroscafo non potrebb’essere in guisa nessuna giudicata risponsabile


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I

Ne rimane un ultimo assunto, che pur ne abbiamo imposto onde esaurirli tutti, non perché la difesa ne dia il debito, ma nel proponimento di mostrare come l’azione contestata scrollerebbe dalle sue basi per ogni verso che piacesse risguardarla.

Supponete, contra la luce meridiana del vero, il concorso del capitano nell'attentato, e ritenete innocente la compagnia proprietaria, dovrebbe ella comportare la perdita del piroscafo perché civilmente risponsabile del misfatto del suo preposto?

Il nostro avversario fa sembianza di crederlo, e, a persuaderne gli altri, procede dal testo dell’articolo 20 delle nostre leggi di commercio, e da talune parole che toglie a disegno dalle molte e svariate disposizioni della prima tra le leggi del digesto, nel titolo exercitoria actìone, per le quali si lusinga provare che s’imprima cosi fatta generalità nelle obbligazioni de' proprietari di un naviglio pe’ fatti del capitano preposto al suo governo, che niun caso si eccettui o si sottragga, come se, per quel mandato, le persone del capitano e del proprietario s’identificassero, ed ogni distinzione di fatti, o che si attengano al soggetto del mandato, o che gli sieno del tutto stranieri, fosse respinta e vietata.

L’esorbitanza di questo concetto si rileva dal tenor letterale della disposizione legislativa per la quale si vorrebbe sostenerla, ed è combattuta da' conformi dettami dell’antico dritto, e da' principi di ragione; e tali ne presenteremo argomenti, che ogni dubbio rendono affatto impossibile. Il testo dell'articolo 20 delle leggi di commercio è scritto cosi:

«Qualunque proprietario di bastimento è civilmente tenuto delle azioni del capitano, in ciò che riguarda il bastimento e la spedizione

Questa redazione è conforme a quella del codice francese onde fu tratta, perciocché l'articolo 216 di quel codice, che gli corrisponde, recava:

Tout propriétaire de navire est civilement responsable des faits du capitaine, pour ce qui est relatif au navire et à l’expédition.

Evidentemente questo dettato stabilisce un limite alla risponsabilità de' proprietari, e per ben intenderlo e definirlo, fa mestieri ricorrere a' principi del diritto comune, nuovo ed antico, i quali, siccome vedremo, informano questo dettame di diritto speciale.

LOCRE, riponendo nella considerazione dell’essere il capitano scelto dal proprietario, la giustizia della risponsabilità di costui per le conseguenze dei fotti. di quello, ne rimanda all'articolo 1384 del codice civile, rinvio legale ed opportuno, per la intrinseca affinità tra le azioni institoria, ed exerdtoria,

tradotte, rispettivamente a loro obbietti, ne’ vigenti codici civile, e di commercio (39).

Ora l’articolo 1384 del codice francese, letteralmente riprodotto nel 1338 delle nostre leggi, facendo seguito al dettato nel precedente articolo, che dichiara ognuno tenuto del danno che cagiona per fatto proprio, reca:

«Ciascuno parimente è tenuto non solo pel danno che cagiona col proprio fatto, ma ancora per a quello che viene arrecato col fatto delle persone delle quali deve rispondere, o colle cose che abbia a in custodia.

«Il padre, o la madre dopo la morte del maria lo, sono tenuti pe’ danni cagionati da' loro figli a minori abitanti con essi.

«I padroni, ed i commettenti, pe’ danni cagionati da' loro domestici e garzoni nell'esercizio delle funzioni nelle quali gli hanno impiegati.

«I precettori e gli artigiani, pe’ danni cagionati a da' loro allievi ed apprendenti, nel tempo in cui a sono sotto la loro vigilanza.

«La predetta garantia non à luogo allorché i a genitori, i precettori, e gli artigiani provino ch'essi a non han potuto impedire il fatto di cui avrebbero a dovuto essere garanti».

A ben comprendere i limiti della risponsabilità de' commettenti, il che ne interessa per le ragioni di analogia con la causa che trattiamo, cade a proposito riferire quale era la compilazione del terzo comma del trascritto articolo, allorché in Francia presentavasi alle discussioni del Consiglio di Stato, secondo la pubblicazione che ne fecero i signori JOUNNEAU, E SOLON.

Les maîtres et les commettants du dommage causé par leurs domestiques et préposés dans les fonctions auxquelles ils les ont commis; e giova averla riferita onde avvertire alla semplice differenza di una parola, che quantunque possa sembrar lieve, non però diviene importantissima, qualora se ne rilevi la precisione che si volle, per tutte le vie, fatta sicura intorno alla risponsabilità de' commettenti.

Il Console CAMBACEUÈS propose di sostituire la parola impiegati a quella di commessi, affinché (sono le proprie espressioni) la risponsabilità del commettente sia ridotta al caso, in cui il preposto abbia cagionato de' danni nell'esecuzione degli ordini avuti. Parve a quell’uomo sommo che l'impiegare taluno in un disimpegno, ed il destinarvelo, non valessero la cosa identica: desiderò il cambiamento, spiegandone il motivo, e fu adottato.

Pubblicato il Codice, varie furono le opinioni degli scrittori intorno a' confini della risponsabilità dei commettenti.

Le divergenze nacquero dall'ultima parte del mentovato articolo 1384, in quanto che solamente i genitori, i precettori, e gli artigiani dichiara esenti da risponsabilità, se provino non aver potuto impedire il fatto di cui avrebbero dovuto essere garanti, e tace rispetto a' commettenti.

Il TARRIBLE nel suo rapporto al Corpo legislativo, presentandogli il voto del Tribunato sulla legge relativa alle obbligazioni senza convenzione, aveva opinato che la risponsabilità de' commettenti, siccome quella de' genitori e precettori, avesse dovuto del pari cessare, ove fosse per essi dimostralo non aver potuto impedire il fatto produttivo del danno.

Non così BERTRAND DE LA GRENILLE nel suo rapporto al Tribunato. Egli aveva sostenuto che la risponsabilità intiera e non equivoca ne’ commettenti, nulla presentava che non fosse equissimo. Ne è notevole però l’argomento perché limitativo, in senso molto importante, di quella risponsabilità: Non è forse, diceva egli, il servigio di cui il padrone od il commettente trae profitto, che ha prodotto il danno, al risarcimento del quale viene condannato? (40)

Quindi il POTIIIER (41), quantunque si fosse attenuto allo stesso principio, più chiaramente riformò la limitazione della risponsabilità de' commettenti, ai fatti de' preposti esclusivamente occorsi nel disimpegno degl'incarichi avuti.

I padroni, egli insegna, sono altresì risponsabili del danno cagionato pe ' delitti o quasi delitti dei loro domestici, ed operai: e lo sono anche nel caso in cui non fosse stato in loro potere d'impedire il delitto, QUANDO PERÒ E' STATO COMMESSO NELL'ESERCIZIO DELLE FUNZIONI IN CUI FURONO IMPIEGATI.

Riguardo a' delitti o qua«delitti che esci commettano FUORI DELLE LORO FUNZIONI, I PADRONI NON SONO RISPONSABILE.

Ed il TOULLIER (42) soggiunge: Questa opinione è la sola vera, e la sola conforme al testo, ed allo spirito del codice. Poiché esso non rende il padrone od il commettente risponsabile CHE NELLE FUNZIONI NELLE QUALI IMPIEGA UN DOMESTICO, OD UN PREPOSTO nell’esercizio di quelle funzioni non si può ammettere la scusa della impossibilità l'impedire il danno, ma soltanto quella d'essere stato cagionato FUORI L'ESERCIZIO DELLE LORO FUNZIONI.

E finalmente il MERLIN (43), plaudendo allo stesso principio, conchiude con questa regola salutare. I casi di risponsabilità preveduti da questo articolo, no«possono estendersi ad altri, ma strettamente confinarsi nei loro termini.

Il commettente, adunque, nel precetto più rigoroso del diritto comune, non è risponsabile del fatto del suo preposto che per quanto si attenga al disimpegno del servigio del quale lo ebbe incaricato. Ogni altro fatto del preposto non rende in alcuna guisa risponsabile il commettente; scomparisce il mandato che ne identifica le persone; l'uno diviene all'altro affatto straniero.

E pertanto il DURANTON (44), dopo aver esposto il medesimo concetto, il rende chiaro per appositi esempi.

Cosi, egli dice, io. non sarei punto risponsabile del danno che il mio domestico potesse cagionare il dì festivo fuori della mia casa, per esempio in una rissa avvenuta in un'osteria; e noi sarei egualmente pe’ furti che commettesse fuori di casa mia senza che io lo sapessi; perciocché non sarebbe questo un danno cagionato nelle funzioni in cui era stato da me impiegato. Io non avrei potuto mettere quell'uomo sotto chiave.

Così, per altro esempio, se un conduttore di diligenza rubasse la valigia di un viaggiatore, l’Amministrazione ne sarebbe risponsabile; e lo sarebbe del pari di un furto che quegli commettesse in una casa dove la diligenza suole sostare per lo riposo de viandanti; ma non sarebbe risponsabile del furto che il conduttore commettesse in una casa diversa.

Sarebbe risponsabile del danno cagionato in una rissa sorta ad occasione del servizio della diligenza, sia con un viaggiatore, sia con taluno che abbia prestata opera alla medesima, etc.; ma non sarebbe risponsabile se la rissa fosse accaduta per tutt'altra causa, fuori del servizio proprio del suo impiego, per esempio, se si fosse battuto in un caffè.

Ed il MARCADE (45) astrae tutti questi esempi in due parole, perocché discorrendo la risponsabilità de' padroni, e commettenti, raccomanda l'osservazione che in quella essi non incorrano, se non pei danni che i domestici, o preposti cagionino nell'esercizio stesso delle loro funzioni, il che riassume così: enfaisant ce à quoi ils étaient employès.

Né altrimenti disponeva l’antico diritto: Non tamen orane quod cum institore geritur, obligat eunt qui praeposuit, sed ita si ejus rei gratia cui praepositus fuerit contractum est idest dumtaxat ad id quod eum praeposuit (46).

Non autem ex omni causa praetor dat in exercitorem actionem, sed ejus rei nomine, cujus ibi praepositus fuerit: idest si in eam rem praepositus sit (47).


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II

Assegnata la giusta intelligenza alla risponsabililà de' commettenti in materia civile, volgiamoci alla disamina di quella de' proprietari di un naviglio pei fatti del suo capitano, e tosto vedremo che la estensione della prima, limitala alle conseguenze de' fatti del preposto nell'esercizio delle funzioni in cui trovisi impiegato, incontra, in quanto alla seconda, quella cioè de' proprietari di un bastimento, il suo confine naturale ne’ fatti del capitano, i quali sieno inerenti a! servigio della nave, od occorrano nella sua spedizione. E che il presumere obbligazione maggiore nei proprietari, sarebbe non solo volerne più della legge, ma far violenza alla sana ragione. Per vero, poiché il dettato dal codice di commercio sulla risponsabilità di costoro, deriva da' medesimi principi che inducono quella de' commettenti, definita dal diritto comune, per ben giudicarne la pertinenza, fa mestieri applicare le medesime distinzioni di casi, e non mai deviare dal principio di doversi circoscrivere a' fatti del capitano nella esecuzione del mandato ricevuto, siccome per diritto comune, quella de' commettenti non si applica che a' fatti del preposto, nella esclusiva continenza del disimpegno o funzione in cui trovisi impiegato.

Lo stesso DE LA PORTE (48) da cui il nostro avversario attinge la dottrina che si lusinga favorire il suo assunto, dopo averla enunciata per tutt'altr’obietto, soggiunge:

Si osservi che una tale risponsabilità non ha luogo che per tutto ciò che è relativo al bastimento ed alla spedizione: quindi questo articolo non debbe applicarsi agli impegni del capitano per oggetti stranieri, a quali non può procedere senza l'approvazione del proprietario. Costui, per tutti questi, casi, non è in alcun conto obbligalo pe’ fatti del capitano.

Ed è per questi principi, professati da' più dotti scrittori sulle cose di commercio, e confermati dalla giurisprudenza, che la risponsabilità de' proprietari di una nave sia confinata nelle sole operazioni del capitano, pendente il corso del viaggio, e per causa della navigazione (49).

Ed ancora, distinguesi nel preposto al governo di una nave la sua qualità di mandatario de' padroni, dall'altra di capitano, e la risponsabilità de' proprietari si limita alle sole conseguenze de' fatti del capitano, agente nella qualità di loro mandatario, e non estendesi a quelle degli altri che egli possa commettere nell'esercizio delle sue funzioni di comandante del bastimento (50).

Ed è stato giudicato che il proprietario non sia risponsabile dell'impegno illecito che avesse preso il capitano di fare il contrabbando (51).

Ed in quanto a' delitti del capitano ed alla risponsabilità de' proprietari, chiari dettati di dritto e comenti pregevolissimi fanno le più giuste e ragionate differenze, le quali, nella sostanza, procedono da' principi medesimi regolatori delle obbligazioni de' proprietari, dipendenti da ogni altra azione del capitano, e rimuovono quella generale risponsabilità, che il difensore degl'interessati nella preda vorrebbe persuadere col ricordo di talune parole del § V. della legge 1. registrata nel titolo del digesto de exercitoria actione: Omnia enim facta magistri debet praestare qui eum praeposuit.

Alle quali parole egli si trattiene, comeché il senso niente affatto convergente alla illazione che ne trae, sia svolto dalle immediate seguenti, ed immemore della regola di diritto che ne dice incivile, nisi tota lege perspecta, render giudizio o dedurne argomento.

Sì, egli è vero, che nel paragrafo quinto di quella legge s’incontri la summentovata disposizione, ma immantinente le parole che seguono ne dicono l’oggetto: alioquin contrahentes decipientur. E poiché la medesima disposizione risguarda il caso che il capitano preposto al governo di una nave sostituisca altri nel disimpegno del suo mandato, egli è evidente che non rifletta se non i contratti che sieno per avventura consentiti dal sostituto, benché il fosse stato senza facoltà che il capitano ne avesse da' proprietari.

E di fatti l'ACCURSIO, perché la generalità delle espressioni, omnia enim facta, non fosse per indurre nell’errore di una latitudine illimitata, nota nella sua glossa: Intervenientia gratia ejus rei in qua praepositus est, cioè non oltre il soggetto della commessione che il capitano ebbe da' proprietari, il viaggio o spedizione del bastimento. E l'ACCURSIO giustifica la limitazione rinviandone alla legge 1. del Codice, sotto il medesimo titolo, ed al §. 7 della stessa legge del Digesto, in cui è scritto:

Non autem ex omni causa praetor dat in exercitorem actionem sed ejus rei nomine cujus ibi praepositus fuerit, id est si in eam rem praepositus sit.

Donde conseguita la concordante disposizione del paragrafo 12: Igitur praepositio certam legem dai contrahentibus, e l’applicazione a diversi casi; e si riferma sempre meglio il principio che limita la risponsabilità de' proprietari nei termini precisi del mandato per essi conferito al capitano.


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III

E poiché, malgrado la chiarezza di questa giusta intelligenza, che l'apparente illimitata risponsabilità de' proprietari pe’ fatti del capitano circoscrive ne suoi ragionevoli confini, siesi dubitalo se soltanto a' contratti si renda applicabile, o si applichi a' delitti, quel dubbio è risoluto dai più dotti scrittori sulle antiche leggi, assegnando lo stesso termine alla risponsabilità de' proprietari, sia che il fatto del capitano importi un contratto, sia che trascenda ad un delitto.

E, di vero, nullapiù lodevole di questa opinione, dovendo di necessità essere fallace qualsivoglia argomento che restringa la risponsabilità in casi meno gravi, quali sono i contratti del capitano, eccedenti termini del mandato, e che si rivolga, in contrario, 8 persuadere essere assoluta e generale pe’ delitti, 0 che sieno commessi nell'esercizio del mandato dei proprietari, o che il sieno fuori di quell’esercizio, indipendenti dal medesimo, e per causa affatto estranea al mandato.

MATTEO D'AFFLITTO (52) versa in un caso simigliante alla specie. Egli riporta il paragrafo quinto della legge 1. ff. de exercitoria actione come avverso alla sua opinione, perocché sembra obbligare il proprietario della nave ex omni facto magistri, non che il testo della L. debet exercitor ff. nautae caupones stabularii, che dice il proprietario tenuto ex dolo et culpa nautarum et sic ex delicto eorum.

Quindi allega in opposto il paragrafo Igitur, 12 della detta L. ff. de exercitoria actione, ubi dicitur (sono le proprie parole del D(’)AFFLITTO quod forma mandati est inspicienda, et si magister navis excessit formavi mandati, dominus non tenetur: alias cessante dicto mandato, si familia deliquit in illo officio, seu ministerio, in quo dominus eam praeposuit, fune tenetur dominus de delicto familiae. Ed appresso: Regulariter in isto dubio an dominus teneatur ex delicto familiae, sic dicendum est quantum ad casum de quo agitur, quod si dominus scivit delictum fieri a familia quum potuit prohibere et non prohibuit, quod fune teneatur. Si autem nescivit et lune non tenetur.

Ed allegate le opinioni d’insigni dottori fondate sul vero senso delle varie leggi che si riferiscono alla materia, sostiene, non essere il proprietario di una nave tenuto pel delitto del capitano, tranne i casi che quel delitto fosse stato commesso nell’esercizio, ossia nella esecuzione dell’incarico affidatogli che il proprietario n’ebbe scienza, poteva impedirlo, e noi fece; o finalmente, che ne trasse lucro. Ed in generale, che non mai il proprietario ne fosse risponsabile quando il delitto fosse straniero al mandato conferito al capitano.

E però i giureconsulti annotatori del d'Afflitto cementando la sua dottrina, ed altre ancora ricordandone, conchiudevano: In ista materia, et in praesenti quaestione, dicas, satis de jure posse teneri dominum navis non obligari ex facto magistri, sive familiae, et hoc rive delinquat contra ejus mandatura, sive contrahat ex cedendo fines mandati; et pro ista parte et quando magister delinquat contra mandatum domini, quod dominus ipse non teneatur (53); anzi aggiungono doversi altrettanto giudicare malgrado che il mandato al capitano fosse generale, non per determinata spedizione o viaggio, perciocché quel mandato qualunque esso sia non comprende il delitto (54), e confermano così fatte dottrine per argomenti, e leggi moltissime che assai lungo sarebbe il discorrere.

Ed il BRUNEMANNI similmente fa plauso alla dottrina del d'Afflitto, e proponendosi la quistione, se il proprietario debba rispondere de' delitti dell’istitore o del capitano di una nave, ove non sieno commessi nell’esecuzione de' rispettivi mandali, dice pel delitto dell’istitore: Non puto ex omni delicto dari quasi institoriam, sed si in administratione officii delinquat institor: e pel delitto del capitano: Videtur quod non, quia magister navis, solus, ex suo delicto tenetur (55).

E così pure e lo STRIKIO (56) ed altri molti comentatori ed interpelli de' quali, per non ripetere le medesime cose, non rechiamo le parole.

Ma non possiamo dispensarci dall'esporre quanto ne insegna il VOET, perciocché, indipendentemente dalle disposizioni di dritto nelle quali gli altri dottori attinsero gli argomenti limitativi della risponsabilità dell’eserctare, ne ricorda una talmente decisiva che toglie affatto ogni maniera a disputare.

Egli, dopo aver determinata la risponsabilità dell'esercitare pe’ contratti del capitano, soggiunge: Haec ita si magister contraxerit, quod si deliquerit, si quidem in ipso officio, cui erat praepositus, dum forte data opera, vel culpa alque imprudentia manifesta, in navigium alienum impegit suum, aut merces sibi ad trans-vehendum datas surripuit, dolore corrupit, exercitores ex quasi delicto teneri constat, ita tamen ut hodie liberari possim navim totam noxae dando. EX CETERIS DELICTIS A MAGISTRO EXTRA OFFICIUM PERPETRATIS, NON ULTRA IN EXERCITORES ACTIO DATUR, QUAM QUATENUS INDE LOCUPLETIORES FACTI SUNT, NISI PEL MANDASSENT IPSI TALIA MALEFICIA, PEL OPE AUT CONSILIO LA JUVISSENT. Quod ipsum etiam insigni firmatur responso Pauli in I. Colem ff. de pubblican. et vectigal: quod ita habet’. Dominus navis si illicite aliquid in nave vel ipse vel vectores imposuerint, navis quoque fisco vindicatur. Quod, si absente domino, id a magistro vel gubernatore aut proreta naulave aliquo factum sit, IPSI QUIDEM CAPITE PUNIUNTUR, COMMISSIS MERCIBUS, NAVIS AUTEM DOMINO RESTITUITUR.

Hinc et si magister navis piraticam exercuerit, eo nomine exercitores non teneri judicatum fuit; eo modo quo non tenentur ad damai reparationem principes aut respublicae, si cum indulsissent quibusdam mari praedam in hostes agere, illi piraticam in amicos aut confoederatos exercuerint, sed tantum ad id ut si capere delinquentis possint, de iis supplicium sumant (57).

E lo stesso scriveva lo STRIKIO disaminando i casi di confiscazione sia delle merci sia delle navi: Confiscantur quoque naves quae merces prohibitas invehunt. Si vero domino navis ignorante, res illicitae transportentur, poena tenet authores, NAVIS VERO IN COMMISSUM NON CADIT (58).

Laonde il GROZIO dopo avere scritto di quali eccezioni fosse passibile la regola: Hostiles censeri res in hostium navibus repertas, nota: sed neque amicorum naves in praedam veniunt ob res hostiles, nisi ex consensu id factum sit dominorum navis. Atque ita interpretandas puto leges Galline quae ex rebus, naves, ex navibus, res praedae subjiciunt (59).

E di fatti, nulla più giusto che il dettato dalla legge di cui fanno ricordo e sostrato alle loro opinioni il VOET lo Strikio, ed il GROZIO: perciocché, siccome la nuda ragione persuade, insegna la legge non potersi intendere: Is cujus negotia gesta sunt, ignorans, aut contraxisse aut deliquisse (60).


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IV

Riepilogando le cose esposte, ne faremo più lucido il concetto e la verità.

Le antiche leggi soggettavano il preponente e l’esercitore al dovere di rispondere de' fatti del preposto, o del maestro o capitano di una nave; non però a quella risponsabilità imponevano un confine reclamato dalla giustizia.

I contratti del preposto o del capitano non obbligavano il preponente, o l'esercitore, che quando fossero stati consentili secondo la natura e la forma del loro mandato. Ogni altro fatto, colpa, o delitto non comprendevasi in quella risponsabilità, che quando fosse stato operato o commesso nel preciso esercizio del mandato.

E comeché malgrado l'evidenza di cotesta limitazione, avesse taluno osalo disputarne, assumendo che fosse una specialità dell’azione esercitoria il competere per qualunque fatto del capitano, benché non per tutti i contralti, l'assurda opinione venne respinta e condannata.

E però nella legge Cotem ff. de Publican., et Vectival. figurandosi il caso di merce illecita, ossia di contrabbando, immessa dal capitano nel naviglio, ignorante il proprietario, trovasi risoluto per la confiscazione delle merci soltanto, NAVIS AUTEM DOMINO RESTITUITUR.

Onde il VOET di cui abbiam recala la dottrina, versando nell'azione esercitoria distingueva i delitti e le colpe del capitano. Nel corso del viaggio urla e sommerge il bastimento altrui; corrompe, o ruba le merci del suo carico; il proprietario risponde, perché fatti relativi alla spedizione, come risponde de' marinai pe’ furti che commettano nel bastimento.

Ma non risponde di ogni altro delitto, ad esempio, se il capitano commetta pirateria, del pari che non rispondono i Principi de' tra sgrossi dei corsari, quando faccian preda di navi, o merci pertinenti ad amici, o confederati; e non solamente l’afferma come sua opinione, ragionata sull’insigne responso di Paolo, di cui abbiamo recate le parole, ma soggiunge essere stato cosi costantemente giudicato.

I principi dell'antico diritto informarono il nuovo così per le conseguenze del mandato scritto ed espresso, come del tacito e dipendente dal fatto, il perché vediamo nell'art. 1384 del codice francese, 1338 delle nostre leggi civili, circoscritta la risponsabilità de' commettenti a' soli fatti del preposto nello esercizio delle funzioni in cui lo abbia impiegato: così vediamo nell’art. 216 del codice di commercio francese, 20 delle nostre leggi di eccezione per gli affari di commercio, limitata la risponsabilità de' proprietari di un bastimento a' fatti del capitano, risguardanti il bastimento e la spedizione.

E così vediamo, finalmente, introdotta nella persona del capitano financo la distinzione della sua qualità di mandatario del padrone della nave, da quella di comandante del bastimento, e limitata la risponsabibilità del padrone ai soli fatti del capitano, procedente nella qualità di mandatario.


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V

Applicando al caso della specie gli esposti principi regolatori nel vecchio diritto della pertinenza delle azioni istitoria ed esercitoria, non che gli univochi del nuovo sulla pertinenza delle azioni verso i commettenti, o proprietari di navi, pe’ fatti de' preposti o capitani, spontanea si mostrerà la tracotanza del pretendere che se Antioco SITZIA avesse commesso il delitto di cui, per contrario, è affatto innocente, la compagnia proprietaria del bastimento ne dovrebb’essere in quanto agli effetti civili risponsabile.

Ed in fatti, secondo il fallacissimo supposto dell’attrice, il capitano SITZIA, lungi dall’eseguire il mandato della proprietaria del piroscafo, la spedizione cioè per Cagliari e per Tunisi, non appena partito dal porto di Genova, a tutt’altro viaggio avrebbelo rivolto, facendosi complice dell'iniquo quanto stolto progetto di recare la sedizione ed il tumulto in questo reame.

Or ne si dica se questo fatto, se questo delitto potrebbe comprendersi in quelli che concernono la spedizione, de' quali soltanto è risponsabile il proprietario di un bastimento? Ne si dica se questo fatto, e questo delitto, in tesi ancor più generale, si attenga a quelli di un preposto qualunque nell’esercizio delle funzioni in cui il preponente avevalo impiegato?

La spedizione commessa al capitano dal proprietario, del tutto mancata; non ecceduto il mandato del proprietario, assolutamente tradito: un bastimento destinato a traffico mercantile, convertilo dal capitano in instrumento principale di fazione ostile a Potenza amica a quella di cui innalberava la bandiera Dicasi se questi fatti, peggio che piratici, estendendo per quanto si voglia la risponsabilità de' proprietari, si possano in guisa alcuna immaginare che vi sieno compresi!

La verità contraria è così flagrante, che ne pare adombrarne la evidenza per altre parole; e noi ci sentiremmo assoluti di ogni debito nel rapporto della presunzione avversa: ma il nostro contraddittore, dopo aver presentato come argomenti della sua lesi l'articolo 20 delle nostre leggi di commercio, conforme nella sostanza alla disposizione del Codice Sardo, e le poche parole tratte a studio dal paragrafo V. della 1? L. dig. de exercitoria actione, dettati legislativi che fanno aspra guerra alla sua intenzione, allega il testo del paragrafo primo della rimentovata legge, e si compiace dire: che la chiusa pare preveduta nella mente del giureconsulto precisamente pel signor Rubattino!! Ben tosto rileveremo la fallacia del concetto, e, per pruova, ecco il tenore di quel responso, del quale il nostro avversario sopprime le parole per le quali ha principio, onde evitare l’antitesi che lo avrebbe imbarazzato nella illazione generale che volea derivarne.

Magistrum navis accipere debemus, cui totius navis cura mandata est. Sed (e qui comincia a tenerne ragione il nostro avversario) si cum quolibet nautarum sit contractum, non datur actio in exercitorem, quanquam ex delicio cujus vis eorum qui navis navigandae causa in nave sint, detur actio in exercitorem. Alia enim est contrahendi causa, alla delinquenti. Si quidem qui magistrum praeposuit contracti cum eo pertinet, qui nautas adhibet, non contracti cum eis permittit, sed culpa ei dolo carere eos, curare debet.

