Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024) |
PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO |
Luigi de Monte CRONACA DEL COMITATO SEGRETO DI NAPOLISU LA SPEDIZIONE DI SAPRIaccompagnata da tutti i documenti autografi e dalla corrispondenza di GIUSEPPE MAZZINI NICOLA FABRIZJ CARLO PISACANE GIUSEPPE FANELLI e L. DRAGONE pel Comitato di Napoli, e Capi delle Provincie NAPOLI STAMPERIA DEL FIBRENO Strada Trinità Maggiore, 26 1877 |
(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF) |
Intrapresi questo lavoro nel 1863, ne incominciai la stampa nel 1864, e non mancava di stampalo se non le ultime pagine nel 1865 — Il perché l’avessi scritto sarà chiaro al lettore dalle poche parole, che a guisa di prefazione si trovavano qui appresso già scritte in fronte al libro. Ma se gli sarà chiara fra poco la causa determinante del mio scritto, sento nientemeno il dovere di spiegargli prima, perché per vari anni ne feci rimanere abbandonata la pubblicazione, e mi decido a compierla ora.
Avrei allora senza più pubblicato fra pochi altri giorni l’intero volume senza un incidente per sé felice ed inaspettato: che mi consigliò momentaneamente di soprassedere.
Tutti, e sono moltissimi gli amici nostri della democrazia, conoscono la vertenza fervente allora tra Giovanni Nicotera e Giuseppe Fanelli, potrei dire, 4 chiunque si occupa un poco del proprio paese deve ricordarsi almeno di averne inteso a parlare. Non tutti sanno, perché e d’onde fu mossa e come venne al suo lieto svolgimento.
A taluni ricordarlo, ad altri più dirlo, è utile che l’accenni.
Giovanni Nicotera compagno a Carlo Pisacane e Giovanni Falcone nella spedizione di Sapri, unico di loro per meno ingrata fortuna superstite, non aveva potuto assistere ad animo indifferente alle ostilità delle popolazioni Napoletane nel luogo dello sbarco, all'impensatezza con cui fu ricevuta la spedizione, alla impreparazione in cui parevano quei luoghi, ed alla sonnolenza ricalcitrante se non vuoi nemica dello spinto pubblico, che respinse quell’eroica ed immortale iniziativa. Dal campo di battaglia alle prigioni, dalle prigioni all’ergastolo, separato da tutti, egli non aveva potuto aver campo di sapere i fatti veri che si nascondevano sotto quelle assai convincenti apparenze. Unica spiegazione in quel contegno dei liberali napoletani o almeno la principale, poteva ben essere, che nulla o poco si fosse preparato per ricevere ed aiutare il movimento, e che con larghe promesse ed asserzioni leggiere si fosse attirata la spedizione dove il terreno non era punto apparecchiato.
Questa convinzione una volta presa per base, la deduzione logica ri era di farne risalire le conseguenze al Capo, di riversare su lui la responsabilità dell'avvenuto. Questo Capo unico nel Napoletano era il Fanelli, di tal che liberato Giovanni Nicotera nel 1860 dalla prigione, ove era stato fin allora ridotto, naturalmente fu tratto a scagliare contro dell'altro parole d'ira animosa. Era soprattutto un voto ch’egli credeva di sciogliere alla memoria degli eroi caduti.
Insinoché i fatti veri non si fossero potuti mettere in chiaro nel suo animo lo sdegno più ferveva, perché rimaneva sempre inalterata la cagione della ingiusta ma spiegabile ira. Non si sperava che nel tempo, ed in una propizia occasione, che avesse consentito al Nicotera di esaminare i fatti, ricondurre la sua persuasione sopra campo più vero, e far lui giudice più esatto ed informato.
Una soluzione alla vertenza pareva venuta, quando ad occasione di una sfida e di una partita d’onore impegnata fra quei due contendenti, essendo io uno dei secondi del Fanelli, insieme al compianto Carlo, Cassola, proposi al chiarissimo amico Conte Pianciani e al De Lorenzo, secondi del Nicotera, che prima di esporre quei due sul terreno, bisognava che una giuria di eminenti uomini del partito avesse deciso sui fatti rimproverati dal Nicotera. Convinti quei nobili avversari ed amici accettarono. La giuria fu nominata, e senza un contrattempo provocato irriflessivamente dal Fanelli avrebbe avuto luogo, di tal che rimessi i fatti nella loro verità, la sorte delle armi, se pur doveva scendersi ad essa, non avrebbe più lasciata irresoluta la questione di merito e di sostanza in favore del Fanelli.
Svanito il giurì, svanito il duello i più grandi patrioti si fecero a persuadere e conciliare gli animi, a rimettere quella calma, prenunziatrice unica con l'appuramento dei fatti di una schietta e conciliante soluzione. La tempesta era sopita, ma non dileguata. Dagli schiarimenti ed affermazioni ottenute dai più augusti Capi della Democrazia Italiana l’antica convinzione aveva già dovuto essere scossa nella mente di Giovanni Nicotera, ma il passo decisivo non poteva farlo che il suo cuore, né al cuore di lui poteva alcuno suggerire o dare consiglio. L’impulso e la decisione doveva venire da lui solo, e insperatamente da lui venne.
Tutti i più operosi patrioti di Napoli si erano un giorno, al tempo delle prossime elezioni politiche nel 1865, raccolti in adunanza per intendersi e cospirare alla riuscita in senso liberale di sinistra dei nuovi deputali. La divisione o dirò meglio l’esitanza e l’incertezza d’intelligenza cordiale negli animi di molti esisteva come conseguenza precipua della lotta tra Nicotera e Fanelli. Sorta in proposito di una, candidatura una discussione fervida ed animata, non essendovi in fondo niuna ragione di dare l’ostracismo ad un egregio patriota, della cui elezione si trattava, dal Presidente della ragunanza fu fatto un caldo appello alla concordia tra le frazioni sorelle del partito liberale, e mentre gli animi pendevano irresoluti Giovanni Nicotera si leva, e con quella voce squillante ed incisiva che tutti gli conoscono disse: «E colpa il non seguire l’invito alla concordia tra noi; in essa sta il segreto del riescire. Tra gente che si stima bisogna stringersi la mano ed amarsi. Io ne offro il primo esempio». Ciò detto si slancia, e con uno di quegli impeti generosi e schietti, che destano la maraviglia e più la commozione, si accosta al Fanelli, gli stende le mani e cadono l’uno nelle braccia dell’altro.
Rinunzio a descrivere il fremito elettrico che invase tutta l’assemblea. Giammai ho dato in mia vita un abbraccio più esultante e più espansivo di quello che io diedi a Giovanni Nicotera in quell’occasione, e gli avvenimenti posteriori sempre più mi richiamarono al cuore l’ineffabile sensazione di quel giorno, quando io vidi con tale sincerità di affetto il Nicotera essere d’allora in poi amico del Fanelli, fino a presentarlo egli stesso agli elettori e farlo risultar deputato in un collegio del Salernitano, allorché per un impensato caso mancò al Fanelli la sua antica deputazione.
Né posso tacere di aver veduto il Nicotera ugualmente sincero e leale compagno con me nei pubblici uffizi, che c’incontrammo a tenere insieme. Quantunque interrotta ogni relazione tra noi col mio ritiro dalla vita militante, per quanto diverso possa essere il nostro cammino, e ognora più divergenti dalle mie le sue opinioni, nientemeno io serberò sempre memoria grata dell’appoggio di cui mi fu soventi largo nell’ardua prova del mio Sindacato di Napoli del 1814. Né dimenticherò la splendida ricompensa, che egli mi provocò da quel Consiglio Comunale, quando alla sconveniente e liberticida condotta dei Lanza e Sella, che nominavano pel futuro triennio altri in vece mia a Sindaco di Napoli, egli contrappose un ordine del giorno, che unanime il Consiglio ebbe approvato, del quale ogni uomo potrebbe andare superbo, che io custodisco gelosamente come il titolo e la gioia mia migliore, e di che sento di non essere stato del tutto immeritevole, benché assai fortunato nel guiderdone.
Riuniti che furono dunque gli animi di quei due amici con tale sincerità di conciliazione, io non poteva pubblicare un libro sul subbietto istesso, che aveva provocata la loro animosità, senza serbare tutta la delicatezza e convenienza che si doveva verso un novello amico.
Nicotera sapeva che io mi occupava di far la storia dei preparativi di quella Spedizione, io gli dissi che non l’avrei pubblicata, se prima egli non vi avesse dato uno sguardo, e conosciuto prima di altri il modo con cui io aveva trattato l’argomento. Egli non voleva fidando nella rettitudine della mia esposizione; insistei, cedette; con le lagrime agli occhi lesse il mio lavoro e l’approvò spingendomi a pubblicarlo.
Giuseppe Mazzini e Niccola Fabrizj l'avevano già prima letto, ed approvandolo incoraggiatomi a finirne la stampa.
Stranissimo evento! Dove avrei dovuto non perdere un istante e adempierne la pubblicazione, mille incidenti miei personali incominciarono a frapporsi per ritardarla di giorno in giorno, indi di mese in mese.
Nuove idee mi sursero, se aggiungere alla storia dei preparativi, anche quella intera della Spedizione, e finir l’opera deviando ed allargando i limiti imposti dapprima al mio lavoro. Sopraggiunsero indi a mezzo di queste mie riflessioni, altri contrattempi di pubblici uffizi, ai quali man mano fui chiamato dalla indulgente fiducia dei miei concittadini. Consigliere Comunale, poi Provinciale, indi Deputato della Provincia, assessore in seguito di quel Municipio, e finalmente per tutto il 18 71, che tenni l’uffizio di Sindaco della mia città, non ebbi più memoria del libro. L’urgenza di chiarire i fatti era diventata meno viva, ed io rimandai a più propizia occasione la ripresa di quel lavoro e la sua ritardata pubblicazione.
Non debbo tacere, come ritornato dopo ii 1871 nella pace volontaria dei miei studi e della vita privata, prima di chiudere i miei conti sul passato, rivolsi uno sguardo a quel lavoro rimasto così sepolto vivo. Nel rileggerlo mi parve un lavoro d’altri e non mio, sì che l’esaminai con la freddezza, onde si osserva lo scritto d’un amico, e forse meglio d’uno sconosciuto. Nel fondo, perché negarlo? Perché fare atto d'inutile modestia? Non ne rimasi scontento, innanzi tutto quanto alla storia ed esattezza dei fatti.
Se me l’avessi trovato pubblicato fino dal 865, non l’avrei certo rinnegato per mio, anzi l’avrei riguardato come un ricordo non del tutto indifferente dei miei passati lavori, come un omaggio alla causa della libertà, assai dolce al cuore d’un onesto patriota, che abbia potuto renderlo in tributo della sua religione. Ma dal 1865 fino allora era nata una non lieve difficoltà.
Il libro era rimasto come io l’avea pensato, e in quanto alla manifestazione delle mie aspirazioni e principi tanto astratti che di pratica applicazione, io dopo l'avrei pensato alquanto diversamente di prima. Lo scritto nella sua materiale immobilità era rimasto stazionario, e il mio spirito aveva progredito, ciò che ivi era circoscritto aveva preso in me più larga comprensione. Mi era accaduto pjroprio come a colui che «va con l’alma e col corpo dimora».
Posto dapprima naturalmente nell’istesso punto di vista di quelli avvenimenti, la medesima fede e religione de' principi che li avevano evocati e retti, era la mia. Io aveva così trasfuso in quelle carte non la sola mia convinzione risultante dall’argomento ma ancora la mia intima ed individuale. Gran fortuna di scrittore che possa allato all'obbiettiva ed estrinseca idea che domina il suo soggetto, vedere con serena e lieta fratellanza accoppiarsi la subbiettiva sua aspirazione! Accanto al rimbombo di quei splendidi principi, di quei nobili avvenimenti sentire l’eco commossa ed amorosa dell’anima sua! Gran fortuna al certo se si possa vivere nel suo lavoro, trasfondendovi se stesso, e sentirsi infiammato dalla irresistibile forza dell'esempio, e dei principi che rispondono in tutto alle proprie credenze.
Ora nel rileggere dopo alcuni anni tutta la parte generale dei principi, anteposta da me alla. Cronaca, vidi alcun che di troppo esclusivo nella loro affermazione, di limitato e quasi di ristretto. Mi pareva con essi di aver segnato le colonne d'Ercole, e che fosse per gran tempo chiuso il libro politico dell'avvenire. Forse non sarà, ma l’impressione che mi fece è, che io avessi scavato il mio sepolcro, e scesovi dentro bello e vivo con tutti i paramenti preziosi mi vi fossi adagiato dicendo: «beati gli occhi che ti videro; possono ora chiudersi in pace».
Acquistata col frutto dei miei studi e col cammino della vita, maggiore praticità e più ampio orizzonte al mio pensiero, io lo sentiva là dentro quasi impastoiato nella formula di un puro repubblicanismo officiale, senza punto aprirsi alle aspirazioni del gigantesco problema sociale che agita le fibre dell'umanità. Io aveva scritto quel libro, quasi ritenendo i principi in esso svolti come mio finale punto di arrivo, ed il mio pensiero dopo li venerava al modo istesso, con la medesima religione ed affetto, ma prendendoli semplicemente come punto di partenza, o intermedio al sublime lavorio dello spirito umano e della progredente civiltà.
Ciò che restava immortale dell’Opera di Giuseppe Mazzini era il suo amore infinito per la libertà, il suo potente combattere le disuguaglianze e i privilegi di qualunque natura, era la colleganza nell’amore e nelle solidali aspirazioni che rendono gli uomini non solo tutti fratelli, ma consorelle le nazioni tutte, che si riscaldano intorno al foco di una stessa civiltà. Immortalissimo del suo gigantesco apostolato, era il sistema continuo insurrezionale, era la proclamazione del principio dell'Unità Nazionale, era la redenzione dell’Italia dallo Straniero e dalle tirannie interne, era la condanna assoluta del medio evo papale. Ma la pratica concrezione delle sue idee di libertà, il concetto di organesimo dei poteri nazionali, che era la parte transitoria delle sue dottrine, non poteva rimanere estranea al gran movimento dello spirito umano, era anzi ed è condotta a riaffermarsi più potente, aprendosi alle novelle deduzioni che il pensiero dell’umanità sta con infaticato lavorio preparando pei novelli patti sociali.
Questa seconda parte (non più d’insurrezione ma di rivoluzione costituita) delle dottrine di quel Grande Maestro, occorreva secondo me che si estendesse verso l’avvenire, che aprisse le braccia al movimento progressivo delle future organizzazioni. Non era rompere il cerchio magico del concetto ma allargarlo e farlo comprensivo di maggiore verità, progredente logicamente sempre più in alto, sempre più innanzi.
Lo stesso Giuseppe Mazzini se invece di concretarsi nei suoi insegnamenti al 1830, fosse nato trent’anni più tardi, e avesse dovuto incominciare ad affermarsi nella vita politica del pensiero e dell'azione nel 1860, avrebbe egli stesso dato più larga piega al suo concetto dello Stato, più importanza al problema sociale, ed altro avrebbe pensato dover essere il finale assetto organico di popolo congregato in comune famiglia. Gli uomini rarissimi destinati a rappresentare uno o più secoli ed una grande fase della coscienza umana, nel loro mondo subbiettivo sono simili fra loro, variano solo nella loro manifestazione come legge del tempo e dello spazio in cui sono lanciati a vivere. Chi fu Alessandro sarebbe stato Cesare più tardi e Napoleone, come Socrate sarebbe diventato Catone, Omero si sarebbe chiamato Ariosto, Aristotile si sarebbe concretato in Hegel. Gli spiriti eccelsi si determinano secondo i tempi, Dante stesso sarebbe stato Michelangelo nell'arte, Lutero, o Mazzini del nostro secolo. Un’anima idealista trascendentemente ispirata come quella di Gesù sarebbe apparso tra noi col nome e la gloria leggendaria di Giuseppe Garibaldi.
Questo indispensabile e dialettico avviamento delle. dottrine politiche di Giuseppe Mazzini in una più comprensiva e vivente sfera d’azione nel campo sociale era tutto ciò, che nell’introduzione della mia Cronaca io avrei voluto fare intravvedere. L’onoranza a quell’immortale Apostolo sarebbe sempre rimasta la stessa, noi non si sarebbe proseguito altro che la scola delle sue dottrine, discernendo bensì la parte assoluta ed immutabile dalla loro transitoria, formale, e per necessità non stazionaria ma progressiva.
Ora per conciliare questa differenza tra lo stadio al quale si erano riposate le mie convinzioni d'allora, e quello più contemporaneo a noi, a cui era io giunto di poi, avrei o dovuto fare un lavoro di straforo, spuntando alcune frasi nell’introduzione, rilevandone alcune altre, e così mettermi in pace con me stesso, o pure per non cangiare alcune parole, fastidioso lavoro di minuteria, far di nuovo il tutto da capo.
Tentennai per l’uno e per l’altro sistema, e poi non avendo alcuna spinta a determinarmi, e in un modo o nell'altro avrei in quella parte dovuto rifar la stampa già eseguita, invece di sprecar tempo a ravviare e rallacciare l'acqua passata pensai ai lavori novelli, che occupavano l'animo mio.
Ma all'immatura e dolorosa morte avvenuta dell'amatissimo Giuseppe Fanelli sono pochi mesi, e che niuno potè sentire con amarezza maggiore dell’animo mio, io riandando la vita nostra in tanti punti comune, e gli anni e le speranze e le ansie nostre solidali, sentii di nuovo farmisi viva la memoria di quei fatti, nei quali egli ebbe tanta gran parte, mi ricordai del mio lavorò, mi si presentò innanzi il mio libro, nel quale era impressa una così onorata pagina della vita di lui, incarnata nella storia che io aveva narrata, ed io da quei pensieri sentii fatto un irresistibile appello a me stesso di dare corso alla fine a quella pubblicazione, che era il miglior modo di fare onoranza ad una memoria così cara.
Innanzi a questo appello evocato dalla amicizia, dal culto di affetto e di stima che ebbi sempre per quel miglior compagno della mia giovanezza e primo dei miei amici., io non seppi né volli indietreggiare. Mi pareva negandomi di tradir quasi l'amicizia, che a lui inviolatamente mi aveva legato, di rifiutare alla sua memoria, ed al dritto che egli meritava alla altrui venerazione, un tributo che era nelle mie mani di offrirgli, di trascurare di ergergli modesto, per quanto le mie forze il comportavano, ma spontaneo e saldo un monumento — Così mi sono risoluto senza più a pubblicare la mia Cronaca facendo stampare le ultime poche pagine, che scritte da allora non erano passate allo stampatore.
Nulla ho voluto cangiato per conseguenza nel lavoro, e considero come se l’avessi pubblicato quando lo scrissi. Le dichiarazioni, anzi meglio spiegazioni che ho sottomesso in queste precedenti mie parole a quel volume sono abbastanza chiare e significative. Il cortese lettore così è posto in cognizione di alcuni particolari, che lo mettono maggiormente in communicazione di idee con l’autore, e in quella che sentirà più rinsaldire la coscienza dei principi per giudicare a suo posto gli uomini e le cose, condonerà allo scrittore, come sua riserva, la parte più larga ed illimitata che nell’ordine politico e sociale egli ha voluto ora aggiungere, quasi confessione franca del progredimento delle sue opinioni, e del più vasto frutto dei suoi studi e del suo meditare.
Pubblico dunque questo volume così come si trovava fatto e stampato, mettendo in fronte al medesimo il nome di Giuseppe Fanelli, eroico combattente sotto Medici a Roma, esule prima infaticato cospiratore di poi, uno dei mille gloriosi di Giuseppe Garibaldi nel 1860, Colonnello nel 1864 dell’armata insurrezionale volontaria negli Abbruzzi, poi consigliere del Municipio di Napoli, deputato all'assemblea Nazionale quasi in tutte le legislature. Mente larga e comprensiva, più facile al concetto che alla sua manifestazione, amante del progresso e della libertà, cuore intemerato e purissimo, prode e coraggioso quanto altri mai, immutabile nella religione, del disinteresse, del patriottismo e del dovere, venerando nell'abnegazione e nella virtù del sacrificio, anima amorosa ed idealista, degnissimo di affetto e di illimitata amicizia, perché degnamente sapeva amare ed essere amico.
È ad amicizia di tal genere, che io sciolgo il mio modesto ed affettuoso tributo, dedicando il presente lavoro alla memoria di Giuseppe Fanelli.
Pisa, 25 marzo 1877.
LUIGI DE MONTE
Quella splendida e dolente tragedia scritta a Sapri col sangue di Martiri illustri, tra i quali primo Carlo Pisacane, apparve come una meteora luminosa che discese a rompere la prolungata notte di un’obbrobriosa schiavitù. Gl’Italiani ne videro la fine prima che ne sospettassero pure il principio, e muti s’interrogavano l’un l’altro col cuore straziato e con lo sguardo eloquente per sapere il vero di quell’eroico e fatale avvenimento. Allora una voce potente e veneranda, quella di Giuseppe Mazzini, surse commossa a parlare all’Italia dell’Eroe caduto, e insieme alla lode delle sue virtù in nome della patria mandò un saluto a quei generosi compagni di Napoli, che senza un’avversa fatalità a' loro sacrifici avrebbero meritato guiderdone di sorte migliore. D’allora in poi più non si parlò di quel fatto, ché varie cagioni imposero di rimandare a tempo più propizio un esatto racconto e le ricerche su i particolari e precedenti che vi avessero relazione. In prima la tirannide iniqua e sospettosa che pesava sul Napolitano, faceva necessità il silenzio, perché non si disturbasse quel segreto ed incessante lavorìo, che lo spirito della libertà compiva in Napoli per mezzo dei suoi Apostoli, e questi, sottratti col mistero al carcere ed all’esilio, potessero affrettare, come fecero, il giorno del comune riscatto. Ancora fu ostacolo l’immaturità del tempo, che alle bollenti e non composte passioni rifiuta l’esattezza del giudizio, e non lascia luogo alla storia se prima non sieno i fatti pienamente svolti, e si possa naturalmente entrare di poi nel campo dell’indagine e della riflessione. In fine si oppose ad un minuto disvelamento di quei fatti il rapido succedersi di più mature e sfolgorate intraprese, che richiamarono tutta l’ansia, tutte le forze e il cuore della Nazione e la spinsero dietro a quell’Angiolo d’Italia, che sorvolando i mari rallegrati dalle redivive trionfatrici navi italiane, da Varese a Marsala piantar doveva un Iride di Vittorie imperiture.
Chiusa con i giganteschi trionfi del Vulturno quella grande epopea iniziata a Sapri, tutti quei bravi fratelli ed emuli più avventurosi di Carlo Pisacane, baciato il suolo ove cadde il loro precursore, incominciarono a sentire con desiderio amoroso il bisogno di venir meglio illuminati su quell’avvenimento, ed ottenere una confidente relazione che li mettesse a parte di più riposte circostanze, affinché, svanita nell'animo di tal ano ogni idea d’incertezza o d’infondali sospetti, non si cercasse di riconoscere invano in quel luttuoso fatto nessuna colpabilità di persone; e così ravvivata la fede con maggiori vincoli di memorie, di dolori e di affetti comuni, meglio essi si stringessero concordi a quel lavoro ch'è la sola speranza del nostro avvenire. Allora fu che a soddisfare cotali desideri, l’illustre Zuppetta, l’Agresti, il Mignogna ed altri strenui campioni della rivoluzione unitaria, consultati alcuni dei principali documenti del Comitato Democratico di Napoli presentati loro dal Fanelli e Dragone, he lo avevano composto, distesero una breve e schietta sposizione dei punti principali di quel fatto, facendo, con tale loro intemerata testimonianza e con l’appoggio dei citati documenti, sacra la verità e la lode. Il qual parere fatto presente con tutti i documenti al Nicola Fabrizj, parte principale in quel fatto, al Saffi, al Crispi, al De Boni e al Mordini, meritò ugualmente l’intero loro plauso e consentimento.
Ciò soddisfece appieno i patrioti generosi che il dimandavano. Intanto, essendo ora finivi di di leguare tutti gli ostacoli di sopra ricordati, che si opponevano alla pubblicazione di tali fatti, io credo a izi che sia necessario di darne piena conoscenza a tutti i fratelli Italiani: e consapevole di q ei lavori che in Napoli si compivano, e che seguii con l’ansia del più fremente affitto, imprendo a sollevare il velo che li copriva, stampando una pagina segreta del Comitato democratico di Napoli, che metterà in piena luce tutti i fatti relativi all’avvenimento di Sapri. Io mi starò contento a tessere una modesta Cronaca tratta dai Documenti tutti che sono raccolti nelle mie mani, ai quali rinvierò il lettore, perché riscontri in essi le copiose fonti di ogni mia enunciazione; ed infine stamperò un dopo l’altro tutti i Documenti e la Corrispondenza del Comitato democratico di Napoli in ordine ai fatti di Sapri. A questo modo io credo di riempiere il vuoto che fin’ora esisteva; ed esaurendo dal lato del Comitato di Napoli tutte le indagini e ricerche possibili, far cosa ga' a ad ogni onesto patriota, e preparare inevitabilmente alla storia le basi dalle quali attingere il suo convincimento.
Né la modestia dei miei amici di Napoli deve adontai si per poco di qi està mia pubblicazione formata dall'onorando cumulo dei loro sudori. Questa pubblicazione è necessaria ed utile sotto infiniti rapporti. Essa è un omaggio che io rendo alla verità; essa è una solenne missione che un Italiano adempie verso tutti i fratelli italiani, affinché con la coscienza dei fatti passati, esaurendo la storia dei disinganni, e smascherando le arti del gesuitico moderatume, finiscano di rovesciare al suolo questi vitelli d’oro per evirata sonnolenza e per laida ippocrisia incapaci e mal volenti, e veggano sempre più in quali uomini e da che parte stia l’invincibile palladio dell’Avvenire, che impone all’Italia un nuovo Apostolato nel mondo di civiltà e di progresso. La presente pubblicazione è più ancora un sacro debito richiesto dal martirio di eroi sì cari e sventurati, affinché ogni libero cittadino possa ricordare, che per quanto splendida di trionfi sia la storia di un popolo — e la nostra è splendidissima — pure non è. tale addivenuta se non per forza di grandi olocausti e inauditi sacrifizi, e che il sangue di tante vittime ci lascia un irrecusabile legato da compiere, di arrivare senza posa imperterriti alla nostra finale rigenerazione.
L’Italia per la sua posizione, pel suo cielo, ricca della più perfetta varietà di forme, sede di ogni tipo ideale è deputata ad essere nel mondo il cuore dell’umanità. Ponte tra l’Oriente e l’Occidente purificò essa la Civiltà pelasgica, e mercé la conquista di Roma quiritica fu ai barbari circostanti centro di unità materiale.
Il periodo delle armi e del dritto compito con Roma pagana chiuse ella il ciclo del Mondo classico, e con l’amore, l’uguaglianza, il dritto dell’uomo individuo, abolita la schiavitù, chiamati gli uomini tutti fratelli, si fe’ di nuovo all’umanità maestra di altra Civiltà, quella del Cristianesimo e del sentimento, svolgendo tutte le forme del bello, arti, lettere e scienze. Fu l’Italia in questo secondo momento centro di unità morale all’Europa, e all’Europa mostrò la libera individualità, simbolo del mondo moderno nelle gloriose Repubbliche del Medio Evo.
Questa grande potenza diffusiva ed iniziatrice dell’Italia ebbe finora due cammini: nel primo essa si versò all’esterno e s’impose ai vinti; nel secondo ripiegandosi sopra sé stessa attirò i popoli conquistati, a sé assimilandoli; ché scesi in apparenza da conquistatori, in fondo rimanevano essi vinti alla Latina ed alla Cristiana Civiltà.
Questo secondo ciclo di attrazione è finito avendo l'Italia svolto ed esaurito pienamente il concetto del Medio Evo, il quale deve cadere innanzi alla nuova fase nella quale entra l’umanità, e di cui solo l’Italia può essere la propagatrice. La nuova formola ideale del prossimo avvenire dell’Europa e del Mondo civile, è l’idea della Unità politica delle nazioni. Ma l’Italia non potrebbe svolgere, né rappresentare nel mondo questa formola ideale, se prima non la compisse armonicamente in sé stessa, e per compierla deve, rincacciando fuori da sé ogni elemento negativo, innalzare sul principato pontefìcale di Roma fatto ormai cadavere, il vessillo della conquistata sua nazionale Unità.
Or questa formola ideale dell’Unità politica che l’Italia incomincia dal compiere prima splendidamente in sé stessa, fu preparata da un lungo e sublime lavoro, innanzi al quale la storia s’inchina rispettosa.
Due splendidi principi presiedettero a questo lavoro: l’idea di unità dello Stato, l’idea di varietà dell’elemento popolare, dei quali principi si rintraccia il germe da una parte nella storia del Comune italiano, in cui il popolo incominciando ad affermarsi prende le prime mosse verso la conquista della sua libertà, e dall’altra nella idea dell’Unità dello Stato proclamata in vari tempi dai più augusti Italiani.
Mentre in Pontida le città lombarde facevano una lega di popolo, Dante Allighieri, anima colossale lanciata come sfida all’Europa perché rappresentasse il pensiero del Settentrione e l’anima del Mezzogiorno, proclamava l’Unità nazionale dell’intera famiglia italiana. Mentre il popolo si avvolgeva in Toscana nel glorioso carroccio componendolo a tumulo della sua repubblica, Niccolò Macchiavelli tentava raccogliere in uno le membra sparte, e purché si rendesse grande l’Italia, potente ed una, scendeva a patteggiare fin coll’immondo Valentino. La Nazione però non era matura, e l’Unità del Dante e del Macchiavelli rimase come due fari luminosi, che compendiavano in loro i primi momenti di quella Idea.
Il primo intendeva di fare Una l’Italia con la esterna volontà di un Imperatore, poiché l’interna forza di popolo bambino non corrispose alla sua grande chiamata. Il secondo, anima stanca e addolorata, vide la libertà e la nazionalità strozzata in Italia dai soverchianti tirannelli, il popolo fatto a brani, e solleticando la passione di un tiranno più ambizioso, sperò che questo difetto, tenendogliluogo di virtù, bastasse a riunire in una la gente italiana.
Così passarono i primi due momenti di questa forinola unitaria, l’uno con Dante, l’altro con Macchiavelli, grandi esploratori dellavvenire, ai qualj mancava il germe fecondatore — le forze della Nazione — elemento che solo più tardi poteva appalesarsi nella maturità della sua potenza.
Di fatto caduto coi principi del presente secolo quel fanciullo cadavere di Regno italico fondato dal capriccio di un conquistatore, e ripiombata l Italia sotto tiranni ancor peggiori di prima, preparato dalla vita intera di un popolo, dai suoi grandi martiri, dalle sanguinose sue proteste, dai Savonarola, Sarpi, Bruno, Campanella, dai Pagano, Giannone, Conforti e Cirillo, dalla riforma e dalla rivoluzione che aveva scossi tutti i troni, surse finalmente il terzo stadio, in cui questa formola della Unità nazionale incominciò a svolgersi ed incarnare potentemente nella realtà. Questo fatale momento fu intravvisto nel presente secolo da un’altra anima privilegiata, che erede del concetto di quei due grandi Italiani consacrò la sua vita al trionfo dell’odierna missione dell’Italia, l’acquisto della sua nazionale Unità.
Quest’uomo che racchiude in se il pensiero dei secoli andati e l’antiveggenza degli avvenire, è Giuseppe Mazzini. Il programma vaticinato da lui all’Italia fu d’Unità Libertà e Indipendenza col grido di Dio e Popolo: e questa formola profetica che si asside arbitra tra il passato e il futuro, fatta più splendida dalla pienezza dei tempi e dai fatti che le danno ogni giorno una nuova fronda di alloro, recherà l’Italia alla sua finale grandezza, compendiando nell’uomo che la dettò il terzo ed ultimo momento della nostra Unità nazionale, ed il principio di una nuova missione dell’Italia nel mondo.
Avea l’Italia in questo suo augusto cammino perigliosa ma unica via a percorrere, il combattere cioè i nemici e gli ostacoli, nemici palesi ed occulti, ostacoli morali e materiali, che si opponevano tutti gagliardamente alla libertà ed al trionfo del concetto unitario.
Oltre dei vari tiranni domestici — del Papa e dell’Austria — dannosa ed ostile era a ritenere la Francia, sia perché gelosa del Risorgimento italiano, sia perché sotto l’apparenza di libertà, e con l’aureola di una rivoluzione da cui è del tutto degenere, non faceva che propagare la corruzione e il servilismo; ed ancora più insidioso nemico era a ritenere per l’Italia la scuola del gesuitismo e moderatume politico rappresentante in sé l’ultima fase del concetto della tirannia e del dispotismo.
Vedutosi labile il potere fondato sulla soggiogazione e sulla conquista, finita la superstizione per l’unzione divina, la sovranità di privilegio pensò di farsi una clamide impenetrabile della frode e delle lusinghe. Bevvero i reggitori questa nuova scienza nel Macchiavelli credendola fonte di più giovane vita, dove che egli invece a bella posta aveva colà ascosa la loro morte, e con tale nuova larva di promesse, di derisa libertà e d’inganni, dando ai popoli dei falsi idoli ad adorare, sperarono di aver perpetuata, o almeno dilungata la vita. Sacerdoti venduti o illusi dal potere, bugiardi sempre, propagarono da allora questa nuova scienza che, sviando i popoli dal loro cammino, spandendo il sonno, l’inerzia e la corruzione, li rendesse incapaci a riconquistare i loro diritti.
Questa scuola che rappresentava la forma della ironia e dell’umore, ultima degradazione di un momento finito, in cui si avvolgeva il privilegio come in sontuoso manto funereo, benché fosse l’ultimo guizzo di una fiamma morente, pure non era men funesta alla Nazione, falsandole il concetto della sua libertà e grandezza. In fatto era pur troppo naturai cosa che i popoli in sul principio credessero meglio alla commoda libertà che si prometteva facilmente donata, o che pazientemente bisognava aspettare, anziché a quella vera che si compera unicamente a prezzo di sacrifizi, di eroismo e di sangue.
Ora a tutti questi nemici Giuseppe Mazzini dové contrapporre un sistema che profondamente armoni co all’altezza del concetto unitario, partendo dal pensiero trovasse i modi di versarsi nel campo storico della realtà. Questo sistema doveva per mezzo di un opera diuturna, incessante, instancabile è sempre più crescente, condurre la coscienza popolare ad illuminarsi, il braccio a sentirsi forte disingannandola su' i falsi amici, rendendola potente contro i nemici. Questo sistema doveva affermarsi mercé un lavoro sul Popolo, col Popolo e per il Popolo. L’unico mezzo era l’Azione, e l’azione continua che injettasse nel cuore dello stesso la magica adorazione di una Patria comune; che dai continui esempli ed esperimenti facendogli trar coscienza delle proprie forze lo spronasse a sorgere ed operare; che suscitasse in lui la divina scintilla che ogni nazione, per quanto sia travolta in basso dall’errore e dalla schiavitù, custodisce come aspirazione al proprio riscatto e come sentimento della propria missione.
Bisognava dunque, non avendo altra forza che il Popolo stesso, in nome del suo dritto farlo continuamente sorgere e protestare cadendo e ripigliando, novello Anteo, forza maggiore dalla terra. Era una lotta della virtù contro il vizio, della verità contro l’errore, della libertà contro il servaggio, del dritto contro la forza, che quel Grande doveva sostenere, mettendo il Popolo inerme a fronte dei suoi armati oppressori. Senza eserciti, senz’oro, anzi contro agli eserciti e la ricchezza sostenitrice costante del potere, Egli doveva evocare dal seno del popolo le generose coorti, che pugnando per l’idea nazionale senza speranza di vittoria s’immolassero per l’avvenire. Vittime volontarie che cadendo nell’assalto ricolmar dovevano la via ai futuri combattenti, affinché questi, illuminati da tante colonne militare della libertà, scossi dal cenere fremente che calpestavano, e dal sacro inno di guerra delta Nazione che da quel fremito prorompeva, arrivassero vincitori a baciare il vessillo della nuova Italia, che egli aveva imperterrito tenuto alto sulla breccia fumante.
Un sistema cosi fatto, espressione di quella fatalità logica che sola armonizza l’idea con la forma, era l’unico imposto all’Italia dai tempi: unico con mirabile intelligenza l’intravvide Giuseppe Mazzini, ed altro Hegel a cui l'Umanità deve la formola del pensiero, la Nazione deve a lui la formola creativa del concetto unitario. La nazione forma la nazione.
Il pratico esplicamento di tale formola dipendeva dalla fusione di due elementi pensiero ed azione per mezzo della forza viva del popolo, per ottener la quale mentre da un lato il sistema richiedeva necessità di continua azione, dall’altro si trovava a fronte ad una povertà di mezzi sproporzionata alla larghezza dello scopo, mezzi che il solo popolo poteva offerire, ma che non avrebbe neppure offerto, se diviso e prostrato da tanti secoli non si fosse rialzato prima nella sua dignità, e non acquistasse la coscienza dei suoi dritti e la volontà del suo riscatto. Bisognava dunque lavorare ed operare per ottener cotanto effetto, ma senza libertà né pienezza di azione, con la sola azione fatta possibile dalle tirannie di diverso genere che ci laceravano il seno, e dal gesuitume levitico e borghese che carezzava il popolo nella sua impotenza: operare appena formalo un nucleo di generosi e raccolto il segreto obolo cittadino, senza poter attendere la dimane che arrecasse con l’ingrandimento di tali elementi maggiore speranza di successo, nel timore che il lungo attendere, o l’avversa persecuzione li disperdesse. Bisognava operare per quanto gravi fossero i pericoli e i sacrifizi senza curarli, fissando da lontano la conquista di quel sublime scopo ideale. Bisognava in fine non ritenere quale disfatta il perdere o il morire, ma disfatta l’ozio ed il silenzio, nel quale poltrendo la Nazione si avvezzasse a baciare le sue catene ed incallire sotto il rossore della sua ignominia.
In questo campo e con queste armi discese a pugnare per la sua patria Giuseppe Mazzini, votando ad essa l’intera sua vita, unica di sacrifici, di stenti, palpiti, miserie, dolori, imprigionamenti ed esilio: unica di patite calunnie, persecuzioni, invidia, disinganni, ingratitudine e tradimenti: unica per costanza e convinzioni saldissime, nelle quali quel novello Capaneo si ritemprava in vista dei profetati trionfi. E mentre il suo grido di guerra lanciato sopra ogni cuore italiano ne ridestava i generosi, e la. fede politica nel concetto unitario insegnato da lui diventava religione di ogni vero patriota, con questo dogma nazionale egli rivelò all’Italia gli uomini che dovevano salvarla nelle ore di azione e di lotta, le mostrò i falsi profeti fuggitivi per viltà e insidiatori per interesse, nella sciagura estranei, primi nel trionfo per rubare al popolo il suo alloro, e farlo marcire sulle adultere tempia del potere. Questo dogma mostrò all’Italia, che la sola Nazione poteva salvar sé stessa, e con mille pruove sempre più crescenti di abnegazione e di grandezza diede alla Storia nei Pisacane e in tanti altri martiri illustri, esempi redivivi e maggiori dei Gurzi e Scevola Latini, spronandoli ad eseguire col cuore e col braccio ciò che il pensiero della Umanità in Giuseppe Mazzini aveva vaticinato.
Dalla incarnazione di questo dogma nacque infine la storia dell’Italia contemporanea; e chi imprenda a riandarla col filo conduttore de' principi finora sposti, vedendone il riverbero in lutti gli avvenimenti, potrà solo farsi splendida coscienza del cammino tenuto dal Concetto Unitario. Vedrà allora come ogni passo, ogni vittoria verso la nostra meta non è dovuta, che alla forza viva della Nazione. Vedrà come le rivoluzioni del 1820 e 21, movimenti paralleli ma isolati ai due fuochi della Penisola, prepararono nel 1830 la via a quel passo gigantesco, in cui il primo grido di popolo si pronunziò contra il principato tiranno, il tiranno straniero ed il Sacerdozio Principe. Vedrà in quel grido il programma dell’intera idea nazionale che ora si svolge. Vedrà nei successivi martiri dei Bandiera, nei fatti di Rimini e di Bologna tante altre pietre gloriose gettate nelle fondamenta del sorgente edifizio. Vedrà nei congressi italiani e nelle riforme il fremito potente di un intero popolo, che si ridesta ad una vita comune; e nel 1848 vedrà un passo smisurato fatto nella via nazionale a traverso delle delusioni istesse e del sangue.
Ma osserverà ancora dall’altra parte, che questo moto del 1848 cadde, perché non era esso un fatto compitore, sì bene uno degli ultimi anelli di preparazione al prossimo trionfo dell’idea nazionale: che il vagheggiato connubio tra i vecchi tiranni ed il popolo, tra l’autocrazia e la libertà, non poteva svolgere l’idea, né del popolo, né della libertà, e che ben presto l’illusione doveva cadere. Osserverà che ad onta degli anatemi lanciati dal Pontefice, primo a benedire, e dei tradimenti vigliacchi degli altri Principi primi ad accorrere, il Piemonte rimasto solo nella lotta, se avesse seguitato la guerra di Popolo e non di Re, di libertà e non di conquista, forse avrebbe evitato la disfatta di Novara e l’abbandono di Venezia. Osserverà che al popolo sono dovute le glorie del 1848, tra le quali, per non parlar dell’eroica Brescia, Bologna e Sicilia, primeggiano le gloriose giornate di Milano, i piani di Curtatone e le Repubbliche di Roma e Venezia. E venendo più ai tempi nostri osserverà, che mentre la Nazione guidata dal suo Gran Capitano sorgeva gigante a Varese e Como, ed il soldato italiano dava Palestro e S. Martino, il Gesuitismo politico aggrappato al potere ci strappava Nizza e Savoja, e ci lasciava come incubo sul cuore un alleato fatto padrone. Osserverà che mentre la Nazione, personificata in Giuseppe Garibaldi a Marsala, Calatafimi, Palermo, Milazzo, e all’immortale Volturno, poneva la pietra tetragona dell’odierna unità, e il soldato italiano vi aggiungeva Castelfidardo e Gaeta, l’ippocrito moderantismo spezzando i trionfi nazionali lussureggiava sulle vittorie popolari: e comprenderà in fine, perché in questi tre ultimi dolorosi ma utili e salutari anni, infeudata l’azione al potere si fosse totalmente essa arrestata, spettando il riprenderla alla sola Nazione, alla Nazione soffermata per riposarsi, e non abbastanza raccolta a Sarnico ed
Aspromonte per riprendere con finale slancio il finale cammino.
Questo sguardo generale dato alla Storia contemporanea era necessario per assicurare gl’italiani tutti della inevitabilità logica del sistema di Mazzini, siccome era similmente e più ancora necessario di ricordare agl’italiani questo sistema e l’interiore virtù che lo animava; affinché, oltre al trarne esperienza per l’avvenire, potessero comprendere appieno il carattere degli avvenimenti che io mi fo a narrare, siccome quello che non va ristretto allo scopo speciale della loro narrazione, ma irradiato dal sistema generale nel quale s’incarnano i fatti nobilissimi di Sapri, gli eleva degnamente al nobile seggio donde debbono essere contemplati. Così in quella che io mostrerò in fedele ed esatta cronaca il loro materiale svolgimento, il lettore, collocato in una sfera più sublime, sorvolando sulle accidentali apparenze, facendosi maggior ragione dei fatti col lume dei principi, e ponendo maggior fede nei principi col riscontro dei fatti, avidamente scovrirà in questo piccolo angolo di storia non esplorato, l’impronta dell’idea che guida l’Italia alla sua vita avvenire, la lotta contro la tirannia e’1 falso liberalume, che il principio Unitario dovè sostenere; e messa la mano sul cuore dell’Italia, mentre avvertirà uno dei suoi battiti generosi, fisiologicamente studiando in questa vertebra il totale organismo, s’inizierà prostrato ai misteri operosi e fecondi, nei quali lo Spirito della Libertà preparava col lavoro e l’esperienza il trionfo dell’avvenire.
Non essendo scopo della seguente Cronaca il narrare distesamente tutta la storia segreta del Comitato democratico di Napoli, ma solamente quella parte che risguarda la Spedizione capitanata da Pisacane a Sapri, così io dirò dell’origine di questo Comitato sol quanto basta a dare un’idea precisa al lettore intorno al concetto e scopo del medesimo: e sfiorando come di volo tutto il tempo di mezzo che adombra la lotta con la tirannia e coi moderati, mi fermerò difilato al punto onde nacque il pensiero di quella spedizione. Da quel punto i Documenti che sono tutti nelle mie mani formano successivamente una catena infrangibile, la quale nelle sue varie anella mostrerà prima il sistema insurrezionale del Comitato di Napoli a cui quel pensiero si rannodava, indi accennerà il sistema insurrezionale, che formava sopra campo più esteso il Concetto di Mazzini, come poi posti a fronte l’uno dell’altro si neutralizzasse il primitivo sistema del Comitato di Napoli per incarnarsi in questo secondo Concetto. Mostrerà in seguito tutta la Corrispondenza di chiarimento dei propri sistemi tenuta dal Comitato di Napoli e Fabrizj, col Comitato Generale di Mazzini, e con Pisacane. Mostrerà tutta la discussione fatta sulla proposta di Ponza e di Sapri, le difficoltà sorte, gli apparecchi necessari, quelli possibili a farsi; indicherà, come il temuto prorompere degli avvenimenti apparecchiati nell’Italia superiore spingesse ed affrettasse lo svolgimento dei fatti nel Napoletano; scovrirà come da imprevedibili ostacoli fossero attraversate sì gloriose aspirazioni nel punto di compiersi, e come in fine una materiale avversità da un lato, e la malignità dei liberali moderati dall’altro, trascinassero ad infrangersi in una reale fatalità tutto l’ideale che lo Spirito della Libertà avea preparato.
Esaurito a questo modo quanto mi era imposto di premettere, io ora introduco il leggitore nei sacri penetrali di questo tempio invisibile, avendolo purificato alla porta dalle preconcette convinzioni o dai passionati pregiudizi, per mezzo della benefica serenità dei grandi principi che regolano l’Umanità. Qui la sublime astrattezza sparisce per determinarsi in fatti anche più sublimi, e noi religiosamente in silenzio facciamoci a riandare la loro traccia immortale.