Or da questo responso, col quale il giureconsulto dichiarò che il proprietario di una nave, risponsabile de' contratti del capitano, nol diveniva per quelli dei marinai, benché il fosse de' delitti di costoro, e ne adduce a ragione il dovere d’impiegare nel bastimento uomini scevri di colpa, inferisce il nostro avversario che debba rispondere di qualsivoglia delitto del capitano e dell'equipaggio: e Rubattino ancor più, siccome colui che, avendo preposti al governo e servizio del suo piroscafo quel capitano e quell'equipaggio, e fattivi entrare quei passeggieri, non poteva sottrarsi all'imputazione ed alla conseguente risponsabilità della premeditata cooperazione all'impresa de' rivoltosi. Ed è bello che ne rimandi all’autorità del VOET; a quella precisamente che noi abbiamo riportata per tenore, come decisiva nel caso nostro della nessuna risponsabilità della compagnia Rubattino.

Piaccia ora osservare che l'obbietto del paragrafo primo della rimentovata legge non consiste in altro, che nell’insegnarne non obbligare il proprietario i contratti consentiti da' marinai, benché sia risponsabile de' loro delitti. Obbligarlo soltanto quelli ai quali proceda il capitano. E l’estensione della risponsabilità ne’ proprietari, quanto a questi ultimi, non che la dipendente da ogni altro fatto del capitano, trovarsi regolata da' paragrafi seguenti, de' quali abbiam fatto bastevole disamina; laonde non ne rimane che l’impegno, invero assai lieve, di mostrare ugualmente, che niuna risponsabilità potrebbe ridondare alla compagnia Rubattino dal fatto dell'equipaggio del piroscafo, laddove, lungi dall’essere innocente com'è, si fosse fatto complice de' rivoltosi.

Impegno assai lieve abbiam detto, ed avremmo dovuto dire compiuto ed esaurito nella discussione della risponsabilità procedente da' tatti del capitano, perocché stanno pe’ fatti dell'equipaggio, e con sovrabbondanza di ragione, i medesimi principi. Se il capitano, cui totius navis cura mandata est; che tiene sulla nave, per quanto concerne la spedizione, la legittima rappresentanza de' proprietari; che li obbliga pe’ suoi contratti, e pe’ fatti che occorrano nell'esecuzione del suo mandato, non li fa risponsabili pel delitto extra officium perpetratum che debbe dirsi degli agenti subalterni, soggetti al suo comando, ed impiegati dal proprietario in funzioni limitate, o materiali servigi?

Ma, non pertanto, ne si dirà, il proprietario è tenuto de' delitti di costoro. Si, rispondiamo, ma di quali delitti? Il dice la glossa al paragrafo citato dal nostro avversario: Ex contractibus nautarum dominus non tenetur; sed ex delictis sic, si modo IN NAVI damnum datum, aut delictum fuit, ALIUD, si EXTRA.

E la ragione torna evidente; perché in tal caso, l'individuo dell'equipaggio delinque nel servizio cui lo aveva il proprietario impiegato, e si rendono applicabili gli esempi addotti dal DURANTON pe’ quali acconciamente traduce nel fatto la estensione di simiglianti risponsabilità.

E lo dice ripetutamente la legge espressa sul proposito (61): Debet exercitor omnium nautarum suorum factum praestare. Nec immerito factum eorum praestat, cum ipse eos suo periculo adhibuerit, sed non alias praestat QUAM SI IN IPSA NAVE DAMNUM DATUM SIT CAETERUM, SI EXTRA NAVEM, LICET A NAUTIS, NON PRAESTABIT. E la significazione di queste legge, uniforme al senso del responso innanzi riferito, si fa chiara e precisa coll'espressione del caso:

Si ergo deduxi res meas in navem, et nautae dederunt mihi damnant, conveniam exercitorem si damnum factum fuerit in nave, alias non tenetur dominus navis.

E questa è la dottrina de' più illustri scrittori sulla materia, i quali sottraggono a qualsivoglia risponsabilità il proprietario della nave, quante volte il capitano delinqua comeché sia, extra officium, cioè contra od oltre il mandato ricevuto; ed i subalterni, e marinai, extra navem, autorità che per non empiere molte pagine, crediamo doverci astenete dal trascrivere, ma per chiunque sia vago di riscontrarle, indichiamo per guida lo STRACCA (62), e MATTEO D'AFFLITTO (63).

Ora, supponendo la colpa nell'equipaggio come la supponemmo pel capitano, nel fine di mostrare che il fatto, non solo avrebbe ecceduto il mandato, ma del tutto tradito, basterà osservare che, non verseremmo in delitti commessi nella nave in danno de' passaggieri o delle merci, casi che limitatamente compromettono il proprietario, ma in concerti e complicità per un misfatto da commettersi fuor della nave in regno straniero.

E di fatti, secondo la non vera affermazione del nostro avversario, l’equipaggio del piroscafo volontariamente, anzi per preventiva combinazione, avrebbe cooperato alla navigazione del legno per Ponza: avrebbe colà eseguito lo sbarco de' rivoltosi; con essi combattuti i soldati del Re (S. N.), e prestala opera a tutte Je enormità quivi consumate, e poi tradotti in Sapri i rivoltosi ed i servi di pena levati da Ponza!

Ora ne si dica se questi fatti àn somiglianza od affinità qualsivoglia con quelli che importano la risponsabilità del proprietario, confinati ai soli commessi nella nave, in nave, o non si presentano spontanei, come quelli de' quali non debbe, e non può rispondere, perché relativi a proponimenti per obbietti estranei al servizio ed alla spedizione della nave, attuati extra navem. Che se tanto non potrà osarsi affermare, la nessuna risponsabilità del proprietario torna flagrante pe’ supposti fatti dell'equipaggio, del pari che evidente la dimostrammo per quelli, che ad onta del vero contrario, si vorrebbero imputare al capitano.

E vuoisi ancora avvertire, che il medesimo nostro avversario, persuaso del non poter sostenere la risponsabilità del proprietario, rimanendosi ai dettami del dritto, sente la necessità di apporre a Rubattino, non il solo trasgresso al dovere di preporre a' suoi servigi uomini scevri di colpa, ma l'aver cooperato all’avvenimento criminoso componendo l'equipaggio del piroscafo di quel capitano, e di quella gente, imputazione che se reggesse, siccome quella che porterebbe risponsabilità dipendente dal proprio fatto, formerebbe caso del tutto straniero alla tesi che abbiamo discussa, e pertinentemente reclamerebbe l’applicazione dell'autorità del VOET, nella eccezione al principio che i proprietari di navi non debbano rispondere del delitto del capitano extra officium perpetratum.

Pertanto, benché innanzi avessimo riportata per intero quell'autorità, se ne comporli la ripetizione di alquante parole, e si comporti in grazia del veder combattuto il nostro avversario colle stesse armi che impugna: Ex ceteris delictis a magistro extra officium perpetrati, non ultra in exercitores actio datur, quam quatenus inde, locupletiores facti sunt, nisi net mandassent ipsi talia male fida, net ope aut consilio ea juvissent.

Noi avendo innanzi compiutamente provato, quanto sia calunnioso il sospettare la compagnia proprietaria del piroscafo complice de' rivoltosi, ci limitiamo qui a rilevare, che il capitano e l’equipaggio da lungo tratto si adoperavano a' suoi servigi, e che non mai, non che sorpresi in colpa, avean destato dubbio o sospetto di sorta sulla loro moralità; tanto meno su principi avversi agli ordinamenti politici del proprio o di paesi stranieri, sì che, peggio che gratuita, è l’accusa che le si fa di aver corredato il suo bastimento di tristi e sediziosi. Che se di poi il fossero divenuti, partecipando all’impresa de' rivoltosi, del loro pervertimento non dovrebbe la compagnia rispondere, e specialmente per un delitto, e per fatti del tutto estranei al mandato che rispettivamente aveano ricevuto, dimostrazione in cui ci siamo lungamente diffusi.


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Risposta ad un’affermazione del nostro avversario sulla discorsa risponsabilità

L’avversario nella GIUNTA alla sua allegazione scrive: «Il precennato signor Rubattino esplicitamente fa propri i fatti e le giustificazioni del SITZIA nel presente giudizio, e ne ritiene tutta intera la verità.

«Adunque il sig. Rubattino confessa di aver causa, e destino comune con costui, e lo confessa per antica, e ribadita persuasione dell’animo suo.

«Ciò posto, i fatti pruovati nella causa, che definiscono il SITZIA principale inimico del regno, e riconosciuto pirata, ugualmente chiariscono, e dimostrano inimico e pirata il Rubattino. Questa è una conseguenza innegabile della di lui ESPLICITA CONFESSIONE.

Ancora in questo ne accade ravvisare l’incertezza costante del nostro avversario nelle diverse proposizioni che si è fatto a sostenere.

E, di vero, qual necessità delle trascritte parole, se fosse stato fermo nel convincimento che la immaginata colpa del capitano SITZIA, benché senza alcun concorso di Rubattino, avrebbe reso costui risponsabile?

Ora vediamo come quelle parole si riscontrino nel fatto, e quanto logicamente se ne ragioni la conseguenza.

Ricorriamo al testo della sola nostra difesa che sta nel processo, impropriato, e travolto dal nostro avversario, perché avesse potuto servire alle illazioni che ne voleva inferire.

«La compagnia proprietaria del piroscafo, a vi è detto, a ritiene tutta intera la verità de' fatti accennati, (risguardavano l’avvenimento di forza maggiore, onde la non imputabilità del capitano) pienamente istrutta com’è della vita e de' costumi di lui, e principalmente a queste guarentigie affida la sua buona causa, COMECHÉ UN COMANDANTE CHE PERVERTA, ED ENTRI PARTECIPE IN UN CONCERTO CRIMINOSO, QUALE SAREBBE QUELLO DELLA SPECIE, PER SANI PRINCIPI DI DRITTO, NON COMPROMETTA I PROPRIETARI.

Fermiamoci un poco al paragone tra il senso veramente esplicito di tali espressioni, e quello che loro attribuisce il nostro avversario.

Rubattino diceva ritenere la verità de' fatti deposti dal capitano SITZIA, perché ne conosceva la vita ed i costumi; ed il nostro avversario traduce, che però facesse propri i fatti e le giustificazioni di quello, per dedurne aver causa e destino comune, e non altro scampo, non altra difesa distinta; e cosi non soltanto il senso del testo travolge, ma lo disnatura del tutto.

Certamente Rubattino sosteneva e sostiene l’innocenza del capitano; ma non però si asteneva dal soggiungere, che ove, per incomprensibile ipotesi, quell'innocenza avesse potuto vacillare, egli della colpa apposta al capitano non sarebbe stato risponsabile; tanto è lontano, anzi avverso al vero, che una ed individua considerasse la causa del capitano e la sua; tanto è sconciamente affermato che egli facesse propri i fatti del capitano, quando pur fosse colpevole, e peggio ancora che per la sua difesa si fosse per se medesimo, e per ESPLICITA CONFESSIONE chiarito complice del SITZIA, inimico del regno, e pirata. Strani concetti, sostituiti a semplici e naturali, ed al sistema logico di chiunque abbia maniera a difendersi nel fatto e nel dritto — Il fatto che apponete a colui pel quale presumete ch’io debba rispondere, non regge; se reggesse, non entrerebbe nella sfera della mia risponsabilità.

Questo disse Rubattino, ed il significato chiarissimo ne comprese assai bene il nostro avversario, perocché altrimenti, disperando d'insinuare il concorso 0 la scienza di quello, quanto al misfatto commesso, non sarebbesi impegnalo a persuadere che, quantunque innocente ed inconsapevole, dovesse civilmente le conseguenze della colpa del capitano subire.

Ma dall’analisi della difesa di Rubattino siccome é scritta, e da quella del mostruoso travolgimento che se ne fa dal nostro avversario, passando ad elementari nozioni di dritto, supponiamo, contra il vero e costante, che Rubattino si fosse trattenuto a combattere l’attrice per la sola innocenza del capitano, gli sarebbe stato per avventura, e per questo contegno, interdetto, in qualunque momento della causa, il dedurre che se il capitano potesse giudicarsi colpevole, non dovrebb’egli, per la indole propria del fatto risentirne di guisa nessuna gli effetti?


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CONCHIUSIONE

Le nostre parli sono adempiute, e la fatica che vi abbiam durata tra la pressante brevità del tempo Che n’era accordalo, e l'urgenza indispensabile di farne a raccogliere gli elementi della difesa, è stata davvero assai grave. E sarebbe stata intollerabile senza il conforto che le nostre veglie eran date alla innocenza calunniata, alle leggi oltraggiate, senza la speranza che alla giustizia non poteva mancare il suo trionfo.

E non mancherà, fuori dubbio, compiuto e solenne il trionfo della giustizia se noi avremo saputo restituire a' fatti la verità, onde immacolati il Rubattino ed il SITZIA.

E non mancherà se il nostro appello al giudizio penale, siccome ha sostrato fermissimo di diritto, così è argomento di coscienza pura.

E non mancherà se, a lasciare nel codice punitore il misfatto per condannare i rei, e ad eliminarnelo per rinvenire la preda nella ragion pubblica delle genti, egli è mestieri proscrivere e criterio e principi di eterna verità.

E non mancherà se, per le stesse straziate teoriche che s’invocano, o preda non vi fu mai, o la si debbe rilasciare.

E non mancherebbe, quando SITZIA innocente fosse SITZIA colpevole.

No, non potrà mancare solenne e compiuto il trionfo della giustizia presso magistrati che hanno mente per intenderla, cuore per sentirla.

Il di 6 febbrajo, 1858.

Federico Castriota

Genn. e Raff. Damoia

DOCUMENTI

Stabilimento Tipografico del Cav. Gaetano Nobile


I

Lettera di Rubattino del 2 luglio 1857 al console napolitano in Genova

Genova, 2 luglio 1857.

Illustrissimo signor console generale.

Siccome ebbi l’onore di far conoscere ieri sera a V. S. Ill.(ma) il piroscafo della mia Amministrazione il Cagliari partiva da questo porto secondo il suo naturale itinerario il 25 p. p. giugno ad ore 6 ½ p. m. in servizio postale per Cagliari e Tunisi.

Un’ora circa prima della partenza, si presentarono a prendere imbarco, parte per Cagliari, parte per Tunisi, muniti di regolari ricapiti, vari passaggieri.

Nessun dubbio neppur lontanamente remoto poteva sorgere all'Amministrazione che quegl'individui s’imbarcassero a scopo diverso da quello di recarsi o in Sardegna o in Tunisi.

Il bastimento era carico di varie merci per le due destinazioni: tra le altre aveva a bordo la mobilia del nuovo direttore delle dogane di Cagliari. Secondo il suo orario, il Cagliari dovea giungere in Cagliari sabato sera, e ripartire per Tunisi la domenica.

Lunedi io riceveva dispaccio da Cagliari che mi avvisava il vapore non essere anco giunto al suo destino. Attribuendo il ritardo o a mancanza di carboni, o a qualche guasto di macchina, telegrafai al mio agente di spedire in ricerca il vapore Piemonte, e di ottenere, che il Governo di Cagliari mandasse il Real vapore Ishenusa, dubitando che il Cagliari si trovasse inabile a proseguire, trattenuto per via.

Ieri di fatto ricevei dispaccio che il Governo di Cagliari spediva il Real vapore Ishenusa alla ricerca del ritardato naviglio.

Se non che, dopo i tentativi di sommossa che ebbero luogo in Genova nella notte del 29 a 30 corrente, e che fortunatamente, per le provvidenze del nostro Governo andavano falliti, corse ieri vagamente la voce che il Cagliari aveva imbarcato individui che simularono la qualità di viaggiatori unicamente per impadronirsi del legno, e dirigerlo chi sa dove. Questo dubbio divenne ieri sventuratamente una certezza, quando il dispaccio che la S. V. Ill.(ma) si compiacque comunicarmi, avvertiva che un piroscafo a bandiera piemontese era stato catturalo dalle Reali fregate nelle acque di Ponza. Esaminando la qualità de' passaggieri imbarcati, riesce per me evidente che questi, non si tosto allontanato il vapore dalle nostre coste, s’impadronirono con violenza (e forse peggio) del comando del piroscafo, e lo deviarono dalla sua destinazione per eseguire i loro meditali progetti.

Nel ripetere qui a V. S. Ill.(ma) l’immenso dispiacere che provo per questi fatti, che ogni animo onesto non può che altamente disapprovare, devo pure ripetere qui l’asserzione la più solenne, che tutta l’Amministrazione mia, e l’equipaggio tutto del piroscafo è completamente innocente, ed ignaro di quanto andava a succedere.

Il bastimento era destinato per Tunisi. Il comandante, dopo ritirati i pieghi postali, s’imbarcava colla solita fiducia, nulla temendo di quanto dovea succedere. Le indagini del Real Governo di Napoli, le deposizioni di tutti, non potranno che provare ampiamente, che alla sola violenza (e Dio sa quali violenze) l’equipaggio avrà ceduto.

Tanto era fiduciosa l’Amministrazione e l’ufficialità che il viaggio non potea che farsi sotto le più normali condizioni, che il piroscafo partiva senza aver ripieni i suoi magazzini di carbone per la ragione che, avendone attualmente esuberante deposito in Cagliari, avrebbe in quella preso il necessario onde proseguire per Tunisi, e solamente 35, circa, tonnellate esso avea a bordo quando partì da Genova, quantità appena necessaria, o poco più, per arrivare a Cagliari. Questa circostanza significantissima per provare la buona fede, la cicca confidenza con cui l’Amministrazione e l’equipaggio andavano ad eseguire il viaggio, non è la sola che giustifichi la compagnia da qualunque sospetto.

Le carte di bordo, le spedizioni di dogana, il carico, la corrispondenza postale, tutto può giustificare l’innocenza dell’Amministrazione, e del suo equipaggio.

Unisco alla presente la copia del suo manifesto di carico, e la nota de' passaggieri imbarcati. Come vedrà V. S. Ill.(ma) fra i passaggieri vi sono gente aliena da qualunque macchinazione politica. — Fra questi è il medico del Bey di Tunisi colla moglie. lo prego la S. V. Ill.(ma) a voler prendere in proposito anche più ampie informazioni, e trasmetterle senza indugio al Real Governo di Napoli, onde nel giudizio che sarà per istituirsi risulti chiara e limpida la verità di quanto le espongo, e da essa l'innocenza la più perfetta della mia Amministrazione, e del mio equipaggio.

Sarò anche riconoscente alla S. V. Ill.(ma) se vorrà far pervenire a S. M. il Re di Napoli l'espressione del sentito dispiacere che provo per fatti così riprovevoli.

La mia Amministrazione è nota in Napoli da oltre 16 anni di navigazione periodica, né in sì lungo periodo, un fatto solo può essere ascritto a' miei vapori contro le leggi del Regno.

Anche in questo avvenimento, nessuna colpa può esser ascritta alla mia Amministrazione.

Io ho troppa fiducia nella giustizia che regge il Governo di Napoli per esser certo che dalle investigazioni che esso sarà per fare, non ne abbia a risultare la più sollecita, la più ampia giustificazione dello intero mio equipaggio.

Mi affido ai sentimenti di lealtà che tanto distinguono la S. V. Ill.(ma) per essere certo che ella vorrà farsi l’interpetre mio presso il Governo di S. M. Siciliana, portando a sua conoscenza tutta la verità in cui sta ogni mia giustificazione.

Aggradisca, signor console generale, l’ossequio, e l'espressione della massima considerazione, con cui sono — Di V. S. Ill.(ma) divotissimo obbedientissimo servitore — R. Rubattino — Ill.(m)(o) sig. Cav. Garron console generale di S. M. il Re delle due Sicilie in Genova.


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II

Primo rapporto del Retro- Ammiraglio cav. Roberti

Salerno 29 giugno 1857.

Signor Generale,

In esecuzione degli ordini superiormente ricevuti, ieri sera colle Reali fregate a vapore Tancredi ed Ettore Fieramosca, posi in movimento per Mola, ove imbarcai su i detti legni quattro compagnie dell’l 1. battaglione Cacciatori, ed all'1. a. m. diressi per l'isola di Ventotene, ove essendomi sollecitamente assicurato che nulla vi era di nuovo tanto in quell’isola, che nell’ergastolo di S. Stefano, giacché il battello a vapore con i rivoltosi era passato largo dall’isola, diressi pel fiume Sele, onde percorrendo poi il litorale, conoscere in qual sito erano i rivoltosi, e sbarcare la truppa; ma verso le ore 8 34, annunziato dalla scoverta un legno a vapore di prua, che dirigeva a ponente dell’isola di Capri, feci rotta in conseguenza per raggiungerlo. Alle 12 si osservò che il detto legno, il quale navigava con macchina e vele, aveva accostato sulla sua dritta, e sembrava che dirigesse per le bocche piccole di Capri: feci accostare allora molto alla sinistra per tagliargli il camino, ed alle 10, essendo a poca distanza il legno in parola, che aveva la bandiera Sarda, come da' segni che mi erano stati indicati al momento della partenza da Mola, era quello che aveva i rivoltosi di Ponza a bordo, feci tirare un colpo di cannone per chiamarlo alla ubbidienza, ed essendo giunti al traverso molto vicini, colle macchine fermate, feci chiamare il capitano con tutte le sue carte, al che egli ubbidi immantinenti; e giunto sul mio bordo, gli feci le prime interrogazioni verbali. Intanto spedii subito una lancia col tenente del vascello signor Imbert per fare esatta visita su quel bastimento, cercando le armi se ve ne fossero, munizioni, ed altre carte.

Contemporaneamente ordinai all’altro tenente di Vascello signor Ayala di prendere le deposizioni tanto del capitano, che dell’equipaggio, e passeggieri, che seppi esservene a bordo, non che di tre feriti de' rivoltosi che lo stesso capitano disse essere a bordo.

Ritornato il signor Imbert a bordo, portò delle armi, che descrivo al margine, e confermò esservi a bordo n.° 8 passaggieri, ed i tre feriti, come sarà tutto descritto nel verbale di cattura che avrò l’onore rimettere.

Fatto ciò con tutta sollecitudine, considerando che il trascinare a rimorchio il legno predato, ritardava il cammino del legno rimorchiatore, e volendo far conoscere immediatamente al Re (D. G.) la presa fatta, e dirigere a Lei il presente primordiale rapporto, disposi che la Real fregata a vapore l’Ettore Fieramosca avesse preso a rimorchio il ripetuto legno predato, e diretto pel capo Licosa, ove l'avrei raggiunto, e col Tancredi diressi per Salerno, ove giunto ho fatto passare la segnalazione telegrafica elettrica alla Maestà Sua, e fo passare a Lei il presente rapporto, e dirigo per raggiungere il Fieramosca, riserbandomi farle pervenire altri rapporti in seguito, non che il processo verbale di cattura, le deposizioni che si stanno prendendo, e quanto altro potesse in seguito avvenire.

Una cassa aperta contenente 50 canne di fucili.

Una detta chiusa, che si diceva contenere benanche 50 fucili.

Nove fucili a due colpi carichi.

Quattro detti ad un colpo, e due dì munizioni, carichi.

Una carabina carica.

Un boccaccio carico.

Due pistole cariche.

Una sciabla.

Una cassetta di munizioni contenente pochi razzi per segnali.

Il Retro Ammiraglio comandante superiore—Federico Roberti.

Al Signor Brigadiere cavaliere D. Antonio Bracco Direttore del Real Ministero di Stato di Marina — Napoli.


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III

Secondo rapporto del Retro Ammiraglio cav. Roberti

Comando superiore de' legni di particolare servizio di Sua Maestà il Re (D. G.) — n.° 409 — Sapri luglio 1857.

Signor Generale,

In continuazione del mio foglio de' 29 prossimo scorso giugno speditole da Salerno, mi do l’onore compiegarle tanto il processo verbale di cattura del battello a vapore sardo il Cagliari, che le deposizioni del capitano, equipaggio, otto passaggieri, e tre feriti. Di questi ultimi però, due figurano anche nel notamento di tutti i passaggieri imbarcati in Genova, ed uno è de' rivoltosi di Ponza.

Il notamento di tutti i passaggieri imbarcati sul detto legno in Genova, coll'indicazione di quelli che promossero armati la rivolta dell’isola di Ponza, e che poi sbarcarono con tutti gli altri rivoltosi in Sapri, Ella l’avrà certamente ricevuto a quest’ora, avendolo rimesso a S. A. R. il Vice Ammiraglio Presidente del Consiglio dell'Ammiragliato. Similmente dall’A. S. R. avrà ricevuto un sacco suggellato alla presenza del capitano del bastimento, contenente tutte le carte rinvenute sul detto battello predato, non che una cassetta, anche suggellata, della posta fra Genova e Cagliari, avendola rimessa alla prelodata A. S. R. col mezzo della Real fregata a vapore Ettore Fieramosca, la quale, analogamente agli ordini ricevuti, rimorchia in Napoli il più volte ripetuto battello a vapore predato.

Durante la permanenza in questo porto, mi sono stati spediti in più volte dieci rivoltosi arrestati dalla forza a terra, alcuni dei quali armati di boccaccio, come quelli rinvenuti a bordo del Cagliari, ed avendo incaricata il tenente del reggimento Real Marina signor Lecaldano imbarcato sul Tancredi, di prendere volta per volta le loro deposizioni, mi do l’onore di qui compiegarle al numero di dieci, nella prevenzione che i detti arrestati sono benanche spediti in Napoli, bene assicurati, col mezzo della fregata il Fieramosca; dal di cui comandante nel ritornare qui dalla crociera, essendomi stato diretto il seguente rapporto, mi onoro rimetterle ancora l'originale deposizione in esso citata.

Signor Retro Ammiraglio,

Mi onoro rapportarle, che avendo uno de' prigionieri che ho in questo bordo, nominato Filippo Ferrajolo, manifestalo di voler fare una dichiarazione, l’ho chiamato in mia presenza per tanto praticare —Avendo però facilmente scorto essere detto individuo di cervello poco sano, ho creduto interrompere siffatta dichiarazione che non pertanto le accludo, tal quale è stata da esso dettata—Il Retro Ammiraglio comandante superiore — Federico Roberti.

Al Signor Brigadiere cav. D. Antonio Bracco Direttore del Real Ministero di Stato della Real Marina.


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IV

Verbale dell’arresto del Cagliari

Anno 1857 — mese di giugno — giorno 29.

Regno delle due Sicilie. Real fregata a vapore il Tancredi.

Oggi, li 29 giugno 1857, alle ore 8 ¾ a. m. essendo all'ovest di Capri distante miglia 12 circa, seguiti dall'altra Real fregata a vapore l'Ettore Fieramosca, che in quel momento trovavasi a circa due miglia distante da noi, si è scoverto un Vapore, che dalle acque di capo Licosa dirigeva con la macchina e con le vele fuori la punta ovest di Capri. Si è immediatamente diretto verso di lui, onde riconoscerlo, ed essendoci avveduti alle 12 che man mano accostava alla sua dritta, da noi si è diretto per tagliargli il cammino, onde raggiungerlo al più presto, ed, in effetti, poco dopo ci siamo assicurati essere un Vapore genovese di commercio, e che da' segni esterni e di riconoscenza avuti in Gaeta al momento della nostra partenza, presentava tutte le probabilità di essere quello precisamente che da noi si doveva riconoscere ed arrestare.

Alle 10 a. m. essendoci molto avvicinati al medesimo, si è tirato un colpo di cannone a palla, fermando la macchina per chiamarlo all’ubbidienza; al che il più volte nominato Vapore à fermato la macchina ed imbrogliate le vele. Indi si è imposto al capitano di venire al nostro bordo con le sue carte, ed avendo immediatamente ubbidito, si è presentato al signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti che superiormente comandava le due fregate, e mentre che dal prelodato signor Generale si riceveva la deposizione del capitano, e si esaminavano le sue carte, si é spedito a bordo del Vapore arrestato una lancia armata in guerra col tenente di vascello D. Antonio Imbert, per eseguire una esatta perquisizione sul legno, ed assicurarsi se vi fossero state armi di sorta alcuna, munizione da guerra ed altre carte.

Al ritorno di detto uffiziale, si sono ricevuti a bordo una cassa aperta, contenente cinquanta canne di fucili, un’altra chiusa., che si diceva contenere benanche cinquanta fucili, nove fucili a due colpi, quattro ad un colpo, e due di munizioni, una carabina, un boccaccio, due pistole, una sciabla di modello per gli uffiziali del nostro esercito, senza fodero, una cassetta di munizione simile a quelle che si ricevono dal nostro parco di artiglieria, contenente pochi razzi per segnali, e tre individui feriti, che appartenevano alla banda de' rivoltosi sbarcati in Sapri, come asseriva il capitano nella sua deposizione.

Le anni da fuoco erano cariche.

Impossessatici quindi del bastimento, il Generale comandante superiore dispose che la Real fregata Ettore Fieramosca avesse preso a rimorchio il Vapore predato, dirigendo per capo Licosa, ove si sarebbe da noi raggiunto.. Avendo fatto trattenere al nostro bordo il capitano del Vapore, da noi si è diretto per Salerno, ove giunti, dopo aver conferito con quel signor intendente, siamo andati a riunirci al Fieramosca, e di conserva diretti a Sapri, onde eseguire gli ordini ulteriori superiormente ricevuti dal tenente di vascello Ayala. Per ordine del signor Generale si è ripresa la deposizione del capitano, e continuando a procedere si son ricevuta man mano anche le deposizioni dell’equipaggio, de' passeggieri, e feriti trovati sul Vapore, che saranno spedite col presente processo verbale di cattura.

Il Vapore arrestato è di nazione Sarda, da commercio, denominato il Cagliari, ed il capitano si chiama Antioco SITZIA.

Il tenente di vascello di dettaglio — Amilcare Anguissola.

Il capitano di fregata Comandante — Ferdinando Rodriquez.


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V

Estratto del giornale di navigazione del Tancredi

Alle ore 4 ½ a. m. del 29 giugno 1857, tra S. Stefano e Ventotene si è fermata la macchina, indi, armata ima lancia. in guerra, domandandone un’altra all’Ettore. — Dopo poco, essendo venuto sotto il bordo un deputato sanitario di Ventotene, si è disarmata la lancia, indi posto in molo, e diretto pel golfo di Salerno. —L’Ettore ci segue sempre fino alle 8.

L’uffiziale di guardia. — Amilcare Anguissola.

Alle ore otto e tre quarti, in vista di un vapore che dalle acque di Licosa corre per fuori Capri, per ciò si è appoggialo alla sinistra, navigando, per incontrarlo.

Alle ore nove e ½ essendosi assicurato che il vapore suddetto è Genovese, di commercio, e giusto quello pel quale siamo in crociera per catturarlo, si è battuta la generale.

L’uffiziale di guardia Giovanni d’Ayala Valva.

Alle ore dieci si è tirato un colpo di cannone da 30 a palla, per chiamare all'ubbidienza il suindicato vapore, il quale subito ha fermata la macchina, e mandalo a bordo il suo comandante, come da noi imposto.

Si è accertato essere il vapore menzionato, precisamente quello del quale si andava in cerca. Si è fatto all’Ettore il segnale n. 1501. —Si è spedilo sul vapore il tenente di vascello signor Imbert con una lancia armata per conoscere lo stato del legno, e se era armato.

Tutto ciò stando fermato alla distanza di circa sei miglia al S. 0. di Capri.

Il detto uffiziale ha condotto da quello su questo bordo i seguenti generi, che erano le armi tutte che là esistevano, cioè una cassa con canne di fucili aperta, un’altra chiusa anche con armi, più 15 fucili, una carabina, un boccaccio, due pistole, ed una sciabla.

Sono anche venuti a bordo tre individui feriti.

II comandante del vapore è rimasto a bordo.

L’Ettore ha dato il rimorchio alla preda, che ha nome Cagliari, ed all’11 1/8 ha fatto rotta lungo le coste di Calabria, toccando il capo Licosa.

Da noi si è posto in moto, e diretto per Salerno, essendo le ore 11 ¼.

Nelle 24 ore buon tempo.

Lunedì 29 a 30 giugno 1857. P. M. — Aria che tira poco vento: dal 3.° quadrante si è rimesso il zafferancio.

A tutta macchina si dirige per Salerno — Il comandante Ferdinando Rodriquez.

Sino alle 2, come sopra.

L’uffiziale di guardia. — A. Anguissola —

Alle ore 2 ½ sulla spiaggia di Salerno si è fermala la macchina, ed ancorato l’urto con 6 passi di fondo, con 10 di catena.

La macchina sempre pronta.

Il comandante, Ferdinando Rodriquez.

È calato questo signor comandante onde far passare in Gaeta telegraficamente il rapporto di questo sig. generale Roberti a Sua Maestà il Re (D. G.), compresevi le dichiarazioni fatte da' quattro de' prigionieri fatti.

Alle 4 è ritornato il comandante. — 11 pilota da Uffiziale di guardia— Guglielmo Cafiero.

Si è chiamato ogni uomo a suo luogo per salpare. Si è alzata l’ancora, posto in moto, e fatto rotta alle ore 4 1/3 per capo Licosa.

Il comandante, Ferdinando Rodriquez.

Alle ore 7 su di Licosa, miglia fuori, si è fatto rotta per Palinuro.

L’Ettore col suo rimorchio per S. O. 4 miglia.

Alle ore 7 12 l’Ettore ha fatto il segnale n.° 1556, si è diretto per lo stesso.

Alle ore 7 ¾ è venuta a bordo una lancia del Fieramosca, che poco dopo, essendosene andata, si è posto in moto e fatto rotta per Palinuro.

Al tramonto del sole, capo Licosa per Nord, e Palinuro S. E. 18. —L’Ettore di poppa. Alle 8 si è alzato un fanale di distinzione — L’uffiziale di guardia A. Imbert.

Alle ore 3[4 sulla perpendicolare di Palinuro, a due miglia distante si è diretto pel punto Linfreschi, e poi per Sapri.

Alle ore 11 3[4 vicino detto paese si é battuta la generale, e si è fermata la macchina, attendendo il vapore l’Ettore.

A. M. buon tempo.

Alle ore 2 si è tirato un razzo per rispondere all’Ettore.

Alle ore 4 ½ si è posto in moto, e diretto per Sapri.

Alle ore 4 ¾ sulla spiaggia di detto paese si è fermata la macchina, ed ancorato l’urto a 5 passi di fondo, con 15 di catene.

Dopo poco ha ancorato anche l’Ettore col suo rimorchio. Si è sbarcata la truppa, avendole data la razione, come le si diede ieri.

La macchina in movimento.

Alle ore 6 si è rimesso il zafferancio. — Il Comandante F. Rodriquez.

Si certifica da me qui sottoscritto comandante della Real Fregata il Tancredi, essere questa copia conforme all’originale sistente a bordo. — F. Rodriquez. — Il Retro Ammiraglio. — F. Roberti.


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VI

Estratto della dichiarazione di Giovanni Colonna di Antonio, guarda spiaggia sanitario, e pilota pratico del porto di Ponza, renduta in Gaeta nel dì 7 luglio 1857

Dichiara che nel giorno di sabato 27 giugno, mentre stava in sua casa, gli vennero dirette le seguenti parole da gente che lo chiamava «il pilota pratico, il pilota pratico». Che per averlo inteso dire da più giorni si aspettava un vapore di cui esso non conosceva l’oggetto, e credeva che fosse stato quello che portar doveva il Vescovo. Si affacciò, e vide un vapore con bandiera che non distinse il colore, ma che poi vide che era bandiera di nazione sarda, distinguendo, che la bandiera che non conobbe, era quella del pilota.

Uscì di sua casa, ed imbarcandosi sulla propria lancia colla bandiera del Re (D. G, ), si avviò verso il legno, e fuori la bocca del porto trovò la lancia del vapore che veniva a richiederlo come pilota.

Che questa barca si trovava equipaggiata da A marinari che vogavano secondo la regola dell’arte, e vestivano da marinari.

Vi era altra persona che non distinse se era timoniere, o persona estranea, in tutto, quelli che erano sulla lancia, erano quattro, cinque, o sei.

Nell’incontro gli chiesero se era il pilota, ed alla risposta affermativa, l’invitarono ad avvicinarsi con essi al legno, dicendo che la macchinasi era guastata e volevano quindi accomodarla, essendo questo il motivo per lo quale volevano entrare in porto: rispose che era il pilota, e disse che avessero camminato, perché egli veniva a seguirli. A certa distanza dal legno, domandò al bordo del Comandante. Uno di quelli che stava sul legno gli disse, favorite da parte di poppa, che era l’opposto del legno, e che guardava il Sud. Quando fu nel punto prescritto, uscì la lancia del vapore che era quella che da esso era stata vista, e portando cinque o sei persone vestite, chi con giacche, e chi da marinari lo portarono sul legno, e dopo di averlo fatto sedere, gli posero impugnate delle pistole e de' stili sulla testa, soggiugnendo, dite la verità, altrimenti la vostra testa se ne va per l’aria: gli dimandarono quanta truppa vi era in Ponza, ed egli rispose che vi erano da cinque o seicento, credendo che la domanda fosse stata sospetta: lo richiesero del comandante dell’Isola, indicandolo per Asta-Asta, ed egli rispose «Astorino». Gli dissero in fine, se conosceva D. Giovannino Alatino, ed egli rispose, che vi era stato una volta, ma che al presente non vi si trovava più, ed allora, il forestiere replicò che stava carcerato nel Castello di S. Elmo.

Mentre parlavano di ciò che ha riferito, sopraggiunse il capitano del porto di cognome Magliozzi, ed il tenente di piazza, ma li presero e li portarono a bordo del vapore, facendoli situare sotto coverta: che ciò avveniva verso le 4 e ½ alle cinque, che in seguito, lo fecero salire sul casseretto, dicendogli che avesse diretto il vapore nel porto, e mentre si stava sul casseretto stesso, vi era anche un individuo che si faceva credere capitano, questo individuo era dell'età di oltre i 40 anni, di statura regolare, senza poter badare ad altro.

Esso dichiarante faceva girare il vapore sulla dritta e cosi entrava nella imboccatura del porto, gittando l'ancora.

Dopo gittata l'ancora, fecero muovere le lance che avevano: una si diresse al Molo per la pratica, e le altre due alla parte opposta, così delta, la Caletta dei padiglioni militari; ed in quelle sbarcarono i rivoltosi che empivano due lance, oltre quelli che erano andati a prendere pratica, che potevano ascendere a sei o sette. Che nel disturbo, in cui era, non può precisare il vero numero. Che essendosi ritirato a casa, avverti che il vapore era uscito fuori del porto, e poi rientrò fino alla batteria di Leopoldo, ritornando sul punto istesso. Che siccome i masnadieri conoscevano i luoghi, e furono bene accolti, cosi ritiene che fossero stati, con la gente di Ponza, in 'rapporto. Che le mosse del capitano non facevano addivedere che avesse avuto relazione co’ ribaldi, ma diceva di essere stato ingannato: ma che essendo uscito fuori del porto non vi era alcuno che lo avesse potuto trattenere.

Esso vide sul legno armi, ma non vide genti armate, sebbene ci fosse qualche persona. Che quello che fa il traffico da Napoli a Ponza, e viceversa, è un certo Salvadore Verde. Che la scorridoja della Real Marina che slava in quelle acque, fu assalita contemporaneamente all’assalto della gran guardia, ed alle altre eccedenze. Vide salire su di essa i rivoltosi, e scenderne coloro che erano addetti a servirla, e nel giorno seguente, la vide tutta disarmata sul lido della spiaggia di Giancassa, ed abbandonata.

Che non ha visto sul bordo del vapore il capitano della scorridoja. Che durante il tempo che fu trattenuto sul legno, i comandi alla ciurma si davano, e la direzione era portata da quel capitano, che gli disse di essere stato ingannato; né ci era altro, che avesse avuto esercizio di comando.

Che gli eccessi furono, la maggior parte, de' rilegati, non potendo specificare a quale classe di rilegati appartenessero, e che anche da lui si presero un fucile, e degli oggetti. Che arrivarono a circa le ore cinque, e che partirono verso le ore 11 della notte. Che un D. Angelo Novi fu quello, che disse a' rivoltosi, che là non ci era che fare, e che se ne fossero andati; e ciò lo apprese dalla bocca stessa del Novi.


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VI

Dichiarazione di Antonino Roberto di Nicola di Napoli 3.° pilota della Real Marina, di stazione in Ponza, renduta in Gaeta nel giorno 7 luglio 1857

Dichiara che verso le ore 4 pomeridiane del giorno 27 dello scorso giugno egli andava a diporto, quando s’invenne a sapere da un marinajo che stava per approdare un vapore, e siccome ci era prevenzione che doveva arrivare un legno della Real Marina, così fece preparare una barca appellata Jolla, perciò che al vapore poteva bisognare, ma avvedutosi che era un legno mercantile, e Sardo, retrocesse, e fu allora, che il capitano del porto si recò da lui che stava sulla banchina, richiedendogli la Polla ed i quattro marinari, in nome del comandante dell'isola, con dirgli che gli serviva per recarsi a bordo del vapore diunita ad un uffiziale di piazza. Quel vapore addimandava l'accomodamento della macchina; epperò entrava nel porto. In quel mentre il deponente fu sorpreso alle spalle da tre individui vestiti di rosso, forniti di armi bianche, e da fuoco, i quali gl’imposero di arrendersi, ed ebbe perciò necessità di tanto eseguire. Nello stesso tempo obbligarono quegl’individui, tre dei suoi marinari ed un sottouffiziale che si trovavano a bordo (mentre altri erano altrove a diporto, perché franchi di servizio) a seguirli.

I tre medesimi marinari ogni sforzo fecero per preparare la scorridoja che era nel porto, ed allontanarsi da colà, ma furono avvinti dalla forza maggiore dei rivoltosi, e quindi, tanto i medesimi, che il deponente, vennero condotti arrestati nella gran Guardia della Piazza dove rimasero custoditi, a cui, altri rivoltosi, avevan tolto le armi. Le armi tolte alle milizie di Ponza, ed altre in abbondante numero, bianche, e da fuoco che essi avevan portate dal vapore, furono distribuite agli ex militi, ed ai rilegati che non saprebbe distinguere, se erano condannati per reati comuni o per reati di stato. Questi avendo in mano le armi, cominciarono a percorrere il paese portando la devastazione da per tutto, e commettendo eccedenze di ogni specie. Fu allora che, mentre prima si eran limitati ad inchiodare il cannone si appropriarono della munizione e delle armi, lasciando alla guardia della scorridoja un numero di essi. In questo frattempo, essendo rimasti liberi, ed essendo stati rafforzati da marinai che erano franchi, si avviarono alla scorridoja, ma non fu loro permesso di ascendervi, e rimasero a guardarla da fuori. Tra quelli che impadronirono degli effetti della scorridoja vi era un tal Davide Volpe, naturale di Ponza. Ad un’ora e mezzo di notte furono presi a viva forza ed obbligati a portare sul legno quelli che volevano imbarcarsi, e lo dovettero eseguire perché minacciati di vita, e sprovvisti di arme. Quando furono avvicinati, salirono quelli che avevan trasportali, e fu benanche obbligato esso a salire sul legno, e presentarsi al sedicente generale, il quale non rispose, ma altri, invece, disse che era prigioniero il capitano della scorridoja, e contemporaneamente gli altri marinari furono costretti di andare a viva forza su di un paranzello, essendo loro concesso salvare solo alcuni effetti ad essi appartenenti: la scorridoja rimase in potere dei ribelli, ma dopo di averla predata delle vele, delle provvisioni, ed altro, e dopo di averla bucata in tre punti, giusta osservò nel mattino, l’abbandonarono.

Fu trattenuto a bordo fino al tempo in cui mossero, ed ebbe a soffrire minacce di morte se la torre non avesse ceduto. Che il legno si avvicinò alla bocca del porto, ma poi retrocedette, e quindi ritornò alla rada ove lo rinvenne ancorato.

Che egli vide andare sotto e sopra un individuo attempato che si chiamava capitano, ma in ciò fare ubbidiva agli ordini di quelli che regolavano la massa. Che gli effetti della scorridoja tolti furono da una turba, e che venne solo conosciuto colui che ha indicato, cioè Davide Volpe. Che non vide altro che il capitano di cui ha parlato, che ha potuto esercitare il comando marino, e che mentre era trattenuto a bordo un individuo di circa anni 40, avvicinandosi a lui gli manifestò che anch’egli era passeggiero, e che correva rischio della vita al par di lui. Che allora furono liberati, quando un gozzo aveva portato le armi che pretesero dalle milizie rinchiuse, e sullo stesso gozzo, egli e l’uffiziale di piazza ritornarono a terra dove dovettero scassinare la porta di un tal Federico de Francesco, mentre la casa era chiusa dai suoi, perché in campagna, onde scampar la vita, poiché si commetteva ogni sorta di devastazione, ed il saccheggio. Ed il mattino seguente rinvenne alla spiaggia di Giancassa la ripetuta scorridoja, che fece da' suoi dipendenti marinari ricondurre in porto.


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VIII

Rapporto del capitano del porto di Ponza

Consiglio di Ammiragliato della Real Marina — Segretariato — 3. Sezione — Num. 1161 — Napoli 29 luglio 1857.

Signor Direttore.

Per l’uso che all’uopo stimerà convenevole le trascrivo il seguente rapporto diretto dal capitano del porto di Ponza, in data de' 5 andante all'Ispettore de' rami alieni della Real Marina.

In prosieguo del mio uffizio de' 28 giugno, num. 49 mi do l’alto onore rassegnarle in adempimento del mio dovere, avere jeri fatto per ordine Sovrano una deposizione sull'avvenimento in questa Isola del 27 giugno al Regio Giudice di questo Circondario del tenor seguente.

Il dì 27 giugno alle 4 p. m., fui chiamato dal comandante militare di quest’isola in sua casa per mezzo di un Sergente de' Veterani. Appena giunto, mi disse che in rada vi era un vapore che aveva danneggiata la macchina, e che voleva entrare in porto per riparare le avarie, e che perciò mi fossi recato a bordo con la lancia della scorridoja, per l’occorrente che gli fa bisogno. — A tale detto io dissi di dover condurre meco un uffiziale della piazza per miglior convenienza, rimanendo a mia cura farlo entrare in porto con sicurtà. — Il comandante allora annuì alla mia domanda, e l'uffiziale di piazza de Francesco, che era presente venne meco unendoci alla punta del molo vicino alla scorridoja, e dimandammo a quel comandante la sua lancia per ordine del comandante dell’isola onde andare sul vapore. A tal detto subito ci venne data la detta lancia armata con quattro marinari; mentre c’imbarcavamo vedemmo ima lancia con la bandiera di S. M. il Re N. S. sventolare sulla poppa, io opinai che dovea essere la lancia sanitaria: in poco tempo ci avvicinammo al vapore che stava poco distante dal porto fermato, avendo a poppa la bandiera del Re di Sardegna, ed a prua la bandiera del pitola pratico, così dissi ai marinai di vogare più forte, appena fui distante dal vapore tre colpi di lancia non più feci vogare, ed osservai che sulla lancia della sanità nessuno vi era dentro, e vidi sul ponte delle ruote il pilota pratico di quest'isola, mi figurai che detto vapore stava in pratica. In quel momento fui chiamato dal comandante con le consuete maniere di uso, le prime parole che mi disse furono: Signor comandante non posso perdere un momento di tempo avendo fatto danno alla macchina, e mi è di mestieri entrare nel porto; montato a bordo io domandai se aveva preso pratica, mi disse di no, e che veniva da Genova diretto per Cagliari con poche persone di passaggio a bordo — io replicai non posso montare a bordo se non prendete pratica. — Da un altro mi si disse, il vostro camerata è di già montato a bordo, e voi non volete salire, io risposi costui che è montato a bordo è uno sciagurato che non conosce le leggi sanitarie, ma io debbo rispettare le leggi del Re. — Non appena detto ciò in un momento mi vidi più di venti bocche da fuoco composte di fucili, boccacci, e pistole da sulla frisata del vapore imponendomi, con dire: montate scellerato, così fui obbligato avvicinarmi alla scala, ed allora tre individui vennero sulla lancia mettendomi de' pugnali alla gola, e mi condussero in coverta unito all'uffiziale che stava meco. Non appena fui in coverta ci obbligarono di calare nella camera con sentinella a vista. Nel tempo istesso sentii calare tutte le lancie, e con silenzio, e dopo poco mi accorsi camminare il vapore. —Dopo un’ora intesi le grida viva Lorenzo, viva Antonio — Viva Italia, indi il sottocapo de' rivoltosi, per quanto intesi venne a basso, e dirigendo a me la parola disse, uno di voi calar deve a terra, è questo un ordine scrìtto del comandante militare dell'isola per cedere a noi tutte le armi, e munizioni. Io risposi — Signore io ignoro ove senio queste armi e munizioni, perché io dir vi posso quante braccia di acqua vi sono nel porto, ma di questo nulla vi posso dire, ma quivi è l’uffiziale di piazza che vi può rispondere; così riprese parola con l'uffiziale.

Dopo un quarto d’ora sentimmo che il comandante, e tutti gli uffiziali stavano sul ponte del vapore, domandai in grazia alla sentinella di permettere che io vedessi il comandante; no mi rispose con tuono grave, — non posso; senza mai levare la bocca del boccaccio dal mio viso minacciandomi di tirare il colpo, se io mi alzava, dopo poco. tempo vidi calare la moglie del comandante dell'isola con sua nipote, verso le ore 212 mi permisero di montare in coverta ove trovai il comandante, e famiglia, e tutti gli uffiziali, dopo mezz’ora vidi calare la moglie, e nipote del comandante sulla lancia per andare a terra; subito domandai in grazia al generale de' rivoltosi di permettere che io andassi a terra, mi rispose di no, facendomi condurre da due de' suoi seguaci a poppa e tenermi a vista.

Alle 8 12 p. m. venne da me il capo, e sottocapo dei rivoltosi con dirmi, signor comandante se volete vita ci dovete condurre in Ventotene per insegnarci il punto ove si sbarca, ed ove può ancorare il vapore per questi paraggi, e che non era possibile ignorare l’ancoraggio di Ventotene, soggiungendomi, se voi venite con noi vi giuriamo che non appena ancoreremo in Ventotene vi spediremo qui una barca di quell’isola, dandovi cento ducati; io risposi signor generale non posso eseguire una tale commissione perché io tutto ignoro, se mi potete fare la grazia di darmi vita mi dovete lasciare su di uno scoglio di Ponza, altrimenti non vi darò il piacere di venire vivo in Ventotene mi ucciderò io medesimo, al che mi fu risposto che a punta di giorno mi facevano trovare a terra, perché da Ventotene a Ponza non vi sono che miglia 22; di modo che una buona barca da remo in poche ore faceva tal tratto.

Alle 12 circa mentre che a bordo vi erano da più di 300 individui che tutti gridavano, Viva l’Italia, Viva il nostro generale, viva Lorenzo, viva Antonio, il sottocapo de' sediziosi andò in mare dal lato sinistro, mentre dava ordine a tutta quelle imbarcazioni che vi erano al bordo. Nel sentire che il sottocapo de' rivoltosi era andato in mare, e che non sapeva nuotare, tutti si avvicinarono al luogo ove cadde, ed io in quel momento mi avvicinai al lato dritto del vapore, e profittando che nessuno mi vedea, mi buttai nel paranzello che poco prima aveva finito di sbarcare legna sul vapore, e contemporaneamente mi menai a basso nascondendomi sotto prua, dietro di una vecchia vela che vi era. — Dopo un quarto d’ora si allontanò il paranzello dal bordo per andare a terra onde caricare altri generi. — Avvicinato che fu il paranzello alla banchina, tutt'i rivoltosi unitamente a molti ex militi, e rilegati vollero andare a bere, così profittando di ciò e voltandomi il soprabito e con passo celere m’incamminai alla volta di un sito che era oscuro per salvarmi la vita, e propriamente ove sono tirati i paranzelli. — Sulla banchina a terra mi riuscì mettermi sotto il piano di uno de' paranzelli che stavano tirati ove dimorai fino alle 2 a. m. che cominciò un poco di quiete a sentirsi pel paese, certo che il vapore de' rivoltosi se ne era andato, appena uscito mi diressi per la mia casa ove trovai tutte le porte a terra, e dentro tutto pienamente rubato e bruciato per fino le otto sedie della capitaria buttate dalla finestra per fare fuoco in mezzo alla piazza. — Fino al giorno chiaro mi stiedi in casa senza potermi neanche cambiare i panni bagnati che aveva sopra, essendo tutto involato, uscito il sole mi diressi in casa del comandante, ove trovai le autorità tutte per dar parte dell'occorsomi alla mia persona, e alla mia casa, mi risposero che tutto conoscevano. — Dopo poco si opinò di mandare una barca a Gaeta onde avvisare quel Governatore militare, ed io non mancai umiliare un rapporto al mio superiore immediato. — Il Vice Ammiraglio Presidente — Firmato — Luigi Borbone.


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IX

Primo interrogatorio del capitano SITZIA

Oggi 29 giugno 1857.

D. Come vi chiamate?

R. Mi chiamo Antioco SITZIA figlio di Vincenzo, nato in Cagliari, di anni 56.

D. Da dove venite?

R. Partito da Genova il 25 giugno, alle 7 p. m., per la destinazione di Cagliari e Tunisi con pieghi dell’uno e l’altro Governo, e mercanzie diverse, come costa dalle polizze di carico, alle 8 feci mettere a segno la guardia, ordinando la rotta per S. 16.°E. —In questo frattempo andava a prora per fare le mie osservazioni; e mi sono trovato circondato da ima banda di venticinque individui, che componevano buona parte de' miei passaggieri, che in tutto erano, numero trenta tre, facendo prigioniero tutto l’equipaggio, ed obbligandomi a deporre il comando; e quindi si diressero ad un tal Giuseppe Daneri, capitano marittimo, che faceva parte degli otto residuali passeggieri, ordinandogli di continuare la stessa rotta del vapore Cagliari, che dovevano incontrare ima barca carica di munizioni da guerra, più sessanta uomini; e quindi si sarebbero diretti per l’isola di Ponza, per liberare i presidiar!.

Questa navigazione si è durata con diverse rotte per cercare la suddetta barca, che per fortuna non si è trovata sino alla mezza notte.

A mezza notte hanno ordinato di mettersi in rotta per il capo Corso —Alle 12 a. m. del giorno 26 ci siamo diretti per l’isola di Ponza. Alle 1112 abbiamo osservato la squadra inglese, che non mi ricordo se fossero da otto o nove grossi legni da guerra, che si dirigevano per il golfo di Spezia.

Alle 12 p. m. del dì 27 eravamo a poca distanza del paese di Ponza, e posta la bandiera onde chiamare il pilota pratico, che giunse immantinenti, l’obbligarono a montare a bordo, unitamente al suo uomo, e colle armi rivolle al petto, l'obbligarono a confessare la qualità della forza del paese. Il disgraziato disse a voce tremante molte cose, che io non compresi. In questo intervallo, venne a bordo una lancia del porto con quattro uomini, e due uffiziali; uno era il capitano del porto, e l’altro un uffiziale di piazza; l’invitarono a montare a bordo, e questi si ricusarono dicendo che se prima non prendevano pratica, secondo le leggi, non potevano montare a bordo; a ciò, due de' rivoltosi calarono abbasso alla scala, e con le pistole in mano, le diressero al petto de' detti uffiziali, e li obbligarono a rendersi ed a deporre le loro spade.