La difesa di Roma nel 1819, che forma una delle più splendide pagine della storia d’Italia, aveva raccolto sotto il vessillo inalberato dal Glorioso Triumviro la miglior parte dei Patrioti italiani. Era il sangue che affluiva al cuore, era la vita gigantesca dell’avvenire d’Italia che colà prorompeva. Non difesi da altro, che dai loro petti, i nostri eroi segnavano a Porta S. Pancrazio la vergogna delle armi straniere, e nel cadere sotto la mitraglia francese scolpivano nei secoli la fratricida memoria di una Repubblica Gaina. Resisteva nientemeno la strenua' falange, giurata a seppellirsi tutta per la difesa della Patria; ma quando la insana rabbie non contenta del sangue si avventò ciecamente ai nostri invidiati monumenti del Genio e dell’Arte, il Cuore italiano schiacciato non comportò più a lungo siffatto strazio, e vedendo inutile anzi dannoso il resistere, si’ ritrasse dal varco abbandonato agli oppressori.
Da allora insignoritisi questi di Roma diedero giù la maschera, e fallaci alle simulate promesse schiacciando la libertà e qualunque dritto nel popolo ruppero ogni confine alla iniqua persecuzione, che disperdendo i Patrioti superstiti li costrinse brutalmente a lasciare la terra italiana dandosi in braccio a novello esilio. Tra i migliori di questi carissimi profughi si ritrovava Nicola Fabrizj da Modena.
Poche vite in Italia hanno l’intera ed immacolata istoria di questo venerando Apostolo di Libertà, e per cuore e per mente uno dei primi nostri concittadini. Pochi uomini rappresentano come lui quella invidiabile unità di concetto, e quella fede incrollata tra le blandizie o le minacce del potere. Pochi, direi quasi in Italia, Terra della grandezza poetica dei Martiri e degli Eroi, compendiano al pari di lui tante virtù cittadine senza fasto d’orgoglio, non maculate d’ambizione veruna, nobilissime e sdegnose nella persecuzione, modeste nel trionfo, ed a pochi è serbato, come a lui quel tesoro invidiabile di riverenza e d’affetto, che gli tributa la patria riconoscente.
Giovane egli dedito agli studi e già dottorato, prese nel 1831 parie alla sventurata cospirazione del Modanese, ove con i tre suoi egregi fratelli venne condannato alle galere. Scampato dopo da quel carcere onorò l’esilio con la dignità delle opere e del cuore. Uomo di grandi principi e d’instancabile operosità fu sempre nelle prime fila ove bisognasse una vita da spendere per la Patria, una mente per consigliare. Combattè valoroso capitano le guerre di Libertà nel Portogallo e. nelle Spagne, indi rinserrato nel segreto misterioso, onde lo spirito latente prepara l’opera dell’avvenire, tra i capi della giovine Italia fu uno dei più gelosi custodi del fuoco sacro della verace Libertà, ed assiduo compagno di Giuseppe Mazzini nella propaganda da costui promossa del suo Concetto Nazionale., divenne nelle battaglie meno splendide ma ugualmente nobili della cospirazione, uno dei pochissimi primi per pratica, prudenza, tatto finissimo e costanza inalterata. Indi spuntata nel 1848 quella luminosa alba della futura vita in Italia egli si recò a Roma d’onde, dopo aver combattuto da prode si ritirava non gettata via la spada, ma rimessa solamente nel fodero aspettando la novella chiamata.
Aveva il Fabrizj conosciuto in quegli ultimi giorni un giovane Napolitano presentatogli dal Medici come uno dei più cari suoi compagni d’arme. Si chiamava questi Giuseppe Fanelli, il quale accorso nel 1848 nei piani Lombardi, poi volta colà in basso la fortuna di Italia unitosi alla compagnia Medici per la Toscana si era ripiegato sopra Roma. Quivi combattendo nella strenua posizione detta il Vascello aveva avuto grado di Uffiziale. Il Fabrizj incominciato a stimarlo si strinse in amicizia con lui, e partendo assieme dal sacro suolo di Roma toccarono prima Malta, e poi trovata ospitalità in Corsica fermarono quivi la stanza del loro esilio.
Nicola Fabrizj incapace di venir meno alla sua nobile missione non si ristava dallo studiare la condizione d’Italia e della parte liberale per indagare quale fosse la direzione da dare al lavoro, e di tali studi metteva a parte il Fanelli.
Uno dei concetti che più onorano il Fabrizj è stato sempre quello di antivedere nel Sud della Penisola per ragioni politiche e militari il punto di partenza della futura Unità e Grandezza italiana. Di fatto quivi egli ha sempre diretto la sua iniziativa, ed allora ugualmente nel Napoletano presentì che questo lavoro era più necessario. Onde trovato modo in sul finire del 1853 di lasciar la Corsica per recarsi in Malta, luogo più acconcio alla sua propaganda, egli pensò che il Fanelli dovesse tentare il suo ritorno in Napoli, affinché quivi, distendendo le fila concordi di un pensiero comune piantasse, se possibile, un centro direttore del movimento avvenire.
Stabiliti così i primi passi riuscì al Fanelli di ritornare nel Regno. L’anima di iena e di volpe dormiva stanca, se non satolla in Re Ferdinando, il quale supponendo il Fanelli condannevole solo per bollor giovanile gli fe’ grazia il rimpatriare.
Venuto quegli in Napoli osservò lo stato delle’cose e ne riferì al Fabrizj. Gli animi abbattuti, i cittadini divisi, i liberali per l’insolente tirannide guardinghi e poco comunicativi. Questo isolamento esser cagione di mancanza d’intelligenza e di un pensiero comune, e sovratutto la più parte dei liberali fatti inerti della falsa scuola dei moderati quietisti o come egli li diceva Trattenentisti. Esser necessario che si mettessero in relazione tra loro i ben volenti in Napoli e nelle provincie per farli cospirare al grande scopo insurrezionale unitario. Il che diventava opera non lieve per lui poco conosciuto e nuovo quasi in Patria, che aveva lasciato giovanetto, e dove però non avea di molte politiche conoscenze: con tutto ciò si offeriva al Fabrizj come anello di comunicazione tra lui ed i liberali del Napoletano.
Il Fabrizj allora da Malta vieppiù stringendo gli accordi con Fanelli gl’indicò, ottimo ed eccellente patriota essere un tale Luigi Dragone cognato del Morici emigrato a Malta, avendone in moglie la sorella Rosa; che il Dragone era operoso e fedele ad ogni prova, e in lui ciecamente fidasse. Il Fanelli di fatti conosciuto Luigi Dragone si strinse in calda consuetudine con lui, la quale gli fu largo campo per fargli estimar dappresso tutte le nobili qualità del suo cuore, di modestia costanza e libertà di animo, rare a trovarsi congiunte in un sol uomo, fatte più rare ancora e degne d’invidia dal consolante riflesso di uguali virtù, che il cuore della moglie gli rimandava, costante compagna di perpetui sudori e di segreti sacrifici.
La prima cosa incominciati a studiare gli uomini ai quali era mestieri di rivolgersi, essi procurarono di conoscere l’onore dei patrioti napoletani Niccola Mignogna il quale rimasto a custodia del vessillo sacro della libertà aveva già impreso un lavoro liberale, che con inauditi sacrifizi e costanza proccurava di spingere innanzi.
Conobbero ugualmente i cittadini Giovanni Mattina e Giacinto Albini con i quali incominciando ad intendersi, questi li misero in relazione con vari liberali più influenti nelle loro provincie di Salerno e Basilicata, tra i quali primi i fratelli Magnone, Padula e Matera, di cui avremo agio di parlar di poi.
Curarono ancora di prender relazione con i cittadini, che avessero più voce di preponderanza sul popolo, quali i fratelli Fittipaldi, Chiarini, Lancellotti, Rizzo, Basile ed altri.
Questo campo di conoscenze e di relazioni ogni giorno più si estendeva, ed ora si appiccava corrispondenza con un liberale nelle prigioni, ora con un altro in Napoli, ora con un capo popolano, ora concittadino di altre provincie del Regno: ed in ciò consisté la prima operazione preparatoria che ad essi era mestieri praticare, picchiando di porta in porta riconoscere il terreno e ragunar man mano le forze, per poterle poi avviare ad un ordinato lavoro, poggiato con tal metodo sopra una rete di larga e generale cospirazione.
Per codesta via e modo impresero quei due nobili ed ardenti giovani il loro lavoro liberale nel Napoletano, costituendo in Napoli un centro direttore a cui diedero il nome di Comitato e che fu diretto da Fanelli celato sotto il nome di Wilson o Kilburn per mezzo del quale già corrispondeva col Nicola Fabrizj, e dal Dragone conosciuto col nome di Socio,
Pensando io ai tempi d’allora, e all’opera che imprendevano quei generosi giovani, sento ancora viva la maraviglia e il rispetto, ponendo mente alle difficoltà ed agli stenti, che con tanto securo animo essi si facevano ad affrontare. La polizia e le spie che non lasciavano vivere, e le persecuzioni sempre rinascenti in una tirannia sospettosa quanto più crudele, e crudele quanto più vigliacca, dovevano esser deluse da altrettale, anzi maggiore sagacità e destrezza, a segno che il Governo giugnesse lino a dimenticarli. É ben vi riuscirono in tutte le loro pratiche, perché si fattamente s’adoperarono essi in Napoli e il Fabrizj da Malta, che niuno di quelli che si pose in accordo con loro cadde pure in sospetto al Borbone. Miracolo di fortuna da un lato, e gran pregio di secreta virtù cittadina dall’altro li condusse, come vedremo, a confidare in tanto buon terreno quel prezioso seme, che tutti quelli che loro si riunirono e in Napoli e nelle Provincie, gelosamente custodendo il misterioso lavoro, prepararono sotto i piedi dell’inconscio Tiranno la ruina del suo trono insanguinato, distendendo quelle fila che se non fruttarono allora, poco dopo nel 1860 gloriosamente si appalesarono, sorgendo inaspettate ai più a proclamare l’Unità nazionale.
Era a mala pena il Comitato in sul principio delle sue operazioni, quando un grave incidente sopravvenne quasi a distruggere in erba tutte le speranze, e fu questo l’imprigionamento di Niccola Mignogna e di molti altri patrioti più nominati, tra cui la signora Antonietta Pace, che diè allora tante pruove di abnegazione e forza d’animo. L’imprigionamento ebbe luogo per accusa di cospirazione unitaria repubblicana. Il Processo, accanito per ferocia inquisitoria da un lato e per eroica costanza dall'altro, forma una delle più belle pagine della nostra storia di quel tempo. Vi assistevano ora il Fanelli ora il Dragone, per vedere fino a che punto essi dovessero sospettare, e ciò che doveva temersi da loro. Il Mignogna sostenne con quella fiera dignità che gli è propria, ed alla fede di lui e degli altri imputati fu debitore
Fanelli di essere sfuggito a quell’imprigionamento, benché alcune sue lettere sottoscritte col nome di Wilson si trovassero sotto gli occhi della Corte, che le leggeva in pubblica udienza e le giudicava scritte da un tenebroso cospiratore.
Il Mignogna fu fortunato, se dalle unghie di quei carnefici potè sottrarsi essendone condannato a perpetuo bando, e si recò a Genova tra i suoi amici politici. Allora il nostro Comitato più raddoppiando di precauzioni, di segreto e di operosità cercò di avvantaggiarsi con la coadjuvazione dello stesso Mignogna, di tutte le relazioni e dei lavori intrapresi da lui, e fu da quel punto che più vastamente incominciò la corrispondenza tra il Comitato e le Provincie, tra il Comitato e i vari patrioti in Napoli e nelle prigioni.
In quella che il Fanelli lavorava dal suo canto, il Dragone dividendo con lui tutti i sagrifizi si moltiplicava in mille guise, e adempiendo l’ufficio di Segretario passava in cifre tutte le lettere del Fanelli, e dopo con acconci trovati chimici le salvava dall’occhio del Governo. In tal modo era formata la corrispondenza: e mentre il Dragone valeva in ciò tanto oro, instancabile com’era e fertile dei più fini trovati, ei vi aggiungeva anche di più il raro coraggio e l’abnegazione di recarla egli stesso sulla sua persona con l’aria più disinvolta che si possa mai avere, affidarla alla posta, o con lettere senza più, o celata sotto le innocenti apparenze di oggetto incapace a destare qualunque sospetto.
Ma per quanta fosse la sagacia e l’ingegno, la necessità dei mezzi di cui era scarsissimo il Comitato accresceva grande impaccio alla cosa, e sorgeva ad ogni momento come insormontabile ostacolo. Ogni passo, ogni menoma operazione richiedeva del danaro, sia per proccurare una certezza di segreto, sia per trovare gli stessi modi di aprire e mantenere vive le communicazioni già create. La quale condizione del Comitato se da un lato gli cresceva gli ostacoli, da un altro gli raddoppia la lode, perché piantato Con i propri giovanili ajuti,e senza ricorso di casse collettizie od offerte, che più tardi, quando il lavoro fosse pienamente accreditato e le provincie organizzate, avrebbero potuto dai loro commessari esser raccolte per la formazione di una cassa centrale, alla quale Napoli avrebbe al certo contribuito in vista del lavoro serio e capace di grandioso successo.
Oltre di questi gravi ostacoli che nascevano al Comitato dirimpetto al Governo ed alla cosa istessa,uno dei maggiori inciampi che esso ritrovava, era nella deviazione che nasceva nelle forze liberali per la opinione pubblica falsata dai dottrinari e temporeggiatori. — Scuola di quietisti politici, i quali invece di eccitare lo spirito pubblico, lo tenevano piuttosto a bada, cullandolo tra il dolce aspettare, sperare e non far nulla! Costoro, prendendo le ispirazioni dai moderati ed emigrati napolitani raccolti gel Piemonte e dall’Ambasceria di
potenza straniera, ripetevano, che il nostro avvenire non poteva mai dipendere da noi, ma dalla protezione e benevolenza della diplomazia, intesa per l’opposto ad illudere i popoli e tenerli in uno stato di perpetua incosciente schiavitù (1).
La maggior parte,anzi quasi tutti codesti moderati, eredi del concetto speciale del 1848 ed in esso concretati, non si elevavano all’altezza del concetto unitario dell’Italia avvenire, e non presentendo neppure il sublime suo scopo ideale, chi era pel ritorno puro e semplice dello Statuto del 1848, chi, e la minor parte, con Murat, o per fallaci simpatie francesi, o per sfuggire all’odiato presente. Niuno di essi pensava né si sentiva degno di un’iniziativa potente, che fatto il popolo padrone di sé stesso l’avviasse di poi ai suoi liberi e più grandi destini. Era dunque indispensabile che il Comitato cercasse tutti i modi di sviare l’opera falsa di questi uomini del passato, i quali, non sapendo camminare nell’avvenire, stabilivano l'inerzia e radicavano nel popolo la coscienza della sua impotenza (2).
Né le occasioni furono tarde a presentarsi.
La pubblica opinione era tenuta desta dalla guerra di Crimea. Il Governo di Napoli anziché prender parte a quella guerra gareggiando col Piemonte, a tenere alto il nome del soldato italiano, erasi mostrato invece ostile agli Alleati, e quando sopravvenne la pace ed il ritorno di costoro, speravasi da molti in Napoli, che la ruggine di quelli contro Re Ferdinando li spingesse a far migliorare le sorti del Napoletano. In questa specie d’ingannevole fiducia era gran parte della moltitudine per le assicurazioni dei Moderati, che nelle due Potenze e nella Francia sopratutto facevano riporre la migliore speranza. Il che più avvaloravano dalla freddezza e dalle rimostranze fatte da quei due Governi al Borbone dal quale, riottoso ad ogni consiglio, avevano deciso di ritirare gli ambasciatori. In questo atto ogni franco liberale non vide se non una di quelle larve di speme che si risolvono in nulla, promesse dall’astuzia del potere per lusingare i popoli e sviarli dal cammino del loro riscatto. Ma i Moderati in vece di vedere in tal fatto una misura di conservazione dello statu quo, e non mai un bene nostro possibile, seguitando nella dannosa loro via decisero di fare una pubblica dimostranza al partire del Barone Brenier ambasciadore francese, e gliela promisero splendida indicandogli anche le vie da doversi percorrere.
Intendevano essi di commuovere la diplomazia, che con le lagrime agli occhi verrebbe a riscattarci (3), senza por mente che ciò a null’altro avrebbe menato se non a far incarcerare i migliori e rovinare ogni cosa; perché un Governo crudele e cieco, che va a tentone per conoscere i suoi nemici, nulla cercava di meglio se non una pubblica mostra per vederne alla svelata i capi.
«Ma la maggioranza degli studenti (seguita la stessi sa lettera (4) e del Partito d’Azione in generale volle sapere da noi il da fare, e le dicemmo che il rappresentante dell’oppressore di Roma, di Grecia e della Democrazia francese se era acclamato da noi ci avrebbe resi complici della sua tirannide».
Questa energia del Comitato sviò l’opera dei moderati, i quali incominciarono ad aver coscienza, che un lavoro serio intelligente profondo si faceva sotto ai loro piedi, al quale erano del tutto stranieri, il che meglio si appalesò nel fatto seguente.
L’immanità violenta di un Colonnello, un tal Pucci, per pubbliche battiture ordinate sopra alcuni soldati, che decretò continuassero, vistane pure in pericolo la vita, pose in tale stato d’indegnazione il reggimento, che insorgendo gli gridò abbasso. Il colonnello fuggì, e corse voce che il reggimento dovesse essere decimato. Allora i liberali che in quel reggimento si trovavano, con i quali aveva relazione Giovanni Matina ed altri, aprirono pratiche con lui dicendo potersi cavare utile dalla iniziativa nella quale il corpo si trovava, ed indurlo ad un pronunciamento. Le cose furono discusse, stabilite, i sotto uffiziali quasi tutti di accordo. Matina ne riferì al Comitato: il reggimento sarebbe uscito armato, di notte tempo avrebbe raggiunto Salerno per la strada di Ferro, che in un certo modo di apparente violenza si era combinato si presterebbe: a Salerno provocarsi l’insurrezione, probabile che l’esempio al rimanente esercito si attaccasse.
Occorrevano varie spese: era necessaria una somma per la compera di dugento pistole offerte al Comitato, di cui si sarebbero armati duecento dei giovani più arditi: ma più di tutto era indispensabile del danaro, che evitando nei primi giorni a quel reggimento i pericoli nella ricerca dei mezzi per sostentarsi, lo mettesse in condizione di provvedere alla riuscita del movimento, e pensare senza cura di altro energicamente alla militare difesa.
Il Comitato non potendo da sé sopperirvi scrisse al Fabrizj dell’affare e per una somma; ma l’urgenza e la distanza inconciliabili, fu pensato di provvedervi in altro modo.
Avevano sempre tolto a pretesto i Moderati del non muoversi e del loro opporsi ad ogni moto, la nimistà dell’esercito, ed il non fondare essi se non sopra una iniziativa militare. L’occasione da essi posta innanzi era alla fine-venuta, non avrebbero però dovuto rifiutarsi. Il Fanelli si recò da taluno di parte moderata e parlando senza più dell’avvenuto disse esser dispiacevole di non poter profittare di quella occasione. Allora l’altro si scagliò dicendo, che quelle erano le vere congiunture da colpire, che quelli i lavori seri che i rivoluzionari avrebbero dovuto preparare, ed in tal caso essi Moderati avrebbero dato tutto il loro appoggio di credito e di danaro.
Il Fanelli udendo tai cose credè propizia l’occasione per avvantaggiarne il Paese o smascherare quella gente, e rispose, che l’intendimento dei Moderati era soddisfatto, i lavori già preparati, le intelligenze prese, il reggimento in ansia di pronta risoluzione, non mancarvi che i mezzi.
Si promise allora di riferirne subitamente ad amici dai quali dipendeva il giudizio; ma di fronte al prossimo operare quella massa inerte indietreggiò e ricadde, lasciando strapparsi la maschera dal volto. Difficoltà poste in mezzo, tergiversazioni, offerte di somme vilissime inferiori a ciò che da sé solo avrebbe potuto fare il Comitato, fecero sciupare il tempo e l'occasione svanì. Il che, se da un lato fu male per aver fatto abbandonare il destro che si offeriva, ed aver insinuato nelle fila liberali dell’esercito l’idea, che pari al buon volere non avesse il Comitato la forza, servì dall’altro lato a dividere altri parecchi degli illusi da quei cadaveri galvanizzati, a cui mancava la fede nell’ignorato avvenire.
Erano in tal punto le cose in sul finire del 1856, quando accadde l’infelice e sublime tentativo di Agesilao Milano.
Agesilao, uno di quegli esseri predestinati a compendiare in sé la volontà intera di una nazione, surse, volle, e cadendo rovesciò in un istante l’edifizio di una tirannia, dicendo al cuore del popolo — osa, e sarai redento — Il pensiero fu suo, suo il volere e l’opera. Giovambattista Falcone, la figura più nobile ed ispirata che si avesse la gioventù napolitana, che fu poi glorioso compagno a Pisacane nel martirio, e pochi altri valorosi giovani erano amici del Milano e partecipi del suo pensiero. Ne seppero anche il Fanelli e il Dragone, il primo de' quali avvicinato al Milano da taluno di quei comuni amici, e interrogato, benché manifestasse che nello stato in che trovavasi il lavoro non eravi modo di preparare all’occasione di un possibile tentativo l’ajuto e rispondenza di un movimento che valesse ad impedire l’immediata successione nella Dinastia, pure non mancava di scorgerne le possibili altissime conseguenze. Venuto l’otto decembre 1856, il Milano fece sapere ad uno degli amici che in quel mattino era impossibile compiere il suo costante pensiero; ma quando sul campo l’occhio liberissimo di Agesilao si vide d’incontro il Tiranno, ed in mano una baionetta, il fatto divenne inevitabile, né fu la mano a mancargli, ma il dito di Dio, che fè scivolare il ferro sopra una celata maglia d’acciaio, serbando a fine più doloroso quel Re la cui coppa d’iniquità doveva essere riempita di nuovo gloriosissimo sangue.
Degli amici di Agesilao alcuni arrestati, altri si salvarono a Malta, come il Falcone ed il N…, altri si tennero latitanti tra i quali il Fanelli. Ma fu tale la maschia e salda fede degli arrestati che con tutti i tormenti tacquero e non pronunziarono alcun nome. Nel dì 25 gennaio quell’eroe fu tratto al martirio. La sua morte, bella della più sublime poesia, scosse le fibbre dell’intera Nazione, e fece del Re che lo puniva un assassino e dell'aggressore un Eroe. Il dì dopo nel luogo del supplizio fu rinvenuta un’asta con bandiera tricolore, ed altre simili bandiere furono sparse per la città con la scritta Viva l’Italia, Viva la Nazione. Di ciò la Polizia cercò invano gli autori, ma la pubblica opinione non andò errata nel riconoscervi la mano invisibile del Comitato della rivoluzione.
Non ostante la latitanza del Fanelli che l’obbligava ad una vita profuga e irrequieta, e la più spietata recrudescenza della persecuzione per parte del Governo, pure il Comitato procedeva innanzi con rara costanza, e già la sua opera era giunta ad un certo stato di compattezza. Il Fabrizj aveva indicato lo scopo che il Comitato doveva mettersi innanzi.
1. Di raccogliere in un pensiero i Liberali di Napoli.
2. Di affratellare man mano i Capi popolani.
3. Estendere le relazioni con i migliori patrioti nelle prigioni.
4. Fare una propaganda nelle Provincie.
5. Un’altra simile nell’Esercito.
Il sistema di propaganda nella truppa era di trovare fedele patriota in ciascun reggimento, e far sì che questi, intesi con altri compagni, potessero mettersi in accordo tra loro, ed indi stringere le relazioni di un corpo con un altro.
Nelle Provincie era necessario lo stesso sistema in più larghe proporzioni. In ciascuna Provincia mettersi in comunicazione con i patrioti più conosciuti, diffondere le idee liberali, unificarli in ùn solo scopo, farli concordare nei mezzi, e dopo che fossero pervenuti ad uno stato d’intelligenza tra loro, rannodarli ad un nucleo direttore della Provincia, che unificato il pensiero curasse di unificarne le forze. Poi mettere queste Provincie così organizzate in rapporto tra loro, perché s’intendessero e sentissero il valore della forza collettiva, a rappresentanza della quale ciascuna sceglierebbe un Commessario delegato da formare il Comitato diffinitivo di Napoli.
Mentre così il lavoro organico si preparava, non si sarebbe trasandato di creare in diversi punti, e sotto differenti forme, servendosi di tutte le combinazioni possibili, vari fatti che tenessero in apprensione il Governo e svegliassero sempre più lo spirito pubblico. Questi fatti sempre rinnovati e crescenti avrebbero alla fine dato luogo a maggiori fatti determinanti, da poter essere il segnale dell’insurrezione generale, quando i preparativi fossero in Napoli finiti, e due o tre Provincie pronte ad iniziare le altre a seguire la bandiera spiegata di Unità, Libertà e Indipendenza d’Italia. Né questo concetto era rimasto pura astrattezza, perché già in Napoli le relazioni con i veri liberali e con i capipopolo erano strette, e le Provincie di Basilicata e di Salerno si erano avviate sopra un confortante cammino.
Di fatto nel 29 di dicembre 1856 (5) il cittadino Giov. Battista Matera informava il Comitato degli accordi presi con i liberali di Padula, Cilento e Saponara. Accenna alle difficoltà di girare per la Provincia, e tanto più di lasciarla sotto la vigilanza governativa, però non aver subito potuto adempiere alle commissioni per Bari e Lecce. Passa di poi a dare ragguaglio della sua provincia di Basilicata, dice il fatto di Bentivegna avere infiammati gli anidri, e che duemila uomini di quella Provincia erano prontissimi a prendere le armi.
E da una lettera di Giacinto Albini (6) da Potenza indiritta al Comitato in Napoli nel 25 gennajo 1857 si rileva anche meglio il vasto Organamento, che da lui coadjuvato, dallo zelantissimo fratello. Nicola, dal Matera e dal Giliberti si faceva in. quella Provincia. Dopo aver dato ragguaglio al Comitato di vari particolari, ei dice gli animi essere impazienti, mancare nulla meno, come nucleo di un drappello agguerrito, di capi militari, di armi e di mezzi, perché si aveva tema che si volesse dissipare il denaro. Le casse potersi formare di poi: promette per i primi giorni di febbraio uno Stato generale della Provincia, pronti allora danaro, uomini ed armi. Dimanda conto dello stato delle altre Provincie che crede deplorabile, affermando che se esse fossero tutte pronte egli consiglierebbe allora a dare il segnale, tanto sperava nei suoi. Avvisa di convocare una Dieta di tutti i Comitati delle diverse sezioni della Provincia per concertare quanto occorresse. In ultimo propone un ardito colpo di mano sul Capoluogo della Provincia che rivela tutta la caldezza del suo patriottismo.
Dal canto suo il Comitato con lettera dei 25 di gennajo (7) lodando siffatta operosità e compiacendosi dei lavori fatti, esortava a proseguirli, ed unirsi sempre più per formare una Direzione centrale della Provincia dalla quale uscisse il Commessario provinciale. Prometteva in fine di spedire subito i proclami ed altre istruzioni.
Mentre la propaganda nel Sud era in queste condizioni, il Fabrizj dall’altra parte aveva messo il Comitato di Napoli in relazione con Carlo Pisacane a Genova, e corrispondeva col Mazzini a Londra perché questi confortasse della sua direzione e preponderanza il lavoro del Napolitano. Chi ha avuto l’invidiabile sorte di aver conosciuto Carlo Pisacane, e per chi non l’ha conosciuto dappresso, sono ugualmente splendidi testimoni i suoi scritti, i suoi fatti e l’intera sua vita, può agevolmente comprendere con quale animo egli si mettesse in communicazione col Comitato di Napoli, per mezzo del quale vedeva modo di giovare alla sua patria infelice. Strenuo difensore della Indipendenza italiana nei piani Lombardi e poi con alto senno e valore capo dello Stato maggiore a Roma, egli, rimasto esule dal Napoletano, in quella che arricchiva l’arte guerriera e la storia militare d’Italia di ammirevoli scritture polemiche, non ristava dal lavorare nel campo pratico pel futuro nostro risorgimento, e a differenza dei più, che dopo una pagina di gloria giovanile si vedono affascinati dal potere o addormentati sugli allori, o esauriti dalla passata lotta, egli, anima privilegiata, era rimasto saldo in quella classica tempra data solo agli eroi, la cui vita intera è una missione sulla terra, che si adempie ugualmente nella vittoria e nel martirio.
Onde non è a dire con qual cuore egli comportasse la schiavitù dei suoi fratelli e le persecuzioni nefande che sofferivano, e come cercasse ardentemente di cogliere ogni destro per spezzare i ceppi sotto cui l’Italia era ritornata a cadere. Però incitando i lavori di Napoli e gli amici del Comitato, egli con la fecondità di una mente nobile quanto il cuore, incominciò a discutere vari fatti che si potevano far scoppiare nel Napolitano ed in ispezialità nella capitale istessa.
Se io facessi qui la cronaca intera del Comitato di Napoli sarei nella necessità di discorrerne posatamente, ed allora colla presenza dei documenti e di una corrispondenza ricchissima presenterei al pubblico tutti quegli antecedenti lavori. Ma essendo il mio compito ristretto fra i preposti cancelli, cioè ai documenti e fatti relativi agli avvenimenti di Sapri, non posso altrimenti diffondermi su questo punto, se non per quanto non si esca dallo scopo del presente lavoro. E l’attento lettore potrà convincersi dalle prime lettere del Pisacane, che ora si mettono alla luce, come esse si rannodassero a discussioni e progetti precedenti di cui mostrano una parte delle fila.
Così proponeva il Pisacane un colpo splendido d’indicibile audacia, qual era quello d’impadronirsi del Castelnuovo, e richiamava l’attenzione del Comitato su i modi che offrissero probabilità migliore di riuscita (8).
Dalla sua parte il Comitato sullo studio esatto delle condizioni del Paese, e delle assicurazioni e proteste di tutti i liberali di Napoli e delle. Provincie, aveva avuto modo a convincersi, che dopo lo sconforto avvenuto per i disastri del 1848, e le consecutive persecuzioni, giammai nel Napoletano si sarebbe potuto tentare con successo un colpo insurrezionale, se non quando una larga organizzazione, rilevando la coscienza delle abbattute e isolate forze liberali con fatti di vasto e sicuro concetto, ridesse la fiducia del riuscire. Onde lungamente discorsone col Fabrizj, e trovato inevitabile quell’indirizzo da dare al lavoro, proponeva vari fatti che avrebbero dovuto prepararsi con i mezzi opportuni per farli scoppiare quando il terreno fosse tutto apparecchiato e all’ordine (9).
Una prima cosa che si era immaginato era, quando fosse dato il segnale, di assaltare e disarmare i posti di Polizia: ciò romperebbe il meccanismo del Governo, e darebbe in mano del popolo vari centri di azione. Bisognava dunque preparare tutte le fila per tal fatto. Nello stesso tempo si era ideato di fare (quando se ne avessero i mezzi) una mina sotto il Quartiere degli Svizzeri, onde occorreva porre in ordine tutto il bisognevole. Si proponeva un altro fatto più vasto e decisivo: d’impadronirsi con un colpo di mano del Castel S. Elmo. Erasi aperta intelligenza con alcuni soldati di artiglieria, veterano svizzero ed altre persone familiari del Comandante in modo da ridurle alla cooperazione dell’ardito disegno. Avrebbero essi curato di far montare, quando fosse arrivato il tempo, al posto avanzato del Ponte levatoio che guarda il Petraro, una fazione già prevenuta. Questa avrebbe introdotta una mano armata di liberali segretamente nel Castello. Intanto alcuni così detti Presidiar! avevano preso impegno di forare il muro della casa del sergente di Artiglieria, che per mezzo del pozzo comunicava con la polveriera. Nel tempo dell’assalto, quando il drappello armato fosse stato già introdotto, un’apposita persona avrebbe avvertito il Comandante di ciò che era accaduto e che la resistenza era inutile essendo gl’insorti padroni della Polveriera pronta ad ogni piccolo segno di lotta a saltare in aria. Questi ed altri fatti avrebbero dovuto apprestarsi in Napoli.
Oltre a ciò il Comitato ricordava al Fabrizj la proposta fatta da Giovanni Matina di un altro colpo che avrebbe dovuto eseguirsi nello stesso tempo. Prendere da Ponza uomini ed armi per mezzo di vapore, e sbarcarli dove potessero essi dare l’iniziativa alla Provincia che fosse meglio apparecchiata. Tutto ciò faceva presente il Comitato al Fabrizj e concludeva «che con altro amminicolo potrebbero esser le basi di un piano che dovrebbe egli il Fabrizi distendere, osservando sempre che incidenza o l’irriescita di taluno di essi non sia di danno all’insieme».
Il pensiero del Fabrizj, e del Comitato era in somma un complessivo e contemporaneo apparecchio di vari moti che assicurassero l’effetto sopra larga base, e non mai di tentare con un fatto isolato l’iniziativa dell’intero movimento (10), e su questo concetto gettavano le fondamenta del lavoro che con tempo, mezzi ed avvedutezza speravano di attuare. Gli ostacoli dunque che si presentavano maggiori al Comitato, e che esso manifestava al Fabrizj (11), erano: la mancanza d’armi, di somme che potessero far fronte ai necessari apparecchi ed allo svolgimento dei concertati fatti, e di capi militari nelle Provincie.
In quanto al pensiero del Matina, che una o più barche con gente armata liberassero i prigionieri politici che erano a Ponza, e di là si recassero ad appiccare in altro luogo del Regno l’insurrezione, il Fabrizj ed il Fanelli vedendo la pratica impossibilità di potersi eseguire in Napoli stessa dal Comitato interno tale operazione, siccome quella che più agevole, efficace ed improvvisa sarebbe riuscita se da gente esterna fosse praticata, pensarono di comunicare insieme al disegno degli altri fatti questo principalmente al Pisacane a Genova, perché, maturamente pensatovi se possibile pel suo tempo, vi si apparecchiasse.
L’alta poesia di una spedizione liberatrice sorrise al nobile pensiero del Pisacane come un punto luminoso che comparendo nel lontano orizzonte pronunziasse l’aurora di un giorno più sereno. Ma per metterlo quando che fosse con valevoli mezzi ad esecuzione, faceva bisogno di più potente cooperazione (12), onde sentì la necessità d’incominciare a rivolgersi al Mazzini col quale era legato nelle nobili aspirazioni facendogli istanze vivissime perché rivolgesse le sue mire direttamente anche sull’Italia meridionale.
Ciò accadeva nel principio di Gennajo del 1857. Intanto Giuseppe Mazzini aveva in vista altri fatti, che erano imminenti a prorompere altrove nel prossimo Febbraio o Marzo (13): resisteva al richiamo che gli si faceva di rivolgere l’opera sua al Sud, ed incalzato dalle premure del Pisacane, pur combattendole concludeva avrebbe rimessa la quistione al Kilburn (14) (Fanelli) per sapere se l’opera sua era efficace in Napoli ed ei l’avrebbe colà diretta. Era però indispensabile diceva il Pisacane al Comitato (15), che Fanelli scrivesse al Mazzini premurandolo a rivolgersi principalmente su Napoli, ed a ciò si era il Fanelli determinato, oltre a tali insistenze del Pisacane, anche perché più volte il Mazzini l’aveva incitato al pronto svolgimento dei fatti (16) ed egli intendeva fargli una compiuta sposizione di tutto il lavoro e delle condizioni del Paese affinché quei potesse efficacemente imprenderne la direzione.
Di fatto nel 2 Febbrajo 1857 (17) il Comitato scrisse al Mazzini direttamente una lunga lettera che è in dispensabile per la intelligenza della cosa riferirò almeno per sommi capi.
Il Comitato fa al Mazzini la Storia della Situazione di Napoli, dei partiti, dell'opinione pubblica, del punto a cui era arrivato il lavoro (18), delle difficoltà gravissime che lo attorniavano tra le quali la persecuzione del Governo e la guerra che si doveva sostenere col partito moderatole con l’altra frazione che parteggiava per Murat. Espone come le idee di Mazzini riuscissero del tutto nuove in Napoli dove mai si era lavorato a propagarle, e dove anzi i partiti avversi le avevano dipinte come imprudenti ed incapaci di buono effetto. Dichiara come le continue delusioni avessero radicato la massima che o bisognava fare cosa grandiosa o niente; che un piccolo movimento o un fatto isolato non sarebbe stato seguito; e che studiate accuratamente le condizioni del popolo, si era impreso da loro quel genere di lavoro diffusivo delle idee liberali che organizzando le forze vive della nazione potesse giungere allo scopo desiderato. Faceva inoltre osservare, che dove i moderati avevano nomi chiari e noti al popolo, intelligenze é mezzi, dall’altro lato essi, giovani poco noti, mancavano di direzione interna pari all’altezza dell'opera, di armi e di danaro; con tutto ciò, soggiungeva, che il lavoro avea progredito e si era abbastanza accreditato, è che col Fabrizj stavano discutendo un vasto concetto di un successivo svolgimento di fatti che si dovevano preparare in Napoli come determinanti all’azione, e che avrebbero la mercé di altri fatti più vasti potuto scoppiare in generale insurrezione. Fra i quali fatti parziali il Comitato indicava il colpo su Ponza, su cui richiamava la cooperazione del Comitato esterno, ma che diceva non potergli a lungo esporre, e che ignorava del resto nei suoi particolari per arresto di persona a ciò interessata (Giovanni Matina), benché d’altra parte di già supponeva che il Fabrizj gli avesse palesato. Ricorreva però il Comitato al Mazzini in nome del Paese infelice per consiglio ed aiuto, e conchiudeva invocando il nome di Agesilao Milano che dalla tomba sarebbe stato rimprovero alla inoperosità, dove egli tanto sperava nella potente direzione di quell’Apostolo infaticato.
Di questa lettera scritta dal Comitato al Mazzini fu nello' stesso giorno rimessa copia al Pisacane ed al Fabrizj perché servisse di piena loro intelligenza, e scrivendo al Pisacane direttamente il Comitato aggiungeva (19) «Noi non abbiamo gli eventi a nostra disposizione, perciò dobbiamo per mezzo di un piano determinato arrivare allo scopo, facendo concorrere tutti gli elementi alla coadjuvazione di quel piano».
E più appresso «La nostra condizione è quella che noi abbiamo alcuni dati elementi, ed abbiamo bisogno di esser coadjuvati da alcune date condizioni per ottenere da quelli elementi il risultato richiesto».
Il Pisacane nel 10 di febbrajo (20) rispondeva al Comitato dicendo aver ricevute le lettere dirette una al Mazzini, l’altra a lui; che la lettera dal Fanelli scritta al primo era «quale poteva desiderarsi, e non smentisce mai la vostra delicatezza e l’espressione coscenziosa degli avvenimenti; in queste cose il nostro Paese ha il vanto da secoli dell'iniziativa, del martirio, dei grandi fatti, e voi ci mostrate che ha anche il vanto della verità il più che sa il meno a che dice».
Discorre il Pisacane in questa lettera di molti altri incidenti è dopo si volge ad intrattenersi sulle condizioni in cui l’Europa e l’Italia allora si trovavano (21). Passa egli a rassegna la politica estera e disvela la mala fede delle Potenze vantate liberali, la delusione avuta da chi aveva sperato in esse. Il Piemonte impotente a compiere i destini dell’Italia, i Dottrinari schiavi del Governo, i Moderati napolitani senza fede né lealtà di propositi, spinti solo dall’interesse personale e dalla possibile aspirazione al potere, fino ad invocare con un vigliacco memorandum l'intervento straniero. Il Pisacane si scaglia con tra questa turpe proposta che commette agli stranieri il dono del proprio riscatto, e conchiude che un popolo deve a sé stesso solamente la conquista dei suoi dritti; che i Napoletani debbono essi sorgere e non lasciarsi avvilire da così abbjetto mercato al cospetto dell’Europa. «Ha fatto (conchiudeva il Pisacane (22) così trista impressione questo documento, che la maggior parte non trovando altro mezzo di scusare tale atto, l’hanno attribuito a quella frazione di emigrati a Torino che non hanno Patria, o l'hanno per offrirne l’onore in olocausto alla diplomazia straniera dalla quale traggono l’esistenza... Quelli stessi che credono utile l’intervento, certo possono più facilmente sperarlo se impegnano una lotta, e se non avranno l’intervento certo l’appoggio ad un fatto compiuto l’avranno. La diplomazia non crea i fatti, ma non può fare altro che riconoscerli dopo che hanno avuto luogo».
La verità del quadro che egli compie in queste pagine scritte con quell’abbandono dell’anima, che si versa nel segreto dell’amicizia e di un eterno mistero, delinea un lato molto espressivo e caratteristico di quella eroica figura di Carlo Pisacane, che disposò con mirabile accordo ai pregi di una mente limpida e privilegiata uno dei cuori, che più abbiano amato questa Italia, grande Regina delle Nazioni. Ed io con dolore mi veggo costretto a non poter qui adornare questo umile mio racconto col riflesso di si bella luce trascrivendo interi cotesti suoi insegnamenti; ma dall’altra parte mi rassicuro nella certa ansia onde ogni Italiano sarà spinto a riscontrarli nei Documenti, e meditare su di essi non solo attingendone rinsaldimento di fede e riverenza maggiore per quell’uomo, ma sì ancora per poter degnamente ammirare la condotta, che a Lui da queste convinzioni era tracciata inevitabile nello esplicamento dei fatti posteriori.
Ho posto finora sotto gli occhi del lettore tre lettere scritte dal Comitato di Napoli al Mazzini, al Pisacane ed al Fabrizj. Esse compiono in modo deciso il quadro del concetto del Comitato inteso col Fabrizj, e di poi comunicato al Mazzini ed al Pisacane; ed io credo utilissimo prima di passare oltre di riassumere la determinazione in cui si trovava la cosa e la posizione reciproca nella quale fino a questo punto erano gli uni a fronte degli altri, servendo ciò a mantener chiara la coscienza del lettore tra le complicazioni che si succederanno.
Col Fabrizj il Comitato impiantava il suo lavoro mercé di un esatto studio locale sopra l’idea di un complessivo svolgimento di vari fatti, che costituissero infine un’insurrezione generale nel Napolitano. Fra quei fatti prendeva posto anche quello di Ponza, il quale dovendo essere eseguito dal di fuori, assumeva il necessario carattere di una spedizione. Come tale inevitabilmente per concretarsi doveva essere sottoposto al Mazzini, naturale Direttore di tutto il movimento insurrezionale italiano, affinché potesse con i suoi mezzi secondarlo e spingerlo all’esecuzione. Di tal che mentre il Comitato con i consigli del Fabrizj avrebbe dato opera all’incarnazione del concetto circa le altre parti che lo costituivano, il Pisacane e Mazzini, entrando per la parte di quella spedizione nella sfera di operazioni del Comitato, avrebbero dovuto coordinarla all’andamento generale di quel sistema. Il lavoro armonico in sé stesso sarebbe proceduto compatto e fermo verso la sua soluzione, dovendo solamente vincere la contraddizione degli ostacoli che gli si frapponevano dagli elementi avversi, Moderati e Governo, o da estrinseci avvenimenti.
Ed il Pisacane istesso con la lettera del 10 febbrajo (23) spiegava nettamente questa idea nella quale fin allora egli si trovava. «Non sono io caro amico (scriveva a Fanelli) che stabilisco le alternative, ma le circostanze che mi costringono a farlo. Io comprendo quanto la vostra condizione è delicata e difficile, né sarei io quello che da fuori e giudice incompetente delle cose, mi farei a dettarvi condizioni. I miei principi su tale oggetto ve li ho molte volte manifestati: noi non dovremmo essere altro che persone le quali pongono loro stessi e quelli di cui dispongono a vostra disposizione.»
Ma l’inevitabilità di richiamare il Mazzini a quella operazione non fece rimanere le cose su tale indirizzo, in vece aggiunse nuove combinazioni sorgenti dalla sfera di pensieri ed azioni nella quale si trovava Egli incarnato. Queste nuove combinazioni ed ostacoli, che dallo stato dei lavori e del concetto di Lui sorgevano contro le idee del Comitato di Napoli balenarono fin dal principio nella mente del Pisacane, il quale non esitò a manifestarle al Comitato (24) con lettera del 16 di febbraio. Il Mazzini aveva in vista altre operazioni. Egli voleva comperato un Vapore fare uno sbarco a Livorno, suscitarvi la rivoluzione, dopo risalir l’alta Italia e poi piombare nel Sud. Il Pisacane faceva avvertito il Fanelli che questo disegno aveva secondo lui gravi difficoltà. La Toscana non corrisponderebbe; e più, data la sveglia ai Governi sarebbe stato di poi impossibile un moto nel Sud. Egli sperava di rimuovere il Mazzini da tale proposito per dirigere le forze su Napoli, ed allora il progetto di sbarco avrebbe potuto aggiustarsi così.
Un vapore (25) comperato a Londra partirebbe facendo il suo giro con pretesto commerciale con pochi determinati, poi al luogo opportuno si sarebbe diretto al deposito (cioè Ponza), e poi al sito che il Comitato avrebbe indicato.
Un’altra proposta più ardita faceva il Pisacane (26), di prendere cioè un vapore a viva forza a Genova e recarsi a Costantinopoli, quivi esservi duecento armati, imbarcarli, indi al punto più opportuno del Napoletano che sarebbe Catanzaro, d’onde a Cosenza.
Chiedeva il Pisacane tutte le indicazioni possibili sul primo fatto, quello di Ponza, di cui diceva mancare del tutto: inoltre se sull’isola avrebbero trovato armi bastevoli, o più impiccioso il doverle essi recare. Dava premura al Comitato per subita risposta, potendo il Mazzini essere costretto ad operare altrove, ed essere urgente che se gli rispondesse su quei particolari. Lui ed il Cosenz apparecchiati pel momento d'azione, inutili nei preparativi in Napoli, il Fanelli essere il solo giudice competente (27) sul luogo, egli l’arbitro del momento doveva dir venite', avrebbero ubbidito: in contrario sarebbe stato un bell'imbarazzo per lui di vederli tutti insieme cadere dalle nuvole (28).
Né il Pisacane punto s’ingannava ricordando egli stesso ciò che tutti ora conoscono, l’insurrezione in Sicilia fermata pel 12 del mese innanzi essere stata anticipata dal Bentivegna nel timore di essere già scoperta; la quale determinazione, non trovandosi ancora all’ordine le rimanenti fila, portò quell’Eroe alla morte e fe’ fallire tutto il progetto.
Il Comitato rispose allora nel 25 di febbrajo di quell’anno al Pisacane (29). «Sul luogo potersi solo esser giusto giudice, ma decidere dell’opportunità esser missione così grave da volerla dividere con altro che ne potesse essere arbitro migliore. Quanto al disegno del Mazzini poter non essere di agevole riuscita, sia perché il moto di Livorno dalla rimanente Toscana non sarebbe forse seguito per ruggine di Firenze contro i Livornesi, sia perché il moto a Genova destata l’ira dei Moderati e fattili aperti nemici nel Sud, questi avrebbero potentemente contrastata ogni azione del Comitato.
«Per il nuovo disegno di Pisacane in Calabria non avere a Catanzaro alcuna relazione, ristrette queste sole in Cosenza, ma per tremenda avaria sbalzato l’albero Maestro e dissipato ogni accessorio (30).
«In quanto ai ragguagli che il Pisacane chiedeva sulla proposta di Giovanni Matina circa l’affare di Ponza, per l’imprigionamento di lui non potergliene dare altri da quelli già comunicatigli per via di Fabrizj, essendogli, come era naturale, impossibile di veder Matina che li aveva dettati. Solamente sulle generali e senza dir nulla di preciso accennava che, avvisati che fossero quei dell’isola, un vapore potrebbe andare a ricoverarsi, come spesso accadeva, per fuggire il mare, a un dato segno sbarcati quei dal vapore, sopraffatta la piccola guarnigione, spezzato il telegrafo, indi liberati i prigionieri politici, e i militari in punizione che colà si trovavano, munizioni prese ed armi, fattisi padroni di una piccola scorridoja, che quivi era per impedire che corresse a Napoli a portar nuove del fatto, tutti rimbarcati partirebbero immantinenti. Il sito dello sbarco poteva essere nel Cilento, ma colà l’imprigionamento dei Capi (31) aver dissestato le fila che si lavorava a riordinare: chiudeva in fine la sua lunga lettera il Fanelli chiedendo al Pisacane se il Cosenz sapesse minutamente del fatto, l’affermativa gli piacerebbe, e ch’ei credeva di scrivere di quanto si stava discutendo al Fabrizj per gli opportuni consigli.
Il Pisacane in risposta a tal lettera nel principio di Marzo rispondeva (32), esser d’accordo col Fanelli sulla necessità di avere sul luogo altra persona con cui decidere dell’opportunità, ma tale inconveniente scemar di molto innanzi alla condizione pressante delle cose. I tempi correr favorevolissimi, tutti anche i più moderati credere il momento opportuno, essere non solo opportuno ma indispensabile se non si volessero veder perdute tante fatiche e i generosi sforzi fatti. Desiderava di conoscere se sul luogo avrebbero trovato un gruppo di negozianti atto a comprar la merce iniziativa. Fa conoscere al Comitato di aver ricevuto lettere di Mazzini che accettavano il progetto, che chiedeva dei chiarimenti, e che dopo avutili avrebbe risposto al Comitato medesimo, che intanto egli gli aveva comunicato il progetto intero del Colpo su Ponza e poi di sbarco nel Cilento. Per questa ragione esprimeva egli di essere urgente di prendere gli opportuni concerti. Giunto a tale parte della lettera egli si fa a chiedere tutte le minute notizie che potevano bisognare, discute il progetto con i possibili ostacoli, i segnali necessari, indica il modo che egli credeva di praticare e dopo passa ad esaminare il bisogno delle armi e di quante se ne potesse disporre.
Rispondendo alle altre parti della ultima lettera del Comitato Pisacane aggiunge. Il Mignogna,che egli vedeva sempre, essere informato di tutto: in quanto a Cosenz conoscere del fatto, ma non i particolari, non essendo essi usi di confidare a lettere, se non le cose che prontamente dovevano farsi, ma non scrivere per nuda ragione d’informare: che il Segreto dei disegni di Mazzini anche Cosenz l’ignorava: essere invece ben naturale che Fanelli ne informasse il Fabrizj.
Nello stesso tempo e più propriamente nel 3 di marzo (33) Pisacane rispondeva a Fabrizj in Malta dandogli conto di quanto accadeva tra lui ed il Comitato di Napoli, e parlandogli delle cose sue a Genova. Gli dice non esser più necessarie le lettere alle direzioni militari perché in esse s’indicavano come imminenti alcuni fatti allora svaniti. Che la lettera scritta da Kilburn (Fanelli) a Pippo (Mazzini) era già a costui stata spedita, che per rispondere aspettava altri ragguagli, che egli li aveva ricevuti insieme al Piano del suo amico e che ne aveva dato conoscenza al Mazzini insistendo pel riscontro.
Il piano del suo amico, di cui accenna Pisacane al Fabrizj, era una proposta di militari operazioni insurrezionali, che un giovane napoletano a nome Teodoro Pateras gli aveva inviata per mezzo del Comitato.
Il Pisacane accetta l’idea che i progetti fatti sul Castello, sugli Svizzeri e sulla polizia si unissero all’azione delle isole e Provincie, coordinando tutto ad un fine concreto e prossimo al commercio generale. Riconosce il luogo di Wilson (Fanelli) cioè il Sud dell’Italia come il Fabrizj sosteneva il più importante ed il solo disposto a cedere ad un energico impulso (34) che sino ad ora essi non avevano potuto dare né trovato il modo di darlo. Aggiunge ancora premurando il Fabrizj d’insistere, come egli faceva, sempre che scrivesse al Mazzini; comprendere quanto fosse delicata la posizione di costui ma che egli non poteva rispondere se non come aveva risposto lo stesso Fabrizj, cioè «piena adesione per tutto quello che riguarda cooperazione personale, nessuna speranza (se non quella di Pippo) per mezzi pecuniarii».
Queste cose si agitavano tra il Comitato il Pisacane e Fabrizj ed io ho voluto distesamente esporle in certi particolari forse un po’ minuti in apparenza, ma che sono troppo necessarii ed utili, chi voglia por mente che non la è una storia questa, ma una pura cronaca, la quale dovendo essere lo specchio di un segreto quotidiano lavorio, appunto da questo successivo agitarsi in sé ricava dai più impercettibili momenti la sua ragione logica, e nella narrazione di essi consegue il suo scopo.
In questo sopraggiunse la risposta che il Mazzini inviava da Londra a Fanelli: essa aveva la data del 6 di marzo e perveniva in Napoli il 19 rimessa per la via di Genova da Pisacane (35).
La brevità e l’importanza delle parole del Mazzini mi fanno trovare indispensabile di trascriverle qui per intero, e il lettore me ne vorrà saper grado, sia perché le avrà qui sott’occhio senza ricercarle nei Documenti, e ancora per la preponderanza che questa lettera spiega sull’andamento posteriore dei fatti (36).
Voi per la prima volta mi proponete un'operazione definita, concreta, pratica: come è debito e impulso del core l’accetto: me n° occupo subito, e sarà fatta. Sia nota a pochi, a nessuno se possibile, ogni cosa dipende dal segreto. Non avete bisogno per preparare che di annunziare, cosa che darà l’impulso. Date all’amico, al quale trasmetto la vostra per me, ogni ragguaglio su Ponza. È essenziale.
Ciò che noi faremo è nulla trattandosi di vostra arena; è una scintilla; il farne incendio dipende dal vostro agire sul punto ove sieteNon lo dimenticate. Non ho bisogno di dirvi, che l’azione sul vostro punto riuscendo sulle prime, è il sorgere di una nazione: della risposta sopra altri punti mi reco io mallevadore, se la bandiera sarà di Nazione. Alla forma penserà il paese, ma quella condizione è essenziale.
Ricordatevi che il vostro punto raccoglie l’eredità trasmessa «in nome di Dio e del Popolo» e non d’altri padroni da Roma a Venezia.
Addio: amate chi vi ama e stima.
Mazzini
Questa lettera grave per la mano che la scrisse, diventa ancor più importante, perché fonda il primo rapporto concreto tra il Comitato di Napoli e Mazzini sulla proposta dello sbarco, e per penetrarne l’intimo concetto occorre richiamarci al punto di vista dal quale la dettava.
Fedele al suo grandioso sistema e custode del concetto unitario, egli dopo raccolta l’Italia nel glorioso sudario a Roma, quasi Angelo che rimasto a guardia dell’Illustre infelice aspettasse il giorno della risurrezione per aprirne il monumento; aveva animoso continuato a raggruppar le membra sparte per dirigerle a nuove operazioni e movimenti, che parlando al cuore del popolo lo ridestassero verso la sua splendida missione. Mosso da questo Apostolato, egli si era fatto a disporre sopra vaste proporzioni un moto che abbracciasse il centro e il Nord della Penisola, facendolo segno delle speciali sue cure, e già il lavoro era giunto a tale da prorompere in una vicinissima esecuzione, allora quando fu più determinata la sua attenzione sul Sud dalle istanze di Pisacane e dalla lettera del Comitato.
Non volendo né osando trapassare i limiti imposti al presente scritto io non posso arrestarmi punto a toccare dei fatti, che il Mazzini studiava colà di apparecchiare. La storia apparente dei medesimi è nota agli Italiani, ma il rilevare le ascose cagioni di essi ed il loro grande indirizzo è sacro diritto che solo a Lui si appartiene, e che Egli incitando alle ansie di finali trionfi dona agli Italiani nelle sue memorie quasi a decalogo di prossimo avvenire.
Mentre dunque egli si trovava involto in quei preparativi ricevé la lettera dal Comitato; e trovando nella sposizione del lavoro' di Napoli tra gli altri un fatto in cui entrava la sua diretta cooperazione, avidamente accettandolo se rie impossessò, non come glie lo presentava Giuseppe Fanelli, ma vivo e palpitante come glielo coloriva il nobilissimo pensiero che raggruppandolo al fascio delle altre sue speranze gli rendeva più ricco il patrimonio delle imminenti sue operazioni. D’altra parte ognuno comprenderà di leggieri che un fatto nel Napoletano, intanto poteva avere valore per Giuseppe Mazzini in quel momento e deciderlo allora ad eseguire, in quanto coordinandosi alle sue vedute potesse prestarsi ad un parallelo svolgimento con esse, facendone parte come altro elemento.
Avvenne per conseguenza, né logicamente poteva in altro modo avvenire, che l’adesione del Mazzini alla spezione di Ponza non si estese egualmente a tutto il concetto insurrezionale del Comitato, che richiedeva tempo, preparazioni ed accordi con altri fatti nel Napolitano, ma ne abbracciò quell’unica parte principale che al suo sistema si assimilava.
Da questo punto di vista fu dettata la risposta del Mazzini di sopra trascritta, e prima conseguenza ne fu che questi scrivesse al Pisacane dicendosi pronto a coadjuvare quel fatto con i suoi mezzi, ma che bisognava troncare ogni indugio (37).
Il Pisacane voglioso di operare pel bene dell’Italia, e pronto a rivolgersi dove più presto fosse il bisogno del suo braccio, aveva fino allora accettato il cammino che ai lavori in Napoli il Comitato era nella necessità d’imporre; ma, sempre impaziente ad affrettarne la durata (38), aveva più volte accennato, che gl’indugi farebbero perdere l’opportunità apprestata dalle condizioni generali delle cose in Europa e in Italia. Onde inchinato per animo all’azione,pienamente aderendo alle nuove urgenze di Mazzini, nel quale solo vedeva la speranza dei mezzi pecuniari (39), sorvolò sui dubbi che prima egli aveva circa la riescita della Idea di lui, ed abbandonando la posizione di Napoli e la necessità di quel sistema locale, attratto come era dall’altro più vicino é generale concetto, ne divise da allora in poi irrevocabilmente l’adempimento.
Per conseguenza accompagnando la suddetta risposta del Mazzini egli aggiungeva al Fanelli (40), che il contratto era accettato e non prendeva molto tempo; che per la cooperazione egli contava più sulle disposizioni morali, che sugli accordi; sacrificar questi al segreto, e però alla sollecitudine di operare; ed aggiugnendo istanze maggiori pochi dì dopo, nel 24 di marzo (41) incalzava dicendo, che non sì tosto avesse dato sesto ad un’altra faccenda, avrebbe detto al Mazzini venite, che la cosa era irrevocabilmente conchiusa: l’adesione del Fanelli si voleva soltanto per avere i particolari richiesti; Mazzini gli scriveva sollecitandolo; e che, se non sorgevano altre difficoltà, la spedizione si sarebbe fatta ai 20 o 25 di aprile.
Le cose trabalzate sopra una sfera d’immediata operazione mettevano il Comitato di Napoli in una posizione del tutto nuova, non solo a fronte del proprio sistema, ma alla probabilità di riuscita, che su questo aveva fondato; imperocché incatenato il Fanelli dallo studio locale di Napoli, che avevagli presentato un sistema inevitabile pel successo, a questo egli Direttore del Napoletano doveva mirare con i mezzi e nel tempo che credeva opportuni. Onde al vedere che il fatto di Ponza entrava in una fase impreveduta, che isolandolo e distaccando dal primitivo suo terreno l’incorporava nel concetto Mazzini, egli comprese che tutto il rimanente sistema del Comitato ne sarebbe rimasto annullato per la rapidità che gli altri avvenimenti imponevano. Mosso da queste ragioni egli decise di ricondurre le cose sull’antico lor campo, facendo più chiaramente presenti al Mazzini ed al Pisacane i suoi intendimenti, e la schietta posizione dell’Italia del Sud che bisognava prendere a norma di qualunque intrapresa.
Onde senza por tempo in mezzo (42) si affrettava a dichiarare di nuovo al Pisacane:
1° Che le tre condizioni da lui chieste di armi, direzione e danaro, erano per preparare all’insurrezione e non per quella già preparata;
2° Che nel Sud era radicata la massima, o doversi fare un movimento generale, o niente; che i piccoli fatti o isolati non avrebbero trovato seguitatori;
3° Che egli giudicava il lavoro non prestarsi aduna sorpresa, «ed essendo, disse il Fanelli, fuori dei miei calcoli di probabilità, e ridotto inadatto a coadjuvare coi lavori i fatti, sarò non ostante l’individuo di cui potrete disporre come v’aggrada, e soldato che non manca al suo patto, come altre volte fu (43)».
Al Mazzini ripeteva (44) il contenuto della lettera del 2 febbrajo e più aggiugneva, per far dileguare ogni equivoco «che se Fanelli aveva proposto al Pisacane sua vista e dopo sottomessa al Mazzini non era per operarla allora, ma per approvarla e che pel suo tempo si apparecchiasse». Questa però era accessoria e congiunta indissolubilmente ad un piano generale tanto più necessario nel Sud, in quanto che esso Mazzini ben riteneva che l’azione quivi era il sorgere di una nazione.
Lo pregava dunque in vista di tali osservazioni ad essergli largo di consigli pratici, essendo egli il Direttore Naturale e Supremo di un’impresa Nazionale fondata dal Fabrizj, e per cui erano grandi cooperatori il Pisacane e il Cosenz.
Nello stesso tempo Fanelli si rivolgeva al Fabrizj (45) con quella più intima espansione che l’antica consuetudine e solidalità del concetto gli dava verso l’illustre Amico, mostrandogli l’agitazione febbrile in cui era stato cacciato vedendo spezzarsi l’antico sistema, che essi credevano solo possibile in Napoli, il cui abbandono gli pareva avrebbe condotto ad una sventura. L’avvisava dell’equivoco corso, egli di proporre il fatto Ponza come coadjuvativo concomitante quando il terreno fosse preparato, ed intanto essere stato accettato isolatamente, e da potersi sul momento eseguire. Averne scritto per chiarimento al Mazzini ed al Pisacane, ma che direttamente ne scrivesse il Fabrizi per ricondurre le cose nel loro stato antecedente.
La posizione dunque era netta. Il Mazzini e con lui Pisacane trovavano solo nella pronta esecuzione della spedizione di Ponza una probabile riuscita, concatenandola al lavoro concepito dal Mazzini, che non poteva senza annullarsi attendere tutti gli apparecchi dello intero sistema del Napoletano. Dall’altra parte il Comitato di Napoli persisteva nel suo sistema di preparazione di insurrezione generale che solo egli vedeva nel Sud valevole per ottenere il desiderato scopo.
Innanzi di proseguire la mia cronaca narrando lo svolgersi di questa nuova farina assunta dalla spedizione di Ponza, non posso tralasciare di far consapevole il lettore di quanto nell’attuazione del suo disegno praticava in Napoli e nelle Provincie il Comitato.
Mentre in Napoli le relazioni con i liberali di buona lega sempre più si stringevano, i lavori nelle Provincie al tempo in che parliamo non poco erano avvanzati.
Nella Basilicata a capo delle cose era Giacinto Albini, e non meno operosi e valenti suo fratello, il Muterà ed altri patrioti l’assistevano. L’Albini avendone le fila principali, stava in relazione più diretta col Comitato, e dall’operosa corrispondenza tra loro si rileva schietto lo stato dei lavori nella Provincia. Nel dì 20 di febbrajo (46) egli dava contezza al Comitato della riunione dei capi delle diverse Sezioni della Provincia, diceva mancarsi d’armi, di prescrizioni sul da fare, e di capi; essersi decisa impossibile la rivoluzione se non fosse capitanata da uomini di molto' prestigio (47). Avuti i capi militari e posti in communicazione con la Provincia, si avrebbero altro che seimila combattenti quanti ne uvea indicati. Si occupava in altra lettera del marzo di quell’anno degli stati delle forze, ma che il Comitato avesse avuto fede in lui, che se le cose stringessero, farebbe di meno d’inviarli, essendo certi che la somma degl’insorgenti sopravvanzerebbe le espettazioni del Comitato (48). Niccola Albini (49) in giro per la Provincia non si ristava dal suo canto, e fornendo altri importanti notizie nel dare ragguaglio al fratello di quanto aveva praticato manifestava, che ognuno era pronto ad insorgere dopo la venuta degli uffiziali, badando però (50) che vi fosse il concorso generale di tutte le Provincie, altrimenti si sarebbe costretto a patir le sorti de' Siciliani.
In quel di. Salerno la propaganda era stata anche propizia. Il Mattina con la sua influenza e rara operosità aveva molto contribuito ad arricchire il Comitato di preziose relazioni, e l’opera procedeva alacre mente per mezzo del Sacerdote Vincenzo Padula, e dei Fratelli Magnone, tra i quali primo il Michele. Ma la persecuzione, che con la nobile condanna ai ferri per causa politica dei primi due fratelli era già caduta su parte di questa famiglia, si estese nel febbraio 1857 sugli altri ch’eran rimasti ancor liberi. Improvvisamente furono presi e tradotti in carcere il vecchio Padre, Michele ed il fratello. Il loro paese di Rutino diè loro in quell’occasione una dolce testimonianza di affetto e di generosi sensi di patria, perché quando la rea masnada di birri e truppa li ebbe imprigionati, la popolazione ne fu tutta commossa al segno, che i più arditi liberali e tra i primi il loro nipote Ferdinando Vairo, pensarono quando il dì seguente fossero per trasportarli nelle carceri di Salerno, di strapparli dalle mani della loro scorta. Nientemeno la partenza dei prigionieri anticipata la stessa notte ruppe il convenuto, e solamente pochi poteronsi così radunare in sulla via fuori del paese, ea incominciarono anche a trarre alcuni colpi sulla truppa. Se non che l’essere rimasto ferito il padre dei Magnone e la pochezza del numero li fece acquetare alla voce di Michele, che li persuase alla pazienza, non servendo quell’opporsi se non a produrre maggiori sventure e ferocia di più sfacciata persecuzione.
L’arresto dei Magnone turbò l’ordine nelle fila di cui erano essi a capo, che sopita alquanto la persecuzione che tenne dietro a quel fatto, non si riprese se non più tardi per opera del Vairo, e quando il Comitato potè mettersi in comunicazione con 1 istesso Michele Magnone nelle prigioni come era, essendo troppo utile e necessaria la sua diretta preponderanza.
Intanto però l’opera energica del giovane prete Vincenzo Padula seguitava ad estendersi in parte della Provincia. Egli nel febbrajo del 1857 (51), dando conto al Comitato delle forze da lui dipendenti, novera 200 pronti a Padula, 100 a Sala, ad Atena altri, altri a S. Pietro, S. Giacomo, Montesano, Bonabitacolo, Diano, Sassano, S. Rufo, S. Orazio e Polla, il manubrio dei quali paesi erano Padula e Sala… Ogni parola di questo egregio cittadino spira sublime amor di patria e fede purissima, dei quali sensi le sue lettere per ora siano testimonianza ai lettori, ché io mi riserbo appresso di presentarlo più degnamente alla sacra memoria degl’italiani.
Da quello che per sommi capi ho finora toccato delle provincie ognuno vede, che già Salerno e la Basilicata, ad onta degli sconfortanti ostacoli che ad ogni passo sorgevano, incominciavano ad essere bene organizzate, ed avrebbero potuto porgere speranza anche di non remoto sollevamento. Ma il Comitato di Napoli, pratico di ciò che suole sperarsi a fronte di ciò che può ottenersi nelle rivoluzioni, in quella che da un lato si opponeva alla celerità del Comitato estero, dichiarando che i lavori non avevano aspetto abbastanza concreto, dall’altro non sì ristava di condurre le Provincie a maggior prontezza di operare in vista del termine fissato da Pisacane per un possibile sbarco, sollevandole all’altezza delle idee di Mazzini, e riscaldando con la dipintura della scena politica che l’Europa e l’Italia presentava. A raggiugnere siffatto scopo il Fabrizi aveva da Malta mandato alcune istruzioni per una circolare da rimettere ai capi delle Provincie, ed il Comitato sulle basi di queste avvertenze (52) lungamente svolgendo i principi, giudicando i fatti contemporanei, mostrava l’opportunità del momento e il dovere di sorgere a libertà. Ed io mi penso, che a mettere sempre più in luce il procedere e le convinzioni del Comitato, non sarà fuori d’opera di ricordare le opinioni dal Fabrizj insegnate e dal Comitato diffuse nel Napoletano.
La storia delle delusioni e dei propri disinganni, (faceva avvertire quella circolare) deve essere per ogni popolo la maestra esperiente del suo avvenire. La Francia in quel tempo era finita in un impero puntello dei troni. La Guerra di Crimea, combattuta sul campo della gloria e dell’onore contro una soverchiante tirannide aveva inebriati gli spiriti a molte speranze. Ma i governi per deviare il colpo della rivoluzione che ne sarebbe stata la conseguenza, usando il vecchio mezzo di blandirla con lusinghiere promesse, avevano fatto sperare a spontanee largizioni; intanto però si accorgevano, che sotto ai loro piedi mossi da meschino egoismo, si faceva strada un potente principio che li spingeva. Non erano essi, ma lo spirito della libertà ché versava nell’oriente una popolosa razza sitibonda di civiltà a cozzare col decrepito Occidente, perché da quel cozzo l’Europa tutta si ringiovanisse. E fu per antivenire questa rigenerazione universale, che nel mezzo della pugna fu scritta una pace senza onore pei combattenti, senza frutto pei popoli.
Queste turpi trame dei Gabinetti furono svelate dagli Apostoli della libertà ma non credute: un fitto velo era disteso sugli occhi della moltitudine dalla vigliacca mano dei paurosi e perfidi politici, che tutto insegnando a sperarsi in altrui, nulla nelle proprie forze, giunsero per fino nell’Ambasceria dell’Austriaco Ubner a predicare un raggio di speme. Le quali speranze ebbero tale maschera di verità che tra le due estreme vie fu scelta quella che col fascino di un incantevole tramonto menava alla perpetua notte: e le promesse svanirono come larva fatua che si perde nell’infinito del nulla. Dopo tante delusioni, che dovevano per sempre far rigettare simiglianti speranze, era venuto al fine un momento fatto propizio all’Italia dalla scissura delle vecchie alleanze e dalla debolezza de' Governi. La Russia, quel gran colosso, era stato vulnerato in un calcagno in Crimea, avendo l’altro in Polonia poggiato sopra una nobile terra fremente. L’Austria sfiancata da due prolungate ali che indebolivano la linea delle sue forze dai Principati Danubiani a Bologna con l’Ungheria in agguato alle spalle. Questa posizione di cose rendendo difficile una nuova alleanza della diplomazia contro le aspirazioni dei popoli verso la libertà, indicava a questi di prevenire la ricostruzione di un loro novello mercato, ed appoggiando la rivoluzione moralmente imponeva come sacro dovere di compierla. L’Italia, destinata ad iniziare quella nuova opera d’incivilimento, era il faro luminoso a cui ogni occhio amico guardava; né ci aveva libero straniero che non le rammentasse la sua missione e il religioso debito di bandirla. Impotente ad opporvisi il Governo francese, legato a proteggerci la politica Inglese, che i suoi interessi vedeva appoggiati fortemente alla nostra esistenza nazionale.
Cotali principi sponeva il Comitato nell’additata Circolare, e rivolgendosi alle Provincie nelle quali doveva essere diffusa, le richiamava sulla urgenza ed unicità del momento (53), ed indi passando a pratiche avvertenze chiedeva dai capi un quadro dei pronti all’iniziativa che si presterebbero alla guerra insurrezionale costanti fino alla vittoria. Questo quadro e l’accettazione della credenza del Comitato (54) che la insurrezione interna il più che potevasi energica ed imponente in quel momento poteva solo salvare il Paese, dovevano essere formati il più semplicemente possibile ed avvalorati da tutta l’autenticità necessaria, dovendo servire come documento di appoggio presso il Comitato Direttore all’estero, affinché potesse con profonda cognizione dare opera agli apparecchi nel Nord nel centro e nel Sud dell’Italia, e la Direzione Militare provveder potesse alla esatta formazione di un generale ordinamento che assicurasse l’insurrezione alla quale da ora essi dovevano tutti tenersi pronti.
Prima di questa digressione da me fatta per esaminare parallelamente lo stato delle provincie, la presente narrazione si era soffermata al punto in che il Concetto Mazzini, astraendo dal sistema insurrezionale del Comitato di Napoli, ne distaccava il fatto di Ponza per eseguirlo prontamente coordinandolo ai fatti rimanenti dell’Italia superiore, e dall’altro lato il Comitato dichiarava la inevitabilità del suo concetto pel quale non era preparato il lavoro.
Questa divergenza che si appalesava tra il modo di vedere del Mazzini e di Pisacane e quello di Fabrizj e del Fanelli, nasceva dalla diversità dei due sistemi insurrezionali nei quali i primi e i secondi si erano dovuti determinare.
Per sottrarre una nazione al turpe giogo che la tiene prostrata e condurla al suo risorgimento, due vie principali si aprono innanzi all’uomo predestinato a compierne il glorioso riscatto. O un subito impulso, un soffio potente, uno slancio audace e generoso che chiami a vita novella il popolo, sgomenti e sbalordisca impensatamente il tiranno, ne distrugga ed atterri le forze brutali, sovrecciti gli spiriti cittadini con un primo fatto di successo, centuplichi le forze di una nazione, e gigante invincibile la rimetta nel suo splendido trono;ovvero un lavoro misterioso, lento graduale, progressivo che roda le fondamenta della tirannia, maturi nel segreto ed ordini tutte le forze vive di un popolo e prorompa alla fine con fremito irresistibile a stritolare l’antico, ed ergersi su quelle immonde ed odiate rovine sfolgorante della più splendida maestà.
In questi due metodi si compendia la possibilità del riuscire. Il primo ti rappresenta il genio, quel genio che non può misurare senza distruggersi lo spazio che deve sorvolare, quel genio che comprende nel loro infinito i mondi, ne abbraccia lo spirito nel suo pensiero,!’interroga e va, trionfa, o protesta, sulla cui bandiera sta scritto «Vittoria o Martirio». Il secondo sistema ti rappresenta la meditazione, segreti e pensati apparecchi, orditura pratica generale, una rete di larga e certa cospirazione che assicuri sopra solida base l’insurrezione totale e il successo. Amendue questi sistemi hanno una caratteristica virtù loro propria, ma hanno ancora differenti ostacoli che loro si attraversano. Il primo, ricco e fecondo del fascino di una poesia nobilissima, inizia e facilmente trova nel fatto un tesoro immensurato di combinazioni propizie che egli afferrando corre al trionfo, ma con l’istessa facilità l’inatteso sorgere di un funesto incidente lo infrange contro ad una avversa realtà. Il secondo sistema studiando la varia possibilità degli eventi si prepara all’urto delle probabili contrarietà, e dispone le forze per combatterle e trionfare; ma il tempo a cui deve sottoporre questo nobile lavorìo può creargli mille intoppi di estrinseci avvenimenti, che rendano impossibile l’opera o rompendone il segreto sperdano al vento il prodotto di tanti sagrifizi ed abnegazione.
Questi due metodi erano tenuti l’uno da Mazzini e da Pisacane, l’altro da Fabrizi e dal Comitato di Napoli. I primi dal centro nel quale si trovavano guardando al campo generale della Politica, all’opportunità del momento, alle difficoltà che un lungo indugio preparerebbe, alla correntezza degli animi ad operare, allo stato di esasperazione in cui avrebbe dovuto’ essere sotto una tirannia così feroce il popolo del Napoletano, erano stati costretti a scegliere il primo metodo, e logicamente dal loro punto di partenza fondavano sulla pronta ed energica azione, i secondi, limitando il loro campo pratico ab lavoro nel Sud, dagli studi locali e dalla unica possibilità del riuscire, erano stati anche essi logicamente tratti a seguire l’altro sistema, e più che sopra un gran colpo iniziativa e di sorpresa fondavano sugli apparecchi e sugli accordi.
Iniziativa e sorpresa, apparecchi ed accordi; ecco le formole dei due sistemi insurrezionali; ecco la ragione interiore del diverso modo di vedere onde dall’un lato e dall’altro il fatto di Ponza dovea venire valutato.
Ora il lettore deve accompagnarmi nello svolgimento di questa divergenza che doveva riuscire o a dividere del tutto ad armonizzare le due idee in quello che eran diverse tra loro, o a rendere l’una preponderante ed assorbitrice dell’altra.
Non potevano esse armonizzarsi compiutamente tra loro; perché l’una fondavasi nel Sud sugli apparecchi a diversi fatti, che gradualmente praticandosi scoppiassero da ultimo in una collettività di moti ed in generale insurrezione: questi apparecchi avevano però bisogno di tempo e di mezzi. L’altra si fondava sulle occasioni propizie, sull’opportunità, sulla irretardabile esecuzione dei fatti dell’Italia superiore e sopra uno slancio dato nel Sud, che fosse come scintilla elettrica onde doveva propagarsi tutto l’incendio. Lo sceglier una via suprema, che identificando le loro differenze portasse questi due sistemi verso il loro naturale svolgimento, era impossibile, perché o accelerando non si sarebbero fatti tutti gli apparecchi nel Sud armonici a quel concetto, o indugiando per prepararli, incidente poteva da un giorno all’altro fare svanire il favore del momento, opporsi alla rispondenza dei moti nel centro e nel Nord, e far perdere colà tutti i lavori apparecchiati.
Non potevano le due idee come inconciliabili separarsi del tutto, perché lo scopo comune, il comun vincolo di affetti, di speranze, di ansie, di vigilie e di religione verso l’Italia legavano siffattamente tra loro quelle anime generose, che non avevano se non un voto solo, la cui differenza era unicamente nella diversa condizione locale in cui si trovavano, di battere una via piuttosto che l’altra per arrivare alla loro meta. Fra questi due cammini estremi il solo a traverso del quale l’idea logica doveva passare, era quello che col seguitarsi a porre tale contraddizione, i due concetti s’inoltrassero verso il loro concretamento, svolgendosi in modo che il più rapido e preponderante finisse con. l’attrarre a sé la parte identica dell’altro, ed invadere il campo della realtà. Con la guida di questi principi riesce sicuro ed indubitato il tener dietro allo svolgimento dei fatti posteriori nei quali si specchia limpidissima la idea della logica fatalità.
Niccola Fabrizi posto in fra due, tra Genova e Napoli, collocato naturalmente in un termine di mezzo,. poteva ben distaccarsi dalle necessità peculiari dei luoghi, e tener dritta la via conciliatrice di quei due centri di operazione. Né egli venne meno a questa missione datagli dalla invisibile logica che anima e dispone i fatti dell’umanità. I suoi studi, la profonda cognizione dei luoghi e degli uomini, la ricca esperienza dell’arte di cospirare e la lucidità pratica della sua mente gli appalesarono fin dal principio la verità delle condizioni alle quali il comune lavoro doveva soggiacere; ed egli chiaramente le appalesò al Mazzini ed a;li amici di Genova e di Napoli. Egli ben vide che l’antico sistema insurrezionale del Napolitano era fatto impossibile a praticare in tutta la sua ampiezza, ben vide che l’annullarlo del tutto era anche più impossibile, perché la certezza della riescita da quello unicamente dipendeva, onde fu persuaso a proporre un nuovo sistema, che tenendo conto dei diversi punti di partenza e necessità locali armonicamente li conciliasse sopra un avviamento comune. Il suo nuovo concetto si può formolare così (55). Metter d’accordo l’esterno e l’interno, di tal che si avviassero ad una concorde maturità d’operare. Spogliare l’antico sistema insurrezionale fondato nel Napoletano di tutti i fatti impossibili più a prepararsi pel tempo e per i mezzi. Concentrare tutta l’attività nell’apparecchio dei fatti primi d’accordo con l’impulso esterno. Al Comitato istigazioni e spinte per accelerare questi preparativi. Al Mazzini ed al Pisacane persuasioni di ritardi necessari per la difficoltà del compierli: e così incitando da un lato, rattenendo dall’altro, condurre le operazioni sopra un terreno di maturo svolgimento.
Questo concetto del Fabrizi simigliante a quello tenuto dal Comitato di Napoli di spronar le provincie da un lato ed impallidire le relazioni sul loro stato dall’altro, disegna tutta la linea sua di condotta che man mano il lettore troverà svolta nel cammino dei fatti.
Nella lettera di sopra da me esposta in data del 24 di Marzo, nella quale Carlo Pisacane diceva non solo accettata la proposta di Ponza e dello sbarco, ma che prontamente dovesse eseguirsi, egli ne determinava anche il giorno pel 20 e 22 dell’entrante aprile. Dopo ciò con seguente lettera del 31 di marzo (56), egli accrescendo le premure e la diffinitiva decisione, diceva farsi di meno di altri apparecchi, il tempo esser nocivo, Mazzini aspettare di esser chiamato, che agli otto di aprile ei partiva per Londra, per l’esecuzione starsi o alle date di sopra accennate, o al più all’ultima settimana di aprile. Ciò che richiedeva dal Fanelli era a Ponza un amico che disponesse gli animi, e si creasse un nucleo d. a operare quando il vapore giungesse. Nella spiaggia del disbarco trovarsi egli insieme con questo amico. Fra i due mali meglio piombare improvviso che soffrire più indugi. Sul vapore verrebbero Egli, Pilo, Cosenz ed un altro.
Intanto Mazzini in data del 26 marzo (57) scriveva al Pisacane sopra alcune difficoltà nate circa la compera del Vapore, e Pisacane (58) avvisava Fanelli che ciò avrebbe potuto portar piccolo indugio alla conclusione.
Mi giovo di questo breve riposo dato al cammino attivo dei fatti per informare il leggitore di tutta la corrispondenza passata tra Fabrizj Pisacane ed il Comitato di chiarimento delle idee di ciascuno e di reciproche spiegazioni.
Il Fabrizj in data del 23 di marzo (59) scriveva lungamente al Comitato. Dopo aver indicato che Pisacane gli aveva detto di spedire a Napoli la piccola partita di danaro che stava presso di lui a Malta, ma che egli credeva doverla ritenere pel caso della spedizione delle armi (60) incomincia dall'assicurare il Comitato con la speranza ch’egli aveva che le risposte del Fanelli fossero arrivate a tempo «onde evitare il precipitoso incominciamento, che avrebbe dato luogo ad una serie di equivoci sul vostro vero stato, facendo supporre, che ciò che avrebbe mosso dal progetto alla combinazione dietro raccertarsene le generiche condizioni, invece fosse stato a disposizione di un’immediata accettazione (61).»
Ragione di maggior tranquillità era diceva il Fabrizj, l’avergli scritto il Mazzini sulla necessità di una dilazione a cui egli aveva risposto che questa anzi che nuocere era indispensabile, anzi di nocumento sarebbe stata la precipitazione, e che era necessario il non «fissarsi dall’esterno perentorietà condizionale, sibbene far dipendere l'esterno dalle condizioni costituite all'interno» (62).
«Spero dunque (così continua il Fabrizj) che con calma ed attività il tutto debba ormai intendersi su di un preventivo rapido, per quanto sia possibile, concretabile e libero da pregiudizio, tanto di esigenza de' combinamenti minuti irrealizzabili, e perciò rovinosi nel loro concetto per dispersione, pericoli e danni positivi di tempo e di elementi: quanto da altro lato di precipitazione estranea alle condizioni per cui si possa corrispondervi dall’interno» (63).
Questa lettera di Nicola Fabrizj è di tale suprema importanza che io non posso tralasciare di accennarne i capi più rilevati. Egli passa a dare istruzioni al Comitato sul da fare.
1. Pensarsi tanto da Genova che da Napoli al collocamento delle armi.
2. Concretarsi da parte del Comitato il da fare, il possibile essere il solo necessario.
3. Pensarsi al danaro disponibile proporzionandone l’impiego in relazione alla necessità di Genova e Napoli.
4. Prevenire le provincie di una coincidenza di circostanze esterne ed interne, disporle a seguire l’impulso senza svelare il progetto speciale. Scegliere il luogo più atto all’iniziativa, su quello far concorrere gli sforzi. I particolari tacersi; necessari a dirsi nel punto supremo di azione.
5. Indicare a lui Fabrizj un ricapito in Napoli per ogni caso ch’egli avesse potuto essere utile quivi o nelle Provincie.
6. Gli stati delle Provincie poter servire non come valutamento di cifre, ma come un certo impegno di responsabilità morale, e di prova di fiducia in quelli che formano tali stati.
7. La parte vera e realizzabile essere. 1° Che le Provincie al Sud di Napoli debbono tutte «complicarsi rapidamente in iniziativa talché ne risulti un’esistenza rivoluzionaria collettiva quasi immediata — 2° Che queste si diriggano subito sulle altre provincie di più suscettibile iniziativa. 3° Se vi fosse grande all’erta ed espettazione non consultarsi se non l’occasione morale. 4° Napoli prepararsi per quanto possibile in rapporto con l’iniziativa delle Provincie indicando i legami di altri movimenti con l’Italia superiore perentorietà di circostanze e necessità di rapide conclusioni. 5° Combinare con le Isole e dare a Mazzini e Pisacane un termine approssimativo entro il quale Fanelli potesse compiere tali precedenti.
8. Quanto alla direzione all'interno essere difficile chi l’accetti, ma pure potrebbe ottenersi.
9. Conchiude infine il Fabrizj questa ammirevole lettera col ripetere ciò che in sul principio egli aveva manifestato. «Penso con voi (diceva egli a Fanelli) che la sorpresa non potrebbe avere effetto favorevole, ed il successo mancato darebbe dissoluzione totale conseguente; ma penso pure che la maturità stia nell’aspettazione fidente e nella esecuzione opportuna ed impulsiva».
Di sopra il leggitore trovò da me accennato il diverso indirizzo sostenuto dal Mazzini e Pisacane, dal Fabrizj e Fanelli e gli diedi la chiave del loro diverso concetto e sistema. Ora il leggitore medesimo ne trova il riscontro ne’ fatti, e con quella scorta li classifica li comprende e con sintesi naturale li spiega nel loro schietto e complessivo significato.
Mentre logicamente dal punto pratico di Napoli si elevavano difficoltà all’intrapresa, l’aria diversa di fatti e di direzione nella quale si trovava il Pisacane gli mettevano innanzi agli occhi la necessità di operare e la rovina dell’indugiare. Amendue inevitabilmente logiche queste differenze aspiravano a divenire armoniche nella fusione conciliante predicata dal Fabrizj la cui importanza, benché fosse riconosciuta da ognuno era pur fatta impossibile del cozzo di contrari avvenimenti, come in prosieguo verrà spiegato dalla narrazione alla quale ritorno.
Nell’istesso tempo in cui tali cose si agitavano tra Fabrizj e il Comitato, si succedevano con più calore lettere di Pisacane (64) che tornando sull’inutilità di un lungo lavoro, credevano non necessari ulteriori apparecchi, e scioglievano il Fanelli da ogni responsabilità. Egli nella lettera del 5 di Aprile trascrivendo alcune parole di Giuseppe Mazzini, concordi con lui nel troncare ogni indugio, indica un nuovo termine per la spedizione. Il 25 di quel mese sarebbero partiti da Genova, il 27 alle sette del mattino avrebbero approdato all’isola, e dopo verso la mezza notte avrebbero eseguito lo sbarco a Sapri. Di più aggiunge, desiderare tutti i ragguagli possibili: si sarebbe attenuto strettamente a tutti i consigli del Fanelli. Se questi gli avesse detto che i prigionieri nell’isola non volevano saperne, non se ne sarebbe fatto più nulla. Se credeva per l’ora, pel luogo di approdo all’isola, per la costa ove disbarcare a Sapri che si dovesse cangiare alcuna cosa, egli avrebbe seguito fedelmente le sue avvertenze, senza però crederlo responsabile di cosa alcuna; «solamente (sono sue parole) la mora non accettiamo, non per capriccio, ma perché convinti che il contratto peggiora». Uguale convincimento il Pisacane manifesta e ripete nell’altra lettera del 7 di aprile (65) dove rispondendo al Comitato dice «Non sono io che direttamente affretto, ma neppure quello che ritardo, e ciò dipende dal convincimento che un lavoro lungo ci menerebbe a completa ruina, ed ho fede che un colpo inaspettato, se gli animi sono volenterosi, produrrà effetto maggiore di qualunque lavoro. Fate dunque non già ciò che vorrete, ma ciò che potete».
Il sistema del Fabrizj e Fanelli era una generale insurrezione fondata sopra una complessiva orditura, il concetto del Mazzini e del Pisacane era non già che tutti insorgessero, ma che l’Isola accettasse (66) e si unisse agli amici che colà approdavano.
Quanto alle tre cose che chiedeva il Comitato, armi direzione e danaro, per le armi risponde il Pisacane doversi ben calcolare l’invio e scriverne egli al Fabrizj (67), recarne essi 250 sul vapore (68). Per la direzione, essere essa impossibile prima del fatto e non poter essere utile per preparare. Quanto al danaro sperava di poterglielo spedire al più presto (69).
Il Mazzini da sua parte anche stringendo la cosa invitava ad operare (70). Dalla lettera del 7 di Aprile inviata al Comitato di Napoli (71) sorge nitidissimo il pensiero intero di Giuseppe Mazzini, che io formolai di sopra — «Noi individui, (egli scriveva) qualunque sia la nostra attività non possiamo creare l’insurrezione d’un popolo, noi non possiamo crearne che l’occasione. 0 il popolo fa e sta bene, o non fa, e non siamo mallevadori che davanti a Dio e alla nostra coscienza — … Unico debito è studiare coscenziosamente l’opportunità del momento; coglierlo e offrirne con una mossa audace l’iniziativa alla Nazione è il Genio della rivoluzione.»
Né solamente egli si soffermava a queste generali avvertenze, perché. appunto studiando l’opportunità del momento, con profonde e gravissime ragioni si convinceva essere propizio il tempo all’operare — ed al Fanelli diceva giunto il momento, questa sua fede esser frutto di gravi considerazioni, il malcontento esistere, le vertenze nulle in sé tra l’Austria e il Piemonte accrescere il fremito: i moderati non volerne né saper trarre frutto alcuno, ma seguire il moto — Il lavoro lungo che proponeva il Comitato essere impossibile, sarebbe scoperto, l’unica cospirazione d’allora essere l’azione. E per conseguenza egli chiedeva che il Fanelli stringesse le file dei volenti e che appena incominciato cercasse di appoggiare il movimento: che operasse non potendo soffrirsi che un popolo dia all’Europa il modello delle Cuffie di silenzio (72). Aggiungeva in seguito (73) che la missione di una minorità armata è quella di studiare il terreno, e vedere se un fatto energico di audacia e di successo possa suscitare a vita la maggioranza e guidarla.
«Le minorità non fanno le rivoluzioni, le provoca«no. Le gloriose giornate di Milano furono fatte da un nucleo di pochi arditi che credette aver toccato il polso al paese, intimò la battaglia e vinse. Credo io ora il paese maturo, ed è debito dei patrioti che, hanno core ed affetto di patria tentarlo.
Conchiudeva infine dicendo che se l’operazione prima era possibile (cioè Ponza e sbarco) allora si fossero presi gli ultimi accordi con Placane, preparando la Provincia ad ingrossare l’iniziativa senza però svelarle il segreto.
Più a lungo ancora il Pisacane ritorna sull’istesso subbietto nella lettera del 13 Aprile, (74) e cerca di sciogliere tutte le difficoltà del Fanelli e persuadendolo ad accettare il loro sistema di pronta azione senza lunghi preparativi. «A che valgono (dice il Pisacane) gli accordi? Essi non cangiano la disposizione del cuore... Se tutto ciò che ha fatto e fa il Governo non basta per rendere ad ognuno insopportabile il presente e per renderli pronti a seguire un generoso impulso, siate certo che tutti i concerti ed i mezzi del mondo non produrranno un tale effettore si dirà sempre che il fatto non è stato abbastanza grave: ma la vera ragione dell’inerzia è nel cuore». Auguriamoci che non sia così per onore «del nostro caro paese, e facciamo il nostro dovere.... Siate certo che per riescire è d’uopo sacrificare tutto alla rapidità dell’azione».
Fanelli non aveva bisogno di queste persuasioni ad incitamento; egli avrebbe desiderato, dice al Pisacane, di poter subito venire ai fatti. «Voi mi augurate, esclamava (75), la più alta delle mie felicità, e vorrei che questo augurio fosse una realtà per la patria nostra: ma posso io dirlo?». Qui egli si fa ad esporre la condizione in cui si trovava: quasi i migliori erano in arresto, e della loro influenza potevasi dimandare al Mignogna. Nel Cilento i Magnone in arresto, e dissestate le file del loro lavoro presso al termine (76). Giovanni Matina ancora in prigione, ciò significar sdrucitura di molti elementi. Benvero nella stessa Provincia di Salerno operoso il Padula e riposar sopra la sua fede, aver chiesto a lui indicazioni per lo sbarco: in Basilicata i lavori più compatti (77): per le Provincie di Bari e Lecce essere partito un tal Libertini che accettava le idee del Comitato, operoso, intelligente per le molte relazioni che aveva, ma si credeva indirettamente legato a Lafarina.