Alle 5 si dié fondo nel porto di Ponza, ed imposero al mio equipaggio di mettere in mare tutte le imbarcazioni, onde aiutare a fare lo sbarco, e prendere il paese d’assalto, come vi riuscirono, e fecero prigioniere tutte le autorità locali, che portarono a bordo. Alle 6 ½ p. m. la banda era già composta di area 450, ed all'1 a. m. del giorno 28, giunse a bordo una mia imbarcazione, con armi acquistate a terra, senza darmi tempo di salvare il mio canotto, che credo l’avranno trovato a Ponza, e data la libertà a tutte le autorità locali, si parli immediatamente per la volta di Sapri, ove giunti alle ore 8 ¾ p. m., senza dare fondo, posero in mare tutte le lance, e con l’aiuto di un’altra barca peschereccia si effettui lo sbarco, che si ultimò alle 10 2/3, lasciandomi una dichiarazione onde garentirrai tanto dal mio Governo, quanto da quello napolitano, esponendo tutto ciò che loro a viva forza avevano praticato; rimanendo ancora a bordo numero tre rivoluzionari feriti, uno de' quali si apparteneva a quelli presi in Ponza.

Subito pensai dirigermi per Napoli, onde darne una dettagliata relazione a questo Regio Governo, come pure mettermi in regola con il mio, ed al tempo stesso provvedermi di carbone per quindi proseguire il mio destino.

Dimenticava dire che il giorno 27 fecero una perquisizione in tutto il bastimento, in cui tra le mercanzie di Tunisi trovavansi sette casse d’armi di lusso, tra montate e smontate, l’ultima delle quali mi lasciarono a bordo.

Dimenticava ancora dire, che essi mi consigliavano di non approdare in Napoli, perché sarei stato compromesso con il Real Governo; io risposi che la mia posizione me l’obbligava, stante che questo Governo non aveva e non ha discordia alcuna con il mio.

D. Sapete se questa banda di rivoluzionari avevano o pur no munizioni?

R. Ne avevano, ma in pochissima quantità, essendo molta gente disarmata.

D. Se avevano delle armi, e delle munizioni, come succede che non ve ne eravate accorto nel loro imbarco?

R. Allorché s’imbarcarono questi individui a bordo, non avevano alcun segno di gente malvagia da sospettare; dopo la partenza, ho veduto che ognuno era armato di pistole e di stili.

D. Quando i rivoltosi sono sbarcati a Ponza, perché non avete tentato di uscire dal porto, e venire ad avvertire nel continente?

R. Perché era rimasto solo a bordo con quei pochi passeggieri neutrali, giacché lo intero mio equipaggio era stato obbligato a viva forza di sbarcare a terra con loro.

D. Avete altro da aggiungere a questa vostra deposizione?

R. Non ho altro da aggiungere ne togliere a questa mia deposizione, essendo questa la pura verità.

Di poi si sono fatte le altre domande.

D. So che i rivoltosi hanno ricevuto sul vostro bordo una quantità di boccacci, fra le altre armi.

R. detti boccacci erano rinchiusi nelle casse delle armi destinate per Tunisi.

D. Chi é il vostro raccomandatario?

R. C. di Lorenzo di Napoli.

Sapri 29 giugno 1857 — Antioco SITZIA.

Il tenente di vascello — Giovanni d’Ayala Valva.


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X

Secondo interrogatorio del capitano SITZIA

Oggi che sono li luglio del 1857.

Io Giovanni d’Ayala Valva tenente di vascello della Real Marina, imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata nella spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti, comandante superiore de' Reali legni di particolare servizio di Sua Maestà il Re (D. G.) ed assistito dal cannoniere di terza classe Pasquale Todisco, funzionante da cancelliere.

Ho fatto venire in mia presenza il signor D. Antioco SITZIA comandante il vapore Sardo il Cagliari qui ancorato; ed in seguito dello interrogatorio da questo subito il giorno 29 giugno detto, ho proceduto alle seguenti domande.

D. In seguito di quanto avete riferito di essere rimasto sul bordo del vapore, allora quando si praticò lo sbarco della gente armata in Ponza, perché non cercaste con tutti i mezzi possibili di lasciare quei porto, e riferire tutto lo accaduto st chi credevate?

R. Allora quando la gente armata praticò lo sbarco in Ponza, io fui messo in. arresto nella stanza di poppa con tutti i passeggieri, il capitano' del porto di Ponza, ed un vecchio uffiziale di piazza, e tutti insieme eravamo minacciati di vita da due persone armate di boccacci, che ci vietavano di salire in coverta, e di parlare; perciò inabilitato a poter fare la. minima azione. Oltre di che, i miei marinari furono adibiti obbligatoriamente in tutte le lance del bordo, ed adibiti allo imbarco della gente provveniente da terra; ed è per ciò, che se fossi stato libero del mio agire, neanche avrei potuto muovere da questo ancoraggio, giacché mancante di marinari.

D. Perché non cercaste di lasciare quel porto, servendovi de' fuochisti, carbonari, nostromo, e tutt'altri che potè rimanere sul bordo?

R. Tutta questa gente è tale che nella circostanza del momento, invasa da spavento, non poteva adibirsi ad alcun servizio.

D. Che sapete della scorridoja reale, che trovavasi nel porto di Ponza?

R. Durante il tempo che questo vapore riempivasi di gente, ho veduto la scorridoja vicino a noi, e lateralmente al suo bordo esservi un paranzello venuto da terra con viveri. Si ordinava all'equipaggio della scorridoja di lasciarla, imbarcandosi sul detto paranzello ed andarsene a terra.

Il comandante della scorridoja era in arresto a bordo.

Abbandonata la scorridoja, questa è stata sfondata dagli insorti, che erano a bordo di essa; e ciò in seguito di avergli tolto i viveri che aveva, e le munizioni.

Dopo di questo, fu lasciato andar via di poppa, e sentiva dire da' capi che la detta scorridoja era arranciata per le feste.

D. Avete null'altro d'aggiungere o togliere a ciò che avete detto, si nel primo che in questo secondo interrogatorio?

R. Non ho niente da aggiungere o togliere a quanto ho riferito, e confermo di nuovo quanto ho detto ne’ sopra nominati due interrogatori.

D. Potete giurare quanto avete riferito sull'accaduto?

R. Si signore, e mi sottoscrivo — Antioco SITZIA.

Il cannoniere di terza classe da cancelliere — Pasquale Todisco.

Il tenente di vascello — Giovanni d'Ajala Valva.


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XI

Interrogatorio di Vincenzo Rocci

Addì 29 giugno 1857.

D. Qual è3 il vostro nome?

R. Vincenzo Rocci.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Piglio di Vincenzo Rocci, e fu Buonifacia Perales.

D. Che età avete?

R. Di anni trentacinque.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Capitano di seconda classe.

D. Qual è la vostra patria?

R. Genova.

D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari?

R. Essendo il secondo capitano di detto Vapore, la sera de' 25 del corrente mese verso le ore 7 partimmo dal porto di Genova dove eravamo ancorali, diretti per Cagliari e Tunisi, avendo a bordo numero 33 passeggieri per le suddette direzioni.

Alle ore 8 prese la guardia il capitano in primo, mi ri tirai nel mio camerino, onde cambiarmi; udii de' gridi. fermi, fermi, siamo padroni del bastimento, andremo dove noi vogliamo.

Sortito dal mio camerino, trovai due colle pistole monta te, dicendomi che io non era più nulla, e che non avessi nessun timore.

Subito sentii chiamare il capitano Daneri che cenava tra gli altri passeggieri, e lo forzarono colle armi alla mano di prendere il comando del vapore, e gli ordinarono di dirigere per la stessa direzione che aveva il bastimento per capo Corso; ed ho inteso dai detti capi, che dovevano trovare una barca carica di armi e munizioni da guerra, con molta gente, alla distanza di sedici miglia da costa di Sestri di levante. Si navigò così fino alle ore 10 facendo segnali con i fanali ad acqua di raggia, e continuammo cosi fino alla mezza notte — Videro che non trovavano questa barca, e che perdevano tempo, si diressero per il capo Corso. Già loro erano al timone e governavano a loro piacere: il 26 alle ore 11 di mattina eravamo al capo Corso. Colà cominciarono a consigliarsi che direzione dovevano prendere, siccome avevano detto che il carbone non era "bastante, si diceva di andare a Montecristo, onde provvedersi di legna; quando ad un tratto si videro molti bastimenti vicino alla Corsica: ci chiamarono e ci fecero scendere in camera con delle guardie, ove siamo rimasti là per circa due ore; poi, quando siamo saliti dalla camera abbiamo saputo che era una squadra inglese composta di nove bastimenti da guerra. Appena passata la squadra, e che ebbero trovate queste armi, si vollero assicurare della quantità del carbone, e trovandolo bastante per il loro progetto, si diressero per l’isola di Ponza, con delle grida di gioia riva la Repubblica, riva l'Italia; e continuarono questa direzione, finché siamo giunti l’indomani all’isola, che era verso le del giorno. Decisero di chiamare il pilota, alzando la bandiera; vedendo che il pilota non veniva, il capo mi ordinò di imbarcarmi in una lancia ed assieme a lui, chiamato Pisacane, ci diressimo verso il porto; quando noi fummo vicini al Molo, si trovò il pilota che si dirigeva a bordo; egli chiese allo stesso pilota se vi era carbone nell'Isola, e se il bastimento poteva entrare nel porto per fare ima piccola ripa razione alla macchina, alla quale il pilota rispose affermativamente. Allora si ritornò a bordo, ed il pilota dopo poco anche esso se ne salì a bordo; appena fu sul ponte, che con le pistole appetto l’obbligarono a confessare tutto ciò che gli chiedevano; dopo poco, si accostò al bordo il capitano del porto assieme ad un uffiziale militare, i quali furono invitali di salire a bordo; ma i suddetti dicevano che prima bisognava fare il costituto sanitario.

Allora due de' tre capi sono scesi, e subito imbarcati sulla lancia del capitano del porto, sempre con le armi alla mano, come pure dal bordo furono portati molti fucili. Vedendo questa maniera, furono obbligati di salire a bordo; allora subito si diressero al porto, ed ancorati appena, ci ordinarono di mettere in mare tutte le imbarcazioni, e dandoci delle armi, ci obbligarono a scendere i primi. In seguito calarono tutti gli altri congiurati, e solamente rimasero a bordo tre uomini armati, per essere padroni del legno: si diressero a terra con tre lance, ove giunti, sbarcarono tutti a terra gridando — riva la Repubblica, e fuori i rilegati. Subito cominciò un attacco con la guarnigione dell'isola; e dopo che s’impadronirono della gran guardia, io chiamai quattro de' nostri marinari di bordo, e mi ritirai con una lancia a bordo, da dove sentii che continuavano sempre de' colpi di fucile, sparsi quà e là. La lancia fu spedita di nuovo a terra, e s’incominciò lo imbarco di molta gente armata. Hanno condotto a viva forza il comandante dell’isola e la sua famiglia di unita ad altri due uffiziali regi, trattenendo tutti in arresto nelle stanze sino a che indussero il comandante a firmare un ordine che davasi alla guarnigione di cedere le armi, e la munizione, sempre minacciandolo della vita.

In seguito di quest’ordine, non avendo la guarnigione voluto cedere le armi, condussero seco loro il comandante, onde col vivo della voce inducesse la truppa che cedesse, sempre minacciandolo della vita.

Alle 11 della sera erano già saliti a bordo numero 400 individui all’incirca nella maggior parte armati, e tosto si partì da quel porto, dirigendo per la spiaggia di Sapri, dove siamo giunti la dimane sera verso le ore 9. Tosto si praticò lo sbarco di tutti coloro, che avevamo nel bordo, e con il loro pieno consenso tale operazione finita, alle ore 11 circa, mettemmo in molo, decisi di comune accordo co’ passeggieri rimasti dirigerci per il porto di Napoli, onde fare il nostro rapporto dovuto alle autorità locali.

Alle 10 siamo stati fermali da un colpo di cannone a palla tiralo da una fregata a vapore napolitana, che navigava di conserva ad un’altra.

D. Avete niente altro da aggiungere, o togliere alla deposizione fatta?

R. No signore.

D. Potete giurare che avete detto la verità?

R. Sì signore, e mi sottoscrivo — V. Rocci.

Il tenente di vascello Giovanni d’Ayala Valva.

Il cannoniere di 3. classe funzionante da Cancelliere — Pasquale Todisco.


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XII

Interrogatorio dell'equipaggio

A 29 giugno 1857.

Pietro Codale nostromo.

Nicola Alberiino dispensiere.

Giovanni Fromento timoniere fa segno di croce.

Agostino Rapallo timoniere.

Lorenzo Fromento timoniere fa segno di croce.

Giovanni Rebua idem fa segno di croce.

Girolamo Fromento marinaro fa segno di croce.

Girolamo Bertireli idem fa segno di croce.

Sirnone Picanci idem fa segno di croce.

Domenico Stralese idem fa segno di croce.

Prospero Bruciacaso idem fa segno di croce.

Claudio Barbieri idem.

Pasquale Casella idem fa segno di croce.

Ignazio Fromento idem fa segno di croce.

Prospero Sasini fuochista fa segno di croce.

Domenico Cevasca idem fa segno di croce.

Vincenzo Turbino carbonaro fa segno di croce.

Francesco Badino carbonaro fa segno di croce.

Luigi Rebua fuochista fa segno di croce.

Domenico Costa mozzo fa segno di croce.

Santo Codale idem fa segno di croce.

Giambattista Boffe cameriere.

Girolamo Trani idem.

Carlo Nucci cuoco.

Tutti i sunnotati individui formanti in parte l’equipaggio del Vapore genovese il Cagliari cui dal giorno 25 del corrente mese nel quale il detto vapore era ancorato in Genova, da dove ne partì la sera onde portarsi in Cagliari e Tunisi, asseriscono essere accaduto a bordo dal momento della partenza tutto quanto ha deposto e fatto relazione il passeggiero Dottor Mascarò, ed in verità del vero segnano il loro nome come sopra.

Il tenente di vascello — Giovanni d’Ayala Valva.


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XIII

Interrogatorio di Errico Watt

A’ 29 giugno 1857.

D. Qual è il vostro nome?

R. Errico Walt.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Enrico Walt e Maria Cane.

D. Che età avete?

R. Anni ventisette, — nato in Newcaslle.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Macchinista.

D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari?

R. Essendo il macchinista di questo vapore genovese chiamalo il Cagliari, la sera del 25 corrente mese, trovandoci nel porto di Genova, dopo imbarcati molti passeggieri, partimmo verso le sette, dopo circa due ore dalla partenza trovandomi io sul ponte, vidi diverse persone armate con pistole e stili, che si diressero al capitano del vapore, dicendo di essere padroni del bastimento, e dirigere dove a loro piaceva. Diversi marinari imbarcati da passeggieri s’impossessarono del timone. In questo mentre, diverse persone armate di pistole mi obbligarono di calare abbasso la macchina. Indi quattro di loro armati calati nella macchina mi portarono una lettera scritta in inglese e senza firma che tuttavia conservo, con la quale mi si obbligava di essere dal canto loro per tutto ciò che in essa si contiene. Fui minacciato di essere massacrato di unita al mio secondo, se mi negava. Fui obbligato di accettare. Il vapore camminò a mezza macchina per quattro ore della notte. La mattina uno de' capi volle sapere da me la quantità di carbone che ci era abbasso, gli risposi, che vi erano per 50 o 60 ore di cammino.

Il giorno seguente incontrammo una squadra inglese di cinque vascelli e due vapori, ed io col mio secondo fui obbligato di scendere a basso, ove mi chiusero tutti i portellini del bordo, onde evitare qualunque segnale che avessi voluto fare.

Verso le cinque del giorno giungemmo all'isola di Ponza, dove alzata la bandiera del pilota, questi dopo poco giunse in una barca, e fu obbligato di salire a bordo da molti degl'insorti che lo minacciavano della vita.

Ancorammo nel porto, e tosto calarono a terra armati molti passeggieri rimanendo a bordo tre persone armate, onde non salire nessuno in coverta.

Sentivamo da bordo molte fucilale, che si tiravano a terra, e dopo poco finite queste, cominciarono a venire a bordo molte barche con gente armata, che imbarcavamo, e giunti al numero di 400 all'incirca, all'una dopo la mezzanotte partimmo, dirigendo per una delle coste del Regno di Napoli (come sentivamo dire).

L’indimani sera alle nove circa, giungemmo sulla spiaggia di Sapri, dove si sbarcò tutta la gente armata, rimanendo a bordo chi voleva. E ci fu ordinato di non far rumore con la macchina, onde non attirarci l'attenzione degli abitanti della marina.

Terminato lo sbarco, alle ore 11 circa partimmo, e se. condo i detti del capitano si diresse per Napoli, onde rimpiazzare il carbone, e dare conoscenza alle autorità competenti di quanto si era passato a bordo del vapore sin dalla partenza da Genova.

D. Avete niente altro da aggiungere a quanto avete asse

R. No signore.

D. Potete giurare?

R. Si signore, e mi sottoscrivo — Errico Watt.

Il tenente di vascello — Giovanni d’Ayala Valva.

Il terzo Cannoniere Cancelliere — Pasquale Todisco.


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XIV

Interrogatorio di Carlo Park

29 giugno 1857

D. Qual è il vostro nome?

R. Carlo Park.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Figlio di Carlo Park, e di Caterina Gous.

D. Che età avete?

H. Di anni 21.

D. Qual é la vostra condizione?

R. Macchinista, come secondo, a bordo.

D. Qual è la vostra patria?

R. Londra.

D. Come vi trovate a bordo del vapore il Cagliari?

R. Mi trovo imbarcato da secondo macchinista, e di quanto si è passato a bordo di questo vapore dal giorno 25 di questo corrente mese che partimmo da Genova, mi uniformo perfettamente a quanto à fatto relazione il primo macchinista Watt, e ciò sino al momento che dirigendo per Napoli, fummo incontrati dai vapori napolitani di guerra.

D. Avete niente altro da aggiungere?

R. No signore.

D. Potete giurare su quanto avete asserito?

R. Si signore, e mi sottoscrivo. Carlo Park.

Il tenente di vascello Giovanni d’Ayala Valva.

Il cannoniere di terza classe da cancelliere Pasquale Todisco.


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XV

Interrogatorio di Giuseppe Daneri

29 giugno 1857.

D. Qual è il vostro nome?

R. Giuseppe Daneri.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Cavalier Giuseppe Daneri e Rosa Boncaivano.

D. Che età avete?

R. Anni ventotto.

D. Dove nato?

R. A Fincialmarino dello Stato Sardo.

D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari?

R. Di passaggio per Cagliari per affari commerciali, mi imbarcai il giorno 25 su questo vapore che trovavasi nel porto di Genova.

Partimmo la sera alle 7 circa, ed alle ore 8 ½ io era in coverta; calai a basso, onde cenare. In questo mentre sento precipitarsi un uomo, il quale gridava rivoluzione, rivoluzione: a questo mi fu inibito di salire in coverta da un uomo vestito di rosso, ed armato con pugnale e pistola, che chiuse il passaggio a lutti onde salire in coverta.

Intesi chiamare ripetutamente il mio nome, e scesero altri due uomini armati. Mi condussero in coverta, ed avanti vidi il capitano del vapore, circondato da molti individui armati e vestiti di rosso, i quali m'imposero di prendere il comando del vapore. Io cercai di rifiutarmi; ma obbligato di accettare a forza a prendere il comando del vapore. Allora dimandando consiglio dal capitano, lui mi rispose — contro la forza ragion non vale — Allora uno de' capi, che nominavano Pisacane, mi prese per il braccio, e mi condusse nello stanzino del capitano, e con una pistola in mano mi disse: Voi siete un buon giovane, e non dovete temere di nulla purché facciale a modo nostro; ma se per qualunque evento il vapore non sarà ben diretto al punto che noi vogliamo, la vostra vita sarà la prima ad essere sacrificata. Indi m'indicò il punto, dove io doveva condurli, a venti miglia di distanza dal paese di Sestri di levante sulla rotta che percorrono i vapori, che da Genova vanno a Cagliari; aggiungendo, che in quel punto noi dobbiamo trovare due barche cariche di armi, munizioni, ed uomini, i quali dovevano unirsi a loro.

Allora cercai di portarli in questo sito, ma non trovandovi le due barche, rimanemmo in quelle acque tutta la notte, marciando a mezza forza — Alla mattina, mi si ordinò di far rotta pel capo Corso; indi essendo alla distanza di 10 miglia circa, vedemmo un brigantino, che abbordammo, e venendo a conoscere che era carico di grano, che veniva da Odessa, di bandiera napolitana, proseguimmo la rotta per Montecristo, onde far legna, giacché i macchinisti asserivano che non vi era carbone sufficiente pel viaggio da farsi. Giunti alla distanza di circa 25 miglia da Montecristo, verso il ponente, scorgemmo una squadra inglese di cinque vascelli, e due vapori; allora i capi della rivolta hanno mandato a basso tutto l'equipaggio del vapore, e pochi passeggieri, obbligandoli con la forza a rimanervi, e si prosegui la rotta per Cagliari. Passala la flotta, scesero nella carboniera, e rassicuratisi della quantità del carbone, decisero di fare rotta per Ponza.

Praticarono una visita al bastimento, e rinvenute varie casse di armi, se ne impossessarono, di unita ad un recipiente di polvere, e si organizzarono a loro modo.

Verso l’imbrunire giungemmo a Ponza, dove si chiamò il pilota con la bandiera a prua. Questi dopo poco giunse, e fattolo salire, gli si obbligò con minacce della vita a dire la guarnigione dell'isola. In seguito di che ancorammo nel porto, ed io in compagnia di due de' capi nominati uno Nicotera e l’altro Falcone (io credo) mi condussero a terra, con la patente di sanità per prendere pratica. Appena sceso a terra, si sentirono grida e fucilate, e quei pochi sergenti si misero a correre verso il paese. Io rimasi li solo sul molo, che gli altri fuggirono al seguito de' due capi: rimasi colà, finché cessate le fucilate, passò una barca del nostro bordo, m’imbarcai e venni a bordo. Il vapore si riempiva di gente armata, che venivano da terra, e giunte verso le H della sera al numero di un 400 allo incirca, mettemmo in moto, e fui obbligato dirigere sopra Sapri, dove giunti l'indomani sera alle circa, sbarcammo tutta la gente armata che volle.

Gli ultimi a scendere furono gl’insorti a bordo dopo la partenza da Genova.

Terminato di calare, tutti di consenso con tutti gli altri rimasti a bordo, si partì prendendo la direzione di Napoli.

D. Avete nient’altro da aggiungere o togliere a quanto avete riferito?

R. No signore.

D. Potete giurarlo?

R. Si signore, e mi sottoscrivo.

Giuseppe Daneri di Giuseppe.

Il tenente di vascello Giovanni d'Ayala Valva.

Il cannoniere di terza classe P. Todisco.


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XVI

Secondo interrogatorio di Giuseppe Daneri

Oggi che sono 11 luglio 1857.

Io Giovanni d’Ayala Valva, tenente di vascello, della Real marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata sulla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal RetroAmmiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni di particolar servizio di Sua Maestà il Re (D. G.), ed assistito dal cannoniere di terza classe Pasquale Todisco, funzionante da cancelliere;

Ho fatto venire in mia presenza il signor Giuseppe Daneri, di condizione marittimo, imbarcato da passeggiere sul detto vapore qui ancorato; ed in seguito dello interrogatorio da questo subito il giorno 29 giugno, ho proceduto alle seguenti domande.

D. In seguito di quanto avete asserito, di aver preso il comando del vapore Cagliari, obbligato dagl'insorti, perché non cercaste con tutti i mezzi possibili, allora quando si praticò lo sbarco in Ponza, di lasciare quel porto, e riferire tutto l’accaduto a chi si doveva?

R. Approdato col vapore in Ponza, io fui imbarcato nella lancia con due de' capi, che mi condussero a terra per dare il costituto: appena posi piede a terra si sentirono fucilate e grida, e restai solo, abbandonato dalla lancia, finché, cessate le fucilate, passò una lancia di bordo, che chiamai per farmi condurre a bordo.

Arrivato a bordo trovai il bastimento pieno d’insorti, ai quali il mio dovere era solamente quello di ubbidire.

D. Che cosa sapete della scorridoja Reale esistente nel porto di Ponza?

R. Ho veduto ancorata nel porto una barca, che il pilota mi disse essere la scorridoja Reale; e poi ho inteso dire che la scorridoja era stata sfondala.

In riguardo ai viveri, armi, e munizioni da guerra, ne ho veduto gran copia a bordo distribuirsi tra loro gl’insorti, ma non conosco niente se le dette appartenevano alla scorridoja, oppure provvenienti da terra.

D. Avete nient'altro da aggiungere o togliere a ciò che avete riferito si nel primo interrogatorio, che in questo secondo?

R. Che io mi ricordi, no; e confermo, di nuovo, quanto ho detto ne’ sopraccennati interrogatori.

D. Potete giurarlo?

R. Si signore, lo giuro, e mi sottoscrivo.

Giuseppe Daneri di Giuseppe.

Il tenente di vascello Giovanni d’Ayala Valva.

Il cannoniere di 3. classe da cancelliere P. Todisco.


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XVII

Giornale di navigazione del Cagliari

Fra le altre carte rinvenute sul detto piroscafo veniva assicurato un registro di fogli n. 20 in carta da bollo di Genova numerati dal console di Marina di Genova, portante il titolo Giornale nautico del 'piroscafo ad elica Cagliari comandato dal Capitano SITZIA Antioco. Lo stesso ha fogli scritti n. 7.

Nel foglio 5. a tergo al foglio 7. a tergo vi è scritto ciò che segue.

Giovedì 25 giugno.

S’imbarcano merci diverse, si prepara il bastimento per la partenza alle ore 6 pronti avendo a bordo n. 33 passeggieri diretti per Cagliari e Tunisi. Alle 7. p. m. partiti con calma di mare e piccolo vento al nord facendo rotta al S. E. alle ore 8. p. m. si rese la guardia. Poco dopo il capitano essendo di prima guardia ordinava al nostromo di bordo di fare aprire il boccaporto di prora per dar ricovero ai passeggieri di 3. classe.

In questo frattempo il capitano trovavasi alla veglia di prora; a sinistra fu assaltato da un gruppo di rivoluzionari armati di pistole e stili, guidandolo a poppa, e gridando a nome della repubblica italiana di cedere il comando a forza, altrimenti ne andrebbe la vita di tutto l’equipaggioe passaggieri della destinazione di Cagliari e Tunisi; del che trovandoci convinti dalla forza armata fummo prigionieri dei suddetti, e guidarono il bastimento a loro volontà, con fare assumere il comando del bastimento ad un passeggiere per nome Daneri Giuseppe al quale ordinavano l’istessa nostra rotta di S. N. E., e sentimmo avrebbero trovala una barca carica di munizioni da guerra con 60 uomini.

Sino alla mezza notte intesimo sempre fare diverse rotte e segnali con dei fuochi. Vedendo che alla mezza notte furono inutili le loro ricerche, dirigevansi pel Capo Corso.

Venerdì 26 giugno 1857 alle 12 a. m. presero la determinazione di dirigersi per l’Isola di Ponza. Alle ore 11. a. m. avendo osservata una squadra inglese composta di 9. grossi legni ci misero rinchiusi con guardia armata. Appena passata la suddetta ci lasciarono salire sul ponte, e fu continuata l’istessa direzione tutta la notte.

Sabato 27 giugno 1857.

Continuando la stessa rotta, il capo di detta congiura ordinò una visita nelle stive del bastimento, e trovarono n. 7 casse di fucili ed altre armi che erano dirette per Tunisi al sig. Paolo Cassanello, e se ne impadronirono. Alle ore 4. p. m. giunti all’isola chiamarono il pilota a bordo, e lo fecero salire facendogli palesare ogni cosa colle armi alla mano: poscia giunto a bordo il comandante del porto lo assaltarono nella barca facendolo salire a bordo a forza, si fecero condurre nel porto subito e ci ordinarono di armare tutte le lance obbligando anche noi ad imbarcarci e far parte dello sbarco fatto alle ore 5. Assaltarono il paese; gridando viva la Repubblica e fuori i rilegati; si batterono e vinsero la forza di detto paese; subito imbarcarono circa 400 prigionieri ed altre armi prese in detto paese.

Domenica 28 giugno 1857.

A 4. ore a. m. si parti dirigendo per il golfo di Policastro ove si navigò cosi tutto il giorno; alle ore 8. a. m. si approdò alla spiaggia tra Policastro e Sapri ove attuarono lo sbarco generale di tutti i nominati, lasciandoci a bordo n. 3. feriti appartenenti alla loro compagnia; appena fummo liberi partimmo diretti per Napoli navigando a cognizione sino a mezza notte.