Ma le maggiori difficoltà, seguita il Fanelli, fino a quel momento non si presentavano tanto per la posizione degli animi quanto per gli ostacoli materiali, per esempio fin allora non si erano potute legare delle relazioni con Ponza, avendo l’arresto del Matina ancor sotto chiave rotte le fila, e difficilissime a rannodarle sotto una tirannia così vigile e sospettosa. In Santo Stefano era Agresti, ottimo dei patrioti; ma l’egregia sua moglie lontana da Napoli in quel momento era impossibile non che di poter aprire una corrispondenza con lui, ma di fargli pervenire una lettera. In Ventotene erano influentissimi i fratelli Pisani, ma se gli dicevano legati in parentela al Lafarina.
Conchiudeva dunque Fanelli che si smettesse l’idea di tanta celerità, perché la posizione delle cose era tale che non si avevano ancora le notizie né le relazioni con le Isole, dalle quali non si poteva avere una risposta se non dopo un mese e mezzo per la rarità delle barche, e per aspettare gli uomini fidati per così scrupolosa corrispondenza: sacrificare loro medesimi Fanelli e Dragone, e la loro vita per la patria, ma dover cedere innanzi a queste difficoltà materiali.
«Io non posso dirvi, diceva il Fanelli (78), che arrivando voi senza il terreno preparato tutti insorgete ranno, perché ragion di tatto e sentimento da tutti espresso mi fan credere che possa invece farsi fiasco, mentre son convinto che preparato il terreno si potrà compiere tutto ciò che l’Europa intera non ha saputo o potuto nonostante i sagrifici, gli sforzi e i tentativi». Del resto egli chinava reverente la fronte innanzi al giudizio di Pisacane e specialmente di Mazzini che rispettava come cosa sacra, e se gli avessero detto che li andasse ad aspettare, ei senza far motto sarebbe andato ove era il pericolo; «ma verrò peregrino, egli soggiunge, come chi ha braccio e cuore per adoperarlo per la salvezza della patria».
Nicola Fabrizj, a cui tali dubbi erano anche partecipati dal Fanelli, non si ristava dal canto suo per mettere di accordo Genova e Napoli.
Al Comitato egli scriveva prima in data del 7 (79), e poi del 20 di aprile (80) lungamente intrattenendosi a discutere ciò che era possibile di operare. Dopo aver chiesto della credenziale Cosenz (81) se avesse avuto buon esito, e parlato delle armi come da Malta avrebbero potuto spedirsi, passa a toccare della responsabilità che si assumeva in quel. progetto di sbarco. Il tutto secondo lui si riduceva al giusto valutamento dell’opportunità, su cui stava fissato il capitale assoluto (82); che questo capitale poteva andare a ruina tanto per soverchio affrettare, quanto per l’idea di assicurare guarentigie esatte materiali che porterebbero troppo oltre — «In queste faccende (diceva il Fabrizj) il tatto è quello che serve su di un fondo proporzionale ad assicurare l’incamminamento e l’esito dei negozi».
La scadenza doveva esser fissata di comune accordo tra Napoli e l'Estero, e che doveva essere proporzionata ad interessi ed occorrenze bilaterali (83). Consigliava dunque Fanelli di «procedere tranquillamente, concretamente, arditamente in questo spazio, fissando bene nello spirito vostro per uniformarvici, ciò che è possibile ed occorrente da lato vostro, e ciò che no, per non farvi imbarazzo del secondo a danno del conseguimento del primo».
Riassumendo tutta la situazione il Fabrizj indicava al Comitato di Napoli che dovesse indagare la condizione in che si trovava l’isola, in pari tempo combinare tal fatto «con la frazione di gente che deve sbarcare in provincia guardando di non nuocere a riserva per troppa estensione e chiarezza di patti. Fuori del materiale Isola tutto l’affare poggia sull’esistenza del fondo generale — Segreto — danaro — opportunità — coltivato e spinto a tempo direttamente e indirettamente» (84).
«Ciò che allarma Mazzini dice il Fabrizj» è il «dubbio di forzosa emigrazione o di arresto per parte del Governo». Né a vero dire questo dubbio era troppo esagerato perché bisognerebbe da un lato sconoscere le dolorose ed orribili condizioni nelle quali noi eravamo sotto la laida tirannia del Borbone e dall’altro non por mente al fatto narrato dallo stesso Fanelli che per una visita della Polizia nel luogo ove egli si trovava, appena aveva avuto tempo di salvarsi, ma era stato obbligato a distruggere alcune carte tra le quali certe notizie che stava per inviare al Pisacane e una lettera diretta a lui medesimo (85).»
Mentre da un lato il Fabrizj in tali termini si comportava verso Napoli spronando il Comitato a rompere ogni indugio, dall’altro non si era ritenuto dallo scrivere energicamente a Mazzini e Pisacane confermando le vedute di Fanelli, e come non si potesse fare a meno di prendere in seria condizione lo stato di Napoli quale costui lo dipingeva.
Ma Pisacane al Fabrizj risponde sullo istesso tenore che scriveva a Fanelli (86) ripetendo le cose fin qui narrate, e di più speciale aggiunge, che quanto a direzione interna come questi la chiedeva era impossibile non avendo persona da tanto, tranne forse lo stesso Mazzini. Chi cospira da Capo (egli aggiungeva) deve esser libero di visitare, di accorrere in più luoghi, di diffondersi, trattar direttamente: un poco che manca tutto è finito, e da quanto appare ciò ora è avvenuto a Kilburn. Quanto alle armi esse non possono inviarsi, sarebbero state portate col vapore istesso della spedizione. Per danaro si cercherà d’inviare altra somma.
La vera ragione di tali divergenze stava (soggiunge il Pisacane) (87) in questo che «Mazzini ed io vediamo la facenda sotto di un aspetto diverso da quello che la vedi tu e Fanelli. Voi dite (e Fanelli esageratamente) bisogna preparare il terreno, acciocché la riuscita di rivoluzione sia quasi certa, noi diciamo rivoluzione non dipende dagli uomini in particolare, ma dal fuoco latente che si deve indovinare come la esistenza di una miniera».
Aggiungeva il Pisacane che le cose ch’egli chiedeva al Fanelli si riducevano alle seguenti:
1° Notizie particolareggiate dei luoghi in Ponza ed altre Isole.
2° Avvertire un amico dell'isola.
3° Allo sbarco trovarsi una mano di venti persone che ricevessero i nuovi ospiti.
4° Un nome di un negoziante al quale inviare il dispaccio della partenza (88).
«Questo io ho (sono parole del Pisacane) chiesto e sono fermamente convinto che tutto ciò che uscirà da tali condizioni sarà rovinoso. Io poi protesto che se a forza di voler preparare si darà la sveglia al Governo e si comincerà a parlare della faccenda, siccome sono responsabile non di me stesso, ma di molti che vengono per fiducia in me, avrò il coraggio di rifiutarmi. Io pongo condizione principalissima il segreto, la sorpresa. Solo con questa condizione son pronto, se questa manca e se vi sono tutte le altre possibili ed immaginabili, rifiuto» (89).
In risposta ai chiarimenti dati dal Fabrizj e da Fanelli delle loro idee il Pisacane confessa di aver egli sofferto un poco di delusione avendo immaginato che si fosse in Napoli più preparato di quello che le ultime lettere addimostravano, ma che egli era persuaso che se non si operasse, l’opportunità era già mezzo sfuggita e finirebbe per isfuggire intieramente (90).
Al Fanelli ripigliava lo stesso Pisacane dicendo (91) che egli da principio aveva errato nel credere che il fatto di Ponza fosse una cosa conchiusa e che solo i mezzi mancavano, dove che doveva ritenerla come una cosa vaga. Del resto il Mignogna a cui ne avea parlato assicurava che appena si comparisse col Vapore l’isola risponderebbe: che se da principio avesse supposto che tutto bisognava preparare avrebbe aspettato con somma pazienza (92). Ma ora tutto era pronto e doveva sbrigarsi: aggiungeva che nel caso di Fanelli egli si sarebbe regolato a confidar tutto al Padula, e concertarsi per lo sbarco, badando al segreto e preparando la Provincia all’avvenimento.
Qui chiaramente si scorge dalla risposta di Pisacane come l’equivoco sulla pronta possibilità di esecuzione venisse spiegato da lui medesimo, ma che ciò non per tanto la inflessibilità delle circostanze allo esterno lo determinavano senza altri indugi all’esecuzione (93) imperciocché una volta accumulati dei mezzi e serrate le fila non si doveva veder sciupare tanti sagrifizi e forse con l’attendere cadere ed uomini e cose in mano dei nemici. Aggiungi a ciò il suo sistema insurrezionale d’impulso e di slancio, le ragioni di opportunità che egli in quel tempo vedeva all’operare, e chiaramente comprenderai lo spirito interiore che dettava siffatte lettere al Pisacane, e la linea della sua condotta.
L’idea di dirigersi al Padula pel fatto dello sbarco il Fanelli l’avea già praticata di fatto con lettera del dì 9 di aprile (94): egli aveva scritto al Padula facendogli motto di un possibile sbarco volendo sapere i siti più atti a secondarlo se per caso avvenisse. Gli avea imposto il segreto con tutti e su tutto avendone pegno il suo onore, e gl'indicava in fine l’occasione essere propizia ad una prossima insurrezione. Alle altre domande di Pisacane il Fanelli aveva (95) già risposto inviando i ragguagli raccolti sulle Isole, prometteva poi gli altri che urgentemente aveva chiesti ed aspettava: per le intelligenze con le Isole aggiungeva adoperarsi a tutt’uomo per spedir delle lettere a Ponza e le altre due Isole; per il negoziante che dovrebbe ricevere il dispaccio diceva d’indicarlo, immantinenti.
Ciò su cui non poteva rispondere il Fanelli erano le intelligenze per lo sbarco; queste tanto bene incamminate col carissimo Vincenzo Padula erano state spezzate in un colpo da un’inattesa sventura.
«Avversa fatalità (scriveva al Fanelli pochi di prima Giacinto Albini) (96) ci persegue. Vincenzo Padula qua condotto dalla fiera per prendersi tutto e correre tosto costà. È arrestato a Salerno, gli rovistano tutto ma nulla rinvengono, nel contempo il Sotto-Intendente fa diligenza in casa sua a Padula, e nulla pure rinviensi. Benedetto!!! Se no quattro Provinciò rovinate, e molti nomi perduti.
Io lascio immaginare lo stato di agitazione nella quale si trovò il Comitato a tale annunzio che spezzava l’ancora alla quale si era affidato per tanto gelosa operazione. Vincenzo Padula andava a ricongiungersi nelle carceri agli egregi Magnone, ma col suo imprigionamento tutte le fila della insurrezione nel Salernitano venivano smarrite, e si perdeva uno dei cuori più generosi e puri che abbiano amato la Patria loro.
Siccome nel seguito di questi fatti non dovrò forse più riparlare di lui o appena di volo, seguitando egli a stare nelle prigioni attraverso alle quali per quanto era in lui pure non cessò mai adoperarsi, così colgo questa occasione per richiamare sopra di lui il sacro rispetto degli Italiani. Visto nell’altare un apostolato di Libertà ei lavorò infaticato nella sua vita per redimere la Patria e far grande l’Italia. Dopo inauditi strazi sofferti nelle carceri, ove l’abbiamo veduto condotto, egli quando fu stanca la insana furia dei Borboni ne uscì costretto ad andar ramingo in esilio. Da quell’esilio dal quale non doveva tornare se non come Liberatore della sua Patria, uno di quei mille dell’Unico Garibaldi. Scese a Marsala: pugnò da Eroe a Calatafimi a Palermo e vinse: a Milazzo cadde sul campo tingendo col suo sangue immortale l’aurora sublime di una nuova Era all’Italia. Siano queste mie povere ma amorose parole un monumento di gratitudine e di religiosa ricordanza che gl’italiani raccolgano sul suo cenere glorioso.
Il timore di questi incidenti dolorosi che potevano sconvolgere tutto l’ordito era stato ben preveduto dal Mazzini e dal Pisacane, ed era una delle ragioni più calde onde essi credevano giustamente da un lato che ogni indugio fosse fatale. Ma dall’altro canto è forza por mente che non vedendo il Comitato nella disposizione degli animi quella probabilità di concorso ad un movimento inatteso, era pur giusto dal punto di vista locale, ch’egli benché sentisse tutta la gravità di queste ragioni, pur seguitasse a tenersi fermo nel suo sistema pratico, nel quale vedeva che la sola speranza del concorso era nelle precedenti preparazioni, da cui la forza e l'energia dell’insorgere solo poteva aspettarsi. Mentre dunque questi inevitabili contraccolpi mettevano ogni giorno il Comitato di Napoli nella necessità di rinascenti lavori, ed a fronte delle difficoltà pel rannodamento degli opportuni preparativi, sempre più spiegavano le proteste sue continuate verso il Comitato esterno della non maturità all’interno. Ed il Fanelli con lunghe lettere al Mazzini ed al Pisacane (97) si risolvé di dirigersi ancora formolando di nuovo tutta la posizione del paese.
Le cose che Mazzini scriveva (ecco il contenuto di tali lettere) erano certe degne di lui e dell’ammirazione di tutti. Ma le idee fondamentali della sua scuola non erano mai state per l’innanzi potentemente e con energico lavoro diffuse nel Sud. Se ciò prima si fosse fatto, in quel momento le idee pratiche conseguenti dei Mazzini avrebbero nella loro applicazione potuto dare tutto il prodotto che conveniva.
Con questo scopo sopratutto se gli era fin dal principio rivolto il Fanelli per fare che il lavoro sorto dal niente senza mezzi o i scarsissimi loro, e che pure aveva raccolti tutti i migliori uomini di azione,potesse essere fecondato dall’opera sua, e stretto con quella mano potente in un compiuto affratellamento di vedute sulla idea Nazionale. E tanto più era necessaria questa protezione operosa del Mazzini, in quanto che i liberali erano scissi e sviati dalla falsa scuola dei moderati, il Governo isolava e perseguitava, rendendo impossibile ogni comunicazione. In tanto sperpero del partito bisognava rafforzare ed ajutare la direzione all’interno, per la quale al Fanelli non poteva essere bastevole neppure il tempo materiale per adempiere tutte le cose, a cui pure con infaticabile abnegazione non si mancava di provvedere da lui e dal Dragone: e tanto più energica dovea essere tale direzione, che potentemente valesse a distruggere l’influenza dei moderati chiari per nomi, che al popolo si erano dati ad adorare per idoli, e che in un movimento invece di unirsi avrebbero tutto impedito col vietare ai loro ogni cooperazione — Vi bisognavano armi, senza le quali niun movimento si poteva e voleva tentare, né acquistarsi fiducia ad intraprender
Io: e mezzi sufficienti non solo per sostenere il lavoro ma per apparecchiare tutto il bisognevole.
Dopo queste generali avvertenze il Fanelli aveva manifestato alcune sue viste «che, dice egli, dopo compitosi il lavoro, per il mezzo delle su esposte «condizioni, e della vostra morale cooperazione diretta, avrebbero potuto valere d’occasione, d’impulso determinante e d’appoggio insieme, e vi proposi quasi ad esempio l'affare delle Isole, mentre molti altri avrei potuto proporvene, e con danaro avrebbero potuto adempirsi» (98). Seguitando soggiunge di esser rimasto maravigliato che a questi suoi semplici esempi e domande si fosse risposto, accettando il fatto indicato dell'isola e che si andava da Mazzini e Pisacane a praticarlo (99): che aveva ricevute da Pisacane «incumbenze indispensabili alla pratica di quel fatto (ancoracché fosse isolato) che in un paese libero si sbrigano in giorni, ma in uno che è nella condizione del nostro abbisognano di «molti mezzi e di un tempo che non si può calcolare.... Le mie premure come è naturale si attende devano tutt’altro risultato quello cioè dei preparativi per operare, non di operare senza preparativi».
Intanto il Mazzini scriveva non esservi mestieri di accordi il momento esser giunto; che il Genio della rivoluzione bisognava colpirlo, che bastava dare uno slancio perché gli animi lo seguissero e che si assumeva la responsabilità da lui e dal Pisacane, non chiedendosi altra cooperazione nel Fanelli che quella di avvisar l’isola e di far trovare degli uomini allo sbarco, tener pronta la provincia a seguir l’iniziativa, ed egli in Napoli appoggiare il movimento (100).
Ma queste cose che si chiedevano, erano in Napoli o difficili o impossibili nella pochezza di tempo che veniva assegnato, ed il Comitato non mancava di ripetere che le varie delusioni, il fatto dei Bandiera, il recente di Bentivegna, lo stesso rovescio del 48, non che i moderati avevano radicata la massima che un fatto isolato non si doveva seguire. Ogni provincia diceva di esser pronta, ma dimandava se le altre fossero, e volevano capi militari che non si avevano. Onde (seguitava il Fanelli) i principi invocati dal Mazzini erano splendidissimi ed egli pienamente li professava, il momento doveva colpirsi, l’opportunità era tale che contribuendo tutte le forze ed ingrossando una iniziativa si sarebbe vinto, ma lo stato del paese praticamente non si prestava a tal genere di esecuzione: e queste cose diceva di ripeter così ostinatamente per far sì che si vedesse ben chiaro, che quei principi belli e trionfanti in astratto, in Napoli per tutte le ragioni anzidette non sarebbero stati compresi così di slancio ed avrebbero condotto ad una ruina (101).
Ma ancoraché si avesse voluto abbandonare deffinitivamente l’antico concetto del Comitato, anche secondo l’idea del Mazzini e del Pisacane bisognava non stabilire il fatto di Ponza e dello sbarco senza più, ma sì subordinarlo al tempo in cui si fossero compiti gli apparecchi per esso necessarii. Ora pel fatto dello sbarco era tutto a rifare, andato in prigione. il Padula: ed oltre che il Mazzini e Pisacane raccomandavano innanzi tutto il segreto, questo per la intensità della cosa era richiesto scrupolosissimo, per il che si domandava destrezza e tempo a non rovinar tutto con un passo men che avveduto.
Quanto alle Isole egli era del tutto impossibile l’impromettersi di riuscire per tale o tal giorno. E qui non debbo lasciar di ricordare come sotto il Governo dei Borboni in ispezialtà neirullimo periodo del 48 al 60, la persecuzione aveva assunto un tale vasto e scientifico sistema, da non lasciarsi sfuggire alcuna via per impedire qualunque relazione tra i liberali e sopratutto nelle prigioni. Onde le difficoltà per penetrare in queste e farvi giungere, non che altro, una notizia o un giornale erano fatti che avevano più del miracolo che del difficile. E le Isole erano anche più inaccesse — occorreva trovar marinajo con cui fare a fidanza, ricompensarlo largamente perché si togliesse l’incarico di recar lettera — dopo, nell’isola avere amico più che fidato il quale trovasse modo di deludere quell’argo malefico dei custodi, delle spie, dei militari, del comandante. Uno stratagemma solamente inconcepibile poteva far giungere una notizia a prigioniero, e per averne una risposta le difficoltà erano ancora più gravi. Mettevasi dal Governo in pratica quanto l’immanità dei Neroni e dell’inquisizione non aveva forse immaginato. il povero recluso era per lo più accoppiato ad una spia, o ad un mal fattore alla stessa catena lunga di un braccio, ed una tomba istessa più che carcere doveva servire di comune giaciglio. Era il supplizio del vivo legato ad un cadavere che aveva solleticato il cuore del Principe, ed il Principe si divertiva. Bisognava dunque con sacrilega disobbedienza violare i regali trastulli, e cogliere il destro di scrivere una risposta che tra infiniti altri stenti, riuscendo a sfuggire un ultimo ostacolo non minore — le reti dei moderati — dopo un mese al più breve potesse alle fine giungere in Napoli. Queste difficoltà di tempo che bisognava subire per forza, inducevano il Fanelli a dire al Mazzini ed al Pisacane di non poter determinare, quando si potesse esser pronti con siffatti inevitabili apparecchi sia per lo sbarco sia per il fatto delle Isole: ma che egli e il Dragone avrebbero posto in opera tutti i mezzi per riuscire a fermar questi accordi (102).
Quanto alle provincie, perché fossero avvertite della iniziativa dello sbarco e rispondessero contemporaneamente alla chiamata erano altre, ma non lievi le difficoltà. Bisognava innanzi tutto esser certo che si volesse seguire un fatto isolato. Vinto questo primo dubbio che il Comitato si era studiato di dileguare, incitando lo spirito pubblico ed infiammandolo quanto poteva, bisognava prendere gli accordi diffinitivi sul da fare, dar loro tutte le necessarie istruzioni, che rassicurandole sulla probabilità della riuscitale dessero la energia di operare: bisognava spedirvi i capi militari e civili che potessero dirigerne e rendere utili i movimenti. A ciò non si era per anche provveduto, onde il parlare di pronta esecuzione e specialmente pel tempo fissato era impossibile. Infine ciò che al Fanelli s’indicava ed egli egualmente sentiva, che in Napoli si appoggiasse il movimento appena che fosse scoppiato, praticamente neanche era eseguibile per la mancanza di armi, l’assoluta impossibilità di averle in così breve tempo e il difetto di danaro per acquistarle.
Questo quadro fedelissimo del Paese e del lavoro, il Comitato di Napoli sottopose di nuovo al Mazzini ed al Pisacane affinché essi con piena conoscenza della cosa potessero decidere sugl’inconvenienti della prossimità dell’intrapresa.
In questo tempo di mezzo giungevano successivamente varie lettere del Fabrizj il quale rispondeva a tutte le istruzioni, dubbi e domande del Fanelli. Sono esse di grandissima importanza tanto per la cognizione esatta dello svolgimento e del cammina tenuto negli apparecchi, che servir dovevano di base all’intrapresa, quanto per potersi fare sempre più un’idea matura ed irretrattabile sullo spirito e principj che animavano il Fabrizj ed il Comitato di Napoli — principj che ha sola costante inalterabile insegnati sempre la scuola della Democrazia Italiana — È mestieri dunque di soffermarsi alquanto a presentare il contenuto di tali lettere al leggitore al cui sguardo sarebbe colpa il farle passare inosservate. E poiché l’omogeneità del loro contenuto me lo consiglia, per chiarezza e brevità logica riunisco in uno le lettere del 15 (103) del 20 (104) e del 29 (105) di aprile alla quale ultima si unisce una nota (106) spedita dal Fanelli ad alcuni corrispondenti inglesi, che rannodata alle altre avvertenze del Fabrizj racchiuse nei due poscritti delle lettere del 12 (107) e 48 di maggio (108) compie facilmente l’idea del quadro.
Il Fabrizj non tralasciando di suggerire al Fanelli tutti i consigli per le varie combinazioni possibili, e per la pratica esecuzione del fatto lo avverte.
1° Che nel caso d'iniziativa fosse rimasto in Napoli per poter stare a fronte ai tranelli dei Moderati e dei Murattisti, bastando a beneficio della provincia le genti sbarcate (109).
2° Che nella Provincia destinata si poteva sostituire altri che fossero informati appieno e capaci in ciò in che il Fanelli si credeva esser colà utile, e supponeva che il proponente del Piano corrispondesse come gli sembrava alla fiducia degli amici di Genova (110).
3° Intorno alla domanda che faceva Fanelli sulle armi e munizioni osserva il Fabrizj, che per le armi che si dovevano mandar da Malta occorreva il danaro sufficiente, e che le munizioni dipendevano da Genova (111).
4° Tutto il segreto della riuscita stare nell’opportunità e nell’accorgimento di cogliere il momento; che il Fanelli ben proponeva fissarsi la scadenza di comune accordo: essere il fatto bilaterale, e doversi in esso procedere tranquillamente, concretamente, arditamente nello spazio prefisso (112).
5° La parte necessaria per riuscire essere di ben ponderare le condizioni dell’isola, stabilire in essa gli accordi per misura di tempo, disporre la mano di gente che doveva sbarcare in Provincia, guardando di non nuocere a riserba per troppa estensione e chiarezza di patti (113).
6° Assicurarsi per l’isola della cooperazione, conoscere con destrezza e previdenza l’orario, le abitudini, la forza e spirito degli arrestati. Rispetto alla Provincia scandagliare profondamente fino a che punto aderisse a suscitarsi. In generale spandere un allarme indeterminato che si rendesse atto alla scintilla cu i accennava Mazzini (114).
7° Conchiudeva insistendo che nel concorrere armonicamente l’esterno e l’interno alla concrezione del fatto si togliessero le esagerazioni di piani, non si trascurasse il necessario, si evitasse «l’illusione di una preesistenza di suscettività che ha forse d’uopo di un nulla per esser desta, ma che creduta già desta ove noi fosse, indurrebbe alle conseguenze di un calcolo sbagliato» (115).
Ma oltre a questa parte dirò cosi speciale che è pregio di aver rilevata nelle indicate lettere del Fabrizj e che costituiva tutta l’anima della operazione, qui si scopre un altro lato non meno importante del lavoro.
Le istruzioni del Fabrizj al Fanelli erano di far sempre in modo che vie più si avvilisse il Murattismo; che l’Inghilterra si rendesse propizia alla causa Nazionale, e che si cercasse di scalzare la preponderanza francese, che con i suoi giocattoli diplomatici non voleva far altro se non tenere a bada l’opinione pubblica, divertirla ed ingannarla in effimere aspettazioni (116). Per questo scopo si erano aperte communicazioni dal Comitato con alcune ragguardevoli persone che torna inutile il nominare, affinché potessero queste illuminare la coscienza del Gabinetto Inglese sul vero spirito del partito Nazionale in Italia e sulle tendenze ed aspirazioni dell’Italia al suo riscatto. Intorno al quale subjetto il Fabrizj non trasandava di scrivere al Fanelli dividendo in due parti i suoi consigli, una che servisse pel modo di propaganda verso i liberali in Italia e presso il popolo, l’altra del modo di trattare con quei tali corrispondenti inglesi, affinché potesse quel Governò essere da costoro chiarito sulla posizione vera delle cose in Italia e condotto a favoreggiarla.
Ad illuminare l’opinione pubblica in Italia era mestieri, diceva il Fabrizj, che si facesse conoscere come il Partito Nazionale avesse sempre annunciato le illusioni di fallaci speranze nei Governi stranieri, che solo dalla complicanza dei loro interessi ne era potuto venire un bene indirettamente all’Italia — che queste opportunità non si dovevano disprezzare, e che una allora se ne presentasse nell’agitazione liberale per le nuove elezioni in Inghilterra — che la questione Napoletana era vivamente discussa e bisognava trarne profitto nel senso della libertà dell'intera Nazione — Dall’altro lato era mestieri di provocare un verdetto dell’opinione pubblica inglese, che riconoscesse siccome la Diplomazia aveva fuorviato e non favorito le aspirazioni dell’Italia in generale e di Napoli in ispecie; era mestieri far comprendere a tutti che i generosi elementi di vita nazionale esistenti in Italia non chiedevano intervento anzi lo respingevano, volevano appoggio morale da popolo libero a popolo che cerca ricondursi a libertà (117). Avvertiva in fine il Fabrizj come già potentemente a tale uopo si adoperasse Giuseppe Mazzini aiutato da Aurelio Saffi, Ruffini ed altri.
Né a ciò solo si stava contento il Fabrizj, anzi inviava al Fanelli altri più preziosi ammaestramenti, intorno al modo da formolare presso i commessi inglesi lo stato e lo scopo dei diversi partiti in Italia. Dipinge con mano di sublimissimo maestro il carattere ed i vizi del Sabaudismo, quelli relativi al Murattismo nel Napoletano: proclama unico ed ottimo partito essere quello che mirando alla verità dei fatti cercasse di promuoverne il trionfo in Italia e da per tutto, né esservene altro se non quello che però appunto si chiamava d’Azione o Nazionale — Delinea il concetto, l’anima, lo scopo, i mezzi di questo partito — Nell’interno Unità e Libertà, sovrana la Nazione della sua forma di essere — All’esterno guerra all’Austria con tutte le forze della nazione, emancipazione dalla Francia con l’azione indipendente dai suoi interventi (118) ed alleanza con l’Inghilterra se rispetta la nostra indipendenza, politica, e con ogni altra Nazione libera o che intenda a liberarsi, non esclusa la Francia in quest’ultimo caso ed alle stesse condizioni — Da principio i fatti eviterebbero un diretto conflitto con l’occupazione Francese, ma la politica proclamerebbe i principi che l’escludono, moralizzandosi verso la Francia prima di rivolgersi a quel Governo.
Animato dagli stessi principi il Fanelli non trasandava di giovarsi di queste norme del Fabrizj per riuscire nel suo lavoro presso i corrispondenti inglesi, ed oltre a ciò egli chiarendole e svolgendo come più utile credeva, si studiava con sue avvertenze di sporre loro il concetto della Democrazia italiana in generale, e far sì che se da un lato finissero le apprensioni del governo inglese verso di questa, dall’altro l’Inghilterra sentisse di non potersi render simpatica all’Italia se non favoreggiando gl’interessi nobilissimi del partito nazionale e di azione. Prova chiarissima del procedere del Fanelli è il memorandum da lui rimesso ai detti agenti inglesi (119) che Fabrizj interamente approva (120) e che mostra tutto il concetto dell’uomo che lo dettava e del partito a cui apparteneva — L’unica via per uno stato di cose soli do e duraturo essere il rovesciare lo stato di violenza d’allora, Punirsi gl’italiani in un governo libero e progressivo, che sarebbe alleato naturale dell’Inghilterra. Principale obbietto del partito d’Azione essere l’indipendenza «perciò rivolgerà (sciamava il Fanelli) «tutte le sue forze sempre contro l’occupazione Au«striaca, e tenterà ogni mezzo per sottrarre l’Italia «dall’occupazione francese». Il Murattismo essere il peggior male d’Italia, repulsivo nell’opinione dei migliori, solo possibile con un colpo di mano se il popolo non vedesse altre speranze realizzabili. Essere per conseguenza necessario, che 1 Inghilterra facesse sentire la sua simpatia ed il reale suo appoggio al popolo Italiano per il conseguimento del suo grande avvenire.
Ecco le idee che formarono il sacro apostolato della parte patriottica dei cospiratori Italiani. Ecco i principj che furono preconizzati dalle segrete latebre delle associazioni, delle propagande, delle scuole, della stampa, delle proteste, delle opere, delle persecuzioni, del martirio. Né, tenga bene a mente l’Italia, questa corrusca stola del martirio si cangerà mai nell’argentea clamide del trionfo, se i veri principi della democrazia Italiana frodolentemente ruffianeggiati dai dottrinari, dai moderati neoguelfi arcadi politici, o meglio dai Lojolisti che sono al potere, non sieno con sincera fede proclamati e diventino legge del Governo che allora solo sarà Governo degl’italiani.
Mentre questo ricambio d’intelligenze avveniva tra il Comitato di Napoli e il di fuori, e davasi opera a siffatto lavoro di propaganda, il primo termine per lo sbarco fissato per l’ultima settimana di Aprile era trascorso, e tutto dava ragione di credere che subendosi la grave necessità del soprassedere, si potesse dare il tempo opportuno al comitato in Napoli aspettando che gli accordi con le Isole e per lo sbarco potessero diffinitivamente esser conchiusi.
Ma intanto nel 4 Maggio il Pisacane scriveva (121) al Comitato dando copia di una lettera del Mazzini, il quale diceva avrebbe spedito una somma di ottomila franchi per mezzo del Pisacane, e che per la cosa bisognava subito farla, il moto non essere isolato, connettersi con altre combinazioni che fallirebbero se s’indugiasse; le rivoluzioni non farsi coll’oriuolo alla mano, il malcontento esser sì grande che forse un primo fatto di successo avrebbe spinto gli animi ad operare: bisognava dunque tentare. Dopo la quale lettera il Pisacane aggiungeva che l’operazione doveva farsi senz’altro in Maggio, limite ultimo fissato dal Mazzini per ragioni che egli approvava, che per la scelta del giorno sottostando ai periodici movimenti dei vapori poteva fissarsi o il 10 o il 25, lui aver preferito quest’ultimo. Espone di poi il modo come la cosa sarebbe fatta, e desiderava conoscere unicamente dal Comitato circa l’ora ed il punto migliore di approdo all’isola e dello sbarco; che l’isola consentisse all’operazione questo gli bastava; il Fanelli di niente altro essere responsabile; voler consigli in tutto meno che nell’indugiare, non avere ancora ricevuta la somma promessa dal Mazzini.
In seguito nel dì 12 di Maggio (122) il Pisacane spediva non le 8000 ma 3000 Lire Italiane al Comitato, che con altre picciole somme spedite in più volte prima, facevano in tutto Lire 7000.
Alle ragioni del Comitato circa le armi, persuaso mandava al Fabrizj 3500 lire per collocare circa 800 fucili che erano a Malta direttamente presso al Comitato di Napoli, restava però fermo nelle sue ragioni circa l’operar prontamente, non richiedendo esso che tutti rispondessero alla loro iniziativa. Ritorceva poi le altre difficoltà presentate dal Fanelli circa il tempo e la malagevolezza del lavoro contro di lui stesso dicendo, che quando le condizioni della fabbrica erano così tristi non vi era altra riserba che una subitanea congiura. Lo scioglieva di nuovo da ogni responsabilità dicendogli «La vostra opera, se non credete fare altro, limitatela a farci pervenire subito subito quei riscontri, ecco tutto».
Intanto il Comitato di Napoli si trovava in uno stato li violenza per la pressoja nella quale veniva posto, dacché nuove lettere del Pisacane (123) aggiugnevano non potersi la cosa più differire e che oltre alle istruzioni ricevute pensassero il Fanelli e Dragone di far trovare un pajo d’uomini sul luogo dello sbarco; pronti a correre in Napoli o altrove, affinché per dispaccio o nel più rapido modo se ne facesse pervenire in Genova l’avviso. A ciò il Fanelli non mancava di ripetere al Pisacane lo stato del lavoro quale genuinamente era nelle Provincie Napoletane, e con lunga lettera del 20 di maggio (124) gli esponeva le seguenti cose:.
1° Quanto al ritiro delle armi ricordava gli ostacoli, le difficoltà, riteneva che esse dovessero venir rimesse prima e non dopo la spedizione, perché avvenuta che fosse, l’allarme destato renderebbe impossibile l’operazione pel mare, che sarebbe guardato e vigilato da molte navi in crociera — ricordava la circostanza fattagli nota dal Fabrizj che a Malta non si aveva munizioni — che dopo avuto il danaro bisognavano almeno 15 giorni per provvedersene — ed altri 15 giorni di prevenzione ad essi in Napoli per far partire la persona di ciò incaricata.
2° Ripeteva di attendere i proclami e le istruzioni chieste, mache non gli erano ancora state spedite.
3° Alla proposta di Pisacane che scioglieva il Fanelli da ogni responsabilità rispondeva questi dichiarando, che i dubbi presentati da lui non miravano a sottrarsi da alcuna responsabilità — Che Pisacane gli scriveva così perché non l’aveva conosciuto in alcun fatto, e però ei non se ne adontava. Ma che Mazzini,Fabrizj e Medici lo dovevano giudicare diversamente sapendo a prova che egli nelle occasioni sapeva assumerla tutta — Che egli aveva chiesto i mezzi tutti per recare a fine gli accordi con l’isola e gli apparecchi dello sbarco — che ove non li vedeva pronti stimava suo dovere il dichiararlo e l’opporsi ad un passo prematuro. Che difficoltà di ogni genere ben note al Pisacane avevano impedito la conclusione di questi necessari accordi — Che egli solo sosteneva nel Sud l’idea Nazionale e che ciascun seguace o oppositore avrebbe sempre tenuto lui per responsabile. Diceva dippiù il Fanelli esser sua abitudine di opporsi quando non vedeva le cose in quell’assesto (125) da produrre il desiderato effetto, e che sebbene chi si preparava ad impresa sì magnanima come il Pisacane avesse avuto bisogno di altre parole, pure egli credeva debito di parlar così chiaro ed avrebbe mentito se non gli avesse detto di sentir nell’animo un vuoto che lo straziava mancando alcuni dati apparecchi che credeva necessarissimi.
Conveniva dell’opportunità del momento, dell’irritazione degli animi, del mal’umore nella truppa e segnatamente negli Svizzeri (126), confessava che se l’Italia non avesse un genio che sapesse profittare di quell’eccitamento non sarebbe più Italia, che sentiva altamente tutte queste cose e si esaltava «ma per sentimento di dovere e non per trincerarsi dietro responsabilità adempiva alla solita monotona, ma utile incombenza col dirgli le ultime condizioni del lavoro e dello spirito pubblico… Ma (ecco le ultime sue parole) il Genio prevede più dell’occhio volgare. Voi e Mazzini avete genio, e ciò mi dà fede, che si corrobora nella fede maggiore che ho nella verità della causa» (127).
Aggiungeva a tutto ciò in data del 27 di maggio il Fanelli con altra lettera (128) al Pisacane, ritornando sui chiarimenti della sua posizione personale e dello stato del lavoro, che l’essersegli accordato il tempo di otto in otto giorni non gli aveva fatto eseguire ciò che da principio, dove se gli fossero dati termine tre mesi di seguito, avrebbe fatto forse in due; che era stato lasciato in Napoli senza consiglio, ajuto, e quel che è più nel dubbio sulla prossima venuta — condizione che senza renderlo colpevole avrebbe potuto rovinare il paese!!!
Ed al Fabrizj più particolarmente (129) si volgeva il Fanelli con lettera del 20 maggio dichiarando che il. Pisacane credeva a torto ch’egli volesse evitare responsabilità «ma che egli si protestava perché gli accordi non erano ancora all’ordine, non essendosi per anche potuto inviare le lettere di prevenzione per le Isole — E con susseguente lettera del 28 di maggio (130) gli faceva noto: essersi prima stabilito, come sapeva che il 25 Pisacane partisse, il 27 all’isola, la sera sarebbero stati in Cilento. Ma che egli si era protestato gli accordi con le Isole e in Cilento non essere finiti, che gli bisognavano istruzioni programmi per assegnare a ciascuno la sua parte e particolarmente per Napoli. Dopo tali ricambi di lettere ne erano sopraggiunte altre, che parlavano della venuta sì vagamente che il Fanelli e Dragone avevano temuto di fare delle confidenze indispensabili è vero nel momento del fatto, perché mancandovisi non si sarebbe preparata alcuna cooperazione, ma nocivissime e d’immensa rovina se premature.
Dal canto suo il Fabrizj riscontrando le varie lettere del comitato rispondeva in data del 12 Maggio (131) rassicurandolo nella difficile posizione in cui si trovava, indicandogli le norme da tenere, facendo ciò che solo era indispensabile e possibile, cioè accordi con le isole, preparativi per lo sbarco (132), e che i proclami insurrezionali dovessero tendere a destare e poi accrescere l’iniziativa non sì tosto la fosse scoppiata.
Stando le cose in questi termini ognuno vede come si avverasse ciò che si era fin dal principio logicamente antiveduto, che il Comitato non potesse fare più altro che sottostare allo svolgimento del Concetto Mazzini ed accettarne del tutto l’avviamento. Pure punto non si ristavano in Napoli nei limiti indicati anzi quanto più era in loro si adoperavano per recare a termine gli, accordi necessari. Dopo aver trovato modo di corrispondere coll’egregio cittadino Giovanni Matina, che era tenuto tuttavia in carcere segreto, e di fargli giugnere una lettera, negli ultimi giorni di aprile ne ebbe il Comitato risposta (133). Conteneva questa le acconce indicazioni del modo da porre in opera per mettersi in relazione con i liberali che si trovavano incarcerati nell’isola di Ponza; accennava il Matina il sito dello sbarco, prometteva più minuti ragguagli quando il Fanelli e Dragone gli facessero sapere dove si trovava il suo amico Vincenzo Rocco, col quale avrebbe loro indicato come potersi mettere in relazione.
Questa risposta del Matina, si ricorderà il leggitore essere importantissima, perché avendo egli proposto il colpo di mano sopra Ponza, ed avendo colà di intime conoscenze solo poteva avviare il Comitato a ben riuscire nelle trattative di quella operazione. Or mentre che incominciava da questo lato a concretarsi il lavoro, nel 13 di Maggio trovava finalmente modo il Comitato di spedire una lettera a Filippo Agresti nell’Isola di Santo Stefano (134). Fanelli l’aveva scritta per incominciare ad annodare relazione con lui, affinché espostigli i principi generali del Comitato, e invitatolo ad associarsi ai loro lavori, potesse poi metterlo a parte del progetto: ma vedendo rincalzare dell’azione, che non ammetteva più indugi né discussioni, aggiunse alla stessa lettera un’altra in cui difilato entrava nell’affare. Procedimento incauto in ogni altra occasione meno con l’Agresti, che uno dei più specchiati ed incorrotti cuori di patriota dava troppa securtà di poter fare ciecamente a fidanza con lui.
Il Comitato ne avvisava subito il Pisacane (135), dippiù gli diceva non esservi Telegrafi nelle due isole di Ventotene e Santo Stefano, che quanto agli approdi non conosceva nulla, ma si sarebbe informato.
Ad un tempo continuava le relazioni con le Provincie, e spingendosi le cose dal di fuori più ancora le disponeva all’azione, recandole in tale stato di eccitamento da non far loro patire più indugi e star pronte alla chiamata.
In Salerno il Padula era ancora in arresto: se gli era nondimeno scritto (136), ma difficoltà materiali avevano impedito di ottenerne risposta; se non che si aveva fiducia di rannodar prontamente alcune relazioni con amici di Magnone, ed allora potevasi procedere a utile e presto apparecchio.
Intanto a Sala (137) si scriveva mostrando la pressante situazione delle cose generali. Il Genio della Rivoluzione da un momento all’altro poter giudicare l’opportunità esser giunta, tenersi dunque pronti e preparar le cose in via di urgenza, essere inoltre indispensabile, per meglio stabilire le cose, che il corrispondente di colà si recasse in Napoli al solito luogo ove altra volta si erano veduti (in casa Dragone), e se l’avesse obbliato, o voleva maggiori chiarimenti poteva chiederli al presentatore di quella lettera, che era persona di piena fiducia ed amico del cittadino, che li aveva posti in relazione. Gli si raccomandava soprattutto il segreto trattandosi di affare di cotanta gravezza.
In Basilicata salvo piccolo danno i lavori procedevano più fortunati, ed anche colà il Comitato scriveva al Matera (138) ed all’Albini (139). I tempi essere giunti, tenersi prontissimi — segreto di tomba e fede — seguire il primo movimento — venuta l’ora si sarebbero inviati i Capi militari — il segreto essere la salvaguardia comune e la salute dell’intrapresa — la provincia di Basilicata come la più pronta, tenersi lesta all’iniziativa. Il Fanelli con parole caldissime dipinge l’effervescenza degli animi, e l’incita all'opera raccomandandogli in fine di stabilire delle relazioni secure ed agevoli di corrispondenza, affinché nei supremi momenti nei quali la mancanza di un avviso può condurre a mille catastrofi, tutto fosse all’ordine; che non si perdonasse a spesa ove ne fosse bisogno «apprestatela egualmente, si scriveva dal Comitato (140) e penseremo noi».
Col Libertini in Lecce, col quale dicemmo di sopra essersi il Fanelli accordato in Napoli, s’incominciavano anche a stringere i rapporti, ed una lettera di lui, in risposta ad un’altra inviatagli dal Comitato, ci fa chiara la posizione della provincia e del suo lavoro. Nel 18 di Maggio egli fa un quadro (141) dello stato delle provincie di Bari, Basilicata e Lecce, dice aver propagate fra i liberali le idee del Comitato antimurattiane ed unicamente Nazionali. Aggiunge la provincia di Lecce abbia organizzata a modo nostro e tu sai quanto sono di difficile contentatura. In Bari avvisa avere spedito quattro inviati e che fra un mese avrebbe date organizzate Bari, Basilicata e Lecce.
In Basilicata le principali fila si trovavano in mano dei fratelli Albini e di Matera con i quali il Comitato era da gran tempo in corrispondenza. Ma quanto a,arie Lecce rotti com’erano gli stami che precedentemente esistevano, doveva esser grande maraviglia di consolazione per Fanelli e Dragone il sentirle preparate fra un mese.
Tutto ciò praticavasi ed a tali buone speranze il Comitato avrebbe potuto molto impromettersi, o se non altro esattamente comunicarle al Comitato esterno. Ma egli con somma riserva mentre spronava le Provincie, impallidiva le relazioni sulle medesime al Pisacane, affinché le une avvanzando, e gli altri soprassedendo si trovassero, se possibile, in un terreno comune; e precipuamente affinché su queste eccitanti e lusinghiere relazioni dei Capi delle provincie non dovessero di fuori Mazzini e Pisacane immaginarsi più di quel che era, e che in fondo Fanelli e Dragone non vedevano essi si restringevano unicamente a dire al Pisacane (142) che si erano inviate lettere di fuoco nelle Provincie, stabiliti gli accordi per lo sbarco, e disposti i messaggi di comunicazione con le Provincie dopo l’avvenimento.
Serie opposizioni intanto trovava in Napoli il Comitato per le frazioni dei partiti (143), che tutti gli si sarebbero contro coalizzati in un momento di azione, e ne avrebbero impedito o falsato lo scopo. Doveva anche temersi del partito Murattista, perché se anche si arrivasse a rovesciare da noi quel governo, dopo si sarebbe rovinati più ancora, dacché il partito Murat valendosi dei nostri mezzi avrebbe nella Capitale potuto fare un colpo di mano. Onde era che il Comitato chiedeva istruzioni precise (144) sul da fare nel momento della insurrezione ponendo mente alla condizione del paese ed alla sua posizione: chiedeva se alla nuova del fatto si potessero in Napoli riunire gli amici, ma voleva sapere come senz’armi potesse adoprarli non essendo possibile per la brevità del tempo, che le armi potessero giungere da Malta. Siffatti ostacoli persuadendo sempre più il Fanelli a non poter così entrare subitamente nel campo dell'azione, lo inducevano a tentare tutte le vie di dissuasiva verso il Comitato esterno. E trascinato da un lato dalla febbre dell’operare, dall’altro irritato dalla non piena fiducia, che vedeva negli elementi di una pronta insurrezione, egli nel manifestarlo al Mazzini e Pisacane in uno di quei momenti di troppo zelo ed affetto per la buona riescita dell’intrapresa, abbandonandosi nella grande dimestichezza onde quei l’onoravano, trascorre fino a prender la forma della disapprovazione e dell’umore. «Perdonate (diceva il Fanelli (145) la manifestazione del mio poco criterio e compatitemi, ma vi dico schietto che se io non avessi fede in voi e più ancora in Mazzini io crederei, che oltre all’eroismo da voi manifestato in questa circostanza, ed al pensiero il quale mi riempie di reverenza, non si parlasse né facesse sul serio, ma che si volesse in vece fare la burletta per divagarsi dalle gravi preoccupazioni in cui è costantemente un cospiratore».