Lunedì 29 detto.

Alle ore 9. a. m. incontrate due fregate napolitane, le quali c’imposero di fermarci ed ordinarono al capitano di portarsi a bordo con tutte le rispettive carte. Pertanto vennero a bordo e ritirarono tutte le armi le quali si compongono come segue.

Due casse di canne di fucili in n. 50 per cassa, n. 8. fucili a due colpi; n. 7. ad un colpo ed una carabina del capitano; n. pistole, una sciabla, quantità di n. 20 razzi. Un pacco polvere ed un sacchetto terra.

Alle ore 11 una delle dette fregate ci prese al rimorchio, e ci tenne tutto il giorno in aspettativa dell’altra.

Alle ore 7 p. m. giunta l’altra andiedero a parlamento e cì ordinarono di smorzare i fuochi alla macchina, poscia si prese la direzione del golfo di Policastro. Si naviga con calma di mare e vento sempre a rimorchio di detta, così sino a mezza notte.

Martedì 30 giugno 1837.

Alle ore a. m. giunti al luogo così detto Policastro ho ricevuto l’ordine di mollare il rimorchio di dritta e prepararci per dar fondo, poscia il nostro rimorchiatore ricevette l’ordine di non ancorare; si stette cosi sino a giorno essendo calma perfetta; alle ore 4 e a. (m)si ancorò poco distante da terra ove le due fregate attivarono lo sbarco delle truppe.


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XVIII

Piano de' ribelli

Copia. Partenza da Genova 10 giugno, 6 p. m.; alle ore 10 ovvero circa a 40 miglia dal porto si esegue la sorpresa del vapore. Il Cagliari percorre circa miglia l’ora, il giorno 11 alle 10 del mattino si troverà nelle acque di Montecristo. Vi si eseguirà il trasbordo degli uomini e delle armi. La barca partirà tre giorni prima del vapore. Due ore pel trasbordo, alle 12 si ripone in cammino. Arriva a Ventotene e Santo Stefano alle 5 del mattino, e forzando un poco la macchina potrebbesi giungere anche alle 4 a. m. Avviso con la terra ferma non ve ne é alcuno, quindi il caso più sfavorevole sarebbe quello che alle 5 del mattino, per caso, partisse da Gaeta un vapore: i vapori vanno sempre a Ponza; ma ponghiamo il caso che si dirige a Ventotene, non vi giungerà che verso mezzogiorno, quindi se vi corre il minimo dubbio, alle 10 bisogna esser partiti. Vi sono state 8 ore di tempo per eseguire la liberazione, e l’imbarco de' prigionieri. Da Ventotene percorrendo comodamente 8 miglia l’ora si sbarca a Sapri verso 10, o 11 ore della sera.

Come può sapersi la nuova? Se la scorridoja è a Ventotene certo non partirà. Supponghiamo che vi giunge da Ponza, appena noi siamo partiti alle 10, ritorna immediatamente a portare la nuova, vi vogliono almeno ore; giunge a Ponza all'1 p. m. Il telegrafo segnala a Gaeta, da Gaeta a Napoli, da Napoli alle 2 si parte una fregala a vapore, non giungerà sulla nostra rotta che alle 5, noi avremo già percorso da 70 miglia, epperò avremo oltrepassato di 20 miglia le bocche piccole di Capri.


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XIX

Altro piano de' ribelli

In Ponza essendovi il telegrafo bisogna giungervi a notte, regolando la rotta in modo da giungervi di sera. Non si corre neppure il rischio di esser veduti in un’ora, che fossero ancora in tempo da segnalarne a Gaeta l’arrivo.

Il telegrafo si distrugge affatto, quindi appena giorno da Gaeta, accorgendosi di un tal fatto spediscono un vapore; al più presto questo vapore (se vi è a Gaeta) partirà alle cinque del mattino e giungerà circa le dieci. Se assicuratosi del fatto ci corre dietro, noi essendo partiti alle cinque pure avremo quattro ore di vantaggio, aggiungi l’incertezza della direzione, e non resta dubbio alcuno che potesse raggiungerci. Sia niun capitano, prenderà su di sé tale determinazione: egli tornerà immediatamente a Gaeta, e segnalerà a Napoli l’accaduto. Tutto procedendo con una rapidità inconcepibile, alle due dopo mezzogiorno salperanno da Napoli due tre fregate per darci la caccia: di queste quella che passando per le bocche piccole, si dirigerà in vi giungerà alle sei di sera, ed a tale ora noi ci troveremo in ovvero fuori pericolo.

Quindi ci rimangono dalle nove alle cinque otto ore per fare le operazioni a Ponza, ma per maggiore precauzione è buono fare più presto.

Facciamo una ipotesi (quasi impossibile): noi partiamo; a Ponza si danno all'opera alacremente, ristabiliscono il telegrafo, segnalano a Gaeta — Vapore partito coi relegati — da Gaeta si segnala in Napoli — da Napoli partono le fregate — al più presto alle sette di mattino quella che percorre la rotta vi giungerà alle undici: noi ci troveremo in z — ancora in pericolo. Dunque se vedremo la possibilità di ristabilire il telegrafo, allora è d’uopo partire da Ponza sei ore prima, in tal caso ci troveremo in y, ovvero partire da Ponza alle undici. Non avremmo allora che due ore di tempo le quali sa rebbero sufficienti. Ma 1.° considerando che il vapore forzando un poco potrà fare più di otto miglia l’ora; considerando che possiamo giungervi particolarmente se il tempo é coverto alle otto; considerando che questa rapidità di avvisi e determinazioni è favolosa; noi possiamo contare quattro o cinque ore a nostra disposizione, ed esser certi del risultamento.

Nel primo caso, si sbarcherebbe verso mezzanotte vicino Sapri.

Nel secondo, alle sette o otto ore di sera.

Il vapore partirà da Londra con venti uomini armati, duecento fucili, ed un poco di munizione. — Nelle acque dell’isola di Licosa prima di entrare nel canale di San Bonifacio, troverà una goletta con altri quindici uomini armati, dodicimila cartucci, e forse qualche altro numero di fucili, se Giorgio li darà.

Nel caso più favorevole, arriveremo a Ponza in quaranta armati, con trecento fucili e ventimila cartucci.

Nel caso il più sfavorevole, vi giungeremo in venticinque armati con duecento fucili, e poca munizione.

Nel caso che le cose sono come quelli hanno scritto, e le cose nostre vanno bene, noi sbarcheremo con cinquecento uomini armati e muniti forse di due pezzi di artiglieria: ed altro numero di uomini disarmati.

Se tutto va malissimo, e che i rilegati non vogliono venire, noi sbarcheremo con venticinque armati, e duecento fucili. — Primo vantaggio, ci troveremo nel regno ove vorremmo andare. — Secondo. Avremo di fatto introdotto i fucili che da tanto tempo non è possibile introdurne. — Terzo. Daremo un impulso alla Basilicata che dicesi pronta ad insorgere. —Quarto. E se nessuno muove? Creperemo.


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XX

Dichiarazione rinvenuta su i cadaveri de' rivoltosi

Noi qui sottoscritti dichiariamo altamente che avendo tutti congiurato d’impossessarci del vapore il Cagliari, ci siamo imbarcati come passeggieri, e dopo che eravamo due ore lontano da Genova, abbiamo impugnato le armi e forzalo il capitano e tulio l’equipaggio a cedere il comando del vapore. —Il capitano e tutt'i suoi vedendoci decisi piuttosto di perire che di cedere, hanno fatto quanto era in loro potere per evitare lo spargimento del sangue, e tutelare gl'interessi dell'Amministrazione. Eravi a bordo, come passeggierò per Cagliari, il capitano marittimo Daneri, avendolo saputo l'abbiamo costretto a prendere il comando: egli ha ceduto alla forza, né poteva fare altrimenti sprezzando le calunnie del volgo, stretto dalla giustizia della causa, e dalla gagliardia delle nostre armi, ed operiamo da iniziatori della rivoluzione italiana.

Se il paese non risponderà al nostro appello, noi senza maledirlo sapremo morire da forti; seguendo le nobili falangi de' martiri italiani. Trovi in altra nazione del Mondo uomini che come noi s’immolano alla sua libertà, ed allora solo potrà paragonarsi all'Italia benché sino ad oggi ancora schiava.

Sul vapore — Sul Cagliari alle ore 9 ½ di sera de' 25 giugno 1857.

Firmati — Carlo Pisacane — Giovanni Nicotera — Giovan Battista Falcone — Barbieri Luigi di Sicilia — Gaetano Raggi di Sicilia — Achille Pomari — Cesare Fardone — Poggi Felice di Sora — Gagliani Giovanni di Sora — Rolla Domenico — Ludovico Nigromonti di Orvieto — Foschini Federico — Cesare Cori di Ancona — Metarci Francesco da Sensi marinajo — Sala Giovanni—Lorenzo Giannone — Filippo Fajella — Giovanni Canriellani — Domenico Massone di Ancona — Pietro Nuestari.

Noi sottoscritti dichiariamo eziandio che avendo scoverto dopo una perquisizione, che a bordo vi erano sette casse di armi ce ne siamo impadroniti; esse contenevano tre casse di boccacci di 25 ognuna, tre di fucili a due canne di 20 ognuna, ed una cassa di semplici canne — Carlo Pisacane — G. Focher 2. sergente — E di Lilala foriere — G. de Sangro — V. Conte.


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XXI

Una parte dell'interrogatorio di Giovanni Nicotera

Estratto dallo interrogatorio di Giovanni Nicotera figlio di Felice di S. Biase provincia di Catanzaro subito nel di luglio 1857 innanzi al procuratore generale del Re in Salerno.

Ritornato Pisacane in Genova il 20 o 21 del ripetuto mese (giugno) delle opera di trovar denaro per via di soscrizioni nel fermo proponimento di provvedersi di bel nuovo di armi e muovere per Sapri il giorno 25. Infatti si acquistarono altri cento fucili, e s’imbarcarono di unita a 20 Romagnuoli su di un battello Genovese il quale doveva raggiungere il vapore a trenta miglia da Genova. Sla per fatalità questo non rinvenne quello, per cui tenutosi consiglio fra' capi, si deliberò assalire il capitano e la ciurma ed impossessarsi delle armi nonché della munizione che eravi sul legno: dietro di che si chiese al comandante dello stesso lo stato delle mercanzie imbarcate per vedere se e quante armi vi erano, ben conoscendosi che i vapori postali solcano portarne in Tunisi. In realtà si rinvennero sette casse, delle quali tre con 75 due colpi, altrettanti con 60 tromboni, e la settima contenente canne smontate che fu lasciata sul vapore. Dopo ciò praticato venne presa la risoluzione di sbarcare per sorpresa in Ponza, disarmare la poca guarnigione, impadronirsi delle sue armi, prender seco quanti rilegati e soldati delle compagnie di guarnigione più si potesse, e muovere verso Sapri. Riuscito felicemente questo, tentativo ed impadronitosi Pisacane ed i suoi compagni di circa 70 fucili militari si diressero a Sapri, dopo però aver perduto 63 due botte, e circa 30 tromboni che rimasero in mano di quei fra i rilegati di Ponza, i quali non vollero imbarcarsi. Discesi in Sapri nella notte del 28 al 29 non vi rinvennimo la forza armata ecc. ecc.


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XXII

Interrogatorio di Cesare Cori

Oggi che sono li 29 giugno 1857.

Io Giovanni d’Ajala Valva Tenente di Vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante Superiore de' Reali Legni armati di particolar servizio di S. M. il Re (N. S.) ed assistilo dal Cannoniere di 3. classe Pasquale Todisco da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza un passeggiere arrestato che trovavasi ferito sul vapore il Cagliari, ed ho proceduto alle seguenti domande:

D. Qual è il vostro nome?

R. Cesare Cori.

D. Che età avete?

R. Di anni 25.

D. Qual è la vostra Patria?

R. Ancona.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Figlio di Giovanni Cori, e di Rosa.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Marinaro mercantile.

D. Come vi trovate a bordo del vapore Cagliari?

R. M’imbarcai a bordo del vapore Genovese il Cagliari l'ultimo giovedì decorso nel porto di Genova, onde portarmi a Tunisi per travagliare.

D. Come vi trovate ferito?

R. Non appena partiti dal Porto di Genova, (onde portarmi a Tunisi per travagliare) — dico che la sera, quindici o venti persone armate, imbarcate da passaggieri, che parlavano l’italiano, incominciarono a gridare Viva la Repubblica, in seguito di che scoppiò una rivolta — Tosto si diresse per l’Isola di Ponza, dove giunti l’altro ieri verso sera si praticò uno sbarco di persone armate, le quali obbligavano tutta la gente di bordo a calare armati a terra, io fui obbligalo di tanto fare — Giunti a terra e non avendo voluto calare nel paese, gli sbarcati mi tirarono da terra un colpo di fucile, in seguito di che arrivai a salvarmi a bordo del vapore colla lancia — Il Capitano del vapore conoscendo la mia innocenza del fatto accaduto, mi à dato un letto.

D. Cosa sapete della gente armata che rimase a terra?

R. Conosco per detto che loro a tutti coloro che trovavano a terra obbligavano di lasciare le armi, e dargli nelle loro mani i carcerati dell'Isola— Verso notte vidi in coverta quantità di gente armata, indi partimmo, e sentivo dire che si dirigeva per Calabria — Questa notte si è eseguito uno sbarco di gente armata sopra di una spiaggia, essendo rimasto sul vapore l'equipaggio del bordo e pochi passaggieri, dopo di che abbiamo messo in molo per andare a Napoli e nella rotta vi abbiamo incontrati.

D. Avete altro da aggiungere o togliere?

R. Non Signore.

D. Potete giurare ciò che avete asserito?

R. Sissignore — E non sapendo scrivere fo segno di croce j

Il Cannoniere di 3. Classe da Cancelliere — Pasquale Todisco — 11 Tenente di Vascello — Giovanni d'Ayala Valva.


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XXIII

Interrogatorio di Amilcare Bonomo

Oggi li 29 giugno 1857.

Io Giovanni d’Ayala Valva tenente di vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ora ancorata nella spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni armati di particolar servizio di S. M. il Re N. S., ed assistito dal cannoniere di 3. classe Pasquale Todisco da cancelliere ho fatto venire in mia presenza un passaggiero ferito che trovavasi sul vapore genovese il Cagliari, ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Bonomo Amilcare.

D. Che età avete?

R. Di anni 28.

D. Qual è la vostra patria?

R. Milano.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Bonomo Giuseppe mio padre, e Teresa Zenani mia madre.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Bisciottiere.

D. Come vi trovate a bordo del vapore il Cagliari?

R. L’ultimo giovedì scorso m’imbarcai a bordo del vapore genovese il Cagliari che trovavasi nel porto di Genova onde portarmi in Cagliari. La sera partimmo da Genova dirigendo per Cagliari, e durante il viaggio accadde una sommossa tra la gente di bordo, dopo che si diresse all’isola di Ponza dove vi giungemmo la sera seguente. Non appena colà giunti 15 o 20 persone all’incirca essendo armate con armi che il vapore trasportava in Tunisi praticarono uno sbarco nell’isola ed io rimasi sul bordo del vapore.

D. Che sapete dello sbarco della gente armata che trovavasi sul vapore?

R. Niente, dappoiché non calai con loro, ma solamente essendosi riempilo il detto Vapore di altra gente armata, venuti da terra, alcuni di essi mi volevano baciare, io mi negai; la sera partimmo da Ponza e sentiva dire a bordo da tutti che dovevasi praticare un altro sbarco sopra di un’altra isola. Ieri sera si eseguì lo sbarco nel quale io non volli prendere parte alcuna. Rimanendo a bordo l’equipaggio, pochi passaggieri, dopo di che il vapore pose in moto per Napoli.

D. Come vi trovate ferito?

R. Nel mentre si eseguiva lo sbarco di ieri sulla spiaggia da me sconosciuta, mi si voleva obbligare di calare a terra con tutti, ed essendomi negato a questo m’intesi ferito alla testa ed al fianco, e così perdei i sensi. Non volli calare a terra con loro onde non associare il mio nome a quelli di tanti malfattori relegati.

D. Avete null'altro da aggiungere?

R. Nossignore.

II detto individuo non può firmarsi, o far croce giacché caduto in un abbattimento di sensi.

Il cannoniere di 3. classe da cancelliere Pasquale Todisco.

Il tenente di vascello Giovanni d’Ayala Valva.


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XXIV

Notamento d'armi rinvenute sul piroscafo il Cagliari

Fucili a due colpi per uso di caccia a selice numero. 7
Fucili a due colpi a percussione 5
Boccacci a mano a selice 4
Pistole a percussione 2
Fucili di caccia a percussione 4
Fucili di munizione guarniti in ferro 2
Carabina a percussione 1

I suddetti fucili sono mancanti di alcuni pezzi al completo.

Due casse contenenti numero 100 canne di fucili nuovi per uso di caccia.

Sciabla una, mancante del fodero.

Napoli 6 luglio 1857.

Il RetroAmmiraglio maggior generale — Firmato Gaves. Per copia conforme — Il Direttore del Ministero e Real Segreteria di Stato della Real Marina — A. Bracco.


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XXV

Estratto dal ruolo di equipaggio

Visto Genova 25 giugno 1857.

Buono per Cagliari e Tunisi con persone 30 di equipaggio, e 33 passaggieri.


XXVI

Autorizzazione particolare pel trasporto delle armi

Genova 2 giugno 1857.

Ha caricato col nome di Dio a buon salvamento in questo porto di Genova Giuseppe Fabiani quondam Michele, per conto e rischio di chi spella, sotto coperta del piroscafo nominato Cagliari comandato dal capitano A. SITZIA sardo, le sotto marcate mercanzie asciutte, intiere, bene condizionate, e numerate, come in margine (B. E. C. F.) armi 449 1451 974) per essere condotte in questo presente viaggio nella stessa condizione in Tunisi, e consegnate al signor Paolo Cassanello contro il nolo di niente affatto, essendo il tutto qui stato pagato, ed in obbligazione di ciò, il suddetto capitano ha firmate queste con altre consimili da valere ad un solo effetto—Dio l’accompagni a salvamento—Dico Casse 7 marcate, numerale, come in margine, contenenti armi in tutta buona condizione, ed in peso chilogrammi 974. — Giuseppe Fabiani quondam Michele — Domenico Baccigalupa cancelliere. Buono per imbarco—Visconte


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XXVII

Stato delle merci imbarcate sul Piroscafo il Cagliari. Genova per Tunisi li 25 giugno 1857

G. E.

8 pezzi legno mogano G. Fedriani
B. F.

7 armi P. Gas sanello
M. S.

2 A. pepe M. Selbau
O.




M. S.

2 carte da gioco idem
»

4 A. nocciuoli idem
S.

1 collo tessuti di lana Andine
G. L. S.

4. 0 sacchi riso Andine
S. R.

3 pezzi di legno idem
Mothien

1 scatole mode Cav. Mothieri



7 colli armi P. Gassanello



1 involto canapaccio idem
P. C.

1 cesto pasta idem
F. N.

2 barili Bluem. frat. Messine
M.




E. C. C.

1 collo droghe Andine
Ind.

1 scatola casablina idem
G. F.

1 A. caffè G. Fedriani
Cerciola

1 scatola cappelli L. Ceutota
Lanzuratti

1 crinolini Andine
A. B.

2 profumerie P. Ronfigli
Signale

2 scatola lingerie G. Vignale

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XXVIII

Stato delle merci imbarcate sul Piroscafo

Genova per Cagliari li 25 giugno 1851

M.

12 zucchero G. Montaldo
A. D.

50 caffè A. Dodero



7 chiodi di ferro G. P. Perla
G. B.

2 barili terra rossa)



1 cesto droghe ) Birochi



1 collo sale purgante)
D

30 sporte sapone fratelli Dodero
E

6 zucchero B. Bogerio
D

23 fusti idem Fratelli Dodero



79 fusti tabacchi R. Dogana
F.

60 orzo L. Gatroo
Ind.

25 colli mobiglia D. Dogane
A. D.

1 collo padelle di ferro B. Gais
»

1 chiodi di ferro E. Gapua
R. F.

4 botti zucchero Andine
Ind.

1 panno blu F. Crivellali
T.

1 barile ferro lavorato A. Moul f.
0.

50 cuoja salate Chiariessa
Ind.

1 piego carte d’affari Masseni
X.

15 legaggi caffè Andine
R. F.

15 idem R. Franico
M. V.

1 pezzo tubo di piombo G. Chieressi



1 collo corda di canape idem



43 verghe ferro Cas. Racco
E. R.

1 specchi Gali padre
»

1 quadri idem



1 mercerie idem
AD

1 fusto vuoto A. Dodero
X

20 botti zucchero Andine
A. A.

2 seggiolini G. Azara



1 tavolo rotondo idem



1 lavanda idem
Ind.

1 ferramenti A. Slemori



2 idem idem



2 idem idem
X D

1 essenza fratelli Dodero

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XXIX

Verbale del reperto delle carte di bordo compilato dal Procuratore Generate presso la Gran Corte criminale del Principato Cifra

L’anno 1857, il giorno 12 luglio in Napoli.

Noi Francesco Pacifico Procuratore Generale del Re presso la Gran Corte criminale di Principato Citra, e primo agen le della polizia giudiziaria, e facoltato per ordine superiore a conferirci ovunque il bisogno lo richieda, per l’istruzione sugli avvenimenti di Ponza, e di Sapri, assistito dal vice segretario della Procura Generale signor D. Michele Rienzi.

Essendo stato consegnato dal signor Direttore del Ministero e Real Segreteria di Stato di Grazia e Giustizia un sacco chiuso contenente tutte le carte rinvenute a bordo del piroscafo il Cagliari, a lui trasmesso dal signor Direttore di Marina; e volendo procedere alla verifica, descrizione, e reperto delle carte medesime, abbiamo fatto venire innanzi a noi i seguenti quattro individui, perché i primi due venissero adoperati da periti nell’atto da eseguirsi, e gli altri due ci assistessero come testimoni.

Abbiamo in seguito ad essi fatto prestare il giuramento dalla legge prescritto; ed i primi due han giurato di dire la verità, e di fare la loro dichiarazione sul loro onore e sulla propria coscienza.

E del pari gli altri due han giurato di dire la verità, e di deporre per la verità su tutto ciò che loro verrà richiesto.

De’ due periti, uno ha detto chiamarsi.

1.° Domenico Volpe fu Vincenzo, di anni 40, ligalore di libri, e quivi domiciliato, vico Loffredo n.° 5.

2.° D. Tommaso Lieto di Michele, Tipografo, di anni 31, di Napoli, e quivi domicilialo al detto vico n. 8.

I testimoni poi hanno indicalo nel seguente modo i loro connotati personali, cioè:

1. Giuseppe Infusini del fu Nicola, di anni 48, ebanista, di Napoli, domiciliato nel detto vico Loffredo n. 14.

2. Michele Peracca fu Raffaele, di anni 34, falegname, di Napoli, domiciliato in detto vico n. 14.

Mostrato ai due testimoni il sacco intero, han riconosciuto con noi di non esservi alterazione né sulla cucitura, né sul suggello apposto alla fune che lo chiude.

Richiesti i periti a farci la descrizione dello stesso sacco, han risposto nel seguente modo.

Il sacco che ci mostrate è di tela bruna, precisamente di quella, di cui usano i marinai per farne tende, dell'altezza di due palmi e due once, e cucito in sul lato dalla parte interna, e sotto vi è un fondo formato da un pezzo della stessa tela, di figura circolare, e colla cucitura esistente dalla parte interna; la estremità è chiusa con fune, e su di essa vi è un suggello con impronta di sigillo uffiziale, ma non contiene l’impressione della leggenda: lo stesso sacco trovasi nella integrità dopo la chiusura, perché la cucitura e l’impronta non è stata menomamente alterata.

Tagliando la detta fune, ci abbiamo rinvenuto i seguenti oggetti.

1. Un portafoglio grande di latta, dell’altezza di un palmo e quarto, di larghezza un palmo, e di ruoto un quarto di palmo, contenente diverse carte, che abbiamo estratte.

Invitali i periti a fare la descrizione del detto portafoglio, e ad indicarne la destinazione, han dichiarato come segue.

Il portafoglio, o astuccio che ci mostrate ha le dimensioni di un palmo e quarto di altezza, di un palmo di larghezza, e la capacità interna di un quarto di palmo; si chiude come astuccio, e si forma con ciappa, che può chiudersi con ferro, col maschio, o altrimenti.

Usano di esso i padroni di barca, ed i comandanti di vapore. — Nel mezzo, con lettera di color giallo, vi è scritto — Cagliari.

Le carte che in questo astuccio si contengono, sono le seguenti.

1. Una carta chiusa a forma di lettera, il di cui esteriore presenta scritte queste parole — Documenti da scaricarsi, e riportarsi in Cagliari. Aperto lo stesso foglio vi si è rinvenuto altro foglietto, che contiene la richiesta del Direttore delle dogane e porto franco di Genova, d'imbarcare del tabacco.

2. Un foglietto di carta con dichiarazione, a bordo del Cagliari, il 28 giugno 1857, in versi scritti numero ventotto, oltre le sottoscrizioni, che sono quelle de' capi rivoltosi Carlo Pisacane, Giovan Ballista Falcone, e Giovanni Nicotera.

3. Un plico aperto da un lato, diretto a Massoni, agente de' vapori postali Sardi in Cagliari colla griffa del Direttore dei vapori sardi sul mediterraneo — Rubattino. — Nel detto plico si contengono un foglio della data 25 giugno 1857, scritto da Raffaele Rubattino a Massoni, e gli partecipa la partenza del Cagliari il giorno 25 da Genova per Cagliari, e per Tunisi, ed altra lettera chiusa scritta a Marcello Massoni, che, aperta, si è verificato contenere altre due lettere, oltre quella che le racchiude.

Le lettere contenute sono dirette a Cristofaro Racchi, ed a Luigi Ruggiero in Cagliari; si versano tutte sopra oggetti di commercio.

4. Un plico chiuso alla direzione di Frediani, Agente de' vapori postali Sardi in Tunisi, colla griffa della Società Rubattino.

Aperto il dello plico, vi si è rinvenuto il foglio d’invio firmato da Raffaele Rubattino, e tre lettere chiuse dirette a Monsignore Valenzi, a Raffaello Scavallino, ed a Domenico Mangano in Tunisi.

Quella diretta a Mangano contiene altre due lettere, e tutte parlano di oggetti di famiglia, e nulla presentano d’importanza, come del pari quella scritta a Raffaele Scavallino. — La lettera a Mons. Valenzi ne contiene altre tre, una per un tale Lombardi, Lamanna e Felir, le altre due dirette allo stesso, delle quali una scritta in arabo. Le lettere suddette parlano di affari particolari, e nulla presentano d’importanza, meno quella scritta in arabo che non si comprende.

5. Il ruolo di equipaggio del piroscafo denominato Cagliari, di fogli numero dodici in istampa; i fogli a n. 2. 3. 4. e 5 tutti scritti, meno i fogli 5. v.° e 6. r.°, 10. r.° e v.° 11. e 12. r.° e v.° — L’ultimo visto del console è della data di Genova del 25 giugno, per la partenza per Tunisi di 30 persone di equipaggio e 33 passeggieri.

6. Due manifesti di sortita di mercanzie dati dalla Dogana di Genova il 25 giugno 1857.

7. Due lettere di carico per una cassa di cristallo lavorata.

8. Quattro bolle di circolazione ossia lascia passare, rilasciate a 25 giugno.

9. Una bolla per esecuzione di uscita.

10. Tre bolle a pagamento a stallaggio — Una bolla a pagamento di asportazione, ed un’altra di partenza.

11. Venticinque lettere di carico. —Più, altre otto.

12. Lo stato nominativo de' passaggieri imbarcati sul pacchetto a Vapore Cagliari il dì 25 giugno a Genova, al numero di 33, oltre 30 dell’equipaggio.

13. Otto carte di passaggio rilasciate a Sander, a D. Francesco Mascarò, a Carlo Venturino, a Cesare Cori, a Giuseppe Luchi, ad esso Eligio, a Vincenzo Donadei, ed a Giov. Domenico Durando.

14. Ventotto bollette di diverse specie.

15. Una patente di sanità rilasciata il 25 giugno 1857 a Genova.

16. Un foglio di dispacci spediti dalla posta di Genova per Cagliari e per Sassari.

17. Un libretto di fogli di stampa numero 4, relativi il primo e secondo ai passaggieri, il terzo ed il quarto alle mercanzie ed oggetti, con una una sopravveste in istampa, coll'intestazione — Manifesto del viaggio.

2. Tre libri di carta per scrivere, per i quali, richiesti i periti a farne la descrizione, ed indicarne la destinazione, ci hanno risposto essere della dimensione di un palmo e terzo di lunghezza, per un palmo circa di larghezza, e di 60 fogli circa per ognuno, e la destinazione di essi è a registri di amministrazione di uffizj, ed altro.

Esaminando lo stato materiale di detti registri, abbiamo verificato, che sopra uno si legge — Tunisi 1857 e sotto Genova— Contiene fogli scritti num. 6 perché il rimanente è in bianco— Comincia il primo foglio n.° colle parole spese fatte; contiene versi scritti numero ventinove e termina colle parole: al cuoco. Comincia il foglio 1.° colla parola retro, e termina coll’altra guanti. —Contiene fogli scritti, oltre le cifre numeriche fol. 10. Anche 10 versi come il precedente contiene il foglio 2.° il solo secondo 1. è in bianco. Il fol. 3. r. contiene versi numero 29 e comincia colla parola merci, e termina colla parola a conto.

Il detto fol. 1.° contiene versi scritti, di cui l’ultimo a lapis n. 7.

Il foglio 4 contiene versi scritti n. 18 comincia colla parola merci, e termina coll’altra ristori. Il detto foglio 1. contiene versi scritti n. 30, comincia colla parola merci e termina coll’altra idem.

Il foglio 5. contiene versi scritti num. 29, comincia colle lettere G. C., e termina colla parola temersi. Detto foglio 1. contiene versi scritti n. 28 comincia colle parole e, ec e termina colla parola disegno.

Il folio 6. contiene versi scritti n. 29 comincia colla parola indi, e termina coll'altra Livorno. Detto folio 1. contiene versi scritti n. 27 comincia colle parole indi caninali, e termina coll’altra Pignoli.

Il 2. registro viene scritto sull’esterno colle parole Movimento del personale. Nell’interno, incollato sul cartone che covre il registro, vi è uno stato dimostrativo scritto per versi n. 21. 'Questo registro contiene fogli 50, giusta la indicazione in fine.

Contiene fogli 12 relativi a pagamenti del personale.

Il terzo registro finalmente è per fogli meno voluminoso degli altri.

Tiene fogli scritti num. 4, coll’indicazione delle merci imbarcate in Genova dal maggio in sino al 25 giugno inclusivo. Quelle imbarcate in Genova sono indicate per versi scritti num. 10 nel foglio 4. e per versi scritti n. 26 sul foglio 4.

3. Un registro di fogli numero 20, in carta di bollo in Genova, numerati dal Console della Marina di Genova, colla intestazione del piroscafo ad elice Cagliari, comandalo dal Capitano SITZIA Antioco. — Ai fogli scritti n. 7 comincia dal 25 maggio e termina al 30 giugno, nel foglio 7 vi sono scritti versi numero 12.

4. Una pergamena — Mostrata la stessa ai periti — Han detto di essere un foglio di pergamena di palmi 2, per pal. 1 ½ circa; che tali pergamene sono destinate per patenti, per diplomi ed altri oggetti simili.

Abbiamo in effetti verificato che é la patente di nazionalità del legno.

5. Un involto ligato con funi impeciale contenente diversi libretti in forma di portafogli, altre carte, delle stampe, e qualche registro.

Sciolto l’involto, vi abbiamo rinvenuti i libretti di matricola n. 18 intestali a Nicolò Luigi Maria Rebua, a Pietro Felice Codalc, a Lorenzo Fromento, a Pasquale Antonio Casella, a Claudio Pietro Barbieri, a Domenico Stuchese, ed Antioco SITZIA, ad Ignazio Fiumento, a Giacomo Nicolò Albertino, a Giovanni Fromento, a Girolamo Fromento, a Giuseppe Agostino Maria Daneri, a Salvatore Domenico Agostino Rapollo, a Vincenzo Rocci, a Simone Pecunia, a Girolamo Bartirotli, a Domenico Costa, ed a Giovanni Rebua.

6. Un libretto scritto di fogli 17 contenente memorie sulla scienza della navigazione, e di libri necessari a bordo non che di quanto possa esser necessario al componimento di un legno, con tutte le sue distinzioni — Comincia colla parola Memorie e termina co’ numeri 4 e 43.

7. Altro libretto manoscritto di fogli n. 15 contenente simili notizie intorno ai legni da navigazione, non che viaggio da Genova a Cagliari, tavola di Loch, e spese — Comincia colle parole Trovare il peso, e termina co’ num. 25 e 13.

8. Un foglio in grande stampato coll’intestazione — Stato nominativo de' passeggieri.

9. Un libretto stampato nei primi sei fogli, che racchiude il regolamento per gli operai di mare, e la intestazione a Battista Bolfa, e tre altri fogli e mezzo manoscritti.

Lo stampato comincia Carlo Felice, e termina colle parole del padrone, indi la firma di Antonio Bianchi—Lo scritto comincia F. Deslioh Sindaco, e termina G. Filippi.

10. Un portafoglio, in cui sono cuciti varii foglietti in bianco, se non che otto versi scritti alla 1. pagina, ed altre notizie e nominati alle tre ultime; come pure altri numeri alla parte interna di due fogli, che formano la covertura; nelle barrette si sono rinvenuti 1. un biglietto di visita di Patellani Raphael D. medicine e chirurgie. 2. Una lettera scritta su di un pezzettino di carta, contenente notizie di famiglia incomincia amatissimo figlio, e termina tuo affino padre che ti ama orz. D. 3. Un biglietto stampalo in lingua inglese, che comincia THE, e termina CHESTS: — A. Una lettera diretta da una donna a nome Anna Boccia al capitano SITZIA.

11. Un foglio di carta stragrande colla intestazione conti, pani, e panatico dell’equipaggio del Castore.

12. Altro stato delle paghe e panatiche dell’equipaggio del piroscafo Cagliari dal 16 al 31 ottobre 1854.

13. Altro stato simile per febbraio 1855.

14. Altri due per maggio e giugno 1854.

15. Un foglio contenente lo stato nominativo dell’equipaggio del piroscafo Cagliari in novembre 1854 alla campagna di Oriente.

16. Un inventario del piroscafo il Cagliari in due fogli di carta imperiale.

17. Un passaporto rilasciato dal Governo Sardo addì 20 ottobre 1832 Domenico Cecusio.

18. Un foglio di giornale Lamaza del 16 novembre 1856.

19. Un foglio di giornale Corriere mercantile stampato a Genova come il precedente del 1 ottobre 1850, in cui fra l’altro vi è un articolo del Moming post, su i moli di Sicilia.

20. Un libretto di oggetti provvisti al vapore da Michele Vitelli.

21. Quarantuno fogli di carta racchiusi in una fascia, colla intestazione Corrispondenza officiale colla Compagnia delle saline di Sardegna.

22. Cento e cinque lettere dirette per la maggior parte al capitano del vapore, e relative ad affari particolari — Più, sei sopraccarte.

23. Ventuno biglietti d’imbarco rilasciati per lo viaggio a farsi dal Cagliari a 25 giugno 1857 rilasciati per trentatré persone.

24. Trentaquattro pezzetti di carta più o meno larghi contenenti ricevi, conti, ed altre notizie.

25. Quattro fogli di carta cuciti scritti per una metà, e per un’altra pagina, colla intestazione — Armeé d'Orient, copie de la charte partic. Cagliari — Cap. SITZIA.

26. Due bolle di pagamenti di entrata.

27. Un libretto di tre foglietti stampato a Cagliari il 1850, contenenti orazioni in onore della Vergine Assunta.

28. Una nota di spese per riparazioni occorse al legno il Cagliari.

29. Una circolare per l’illuminazione de' legni ad ogni bastimento a vapore, in tre fogli stampali.

30. Dieci libretti stampali a Londra, di quattro foglietti ognuno.

31. Un foglio d’istruzioni pel Capitano Silzia dato dalla compagnia Rubattino a maggio 1855.

32. Un memorandum in istampa contenente l’indicazione di articoli soggetti.

33. Un modello di lista di passeggieri in istampa, sfornito, senza l’indicazione.

34. Un invito alla Compagnia trans-Atlantica.

35. Un foglio di stampa contenente la patente di Capitano di 2. classe, rilasciata a Vincenzo Rocci.

36. Un foglio di stampa contenente manifesto di passeggieri imbarcati sul Cagliari, pel viaggio per Malta de' 22.

37. Un certificato d’iscrizione rilasciato dall’autorità del porto di Ancona a 11 febbraio 1851 a Cesare Cecri.

38. Un foglio di carta grande stampato, contenente il conto del capitano SITZIA coll’Amministrazione, della data 17 gennaio 1855.

39. Un certificato di permanenza rilasciato a Giovanni Nicotera della data 10 marzo 1853 dal Questore di Torino.

40. Un passaporto rilasciato dal Governo Sardo a Francesco Badino.

41. Un foglio contenente nota sul controllo.

42. Sei carte stampate strappate da libri di romanzi francesi.

43. Un foglio della data di Malta del 28 novembre 1856, contenente indicazione di oggetti imbarcati.

44. Un passaporto rilasciato dal Governo Sardo a Girolamo Traci.

45. Due manifesti di un ottico di Moravia.

46. Due note di pagamenti fatti ad individui di equipaggio e di conto.

47. Una charte partic. in un foglio.

48. Un passaporto rilasciato dal Governo Sardo a Vincenzo d’Urbino.

49. Altro foglio di carta relativo anche a navigazione.

50. Una nota di Baziar.

51. Un manifesto di sortita rilasciato dalla Dogana di Genova a 25 maggio 1857.

52. Un foglio di conteggio di mare.

53. Altre due note di pagamenti in due fogli.

54. Una istruzione stampata per rimbarco e trasporto di cavalli e muli.

55. Un notamento di somme da pagarsi in novembre.

56. Un verbale di consegna in due fogli, contenente un rapporto.

57. Altro verbale del 22 marzo 1856.

58. Un foglio indicante il modo di far seguire imbarco e disbarco.

59. Altro foglio di spedizione.

60. Altro foglio d’imbarco.

61. Un biglietto in istampa rilasciato dall’amministrazione sanitaria.

62. Una fattura di generi.

63. Un estratto rilasciato dal Proconsolato di S. M. Sarda alla goletta di Tunisi de' 6 novembre del 1856.

64. Una cambiale da Costantinopoli a Marsiglia per 1270 franchi sopra i fratelli Amò.

65. In fine, un involtino di carte contenente fogli 10 anche relativi ad affari di commercio e navigazione.

66. Un registro di fogli a metà in cui vien riportata la indicazione delle spese di mare.

Terminata la verifica, e la descrizione de' diversi oggetti, abbiamo formato due incartamenti di tutte le carte.

Nel primo si contengono tutte le carte rinvenute nel portafogli: nell’altro quelle rinvenute nell’involto.

Di tutti i registri si è formato altro incartamento.

Il portafogli si è involto in una carta chiusa con cera lacca, sopra imponendovi un suggello, la di cui impronta simile a quella impressa nel presente verbale.

Delle matricole de' marinari si è del pari formato involto chiuso suggellato a cera lacca, siccome il portafogli.

Non essendovi altro a praticare, i detti incartamenti ed involti si sono consegnati al Vice Segretario, e si è formato il presente verbale, che viene firmato da tutti gl’intervenuti da noi, e dal Vice Segretario —Seguono le firme.


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XXX

Interrogatorio di Luciano Marino

Allora (cioè sul piroscafo) uno di quei forestieri che si spacciava per Conte rispose con sorriso — Fratelli statevi allegramente, perché noi abbiamo fatto molto per liberarvi, ed abbiamo dovuto usare un inganno per impossessarci di questo vapore dove siamo, e raccontò che era stato nel seguente modo. — Il vapore era in Genova approdato per andare in Tunisi per oggetto di commercio. Noi che siamo emigrati genovesi e romani, col nostro generale Pisacane ci abbiamo fatto rilasciare i passaporti regolari per Tunisi, e giunti in alto mare impugnate le armi verso il capitano, ed i marinai e gli abbiamo obbligati a rivolgere il legno verso l'Isola di Ponza, ed animandoci a stare allegramente continuammo il cammino.


XXXI

Interrogatorio di Rosa Mascarò

Oggi che sono 11 luglio 1857.

Io Giovanni d’Ayala Valva tenente di vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ora ancorata nella spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni di particolare servizio di Sua Maestà il Re (D. G.), ed assistito dal cannoniere di terza classe Pasquale Todisco da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza la signora Rosa Mascarò, ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Rosa Mascarò figlia di Emmanuela Geimba, e di Giuseppe Allegro.

D. Ch’età avete?

R. Di anni trentotto all’incirca.

D. Qual è la vostra patria?

R. Genovese, nativa di Tunisi.

D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari?

R. Il giorno 25 del corrente m’imbarcai a bordo di questo bastimento, che trovavasi in Genova, onde portarmi in Tunisi diunita con mio marito. Alle sette della sera siamo partiti, e dopo di un’ora all'incirca, diverse persone armate di stili e pistole, gridavano rendetevi, rendetevi, che il vapore è nostro. Dopo di questo, mi dicevano, non temete, non temete, mandandomi con mio marito abbasso. Calarono abbasso nel nostro locale tre de' capi armati, e mi dicevano di non temere giacche loro volevano unicamente salvare l’Italia, e delle persone da bene, asserendo che gli era sufficiente che il capitano si rendesse. Dopo di questo, é calato il capitano spaventato dalla sommossa, accompagnato da molti degl'insorti, essendo obbligato da questi di non salire più sopra. È stato chiamato il capitano Daneri, e gli dissero che lui doveva essere il capitano. Sentiva dire che si doveva andare a prendere della buona gente rilegata per causa politica. L’indomani sera siamo arrivati al porto di Ponza. Si è alzata la bandiera del pilota, ch'essendo venuto, l’obbligarono di salire a bordo, minacciandolo di ammazzarlo: dopo di questo, due individui con uniforme regio, venuti sul bordo, furono ugualmente obbligali di salire a bordo, ed immediatamente furono mandati abbasso. Molti degl’insorti, da bordo si portarono a terra tutti armati, ed immediatamente si sentiva da terra un rumore di fucilate, e grida. Verso la mezza notte, il vapore era. empito di gente armata, e subito partimmo. — La sera seguente, verso le nove giungemmo sopra di una spiaggia dove furono sbarcati tutti gl'individui imbarcati a Ponza, da circa quattrocento, e la maggior parte de' passeggieri imbarcati in Genova, e seguito lo sbarco, mettemmo in movimento, ed, a detto del capitano, si dirigeva per Napoli onde rimpiazzare il carbone, e dar parte di quanto era accaduto a bordo sino dalla partenza da Genova.

D. Avete nient’altro da aggiungere o togliere a quanto avete asserito?

R. No signore.

D. Potete giurarlo?

R. Sì signore, e mi sottoscrivo.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Moglie del medico cerusico Francesco Mascarò.

Firmati — Rosa Mascarò.

Il tenente di vascello Giovanni d’Ayala Valva— Il cannoniere di terza classe da cancelliere. — Pasquale Todisco.


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XXXII

Interrogatorio di Giulio Schneider

Oggi che sono li luglio 1857.

Io Giovanni d’Ayala Valva tenente di vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ora ancorata sulla spiaggia di Sapri, dietro Online verbale del Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore dei Reali Legni di particolare servizio di Sua Maestà il Re (D. G.) ed assistito dal cannoniere di terza classe Pasquale Todisco da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza il signor Giulio Schneider ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Giulio Schneider.

D. Che età avete?

R. D’anni trentaquattro.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Giuseppe Remardo Schneider, ed Anna Maria.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Carrozziere, e sellajo.

D. Qual è la vostra patria?

R. Bologna.

D. Come vi trovate a bordo del vapore Genovese il Cagliari?

R. Il giorno 25 corrente m’imbarcai a bordo di questo bastimento che trovavasi in Genova, onde portarmi in Tunisi.

Verso sera il vapore ha messo in moto, essendosi allontanato dieci miglia circa mi trovava a poppa, in quel mentre si sentiva un forte grido di molte persone con arme in mano, pistole, stili: ferma, ferma, scendete a basso, dopo questo dimandavano, che cosa è questa chiasso, dicevano non temete niente, che noi siamo venuti per liberare l’Italia, poi hanno preso il capitano con forza, e condottolo avanti di noi passeggieri, asserivano che il comandante non aveva più alcun potere, e che essi erano padroni del tutto del bastimento. Indi dirigemmo per l’isola di Ponza dove vi giungemmo verso sera tra le cinque o le sei. — Colà giunti, si alzò la bandiera del pilota, il quale venuto con una barca, l’obbligarono di salire a bordo minacciandolo della vita. Indi giunse il capitano del porto con un uffiziale regio, i quali furono obbligati anche per forza di salire a bordo. — In seguito di che cominciarono a calare a terra numero venti o venticinque individui armati con armi da fuoco, ed in questo mentre io, e varii altri passeggieri diunita all'uffiziale regio, ed il capitano del porto fummo messi a basso senza poter salire in coverta. Il vapore si riempiva di mano in mano di gente armata proweniente da terra, e verso mezzanotte circa, essendo venuti a bordo quattro in cinquecento individui, siamo partiti dal porto di Ponza dopo di aver lasciato il capitano del porto e l’uffiziale regio. Secondo mi hanno detto, si andava a sbarcare in Salerno, e verso la sera del giorno seguente, giunti ad una spiaggia che dicevano essere di Sapri, tutta la gente armata se ne calava a terra, dopo che il vapore partì, e per detto del capitano, si dirigeva per Napoli onde rimpiazzare il carbone, e dar parte alle autorità competenti di quanto si era passato a bordo del suo vapore dal momento della partenza da Genova.

D. Avete niente altro da aggiungere a quanto avete detto?

R. No Signore.

D. Potete giurare quanto avete asserito?

R. Sì Signore, ed in attestato del vero mi sottoscrivo. Firmato — Jules Schneider.

Il tenente di vascello — Giovanni d’Ayala Valva.

Il cannoniere di terza classe da cancelliere, Pasquale Todisco.


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XXXIII

Interrogatorio di Francesco Mascarò

Addì 29 giugno 1851.

D. Qual é il vostro nome?

R. Francesco Mascarò.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Figlio di Giovanni Mascarò.

D. Che età avete?

R. Anni cinquantatré circa.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Medico chirurgo.

D. Qual è la vostra patria?

R. Spagnuolo, e naturale di Maone.

D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari?

R. Il giorno 25 del corrente m’imbarcai a bordo di questo legno, che trovavasi nel porto di Genova, onde portarmi in Tunisi. Verso le 7 di sera mettemmo in moto: dopo di una ora in circa, in mezzo delle grida e del rumore mentre era situato alla poppa del detto Vapore di unito alla mia consorte ed altri passeggieri, vidi comparire il capitano in mezzo a diversi individui con berretti rossi, in cui appoggiavano delle pistole, e de' stili.

Domandai di che cosa si trattava, e senz’altra risposta mi fu imposto di scendere senz’altro nella camera, giunto con gli altri passeggieri, amminacciandomi di non farlo, di servirsi della violenza. Dopo pochi momenti, un capitano passeggiero, che trovavasi nella camera, scesero i rivoluzionari imponendo al detto capitano, contro le minacce, a prendere il comando del detto vapore. Il detto capitano si negò, ma fu obbligalo con le minacce della vita: dopo di che si diresse per l'isola di Ponza, dove vi giungemmo verso la sera. Si alzò immediatamente la bandiera dei pilota, che, giunto, fu obbligato di salire, di unita con un uffiziale regio.

In seguito, essendo al numero di venti all'incirca, si portarono a terra tutti armati.

Fecero imbarcare a viva forza il secondo, ed il pilota, come parimenti il nuovo comandante del vapore, imponendoci a noi di non muoverci dalla stanza.

Dal bordo sentivamo de' colpi di fucile a terra, e dopo diverso tempo di questo disordine a terra, comparivano parecchie barche cariche di gente, e verso la mezza notte essendo a bordo, al numero di circa quattrocento, partimmo dall'isola.

Sentivamo dire a bordo, che si andava a sbarcare nella spiaggia di Sapri.

Verso la sera del giorno seguente, giungemmo sopra di una costa, dove si esegui lo sbarco di quasi tutti quelli imbarcati da passeggieri, e gli altri imbarcati a Ponza, essendo rimasti de' primi, due feriti, ed uno che apparentemente aveva delle convulsioni, onde evitare di proseguire gli altri armati.

Partimmo immediatamente, facendoci conoscere il capitano del Vapore andare a Napoli, onde fare il suo rapporto: nella via trovammo i due vapori da guerra napolitani.

D. Avete niente altro da aggiungere, o togliere a quanto avete asserito?

R. No signore.

D. Potete giurarlo?

R. Sì signore, ed in attestato del vero mi sottoscrivo. Francesco Mascarò.

Il tenente di vascello Giovanni d’Ayala Valva.

Il cannoniere di terza classe cancelliere G. Tudisco.


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XXXIV

Interrogatorio di Eligio Mò

Oggi che sono li luglio 1857.

Io Giovanni d'Ayala Valva tenente di vascello della Reale Marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorato nella spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni di particolare servigio di Sua Maestà il Re (D. G.) ed assistito dal cannoniere di terza classe Pasquale Todisco da cancelliere, bo fatto venire in mia presenza il signor Eligio Mò, ed ho proceduto alle seguenti dimande.

D. Quale è il vostro nome?

R. Eligio Mò.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Figlio di Giovanni e di Chiara Milbo.

D. Ch’età avete?

R. Di anni 40.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Verniciatore.

D. Quale è la vostra patria?

R. Torino.

D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari?

R. Il giorno 25 del corrente mese m’imbarcai su questo vapore che trovavasi nel porto di Genova onde portarmi in Tunisi. Verso la sera alle ore sette partimmo, e dopo di una ora venne a me un uomo armato con pugnale e pistole obbligandomi di calare abbasso con minacce di vita. Questi aveva un bonetto rosso: dopo mi sono coricato essendo calato nel mio locale molte persone armate che gridando dicevano di aspettare una barca con. arme, ed uomini che doveva raggiungerli. Verso notte del giorno seguente ci trovammo nell’isola di Ponza dove intesi che tutta la gente armata del vapore sarebbe calata a terra. Udii a terra de' colpi di fucile e delle grida. Molta gente armata veniva da terra dicendo appartenere agli ex militi. Verso le 11 partimmo da Ponza, e si voleva andare in traccia della barca colla gente armata. Nella sera del giorno seguente giungemmo sopra di una spiaggia dove sbarcammo tutti gl’individui armati che erano a bordo al numero di un 400 all'incirca, dopo di che siamo partiti, a detto del capitano si diresse per Napoli.

D. Avete nient’altro d’aggiungere o togliere?

R. No signore.

D. Potete giurarlo?

R. Si signore, e mi sottoscrivo—Firmato —Mò Eligio — Il Tenente di Vascello Giovanni d'Ayala Valva. Il cannoniere di terza classe da Cancelliere — Pasquale Todisco —


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XXXV

Interrogatorio di Giovandomenico Durando

Oggi che sono li luglio 1857.

Io Giovanni d'Ayala Valva tenente di vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ora ancorato nella spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni di particolare servizio di Sua Maestà il Re (D. G.), ed assistito dal cannoniere di terza classe Pasquale Todisco da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza il signor Giovandomenico Durando, ed ho proceduto alle seguenti dimande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Durando Giovan Domenico.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Figlio di fu Antonio Durando, e della fu Mariangela.

D. Che età avete?

R. Di anni trentaquattro all’incirca.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Sellajo o sia fabbricante di carrozze.

D. Qual è la vostra patria?

R. Vici provincia di Torino.

D. Come vi trovate a bordo del vapore Genovese il Cagliari?

R. Il giorno 25 del corrente mese, m’imbarcai su questo vapore che trovavasi nel porto di Genova onde portarmi in Tunisi. Verso le sette della sera partimmo, e dopo di un ora vennero armati di pugnali, e pistole due de' passeggieri imbarcati dirigendosi a me ch'era con altri, obbligandoci di calare abbasso con minacce di vita. In seguito sono venute altre persone armate a basso asserendo ch'erano vincitori assicurando tutti noi altri di non doverci prendere alcun timore. La sera giungemmo all'isola di Ponza. Tutti gl’insorti sbarcarono nel porto, ed immediatamente sentivasi da terra un fuoco di arme e molte grida. Principiarono a salire a bordo quantità di gente armata, e quando furono al numero di quattrocento incirca partimmo dirigendo secondo de' loro detti per la Calabria. — La sera del giorno seguente giungemmo sulla spiaggia di Sapri, dove sbarcarono tutti coloro imbarcati a Ponza, e la maggior parte de' passeggieri imbarcati a Genova. Terminato lo sbarco mettemmo in. moto, e secondo i detti del Capitano si dirigeva per Napoli.

D. Dovete nient’altro aggiungere o togliere?

R. Non signore.

D. Potete giurarlo?

R. Sì signore, e mi sottoscrivo.

Firmati — Durando Giovanni Domenico.

Il tenente di vascello — Giovanni d’Ayala Valva.

Il cannoniere di terza classe da cancelliere—Pasquale Todisco.


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XXXVI

Interrogatorio di Vincenzo Donadei

Oggi che sono li luglio 1857.

Io Giovanni d'Ayala Valva tenente di vascello della Reale Marina imbarcato sulla Real fregata a Vapore il Tancredi, ora ancorato sulla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni di particolare servizio di Sua Maestà il Re (D. G.), ed assistito dal cannoniere di terza classe Pasquale Todisco da cancelliere fatto venire in mia presenza il signor Vincenzo Donadei ho proceduto alle seguenti dimande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Vincenzo Donadei.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Figlio del fu Giuseppe Donadei e di Giovanna Grattanola.

D. Ch’età avete?

R. Di età 31.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Sellajo.

D. Qual è la vostra patria?

R. Torino.

D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari?

R. Il giorno 25 del corrente mese m’imbarcai su questo vappre che trovavasi nel porto di Genova onde portarmi in Tunisi. Verso le sette della sera partimmo e dopo di un’ora vennero armati di pugnali e pistole due de' passeggieri imbarcati dirigendosi a me che era con altri, obbligandoci di calare abbasso con minacce di vita. In seguito sono venute altre persone armate abbasso asserendo ch'erano vincitori ed assicurando tutti noi da non doversi prendere alcun timore, lo diunita ad altri mi andai a coricare. La sera giungemmo all’Isola di Ponza, tutti gl'insorti sbarcarono nel porto, ed immediatamente sentivasi da terra un fuoco di arme e molte grida e principiarono a salire a bordo quantità di gente armata, e quando si fu al numero di 400 in circa partimmo dirigendo a secondo de' loro detti per la Calabria.

La? sera del giorno seguente giungemmo sulla spiaggia di Sapri dove sbarcarono tutti coloro imbarcati a Ponza e la maggior parte de' passeggieri imbarcati a Genova. Terminato lo sbarco mettemmo in moto a secondo i detti del Capitano si dirigeva per Napoli.

D. Dovete nient’altro aggiungere o togliere?

R. No signore.

D. Potete giurarlo?

R. Sì signore e mi sottoscrivo — Firmalo — Donadei Vincenzo rIl tenente di vascello — Giovanni d’Ayala Valva — Il cannoniere di terza classe cancelliere — Firmato—Pasquale Todisco.