Se non che cessato quell’istante di morale pressura il Fanelli calmato e pienamente in loro fidando conchiude col manifestare, che del resto tostato di Napoli era così tristo, che egli sperava pure da un colpo d’azzardo, come quello senza preparativi, che pur si sarebbero potuti fare, e quel che è più lo consolava il dir di Mazzini che il moto nel Sud non era isolato; ma a lui sarebbe meglio piaciuto che non fosse il principale.
In siffatte discussioni, incidenti e preparativi trascorreva anche il secondo termine fissato pel 25 di Maggio, e la venuta rimaneva indefinitamente prorogata.
Quando ecco a riprendere più vivamente il cammino interrotto giungevano al Comitato avvisi del Fabrizj e di Pisacane, che il Vapore sarebbe partito da Genova il 10 di Giugno e tutte le operazioni sarebbero andate col punto di partenza da quella data (146), ed il Pisacane con lettera del 19 di Maggio (147) dando istruzioni in senso diffinitivo «se è possibile (diceva) fate che un pajo d’uomini si trovino al disbarco pronti a correre a Napoli o altrove, onde per dispaccio o in altro modo far pervenire l’avviso il più rapidamente che sia possibile».
In vista di questo nuovo ed ultimo termine è indispensabile di esaminare in questo momento quale altro passo avessero fatto le operazioni del Comitato, ed il punto a cui le relazioni con le Isole, e per gli avvisi dello sbarco erano pervenute, e potevano spingersi fino al giorno annunziato per la spedizione — Tutto ciò occorre di porre distesamente sotto gli occhi del leggitore.
In quanto alle Isole l’Agresti ricevute lettere di Fanelli vi rispose nel 20 di Maggio (148). D’allora incominciò la conoscenza tra loro, che dopo si strinse in grandissima e cara consuetudine per la comunanza di affetti e di azione onde erano animati.
L’Agresti fa in quella lettera la sua professione di fede racchiusa nel trino pensiero di Unità, Indipendenza e Libertà dell’Italia. Fatto con la Libertà il primo passo ne sarebbe venuta inevitabile la guerra con l’Austria, onde l’indipendenza. Ma la guerra con l’Austria sarebbe stata una conflagrazione universale, ed allora l’Unità avrebbe trionfato. Nel tempo in che si svolge la nostra storia questo pensiero dell’Unità nella mente di quasi tutti i buoni Italiani pareva uh sogno, menò in certe anime privilegiate, e Iddio sollevava un lembo dell’avvenire innanzi a quell’amato nostro concittadino per ricompensarlo dei dolori del suo martirio, e confortarlo con la speranza di un inevitabile risorgimento.
Passa indi ad assicurare del segreto (era per altro inutile ogni parola), dice le comunicazioni non difficili, ma mancare egli di mezzi smunto dalle annose persecuzioni. Ancora dà molti ragguagli sulle due Isole di Ponza e Ventotene. Dice in fine che una pianta dei luoghi non poteva aver mezzo di farla nella bolgia isolata in cui si trovava. Se non che io non posso abbandonare questa lettera senza raccomandarne un’altra parte alla memoria degl’italiani.
«Eccovi (udiamo che parla l’Agresti al Fanelli) mio ottimo amico, la mia opinione, ora debbo dirvi poche cose sulla mia persona. Da giovine ho servito nell’armata, ho poco studiato nei libri, ma le mie lunghe peregrinazioni, sì nell’armata che per motivi politici mi han fatto studiare gli uomini. Non avendo il bene di conoscervi personalmente vi credo giovane pieno di entusiasmo, pieno di sacro amor di patria. Siate cauto: io sono vecchio, ne ho passati quasi quarantanni nelle disgrazie per amor patrio. Quanti disinganni ho sofferto, quante illusioni ho vedute svanite! Con tutto ciò il mio cuore non è invecchiato come il corpo, ed alla sola a parola di patria, mi batte come in età giovanile».
Questa pagina sublime del cuore umano non può esser letta senza esser soprappreso da un fremito di commossa venerazione. E questo sentimento irresistibile che nasce nel petto di ogni uomo libero e di ogni Italiano, sia non solo omaggio al venerando martire che lieto ora discese nel sepolcro avvolto nella bandiera rigenerata, ma conforto alla vedova donna, che metà dell’anima sua, fu nel tempo della schiavitù la madre della liberale Gioventù Napoletana, ed ora come frutto della sua abnegazione e splendida eredità invidiata del suo consorte raccoglie la riverenza e l’affetto di tutti quanti i suoi concittadini.
A questa lettera il Comitato rispondeva nel dì 29 di Maggio (149) annunziando all’Agresti che il fatto si era differito fra l'11 ed il 12 dell'entrante mese di Giugno, e che in questo tempo di mezzo se poteva gli avesse spedite le istruzioni e ragguagli necessari.
L’Agresti ripigliava dichiarandosi informato (150) di questo nuovo termine, ed indica alcune avvertenze che riteneva giovevoli — L’operazione secondo lui doveva farsi di notte, un vapore si collocherebbe tra Santo Stefano e Ventotene per impedire alcuna partenza di barche, che corresse a prevenire il Governo. Indica ancora la disposizione della truppa che era a guardia delle due Isole, il modo di sorprenderla e d’impadronirsi della piccola batteria di pochi cannoni — e dopo aver noverati quanti detenuti politici potessero colà raccogliersi ed essere di ajuto alla causa, ripete i suoi nobili sensi di sacrificio ed abnegazione ad ogni appello della Patria. In seguito con lettera del 1° Giugno l’Agresti (151) faceva avvisato il Comitato, come in Ventotene era giunta copia di una lettera ministeriale trasmessa dal sottointendente di Pozzuoli al Sindaco di colà prevenendolo ad usare maggior sorveglianza, perché persone del Cilento facevan giungere proclami ed altre simili carte contro il Governo. Ed infine con lettera del 10 di Giugno (152) ripetendo che il colpo era impossibile farsi di giorno era più accorto consiglio di notte, nientemeno ci era bisogno di molta forza — conchiude il momento essere opportuno, ma che se si falliva, il tiranno si consolidava e si retrocedeva per altri venti anni; essere in tutto del consiglio di Fanelli, di non attendere nulla dalla diplomazia, dove ché un fatto compiuto sarebbe rifermato da tutta l’Europa.
Mentre per l’affare Isola gli apparecchi erano in tale stato, ecco quali erano gli accordi ai quali circa lo sbarco si era potuto giungere nella Provincia di Salerno, che doveva essere il centro dell’insurrezione. Il Fanelli e Dragone riuscivano finalmente — dopo tutte le contrarietà narrate a rannodare le relazioni con Michele Magnone nelle prigioni di Salerno, il quale usando della sua autorità ed ascendente in tutta la Provincia potesse disporre i solleciti accordi al suo nipote Vairo ed altri che da Irti dipendevano.
La prima lettera che riattacca la corrispondenza tra il Comitato e Magnone è del 14 Maggio (153). Il Comitato l’avvertiva dei lavori fatti, e desiderava una persona in Napoli spedita da Magnone e di piena fiducia per comunicarle alcune segretissime cose.
Dopo incalzando gli avvenimenti rinnovava le istanze con estremo calore, perché se gli spedisse in Napoli una persona alla quale affidare un segreto.
La persona fu spedita da Michele Magnone, e dopo avere il Comitato presi gli opportuni accordi con essa (154) nel 7 di Giugno scriveva per evitar qualunque cattiva intelligenza direttamente al Magnone per ricordargli in breve il concordato tra loro.
1. Al momento dello sbarco dovea il Magnone far ritrovare una persona in Sapri col motto dato e col plico suggellato da darsi al Capo dei disbarcati.
2. La persona doveva esser esperta dei luoghi da servir di guida alla spedizione.
3. Indicava doversi trovare altre persone sul punto dell’approdo, perché ricevuti gli ordini dei Capi partissero per avvisare Basilicata e falerno, e da Salerno si avviserebbe Napoli.
4. Nell’insorgere bisognava spezzarci telegrafi, rompere le fila governative ed ogni comunicazione delle autorità con Napoli, disfacendo la vecchia polizia, stabilire se si potesse di paese a paese segno per dare allarme e avviso a tutti — questi segni potevano essere delle folgori, fuochi di bengala o altro.
5. Bisognava provvedersi di bandiere tricolori con la semplice scritta Italia, o pure Nazionalità Italiana.
6. Segreto di tomba, che dovevasi a tutti inculcare.
7. La spedizione approderebbe il tredici di quel mese di Giugno.
8. In ciascun comune a suffragio universale stabilirsi un Consiglio comunale, ed il Sindaco sarebbe provvisoriamente il capo politico ed amministrativo.
Michele Magnone ricevé esattamente quella lettera nella stessa giornata del 7 in cui era stata scritta dal Comitato, e con lettere del dì seguente otto di Giugno risponde (155), dicendo aver di tutto incaricato il nipote Ferdinando Vairo per le operazioni dello sbarco e consecutive, e per mandare messaggi a Napoli il dì 13 di notizia dell’accaduto. Avere spedito messi in alcuni paesi: in concerto col Padula avere praticato altrettanto per «Vallo di Diana: Salerno non volersi muovere se non vedeva prima rivoluzionato il regno intero e disfatto interamente il Tiranno».
Il distretto di Salerno sentir bene, essere ottimo spedirsi un emissario, perché quei di S. Severino venissero con un colpo di mano in Salerno ad aprir le prigioni, dove erano, essi Magnone e Padula con altri parecchi carcerati politici pronti alla morte. Conchiudeva il Magnone di essere disperato per non potersi trovare al momento dell’azione.
Intanto il Comitato di Napoli in armonia con le istanze che riceveva e l’imminenza dell’azione, metteva in opera tutta la sua energia per comporre, il meglio che si potesse l’accordo con le Provincie. Incominciava nel dì 20 Maggio dallo scrivere al Libertini in Lecce (156) mettendolo a conoscenza di quest’ultimo stadio di fatti e della possibile prontezza d’insurrezione. «State dunque con le lampade accese, diceva il Comitato, che il gran momento può venire a giorni, ed anche ad ore. Il tempo di stabilire intelligenze minute potremmo non averlo, in tal caso l’avviso comune sarà l’iniziativa di una provincia. Chi a questo appello non insorge, tradisce».
Non vedendosi risposto il Comitato ripeteva lettere ed istanze vivissime, quando per una via indiretta si vide arrivare una lettera aperta. Se ne doleva col Libertini (157) raccomandandogli l’esattezza per l’avvenire; più addentro gli manifestava la situazione delle cose, prontissimo un colpo, apparecchiarsi con la massima urgenza; insorgere subito nelle sue provincie, stabilendo fin da quel punto le intelligenze per corrispondersi nel momento dell’allarme che doveva suscitarsi nello stesso tempo in più parti.
Poco dopo per mezzo dell'egregio Giacinto Albini arrivava al Comitato una lettera del Libertini del dì 6 Giugno (158) in cui egli assicurava dell’ottimo stato della Provincia; i lavori tutti in regola, che nel momento dell’azione 10,000 combattenti e forse più saranno in campo, le linee di corrispondenza interna essersi stabilite, tutti chiedersi quando s’insorgerebbe. Il Libertini aggiungeva che per quanto fossero facili le comunicazioni nell’interno delle Provincie, altrettanto era difficile per la capitale, ma che al segnale della rivoluzione essi non se ne starebbero colle mani alla cintola.
In quanto poi alla Basilicata minutamente ci avverte la, lettera del 22 di Maggio diretta (159) all’Albini, quali proprio fossero le istruzioni inviate da Napoli, ed il punto preciso a cui i lavori colà erano pervenuti. Oltre alle varie avvertenze sulla politica in generale che il Comitato sponeva per mostrare la grande opportunità di un vicino movimento, oltre alle consuete raccomandazioni di segreto e di fermezza nell’operare, più da vicino il Fanelli si faceva a indicare all’Albini le norme, le istruzioni e quanto chiedeva da lui. Io formolerò per sommi capi tutto il contenuto delle medesime.
1. Aspettava il Comitato a Napoli due messi inviati da Albini, uno che dovesse guidare i Capi militari — ed un altro che rimanesse a sua disposizione.
2. Se i messi per accompagnare i Capi non potessero venire fino a Napoli si fermerebbero a Salerno, ed avvisato il Comitato del loro esatto arrivo questo provvederebbe ai segni di riconoscimento con i Capi.
3. Se prima d’inviarsi i Capi si sentisse altrove scoppiare l’insurrezione, che s’insorgesse, e si dirigessero sul punto del movimento. Spezzate le fila governative, padroni di armi, danari e munizioni si compromettesse il maggior numero di paesi possibile.
4. Il motto da presentare ai Capi direttori dell’insurrezione per farsi riconoscere essere l’Italia per gl'Italiani, gl'Italiani per essa.
5. Che si spedissero dei passaporti per i Capi militari, dei quali s’inviavano i contrassegni.
6. Che se si sentisse scoppiare l’insurrezione, senz’altro avviso si cercasse di far massa marciando sopra Auletta dove troverebbero i Capi — Se il Vallo fosse insorto bisognerebbe dirigersi colà, perché quivi sarebbero i Capi militari.
Non vedendosi il Comitato rispondere dall'Albini, ripeteva le premure, le istruzioni più eccitanti per la prossima insurrezione (160), ed intanto essere indispensabile un segreto di tomba ed un’apparenza di sonno.
In quella l’Albini rispondeva nel 29 Maggio (161) con una lunga lettera sullo stato di orgasmo nel quale lo metteva la partecipazione del Comitato, e vedendo ei pure le istesse difficoltà che il Fanelli aveva prevedute, si esprimeva così:
«Nel senso del vostro piano non so dirvi che avverrà per l’iniziativa che dite altrove. Il certo è che tutto va in dissenso delle vostre condizioni, delle vostre promesse. E più appresso. Inoltre il vostro piano è falso e sfiduciante. Si muove una Provincia ex abrupto. Vecchi avvisi indeterminati alle altre, ignoto il punto iniziatore, il come, il quando. Non assegnato da noi il dì certo, fatale, inalterabile, non concertato il primo nucleo ecc. ec.».
Manifestava ancora l’Albini che una sola Provincia non doveva iniziare, doverlo fare due o tre. Il moto di una sola esser noto prima al governo che vi avrebbe frapposti ostacoli. Bisognava colpirlo nel sonno, impadronirsi dei capoluoghi di Provincia, facile il resto. In Salerno esservi molta truppa. Impossibile che da Basilicata si recassero ad Auletta sulle strade rotabili, fuori delle loro montagne, fortezze naturali. Mancare il tempo per farlo. Ove il moto dovesse succedere così precipitoso, gli insorti appoggiassero sulla sua provincia, lui avere organizzato un drappello a cavallo. Diceva però l’Albini che il Salese (162) aveva sparsa nel partito la notizia che il 13 Giugno sarebbe avvenuto uno sbarco nel Cilento. «Se ciò è vero, aggiungeva egli, sarebbero eliminate le difficoltà suddette». Innanzi a quel fatto tutto cederebbe (163). In tal caso non volere essi se non i Capi, i proclami, le circolari, poi otto giorni di tempo e la sommossa essere all’ordine.
L’Albini aggiungeva ancora pochi dì dopo (164) che un messo da Sala gli aveva fatto sapere, che il Cilento non si sarebbe mosso senza aiuto straniero, sbarchi ed altro; che l’accorrere ad Auletta sarebbe stato fatale, che col suo corriere il Comitato avesse inviato almeno uno dei Capi promessi.
Avveniva pur troppo ciò che il Comitato temeva ed aveva fin dal principio dichiarato, che non volendosi seguire il suo sistema, ma invece mettere in pratica l’altro del colpo di mano e di sorpresa, gli animi diffidenti della riuscita non corrispondessero, e se da un lato le lettere dell’Albini sono pruova del suo caldo amor patrio e della sua avvedutezza, dall’altro son chiaro segno di non essersi il Comitato ingannato, quando affermava che un moto isolato non sarebbe stato seguito, e che i soli accordi ed apparecchi bene intrecciati da vari scoppi d’insurrezione avrebbero apprestata la possibilità dell’operare; di fatti, la provincia meglio organizzata a fronte dell’iniziativa da prendere nella insurrezione pure retrocedeva ed esitava.
In fine il Comitato scriveva ad Agresti e Pisani. Al primo nel 29 di Maggio (165) avvisandolo che tra l'11 ed il 12 del prossimo Giugno la spedizione sarebbe stata eseguita — Ammirava il suo buon senso negli affari e la sua calma, fidava nella sua discretezza, chiedeva istruzioni al più presto possibile atte a prevenire gli ostacoli di ogni genere che potessero incontrarsi, e che si tenesse intanto per avvisato, ove non potesse essergli spedita altra riconferma della cosa, facendo apparecchiare e tener pronti gli amici — Ed ai secondi scrivevano da Napoli (166) nello stesso modo dell'Agresti: non raccomandare il segreto; l’importanza del fatto, il loro patriottismo esserne mallevadore «Apparecchiate ogni cosa per la buona riuscita e cercate nel momento solenne dare opera a tutto ciò che possa impedire la partenza di barche, che potessero servire d’avviso». Conchiudeva il Comitato mostrando l’ardente espettazione di loro lettere, che informandolo degli ostacoli possibili gli trasmettessero le avvertenze credute più utili.
In tale condizione si trovavano tutte le fila dell’insurrezione nel Napoletano e questi erano gli apparecchi che si erano fin allora concretati — Onde il Comitato di Napoli, in vista dell’ultimo nuovo termine fissato pel 12 o 13 Giugno, trasmetteva al Pisacane le relazioni sulle isole mandandogli le lettere di Agresti (167), che contenevano i particolari e le posizioni richieste; dicendogli ancora che al Matina si era finalmente potuto scrivere, e se ne attendevano le risposte particolareggiate su tutte le minute circostanze del suo progetto. Gli trasmetteva ancora una lettera di Teodoro Pateras, aggiungendo il Fanelli, che egli vedeva per Napoli meno di ciò che colui indicava, ma che più sperava nei bisogni del paese, e nella benignità del momento, che se non si coglieva era da disperarne per molti altri anni. Se non che ripete ancora, che dove gli si fosse concesso da principio mese seguito di tempo, aiuti maggiori ed armi, mercé la combinazione d’altri fatti determinanti egli allora avrebbe potuto dire assai più di quello che «scriveva l’amico, e ci avrebbero potuto contare con me cosa più concretata che progettata» (168).
Riferisce al Pisacane, diminuendo un poco le tinte troppo vive e lusinghiere, le lettere delle provincie dove si dicevano pronti e che il lungo attendere danneggerebbe (169). Dall'altro canto l’avvisava con lettera del dì 27 di Maggio degli accordi presi in Cilento per lo sbarco (170); che sul luogo in Sapri si sarebbe trovato un tal Matteo Giordano con altri compagni, che si sarebbero posti sotto gli ordini del Pisacane, facendosi riconoscere dal motto di sopra indicato.
Dal canto loro Mazzini e Pisacane, provvedendo alla suprema necessità di mandare le istruzioni richieste dal Comitato, spedivano lunghe lettere al Fanelli; e Mazzini nel dì 19 di Maggio (171) spronandolo ad operare gli mostrava l’opportunità del momento, il danno dell’indugio, e con quella traboccante eloquenza che è unica in lui distesamente gli rimoveva i dubbi ad agevolare il cammino.
«L’Italia intera (esclamava Giuseppe Mazzini) ha doveri tremendi, ma più specialmente il Sud — Il Sud ha sul collo una di quelle Tirannidi che degradano chi le sopporta — Il Sud è strategicamente parlando il punto d’onde l’iniziativa Italiana dovrebbe muovere. Il Sud ha empito l’Europa dei suoi lamenti e delle sue minacce e non può retrocedere — Io v’invito ad osare per l’onore e per l’amore del paese — V’invito ad osare per voi: un lungo lavoro vi perderebbe — V’invito ad osare per noi — Elementi impazienti già preparati, gl’indugi li perderanno, op«pure saremo costretti a far noi con danno della causa — Vi chiedo assenso alla operazione, vi prometto in ricambio azione immediata dopo le nuove del fatto sui punti citati. In nome d’Italia accettate o adesso o più mai per forse 10 anni».
E non mettendo tempo in mezzo egli con altra sua lettera del dì 24 di Maggio (172) si volgeva al Fanelli avvisandolo «che poco prima del fatto gli avrebbe probabilmente mandato un commissario, destinato a rappresentare come intermediario tra loro, il pensiero politico che entrambi li dirigeva». Aggiunge «questo commessario, uomo di core, di mente, d’esperienza, scrittore, intimissimo mio, e che esercitò già altrove funzioni politiche pubbliche — vi sarà di grande aiuto.» Quest’uomo indicato da Mazzini era Maurizio Quadrio, e dopo tal nome niuno si maraviglierà della fiducia che in lui si riponeva, e delle giuste lodi che gli venivano tributate. Nella stessa lettera il Mazzini passava a communicare al Fanelli il suo programma politico nella imminente insurrezione.
Appena che i fatti fossero seguiti il colore del moto doveva tenersi alieno da ogni manifestazione esclusiva. Bandiera Nazionale, Unità Nazionale, Indipendenza e crociata contro lo Straniero. Il paese eserciterebbe di poi la sua sovranità — Il grido Murattista negativo della nazione e della sovranità del paese punito come grido sedizioso. Se il moto tradisse un colore esclusivo napoletano, in Sicilia se ne risentirebbe il contraccolpo di fatali conseguenze. Esser questo il pericolo da temere da parte dei moderati, i quali sceglierebbero probabilmente tale via per isolare il moto e dominarlo. La rapida convocazione di un Parlamento sarebbe fatale all’Unità ed all’andamento della rivoluzione.
Diffondere le idee elementari di ogni moto Nazionale — Due stadi, l’uno d’insurrezione, l’altro di rivoluzione; la rivoluzione incomincia quando l’insurrezione ha trionfato — Il primo stadio deve esser diretto da poteri nazionali temporanei, il secondo da un’Assemblea Nazionale.
Il moto deve espandersi, quanto più generale tanto più vittorioso: assumendo un carattere generale Italiano si avrebbe avuta seguace l’Ungheria già pronta, e un più fortunato 1848 si sarebbe diffuso nell’Europa — Con questi ed altri ammaestramenti continuava il Mazzini spiegando il sistema direttivo dell’insurrezione, per fare che essa logicamente si adempisse — Ed io non posso fare a meno di rivolgermi ai giovani italiani invidiabili soldati dell’avvenire, perché essi dal parallelo di tali insegnamenti con quelli che si sono di poi adoperati nella odierna rivoluzione, traggano gran frutto d’esperienza e consolidino la fede al principio e la riverenza a quell’uomo, che primo del secolo volle l’Italia libera ed una.
A questa notevole lettera del 24 di Maggio univa Mazzini due proclami (173), uno da spargere tra i concittadini, l’altro da diffondere nell’armata, che sarebbe impossibile il formolare o giudicare. Essi come monumenti che s’incarnano alla storia nostra, e formeranno l’ammirazione degli avvenire, debbono reverenti esser contemplati nella loro interezza, e religiosamente il leggitore li ritroverà tra gli altri documenti.
E poiché il Fanelli aveva toccato al Mazzini del linguaggio da tenersi al popolo, quegli vi risponde nel dì 1° di Giugno (174), e tra mille ammirandi insegnamenti aggiunge con un felice immaginare un programma della tirannide qual era, e della libertà quale da lui si proclamava che mette in raffronto parallelamente con profonda sapienza politica (175). Colà senza tema possiamo dire trovansi splendidamente formolati i principi tutti della libertà, e l’intero sistema di nuovo governo alla cui conquista lottano le moderne nazioni, e che egli come il Mosè presentava all’umanità dal Sinai del suo trentenne esilio.
Con l’istesso scopo e con cuore ugualmente sublime il Pisacane scriveva un altro proclama ai soldati napoletani (176). Egli uomo d’armi si rivolgeva con potente vivezza e persuasiva agli antichi suoi compagni, cercando di sollevarne i cuori abbattuti e traviati dalla tirannide contaminatrice.
Mentre in questo stato si trovavano gli accordi ed i preparativi del fatto, il Fanelli informava con lettera del 28 di Maggio (177) Fabrizj dell’ultima posizione delle cose. Ricorda il termine fissato prima pel 25 di quello stesso mese — che egli si trovava in un bivio crudele, mentre la venuta non era ratificata e non sospesa, onde il dubbio se svelare il segreto o no. «Se io faceva (dice il Fanelli) delle confidenze indispensabili nel momento finale, rovinava il segreto, ed in caso di proroga era ruina grave, se non le faceva niuna coadjuvazione gli avrei preparato». Aggiunge che nel momento gli perveniva lettera di Carlo che l’avvisava della partenza fermata al dieci di Giugno, e che ritirasse senza più le armi; al che egli si faceva a rispondere, per la operazione delle armi esservi «bisogno di un mese e più di tempo e questo tempo doveva essere intero e non dato a spezzoni da otto in otto giorni perché nel secondo caso ei non poteva imprendere l’opera» (178).
Indi con seguente lettera del 4 di Giugno Fanelli avvisava Fabrizj di aver ricevuto i chiesti proclami ed istruzioni da Mazzini e da Pisacane, e nel tempo stesso lungamente si tratteneva a farlo partecipe di altre circostanze e fatti che erano sopravvenuti o si erano stabiliti (179). Diceva che il Pateras sarebbe andato in Basilicata con un altro per la direzione, che egli ed il socio Dragone rimanevano soli a Napoli, che le relazioni col Cilento erano riprese, che per il colpo sull’isola Agresti aveva presentato alcune difficoltà gravi alla riuscita. Ma che intanto quelli dell’isola di S. Stefano e Ventotene erano stati avvertiti ma non se n° era ancora ottenuto risposta — Ripetevasi dal Comitato, che la precipitanza e lo sminuzzamento di tempo in tante brevi date non avevano fatto preparare con calma ciò che dinanzi alla propria coscienza egli avrebbe voluto: «Ma d’altra parte credo (è il Fanelli che parla) che il momento in cui un governo trovasi discreditato all’esterno ed all’interno; minato e sfiduciato nei suoi stessi elementi, odiato da tutti, e quando la quistione di tutti i popoli e i re è poggiata sulla quistione di questo governo, e la rivoluzione si tratta da un poti polo che ha interessi di risolverla a favore della democrazia; questo momento è supremo, solenne, e deve cogliersi, e devesi sperare; e quando il governo in tal momento proclama l'inquisizione, come ha fatto il nostro, è delitto per ognuno che non protesta anco con la certezza della propria morte, u Io dunque confido sulla solennità del momento, nella verità delle nostre idee e nel dovere, e cosi propago». — Da tutto ciò chiaro emerge al lettore l’intero pensiero del Fanelli. Egli non poteva contar più sul sistema convenuto con Fabrizj, il tempo mancato, le dilazioni a brevi date inadatte ad intraprendere e compiere ciò che aveva bisogno di più lungo lavoro, non potevano fare svolgere più l’antico concetto. Onde egli riportandosi all’ordine d'idee del Mazzini e di Pisacane si animava nel pensare all’opportunità del momento alla possibilità che si fosse oramai stanchi di più soffrire, all’impazienza della Nazione di spezzare un giogo che fosse già riuscito a sentire importevole, ed in tal senso si protestava di limitarsi a propagare.
Il Fabrizj in vista di tutto ciò onde il Fanelli lo faceva consapevole, non venendo meno alla nobile direzione ed intermedia corrispondenza tra Genova e Napoli, non trasandò appena saputo dell’ultimo termine fissato pel 13 di Giugno di scrivere direttamente al Mazzini (180). Egli non poteva veder tranquillamente che quanto avevano con Fanelli adottato, perché creduto unicamente possibile ed utile, rimanesse così neutralizzato. Onde rendendosi piena ragione delle dichiarazioni fattegli dal Fanelli, e delle pratiche conseguenze che da tale deviazione potevano quasi certamente risultarne, con somma fermezza e lucidità sponeva a Giuseppe Mazzini il suo concetto ed il vero criterio che doveva determinare le diffinitive e logiche risoluzioni. Dichiara che non bisognava prevedere miracoli, ma fatalità; che ciò dovevasi calcolare ed avere in mente, se non si voleva batter sempre di capo al muro. Che nella strettezza non di giorni, ma quasi d’ore era impossibile di far giugnere le armi in Napoli, né darne prevenzione a Fanelli, senza timore d'indiscretezza e di sospetto nel Governo di Napoli che coinciderebbero a ruina di vapore (181). Mette in chiaro il Fabrizj tutte le trattative passate per l’invio delle armi, e dimostra come mille incidenti superiori alla volontà di tutti loro si erano d’un modo o d’un altro attraversati — Riferisce lo stato dei lavori in Napoli, dice avere egli sempre inculcato al Comitato che tralasciasse ogni più lungo preparativo, ma che l’estemporaneità nell’affare dell’isola e dello sbarco era cosa in cui Fanelli aveva ragione, perché quel fatto non costava del solo elemento esterno, ma della misura reciproca dei due termini interno ed esterno, che questa «misura reciproca doveva costituirsi su di un termine di reciproca convenienza tranquillamente decorrendo. Ciò dico (continua il Fabrizj) perché Kilburn non escluse mai la proposizione, ma la estemporaneità da un lato indipendente dalle condizioni dell’altro. Spero che il po’ di tempo che scorre equilibri il tutto, senza che vedrei la sola fortuna arbitra d’ogni cosa, fortuna di consuetudine non amica» (182).
Nella stessa lettera Nicola Fabrizj avverte Giuseppe Mazzini, che se si riuscisse a provvedersi d’un passaporto, persona informerebbe a voce Pisacane dello stato delle cose e potrebbe essere utile nell’affare principale; se si riuscirà, dice il Fabrizj, sarà disponibile da Pisacane per il meglio, essendo a tutto pronto.
Ho creduto non inutile di riferire questa circostanza, che a prima giunta pare dovesse passare inosservata, prima perché spiega e delinea sempre più la via tenuta da quel chiarissimo nostro Fabrizj, ed ancora per darmi l’occasione fra poco di ricordare quale fu la persona inviata a Genova da lui, intorno al cui nome hanno già raccolta pel suo gran martirio gl’italiani una dolorosa adorazione.
Ma intanto il nostro Comitato non si era ristato di prepararsi in Napoli per seguire ed ajutare il prossimo moto, benché allo stremo di danaro e povero di tutti i mezzi, che sono indispensabili a ben preparare di simiglianti lavori. Una lettera del 12 di Giugno (183) scritta da Fanelli a Fabrizj svela tutto lo stato dei partiti in Napoli e la posizione del Comitato.
Diceva in quella lettera il Fanelli, che nel preparare all'azione essi avevano trovata un’opposizione sfrenata dal lato dei trattenitori; che la parte dei cosi detti liberali moderati, si spingeva fino all’azione per impedire ogni azione del comitato, giugnendo alle calunnie col dire che esso era mosso dal Principe D. Luigi di Borbone ecc. ec.
«Concretando noi per l’azione (è il miglior consiglio di trascrivere le parole stesse della lettera) (184) era impossibile che essi nol sapessero, io però ho creduto mio dovere dir loro, che noi volgevamo i nostri elementi alla concretazione e che adempiva al mio dovere». Infine conchiudeva il Fanelli avvisando il Fabrizj che gli amici sarebbero giunti il giorno 13.
Di fatto oltre degli avvisi precedenti il Pisacane aveva inviato lettera nel 9 di Giugno al Comitato (185) confermando la partenza da Genova e l’arrivo nel modo seguente.
Amico carissimo — Ho poco da dirvi, e pochissimo tempo a mia disposizione.
Le partite bastimento con armi e munizioni sonosi magnificamente accordate, e sono con le altre alla vela da tre giorni. Domani regoleremo la partita uffiziali, al cui smaltimento sono sorti impreveduti ostacoli, ma tutti superati. La partita arrivo dipenderà dalle merci, velocità appartenente a uffiziali e può variare fra i seguenti limiti:
Vendita della merce isola Venerdì, tre mattino.
Vendita dell’altra disbarco Sabato, un’ora mattino. Oppure vendita della merce isola, Venerdì otto di sera. L’altro disbarco come sopra sette di sera.
«Il nostro socio Cosenz negozierà la partita arrivo a Napoli col postale» ovvero allorché ricevete questa mia, il suo contratto è già liquidato, e con esso il socio di Mazzini (Maurizio Quadrio) accreditato commerciante.
Abbracciatemi l’amico piano, e ditegli che non posso scrivergli perché mi manca il tempo, ed egli può apprezzare le ragioni.
E voi tutti accettate le mie proteste verso voi della più grande stima ed affetto, ed io spero di meritare eguale stima da voi — Salute — Carlo. Cosenz si dirigerà al Socio Dragone in Napoli.
Questa lettera arrivò il giorno 12 in Napoli. Il Dragone la lesse al Fanelli, ed amendue si raccolsero a riandare la tela di quel grande dramma che il dì dopo doveva incominciarsi ad eseguire. Non era più il tempo di discutere, di opporsi, di trattare, di preparare. L’ora suprema era venuta dell’operare. Essi allora passarono a rassegna il già preparato nei limiti richiesti dal Pisacane. Gli accordi con le Isole di S. Stefano e Ventotene presi: i pochi richiesti pronti sul luogo dello sbarco, nelle provincie gettato l’allarme, e poste in aspettativa di un dato segnale. Ciò si era fatto per quanto l’inevitabile brevità del tempo, il genere di lavoro incominciato nel Sud, gli ostacoli da superare e sovra ogni altro il segreto assoluto da mantenere l’avessero potuto permettere. Da questo lato non era possibile aggiungere altro, si doveva solo mettere in regola i passaporti procurati già dall’Albini pei capi militari e provvedere al modo di ricevere il Cosenz e di questo si era assunto l’incarico Dragone.
Ma ciò in che bisognava ora adoperare i loro sforzi, era di tentare tutto il possibile per disporre sì fattamente gli animi in Napoli, che alla venuta del Cosenz si potesse eseguire movimento, che appoggiasse l’insurrezione. E per far ciò incominciarono a mandar messaggi ai paesi circonvicini — disporre i popolani ed incitarli il più possibile all’opera — ravvivare le intelligenze con alcune prigioni. Intanto queste pratiche erano della più alta e gelosa difficoltà, ché bisognava fuggire ogni apparenza d’allarme, contramminare gli ostacoli dei moderati — vincere tutte le difficoltà che sorgono nuove nell’appressarsi di un arduo operare, ed illudere col silenzio del sonno i sospetti del Governo. Ecco quanto si fecero a preparare come meglio si poteva quei due giovani con la rapidità ed energia, che quella solenne vigilia imponeva, separandosi commossi dal sentimento, nel quale si reassumeva tutta la lunga serie dei loro lavori e la febbre sublime dei prossimi timori e speranze.
Il mattino del 13 di Giugno rischiarava un anniversario molto ricordevole per i Napoletani. Le sacre squille annunziavano la festa di un Santo Antonio povera vittima strappata a viva forza dalla pacifica oziosità dell’almanacco per avere festivo culto ed onoranza di pubbliche grazie — E per fermo l’entrata di un Cardinale guerriero a capo di elette e nobili schiere, che restaurava una dinastia col sacro grido oramai fatto storico di Viva la Santa Fede, meritava bene di essere un miracolo da celebrarsi sugli altari, come nuovo patto di carità e d’amore tra Roma ed il Trono — E S. Antonio con serafica arrendevolezza diè in prestanza il suo nome per quella festa, che perpetuata a ricordanza in tutti gli anni di poi rinasceva allora in quel suo anniversario. Il Governo lieto vedeva in essa il riaffermarsi della sua brutale potenza; la polizia e le spie lanciavano in faccia a un popolo oppresso la gala insultante del loro trionfo, ed intanto né il Governo temeva, né il popolo avrebbe allora sperato, che quelle derisioni così ippocrite a Dio ed all’umanità dovessero fra brevi anni aver fine; e che in quel giorno di memoria venduta alla schiavitù battessero cuori sì fattamente generosi da gettare inosservati le sacre fondamenta della comune libertà.
Circa l’ora terza dopo il mezzogiorno il Fanelli fu avvisato che Dragone il chiedeva, essendo giunto l’amico aspettato. Questi secondo gli accordi presi doveva essere il Cosenz, onde ei difilato corse ad abbracciarlo. Intanto arrivato a casa Dragone non trovò il Cosenz, ma invece con immenso stupore lo stesso Carlo Pisacane — Or come e perché era avvenuto questo cangiamento? Qual nuova risoluzione o inatteso ed impreparato consiglio tramutava i dati accordi? Era forse un triste intoppo che scompigliava la rete di operazioni prestabilita, ovvero la spedizione era avvenuta, ed altri ne aveva tolto il comando? Carlo Pisacane a calmare le ansie interrogazioni de' suoi compagni li fe’ subito consapevoli di tutto ciò, che dopo l’ultima lettera spedita a Napoli era fuori sopraggiunto.
Già tre giorni innanzi che fosse scritta la lettera del 9 di Giugno un legno carico d’armi munizioni ed uomini aveva fatto vela da Genova. Ma un incidente di quelli che nessuno può prevedere o combattere s’era attraversato distruggendo tutto il lavoro. Una gran fortuna di mare aveva obbligato a gittare in preda delle onde l’abbondante armamento e provvisioni da guerra che si trasportavano, e così d’un sol colpo di scure, nel supremo momento e nello stesso giorno che dovevano tradursi in atto, erano state travolte ed affogate tutte le raccolte speranze.
La posizione era assai malagevole. Il Comitato di Napoli era stato avvertito della venuta già fermata, che pur pareva certa ed inevitabile. Modi per solleciti avvisi, che spiegando l’avvenimento contromandassero a tempo il fatto, erano impossibili. Mazzini a ragione pesava le incerte, ma giustamente pericolose conseguenze, che derivar ne potevano all’opera degli amici nel Napoletano. L’affacendarsi per la disposta azione, l’attendere invano, il pericolo di venire scoverti, l’amarezza e lo sgomento del disinganno, e quel che è più la dispersione delle fila una volta che fossero sgominate, tutto faceva comprendergli di quante dolorose sciagure poteva esser madre la tradita espettazione a fronte dell’arrivo mancato.
Partiva una nave da Genova quella stessa sera per Napoli, e Carlo Pisacane subitamente pensò, che ad antivenire e recidere le tristi conseguenze onde si poteva temere, la via migliore era l’imbarcarsi egli medesimo, unirsi generosamente alla sorte che correvano i compagni in Napoli, e se tutto rimanesse in calma, profittar dell’occasione di recare egli stesso al Comitato la spiegazione dell’accaduto, per chiarire e conciliare le divergenze surte nella loro corrispondenza, verificar sopra luogo tutta la posizione delle cose, rendersi ragione dello stato in cui si trovava il lavoro, disaminar dappresso gli elementi sui quali fondar si dovevano le comuni aspirazioni, e finalmente mettersi d’accordo sul da fare.
La risoluzione era ammiranda ed eroica più forse della spedizione istessa. Non si trattava di morire con le armi in pugno gloriosamente lottando, ma di darsi in braccio alle torture infernali d’un tiranno quale era il Borbone, ed esporsi a morte solitaria senza difesa. «E nondimeno (è Giuseppe Mazzini che lo scriveva all’Italia) chi lo vide in quell’ora avrebbe detto ch’e’ si avviava a diporto. Era tanto in lui la religione del dovere, che la coscienza di compierlo bastava ad infiorargli la vita» (186).
Di poi che fu discorso abbastanza dell'accaduto, e delle ragioni di tale venuta, il Dragone e Fanelli fecero riflettere al Pisacane, che senza por tempo in mezzo si doveva trovar modo di avvisare in Salerno Michele Magnone, perché potesse far evitare
danno sul luogo, dove i suoi messi attendevano per lo sbarco; e nello stesso tempo informare anche i corrispondenti nelle Isole dell’avvenuto differimento.
Trovata indispensabile la cosa, e profittando della solita fidata persona che partir poteva la sera dei 14 per Salerno, fu scritta lettera al Magnone nelle prigioni ove si trovava, affinché informato del nato contrattempo potesse prender le misure migliori per avvisarne gli amici sul luogo dell’approdo. Se gli diceva inoltre che la spedizione era differita, e che fra non molto se gli sarebbe inviato novello avviso (187).
Ancora Pisacane scrisse agli amici che erano in Ponza e Ventotene ponendoli a parte dell’accaduto, che aveva obbligato a ritardare l’operazione, che del resto fra non molto sarebbero di nuovo stati avvisati (188).
Adempiuto a ciò Fanelli e Dragone, volendo informare Pisacane delle condizioni nelle quali era il loro lavoro, cominciarono innanzi tutto dal riandar la storia e l’esame di ciò che era intervenuto, per potersi cosi spiegare a vicenda tutte le varie cagioni delle divergenze passate tra loro (189). Ed io credo opportuno di metterne la sintesi sotto agli occhi del leggitore, per richiamare in questo punto la sua attenzione su tutta la via che abbiamo insieme percorsa.
Stato di Napoli — Difficoltà inevitabili ed infinite per una propaganda liberale — Da un lato il Governo, dall’altro i contrari partiti sedicenti liberali — Fila incominciate a spandere dal Comitato d’Azione — Relazione con Pisacane, discussione intrapresa con lui sulle varie proposte dei moti insurrezionali nel Napoletano — Indi lettere nelle quali egli scriveva agli amici di Napoli (190) come essi stando al di fuori dipendessero dal Comitato — Fanelli essere il giudice unico sul luogo, egli arbitro del momento in cui doveva dir «venite» ed avrebbero di là ubbidito — Fanelli ammette che sul luogo soltanto si poteva esser giudice competente sul da fare e sull’opportunità di tempo — Ma non crede lui solo esser da tanto, non conosce altri a ciò atti, e fa istanze che si pensi a colmare tal vuoto — Conclusione di questa prima parte la sposizione del concetto insurrezionale di Fabrizj e del Comitato, a cui pienamente in quel tempo Pisacane aderiva, e che si formolava come di sopra notai, nel sistema di apparecchi ed accordi.
Mazzini accetta di rivolgersi con la sua direzione al Sud — Vuole un azione definita, concreta, pratica — Genere dei lavori da Lui iniziati di fuori —; Fatto di Ponza e sbarco come anello ai due campi d’azione unisce Mazzini al Comitato — Spiegazione del sistema Mazzini —. L’occasione propizia — Ogni indugio nocivo — Formola del suo concetto insurrezionale reassunta nelle parole Iniziativa e Sorpresa — L’intervento ed innesto di questo nuovo sistema posto a fronte dell’altro contrario sostenuto da Fabrizj e dai Comitato.
Conseguenza della contraddizione fra i due concetti — Neutralizzato quello del Comitato — Impossibilità di più concretarlo in tutte le sue parti — Ragione questa inevitabile di tutti i dubbi, proteste e condizioni poste innanzi da Fanelli e Dragone — Finalmente l’opera loro si restringe unicamente a ciò che era possibile e che veniva da Mazzihi e Pisacane richiesto — Operazione nelle Isole, avvisi per lo sbarco, iniziativa in una Provincia. Ciò essersi compiutoli meglio possibile. Quanto poi all’iniziativa nella città di Napoli di un movimento, o all’appoggio da dare al moto altrove scoppiato, molto il lavoro, poca la maturità dell’operato, attesa la scarsezza de' mezzi, la mancanza d’armi e di fatti discussi e ben combinati.
Questo primo colloquio la mercé delle osservazioni, rettifiche e chiarimenti, che vi si mescolarono, servì patentemente non solo a togliere di mezzo tutti i dubbi e le divergenze, che si erano elevate tra il Comitato di Napoli e l’Esterno, ma ancora ad avviare la discussione senza equivoci nocivi sopra un terreno d’intelligenza comune. Il Pisacane si sentiva avvicinato ad un mondo, su che da lontano aveva concepito delle idee troppo generali, ma che a riguardarlo d’appresso nei veri particolari, e con i suoi naturali colori incominciava a cangiare di forma e d’impressione. Fu allora che per maturare naturalmente la sua idea sulla posizione del Comitato, e la verità dei fatti sui quali dovevasi poggiare, si giudicò inevitabile di porgli sott’occhi tutta la corrispondenza, affinché lettala trar potesse da quella genuina fonte le sue tranquille e sicure convinzioni.
La casa ove abitavano i signori Dragone era una vera casa da cospiratore. Non ci aveva angolo di essa che non racchiudesse un mistero: le mura forate, staccate le imposte, il pavimento smosso, il soffitto mobile, tutto era divenuto asilo e ricettacolo all’opera della cospirazione. Ove meno tel pensavi erano celate coccarde e bandiere; le lettere e carte assicurate ad introvabili segreti; qua armi e munizioni sottratte ad ogni ricerca, in altro luogo sepolti gli strumenti ed oggetti da scrittojo di cui si valevano quei cospiratori.
Tutto ciò era stato operato in mezzo alla città, in capo ad un poliziotto nientemeno il celebre Barone, ed in casa non propria, con pochi mezzi ed evitando ogni rumore che potesse destar sospetto; ed era opera della sagacia incomprensibile di Luigi Dragone, e di sua moglie, donna unica per virtù d’animo, abnegazione e sagrifìci, la quale da virile guardiana gelosamente custodiva tali misteri, siccome quella che aveva rivolto tutto il suo affetto di madre verso questi sacri pegni della comune libertà.
Pisacane commosso a tante dimostrazioni d’inalterata fede, al disprezzo dei pericoli ed alla energia e costanza d’animo, onde così chiare pruove gli davano quei suoi compagni, loro espresse quella ammirazione che meritavano. I quali raccolta allora tutta la corrispondenza del Comitato, e tratta fuori dai vari siti ove l’avevano nascosta, gliela presentarono, ed ei senza por tempo in mezzo si pose ad esaminarla. L’assistevano gli altri due amici in tale studio, attirando la sua attenzione su i punti più necessari, agevolandogli la via con opportune spiegazioni, soddisfacendo ai dubbi ed inchieste che da lui venivano proposte.
Siffatto studio del vero continuò a perfezionare nella mente di Pisacane quel logico lavorìo, a cui l’avevano essi richiamato fin dalle prime loro parole, e che il riscontro fedele de' fatti poteva solamente rendere appieno maturo. Intanto mentre che questa disamina si recava a termine, a compiere la pratica e concreta cognizione di tutto; Pisacane accompagnato or da Dragone or da Fanelli, si fè ardito di percorrere alcuni luoghi della città, per esaminare ogni cosa con i propri occhi. Conversò con
patriota dei più eminenti, osservò le forze e gli ostacoli che si frapponevano per parte del governo, scandagliò lo spirito pubblico, e potè trar largo frutto da tanto vasto campo d’indagini ed osservazioni per delinear meglio la sua opinione.
Ciò che diè l’ultima mano alla convinzione di Carlo Pisacane, ed al suo pieno ritorno ed accordo con le idee del Comitato, fu il linguaggio franco e giusto che gli tennero vari capipopolo in una riunione a bella posta convocata.
Questa ragunanza fu tenuta la sera del 15 di Giugno in casa Dragone, centro come era di tutte le operazioni — Rizzo Antonio, Basile, Fittipaldi ed altri tra i migliori, avvisati, tennero l’invito e furono da Dragone. Essi non seppero per altro, che lo straniero fosse Carlo Pisacane, ma furono avvertiti che fosse persona inviata dal Comitato generale e che era alla direzione della cosa, venuta in Napoli per esaminare in che condizione si trovasse il lavoro insurrezionale Pisacane dimandò loro se, ed in che modo fossero preparati ad un possibile movimento: al che quei patrioti, benché rispondendo si mostrassero come erano accesi del migliore affetto per la libertà della Patria, pure francamente fecero noto, che nella città di Napoli i popolani erano in gran parte spinti da sensi liberi ed insofferenti di quel triste Governo, ma che essi dipendevano da vari capi che li dirigevano e nei quali avevano fede; che questi capi i quali maneggiavano il popolo bisognava, che si persuadessero della possibilità della riescita, e questa persuasione non poteva ingenerarsi innanzi tutto, se non nel vedersi forniti dal Comitato di mezzi morali e materiali, e soprattutto di armi e munizioni; che questa persuasione doveva esser cosi compatta ed irretrattabile da evitare, che uno dei capi dissentisse o non approvasse, perché mancando egli con la mano de' popolani che dirigeva, ciò avrebbe arrecato una dissoluzione negli altri gruppi, attesa la fiducia scambievole, che ognuno riponeva nella cooperazione solidale dell’altro.
Pisacane rassicurò quei bravi patrioti, che da parte del Comitato si sarebbe curato di provvederli quanto più si poteva di questi ajuti che richiedevano, ed intanto li dimandò, se scoppiando un’insurrezione nelle Provincie essi fossero disposti a sollevarsi in Napoli per appoggiare il movimento — Ed essi soggiunsero, che in ogni modo avrebbero avuto sempre bisogno di armi e di molti mezzi per poter prendere un’iniziativa qualunque di fronte ad un Governo così forte ed organizzato, alla truppa ed alle castella che circondavano e dominavano la città.
Siffatta discussione servì potentemente a chiarire nell’animo di Pisacane, non solo lo stato di Napoli e il grado di forza, che nei petti dei liberali poteva rinvenirsi, ma precipuamente fu giovevole per fargli riconoscere la necessità inevitabile delle tre cose, che il Comitato fin dal principio e ripetutamente di poi dimandava, cioè necessità di direzione interna, armi e danaro. Fu così che il Pisacane, deposta l’idea d’un iniziativa immediata, trovò la piena ragione delle idee del Comitato e confessò schiettamente al Fabrizì, che egli sperava senza verun impulso di venire ad un’iniziativa immediata, ma che ciò era impossibile (191). Fu in vista di tante pruove raccolte di propria mano sul luogo, che Pisacane riconobbe qui in Napoli e comprese tutta la forza inevitabile del concetto di Fabrizj e del Comitato; cioè che gli elementi del lavoro esistevamo, ma che il lavoro non era compiuto — Ecco quali erano gli apparecchi onde tanto a lungo parlava il Fanelli, e di che il leggitore ha trovata ripiena la discussione, cosi vivamente agitata nella corrispondenza fin qui tenuta con Mazzini e Pisacane — E questi con la franca lucidità della sua mente, traendo dalla coscienza delle sue oculari ispezioni la posizione pratica delle cose, convincendosi della necessità delle tre condizioni direzione interna, armi e danaro, cosi in proposito nettamente scriveva al Fabrizj (192) «Ho visto tutti, ho parlato colle cime, con coloro dai quali dipende l’azione — Ho trovato una quantità d’ottimi elementi, e più di quelli che assicurava il coscienziosissimo Kilburn. Manca (come egli dice) un centro intorno a cui questi elementi possano indissolubilmente rannodarsi; ma non vi è mezzo per crearlo, ed a questo male che nasce da esuberante individualità non vi è che un solo rimedio; che il nostro operosissimo si tenga strettamente unito con costoro e si accrediti presso di loro coi mezzi che noi dobbiamo fare ogni sforzo per fornirgli: egli lo può avveduto e modesto come è, speriamo che riuscirà».
Ma oltre della direzione e del danaro rimaneva l’altra cosa richiesta dal Comitato di Napoli e dimandata dai popolani, cioè le armi; ed il Pisacane non trasandò di discutere ampiamente con Fanelli e Dragone quanto su tal fatto si potesse recare ad esecuzione. Il Comitato era riuscito ad aprire intelligenze con alcuni padroni di barche in Castellammare, che gli erano stati presentati come fedeli patrioti. I quali secondo i concerti presi dovendo prestarsi all’operazione, si sarebbero recati con le loro barche ad un punto designato, dove caricar le armi e introdurle di poi nel Napoletano. E su tal proposito Pisacane notò doversi scrivere al Fabrizj, che questo punto designato poteva essere nelle acque dell’isola di Pantelleria; che quivi si sarebbero recate le barche da Napoli con convenuti segnali; che coi medesimi segnali Fabrizj ne avrebbe fatta partire un’altra da Malta carica d’armi, per incontrarsi ed eseguire in quelle acque il trasbordo.
In effetto con la citata lettera partita il 18 da Napoli (193) Pisacane avvertiva di ciò il Fabrizj, ed infine aggiungeva, che se quella operazione non avesse potuto avvenire, e non si fosse trovato modo come inviar le armi da Malta «previo consenso di Mazzini egli credeva che la miglior cosa sarebbe di vendere il tutto, e spedire a Kilburn i danari che gli saranno più utili delle armi depositate in Malta, giacché col danaro si faranno cose molto utili., anzi decisive, e si avranno anche armi».
Ma a ciò solo non si ristette Carlo Pisacane e scrivendo alle Isole (194) per maggior riconferma aggiungeva — desiderare egli di conoscere, se vedendo apparire un Vapore con un quaranta armati, essi delle Isole si sarebbero a quelli uniti; più se questa piccola mano d’uomini potesse vincere gli ostacoli che quivi si trovavano, e quale fosse il miglior luogo di approdo. In fine conchiudeva il Pisacane che se essi consentivano e lo trovavano giusto, avessero date tutte le notizie credute utili: se giudicavano di non presentarsi il fatto con probabile riuscita l’avessero pure manifestato (195). Indi volendo portare a termine tutte le intelligenze ed accordi tra loro, si fece a discutere con Fanelli quanto altro occorreva; e come egli stesso ne diè avviso a Nicola Fabrizj «ci abbiamo segnato (ecco come si esprime (196) una linea di condotta, abbiamo calcolato più o meno quello che potrà bi«sognare, il tempo necessario, il modo d’iniziare; ed ora è d’uopo, che io e lui prefìggendoci come scopo lo stabilito pieghiamo come si dovrà alle circostanze». Or delle principali conclusioni di tali accordi noi troviamo felicemente un documento scritto di mano dello stesso Pisacane, che lo lasciò ai suoi compagni, quasi a ricordo e norma dei punti più importanti nel cui senso occorreva, che indi in poi si lavorasse. E benché questo documento potesse riscontrarsi stampato una con gli altri, pure a non interrompere il filo unico dei fatti, io trovandolo indispensabile al compiuto criterio dei prossimi avvenimenti stimo trascriverlo qui per intero.
18 giugno 1857
Procedimento energico del lavoro in Napoli, mediante gli ajuti pecuniarì che potranno ottenersi; ricezione o compra di armi, scegliendo il mezzo più pronto.
Lavoro in Basilicata sospingendola all’iniziativa, al più presto con spedirvi i capi, se li domandano.
Continuare la pratica con le Isole, nel modo il più sollecito possibile.
Coi moderati evitare ogni discussione, procedendo sempre ad assimilarsi gli elementi di azione, ed evitando ogni discussione di principi, opponendosi occultamente con ogni mezzo alle dimostrazioni.
Cedere alle loro pretese di ammettere il grido di costituzione (perché l’avvenire è nostro), nel solo caso che da questo dipendesse il fave o il non fare immediato.
Contare sempre non come condizione indispensabile, ma come spinta (se necessaria), il progetto delle Isole, o uno sbarco di una cinquantina di armati.
Un proclama pei cittadini e per la truppa; una specie di dichiarazione di principi da affiggersi sulle mura nel momento dell'azione.
Spedire una barca nelle acque di Pantelleria, con segnali convenuti, avvertirne Nicola, comunicargli i segnali, acciocché spedisse in quelle acque le armi (197).
Avendo dunque in tal modo disposte le cose in Napoli il Pisacane risolvé di ripartire in questo stesso giorno 18, scrivendo al Fabrizj (198) che ritornava a Genova, dove non sapeva che fosse avvenuto dopo la sua subitanea partenza, per cui era su tale riguardo in grande ansietà pel pensiero degli amici, che Colà aveva rimasti. E di fatti venuta l'ora indicata, egli rinnovati tutti gli accordi pel tempo necessario agli apparecchi stabiliti, reiterate le promesse al Comitato di ajuti in danari ed armi, e dato un abbraccio agli amici ripartì per Genova, dopo avere sfidato così audacemente da vicino l’inconsapevole tiranno.
Mentre queste cose in Napoli si succedevano rechiamoci un momento nelle provincie per vedere che vi fosse accaduto.
Il Magnone aveva fedelmente adempito all’opera sua. Dalle prigioni aveva avvisato suo nipote (199) perché desse tutte le disposizioni per lo sbarco uniformi a quelle ricevute. E di fatti il Vairo religiosamente nel giorno indicato aveva disposto il tutto. Paladini Antonio da Rotino era stato spedito sopra Libonati, paese posto a cavaliere della marina di Sapri, d’onde veduto lo sbarco si recasse, subito a Montemurro ad avvisarne l’Albini: e sul luogo dello sbarco era stato spedito ad attendere con le necessarie istruzioni il cittadino Matteo Giordano e due altri patrioti, i quali avevano invano atteso l’arrivo. Ciascuno può immaginarsi il parosismo di febbrile agitazione con cui si vedeva da quelli trascorso il tempo. Ogni ombra che si disegnava sulla lontana linea del mare metteva in allarme credendola la nave liberatrice. Ma l’aspettare riuscito vano venne la notte, riapparve il giorno e quei cittadini scuorati per l’incertezza dell’avvenimento che aveva impedito l’arrivo, furono costretti a ritirarsi per evitare i sospetti, che non avrebbero tardato ad attirare se più indugiavano.
Il Magnone fu tosto avvisato della cosa (200), e alla perplessità dell’accaduto sottentrò l’agitazione dei casi, che avevano potuto impedire la spedizione. Mille nere visioni si affacciavano all’animo di quel generoso cittadino, e non potendo resistere a tale stato di esitanza e di dubbi (201) ne scrisse al Comitato dipingendo tutto l’avvenuto a Sapri, e desiderando conoscere le ragioni della mancanza.
Questa lettera fu recata in Napoli dalla stessa persona stata in Sapri ad attendere e rimessa il dì 23 al Comitato (202), al quale recò grave dolore il vedere, che fino al giorno innanzi la lettera inviata ai Magnone il 14 non aveva potuto pervenire. Questo indugio, di cui non si sapeva la ragione, non aveva portato è vero alcuna altra conseguenza, se non di far rimanere il Magnone nell’incertezza delle cause che avevano impedita la spedizione, e del resto fuori che il colpo mancato non si aveva a deplorare altra sventura, che avesse potuto rompere per sempre tutte le fila, il che era di consolazione in quella contrarietà. Ma dall’altra parte il Comitato rimaneva assai inquieto per il fatto medesimo della lettera non giunta, pensando a qual sottilissimo filo debba in certe occasioni essere attaccato il successo di una intera insurrezione, e da qual piccolo intoppo possa dipendere soventi la sorte di un popolo intero.
In risposta a Magnone il Fanelli subito si fece a dileguare le giuste apprensioni di lui, e nello stesso giorno per la persona spedita a Napoli rimise una lunga lettera, nella quale parlava del contrordine spedito il 14, e narrando il contrattempo avvenuto (203) l’avvisava, che l’affare era differito ma non cessato, e che si attendevano altri accordi sullo stesso progetto e sopra altri fatti che si avevano in mira, il che non avrebbe fatto ritardare di molto. Magnone ricevuta quella risposta alquanto rattemperò la sua impazienza, e promise al Comitato di prestarsi ugualmente un’altra volta pel nuovo sbarco (204), desiderava però conoscere sottosopra quando potesse succedere per aggiustare tutto con sicurezza. In quanto al cittadino di Sala diceva non saper come e perché avesse raccontata la cosa. Intanto si tenesse avvertito il Comitato, che egli Magnone unito col Padula avevano preso accordi per fare, che il Vallo di Diana in cui si trova Sala avesse secondata la rivoluzione di Basilicata.
Nello stesso tempo il Comitato aveva scritto nel 18 Giugno all’Albini (205) dandogli parte dell’incidente, che aveva impedito il colpo, ma che stessero preparati che fra non molto doveva succedere, del che sarebbero di nuovo avvisati (206). Intanto gli chiariva lo stato delle cose, inculcandogli fede illimitata negli uomini esperimentati che dirigevano il movimento; che le sue difficoltà sul piano erano state prevedute, a tutto si sarebbe pensato; che egli seguitasse con lo stesso zelo nell’impresa per tener pronto l’apparecchio fissato con le ultime istruzioni. Gli ricordava in fine di spedire l’altro passaporto richiesto.
Al Libertini ancora (207) nel di 20 di Giugno communicava il Comitato le necessarie istruzioni: gli diceva l’azione annunziata essersi sospesa per pochissimo a causa d’un evento inatteso; essere utile di giovarsi della poca dilazione sopravvenuta — le riflessioni del Libertini su i luoghi, onde incominciare l’iniziativa, essere già prevedute dai Militari Direttori. Finiva col raccomandargli caldamente i lavori, e massime che avvertisse gli amici di Basilicata, che in Napoli si era presentato ai moderati un certo Petruccelli, il quale spiegando protezione si millantava, che in quella Provincia non si sarebbe mossa una foglia senza il suo cenno, ed egli non farebbe nulla, senza che i moderati medesimi non glielo dettassero. Il Comitato non credeva a quelle vanterie per la poca importanza del Petruccelli, ma era regolare di stare in guardia, e ne aveva già avvisati i direttori della Basilicata.
Dal canto suo il Libertini nel 26 Giugno (208) rispondeva, che per una strana fatalità questa lettera del Comitato sottoposta allo sperimento chimico, per la carta o per altro non era uscita leggibile, e meno frase, come quella che riguardava Petruccelli, il resto non si era potuto indovinare.
Mentre queste cose passavano con le Provincie, il Comitato spediva ad Agresti una lettera di Pisacane scritta il dì 16 da Napoli, in cui (209) l’avvisava del ritardo, e facendogli elogi per la sua nobile fermezza diceva di sperare, che i loro sforzi potessero un giorno essere di utilità alla patria. lì Fanelli dal canto suo (210) nell’inviare tale lettera di Pisacane vi aggiungeva altre domande e chiarimenti necessari all’affare, per tener tutto in pronto quando dovesse eseguirsi.
Dato ordine a tutto ciò il Comitato appena partito il Pisacane, e proprio nel 19 di Giugno (211) gli scriveva rimettendogli copia di ciò, che in generale si era tra loro stabilito in Napoli, pregandolo di fargliene dare formale approvazione da Mazzini — gli accludeva copia di alcuna delle lettere, che testé io ho posto sotto lo sguardo del lettore, mandate dall’Albini da Libertini e da Magnone, per farlo essere consapevole delle cose — l'avvisava della contromina che in Basilicata si stava tentando da Moderati — gli annunziava che subito avrebbe proccurato un altro passaporto per lui, ed infine che i Murattisti stavano in agguato, e che il dottore che era a Marsiglia legato strettamente con quelli, aveva scritto in Napoli che si facessero agire i Mazziniani, e si approfittasse di poi dell’opera loro. Per tal ragione il Comitato pregava il Pisacane di scrivere a Marsiglia al Cacace, o ad altro fra i buoni, per ricevere informazioni sul fatto di questo dottore e mandarne a Napoli subito la risposta.
Soggiungeva di poi, che il di dopo il Fanelli si sarebbe recato a Castellammare per conchiudere deffinitivamente l’affare delle armi, ma le notizie ricevute e l’agitarsi dei Murattisti l’avevano posto in forte sospetto verso di quelli, con i quali doveva trattare. Erano essi di sincera fede politica ma si trovavano appunto legati con antecedenti relazioni e promesse a quel medesimo dottore di Marsiglia Murattista, ed il Fanelli credè prudente di stare alquanto sopra di sé e non scovrirsi del tutto con loro, mentre che si attendevano quei chiarimenti da Marsiglia. Arizi egli parlò coi suddetti padroni delle barche e li persuase a stare in guardia sul fatto di quel dottore, che per la loro inconsapevolezza avrebbe potuto trascinarli in agguato. Chiudeva in fine la lettera inviando un bacio di cuore al suo carissimo buono e vero patriotta che era Giov. Battista Falcone, il quale allora si trovava a Genova.
Prima di passar oltre debbo qui richiamare alla memoria del lettore un fatto da me poco innanzi rilevato, cioè che Nicola Fabrizj aveva accennato di spedire a bella posta persona, perché a voce chiarisse Mazzini e Pisacane dissuadendoli dalla troppo vicina azione. E in effetto vedendo pel 13 di Giugno la decisione presa della spedizione, e non trovando Napoli, e la provincia di Salerno sopra tutto adequatamente preparata, ad antivenire una quasi certa sciagura spedì da Malta a Genova Giovannino Falcone con una nota di sua mano, e con l’incarico espresso di confortare col vivo della voce e con apposite spiegazioni le avvertenze, ch’egli inviava (212).
Sono tanto autorevoli e commoventi le parole dall'illustre Nicola Fabrizj usate in tale occasione, che compio meno un desiderio dell’animo mio, che un dovere nel porle qui sotto agli occhi ai miei lettori, a cui per certo riusciranno gradite.
«I diversi appunti, che seco portava Falconi a Genova per mio incarico dovendoli corredare di verbali spiegazioni, gli uni e le altre in referenza agli amici di Napoli, sono noti ad altri amici presenti al momento, che a Giovannino io affidava il mandato, e sono ricordate da chi le seppe in Genova stessa. Ma quel congedo ultimo al giovine valoroso ed infelice mi sta nel cuore con altri ricordi, e col suo funesto presagio d’allora. Mi ricordò, come volendo io premunire nel 1844 Emilio Bandiera, che si era recato a vedermi in Malta, sulle viste generali di progetti d’azione del fratello Attilio, dovetti trarne invece la sicurezza, che il giovane Emilio era più atto a promuoverle che a temperarle; e cosi il giovine Calabrese nel partire mi dichiarava fedeltà al mio mandato, ma che l'impresa avendo luogo in qualsiasi momento vi si sarebbe gettato con tutta gioja».... E per la seconda volta ebbi un gelido e non smentito presentimento (213). .
Da quanto io ho narrato dalla venuta di Pisacane in Napoli fin ad ora, il lettore avrà ben potuto scorgere, che le cose avevano assunto un carattere più pratico ed uniforme alle viste del Comitato.
Il Pisacane, con tutto che rinvenisse (214) più in fatti di ciò che il Comitato per lettere gli sponeva, pure conveniva di non trovar le cose abbastanza favorevoli ad una pronta iniziativa, riconosceva dunque la suprema necessità delle armi, che dovevano rimettersi da Malta e vedeva indispensabile di dar fine a tutti gli apparecchi e concerti con le isole e con le Provincie. Ciò derivava dall’aver dovuto desistere dai pensieri che a Genova l’incitavano, onde qui poteva localmente persuadersi, ed intimamente addentrarsi nella posizione delle cose, indotto in mancanza d’altro a far suo il concetto primitivo del Comitato di Napoli. Il quale dall’altra parte chiarito anche meglio il proprio sterna, ed avendone convinto il Pisacane, si sentiva rimesso nel suo più naturale campo d’azione, e con la proroga a cui si era andati soggetti, poteva disporre senza limite prestabilito del tempo strettamente necessario — tempo che esso vedeva promettitore di più certa raccolta.
Si era naturalmente dovuto osservare con Pisacane, che anche accelerando con la massima urgenza, per quanto gli animi fossero vogliosi di operare, pure un certo tempo materiale non poteva passarsi di attendere il Comitato esterno. La lettera scritta dal Pisacane al Fabrizj il dì 16 alla vigilia della sua partenza, non potè essere spedita a Malta prima del 18 per aspettare il regolare corso dei Vapori. Il Fabrizj non poteva riceverla prima del 20; avrebbe dovuto allora incominciare a trattare per l’affare delle armi, e pesto anche, che gli riuscisse prontamente di aggiustar la faccenda, doveva scriverne a Napoli e a Genova. La prima sua lettera non poteva partire da Malta, se non col seguente vapore, cioè otto giorni dopo ricevuta quella del Comitato. A Napoli era sorta la narrata difficoltà con quei di Castellammare; occorreva assicurarsi sulla loro fede, attendendo le informazioni da Marsiglia. Ma ancora che non vi fosse stato tale ostacolo dal canto delle barche di Castellammare, dopo ricevuta l’adesione di Fabrizj il Comitato doveva conchiudere, dal canto suo, fissare concordemente con lui il giorno della partenza da Napoli e da Malta, il luogo del convegno e tutto il rimanente. Però non mettendo: a calcolo le imprevedute tardanze, ché ad ogni passo potevano essere dettate dalla prudenza o da ostacoli materiali, e dalla partenza dei vapori di otto in otto giorni, tutto questo accordo non poteva farsi se non nello spazio sottosopra di due mesi.
Ma ciò non era tutto; mandate le armi, pure occorreva con la maggior segretezza introdurle e distribuire in Napoli. Bisognava allora concretare gli accordi diffinitivi con i popolani; e dove questi prontamente assentissero in un progetto certo, determinato, avvisarne il Comitato a Genova; sapere se la spedizione di colà fosse di nuovo pronta, e prendere una certa giornata dell’arrivo. Questa giornata doveva anche essere con tutta la prudenza possibile stabilita in armonia con le provincie, le isole ed i preparativi per lo sbarco, mettendo anche Napoli in istato di operare. Tutto ciò, succedendo felici e propizie le cose, non poteva eseguirsi in meno di un due a tre mesi. Il Comitato di Napoli dunque respirava, ed avendo un certo tempo innanzi a sé per preparare, sentiva rinascere la speranza di poter più agevolmente condurre a fine quella parte di lavori e concerti, che prima per lo sminuzzamento del tempo non aveva potuti compiere.
Ma sopratutto sperava il Comitato nelle promesse fatte da Pisacane, il quale aveva riconosciuto indispensabile ed unico metodo di fornir dei convenienti mezzi il Fanelli, affinché questi riuscisse (215) da quell’altro lato ancora ad accreditarsi potentemente co. me centro di tutto il nucleo operoso dei liberali, e con la maggior probabilità che mostrasse della riuscita, dirigerne le mosse.
Onde era che il Comitato,come vedemmo, non mettendo tempo in mezzo, subito partito, al Pisacane (216) scriveva ricordandogli le sue promesse, e che sbrigasse a mandargli quanto doveva, all’opposto nulla avrebbe potuto apparecchiare.
Le cose stavano in queste condizioni, quando la sera del 26 pel consueto mezzo, onde la corrispondenza con l’estero si operava, al Dragone fu recata una lettera del Pisacane in data del 23. Apertala, vi trovò una tratta di duc. 9 — era una somma in conto per tutto il da fare — indi si accinse a sciogliere lo scritto coi mezzi chimici e deciferarlo.
In quel momento sopraggiunse il Fanelli. Dopo pochi istanti il Dragone senza dir motto, ma commosso violentemente gli porse il foglio, e quegli divorandolo con l’occhio sentì stringersi il cuore da una mano di ferro. Una fatalità tremenda sconvolgeva tutti gli accordi e sollevava una tempesta. Ecco ciò che a Genova era accaduto.
Il Pisacane partito (217) il 18 da Napoli arriva fra il 20 e 21 a Genova. Colà aveva ritrovato, che l’insurrezione non poteva giù contenersi per lo stato di effervescenza degli elementi, che quivi erano preparati; che gli apparecchi per la spedizione erano stati rifatti, se non in quella copia di prima, al certo meglio di ciò che si poteva aspettare. Allora essendo ogni indugio impossibile, e per le condizioni nelle quali trovavasi il lavoro al di fuori divenuta irretardabile l’esecuzione, risolvé di partire nuovamente per la spedizione, scrivendo «io accetto sempre quando si tratta di fare, e perché son convinto che questo è l’ultimo giuoco che si farà per ora, e se mai non cercheremo trarne tutto il profitto possibile, faremo tale errore che verrà scontato con lunghisti simo sonno» (218).
Stando cosi i fatti, gli fu forza il 23 scrivere questa lettera al Comitato, che ora noi vediamo tra le mani di Dragone e Fanelli.
Accennava in essa la condizione di Genova, la risoluzione della partenza. Il giorno seguente a questa avrebbe spedito il dispaccio a De Mata, se non riceveva altra indicazione dal Comitato. Insisteva che al ricevere la lettera «si facesse il possibile, perché quelle medesime persone si trovassero a quel medesimo luogo, e che il Pateras partisse immediata«mente per la Basilicata».
«Ora vado a dirvi ciò ch’io spero dalla vostra let«tera che debbo ricevere.
1. Indicazioni più precise per l'invio del dispaccio, sia alla stessa persona, sia ad altra.
2. La lettera di Agresti.
3. Chiarimenti maggiori sui luoghi di Ponza che si aspettavano, e spedire a Ponza un avviso per attendere la spedizione.
4. Se la faccenda armi in Malta era già in corso, e le barche già partite da Castellammare.
5. Se il Comitato aveva potuto provvedersi di polvere da sparo, come si era convenuto almeno un cantalo.
Il Pisacane dichiarava di esser contentissimo, se nel foglio che attendeva del Comitato avesse ritrovate favorevoli tutte queste inchieste, ed inviava molte lettere, che nel riceversi il dispaccio della partenza il Comitato avrebbe suggellato, e spedito sull’istante al loro indirizzo.
Per dar poi una norma più precisa al Comitato parlando del dispaccio aggiungeva se tale merce non giunge è segno che il contratto non ha avuto luogo; che subito si sapesse il contratto conchiuso a Sapri bisognava spedire un dispaccio a Genova, e se per caso si venisse a conoscenza di un disastro il dispaccio fosse concepito così «La cambiale è stata rifiutata» ciò voleva dire Disastro, ogni altra formola avrebbe significato agli amici di Genova — Arrivo.
Annunziava la speranza che la cosa andasse, benché non si potesse esser certi di nulla, ma che il Comitato lavorasse sulle basi di già convenute senza perdere un momento, perché se per imprevedibile evento la spedizione non avesse luogo, diceva egli «il monopolio (cioè il movimento) di Genova è inevitabile e quindi la conseguenza immediata è il nostro contratto. Dunque, comunque vadano le cose, ritenete che se il tutto non sfuma, la cosa avverrà con differenza di pochi giorni».
Manifestava di attender con ansia la lettera del Comitato, e che se era in tempo avrebbe anche risposto. Mandava un caldo saluto al Fanelli, al Dragone ed agli altri amici — indi conchiudeva di aversi in pronto i seguenti campioni, Giovedì 25 partenza Domenica arrivo a Sapri (219).
Prima di passare oltre è indispensabile di rendersi piena ragione del contenuto di questa lettera, delle cause che la determinarono, della sua necessità logica ed importanza nella storia, che oramai volge alla sua soluzione. E noi non lo potremmo senza riportarci alla sposizione fatta insino dal cominciare dei due concetti del Comitato di Napoli e di quello Esterno,che rappresentavano i due diversi sistemi insurrezionali, ed in tal cammino il leggitore avrà al certo notato la condotta spiegata dai principali attori della presente cronaca.
Pisacane non aveva in sul principio altro sistema da accettare, se non quello del Comitato di Napoli: era il solo lavoro incamminato all’azione. Onde senza difficoltà aveva sottoposto l’insorgere a tutto il meccanismo, che secondo il Comitato doveva precederlo e maturarlo. Nientemeno non è da dimenticare, che per istinto dell’animo suo inchinato al fare, e per l’ardenza dei suoi sentimenti voglioso di affrettare il tempo della comune redenzione, aveva anche da allora esortato sovente ad accorciare il più possibile la durata di quel primo stadio di preparazione. Di tal che quando si affacciò, mercé il sistema rappresentato da Giuseppe Mazzini, la possibilità anzi la necessità di una azione più pronta ed immediata — quando egli nelle congiunzioni di altri eventi all’esterno, e nella opportunità del momento vide più vicina e probabile la riuscita dei loro voti per la via delle iniziativa e della sorpresa, naturalmente, e direi quasi con maggiore affetto, adottò tra i due il metodo che gli offriva più spedito l’operare.
Avvenne dopo, che l’azione stabilita rimanesse spezzata dalla perdita dei preparativi ingojati dal mare; quel sistema veniva ad infrangersi contro ad una realtà, che ne sospendeva chi sa quando l’esecuzione, e fu allora che logicamente egli, non avendo altro in pronto pel momento ripiegò alle idee del Comitato di mandare a termine certi tali preparativi, tenendo ragione delle necessità e condizioni locali, che avevano imposto in Napoli quel sistema. Sotto questo aspetto egli aggiustava in Napoli col Comitato, ciò che rimaneva a fare in armonia con i lavori, le idee, le necessità pratiche che qui si dovevano aver presenti.
Ma tornato a Genova, per l’operosità di quei patrioti trova rifatto il mancato, vede il movimento divenuto di nuovo non sol possibile e pronto, ma irretardabile — l’indugiare anche di giorni avrebbe esposto ad una rovina gli elementi colà in ordine ed impazienti dell’insurrezione, in tale stato egli non aveva alternativa, non poteva esitare nell’accogliere il nuovo fatto, anzi lieto doveva abbracciare la via che se gli parava dinanzi, e lo riponeva sul cammino della desiderata azione. Risorgeva il sistema del Comitato esterno col risorgere della possibilità di operare. Muoversi, piombare improvvisi, scuotere con potente slancio le Provincie già avviate, essere la scintilla onde propagarsi l’incendio generale, fu questa la prospettiva che si riaffacciò alla mente del Pisacane in vista di quel prossimo fatto. L’anima di Scevola e di Bruto rinata in lui, per la salvezza avvenire s’immolava della patria comune, né era solo la speranza del successo, ma la gioja del dovere e del sacrificio, che lo spronava a così sublime intrapresa.
Ora che il leggitore è posto in pieno rapporto con Carlo Pisacane da potere in tutto valutare la sua linea di azione, e spiegarsi la lettera, che noi siamo a disaminare dal lato di chi la scriveva, può agevolmente fare un altro passo e rendersi ragione del contenuto della medesima in sé stessa considerata.
Era quella una lettera di prevenzione. Conteneva varie istruzioni ed avvisi preliminari che si diceva dovessero aspettar la riconferma, quando fosse giunto il segno telegrafico, che doveva ratificar la partenza, non si tosto che la avesse avuto luogo. Ma pure questa lettera di prevenzione scritta il di 23 di Giugno da Genova non poteva arrivar prima del 26 a Napoli, e di fatto dato appena il tempo necessario di esser distribuita e recata al consueto indirizzo, di là per via indiretta giugner doveva al Comitato, e gli fu recata senza niun incidente d’indugio la sera di quell’istesso giorno, come di sopra si è testé narrato. Intanto già la spedizione aveva potuto partire il 25, e se ciò fosse avvenuto, il promesso dispaccio contemporaneo alla spedizione, avrebbe dovuto arrivare anche prima di questa lettera.
Lasciamo dall’un dei lati per ora di tener calcolo di questo dispaccio, e restringiamoci a notare, che il tempo tra questa lettera e la possibilità di far giugnere gli avvisi, sia di prevenzione sia diffinitivi, punto non intercedeva, perché se la spedizione giugneva il 28, come si annunziava, era impossibile nel giorno 27 far partire da Napoli le lettere di avviso a Magnone, alle Isole, alle Provincie e trovarsi adempiuto pel giorno seguente a quanto occorreva.
Questa inesorabile materialità di date e di tempo non potè sfuggire al Pisacane nel momento che scriveva tale lettera, e molto meno il non poter egli esser sicuro. di ciò che gli avrebbe scritto il Comitato. Ma oltre delle ragioni anzidette,che già sarebbero bastevoli a spiegar come egli non se ne potesse lasciar contentare, altre molte si affollano a mettere in chiaro il compiuto criterio dei fatti. Innanzi tutto si ricordi il leggitore di due circostanze, che certo non gli saranno sfuggite, e che appensatamente io riferii di sopra. La prima, che Pisacane stesso scriveva al Fabrizj «che avevano convenuto con Fanelli sul tempo, sul modo, sui mezzi, che come scopo dovevano prefiggersi lo stabilito piegando come si dovrà alle circo«stanze (220)». La seconda che negli stessi ricordi rimasti in Napoli al Comitato egli aveva scritto non contarsi più sulla spedizione come condizione indispensabile (221). Oltre di tutto ciò si ponga mente da ultimo, che in quel punto (come traspare dalla lettera istessa) Carlo Pisacane vedeva assai più probabile anzi certa l’insurrezione a Genova, che non la partenza della spedizione; e per conseguenza le norme, istruzioni, dimande che rivolgeva al Comitato è chiaro per che riflettessero più il caso di apparecchiarsi in Napoli a seguire l’insurrezione dell’Italia superiore, che non a ricevere la spedizione che da Genova doveva recarsi nel Napoletano.
Ed è questa appunto senza dubbio la ragione di quella certa precipitazione che s'incontra nella sua lettera, ed il lettore seguendomi potrà spiegarsi perché nel 23 si parlava di partenza del 25, ed intanto si aspettavano molteplici chiarimenti di cui s’ignorava l’estensione, si chiedevano cose per le quali più e più giorni bisognava che fossero spesi — perché si annunziava di spedirsi un dispaccio che sarebbe giunto quasi contemporaneo alla lettera; lettera e dispaccio quasi contemporanee alla spedizione. Libertà di operare e di scegliere più non si aveva, né qui né fuori: le nuove combinazioni di Genova distruggevano le basi ultime fermate in Napoli: bisognava dunque piegare alle circostanze e non pretendere di eseguir col loro naturale svolgimento le cose prestabilite, né eseguirle come si sarebbe voluto, ma solamente come in tanta pressura di tempo e di fatti si poteva volere.
Nientemeno se in vista di tale incalzante logica dei fatti poco resta a discutere ed osservare, ei non sarebbe conveniente di trasandare un’ultima ispezione al quadro generale, ed è la posizione nella quale si trovava il Comitato di Napoli a fronte dei nuovi avvenimenti.
Si era pervenuti fino al mattino del 27, ed il dispaccio non era giunto; dovevano pensare Dragone e Fanelli. che la mossa da Genova non si era avverata. Ma nel dubbio di contrattempo o ritardo e nell’assicurazione, che sempre il monopolio a Genova dopo avrebbe avuto luogo, era in ogni caso inevitabile di disporre tutto ciò che si poteva. Pur tuttavolta è da notare, che tra le disposizioni che si dovevano trasmettere, ce ne aveva di quelle delicate e dirò così finali, che non si avrebbero potuto dare, se non nel momento certo, definito, reale di una immancabile esecuzione, talune altre che non ammettevano l’incertezza del giorno e neppur dell’ora, ed altre che date, ove la spedizione venisse poi meno, avrebbero destato una agitazione inutile non solo, ma tale da attirare gli sguardi del Governo e la sua persecuzione sull’intero lavoro, rendendo così impossibile ogni altra cooperazione al movimento di Genova, se avvenisse.
In questa sorta di complicanza per seguire man mano il filo degli eventi, torna indispensabile di tener dietro alle operazioni del Comitato.
Il Dragone e Fanelli senza chiudere occhio al sonno l’istessa notte scrissero una risposta al Pisacane a Genova (222), e se egli si trovasse partito al Mazzini, esprimendo che la decisione della nuova partenza spezzava tutto il prestabilito in armonia con le necessità locali. Più particolarmente aggiungevano — la pochezza di danaro non lasciar comperare le armi, il cui acquisto si aveva segretamente in mira; almeno i cento fucili che si era convenuto — le barche non ancora partite da Castellammare, perché non si era dato tempo ad attendere la risposta del Fabrizj (il quale ricevuta la lettera del 18 nel 21 o 22 non poteva rispondervi che col seguente vapore che partiva da Malta il 28 o 29) — La somma inviata di Duc. 9 non essere punto bastevole per far partire le barche, non che mandare a termine il rimanente, come si era in Napoli preso accordo con Pisacane. — Il Matina non avere per anche risposto: si attendeva la domane una sua lettera ed allora solamente si poteva conchiudere la trattativa con Ponza — «Vedete dunque (dicevano) che siamo molto lontani dai vostri desideri, cose già prevedute, per la qual ragione avevamo preso un mese e più di tempo» (223) — Manifestavano nettamente di non potersi trovare in tempo (essendo la notte del 26 a 27) per avvisare il Cilento dello sbarco se avveniva il 28, ed inviare Pateras in Basilicata: con tuttociò avrebbero fatto del loro meglio per trasmettere alle Provincie le necessarie prevenzioni, benché insufficienti in tanta strettezza non di giorni, ma di ore.
Fanelli non sapeva darsi una ragione di tal cangiamento in contraddizione di ciò, che erasi pochi dì innanzi fermato. Fidente, dopo quanto aveva discusso con Pisacane, di avere il tempo bastevole a mandare a termine i concerti indispensabili, intanto che si trovava la spedizione indefinitamente sospesa, ora a vederla così all’improvvista riordinata, non poteva tenersi dal dirlo agli amici di Genova, e scriveva: «ardo per la sollecitudine, ammetto la fretta, ma il precipizio in cose di tanta importanza, quando calcoli vi facevan giudicare diversamente tra noi, non è opera che approvo». Nel quale sentimento più riscaldandosi egli esclamava «che cosa farà Fittipaldi e gli altri senz’armi e senza danaro? Voi potete darmene la risposta meglio che me stesso. E se essi vorranno saranno seguiti? In tal caso l’energia dei trattenitori può spiegare tutta la sua influenza — De Mata e gli altri non potrò vederli che domani — Mi pareva bene morire in guerra ma invece pare che lo debba di crepacuore» (224)!
Queste parole che dipingono al vero'la situazione di Napoli, erano pur giuste in bocca al Fanelli, dominato come era dalla realtà che lo circondava e dalle sue convinzioni, sendo che dal punto dove era, egli non poteva valutare nel suo vero aspetto le condizioni, le quali al di fuori in vista dell’opportunità che colà sorgeva, della necessità incalzante e dei danni che in contrario sarebbero derivati, facevano decidere senza più per una immediata azione.
Non sì tosto fu scritta questa lettera, prepararono quelle che dovevano mandare per Magnone per l’AIbini e successivamente per gli altri corrispondenti, ai quali non potevasi scrivere che due volte soltanto per settimana, quante erano allora le partenze postali per le province. Al primo (225) dicevano con le espressioni della più eccitante energia il momento tornato, sull’istante avesse trasmesso gli ordini per far trovare le stesse persone a Sapri, e tenuti pronti gli stessi apparecchi come il giorno 13 era stato fatto. Giorno ed ora precisa non si poteva indicare, ma lo sbarco accadeva subito, e poteva aver luogo anche la dimane. Questa falsa posizione d’imprecisione di tempo jpoter tornare funesta, se immediatamente non si preparava tutto come la prima volta, onde subito spedisse gli avvisi che credeva opportuni al suo nipote
Vairo, e questi desse le istantanee ed opportune disposizioni per l’adempimento d’ogni cosa — Fidare il Comitato meno nelle sue parole, che nell’ardenza del patriottismo di Magnone e nella imponenza del fatto, e raccomandava la sollecitudine ed il segreto sommo.
La lettera all’Albini (226) bollente di eccitamenti ad operare gli annunziava venuta l’ora suprema. Uno dei capi partiva il dì dopo per Salerno, un altro l’avrebbe raggiunto (il primo era Pateras, il secondo era Giuseppe Rosiello). Mandasse per loro chi doveva accompagnarli e servir di guida — Avesse disposto tutto attenendosi alle precedenti istruzioni.
Al Libertini (227) si ripeteva l’annunzio dell’azione, s’incitava caldamente all’opera, sperando, che pervenuta la novella del movimento da Basilicata, tutti con lui insorgessero ripiegando sul centro dell’insurrezione, dove avrebbero trovato prestantissimi capi militari.
La notte passata in quella veglia affannosa fu seguita da una dimane ancor più agitata. A mala pena fu giorno s’inviò la risposta a Pisacane dove si soleva, affinché si spedisse con la prima partenza a Genova.
Quanto alla lettera urgentissima da far ricapitare a Magnone il modo, che si era riuscito a trovare era sicuro anche e diretto, ma bisognava usarlo con molta sagacia e circospezione. Il Dragone per questa gelosa corrispondenza si giovava dell’opera fidata di un bravo patriota a nome Saverio Malatesta mercatante di olio, il quale fingendo di recarsi a Salerno per affari del suo traffico, aveva modo di far pervenire nelle carceri le lettere al Magnone. Dragone subito andato dove quegli teneva negozio, seppe esser lontano da Napoli per sue faccende, ma che quella mattina sarebbe tornato. E più tardi trovatolo gli consegnò la lettera e quegli si dispose a partire per Salerno, come di fatti operò la sera di quel medesimo giorno.
Nello stesso tempo avvisato Teodoro Pateras dell’ultima lettera del Pisacane, se gli disse dover egli immantinenti partire. Egli si sarebbe recato come era convenuto a Salerno. Verso la Polizia con ragioni di suoi negozi commerciali avrebbe agevolmente colorita la sua andata. Al luogo convenuto si sarebbero recati i messi dell’Albini da rimanere ai suoi ordini per scortarlo come fosse giunta l’ora della partenza. Che non sì tosto fosse pervenuto al Comitato il di spaccio della mossa della Spedizione da Genova, Rosiello sarebbe partito da Napoli e ricongiuntosi con lui a Salerno si sarebbero difilato rivolti ad incontrar l’Albini in Basilicata. Se poi la spedizione non avesse avuto luogo il Pateras sarebbe ritornato in Napoli per partire di nuovo quando ne sopragiungesse diffinitivo il bisogno. Con queste intelligenze il Pateras lasciò Napoli per recarsi a Salerno.
Dopo d’aver provveduto a queste precipue operazioni, Fanelli e Dragone si rivolsero ad assicurarsi e preparare ciò, che poteva essere in Napoli tentato. Essi non si dissimulavano le difficoltà quasi insuperabili che avrebbero trovate per gli ostacoli dei Moderati per l’impensatezza dell’avvenimento, per l’impreparazione degli animi, per la mancanza di mezzi, armi e fatti concertati. Ma ciò non ostante si fecero a scrutare la mente dei principali capipopolo, investigando se nella possibilità di una prossima azione al di fuori, e nella necessità di appoggiare qui il movimento, essi avessero e fino a che punto creduto ad una probabile iniziativa — E senza svelare per nulla il segreto, condizione prima posta dal Pisacane, si procurò di tenerli disposti e preparati, mostrando la necessità di tentare, il danno dell’esitazione, la codardia del rifiuto, e sopratutto dando loro fiducia nella vasta insurrezione, che altrove sarebbe scoppiata, promettitrice di certa riuscita.
Se non che in mezzo a tanto incalzare d’avvenimenti, di fatiche, di ostacoli, di perigli, ed a fronte di tal lotta contro la fatalità e l’impotenza, purè al veder ritardare la venuta del telegramma, sempre più il Dragone e Fanelli si convincevano che la spedizione non aveva dovuto aver luogo,disponendosi a ricevere altre nuove che più potessero rassicurarli. Si era giunti fino al mattino del 28, giorno posto per l’arrivo della spedizione, ed il telegramma non era venuto. Dunque tutto induceva a credere che la spedizione non fosse il 25 partita, e questa naturale persuasione arrecava con sé la possibilità che gli avvisi avessero agio di giugnere nelle Provincie ed a Magnone prima della spedizione, tanto almeno che bastassero in tempo utile a prevenirli.
Quand’ecco,a distruggere crudelmente la mal concetta speranza, verso le ore 4 dopo il mezzodì, rimettersi al Comitato un dispaccio allora giunto da Genova. Questo dispaccio diretto a de Mata avvisava la partenza avvenuta il 25 e l’arrivo quello stesso giorno 28. Ma quale iniqua fatalità si era frapposta a far ritardare di tanto il telegramma della partenza che pervenisse l’istesso giorno dell’arrivo? Una rete di contrattempi, una catena di ostacoli ed incidenti imprevedibili erasi distesa sopra ogni passo che a Genova si era intrapreso, e noi ci accingiamo a dare al lettore la spiegazione pur troppo semplice e fatale dell’inconcepibile ritardo di questo telegramma — La quale spiegazione è chiara pruova tra le altre, come quest’ultimo periodo della storia che abbiamo impreso a tracciare, se è grande da un lato per abnegazione ed eroismo, e pur doloroso per l’inflessibilità di un destino, che pertinacemente si studiò di schiantare ed atterrare tutti gli sforzi cotanto generosamente tentati.
Il Pisacane e vari compagni imbarcati a bordo del Cagliari per andare in Sardegna come semplici passaggieri, dovevano trovare ad un dato punto di mare alcune barche con uomini per la spedizione dirette da Rosolino Pilo, e cariche d’anni e munizioni. Alla vista delle barche il Pisacane con i suoi amici per via di un colpo di mano si sarebbe impadronito del Vapore dove era, presi a bordo gli uomini e le munizioni dalle barche, ed indi diretto il Vapore medesimo a Ponza — Al ritorno delle barche vuote con i semplici marinai l’operazione era da ritener compiuta, ed il Mazzini avrebbe telegrafato a Napoli.