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XXXVII

Interrogatorio di Ferdinando Bornioli

Oggi che sono 11 luglio 1857.

Io Giovanni d'Ayala Valva Tenente di Vascello della Real Marina imbarcato sulla Reale fregata a vapore il Tancredi, ora ancorato sulla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali Legni di particolare servigio di Sua Maestà il Re (D. G.) ed assistito dal Cannoniere di terza classe Pasquale Todisco da Cancelliere ho fatto venire in mia presenza Ferdinando Bornioli ed ho proceduto alle seguenti dimando.

D. Quale è il vostro nome?

R. Bornioli Ferdinando.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Fu Cidono, e di Teresa Ravera.

D. Che età avete?

R. Di anni 36 all’incirca.

I). Quale è la vostra Patria?

R. Altane in Piemonte.

D. Qual è la vostra condizione?

R. Artista in Cristallo.

D. Come vi trovate a bordo del vapore genovese il Cagliari?

R. Il giorno 25 del corrente mese m’imbarcai nel porto di Genova onde portarmi in Cagliari, e di quanto è accaduto a bordo di questo legno fin dalla partenza da Genova che si avverò nella sera verso le 8 circa mi rimetto precisamente a quanto ha detto su di ciò l’altro viaggiatore signor Mascarò e ciò sino a quando incontrammo i vapori napolitani da guerra.

D. Avete nient'altro da aggiungere o togliere alla delta relazione?

R. No signore.

D. Potete giurare di aver detto la verità?

R. Si Signore, e mi sottoscrivo. Firmalo Ferdinando Bornioli — Il tenente di vascello — Giovanni d’Ayala Valva—Il cannoniere di terza classe da Cancelliere Pasquale Todisco.


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XXVIII

Interrogatorio di Giuseppe Santandrea

L'anno 1857 il di del mese di luglio.

Noi 2.° tenente D. Giovanni De Merich Commessario del Re dell’11.° Battaglione Cacciatori, assistilo dal 1.° sergente Francesco Bertucci. funzionante da Cancelliere.

Vista la necessità di procedere alla dichiarazione del qui sottoscritto individuo, ci siamo recati nel carcere, ove tenevasi assicurato, ed avendolo fatto venire alla nostra presenza in un luogo separato lo abbiamo interrogato.

D. Qual è il vostro nome, prenome, genitori, età, patria, domicilio e condizione?

R. Mi chiamo Giuseppe Santandrea di Castel Bolognese, Stato Pontificio, domiciliato in Marsiglia, di condizione Cameriere di vapore marino, di anni.

D. Diteci come vi trovate nella banda de' rivoltosi, quali erano le vostre idee, e svelate alla giustizia i vostri capi, le mene de' medesimi, e le operazioni che volevate mandare ad effetto. Promettete di parlare senza timore, e di dire tutta la verità; questa potrà ritornare a vostro vantaggio.

R. Capisco benissimo che per la mia vita é finito, ma voi mi parlate di clemenza, ed io vi rispondo per quello che so, e spero che vogliono aver pietà del mio stato.

Sappiate che io faceva residenza in Marsiglia per mezzo di continue istanze di un certo Pisacane, ed altri suoi aderenti dì Genova fui reclutato, ed ebbi delle somme per poter far parte de' rivoltosi da spedirsi nel Regno di Napoli. Fui informato che il giorno 1del passato giugno dovea sviluppare una rivolta generale in Genova e nel Regno di Napoli, ove molti aderenti erano di già pronti. Accettai di far parte della spedizione, e fui imbarcato con altri 20-24 individui su di un vapore mercantile, e conosceva che dovevamo trasferirci nelle Calabrie sotto la direzione di un certo D. Giovanni Nicotera, nostro Capo, e quella del Pisacane nostro Generale.

Conosco che in Genova un certo D. Raffaele Pace dello 17 stato Romano e propriamente di Faenza è uno de' fomentatori; egli distribuisce denaro, ed io n’ebbi.

Conosco vari Genovesi, i quali trattano di queste cose, ma non so come si nominano.

Siccome ho detto che il giorno 1 dovea succedere la rivolta generale, cosi fu noleggiato il legno in Genova dove io da Marsiglia mi era recato, e dopo che c’imbarcammo in alto mare i nostri Capi posero mano alle pistole, ed obbligarono il comandante del vapore, e ch'era stato ingannato a trasportarci, a mettersi sotto i nostri ordini. Egli schiamazzò, si vide sorpreso, giacché noi eravamo forniti di carte in regola, e siccome il suo equipaggio era di pochi uomini non potette opporsi e gli fu forza cedere. Fu visitato unitamente alle sue genti e gli si rinvenne un notamento di mercanzie, dove si lesse che avea a bordo molte armi, ed allora si costrinse a cedere, come di fatti egli pianse, ma le armi furono prese, cioè quelle che ci bisognavano, e ci provvedevano di alcuni fucili, e boccacci di che armammo la nostra forza. Fra noi vi era imbarcato un capitano di legno di cognome Daneri, il quale prese il governo del vapore senza bisogno dell'effettivo comandante che posso assicurare essere innocente di tutto. Quando sbarcammo in Ponza, dopo un breve conflitto fummo accolti da molti congiurati, i quali alle grida di Viva l’Italia, ci ricevettero con gioia, e questi erano delle polite genti, e 5 o 6 di essi vennero a bordo sul nostro vapore.

Alcuni pezzi di artiglieria ch'erano sul fortino di Ponza vennero da noi inchiodati, e le armi che potemmo capitare, le imbarcammo.

In Marsiglia conosco vari demagoghi, fra i quali un certo Giuseppe Cacace, Napoletano, ed un certo Truse, banchiere di Ferrara, il quale continuamente mandava denaro per alimentare i congiurati.

Eravamo certi trovar molti insorti nelle Calabrie, e ne avevamo chiare assicurazioni da D. Giovanni Nicotera.

Data lettura del presente atto al dichiarante, gli si è domandato se avea cosa da aggiungere, togliere, o modificare, ha risposto negativamente.

Ha quindi con noi firmato e col nostro Cancelliere — Giuseppe Santandrea.


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XXXIX

Interrogatorio di Eugenio Lombardi

Oggi che sono li 30 giugno 1837 — Io Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina comandante del distaccamento del suddetto corpo imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata alla spiaggia di Sapri dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti, comandante superiore de' Reali legni armati, per particolare servizio di S. M. (N. S.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento della Real Marina da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza l’arrestato evaso dall'Isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Eugenio Lombardi.

D. Di dove siete?

R. Di Napoli.

D. I vostri genitori?

R. Fu Domenico e Caterina Moia.

D. L’età?

R. Di anni 30.

D. La vostra condizione?

R. Ex militare congedato per cattiva condotta dalla gendarme ria.

D. Come dall’Isola di Ponza ove stavate rilegato siete venuto arrestato in questo Real legno?

R. Il giorno 27 nel dopo pranzo io mi trovava rinchiuso nelle prigioni di Ponza, allora quando intesi varii colpi di fucile, e dopo poco si aprirono le dette carceri, e sebbene io fossi infermo come tuttora mi trovo, pur tuttavia fui portato a forza a bordo di un vapore.

D. Giunto a bordo di questo vapore ne conosceste la bandiera, e la ragione per la quale voi foste condotto?

R. La bandiera del vapore era tricolore a strisce (Orizzontali, l'oggetto poi per cui era stato tratto dall'Isola di Ponza mi dissero, che esser doveva quella di difendere la libertà.

D. Giunto a bordo da chi riceveste le armi e munizioni, e cosa vedeste?

R. Il generalissimo della banda accompagnato dal comandante del vapore col quale stava in perfettissimo accordo, e che potrei benissimo indicarlo, incominciarono ad aprire delle casse di armi distribuendole a tutti tranne che io, che non volli accettare accusando la mia infermità; dippiù lo stesso capitano del vapore somministrò della polvere che sotto la sua direzione si ridusse a cartucci. Vidi poi che a bordo vi erano tre feriti e tre morti quali dal capitano del legno furono buttati a mare appena allontanatici da Ponza. Debbo aggiungere pure che lo stesso Capitano del legno la mattina del 28 mentre navigavamo scorgendo da lontano un altro vapore che lui supponeva essere da guerra con la bandiera Napolitana, ci obbligò a nascondere tutti, onde liberamente seguire la sua rotta, fece inoltre occultare i suoi cannoncini, e chiudere la portelleria.

D. Sapeste e da chi, il punto del vostro disbarco, e la strada da tenere?

R. Il punto del disbarco si disse essere stato prefisso sopra la strada del Cilento, ed il punto di riunione con i Calabresi Campotenese.

D. Quando giungeste in Sapri?

R. Si giunse in Sapri al cader del giorno 28, e si effettui lo sbarco a notte avanzata restando occultali per il corso della notte negli oliveti, quindi all'alba del 29 si fece l'ingresso in Sapri.

D. Quale accoglimento vi venne fatto dagli abitanti di Sapri?

R. La massima riserbatezza si manifestò in essi, restando chiusi nelle proprie case.

D. A che ora partiste da Sapri?

R. Dopo tal dimostrazione la colonna si pose in movimento per Torraca, alle ore 12 italiane.

D. A che ora giungeste in Torraca e quale accoglimento vi fu fatto dagli abitanti?

R. Si giunse in Torraca verso il mezzogiorno, il massimo disprezzo si manifestò verso gli abitanti del paese, ed io che fin dal principio era risoluto di sempre appartenere ai fedeli sudditi, ed ubbidire alle Leggi profittai di una favorevole occasione per allontanarmi da loro, e presentarmi volontariamente alle autorità locali, dalle quali sono stato qui spedito arrestato.

D. Avete altro d'aggiungere o togliere alla deposizione fatta?

R. No Signore essendo questa la verità, e quindi si è passato innanzi, e noi alla sottoscrizione del presente attestato—Eugenio

Lombardi — Errico Lari sergente del reggimento Real Marina da cancelliere — Leopoldo Lecaldano sottotenente del reggimento suddetto.


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XL

Secondo interrogatorio di Eugenio Lombardi

Oggi che sono li luglio 1837.

Io Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento] Real Marina, comandante il distaccamento del suddetto corpo, imbarcato sulla fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata nella spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti, comandante superiore de' Reali legni armati per particolare servizio di S. M. il Re (D. G.), assistito dal sergente Enrico Lari del corpo suddetto, da cancelliere, ed in seguito della dichiarazione fatta dall’arrestato evaso dall’isola di Ponza Eugenio Lombardi, il quale assicurava conoscere il comandante del vapore il Cagliari, ci abbiamo fatto venire alla nostra presenza il comandante suddetto, e posto in mezzo ad altri individui, lo abbiamo fatto riconoscere con le seguenti domande:

D. Diteci voi Eugenio Lombardi chi tra questi é il comandante del Cagliari?

R. Signore il comandante del Cagliari è questi (e nel così dire) ha indicalo effettivamente il signor capitano del Cagliari, D. Antioco SITZIA.

D. Diteci adesso voi Eugenio Lombardi, in seguito sempre della vostra prima dichiarazione, fu egli il signor Antioco SITZIA che in Ponza allorché voi ve ne fuggiste imbarcò tre morti?

R. Sì signore.

D. Fu egli il signor Antioco SITZIA, secondo la vostra antecedente dichiarazione, che unito al così detto vostro generale che apriva delle casse di armi facendone la distribuzione?

R. Sì signore.

D. Fu egli il Signor Antioco SITZIA, che ora vi sta innanzi, che cacciando della polvere la fece ridurre in cartucce, e quindi ne fece somministrazione alla vostra banda?

R. Sì signore.

D. Fu egli il Signor Antioco SITZIA, ora innanzi a voi, che mentre navigavate nello scorgere un Vapore da lontano, vi fece tutti abbassare e nascondere, onde libero proseguire la sua rotta?

R. Si signore.

D. Avete d’aggiungere altro ora che vi sta innanzi il signor Antioco SITZIA circa la sua condotta tenuta a bordo del Cagliari da lui comandato?

R. Signore, oltre alle cennate cose, dico, che tra lui, ed il generale passava un perfettissimo accordo.

D. Avete altro d’aggiugnere a quest'atto di ricognizione?

R. Niente altro ho d’aggiungere o togliere, essendo questa la verità. — Quindi in nostra presenza si è passato alla sottoscrizione del presente atto — Eugenio Lombardi — Errico Lari sergente del reggimento Real Marina— Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento della Real Marina.


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XLI

Interrogatorio di Battista Pasquale

Oggi che sono li 30 giugno 1857—Io Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina comandante il distaccamento del suddetto corpo imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ora ancorato alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni armati per particolare servizio di S. M. il Re (D. G.), ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza l’arrestato evaso dall’isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Battista Pasquale.

D. Di dove siete?

R. Succiano provincia di Teramo.

D. I vostri genitori?

R. Lorenzo e Teresa Valerio.

D. Quanti anni avete?

R. Anni 18.

D. Il mestiere?

R. Bracciale.

D. Per quale causa vi trovale in Ponza?

R. Per sfregio commesso.

D. Ditemi come dall’isola di Ponza vi trovate a bordo di questo Real legno?

R. Signore, posso assicurarvi che non posso rendervi conto atteso la bassa condizione mia ed il mio stato, cosa sia avvenuto di me, solo posso dirvi che il 27 nelle ore, del dopo pranzo stando all’isola di Ponza vidi giungere un bastimento che non ne conosceva la nazione, e quindi delle genti armate che con diabolico chiasso ed allegria di voci per me sconosciute, mi obbligarono di portare alcuni fasci di legna dalla terra sulla nave, ed ivi giunto mi venne inibito di più calare.

D. Ditemi, giunto a bordo, cosa vedeste, cosa sentiste, chi si fece vostro capo?

R. Signore al mio arrivo a bordo alcuno non si curò di me, solo sentiva nominare un generale, non vidi altro che somministrare armi, e dire cose per me sconosciute affatto. .

D. Conoscete il luogo del vostro disbarco, la direzione a prendersi?

R. Il luogo non ci venne detto, né tuttora lo conosco. Vi giungemmo all'imbrunire della notte del 28, e calammo a terra dopo circa un’ora. Restammo nascosti tutta la notte, ed al far del giorno, allorquando il generale metteva in movimento i suoi seguaci, io cercai di allontanarmene come mi riuscì, presentandomi poi alle autorità locali che mi hanno qui consegnato.

D. Avete altro d’aggiungere, o togliere a questa vostra deposizione?

R. Niente altro d’aggiungere o togliere, essendo questa la verità.

Firmato — Errico Lari sergente della Real Marina da cancelliere.

Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina.


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XLII

Interrogatorio di Giovanni Parrilli

Oggi che sono li 30 giugno 1857. — Io Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina, comandante del distaccamento del suddetto corpo imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ora ancorato nella spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti, comandante superiore de' Reali legni armati per particolare servizio di S. M. il Re (D. G.), ed assistito dal Sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza l’arrestato evaso dall’isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Giovanni Parrilli.

D. Di dove siete?

R. Capriata, provincia di Terra di Lavoro.

D. I genitori?

R. Fu Alessandro e fu Maria Telli.

D. L’età?

R. Di anni 24.

D. Il mestiere?

R. Campagnuolo.

D. Per qual causa vi trovate rilegato in Ponza?

R. Per omicidio.

D. Come dall’isola vi trovate arrestato su questo Real legno?

R. Il 27 verso le ore del dopo pranzo intesi de' colpi di fucile, e quindi alcuni forestieri armati che ad alta voce gridavano cose da me sconosciute, ed uno di questi approssimandosi a me, mi obbligò a caricare un barile di vino che m'indusse a portarglielo sino a bordo — Qui giunto mi spinse con la forza a restare con loro, dandomi un’arma da fuoco che non so affatto maneggiare.

D. Cosa sentivate dire a bordo?

R. Signore, attesa la mia infima posizione sociale nulla mi venne partecipato de' loro progetti, solo la notte del 28 verso le p. m., ci obbligarono a calare a terra in un paese a me sconosciuto, e che tuttora ignoro. Vi restammo appiattati tutta la notte, e la mattina del 29 poi la banda ponendosi in movimento io cercai di sfuggirli come mi riusci, e di presentarmi alle autorità locali che mi hanno qui condotto.

D. Avete altro d’aggiungere o togliere a questa vostra deposizione?

R. Niente altro ho d’aggiungere o togliere essendo questa la verità.

Firmato — Errico Lar sergente del reggimento Real Marina da cancelliere.

Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina.


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XLIII

Interrogatorio di Vincenzo Paparo

Oggi che sono 11 luglio 1857 — Io Leopoldo Lecaldano primo tenente del reggimento Real Marina, comandante il distaccamento del detto corpo imbarcato nella real fregata a vapore il Tancredi ora ancorala alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' reati legni armati per particolare servizio di S. M. il Re (D. G.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza un arrestato evaso dall'isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Vincenzo Paparo.

D. Di dove siete?

R. Di Guardavalli provincia di Catanzaro.

D. I vostri genitori?

R. Fu Giuseppe e Francesca Soma.

D. L’età?

R. Di anni 21.

D. La vostra condizione?

R. Muratore condannalo a Ponza perché bestemmiatore.

D. Come dall'isola di Ponza ove stavate rilegato siete qui venuto arrestato con un fucile a due colpi fra le mani?

R. Il giorno 27 giugno p. p. verso le 5 p. m. giungeva in Ponza un Vapore che sbarcando una ventina di uomini vestiti rossi con bandiera tricolore incominciarono a far fuoco, e ad incitare noi tutti alla rivolta ed evasione; per lo che io fui tra quelli ad imbarcarmi. Ciò lo feci dal perché ci veniva assicurato che saremmo ritornato liberi alle nostre famiglie. Ma mi disingannai allora quando giunto in Sapri il Vapore e calato a terra, intesi che avrei dovuto combattere contro il mio Sovrano. Quindi immaginai di allontanarmi da costoro come tanto eseguii tosto che mi riusci, ma disgraziata mente nel cammino che faceva onde recarmi a qualche autorità, mi si presentarono degli urbani i quali mi hanno arrestato, e qui condotto senza tener conto della mia spontanea presentazione.

D. Ditemi se il fucile a due colpi col quale siete venuto arrestato vi apparteneva, e da chi lo riceveste?

R. A me non mi è venuto data arma di sorta alcuna, né quell'arma mi appartiene; ma bensì dagli urbani è stata raccolta a terra da altri miei compagni, i quali si sono posti in fuga.

D. Ditemi le operazioni che vedeste durante il vostro viaggio?

R. Le operazioni furono quelle delle somministrazioni delle armi, della costruzione de' cartucci, e dell’avvertimento che ci fecero molti capi all'apparire di un Vapore, onde non esser veduti, e libero così proseguire il nostro viaggio.

D. Avete altro ad aggiungere o togliere da questa vostra deposizione?

R. Non ho altro da aggiungere o diminuire essendo questa la verità, ed in fede passo a sottoscriverla — Vincenzo Paparo — Errico Lari sergente del reggimento Real Marina da cancelliere. Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina.


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XLIV

Interrogatorio di Salvatore Barberio

Oggi che sono li loglio 1857.

Io Leopoldo Lecaldano 2.° tenente del reggimento Real Marina comandante del distaccamento del secondo corpo imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorato alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal sig. Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore dei Reali legni armati per particolare servizio di S. M. il Re (D. G.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento Real Marina da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza l’arrestato evaso dall’isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Salvatore Barberio.

D. Di dove siete?

R. Di Celico provincia di Cosenza.

D. I vostri genitori?

R. Di Michele e Michelangela Raniera.

D. L’età?

R. Di anni 21.

D. La vostra condizione?

R. Ferrajo condannato all’isola di Ponza per ferita.

D. Come dall'isola di Ponza ove stavate rilegato siete venuto qui arrestato con le armi da fuoco in mano?

R. Il giorno 27 giugno verso le ore 5 p. m. giungeva in Ponza, ove mi trovava rilegato, un vapore che mettendo a terra una ventina d’individui che per il loro linguaggio si distinguevano per italiani, incominciarono a far fuoco, ad inchiodare i cannoni, e a gridare viva l'Italia. Costoro erano vestiti di rosso facendo sventolare delle bandiere tricolori, c’invitarono alla rivolta ed alla evasione proponendoci di farci ritornare ognuno alle proprie case. E siccome per la quantità che noi eravamo rilegali non ci potevano lutti in una volta imbarcare sul detto vapore, cosi ci proposero che si sarebbe effettuato il primo viaggio, e quindi il legno sarebbe ritornato a prendere gli altri. Ma allorché fummo imbarcati, e durante tutto il viaggio fino al momento del nostro disbarco in Sapri non ci venne nulla comunicato di quanto in prosieguo si effettui, cioè, che dovevamo impugnare le armi contro il nostro proprio Sovrano; quindi da Sapri concepimmo l’idea di sbandarci come di fatti abbiamo eseguito. Che perciò dopo qualche tempo, circondato ed inseguito dagli urbani di diversi paesi, che ci hanno fatto fuoco, mi trovo qui preso ed arrestato con un’arma da fuoco a due colpi.

D. L’arma con la quale siete stato arrestato da chi l’avelc ricevuta e quando?

R. L’arma mi fu data a terra in Sapri da un Genovese con cinque cartucci fucilieri:

D. Cosa potete dirmi circa le operazioni che ebbero luogo sul vapore durante il vostro viaggio e di qual nazione egli era?

R. Il vapore era sardo: le operazioni furono quelle della distribuzione delle armi, della mani fatturazione delle cartucce, il tutto eseguito da molti capi, che io non conosco e col consenso del capitano del legno, col quale stavano di perfettissimo accordo, come pure durante il viaggio al comparire di un altro vapore ci venne obbligato di abbassarci e nasconderci onde non essere veduti, e che il capitano (potrei benissimo indicarlo) da sopra il ponte comandava e dirigeva tutte le operazioni di accordo sempre con i capi.

D. Precisatemi il luogo dove siete stato arrestato?

R. Signore, il luogo non saprei precisarlo perché non lo conosco. Il fucile si trova carico perché così datomi, ed i cinque cartocci l'ho dati ad un pastore; ed io posso assicurarvi di aver consegnata l’arma, e di essermi presentato, e non mai di essere arrestato.

D. Avete altro d’aggiungere o togliere a questa vostra deposizione?

R. Niente ho d’aggiungere o togliere, essendo questa la verità, ed in fede di ciò passo a sottoscriverla.

Salvatore Barberio.

Errico Lari sergente del reggimento della Real Marina da cancelliere.


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XLV

Interrogatorio di Filippo Conte, alias Ferraiolo

Oggi che sono li 30 giugno 1857. Io Leopoldo Lecaldano sotto tenente della Real Marina di Napoli comandante del distaccamento del suddetto Corpo, imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi ora ancorata alla spiaggia di Sapri dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni armati per particolare servizio di S. M. (D. G.), cd assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto, da Cancelliere, ho fatto venire in mia presenza il primo degli arrestati evasi dall'isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Filippo Conte, alias Ferrajolo.

D. Qual è la vostra patria?

R. Rocca d’Arci provincia di Terra di Lavoro.

D. genitori?

R. Fu Benedetto ed Eleonora Conte.

D. Età?

R. Di anni 32.

D. Condizione?

R. Sarto.

D. Per quale ragione vi trovavate rilegato a Ponza?

R. Perché implicalo in affari politici.

D. Come dall’isola di Ponza dove slavate rilegato, vi trovate adesso arrestato su questa Real fregata?

R. Signore, il di 27 verso le ore 21 io mi trovava carcerato nell'isola di Ponza, e dopo alcuni colpi di fucile, vidi aprire le prigioni, e darmi la libertà da una mano di uomini armati, con bandiera tricolore, ed alle voci di viva l’Italia e la libertà, invitaronmi a far parte di loro per imbarcarmi, e recarmi in Napoli.

D. Riconosceste il legno su del quale vi andaste ad imbarcare?

R. Dalla bandiera tricolore mi accorsi che dovevano essere costituzionali.

D. Giunto che foste a bordo, chi conosceste per capo?

R. Un tale che io non conosco, che da tutti appellavasi generale.

D. Riceveste armi e munizione da costui?

R. Non volli ricevere, né mi dettero armi di sorta alcuna

perché tutti mi appellarono per pazzo.

D. Conoscevate lo scopo della vostra evasione, e la direzione da prendersi?

R. Lo scopo era quello di rivoltare i popoli alla libertà, e la direzione per Napoli.

D. Mi sapreste a dire quale intelligenza passava tra il comandante del legno ed il generale?

R. Niente posso assicurarle sudi ciò, dal perché non faceva parte de' loro discorsi segreti.

D. Riconosceste il luogo del vostro disbavco, ed a qual ora, e giorno si effettui?

R. Solo da' compagni seppi che lo sbarco si era effettuato alla spiaggia di Sapri la notte del 28 verso le p. m.

D. Quanto tempo siete stato in Sapri?

R. In Sapri vi sono rimasto tutto il tempo da che ho posto piede a terra sino al momento dell’allontanamento della banda, che, appena partita mi sono diretto da un contadino per voler essere indicala la strada di Napoli, ma invece costui questa mattina, giorno 30, verso il fare dell’aurora mi ha consegnato all’autorità del luogo.

D. Avete altro d’aggiungere o togliere da questa vostra deposizione?

R. Niente altro ho da aggiungere o togliere, essendo questa la verità.

Firmato — Errico Lari sergente del reggimento Real Marina da cancelliere.

Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina.


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XLVI

Interrogatorio di Michele Milano

Oggi che sono li 30 giugno 1857, io Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento della Real Marina, comandante il distaccamento del suddetto Corpo imbarcato sulla Real fregala a vapore il Tancredi, ora ancorata alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante li Reali legni armati per particolare servizio di S. M. il Re (N. S.) ed assistilo dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza uno degli arrestati evaso dall'isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. Michele Milano.

D. Qual è la vostra patria?

R. Napoli.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Fu Luigi ed Arcangela Lanella.

D. Che età avete?

R. Ho venti anni.

D. Qual è la vostra condizione?

R. La mia condizione é ex soldato congedato per cattiva condotta e rilegato all'isola di Ponza.

D. Come dall’Isola di Ponza dove stavate rilegato vi trovate adesso in questo Real legno arrestato con le armi alla mano?

R. Signore sabato giorno 27 verso le ore A p. m. dall’isola di Ponza, ove mi trovava con gli altri rilegati, vidi apparire un vapore con la bandiera tricolore, che credetti francese; ma che poi conobbi sarda, e poco dopo intesi scambiare delle fucilate, e quindi un numero d’individui forestieri con bandiera tricolore ed armati, incominciarono a percorrere l'isola gridando viva l'Italia, siamo fratelli, ed invitandoci alla evasione ed alla rivolta, in compagnia di altri 300 e più, c’imbarcammo su del detto vapore sardo, che ci fornì di armi, e di munizioni.

D. Chi riconosceste per vostro capo?

R. Giunto a bordo, un tale che io non conosceva e che trovavasi a bordo, ma che da tutti appellavasi generale, mi consegnò le armi da fuoco, ed un pacco di cartucci a palla.

D. Ditemi se il comandante del legno Sardo su del quale vi trovavate, era, per quanto vi sembrava vedere, in accordo con i fautori della costituzione?

R. Il comandante del legno Sardo sembrava di perfettissimo accordo con loro stando sempre in loro compagnia progettando, e confabulando assieme.

D. Quale scopo vi fu manifestato dal così detto generale essere l’oggetto della vostra evasione da Ponza e di armamento?

R. Lo scopo era quello di dare la libertà al paese ed incitare i popoli alla rivolta.

D. Conoscete il luogo del disbarco e la 'strada da percorrere?

R. Dal generale mi venne detto che il punto del disbarco sarebbe Sapri, e le strade da percorrere le Calabrie.

D. Si effettui lo sbarco, ed a che ora ed in che giorno?

R. Lo sbarco si avverò il dì 28, all’ora una di notte.

D. Riceveste resistenza dagli abitanti del paese?

R. Atteso l’ora tardi, gli abitanti non ci videro, ma l’indomani del 29 che entrammo nel paese alle grida di viva l’Italia ecc. ecc. ecc., gli abitanti parte fuggirono e parte se ne restarono nelle loro case pacificamente.