La sventura volle che Rosolino Pilo aspettando in altre acque non s’incontrasse col Vapore, di tal che passato questo senza esser visto dalle barche, esse dopo inutile attendere e girare ritornarono a Genova. Il Mazzini informato dell’accaduto, le rimandò al vero luogo indicato; ma inutilmente essendo già trascorso gran tempo. Se ei ne fu dolente è inutile a dire. Pensò allora che non essendo riuscita quella prima operazione, Pisacane non potendo per conseguenza eseguire la spedizione, sarebbe obbligato di andare a Cagliari e dopo ritornare a Genova — Per assicurarsi meglio del fatto ei telegrafò ad un fidato amico in Sardegna, che senza indugio lo avvisasse per telegrafo quando precisamente il Vapore postale giungeva — Fu forza dunque attendere questa risposta. Il Vapore faceva il giro da Genova per Portolongone indi a Cagliari. Bisognò aspettare l’ordinario suo arrivo, e sol quando fu trascorso tutto il tempo possibile di qualunque ritardo partì da Cagliari l’avviso, che il Vapore fino al giorno 27 colà non era giunto. Ma dove era andato, che era mai avvenuto? Al ricevere quell’annunzio d’un subito balenò alla mente del Mazzini come un lampo il cocente pensiero,che il Pisacane non scuorato punto della mancanza delle barche, avesse da sé solo coi pochi compagni proseguita ugualmente l’intrapresa, impossessandosi del Vapore e tentando in seguito la spedizione. In quella situazione non ci aveva alternativa da scegliere. Anche il sospetto a fronte dei gravissimi danni da evitare doveva esser supposto una realtà. Così Giuseppe Mazzini fra tutte le possibilità, prevedendo quella suprema dell’esecuzione, ed indovinando tra' i vari calcoli di probabilità l’unico vero, si risolvé d’inviare a Napoli il dispaccio di cui parliamo, giunto al Comitato in sul declinare del giorno 28, e che per quelle superiori congiunture non aveva potuto esser prima spedito.
Acquistata con la presenza di questo telegramma la fatale certezza, che lo sbarco in quello stesso giorno aveva già dovuto aver luogo, Dragone e Fanelli compresero che non si trattava più di preparare e discutere, che l’ora era venuta dell’operare come meglio si potesse, cercando di stringersi ad ogni più presta combinazione per scongiurare la forza degli eventi, che si era contro di essi tutti collegata.
Si era rimasti intesi, che non sì tosto giugnesse quest’ultimo annunzio diffinitivo, il Rosiello ne avrebbe subito recata la notizia al Pateras a Salerno, ed amendue di là sarebbero partiti per la Basilicata con le persone inviate da Giacinto Albini. A tale scopo il Fanelli si recò subito da Rosiello. Questi non era in casa, seppe dove era, andò per lui, e trovatolo gli fè noto quanto accadeva. Fu stabilita la sua partenza sul momento, ma le gravi difficoltà dell’ora tarda, e che s’incontravano sotto quel Governo a chi volesse recarsi da una Provincia all’altra, impedirono per quella sera del 28 che potesse quegli recarsi a Salerno. Dovè senza più rimettersi la sua andata per il prossimo mattino del 29.
Stabilito questo punto rimaneva ancora al Comitato a distribuir le lettere di Pisacane, che bisognava consegnare agli amici a cui erano dirette nel giungere del telegramma, e ad un tempo incitare quei patrioti a seguire l’iniziativa di Pisacane con la rispondenza in Napoli di un altro movimento — E quasi che il segnale della lotta, e la prepotente virtù dell’esempio infondesse animo a quei capipopolo, e ne riscaldasse di sensi vivi il cuore, quei medesimi che pochi di prima a Carlo Pisacane avevano protestato di non poter insorgere senz’armi, senza danaro e fatti ben preparati, all’aspetto della lotta fervente dichiararono di non voler venire essi meno all’impulso generosamente dato.
Si decise fra due giorni darsi principio all’insurrezione. Il Comitato si fè allora a concretare il movimento nel modo più probabile e capace di effetto. Gli antichi progetti su i quali non si era più lavorato non potevano presentare alcun apparecchio compiuto. Occorreva dunque, servendosi di tutte le combinazioni e circostanze del momento, raccogliere le fila sparse al punto in cui si trovavano e coordinarle allo scoppio già fermato.
Alle carceri di S. M, Apparente, dove si trovava Giovanni Mattina con moltissimi prigionieri politici, mercé le indicazioni topografiche e le intelligenze che passavano con lui si dirigerebbe un gruppo d’insorti, impadronendosi del luogo e liberandogli amici — Altro gruppo si lancerebbe sopra posto di Guardia dell’Esercito, e della Polizia — un terzo forzerebbe l’ospedale Militare dove si rinverrebbero parecchie armi quivi depositate. Altri subitamente penetrerebbero nell'Uffizio della Dogana per arricchirsi di altre armi, che quivi per combinazione si trovavano — Vari gruppi solleverebbero la città. Dai paesi suburbani nel tempo stesso parecchi liberali con i loro seguaci piomberebbero su Napoli dando mano agl’insorti, altri diffonderebbero nei loro paesi l’agitazione ed il tumulto. Tutto ciò incominciò a disporsi da Fanelli e Dragone con la maggior rapidità od energia distribuendo ad ognuno la parte che doveva compiere nel disegno generale da essi ordinato. Ciascuno correva da loro; i patrioti dei paesi circonvicini avvisati convenivano in Napoli in casa Dragone per ricevere istruzioni, armi e danaro. Danaro armi ed istruzioni dimandavano i popolani della città. Si distribuirono ai migliori le poche armi e munizioni raccolte, a chi si poteva si somministrò quel poco di danaro che si aveva, a tutti coccarde, bandiere, proclami da spargere nel momento dell’insurrezione, insieme alle esortazioni più vive, avvertenze e consigli, che ispirassero coraggio, fondato nella fiducia del riuscire.
Ma non erano queste le maggiori fatiche né quelle che più si risentivano dal Comitato. Ciò che comprimeva e lanciava in uno stato di violenza e di crudissima lotta, era la necessità di celare assolutamente ogni indizio, ogni guizzo di tale effervescenza, qualunque sospetto di agitazione o di preparativi alla vigilanza del Governo, a cui pareva che nulla dovesse sfuggire. Siffatte precauzioni di discretezza, d’impassibilità, di calma e di segreto erano inevitabili, e nello stesso tempo crudelmente ostili. Eppure ciò che in mezzo a tanti pericoli, dolori, fatiche ed impedimenti tenevano di mira Dragone e Fanelli non era nemmeno tanto di ingannare il Governo e saperlo colpire all’impensata, quanto di ordinare e condurre l’insurrezione al suo scoppio evitando le trame di ben altri nemici.
Il leggitore mi deve ora accompagnare in un dolente passaggio che è costretta a traversare la narrazione, ma che io spero dovrà riuscirgli utile se non grato in vista della sperienza che se ne dovrebbe raccogliere, e del disinganno tante volte ripetuto e ad ogni passo cosi crescente, che in tal modo solo dovrà alla fine diventare coscienza nazionale.
Nel punto istesso in cui tutti gli sforzi del Comitato pareva, che dovessero tendere ad ottenere un generoso ed energico movimento popolare in Napoli, Antonio Rizzo trai migliori patrioti e capipopolo fa sapere al Fanelli avere i suoi compagni deciso di non più muoversi. Fanelli vola da Rizzo; sa la cagione di tale mutamento, e per ricondurre gli animi al convenuto proposito convoca sul momento i maggiorenti del popolo in casa l’egregio cittadino Vitaliano Tiriolo concertandosi con costui sul da fare per l’autorità onde ei meritamente sopra molti godeva. Raccolti, Fanelli parlò loro come in quei momenti l’animo detta al labbro. Essi risposero che nel disporsi all’azione, e andato taluno per consiglio da altri ottimi signori liberali, nei quali si aveva anche fiducia, questi li avevano appieno dissuasi dicendo, che se insorgevano in qualunque modo, avrebbero rovinato il paese. Però il Fanelli si fosse posto d’accordo con quelli, non volendo essi mettere a risico vita, sostanze, fa miglia e il sangue de' compagni per danneggiare in fine la stessa patria loro.
Vana riuscì ogni opera e convincerli dell’inganno in che li avevano tratti quei eh’essi chiamavano ottimi signori liberali — E’ si avverava pur troppo ciò che non invano si era temuto, che in sul punto di tentare un colpo qualunque, senza averlo con precedente propaganda, eà efficace lavoro assicurato dalla pestifera influenza dei dottrinari e trattenitori, questi così detti liberali moderati avrebbero sconsigliato da ogni azione, e si sarebbero frapposti con tutto il loro potere ad impedire al Comitato ogni passo. Il popolo avvezzo per tanti anni a creder loro e seguitarli, li aveva veduti nel 1848 prima al potere, perseguitati di poi dalla astutissima ferocia del secondo Ferdinando, indi elevati scaltramente ad idoli ed eroi da lui e dalla straniera diplomazia, però a buona ragione li reputava come i naturali capi del partito liberale, sì fattamente che contro all’autorità dei sapienti ed esperti loro consigli s’infrangeva quasi ogni altra opinione. — Aveva il Fanelli insino dal principio schiettamente confessato la posizione dei partiti in Napoli; la potenza di cui godeva la parte moderata costituzionale dinastica, l’urto dei murattisti, le maligne insufflazioni della diplomazia, e degli emigrati dottrinari che dimoravano in Piemonte. Pisacane in Napoli se n’era con la rapidità del suo giudicare ugualmente convinto, e dichiarava, che ad onta degli ottimi elementi, che esistevano più di ciò che Fanelli aveva riferito, pure mancava nel vero partito liberale un centro intorno a cui i buoni potessero raggrupparsi, e questo centro poteva solo esser Fanelli, dovendolo essi dal di fuori rendere con ogni mezzo potente. Nientemeno gli avvenimenti più forti delle convinzioni non permettevano, che i fatti potessero innanzi a quelle arrestarsi — Era dunque impossibile che i trattenitori non sapessero dell’avvicinarsi di un’azione, era impossibile ancora senza un lungo lavoro che li avesse precedentemente smascherati,che essi non esercitassero sul popolo la contraria loro preponderanza.
Il Fanelli fece di tentare tutte le vie per scuotere l’animo dei popolani e sottrarli al contagio che si era nel loro cuore injettato — Egli aggiunse che i migliori capi liberali e militari che si avevano in Italia erano alla testa della spedizione — ed era vergogna dei Napoletani il non concorrere a così nobile intrapresa, a cui tutta l’Italia non avrebbe mancato di prender parte. Dopo tutti questi incitamenti animato dalla febbre dell’operare, e fatto più bollente dagli ostacoli che se gli mettevano innanzi, propose, che senza incominciare da altri punti si fossero raccolti tutti nella sera stabilita innanzi alla bottega da Caffè de Angelis posta in via Toledo, che quivi avrebbero trovati lui, il suo compagno Dragone ed altri; che allora egli il primo si sarebbe scagliato contro la sentinella del posto di guardia dirimpetto e l’avrebbe disarmata, col dare cosi l’esempio agli altri ed il segnale dell’insurrezione.
Le energiche parole del Fanelli scossero coloro che si trovavano presenti, ma non bastarono a rimuoverli, di tal che nel lasciarsi dichiararono di non prendere alcun impegno, ma promisero solamente che avrebbero tutto posto in opera, perché gli altri compagni riconoscendo il torto delle dissuasioni avute assentissero concordemente a ciò che prima si era, stabilito.
Intanto sparsa la notizia della prossima azione senza pur saper quale, tutta la coorte dei moderati si diede subito ad operare; non quell’operare, che ajuta, che incoraggia e con la concordia dell’azione fa un fascio invincibile delle forze unite di un popolo, ma si diede alla sua solita arte, cioè d’impedire che altri operasse.
Questa gente troppo nota oramai, e che morirà sotto le rovine dei suoi idoli oro ed ambizione, si fece in quell’occasione a spiegare tutta la sua energia dissolvitrice. Giovani e vecchi trattenentistì sparsi come i figliuoli delle tenebre, incominciarono a servirsi di tutte le male arti, che essi sanno vittoriosamente adoperare. Ai tiepidi annunciavano la sospensione di ogni azione, fino a miglior momento; tra i vigorosi un contrordine del Comitato; tra gli allarmisti l’essersi scoperto una trama di Luigi di Borbone: in tal modo spandendo. il loro veleno riuscivano a dissestare le fila e deviar gli animi da un saldo e concorde proposito.
Quale fosse lo stato furente del Fanelli e del Dragone io'rinunzio a descrivere. Prima incerti della riuscita della magnanima impresa, dipoi ne videro con i maturi consigli accettati da Carlo Pisacane in Napoli lampeggiare la vittoria, ed infine dovevano veder da un implacabile fato distrutti in un soffio tanti generosi sforzi. Di là una inesorabile necessità che spingeva all’azione, qui lo spontaneo istinto di volontà popolare ingannato; e così nel frangersi di tanti contraccolpi il successo tramutarsi in martirio.
In tal punto erano le cose nel dì 30, quando il Rosiello che si credeva già partito per Salerno ritornò al Comitato, annunziando di avere incontrato Pateras, che ritornato di colà diceva di aver dovuto lasciar quella città per via della Polizia, la quale l’aveva obbligato a recarsi in Napoli facendolo anche accompagnare per un tratto di via — che il Governo era in allarme e già si buccinava di movimento popolare scoppiato.
Nello stesso tempo e proprio nel dì 30 di Giugno (228) il generoso e bravo Magnone rispondeva al Comitato assicurandolo, che subito aveva scritto al suo nipote che rifacesse il tutto per lo sbarco. Ma intanto avvisava che a mezzogiorno un battaglione di linea da Salerno era partito per le Calabrie, avendo il telegrafo segnato che il dì innanzi era colà successo uno sbarco seguito da rivoluzione: che dalle carceri avevano visti passare alcuni vapori: che la notte era per Salerno passata molta truppa per Calabria e Cilento: che in quel momento si dicevano mille notizie confuse, di attacco con la forza, di Gendarmeria disarmata ma che non ne aveva certezza e non si piegava a crederlo. Conchiudeva manifestando che in Salerno il popolo farebbe, ma i Dottrinarj erano negativi (229).
Lo sbarco che accennava il Magnone era pur troppo avvenuto ed ecco i ragguagli precisi che noi possiamo darne ai lettori. Insieme con Carlo Pisacane si erano imbarcati tra gli altri il Falconi e Giovanni Nicotera: il Falconi notissimo ai nostri leggitori, e quanto al Nicotera il suo nome per i fatti posteriori e la parte presa nel rivolgimento del 1860 in poi, è così conosciuto, che qui sarebbe fuori luogo ed inutile il ripetere nulla sopra di lui. Onde basterà solamente. accennare come egli si trovasse a Genova lavorando nelle file della nostra democrazia, perché dopo aver giovinetto combattuto perla difesa della Repubblica a Roma aveva dovuto di necessità restare emigrato da Napoli.
Or con questi suoi compagni, tra i quali doveva ripartirsi di poi il comando dei vari drappelli della spedizione, Carlo Pisacane principalmente s’intratteneva, e deploravano l’esser rimasti anche quella volta delusi dalla vana espettazione delle barche, che dovevano guidate da Rosolino Pilo trovarsi al luogo indicato, onde perduta la speranza d’incontrarle, incominciavano a ritenere svanita anche questa volta la spedizione, quando un fatale caso lor fa conoscere, che sul Vapore si trasportavano delle armi e munizioni per conto del governo in Sardegna. Questa notizia fu una scintilla che si apprese al cuore caldissimo del Pisacane e gli fè concepire un subito disegno di impadronirsi egli ed i pochi suoi compagni del vapore, e impossessati delle armi adempiere da loro soli la spedizione.
Gli antichi finsero il mito di Prometeo legato ad una rupe, esposto il petto all’uccello vorace, che ne divorasse il cuore rinascente, ed egli che con la faccia indomata lanciava una sfida perenne al Giove assoluto — Questa mi è sempre paruta la più bella protesta dell’uomo, che la Poetica Grecia scrivesse contro il destino a favore dell’umanità, e l’umanità raccolto questo simbolo ne vedeva allora in Carlo Pisacane perpetuata nobilmente l’immagine.
Quella risoluzione presa cosi audacemente e con tanta grandezza d’animo rendeva il momento solenne e decisivo. Egli, Falconi, Nicotera concordi ed infiammati ne fanno motto a loro seguaci. Tutti assentono. Bisognava rendersi padroni del vapore. Ma anche in ciò la rea ventura pareva spianarla via all’ardito concetto, perché il Capitano e l'equipaggio non solo non resistettero, ma essi stessi riscaldati a quel fuoco di libertà che dal Pisacane e dai suoi amici si diffondeva, se gli fecero volentemente compagni della gloriosa intrapresa.
Allora stornano la via di Sardegna, e volgono difilato per Napoli, poggiano a Ponza, e di là mirabilmente, dopo aver dato opera al colpo di mano tanto felice nella sua riuscita, voltano il vapore a Sapri, dove avevano in fatti compiuto il memorando sbarco.
Queste indicazioni che noi diamo ora ai nostri lettori, erano allora naturalmente ignote al Comitato, ma certo era pur troppo il fatto dello sbarco, né il ritorno di Pateras e le lettere del Magnone lasciavano più luogo ad alcun dubbio sull’avvenimento.
Intanto nella città tutta l’energia ed il buon volere dei nostri era incatenata dalla ghiacciata mano degli avversari, i quali con i loro consigli dissolventi riuscivano ad isterilirne ogni azione. Il momento era estremo. Il sangue degli uomini generosi, che forse in quell’ora si versava: la necessità di concorrere ai loro sforzi con un movimento che distornasse le forze del Governo, e rendesse il fatto più esteso e potente: il dovere, l’impazienza, la rabbia, il dolore lutto si accalcava a pesare sull'animo di Fanelli e Dragone, che risolverono di sfidare ad ogni costo gli ostacoli e tentare l’ultima prova.
Avevano essi fermato con Pisacane (230) che bisognava nel corso del lavoro evitare ogni contatto con i Moderati, scansare ogni discussione di principi, procedere sempre «nell’assimilarsi gli elementi di azione, opponendosi occultamente con ogni mezzo alle dimostrazioni»: ma che se per combinazione siffatto sistema dovesse opporsi un giorno al fare o non fare immediato bisognava allora cedere pel momento. Ammettiamo anche «il loro grido di costituzione (scriveva Pisacane) perché l’avvenire è nostro».
Tenendo dunque presenti siffatte avvertenze, che proprio a tale possibile caso si riferivano, e cedendo anche alle insistenze loro fatte da alcuni patrioti, s’inchinarono a trattar con taluno dei capi Moderati, che meglio potesse lasciarsi persuadere, e fosse meno restio da quel generoso disegno.
Era già stato con molta istanza proposto al Fanelli un colloquio con Camillo Caracciolo Marchese di Bella. Era questi il più insinuato tra i popolani, in maggior relazione degli altri con i progressisti, e per posizione ed autorità meglio acconcio a trarsi dietro i più volenterosi tra i moderati, e mettere nel silenzio i più schivi. Condiscese finalmente Fanelli ed il colloquio ebbe luogo — Dopo d’aver parlato della posizione delle cose, ai suoi incitamenti il Caracciolo rispose, essere secondo lui la rivoluzione impossibile, ma che almeno il movimento si poteva appoggiare con una generale dimostrazione, che avesse per grido Viva la Costituzione.
Fanelli discusse, dimostrò i danni di un motto così esclusivo, ne voleva uno più ampio, che abbracciando tutte le aspirazioni liberali raccogliesse più numerosi seguitatori. Ma il Marchese di Bella fece osservare, che all’infuori di quel grido gli sarebbe stato impossibile di rimovere i suoi amici, e che solamente in quel modo egli prendeva impegno per sé, per l’avvocato Gennaro de Filippo nel cui nome anche parlava, e per i loro che avrebbero cooperato a siffatta dimostrazione.
Dové Fanelli per necessità. sobbarcarsi a tale decisione: tanto più che egli non avrebbe mai potuto impedire quel grido, se si fosse da taluno sollevato; e nientemeno era sempre un gran passo di fatto, ché dato principio ad una generale e vasta dimostrazione, niente si prestava meglio all’incominciamento di un’aperta insurrezione, che così si sarebbe collegata all'iniziativa già presa.
La dimostrazione fu dunque fermata per la sera seguente. In poca d’ora tutti furono avvertiti. I popolani volevano non starsene neghittosi, i capipopolo sentivano la vergogna del rifiuto: onde buccinatosi l’accordo, in che si era dalle due parti venuto, tutti in generale ricevettero la stabilita dimostrazione, come balsamo che loro leniva ogni piaga e cancellava il rimorso. Si diedero dopo ciò Fanelli e Dragone a trasmettere le disposizioni opportune, impromettendosi alla fin fine che fossero sopiti gli ostacoli de' moderati, ma in quella eccoli riaffacciarsi da un altro lato.
Il mattino seguente, la cui sera era stata fermata per la dimostrazione, il Fanelli sa da un giovane seguitatore di parte moderata, che costoro avevano risoluto di non concorrere più ad alcuna pubblica manifestazione; questo l’ordine fatto correr dai loro capi, e che pure egli aveva ricevuto. Incerto sul fatto risolve subito di rintracciare il vero, e veduto il contrordine essere pur troppo partilo, si dispone a tentare ogni modo per ravviar la faccenda secondo il prestabilito, disperdendo gli effetti di così infausta ritrattazione. Trovavasi in quel tempo in Napoli collegata una piccola mano di giovani di tendenze moderate, i quali nientemeno, chi per voglia ambiziosetta di prevalere, chi per retto sentire, vedendo l’ignavia dei loro anziani, ed insofferenti in un giogo che li incatenava alla immobilità, avevano fatta parte da loro stessi fondando una specie di comitato. Se non che non avendo i principali tra essi,, né fortuna capace, né nome autorevole, né studi a ciò, erano costretti a brancolare incerti di loro, senza scopo né programma determinato, senza concetto concorde e pratico. Si stavano così essi contenti di spigolare nel campo della cospirazione, mirando ad operar ciò che loro potesse esser dato. Era, a voler formolare la cosa, un’associazione di protesta contro al Governo. Ora alcuni proclami affissi di notte tempo a canto delle vie, che aspiravano alla costituzione, ora altri che mettevano in mostra le spergiure turpitudini del Governo, una volta coccarde tricolori lanciate dall’alto di un teatro, tal altra rimescolio nel popolo e un fuggifuggi in occasione di pubblica festa, ecco le opere onde tentavano essi di tener desto lo spirito liberale ed in agitazione la polizia. Oltre a ciò s’ingegnavano con le somme raccolte dai vari patrioti di dar soccorso a taluno che o nelle prigioni o fuori fatto segno alla persecuzione del Governo non avesse più modo di sostentare sé o la sua abbandonata famiglia. L’opera di questa giovane chiesa militante moderata, era purnondimeno giovevole, rompendo come che fosse il sonno nel quale i maggiorenti si studiavano di tenere avvinta la coscienza popolare, e per fermo non tornano a piccola lode di quei giovani gli stenti ed i pericoli, a cui essi di per di andavano incontro per sottrarsi il più possibile ai sospetti ed agli incarceramenti.
Avevano fatto più volte i nostri amici nel corso del loro lavoro di tentar di trarre alla loro questa nascente associazione, ma si erano chiaramente dovuti convincere fin dalle prime della inutilità delle loro speranze, incarnati come quelli erano in idee timide molto e limitate, non osando di recedere al di là di un Borbone o di un Murat camuffati alla costituzionale: di tal che tenendo a quelli i nostri gelosamente segreto tutto il loro operare, si mantenevano con essi in relazione sol quanto bastasse a saper ciò che tentavano e ravviarne le mosse da poterle far convergere a profitto del proprio lavoro.
Essendosi venuti dunque in sul punto di un movimento, Fanelli ne aveva già informato anche costoro, affinché concorressero almeno ad ingrossare le fila della dimostrazione, e quando sopraggiunse questo ultimo rifiuto, egli pensò di rivolgersi a taluno dei capi di quell’associazione, il quale essendo in relazione con i vecchi capi moderati potesse concorrere con lui a ricondurli al primitivo accordo. Informato colui dal Fanelli dell’ultima determinazione negativa, manifesta che anche essi erano di tale opinione, perché i popolani medesimi non volevano più nulla saperne. A disingannarlo il Fanelli lo conduce a parlare con vari capipopolo, e questi manifestano il rifiuto non partir da loro, ma dai capi di parte moderata.
Insieme quei due si recano allora da taluno di costoro, che si diceva avesse più degli altri persuaso al desistere, e con molta lotta lo riconduce il Fanelli ad aderire alla dimostrazione. Visitano anche il Caracciolo, ma costui uomo di retta indole e leale, portando nella cospirazione il suo carattere di gentiluomo amante della libertà del suo paese, per cui più degli altri offriva la sua fortuna e metteva in pericolo la sicurezza della sua persona, non ebbe bisogno di persuasioni. Egli era rimasto saldo nella fede data.
Il movimento fu dunque fissato irrevocabilmente per la vegnente sera.
Dopo di questi ultimi accordi ritrattosi in casa Dragone, e informatolo di lutto, Fanelli scrisse all’Albini (231) incitandolo a seguire l’iniziativa già colà intrapresa. «Non cedete, ei diceva, siate terribili e veloci come la folgore, se uno resta che uno combatta e muoja da prode. A Napoli lutto si prepara per la «rivoluzione che sarà a momenti. La vittoria vi circondi pel bene della Patria, o una gloriosa morte coroni i nostri sforzi».
Nello stesso giorno scrisse al Libertini (232) che supponevano annunciata la rivoluzione essere egli già in marcia verso gl’insorti, tra cui avrebbe trovato i primi capi del movimento Italiano. Queste lettere inviate, buona parte della notte e del mattino seguente del dì 2, si lavorò per raccogliere quanti più amici polessero per quella sera.
Ma era già inutile ogni loro sforzo.
Le dolenti novelle degli avvenimenti dello sbarco in sul declinare di quel giorno furono annunziate dallo stesso Governo sul suo Giornale. La medesima penna che più tardi trattava Garibaldi ed i suoi Mille da filibustieri, narrava allora ofTicialmente, che una orda di malfattori fuggiti da Ponza e sbarcati nel Cilento, era stata quivi distrutta.
Quest’annunzio benché non preciso, e poteva anche esser non del tutto vero, operò diversamente sui due gruppi. I moderati videro che la divulgata disfatta li affrancava d’ogni promessa, e dopo le sinistre nuove propagate decisero di nulla fare. Biasimarono d'imprudente l’eroico fatto, molli di loro in cuore gioirono forse anco di quel rovescio, sperando che quella dolorosa catastrofe, liberandoli dal grande incubo che era per essi il Comitato d’Azione, lasciasse loro per l’avvenire intiero il campo da volgere a loro profitto, e correre come assoluti padroni.
Dall’altro canto il nostro gruppo sentì sempre più la necessità di spingersi ad operare e concorrere con una rispondenza d'insurrezione al moto intrapreso in provincia, benché forse avessero a ritenerlo di già fallito. La nobiltà dell'esempio più li spronava a seguirlo, e qualunque ne dovesse esser la sorte a ciò segretamente i nostri amici si preparavano.
E venne intanto la sera. Ma se ne togli il Caracciolo di Bella, che con alcuni pochi suoi fidi scese in campo pronto alla promessa iniziativa, niuno dei moderati comparve, né fecero presentare quelli che da loro potevano esser guidati.
Fanelli, Dragone, Tiriolo, Rosiello, Pateras, Rizzo, Gambardella e altro percorsero la via Toledo, luogo posto di ragunanza per la dimostrazione. La via e la città tutta era deserta. Il consueto movimento fragoroso ed assordante di Napoli era stato inghiottito dai dispacci improvvisi. La polizia e la truppa invadevano gli sbocchi di ogni piazza e le principali strade. Ogni angolo della Città era difeso come per assedio e per guerra, onde essi guardandosi in viso scuorati e frementi, vistisi in numero non pure sproporzionato, ma nullo di fronte all'impossibilità dell intrapresa, ritennero fallito il colpo e follia il tentare qualunque cosa, meno che esporsi ad un volontario ed inevitabile suicidio, di tal che diedero ordine di sciogliersi ai pochi capannelli di popolani che attendevano in luoghi assegnati, e tutti cosi con la disperazione nell’anima furono costretti a ritirarsi.
Dopo di quella sera per tre giorni nulla più si seppe dai nostri amici della verità dell’accaduto, meno ' le notizie che piaceva al Governo di annunziare, e fu solo nel 7 di Luglio che con incredibili stenti fu potuto da preme esser ricapitata al Fanelli una lettera dell'AIbini datata del 5 di quel mese (233) messa dopo essersi quegli lagnato della poca fiducia avutasi in lui nel tenerlo all’oscuro di tutto (non poteva egli sapere che ciò era derivato in parte dall'imposta necessitò del segreto, in parte anche volendo dalla mancanza del tempo) avvisa che l'Invalido giuntò la notte aveva ripetuto mille promesse di Lecce, ma non aveva recato alcuna lettere del Libertini per non averlo più potuto vedere dal 12 di Giugno.
Nello stesso tempo narra l’AIbini che i corrieri da lui spediti il 31 all’alba del Luglio arrivarono a Padula, seppero che allora era incominciato l’attacco, ed in seguito che dalla truppa e dalla milizia urbano i nostri erano stati parte dispersi parte si ritiravano in buon ordine, ma che il telegrafo aveva annunziato il triste fatto, ed un pieno, disastro e sconfitta toccata a Padula.
Dopo questo lo stesso Albini con altra lettera (234) di Luglio, ma senza data, aggiunge altri particolari della cosa, e conchiuse che si era creduto dannoso da lui il portare al macello quei pochi che si poteva raccogliere. «È stata necessità, egli dice, di salvare l'organizzazione, tenere l'accaduto come un episodio o staccato o lagrimoso del fenomeno, profittando della triste lezione, e del sonno nel quale potesse cadere il Governo».
Il Comitato cosi seppe allora le vicende dolorose di Sapri, le quali dopo si aggravarono in lutti maggiori, quando ai seppe come nella lotta fossero tra altri compagni periti tutti i tre capi, il Pisacane, il Nicotera ed il Falcone, e solo dopo alcuni giorni si potè conoscere che ferito Giovanni Nicotera trovavasi, e prigioniero. Né qui mi, pare punto necessario il ripetere una narrazione minuta di tutto quell'avvenimento, imperocché già molte circostanze se ne trovano nelle lettere dell’Albini e più sono quei fatti già noti a tutti gli italiani, e ci devierebbero del tutto dai limiti imposti ad un lavoro che è già venuto alla sua fine.
Della storia del Comitato ecco quanto mi rimane ad aggiungere.
Il Governo del Borbone dopo lo sbarco di Sapri incominciò a raddoppiare di persecuzione. Tutti gli animi erano sospesi, e niuno preveder poteva fino a che punto dal Governo si fosse potuto giungere a rintracciare il vero. Qualche carta e notizia trovala sul Pisacane, ragguagli, rivelazioni: ed indagini, tutto poteva d’ogni lato svelare il segreto della trama, e da un istante all’altro scoprendo chi fossero i capi, dar nelle mani del Governo tutto il lavoro e rovinare più centinaja di liberali. Aggiungi a ciò che la scoperta di questa cospirazione rannodandosi le antiche fila di cospirazioni già palesi al Governo nei precedenti processi politici, gli avrebbe Tornilo tali armi da sprofondare l’intero reame in un abisso interminato di violenze e di torture, ed impedire chi sa per quanto altro tempo, la ripresa di qualunque nuovo movimento. Per il che ad assicurare la calma e tranquillità degli innumerevoli patrioti che erano in quel fatto compromessi, e deludendo il Governo salvar quanto più si potesse l’avvenire della nostra libertà, il Fanelli e Dragone cedettero alla fine alle unanimi istanze e si decisero ad allontanarsi da Napoli.
Nella quale occasione rifulge ammiranda la costante avvedutezza del Dragone e della sua impareggiabile moglie signora Rosa, perché essi tenaci non consentirono a partire. se non quando prima poterono felicemente tra pericoli immensi inviar fuori in salvo i documenti e carte tutte del Comitato da loro custodite fino allora e difese con un culto ed adorazione vigilante, come non porterebbe una madre ad alcun suo figliuolo.
E così con l’ansia di ricongiungersi a questi loro Dei Penati, essi si mossero ad affrontare le miserie, le lotte e i dolori di un esilio, di cui non potevano preveder la fine, avendo a compagno il Fanelli già esperto delle squallide incertezze dell’esule, che non porta seco a conforto, se non la coscienza del dovere compito, e la fede nell'incessante lavoro per l’avvenire.
Questa loro partenza riuscì in fatto la salvezza di tutti i Patrioti nel Napoletano, i quali meno due o tre più murattisti e moderati che altro, rimasero tranquilli all'ombra del segreto salvato da tutti con nobile religione.
I nostri esuli toccarono in sulle prime l’isola di Malta, indi la coppia Dragone si mosse verso l'Oriente, ed il Fanelli dopo avere abbracciato il suo venerando amico Nicola Fabrizj, che come già sappiamo si trovava ancora a Malta, partì per la volta di Londra, dove si riunì a Giuseppe Mazzini, lavorando sotto di lui, infino che recatosi a Genova per ricongiungersi a quel benemerito centro di patriottico lavoro, di là ebbe la fortuna di movere tra i Mille della leggendaria spedizione di Marsala.
Così termina la Cronaca del Comitato Democratico di Napoli che io aveva impresa a narrare. La storia intima di quella gloriosa spedizione di Sapri, non sarà ora più o meno un segreto, più o meno sfigurata nella sua verità, più o meno inventata più che indovinata o saputa nei particolari della sua gestazione. Ognuno potrà così farsi ampia coscienza di quel sublime fatto dopo la pienezza della presente pubblicazione. La quale nell'ordine sublime dei principi serve a dimostrare come la logica dei fatti, che guida l’umanità nel suo grandioso cammino non trovasse allora abbastanza preparato il terreno e fecondo per riuscire.
Ma era pur sempre dovere il tentare, sia che si volesse più preparatamente con propagande antecedenti come avrebbero amato il Fabrizj e Fanelli, sia che seguir si volesse l'altro metodo d’iniziativa e sorpresa in mancanza del primo creduto inevitabile da Giuseppe Mazzini e dal Pisacane. Incidenti imprevedibili ed impossibili a combattersi da un lato, e dall’altro gli ostacoli di parte moderata, potentissima nella sua restia passività, fecero d’una splendida vittoria un martirio più splendido ancora. Ma fu dalle vite e dal sangue di quelli eroi, dal sudore e dagli sforzi dei loro amici, aggiunta alle precedenti una nuova colonna miliaria della libertà. Le forze vive della Nazione, la coscienza del popolo, l'azione continua, secondo il concetto di Giuseppe Mazzini, esposta da noi fin dal principio del nostro lavoro, produssero la spedizione di Sapri, e questa spedizione esempio nobilissimo alla sua volta nel campo de' fatti, servì potentemente ad insegnare, se non altro ad un popolo gemente sotto le catene, come si doveva sorgere e spezzarle.
Né la scintilla ultima di quelli avvenimenti, produttrice del giorno di una prossima rivoluzione, andò punto perduta.
Disingannati molti sul partito dottrinario, e vedendolo ai fatti repulsivo o incosciente dell’avvenire della Nazione, si congiunsero ed affratellarono con gli uomini di Azione, ed ingrossarono le fila sparse dal Fanelli e Dragone, e che la buona mercé salvate seguitarono a crescere ed operare di poi. Eccitati dalla guerra del 1859 (che sebbene originata dal Piemonte, per il Piemonte pure incominciò ad attirare l’affluenza dello spirito Nazionale) quelle fila ingrandite e corroborate dallo spirito dell’intera Italia, proruppero finalmente nel 1860 nel grande scoppio unitario.
Fu la disfatta di Sapri che prenunziò la non lontana Marsala, fu la democrazia Italiana che produsse come principale fattore il 1860, furono le forze vive del popolo che iniziarono la resurrezione dell’Italia sul suolo fremente dell’ultima Sicilia, furono in fine discepoli quasi tutti di Giuseppe Mazzini coloro che animati dalla fede nel primo soldato dell’umanità, con l'augusta audacia di una spedizione inaudita si arrischiarono ad una prova novella. Fu il popolo che vinse incarnato e rappresentato da Giuseppe Garibaldi, furono vittorie di popolo che egli ottenne da Marsala al Volturno. Così la Nazione provò che con le sue forze si era elevata degnamente alla conquista della sua unità politica, rimandando a tempo più propizio la soluzione del problema anche più sublime, quello dell’affrancamento del pensiero con la caduta della autocrazia Papale. Né quest'ultima conquista la farà mai il partito dottrinario governante, spettando alla sola Nazione d’iniziarla e di compierla o di comandarla al potere.
I fatti che abbiamo anatomizzati, la sintesi potentissima che ne abbiamo raccolta non credo, che potranno essere smentiti in avvenire, anzi è dall’avvenire vicino più che non si pensi e dal loro dialettico svolgimento, che lo scrittore di queste pagine aspetta nella loro conferma la migliore sua ricompensa.
28 Giugno 1864.
29 dicembre 1856
Onorevolissimo — Mi affretto ad annunziarvi che nel dì 23 cadente mese giungeva fra noi reduce da costà Titta Matera in nome del quale vi partecipo quanto segue. Si spera che qui da Padula, Cilento e Saponara vi fossero arrivati dei ragguagli rapporto alla compita missione di cui l'onoraste, si augura che un’attività si spieghi dai fratelli degli anzidetto tre luoghi. Non ha poi potuto menare al termine la missione per Lecce e Bari, e poiché un allarme per la sua assenza si sparse per tutta questa contrada, per modo che sarebbe stato cimentesissimo l’uscire un passo da questa Provincia, e poiché avendo velocemente fatto correre appena arrivato la preghiera, e poiché a Palagianello l’accostarsi tanto Tadeo quanto Paolis al confine di questa Provincia, il primo lo faccia avvisare che avesse aspettata la sua chiamata. Con questa medesima data e con sensi di urgenza si sono replicate le inchieste ai signor Tadeo. Intanto vi si può assicurare che duemila uomini di questa provincia sono prontissimi a sorgere, sicché, se, come pare, è di tutta necessità seguire l'esempio dei Siciliani e se credete con questo numero potersi al di qua del Faro con successo dar principio all’azione, a tutto riscontro vi preghiamo inviarci gli ufficiali per capitanarci siccome gli uomini pel governo civile, una alle necessarie istruzioni; poiché a dirvela con franchezza il trattenere spande la maggiore diffidenza, e de' più strazianti sospetti figli del molto amore verso la patria, e dei fratelli di Sicilia. Gli uffiziali potranno in parte dirigersi dal Commissario organizzatore, in parte qui a noi, ed in parte al sig. albini; ma in nessuna delle tre parti vi fosse scusa per l’incominciamento dell’opera, e speriamo così almeno di destare i dormenti, e di fare intendere quanto questa provincia ami la nostra patria oppressa. Non possiamo tacervi che col maggiore scandalo è giunto qui nel giorno 23 schiuso il pacco a me diretto, in cui mi acchiudevate la sola Circolare del primo spirante, e dopo che di già si era dal Sig. Albini a tutti i paesi della provincia comunicata!... Quest’ultimo è da noi stimato, ma è però d’uopo si avverta a non essere più desideroso così trascurarci; anzi siete pregato farci giungere per mezzo del signore Onorati tutto ciò che vorrete inviarci di fretta, se non prescegliete avvalervi dell’organo ordinario.
Coll’anzidetto circolare promettevate parlarci degli avvenimenti di Sicilia, ma finora nessun motto ci è giunto.
Piacciavi rammentarvi di noi, e della nostra costante volontà.
___________________
25 gennajo 1857
Onorevole Cittadino fratello — Ieri finalmente ebbi il Tamburo da At. Mandai io a rilevarlo, vi trovai entro un plico per me ed un altro per Montescaglioso. Nel mio vi erano un organamento delle bande, e due lettere. Il plico di Potenza fu sottratto da essi stessi sbudellando il Tamburo. Trovai invece in questo un lungo scritto, inserito forse dai Potentini in cui erano sviluppati principi contradittorì alla stampa, e di una codarda moderazione putenti. Delle passioncelle, è da argomentarsi da ciò, non mancano: ma rivestito di quel potere che ho chiesto, immediatamente convocherò una Dieta, e farò stabilire quanto è opportuno a rendere unico e formidabile il nostro partito, ed a far camminare le cose con altro miglior sistema. Stabilito e consolidato un potere allora, ed anche noi adibendo il boja ed il capestro, vedrete se vi saranno più sul nostro suolo dei traccheggiatori, più infami degli adepti degli stessi Tiranni.
In punti di nostra Provincia limitrofi alle Calabrie sono succeduti molti arresti. «La rivoluzione si vorrebbe già da noi iniziata, e gli animi sono impazienti, ma soli non possiamo, e saremo schiacciali. Da tutte parli si desidera almeno un drappello agguerrito, e dei capi che sappiano comandare». L’ò scritto più volte e lo ripeto, acciò non venissi tacciato di avere promesso molto, e nulla osservato. Mancano molte armi e non si à mezzo alcuno. Si à tema che si voglia rubare il denaro, e non si può ricorrere al mezzo di formare delle casse. Ma questo si farà, consolidato pure il potere di Finanze. Se l’intemperie cesserà di attraversare i passi, dopo i dieci dell’entrante vi avrete uno stato generale e compiuto della provincia, ed usciranno denari, armi, munizioni, uomini. Convocherò tutti i Comitati di Sezioni, e da tutti si concerterà l’occorrente. «Lo stato delle altre provincie credo che sia più deplorabile della nostra, che se così non fosse, con fiducia vi consiglierei a dare il segnale, tanto spero nei miei». Dateci le istruzioni insurrezionali. Vengano i regolamenti. È buono che si faccia uno studio su di essi, e si ammonisca lo occorrente. Vogliamo dar mano alla formazione dei nastri e delle bandiere; Diteci cosa pensano le altre Nazioni. Cosa dicono le altre province. Se potremo sostenerci contro le forze borboniche, e noi insorgeremo. Si vorrebbe da noi formare un corpo di uomini scelti, concertare, trovarci pel tale giorno nel capoluogo alla spicciolata ed inermi — colà trovar le armi — assalire l’Intendenza — far prigioni tutti i capi del governo — soppiantare ogni impiegato, estinguere quello, stabilir nostro regime — La guarnigione è poca, sarebbe facile l’impresa, e poi?... Prima dei 10 non convocherò l’unione, e quindi prima di quest’epoca potrete farmi scrivere cosa che possa meglio fare appoggiare le mie parole, mandatele, vi sono altri 15 giorni… Di Giulio. Giliberti non mi avete detto più nulla. Il negozio della polvere si potrebbe pure ai 10 combinare. Chi caccia adesso denaro? I tempi corrono avversi. Addio.
___________________
Napoli 25 gennajo 1857
Onorevole cittadino fratello — L’ardente zelo mostratoci nell'ultima vostra corroborato dai fatti staccati della vostra operosità, ci tengono in obbligo di manifestarvi la compiacenza del Comitato centrale, e ci determinano ad istabilire nella vostra provincia una direzione che contenga i germi di una solidità armonica convenevole alle condizioni del lavoro locale, per la qual cosa nominiamo un Comitato provinciale, i cui membri saranno Titta Matera, voi, ed il Cittadino...
Il Commissario provinciale verrà quindi scelto nel seno di questo Comitato, e dai membri stessi che lo compongono, ritenendosi da esso come merito principale la vastità del lavoro da ciascuno fattosi, e l’importanza di esso; e sarà da noi confermato con lettera di riconoscimento a lui diretta, e con altre di partecipazione agli altri membri.
Vi spediremo in ventura lettere di partecipazione di questa nostra ai cennati fratelli perché voi sollecitamente ce le inviate. Vi rimettiamo per trasmettere, dopo aver letta, una lettera diretta al Cittadino Giliberti che certo troverete scritta secondo la vostra intenzione. Speriamo di mandarvi pure in ventura ciò che giustamente ci domandate in fatto di propaganda, ma non vorremmo che credeste per poco mancar noi alla solerzia dovuta; mentre noi crediamo che nelle perenni, e più specialmente nelle ultime vicende occorse nella Capitale (236) voi solo col ricever nostre lettere potreste avere di che apprezzare il Comitato centrale che fra le innumerevoli sventure non ha minore quella di vedersi privare dalle carceri del dispotismo di parti importantissime.
Rispondeteci subito a rigor di posta pel solito canale di vostro fratello, giacché quello della posta ci ritarda, ed inceppa moltissimo le nostre relazioni. Addio.
___________________
2 febbrajo 1857
Onorevole maestro, e fratello — Non ho risposto alle vostre lettere che m’inculcavano alla fermezza nel principio, ed eccitavano al sollecito sviluppo dei fatti, per non complicare corrispondenze, credendo bastevole che Nicola (Fabrizj) vi facesse partecipe delle mie lettere a lui dirette, non solo responsive alle vostre intenzioni, ma dichiarative dell’andamento del nostro lavoro, del modo con cui abbiamo sostenuta l’opposizione alle aspirazioni costituzionali moderate (impiantate dalle intelligenze maggiori, radicate dal martirio e fecondate da uomini d’ingegno e reputazione), degli ostacoli materiali gravissimi, dai quali siamo imbarazzati, e dei mezzi che crediamo indispensabili per poterli superare, ed infine, del come la cooperazione vostra avrebbe potuto far finalizzare il lavoro e renderne decisivo lo sviluppo. Da ciò io mi attendeva altri risultati che quelli ottenuti, e perciò trovo indispensabile scrivervi direttamente per ottenere risposta precisa su i miei propositi, dalla quale io credo debba dipendere o il disperare di un pronto avvenimento, od il porre in atto subito le aspirazioni nostre ed i desideri di tutta Europa democratica.