D. Quanto tempo vi fermaste a Sapri?

R. La nostra dimora non fu altro che la sola notte del 28 al 29, e la mattina dopo di avervi fatta la suindicata dimostrazione ci ponemmo in marcia.

D. Ditemi la strada che percorreste mettendovi in marcia?

R. Era una via accorciatoja che mena direttamente a Lagonegro che per giungere si deve passare per un altro paesello che io non ricordo il nome, che ivi giunto mi allontanai dalla banda, presentandomi al Sindaco e al Parroco del paese, i quali mi hanno fatto condurre arrestato dagli urbani su questo Real legno.

D. Durante il tempo che avete fatto parte della banda, mi sapreste dire se si sono commessi degli eccessi, e di qual natura?

R. Signore posso assicurarvi che per le poche ore che vi ho fatto parte non ho commesso, né ho visto commettere cosa alcuna.

D. Avete altro d’aggiungere o togliere da questa vostra deposizione?

R. Niente altro d’aggiungere o togliere essendo questa la verità.

Firmato — Errico Lari 2. sergente del reggimento della Real Marina da cancelliere.

Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina.


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XLVII

Interrogatorio di Francesco Gallo

Oggi che sono li luglio 1857.

Io Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina, comandante del distaccamento del medesimo corpo imbarcato nella Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorato alla spiaggia di Sapri dietro ordini ricevuti verbalmente dal Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni armati per particolare servizio di S. M. (D. G.), ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento Real Marina, da cancelliere, ho fatto venire in presenza mia, un arrestato evaso dall'isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande?

D. Qual è il vostro nome?

R. Francesco Gallo.

D. Di dove siete?

R. Del Pizzo provincia di Catanzaro.

D. I vostri genitori?

R. Raffaele ed Elisabetta Morano.

D. L’età?

R. Di anni 26.

D. La vostra condizione?

R. Ex soldato del l.° di linea congedato per cattiva condotta e rilegato in Ponza.

D. Ditemi come dall’isola di Ponza dove stavate rilegato siete venuto qui arrestato e coll'arma alla mano?

R. Nelle ore p. m. del di 27 giugno p. p. io mi trovava rinchiuso nelle prigioni di Ponza, allorché intesi de' colpi di fucile, e quindi mi si aprirono le prigioni, gridando da molti uomini vestili rossi con bandiera tricolore, che dal loro linguaggio apparivano Italiani, uscite, venite ad imbarcarvi, e ritornate liberi alle vostre famiglie. Non esitai un momento e corsi ad imbarcarmi. Si navigò tutta la notte, ed il giorno seguente, e verso le ore del di 28 si giungeva in Sapri. Poi ci veniva comunicato da un tale chiamato il generale che l’oggetto della nostra evasione era stato quello di combattere contro il nostro legittimo Sovrano, e ne concepii orrore. Proponevami perciò di allontanarmi da loro alla prima occasione, e tanto riuscendomi, il di 29 m’incamminava per qualche paese onde presentarmi all'autorità, ma affrontato cogli urbani sono stato arrestato, tenendo in mano un fucile a due colpi.

D. Da chi riceveste l’arma con la quale siete stato trovato?

R. Il fucile a due colpi me l’ho procuralo calando a terra dagli altri compagni della banda, dopo che costoro avevano attaccato ib primo fuoco.

D. Ditemi le operazioni che ebbero luogo durante il vostro viaggio da Ponza a Sapri?

R. Signore vi fu distribuzione a bordo del vapore di armi, di munizione quale si mani fatturò sopra luogo, non che dell’avvertimento di abbassarci e nasconderci alla vista di un vapore, concorrendovi in tutte queste operazioni la buona volontà, ed il pieno accordo del comandante del legno.

D. Ditemi dove, e come siete stato arrestato?

R. Signore, allora quando io mi allontanai dalla banda mi trovava in campagnia di altri sei calabresi, cercando prendere la via che mena a Catanzaro, ma giunti sulle sponde di un fiume ci uscirono di fronte una quantità di urbani, coi quali si attaccò un fuoco reciproco, io però, capovolgendo al suolo il fucile togliendomi la coppola mi sono arreso.

D. Avete altro da aggiungere o togliere da questa vostra deposizione?

R. Niente altro ho da togliere o aggiungere da questa mia deposizione, essendo questa la verità e non sapendo scrivere fo segno di croce.

Errico Lari, sergente del reggimento Real Marina da cancelliere.

Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento Real Marina.


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XLVIII

Interrogatorio di Michelangelo Mundo

Oggi che sono li 30 giugno 1857

Io Leopoldo Lecaldano 2.° tenente del reggimento della Real Marina comandante del distaccamento del suddetto corpo imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorala alla spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor Retro Ammiraglio D. Federico Roberti, comandante dei Reali legni armati, per particolare servizio di S. M. il Re (N. S.) ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza il primo degli arrestati evaso dall'isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande.

D. Qual è il vostro nome?

R. lo mi chiamo Michelangelo Mundo.

D. Qual é la vostra patria?

R. Io sono di Manfredonia.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Giuseppe e Francesca Ciriccia.

D. Quanti anni avete?

R. Ho 29 anni.

D. La vostra condizione?

R. La mia condizione, ex soldato congedato per cattiva condotta, e legato all’isola di Ponza.

D. Come dall'isola di Ponza vi trovate adesso su questo Real legno arrestato colle armi alla mano?

R. Signore, sabato giorno 27 verso le ore 4 p. m. dall’isola di Ponza, ove mi trovava con gli altri rilegati, vidi apparire un vapore con bandiera tricolore francese, ma che poi conobbi esser sarda, e poco(1) dopo Intesi scambiare delle fucilate, e poi un numero d'individui forestieri con bandiera tricolore ed armati, incominciarono a percorrere l’isola gridando viva l'Italia, siamo fratelli, ed invitandoci alla evasione ed alla rivolta. In compagnia di altri 300 e più, Rimbarcammo su del detto vapore.

D. Ditemi ora, giunti che foste a bordo del vapore sardo, chi vi fornì di armi, chi di munizione, chi riconosceste per vostro capo?

R. Giunto a bordo, un tale che io non conosceva, e che trovavasi a bordo, ma che da tutti appellavasi generale mi consegnò le armi da fuoco ed un pacco di cartucci a palla.

D. Ditemi se il comandante del legno sardo su del quale vi trovavate era, per quanto vi sembrava vedere, di accordo con i fautori della sedizione?

R. Il comandante del legno sembrava di perfettissimo accordo con loro, stando sempre con loro in compagnia, progettando e confabulando assieme.

D. Quale scopo vi fu manifestalo dal così detto vostro generale essere l'oggetto della vostra evasione da Ponza, ed armamento?

R. Lo scopo era di dare la libertà al paese, e d’invitare i popoli alla rivolta.

D. Conosceste il luogo del disbarco, e le strade da percorrere?

R. Dal generale mi venne detto che il punto del disbarco sarebbe Sapri, e la strada da percorrere le Calabrie.

D. Si effettui lo sbarco ed a che ora?

R. Lo sbarco si effettui il dì 28 all’ora 1 di notte.

D. Riceveste resistenza dagli abitanti del paese?

R. Attesa l’ora tarda, gli abitanti non ci videro, ma l’indomani del 29 che entrammo nel paese, alle grida di viva l’Italia ecc. ecc. ecc. gli abitanti parte fuggirono, e parte se ne restarono nelle loro case pacificamente.

D. Quanto tempo vi fermaste a Sapri?

R. La nostra dimora non fu altra che la sola notte del 28 a 29, e la mattina dopo avervi fatta la dimostrazione suindicata, ci ponemmo in marcia.

D. Ditemi la strada che percorreste mettendovi in marcia?

R. La strada che noi battemmo era una via accorciatoia che mena direttamente a Lagonegro, che per giungervi si deve passare per un altro paesotto che io non ricordo il nome, e che ivi giunto mi allontanai dalla banda presentandomi al sindaco, ed al parroco del paese, i quali mi hanno fatto condurre arrestato dagli urbani in questo Real legno.

D. Durante il tempo che avete fatto parte della banda mi sapreste dire se si sono commessi degli eccessi e di qual natura?

R. Signore, posso assicurarle che nelle poche ore che vi ho fatto parte, non ho commesso, né ho visto commettere cosa alcuna.

D. Avete altro d’aggiungere o togliere da questa vostra deposizione?

R. Niente altro ho da aggiungere o da togliere essendo questa la verità.

Firmato — Errico Lari sergente della Real Marina da cancelliere.

Leopoldo Lecaldano sotto tenente del Reggimento suddetto.


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XLIX

Interrogatorio di Carlo Lafato

Oggi che sono li 30 giugno 1857.

lo Leopoldo Lecaldano sotto tenente del reggimento della Real Marina, comandante del distaccamento del suddetto corpo imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata sulla spiaggia di Sapri dietro ordini verbali ricevuti dal Signore Retro Ammiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni armati per particolare servizio di Sua Maestà il Re (D. G.), ed assistito dal sergente Errico Lari del reggimento suddetto da Cancelliere, ho fatto venire iu mia presenza un arrestato evaso dall'Isola di Ponza, ed ho proceduto alle seguenti domande:

D. Qual è il vostro nome?

R. Carlo Lafato.

D. Di dove siete?

R. Di Quartinico in Sicilia.

D. I vostri genitori?

R. Pietro e fu Rosa Tamburrelli.

D. L’età?

R. Di anni venti.

D. La vostra condizione?

R. Ex soldato congedalo per cattiva condotta dal 5.° Cacciatori, e rilegato all'Isola di Ponza.

D. Come dall'Isola di Ponza ove stavate rilegato, siete venuto arrestato in questo Real legno?

R. Signore il giorno 27 circa le ore 21 italiane, giunse in Ponza un vapore il quale mettendo della gente a terra incominciarono a far fuoco, ed a gridare Viva l’Italia, e sventolando delle bandiere tricolori invitavano tutti alla evasione ed alla rivolta, molti de' quali volentierosamente li seguirono, ma io ne venni forzato, quindi mi trovai a bordo del vapore quasi che senza mio volere.

D. Ditemi se conosceste la bandiera del vapore, e giunto a bordo cosa vedeste, e chi si disse per vostro capo?

R. Riconobbi la bandiera essere Piemontese, vidi che eravamo circa 400 individui imbarcati; intesi che il progetto era di scendere nelle Calabrie per metterle in rivolta, e che mi trovava sotto il comando di un tale che io non conosco e che si faceva chiamare il generale.

D. Mi sapreste dire chi furono i primi che calarono dal vapore in Ponza e vi eccitarono all'evasione ed alla rivolta?

R. Signore non erano di mia conoscenza, ma dal loro modo di parlare conobbi essere italiani.

D. Mi sapreste precisare il numero di costoro?

R. Credo che non oltrepassavano il numero di 15.

D. Riceveste armi da costoro?

R. Non ho ricevuto né armi, né munizioni.

D. Riconosceste il comandante del legno, e qual condotta egli serbò e qual linguaggio?

R. Lo conobbi subito annunziandosi egli stesso, conservando una condotta dell’uomo dell’indifferenza, dispensandoci de' sigari ed animavaci col dire allegri figliuoli.

D. Avete conosciuto il punto dove dovevate sbarcare?

R. Partendo da Ponza verso le tre ore di notte sino al dì 28 ad un’ora di notte che siamo sbarcati sulla spiaggia di Sapri mi era affatto sconosciuto il luogo, solo la mattina del 29 allorché ci siamo posti in marcia sopra Torraca conobbi essere sbarcato a Sapri.

D. Quale accoglimento vi venne fatto dagli abitanti di Sapri?

R. La massima freddezza.

D. A che ora partiste da Sapri?

R. Dopo una dimostrazione che non ebbe alcun risultato verso le ore 12 italiane partimmo per Torraca.

D. A che ora giungeste in Torraca, e quale accoglimento vi venne fatto dagli abitanti?

R. Si giunse in Torraca verso il mezzogiorno; il massimo silenzio si osservò pel paese, ed io che fin dal principio nutriva il sentimento di non appartenere a questa banda, cogliendo una favorevole occasione me ne sono allontanato, e presentandomi spontaneamente alle autorità locali sono stato da costoro spedilo arrestato su di questo Real legno ove tuttora mi ritrovo.

D. Avete altro d’aggiungere o togliere da questa vostra deposizione?

R. Non ho altro d'aggiungere o togliere essendo questa la verità, e non sapendo scrivere fo segno di croce +

Errico Lari Sergente della Real Marina da Cancelliere — Leopoldo Lecaldano 2.° Tenente del Reggimento suddetto —


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L

Interrogatorio di Vito Luigi Cofano

Oggi che sono li 29 giugno 1857.

lo Giovanni d’Ayala Valva tenente di vascello della Real Marina imbarcato sulla Real fregata a vapore il Tancredi, ora ancorata nella spiaggia di Sapri, dietro ordini verbali ricevuti dal signor RetroAmmiraglio D. Federico Roberti comandante superiore de' Reali legni armati di particolar servizio di S. M. il Re (D. G.) ed assistito dal cannoniere di 3. classe Pasquale Todisco da cancelliere, ho fatto venire in mia presenza il nominato Vito Luigi Cafano ed ho proceduto alle seguenti domande:

D. Quale é il vostro nome?

R. Vito Luigi Cafano.

D. Qual è la vostra patria?

R. Di Fasano.

D. Quali sono i vostri genitori?

R. Sono figlio di Pietro Cafano e di Pasqua Calafato.

D. Quale é la vostra condizione?

R. Sono rilegato sull’isola di Ponza.

D. Che età avete?

R. Di anni 24.

D. Come vi trovate a bordo del Vapore il Cagliari?

R. L’altro jeri sera mi rattrovava sull'isola di Ponza facendo parte della compagnia degli ex-militi colà dimoranti. Verso le ore 21 d’Italia venne sopra Ponza il vapore genovese Cagliari, il quale sbarcò a terra delle genti armate che andò radunando per il paese tutti coloro che incontravano gridando ad alla voce riva l'Italia facendo fuoco nell’istesso tempo, ed affrontata la compagnia di riserva, ed i veterani di quell'isola disarmarono i primi, essendosi i secondi rifuggiti nel castello. Quindi ci condussero a poco a poco sul vapore, il quale empitosi di gente armata, la notte si pose in moto. Jeri mattina nel mentre che tutti mangiavano sentiva dire che si voleva eseguire uno sbarco in Calabria.

D. Come vi trovate ferito?

R. Fui ferito con arma da fuoco durante l’attacco che i genovesi ebbero colle regie truppe nell’isola di Ponza.

D. Che cosa sapete dello sbarco di tutta la gente armata che trovavasi sul vapore?

R. Niente.

D. Potete giurare ciò che avete detto?

R. Sì signore—E non sapendo scrivere fo segno di Croce (.

Il cannoniere di terza classe da cancelliere — Pasquale Todisco— Il tenente di vascello—Giovanni d’Ayala Valva.


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LI

N. 1219. 7 luglio 1851 — 781 —VITTORIO EMANUELE II— Per la grazia di Dio Re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme, duca di Savoia e di Genova, ecc. ecc., principe di Piemonte, ecc. ecc. ecc.

Sulla proposizione del Ministro Segretario di Stato per gli affari di Marina, Agricoltura e Commercio;

Visto l’articolo 1.° della Legge sulle nuove tasse di Navigazione e di porto in data del 26 giugno 1851;

Abbiamo ordinato ed ordiniamo:

Articolo Unico.

Le vidimazioni che per lo addietro venivano fatte dalle Autorità Marittime e Consolari sia nello Stato che all'Estero sul passaporto marittimo, che rilasciavasi ai Capitani de' bastimenti nazionali di commercio, saranno d'ora innanzi soltanto operate sul ruolo d'equipaggio.

Il Nostro Ministro di Marina, Agricoltura e Commercio è incaricato dell'esecuzione del presente Decreto, che sarà registrato al Controllo Generale, pubblicato ed inserto nella raccolta degli Atti del Governo.

Dat. Torino li 7 luglio 1851. — VITTORIO EMANUELE.

Registrato al Controllo Generale addì 7 luglio 1851—Reg. 7., Atti del Governo a c. 22 — Moreno. — C. Cavour.


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LII

Atto di proprietà del Cagliari

R.° Consolato di Marina.

Il Vapore ad elice denominato Cagliari della portata di tonnellate duecento sedici "Jt (deduzione fatta del quaranta per cento per lo spazio occupato dalle macchine, e loro accesso) stato costrutto a Low-Wallicr (Contea di Norlumberland) negli anni 1853-54. inscritto li 11 Marzo 1854 al n.° 1608 della Matricola di questa Direzione, munito di Patente di Nazionalità n.° Ili rilasciata li 10 Marzo 1854, risulta di intiera, ed assoluta proprietà della Direzione delle Saline di Sardegna rappresentata dal Sig. Musso Gio: Batta fu Gio: Balla nativo di Cadice, Cittadino Sardo, come risulta dalla dichiarazione di costruzione, e quietanza di pagamento dei costruttori Mitchell, e C. di New-Castle in data 20 Gennaio 1854 debitamente legalizzata nella Cancelleria del Consolato Generale di Sardegna in Londra, qual costruzione venne eseguita per il prezzo di lire sterline novemilatrecentocinquanta, pari a lire nuove di Piemonte duecentotrentaduemilasettecentoventuno, e centesimi cinquanta.

4 Febbraio 1858 — N.° 15. In forza d’atto rogato in Genova li 7 ottobre 1854, e successivo allo di dichiarazione rogato pure in Genova li 19 gennaio 1858 ambi dal Notaro Bendinelli Antonio Rollerò, la proprietà del retro-descritto Vapore ad elice è passata a total favore della Società stabilita in Genova sotto nome di Raffaele Rubettino e Compagnia, per la quale accetta il Sig. Raffaele Rubattino fu Pietro di Genova gerente la medesima.

Rilasciato il presente a richiesta del suddetto Signor Raffaele Rubattino, per valersene ove di ragione.

Genova li 4 Febbraio 1858 — Il Console di Marina Garibaldi. — N? 25 R. XI. — Genova 4 Febbraio 1858 — Visto, buono per la legalizzazione della firma del Signor Garibaldi Console di Marina in Genova— Il Console Generale— Ipp° Garron.


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NOTE

(1)

(2) Art. 30. Gl'incaricati de' dazt indiretti, i capitani de' porti e le deputazioni di salute non potranno disbrigare que’ legni che non tono forniti del ruolo firmato da' corrispondenti sotto-direttori de' circondari, comandanti de' distretti e sindaci marittimi.

Art. 31. I sindaci marittimi non potranno negare di scrivere su i detti ruoli gli uomini di mare del loro sindacato, i quali non sieno al servizio della reat marina, o non sieno compresi negli stati formati per una prossima leva; ed egualmente non potranno negarsi di scrivere quelli appartenenti ad altri sindaci, che mostreranno il permesso de' sindaci rispettivi di potersi imbarcare fuori de' sindacati medesimi.

Art. 32. Essi esamineranno tutti i libretti che lor saranno presentati da' capitani o padroni e rispettivi marinari, ed osserveranno se vi è notato il congedo dal servizio dell’ultimo bastimento sul quale sono imbarcati, dovendo fare arrestare tutti coloro che avranno disertalo, e che non potranno in tal guisa giustificare il loro congedo, obbligandoli per mezzo di una scorta a rientrare ne’ loro comuni al più presto possibile.

Art. 33. Viene espressamente proibito a' capitani. o padroni di bastimenti di commercio o di pesca di fissare al servizio de' loro legni alcun uomo di mare, prima di essersi assicurati per mezzo del libretto del loro congedo dall’ultimo bastimento da guerra o mercantile nel quale era imbarcato, sotto pena della multa ecc. ec

Art. 37. I RUOLI DI EQUIPAGGIO SARANNO RINNOVATI IN OGNI NUOVO VIAGGIO PER L'ESTERO; e pel regno saranno rinnovati soltanto quando dovrà cambiarsi più del terzo dell'equipaggio, o pure che non siavi più spazio in bianco per segnarvi le toccate di riconoscimento che dovranno farvi i sindaci marittimi, sia per notarvi qualche cambiamento, sia per assicurare di essere stato da essi osservato, e di non esservi occorsa alcuna variazione.

38. I comandanti de' distretti invigileranno che i sindaci marittimi usino tutto il rigore nella formazione de' ruoli di equipaggio de' legni mercantili, e daranno parte sollecitamente delle contravvenzioni a' sotto-direttori, perché questi ne rendano conto al di rettore dell'ascrizione per le dovute provvidenze.

Art. 39. I sindaci marittimi renderanno conto settiman a lmente a' comandanti de' distretti de' ruoli che distribuiranno. Essi non potranno avvalersi che di quelli stampali dalla direzione generale, e che sono muniti delle firme de' predetti comandanti e de sotto-direttori de' circondari.

(3) Trascriviamo, com’è, la sconnessa compilazione degl’interrogatori.

(4) Tra t. delle assicuraz. cap. XII. sez. XVIII.

(5) 29 Giugno 1837.

— D. Qual è il vostro nome? R. Francesco Mascarò. — D. Quali sono i vostri genitori? — R. Figlio di Giovanni Mascarò e Marianna Rais? — D. Che età avete? — R. Di anni 53 all'incirca. — D. Qual è la vostra condizione? — R. Medico chirurgo. — D. Qual è la vostra patria? — R. Spagnuolo, e naturale di Maone. — D. Come vi trovate a bordo del Vapore genovese il Cagliari — R. I l giorno 25 del corrente m’imbarcai a bordo di questo legno che trovavasi nel porto di Genova, ond e p ortarmi in Tunisi. Verso le sette di sera mettemmo in moto: dopo di un’ora incirca, in mezzo delle grida e del rumore, mentre era situato alla poppa del detto Vapore di unita alla mia. consorte ed altri passeggieri, vidi comparire il capitano in mezzo a diversi individui con berretti rossi, in cui appoggiavano delle pistole e de' stili. Domandai di che cosa si trattava, e senza altra risposta, mi fu imposto di scendere senz’altro nella camera, giunto cogli altri passeggieri, amminacciandomi di non farlo, di servirsi della violen z a.

Dopo pochi momenti, un capitano passeggier o, che trovavasi nella camera, scesero i rivoluzionari imponendo al detto capitano, contro le minacce, a prendere il comando del detto Vapore. Il capitano si negò, ma fu obbligato colle minacce della vita, dopo di che si diresse per l’isola di Ponza, dove giungemmo verso sera. Si alzò immediatamente la bandiera dal pilota, che giunto, fu obbligato di salire di unita con un uffiziale regio. In seguito, essendo al numero di venti all’incirca si portarono a tèrra tutti armati. Fecero imbarcare con viva forca il secondo ed il pilota come parimenti il nuovo comandante del Vap o re, imponendoci a noi di non muoverci dalla stanza. Dal bordo sentivamo de' colpi di fucile a terra,e dopo diverso tempo di questo disordine,da terra comparivano parecchie barche cariche di gente, e verso la mezzanotte, essendo a bordo al numero di circa 400, partimmo dall’isola. Sentivamo dire a bordo che si andava a sbarcar nella spiaggia di Sapri. Verso la sera del giorno seguente gtjingemmo sopra di Una costa, dove si esegui lo sbarco di quasi tutti quell'imbarcati da passeggieri e gli altri imbarcati a Ponza, essendo rimasti de' primi due feriti, ed uno che apparentemente aveva delle convulsioni onde evitare di proseguire gli altri armati. Partimmo immediatamente, facendoci conoscere il capitano del Vapore andare a Napoli, ove fare il tuo rapporto, e nella via trovammo i due Vapori da guerra napolitani. — D. Avete niente altro da aggiungere o togliere a quanto avete asserito? — R. No signore. — D. Potete giurarlo? — R. Si signore, ed in attestato del vero mi sottoscrivo — Francesco Mascarò. — Il tenente di vascello — Giovanni d’Ayala Valva.

(6) Trat. del dritto rom. cap. IV § CCXCV.

(7) Op. c it. cap. IV § CCXCIX.

(8) V INNIO — Instit. ad § 13, IV, 6, de action.

(9) Della proc. pen. § 980.

(10) Op. cit. §§ 1009, 1015, e 1085.

(11) Della c osa giudicata § III .

(12) Inst. lib. 2. § 17.

(13) Lib. 49, tit . 15, I. 24, ff. d e capt. e t pos t .

(14) L. 21. §. 1. dig. d. t.

(15) Ad lib. 1. tit. 5 de stat. homin.

(16) In tit. XIV. De ingenuis e t manumissis. Lib. VII cod. tona. 0. col. 975.

(17) De jure bel. et pac. lib. 3. cap. IX. § XVI. n. 2.

(18) De jur. bel. et pac. lib. III. c ap. VI. § 27.

(19) De jur. bel. lib. L cap. 6.

(20) In nota al G ROZIO lib. III. cap. VI.

(21) Elem. jurisp. lib. I. cap. 6.

(22) Il diritto delle genti lib. III. cap. XVIII. § 261 .

(23) BLACESTOME Cap. n. 3.

(24) B UCH A UD Cap. 5. sez. 2.

(25) Diplomazia del mare, cap. XIII.

(26) Journal du palais — Arresto del 7 settembre 1832.

(27) V. tra' documenti a pag. 88.

(28) Decreto del 7 loglio 1851. V. tra' documenti pag. 87.

(29) Lib. II. tit. I. cap. II. sez. III. §. 1.

(30) A ZUNI —op. cit. art. 4, § I della preda.

(31) Op. cit. cap. XII. sez. XXIV.

(32) Lib. II, tit. I, cap. li sez. III, § VI D E L A REC OU R SE.

(33) V. Msaun. Preda marittima art. IV. §. III.

(34) De jure m arit . lib. 3. Cap. 4. n. 4.

(35) Op. cit. art. 4 g 3.

(36) Scienza del governo — vol. V, cap. II, n. 10.

(37) Op. cit. Cap. IV art. 1.

(38) Lib. 1. tit. 1. cap. 2. sez. III. §. 1. delle prede.

(39) Spirito del Codice di commercio art. 316.

(40) JOUKNEAD, e SOLON. Discussioni del codice civile nel di Stato.

(41) Trattato delle obbligazioni n. 121.

(42) N. 282, e s eg.

(43) R. Delitto § 8. n. I.

(44) Lib. 3. tit. 4. cap. 11 . sez. 2. n. 72 4 .

(45) Lib. 3. tit. 4. com. all'art. 1381. n. 3.

(46) L. 5. § 12. Dig. de institoria actione.

(47) L. 1. § 7. Dig. de exerci t oria actione.

(48) Lib. 2. ti t . 3. art. 27.

(49) AZUNI. Dizionario universale della giurisprudenza mercantile, Proprietario di. nave § XIII.

(50) V. I. Pal . Cass. 1. sept . 1813.

(51) Ib. Chicallat 30 dic. 1819. Aix G. Mars . 1. 1. 76 .

(52) Decisioni del S. R. C. n. 72.

(53) Annotazioni alla detta decisione n. 72.

(54) L. ereditar § Lucius ff. man. Rom. in consilio 74.

(55) De exercitoria et institoria actione tit. e 3.

(56) De jure navium, Disputatici XI cap. IV.

(57) De exercitoria actione lib. 14 tit. §. 7.

(58) De jure navium, Disput. XI cap. III N.° 76.

(59) De jure belli ac pacis lib. cap. 6 not. al § 6.

(60) L. 5 ff. de oblig. et act.

(61) Leg. 7. ff. nautae caupones stabulari i .

(62) Tractatus de nautis et navigatone, parte quarta § Scio.

(63) Decisiones S. R. C. Neapolitani. De c . 82.






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Pisacane e la spedizione di Sapri (1857) - Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito
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Sulla legalità della cattura del Cagliari - Risposta dell'avvocato FerdinandoStarace al signor Roberto Phillimore

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1927

NELLO ROSSELLI Carlo Pisacane nel risorgimento italiano

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - CODIGNOLA Rubattino

1937

GIORNALE storico letterario Liguria - PISACANE Epistolario a cura di Aldo Romano




Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le déloppement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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