È falsa l’idea di voler raccogliere grano da un buon terreno che fosse seminato di loglio; dando per ragione di ciò, che il grano serve, e che il terreno è buono; non son queste le condizioni essenziali perché il grano nasca, ma ci vuol quella di seminar grano, e le altre due condizioni allora possono ben valere ad accrescere il prodotto ed a migliorarne la qualità. È questa la posizione in cui trovasi il Sud sul quale tutti sperano anzi vogliono il prodotto di ciò che non hanno seminato; e gli uni pretendono che si facesse una rivoluzione coi fazzoletti (di fronte a un governo che esterminerebbe senza pudore quei deboli inermi che la intraprendessero} e pretendono ciò senza dare soccorso di sorta; mentre essi in condizioni incomparabilmente migliori non sanno fare il decimo di ciò che propongono; gli altri (che siam noi) vorrebbero che si facesse una rivoluzione com'è dovere; ma senza pur fare un preparativo oltre quello d’inviare parola di verità stampata in quindici o venti copie, fra cinque milioni di uomini o sfiduciati o delusi, o fecondati più accuratamente da propaganda diversa, e via e via. Ecco lo stato in cui è il paese ed il nostro lavoro. Qui dopo che il paese è stato spogliato delle più belle menti e delle braccia migliori, vi è una combriccola di gente istruita che nelle passate vicende trovandosi presa dal vortice cadde in disgrafia governativa; e questa unita a gente onesta, mite, ma operosa, valendosi del proprio ingegno e dell'accredito dell’onestà ed operosità altrui, à cercalo prepararsi un avvenire aprendosene le vie fra le diplomazie diverse, e traccheggiando il popolo fra i mille venti che cangiano; e mentre ciascuno di costoro à legami speciali, chi col Piemonte, che è interessato alla legalità (che significa ritorno dello Statuto del 48), chi alla successione, e chi (manco con Murat, pure in frotta sono in apparenza uniti quando gli eventi favorevoli ad una frazione d’essi fa muovere la tale o tal altra diplomazia a trattare coi suoi, e ciò con intendimento di non rimaner fuora, in caso di riuscita: ed or l’una or l’altra diplomazia approfittano dell’ingordigia speculativa di costoro, per ispargere il suo proprio veleno infingendo protezione e favore; e così l'oscillarla diventa sistema, e si fortificano tutti nell’abbattimento.
Da qui abbiamo noi cominciato un lavoro senza aver potuto distruggere l’altro; e noi senza uomini all’interno, che per antecedenti avessero potuto richiamare a loro le intelligenze e la massa; che invece anzi mai non conoscevamo né eravamo conosciuti, privi di robusti ingegni proporzionali all’opera che imprendevamo, propagatori d’un idea che (per non so qual fatale trascuranza antecedente) arrivava o estranea o repulsiva nella gran maggioranza, e senza mezzi; ma solo con l’appoggio di stampa volante che dovea servire di propaganda, e poi coll’Ebdomedario, non potevamo che suscitare sospetti. Non ostante cominciammo ad aver vita. Le sventure sofferte da carissimi che ora son fra voi (237) posero più in vista e fortificarono l’idea nostra, ed avvantaggiammo; ma delle buone innumerevoli porte che picchiammo non se ne aperse che ad intervalli qualcuna; e quando vollero davvero conoscerci addentro non trovammo altro che il numero de' buon volenti operosi erasi accresciuto di uno o due; e mentre ci stimavano come individui, compiangevano la nostra impotenza. Ma noi non ci sgomentammo perciò; che anzi d’ogni gocciola d’acqua saponata ne facemmo una bolla, e fermi nei buoni principii e coperti di un velo magico che non involgeva per entro quel concreto che altri avean d’uopo trovare, silenziosi e cauti, cominciammo ad ordinare il Partito d’Azione, tenendoci coi dottrinari in tutt’altra misura, e cercando di non farli conscii dell’opera nostra. Il lavoro quantunque energico, costantissimo, procedeva troppo lentamente in raffronto alle esigenze; ma si avea di già il lavoro iniziato in provincia, e speranzoso in Salerno e nella truppa.
Una incidentalità impreveduta pose un reggimento in istato d’iniziativa (238), ma la mancanza di migliaio di scudi da parte nostra mosse sospetto di debolezza del Partito, e tutto andò a male, ed andò a ruina non solo il lavoro sperato in questo, ma ci discreditammo in altri lavori fatti in altri reggimenti, e nella truppa rimasero convinti che il nostro buon volere non era coadiuvato da alcun nostro potere.
Intanto perché non andasse a vuoto questo fatto decisivissimo noi tentammo tutt’i mezzi, fra i quali il ricorrere ai moderati. Il fatto stesso, ed il loro mal comportarsi in questo, fece cangiare la scena; d’allora in poi essi videro fra noi un lavoro che essi non avevano mai avuto, la fama si divulgò, e noi apparimmo fra tutti, gli unici lavoratori serii, concreti, ma impotenti per mezzi. Una lotta accanita d’allora ci spiegarono, e voi dovete sapere il come l’abbiamo sostenuta, o potrete informarvene da Nicola Fabrizj. Dopo ciò avemmo dei mezzi dagli amici di Genova e Ida Fabrizj, ed avemmo agio ad imprendere preparativo concreto, a soccorrere in momenti di pericolo influente, che poi è stato tutto nostro ed ha strombettata ed esagerata la cosa per modo, che ora siamo essenzialmente considerati come quelli che unicamente abbiamo un lavoro, e l’energia ed i mezzi per sostenerlo; e se non abbiamo potuto ottenere un fatto decisivo, abbiamo potuto però sostenerci energicamente contro il Murattismo, che avrebbe senza ciò apportato tanto disdoro all’Italia, che non ci sarebbe restato che il seppellirci per vergogna di vivere all’aperto (239). Intanto arrivò il tempo in cui i moderati volevano eseguire il loro piano cioè, di (are con una dimostrazione incarcerare tutti i migliori, e rovinare ogni cosa (come è naturale in un governo insolente, feroce, sfacciato, e che va a tentoni per conoscere il proprio nemico); ma per «commuovere così la Diplomazia estera, che con le lagrime agli occhi verrebbe a riscattarci»: ed alla partenza di Brenier promisero a questo di fargli fare una dimostrazione imponentissima, e gli assegnarono pure il modo e le strade da percorrere; ma la maggioranza degli studenti e del Partito d’Azione in generale volle sapere da noi il da farsi; e gli dicemmo che il rappresentante dell’oppressore di Roma, di Grecia, e della democrazia francese se era acclamato da noi ci avrebbe resi complici della sua Tirannide. La nostra energia fece vincere a noi la lizza, e questi negozianti politici rimasero umiliati, rabbiosi, meditando la loro impotenza. Altri fatti simili e più vergognosi ancora sono stati promossi, e da noi attraversati, e potete immaginare quale guerra ci han mossa non escludendo neppure l’arma della calunnia. Giudicate ora voi con quanta delicatezza di tatto e circospezione abbiamo dovuto agire di fronte ad uomini che hanno ben la loro voga, che son conosciuti da tutto il paese, e che han mezzi particolari moltissimi, ed hanno ingegno e modo di porgere insinuante ed elegantissimo, e pure operatori influenti illusi.
Noi intanto avevamo ordito un lavoro nel Partito d’Azione che Carlo (240) vi manifesterà, essendo a lui noto, ed a me scarso il tempo.
Dopo questa storia vado in un’altra essenziale, e domando. Debbonsi a me le lodi di questo difficilissimo e pericoloso lavoro, fatto sotto la pressura della più infame Tirannide, interrotto le mille volte da carcerazioni inattese ed attraversato dalla opposizione più sfrenata dei moderati? Io non ho fatto che il mio dovere, e troppo volgare opera per ottenere questo merito. È il paese che sente il bisogno di non protrarre più a lungo il peso di un giogo di ferro che lo strazia ed umilia, e cerca in ogni fil di ragno un'ancora di salvezza; è il non aver trovato nucleo migliore, né migliore ordinamento; è la speranza, il volere che tutti hanno, che li muove a congregarli. Ma è bastevole l'opera fatta a dar garenzia della riescita nelle condizioni governative del paese, nelle condizioni frazionati del Partito, nella mancanza di una positiva direzione interna, nella mancanza di armi e danaro? E la perenne esperienza che i martirii sono stati solo l’unico risultato di ogni tentativo; e le delusioni perenni han qui radicata la massima che devesi fare cosa grandiosissima, o niente, ed i moderati che intendono non poter mai, per mancanza di mezzi, fare la prima parte, appoggiano questo pensiero, di già convertito in succo e sangue in ognuno additando i risultati di tutti i piccoli fatti tentatisi dal partito avvanzato.
L’essersi accettata l’idea Murat proposta dalla parte peggiore del paese, non ostante la repulsione che si avea a tal fatto, ma solo perché vedevansi mezzi per ottenere lo scopo di abbattere l’odiato presente, mentre Murat non aveva alcun lavoro speranzoso per esso, è prova della nostra certa vittoria nel momento che i preparativi, che non dipendono da noi fossero adempiti.
Io adunque ricorro a voi in nome del paese infelice, e vi dimando consiglio ed aiuto, e son certo che a queste condizioni noi potremmo tutto, e non tardi; ma se invece lasceremo il campo nel traccheggiante trattenentismo de' moderati senza dar noi un appoggio concreto determinante, allora non ci dimandiamo più l’un l’altro se siamo o no pronti, né ci facciamo sollecitudini, perché il lavoro procederà (non ostante l’interesse e la sollecitudine nostra) con lunga lentezza.
Io intanto per dare al lavoro quell’accredito che la mancanza di svariati mezzi gli toglie, ho cercato concatenare i lavori fatti nelle diverse provincie, perché così il lavoro si accreditasse dal lavoro istesso; ma mi sono ben presto avvisato che non pensando tutti allo stesso modo, essendo ligati a noi come Partito d’Azione, avrebbero seguita la bandiera nostra dando noi l’iniziativa fra quelli che la caldeggiano, ma non sarebbe riescito il nostro piano quando conoscendosi fra loro si trovavano discordanti prima del fatto ed avendo alcun tempo per ragionarvi sopra.
Riassumo. Noi abbiamo un lavoro che mi sembra bastevole elemento per una iniziativa imponente e decisiva com’è richiesta. Abbiamo in vista alcuni fatti che possono servire di spinta, e forse determinare un’azione. Abbiamo i bisogni del popolo che c’impongono a fare la volontà loro. Manchiamo di direzione interna proporzionale all’opera da iniziarsi, manchiamo d’armi e danaro: voi potete coadiuvare in ciò che a noi manca? Abbiamo in vista un piano che ci sembra determinante, e che per la mia momentanea condizione di latitante e per arresto di persona in ciò interessata (241), io manco di elementi per manifestarvelo al momento; ma credo che Fabrizj già ve lo abbia palesato, o gli scriverò subito che ve lo palesasse; esso riguarda il modo di togliere da Ponza con un vapore uomini e armi, e disbarcarli in un sito che v’indicheremo; potete voi fare seguir ciò?
Ripeto: se non potrete coadiuvarci non sperate che si segua una minima cosa che succedesse altrove, né altra dello stesso conto che accadesse qui stesso; potrebbe ciò accadere solo se i moderati non fossero infatti come sono. Qui tutti attendono a momenti un’insurrezione, tutti la credono una necessità. La truppa dopo gli ultimi avvenimenti è compromessa in faccia al governo, non tollera il suo stato; ma niuno trova ciò che gli è conveniente alla riescita.
Milano, amico nostro, ci rimprovera dalla tomba, mentre, ammirava l’operosità nostra E mi dimandava se voi avevate rivolte le mire vostre a noi perché egli solo così vedeva potersi compiere il disegno che egli voleva iniziare.
É inutile che vi ricordi che egli disse ai giudici che lo interrogarono, che la sua fede era la mazziniana. Nel sito dove morì l’eroe la notte del 25 gennaio (Riservato) facemmo noi mettere un palo con la bandiera tricolore con la Leggenda, Viva la Nazione. Altre bandiere furon pure messe in altri siti con la cennata leggenda, e con quella di, Viva l’Italia: la polizia se ne allarmò.
La mia posizione di latitante non mi ha permesso scrivere di mio carattere, ma lo scribente è il cognito mio socio, da tutti gli amici riconosciuto tale ed apprezzato sotto il nome di Luigi Dragone — Firmato Kilburn (242).
___________________
Napoli li 2 febbrajo 1857
Amico carissimo — Una delle grandi rovine nostre è stata sempre quella di venirci detto «decidete dell’una o l’altra cosa su due piedi». Chi si trovji nella nostra posizione, non può né dev’esser messo in questa posizione. L’amico Mazzini che da trenta anni e più non ha potuto avere alcun risultato d’attuazione, oltre il magnanimo di Roma, e noi che da dieci anni siamo nella stessa condizione avremmo dovuto capire questa verità. Noi non abbiamo il mondo e gli eventi a nostra disposizione; perciò dobbiamo per mezzo di un piano determinato arrivare ad uno scopo facendo concorrere tutti gli elementi alla coadiuvazione di quel piano — eccetto il caso che il genio non vegga, e s’avvalga di impreveduto. Io vi chieggo in grazia che quando si tratta di affari determinanti, non mi diciate più «scegliete subito o questo o quell’altro, altrimenti l’affare che potrebbe essere risolvente per voi passa in altre mani». Come volete che io decida, non sapendo se la tale condizione messa in altre mani possa addivenire momentaneamente decisiva, o no. La nostra condizione è quella che noi abbiamo alcuni dati elementi, ed abbiamo bisogno di essere coadiuvati, secondo me, da alcune date condizioni per ottenere da questi elementi il risultato richiesto; ora se mi si dimandasse, avverate tali condizioni dopo un giorno potremo ottenere il desiderato effetto, io risponderei che non sono padre eterno, e che le condizioni servono a preparare gli effetti, e chi dicesse diversamente in altri luoghi mentirebbe. Se si riflette che Mazzini è stato trent’anni senza ottener risultati si troverà giusto il toglier di mezzo i dilemmi, e si penserà concordemente e con tutta la operosità possibile a preparare successivamente e solidamente quel sito che si crede il decisivo.
Mazzini mi scrisse che dopo un altro tentativo avrebbe rivolto il suo pensiero sul Sud: lo aspetto. Ohi se prima avesse fatto questo pensiero! La lettera che gli ò scritto, è corsa forse un po’ scomposta, ma la mia posizione non mi permette poter scrivere esattamente — Firmato Kilburn.
N. B. In questa lettera vi era acclusa l’altra n° 4, perché Carlo fosse pienamente informato, ed egualmente a Mazzini.
___________________
16 marzo 1857
Amico carissimo — Eccovi la risposta di Mazzini, essa è secondo le vostre speranze e desiderii. Spedisco l’originale a Fabrizj, avendo mezzo sicurissimo. Il contratto accettato è già in corso, né credo che prenderà molto tempo.
Per la cooperazione io conto più sulla disposizione morale che sugli accordi, sacrifico questi al segreto, e però alla sollecitudine di operare. Se avessi lutto l’occorrente opererei. Tutto ciò che mi verrà da voi sarà utilissimo, preziosissimo, ma il puro necessario v’è. Io non vi dichiaro responsabile di nulla, né io lo sono verso di voi: se la nostra coscienza ci dirà che abbiamo fatto tutto quello di cui eravamo capaci basta, qualunque sia il risultamento.
Il nuovo contratto, naturalmente, annulla l’antico. Le balle 250 marcate armi e munizioni saranno messe nel magazzino Vapore (243).
Intanto mi bisogna la vostra polizza di carico per ritirarle; urge dunque che mi spediate l’accordo, anche se dovesse essere simulato: chi possiede le 250 balle non deve neppure immaginare che sia in corso il secondo contratto; deve credere sempre al primo: quindi la vostra polizza di carico vera o simulata ci rende padroni delle 250 balle, marcate armi, le quali o saranno messe nel magazzino Vapore, o pure, se il secondo contratto non avesse luogo, cosa assai difficile, nel magazzino Barca.
Dunque preme, la polizza di carico per le 250 balle marcate armi; indicarmi il punto di spiaggia se prima o dopo Palinuri: io crederei dopo. Queste due indicazioni potrete inviarmele subito: le altre, che riguardano Ponza, quando potete, e se lo potete. Spero avrete ricevuto la mia del 10 corrente: in questa certezza non ripeto le cose dette. Il padrone del magazzino di Malta ci ha fatto pervenire un istrumento per conservarlo a disposizione vostra, vi sia di avviso. Ho ricevuto la vostra del 25 per mezzo del Console… alla quale risposi con lo stesso mezzo, e quella del 5 corrente spedita dall’amico noto, ed ora mi avvalgo dello stesso mezzo per far pervenire questa in mano sua che ve la consegnerà, sperando ch’egli stesso mi rechi la risposta, o per mezzo del Console… s’egli ancora ritarda. Avrei ancora altri mezzi per farvi pervenire nel modo stesso lettere ed altri oggetti, ma non credo prudente che molti abbiano conoscenza del luogo, e però senza una imperiosa necessità mi avvalerò solo de) già noto la cui prudenza è conosciuta.
Ho ricevuto con lettera di Malta la fattura (174): cercherò soddisfare a tutto quello che desiderate.
Credo anch’io che la mira di una facile dicitura abbia dato quel carattere alla credenziale di Cosenz (244) imperocché la persona medesima verso cui vi accreditava, dimostrò il desiderio di porsi in relazione coi suoi corrispondenti — Carlo.
___________________
6 marzo 1857
Fratello — Voi per la prima volta mi proponete un’operazione definita, concreta, pratica: com’è debito e impulso dei core l’accetto: me n° occupo subito, e sarà fatta. Sia nota a pochi, a nessuno se possibile; ogni cosa dipende dal segreto. Non avete bisogno per preparare che di annunziare cosa che darà l’impulso. Date all’amico, il quale trasmette la vostra per me, ogni ragguaglio su Ponza. È essenziale.
Ciò che noi faremo è nulla trattandosi di vostra arena, è una scintilla, il farne incendio dipende dal vostro agire sul punto ove siete. Non lo dimenticate. Non ò bisogno di dirvi che l’azione sul vostro punto riuscendo sulle prime è il sorgere di una Nazione: della risposta sovr’ altri punti ini reco io mallevadore, se la bandiera sarà di Nazione. Alla forma penserà il paese, ma quella condizione è essenziale.
Ricordatevi che il vostro punto raccoglie l’eredità trasmessa «in nome di Dio e del Popolo» e non d’altri padroni da Roma a Venezia.
Addio, amate chi vi ama e stima — G. Mazzini.
___________________
24 marzo 1857
Amico — Il contratto è conchiuso, il Socio mj dice che l’attuazione dipende da me: ed io, a mia volta, vi scrivo che non mi resta altro a fare che ottenere la vostr’adesione, tutto ciò che dipendeva da me è fatto. Dico la vostra adesione, per esprimere, non altro che le notizie da me dimandate nell’altra mia, che riguardano diverse balle di merci marcate come segue.
Tuttociò che sapete riguardo le merci Ponza scrivetemelo senza il menomo indugio: interrogate un marino del luogo per l’entrata del porto di Ponza. Se le merci Vapore del governo sono, ed in che quantità, apparecchiate nei magazzini di Napoli e Gaeta. Sappiate che il vostro riscontro io l’attendo oggi stesso 24 marzo, ma vi ripeto le domande pel solo caso, il che è quasi impossibile, che le mie speranze rimanessero deluse; quantunque è molto probabile che il riscontro alla presente giungesse tardi.
Credo cosa inutile discorrere più di questa faccenda: vi scriverò su tale riguardo solo per darvi nuove della mercanzia seguente: attuazione: e per vostra regola è buono che sappiate che dal giorno che vi darò tale avviso all’arrivo passeranno circa venti giorni, giacché il Vapore partirà da Londra con bandiera inglese — ciò nessuno lo suppone — Mazzini termina la lettera diretta a me ultimamente «quando mi direte (tutto è fatto) io dirò venite.
Mi resta una sola cosa ad ultimare — Ciò fatto dirò a Mazzini — son pronto.
Se avete cosa di rilievo a dirmi il potete nel seguente modo: martedì partirà da Napoli il vapore Sorrento; cercate di Giovanni.... cameriere, date a lui la lettera a me diretta — In ogni modo se io avrò vostre lettere con il commesso Sigaro o con l’altro inglese partirò per recarmi subito che sarò chiamato, e ciò non potrà mai avvenire che verso il (20 o 25) aprile e però il Vapore sopraddetto mi troverà qui.
Se per un caso stranissimo non avessi alcun riscontro vostro, ed intanto ricevessi da Mazzini chiamata, rimarrei sino a martedì (trenta) aprile.
Dunque se non sorgono ostacoli nuovi la cosa, o meglio lo sbarco, si farà ai venti o ventidue di aprile — sarà mia cura avvisarne con precisione.
Spero, per tale oggetto, mandarvi un poco di denaro. Veggo la cosa come utile e di felice risultamento; non ho che un dubbio solo (che il solo fatto potrà scacciare, imperocché se si volesse togliere, la cosa sarebbe minata): temo che i relegati ricusassero la loro cooperazione — se questa non manca il resto è sicuro. Cosenz mi scrive: «era ben naturale che «quel viglietto d’introduzione non dovesse indicare nulla, avvegnaché io aveva già parlato della cosa con la persona. Ho voluto concepirlo a quel modo, affinché in caso di smarriti mento non potesse nuocere ad alcuno». Vi accludo l’articolo scritto sui deportati: col commesso Sigaro ve ne spedirò un certo numero di copie. Le medaglie sono in parte in mie mani: le spedirò collo stesso mezzo.
Lord Palmerston interpellato se sarebbe intervenuto contro l’istallamento d’un governo repubblicano a Napoli ha risposto che l’Inghilterra non interverrà mai per imporre colla forza una forma di governo piuttosto che un’altra. Ecco confermata la mia opinione; questo è il primo passo; se un moto nel Napoletano accresceva le simpatie del popolo inglese, l’Inghilterra forse si farebbe la propugnatrice del non intervento, ed è questo il solò ed il più grande bene che possiamo sperare dagli stranieri.
Avrete dovuto ricevere due mie lettere, una di riscontro a quella che spedì il commesso Sigaro (245) l’altra che ripeteva quasi la stessa cosa per mezzo del commesso inglese con lo scritto da voi chiesto, due giornaletti ed una credenziale. Abbiamo avuto i ritratti — Nelle due lettere a voi dirette eravi trascritta quella che v’inviava Mazzini.
L’amico Fabrizj scriveva come cosa urgente di fare scrivere una lettera da L. S. al fratello di M. M. per la sua quasi defezione, il che avrebbe impedito l’esecuzione del contratto barca. SS. dice che scriverà direttamente; intanto siccome VV. è pure suo amico, si offrì di scrivergli ed io ho accettato l’offerta. Egli senza rimproverarlo di mutate opinioni lo prega di non raffreddarsi per le cose nostre, lo esorta ad esser caldo e conchiude chiedendo un riscontro per mezzo vostro persona cara ad entrambi. Basta: noi speriamo e la cosa ora può dirsi certa che non abbiamo bisogno della sua cooperazione non avendo più luogo il contratto barca rimpiazzato con vantaggio dall’altro vapore che va da sé.
Ricevo lettera da Mazzini in data del 19: mi scongiura di troncare ogn’indugio — siavi d’avviso — Saluto voi col Socio — Carlo.
3 febbrajo 1857
Amico — Vi scrivo di nuovo, giacche il tempo stringe: in questo punto ricevo lettere di Mazzini, e mi annunzia che in questo mese corrente, o, al più tardi, nell’entrante giocherà l’ultima carta. Risponde alle mie insistenze per giocarla sul vostro punto, cerca combattere le mie ragioni, e conchiude le parole che vi trascrivo «Vi prometto di sottoporre la quistione a Kilburn, appellandomi alla sua coscienza. Se ei mi dirà: credo che quella forza possa produrre il risultato voluto sul resto, la dirigerò là».
Dunque tutto dipende da voi, se voi avete già fatto quanto io vi pregava nella prima mia il problema è risoluto; e se voi non opinate altrimenti io mi dirigerei (nel caso che vi sarà) alla spiaggia di Calabria, la prima delle tre. Rispondete per carità, e senza indugio. La barca è pronta, aspettiamo vostro avviso. Salute. — Carlo.
___________________
Genova 10 febbrajo 1857
Amico carissimo — Ho ricevuto con la massima sollecitudine ed esattezza le vostre del 2 corrente, due a me dirette, una per Mazzini, ed un’altra pel Console...
I due pacchi che furono per me spediti a quest’ultimo, non sono in mie mani, né ho speranza di ricuperarli, imperocché io non solo ne feci personalmente ricerca, ma ne feci chiedere anche da una Signora sua amica, ed il Console rispose che non aveva mai ricevuto cotesti pacchi: io tornerò, e mi avvalerò della lettera che mi avete inviata, augurandomi miglior risultato, essendo cosa che mi sta molto a cuore, come potete comprendere. Cotesto Console non à il costume di gettare le lettere alla posta, ma cerca sempre di fare avvisare l’individuo al quale sono dirette, acciocché andasse a ritirarle; se mai contro l’usato l’avesse fatto con quei pacchi, essi sarebbero andati nelle mani di un tale M. Charles; che non si sa chi è, ma che gli Ufficiali della posta mi dissero che esiste: non dubitate che per parte mia non tralascerò di fare tutte le necessarie e possibili ricerche. Col passato ordinario, con questo mezzo, ricevei una lettera da costà, e mi fu consegnata esattamente: non ho capito da quali mani venga, non sono che notizie, presso a poco le medesime che ci ha spedite l’amico di Malta (Fabrizj) e che abbiamo fatto già pubblicare le une e le altre tanto su l’Italia, come sul Diritto: il Corriere non volle accettarle, è un giornale schifoso; nondimeno su di esso vi saranno inserite quelle che abbiamo saputo a voce, e che poi una parte io le ho lette e confermate nella vostra a Mazzini — la faccenda delle bandiere — La lettera che ricevei io supposi che fosse del commesso, giacché era scritta dal luogo ove egli si trova; ma siccome non eravi alcuna notizia sua personale, che per me sarebbe stata interessantissima per la stima ed amicizia che ho per lui, supposi che fosse d’altri.
Con l’altro mezzo vi risponderò alle cose che riguardano Mazzini: non sono io, caro amico, che stabilisco le alternative, ma le circostanze che mi costringono a farlo: io comprendo quanto la vostra condizione è delicata e difficile, né sarei io quello, che da fuori, e giudice incompetente delle cose, mi farei a dettarvi condizioni; i miei principi, su tale riguardo, ve li ho molte volte manifestati; noi non dovremmo essere altro che persone, le quali pongono loro stessi e quelli di cui dispongono a vostra disposizione.
Intanto profitto dell’opportunità per discorrere con voi un poco delle presenti condizioni d’Europa. Il grande dramma che ebbe principio con la famosa guerra di Oriente finalmente è terminato, e, coll’abbassarsi della tela, tutte le speranze compite, tutte le illusioni che quegli avvenimenti fecero sorgere sonosi dileguate come nebbia al vento — Il Piemonte, che per rispetto all’Italia è stato il protagonista, ha dato principio allo scioglimento del Dramma, di cui egli medesimo aveva composto l’inviluppo. Appena aperto il parlamento, i Deputati Brofferio e Pallavicino, repubblicano l’uno, sabaudo l’altro, ma onesto, han chiesto conto ai Ministri dell’operato. Gli hanno dimostrato che i fatti non rispondevano alle parole, alle promesse fatte dopo il Congresso di Parigi; il ministro si è visto stretto da una logica serrata, ed ha parlato chiaro; à detto che egli disapprovava tutti i tentativi fatti in Sicilia ed a Napoli, che non avrebbe mai né aiutata né secondata la rivoluzione contro potentati coi quali non è in guerra; in somma ha detto chiaro e tondo che egli non desiderava, né avrebbe mai favorito la rivoluzione, ma che se poi fosse scoppiata terribile e trionfante, allora poi avrebbe fatto il bene d’Italia, cioè il Piemonte come sempre ha fatto vi si caccerebbe dentro per ammorzarlo e guadagnare per lui un'altra foglia del carciofTo: noi poi siccome siamo lo stipite. di questo carciofTo che Savoia appetisce, saremmo abbandonati a quei competitori che gli lascerebbero la. cima. Ha parlato il Ministro della politica degli Occidentali verso Napoli, ed ha detto che il supporre in quel regno un intervento armato o diverso da quello che già è stato, era farsi la strana illusione!!! Figuratevi come sono rimasti tutti coloro che aspettavano di veder fulminato Bomba ed obbligato da Francia ed Inghilterra a prendersi come Ministri, ed affidare le cariche del Regno a quella combriccola di brogliatori che cerca farsi strada strisciando nel fango. Ma il più bello è stata la figura fatta dal Mamiani: l'orgoglioso retore prende la difesa della politica ministeriale, e dopo un miserabile artifizio di frasi dice che la vertenza degli occidentali con Napoli non era finita, né poteva finire così; i dottrinanti applaudirono, noi lo ricambiammo col sorriso del più profondo disprezzo, meritato da un uomo che esprime convincimenti ch'egli non ha. Scorrono appena quindici giorni — si apre il Parlamento inglese, figuratevi l'aspettazione universale!!! Cominciano le interpellanze sulle cose di Napoli, e Lord Clarendon risponde chiaramente che si è fatto tutto quello che si poteva, e che infine il re di Napoli aveva accordato delle amnistie, e che avrebbe migliorato le condizioni dei detenuti col deportarli in America. Quale più solenne smentita alle previsioni ed alle speranze del Mamiani!!! — Un'altra vertenza e le rivelazioni su di essa hanno spiegato ancora più chiaramente la politica europea: la vertenza della Svizzera e della Prussia: allora si disse che l'Inghilterra aveva preso a sostenere la prima con tutte le sue forze; invece Palmerston ha dichiarato che il Governo della Regina aveva mostrato delle simpatie per la Svizzera, ma che le aveva dichiarato che non la sosterrebbe in alcun modo; e poi erasi unito con la Francia per accomodare la vertenza. Da tutte queste rivelazioni vedesi chiaramente che l'Austria, la Francia e l’Inghilterra non formano che una sola lega, legala quale si propone come scopo principale di spegnere e distruggere tutte quelle cause che potrebbero produrre il più piccolo incendio: l’Austria ha fatto alle potenze occidentali la concessione di non molestare il Piemonte, e le potenze occidentali han promesso all’Austria di sostenere nel resto d’Italia lo statu quo — Quindi tutta la politica esterna riducesi — mantenere lo statu quo — Quale è poi la politica interna d’ogni Stato? l’Inghilterra deve pensare seriamente alla quistione sociale, delle torme di operai percorrono la città gridando: non abbiam lavoro — I meetings contro alla tassa sulla rendita sono numerosissimi, quindi essa cerca sempre aprire nuovi sbocchi al suo commercio nella China; ivi tuona facilmente il cannone per aprire l’accesso a balla di cotone. In Francia la Corte è occupatissima per trovare cosa da sostituire alla crinolina dell’imperatrice la quale vuole assolutamente trionfare di questa moda senza disdoro del suo...
L’imperatore scherza col figlio nelle Tuilleries, facendolo trascinare da quattro capre in una piccola carrozza, manda la flotta in linea per dare occasione al pubblico di occuparsi in cosa, e per fare festa in commemorazione delle vittorie del suo impero, e lo stupido volgo allorché gli vien detto, che costui disonora la Francia, risponde con quel loro fate: c'est vrai mais,… là il a fait un grand coup, e ciò basta per contentare i Francesi — In Austria trionfa il partito burocratico sul militare, quindi completa amnistia a tutti i detenuti politici, elogii ai Lombardi e promesse di rispettare il loro carattere nazionale, ed in fatti il nuovo sistema di governo da esso adottato si allontana da quella centralizzazione che tanto urtava la suscettibilità de' varii popoli che compongono l’impero — Il Piemonte tira innanzi come può in un paese il cu……………………………………………………….……..; il cui Ministero non mira ad altro che a vivere; quindi a comprare la maggioranza della Camera con impieghi e favori. quindi tasse sopra a tasse: ed il popolo? La parte culta sfiduciata tiene in dispregio le presenti istituzioni, né si presentano ad esercitare i loro diritti di elettori e di G. Nazionali; il basso popolo, e particolarmente la Liguria, abborre il Governo come i Napoletani Ferdinando II, giacché non veggono da tale sistema che un aumento di tasse senza vantaggio veruno — Ma mentre tutti i governi sono così abbietti ed ostili ad ogni miglioramento delle condizioni di Europa, i popoli sembrano tutti insieme in una santa lega, e punto d’appoggio del loro avvenire fanno la Patria nostra. L’opinione pubblica in Inghilterra è tutta per noi, il popolo inglese sarebbe pronto a sostenere il non intervento in una lotta che s’impegnasse in Italia fra popolo e Governo: dalla Francia giungono lettere particolari, giacche ivi la stampa è imbavagliata, che ci dimostrano le loro simpatie e ci assicurano, che una rivoluzione italiana potrebbe solo scuotere i Francesi dal letargo in cui sono; in Italia non è che una mina alla quale bisognerebbe appiccare il fuoco — E bene: lascio a voi considerare in tale stato di cose quale impressione abbia fatto un memorandum pubblicato dai giornali come proveniente da Napoli, in cui, col più sfrontato cinismo s’invoca l’intervento straniero. Io non voglio discutere qual nome meriti un uomo il quale invochi contro il proprio paese le armi straniere; viltà e perfidia nel tempo medesimo, degna di quei faziosi del medio Evo che per sostituirsi ad un governo che li tiranneggiava invocavano la conquista — Ma poniamo da banda la perfidia, la viltà che vi è in tale pretesa e vediamo se siavi senno: se questo Governo cadesse all’intervento di forze straniere, chi potrebbe in avvenire guarentire le franchigie o i miglioramenti ottenuti con questo mezzo? Non basterebbe l’intervento ma sarebbe necessaria una flotta o un esercito sempre pronto a garentirvi contro lo spergiuro e l’usurpazione del tiranno. Un popolo che non può da sé medesimo conquistare i proprii diritti non può neanche sostenerli. Indicatemi un popolo solo in Europa che non debba a sé medesimo quei diritti che ha. L’intervento non ha mai conquistato o garentiti diritti, ma li ha sempre conculcati ed ha sempre sviato il popolo dalle sue conquiste; l’intervento l’avrebbero questi signori che tanto lo desiderano; ma l’avrebbero per sostegno di Ferdinando se l’opinione pubblica non ci facesse sicurtà su tale riguardo, nel caso che il popolo si scuotesse — Ma ammettiamo che l’intervento fosse cosa onorevole ed utile ad un tempo, non bastava la condotta tenuta dalle potenze occidentali, le dichiarazioni del Ministro Sardo per esser convinto che la Francia e l'Inghilterra non avrebbero mai attaccato il re di Napoli? — Si commette una viltà per ottenere una cosa che si desidera, ma avvilire sé stesso, avvilire un infelice popolo al cospetto dell’Europa, farci arrossire di dirci Napoletani, a noi che amiamo il paese nostro d’immenso amore, per non ottener nessun risultato, è cosa veramente dolorosa! Bisogna dire che gli autori del memorandum, non solo sono vili ed abbietti ma stolti, dissennati, uomini che in politica non veggono al di là del loro naso.
Ha fatto così trista impressione questo documento, che la maggior parte non trovando altro mezzo di recusare cotale atto, l’ànno attribuito a quella frazione di emigrati a Torino che non hanno patria, o l’hanno per offrirne l’onore in olocausto alla diplomazia straniera dalla quale traggono resistenza. Mai credo che le condizioni del nostro paese sieno più chiare e nette di oggi; mai credo che siavi un momento più di questo propizio per far tacere la discrepanza fra i partiti; quando il presente è insopportabile non si discute mai del domani: rovesciamo il presente, leviamoci di mezzo cotesto ostacolo, conquistiamo la libertà di discutere, e poi discuteremo. Quegli stessi che vogliono l’intervento, se tanto lo credono utile, certo, che possono più facilmente operarlo se impegnano una lotta, o se non avranno l’intervento, certo, l’appoggio ad un fatto compiuto lo avranno; la diplomazia non crea i fatti, ma non può far altro che riconoscerli, dopo che hanno avuto luogo.
Vi rimetterò tutta la discussione delle Camere piemontesi che abbiamo fatto apposta riprodurre.
Quegli oggetti di cui vi parlai e che volete voi, siate certo che li avrete quanto prima, quantunque non sia tanto facile che la persona incaricata a portarli per amore a tale memoria non ne ritenga qualcheduna. La vostra lettera a Mazziui è quale poteva desiderarsi, e non smentisce mai la vostra delicatezza, e l’espressione coscienziosa degli avvenimenti: in queste cose il nostro paese ha il vanto, da secoli, dell’iniziativa, del martirio, dei grandi fatti, e voi ci mostrate che ha, anche il vanto della verità — il più che sa, il meno che dice — Sono obbligato a terminare questa mia perché è già tardi.. Gli amici vi salutano, io riverisco il vostro Socio e famiglia e stringendovi la mano sono vostro — Carlo.
___________________
Napoli li 13 febbrajo 1857
Amico Carissimo — Voi sapete i fatti fra noi accaduti, e come è necessario seguirne l’andamento. Vi dichiaro però la nostra posizione precisa sì morale che materiale, perché possiate veder chiaro ciò che noi possiamo, e di quali mezzi abbiam d’uopo per seguitare il nostro dovere. Vi dissi che qui un nucleo di giovani costituzionali si è scosso dal magnanimo atto di Agesilao e dai fatti accaduti, e comincia ad operare con sollecitudine e gradazione in armonia dei mezzi miti che si propongono per effettuare uno scopo moderatissimo, e però apparecchiare con proclami, segni, ed altro lo spirito pubblico per condurlo ad una dimostrazione, ultimo mezzo che credono atto a produrre lo scopo. Essi come potete ben supporre sono ben’accolti dai vecchi costituzionali, e già sono uniti, e diventeranno ben presto loro agenti. Noi per ora possessori di personale più energico e d’azione siamo indispensabili alla esecuzione di questo loro progetto, e per le nostre viste conciliative li cooperiamo in tutto quello che non dà indizio di esclusiva frazionalità — ed i più essenziali fatti, come quelli delle bandiere ed altri che man mano andremo eseguendo, sono stati operati da noi; e quando alcun che di dimostrativo pacifico si ci presenta alla mente ce lo proponiamo in iscopo di tenerci concordi, e si esegue, o da essi, o insieme. Noi intanto mirando a scopo più radicale, è necessario che i nostri mezzi sieno più energici, e perciò al nostro nucleo che comior ciò a rispondere ai malaugurati fatti di Sicilia col malaugurato fatto di Agesilao, non compete che la guerra, la quale per iscarsezza di mezzi, non potendosi eseguire come in campo aperto, ha d’uopo di strategica più chiusa, ma questa guerra di apparecchio ha anch'essa d’uopo di un piano determinato, perché il sacrifizio raccolga i suoi frutti. E perciò sono determinatissimo dopo le dure esperienze, a non più dare orecchio alle pressure che ci venisser fatte, od alle urgenze che ci venissero manifestate, se non sappia che quei che ce le manifestano non partano dalle condizioni del nostro nucleo in rispetto alla via che si è stabilito dovere esso seguire, e superiormente approvate. In un piano da noi fattosi quando le inaspettate nuove di Sicilia arrivarono, potrete ritrarne lo stato del nostro lavoro che può servirvi come dato per giudicare e modificare questo nuovo piano d’azione preparativa e di apparecchi per l’iniziativa al piano della guerra d’insurrezione aperta.
Noi nelle province coltiveremo ed impiegheremo (per quanto fe condizioni frazionali e governative ci permetteranno) il lavoro, per modo che possa dare alquanta garenzia a sé stesso; ed in Napoli, ove l’imperio immediato dei moderati rende più difficile l’opera, seguiteremo a tenere il nostro patrocinio protezionale soccorrendo, agevolando, e compensando come si può le disgrazie e le opere dei popolani; unico mezzo che ci ha, di fronte agli ostacoli, prodotto influenza e credito. Per le province che sono nel dominio del nostro lavoro, vorremmo da voi un piano insurrezionale (non già rivoluzionario coni’è quello che vi abbiamo noi mandato ad esaminare); e per Napoli, che dovrebbe servire come determinante agli altri, abbiamo di già tirate le nostre linee per poter progettare il fatto seguente, con alquanta cognizione di mezzi per ottenerlo.
Questo fatto, oltre ai disastri che giova ottenere, ne produrrà ancora molti altri dannosissimi che si esperimenteranno nelle circostanze dell’indicato luogo ch'è centralissimo; ma non solo questi, altri più gravi ne potranno avvenire ed avverranno quasi certamente. Gli altri due reggimenti Svizzeri che sono in Napoli, o non più badando agli ordini governativi immediatamente usciranno, od ordinati coi loro capi, o rompendo la disciplina si daranno alla pazza ad ogni eccesso. Nel primo o nel secondo caso senza preparativi popolari tutti fuggiranno a ricoverarsi e non vi sarà per risultato che la strage degl'innocenti, ed un nuovo 15 maggio, e'se pur ciò valesse a commuovere la Diplomazia, frase dei moderati, non si otterrebbe che il risultato da essi sperato, ed a noi la taccia di belve, perché si direbbe che ciò poteasi ottenere anche sventolando dei fazzoletti. Forse peggio accadrebbe se piccolo nucleo resistesse; ché allora si direbbe Vittoria su frazione che non è interprete della Nazione.
Pare però (né la conoscenza del vostro criterio sprona a ragionamento per dimostrarvelo) che codesto fatto come segnale alla rivoluzione organizzata in Napoli e province, o come seguito di questa già iniziata in provincia, sarebbe determinantissimo, o d’appoggio ben grave, e che per ciò abbiasi a preparare. Intanto noi stiamo studiando e procurando mezzi come assaltare tutti i posti di polizia, ciò che romperebbe la tessitura del governo. Questi fatti avrebbero pure il vantaggio di essere conformi ai desiderii della truppa, la quale è ora esasperata ed ha sfiducia della durata del presente governo, non solo, ma vede, con resistenza di questo, la sua falsa posizione, e quasi direi precarietà; perché si propone di diminuirla per ora di molto, e per ora si assicura un contratto per altri seimila Svizzeri.
Il su accennato, le viste sul Castello se si potranno rendere attuabili, il piano di sbarco da voi comunicato anche a Carlo e altro amminicolo, potrebbero essere basi di un piano che dovreste distendere; osservando sempre che incidenza, o l’irriuscita di qualcuno di essi non sarebbe di danno all’assieme. Potendoci voi coadiuvare in queste larghe basi, noi potremo seguitare con isperanza; ma se ciò non si può, noi non avremo chi vorrà compromettersi all’iniziativa di un piccol fatto, che è convinto non sarà seguito; né la nostra coscienza è più pronta a dettare esterminii che non hanno altro risultato che il fatto stesso; perciò fate i conti con gli altri vostri amici Direttori, e cercate, dopo disteso il piano, di ottenere i mezzi per attuarlo; altrimenti rassegnatevi a questa profezia.
Noi cadremo vittime biasimate, il paese resterà a lungo nelle sventure, ed in ultimo i moderati saranno padroni del campo.
Conseguenza di ciò sarebbe il provvederci sufficientemente di armi, le cui spese di disbarco, di trasporto e di magazzinaggio sono fortissime, progetto per gli Svizzeri come calcolo approssimativo e preventivo costerebbe circa 3500 franchi; la propaganda dovrebbe essere più attiva e abbondante; le spese per l’affare Castello potrebbero riescire gravi per raccogliere De Monte — Documenti. c i prodotti del fatto stesso; i preparativi popolani ed il momento dell’iniziativa; le spese che voi fareste per l’esecuzione del piano che v’indicai.
L’invio degli uffiziali direttori nelle province, condizione sine qua non; la vita del Comitato tale da non scemare non solo di credito, ma di acquistarsi quello che è indispensabile alla diffinitiva intrapresa; la successione dei fatti che non ammorzino il prodotto di quelli di già accaduti; la venuta vostra e dei vostri amici ecc. ec. ecco ciò che occorre. Il mio Socio Dragone intanto ricava dal suo libro aver noi in cassa poco più di ducati ottocento, e per ciò vi sarà d’uopo di molt’altro per adempiere, almeno in massima parte, i doveri necessari all’adempimento delle operazioni a farsi. Questi sono dati positivi; altrimenti noi otterremmo que’ risultati che stiamo ottenendo da trent'anni in qua — Addio — G. Fanelli.
___________________
16 febbrajo 1857
Amico carissimo — Rispondo a tutto. 1° Avrete di già ricevuto per mezzo del Console la mia in cui discorro del soggetto da voi proposto, essa era in data del 9 stesso. 2° I plichi a me diretti non sono mai giunti qui. Il Console… personalmente mi assicurò che tutte le lettere le quali gli giungono nei plichi da altre legazioni non sono mai gittate alla posta, e rimangono sul tavolo finché il proprietario non venga a rilevarle; e questi plichi pacchi di cui parlava la vostra lettera non sono giunti qui; dunque dal canto vostro debbonsi fare le ricerche, ed io comincio a dubitare di procurata dispersione, poiché oggi il Times parlava di un Inglese chiamato Charles che doveva sbarcare in Sicilia, che anzi lo credevano già in quell’isola.
3. Voi sul luogo, voi solo giudice competente dell’opportunità dei modi, dei mezzi necessari, voi cooperatori, o raccogliendo mezzi, osservando, o consigliando, o informandovi di ciò che avviene, o dirigendo i nostri sforzi personali al luogo ed allo scopo da noi indicato, ecco la mia professione di fede, e quindi mai per mia volontà vi propongo alternative, io padrone dei mezzi vi avrei scritto; abbiamo questo, dite dove, come, e quando bisogna adoperarli, tutto al più avrei espressa la mia opinione, ma la cosa sta diversamente. Io so che Mazzini ha i mezzi, so che vuole impiegarli per un Vapore ed eseguire un disbarco in Livorno, in cui si dicono prontissimi e certi di Vittoria: eglino lo dicono in buona fede, ma io in quel punto veggo questa buona volontà, ma non veggo negli animi ed in tutte le altre cose la rivoluzione, quindi sono certissimo che non faranno nulla. Questo primo fatto per Mazzini è un pretesto morale per operare il monopolio ossia la insurrezione ov’io sono, per poi correre con una parte dei mezzi al Sud. Il piano perché troppo vasto non riuscirà, il primo fatto sarà un fiasco che trascinerà la ruina del secondo, ed ancorché tutto riuscisse, allora, per le precauzioni che si prenderanno non saremo più in misura di operare al Sud; la cosa rimane localizzata per poi morire e così sciupare le ultime nostre forze e speranze. Era questa la mia posizione, e quindi io ò insistito presso lui per dirigere a Malta le prime scorse, e sicuro che egli trovandosi coi mezzi avrebbe fatto anche senza di me al primo punto mentre scriveva a lui, io otteneva la promessa di sottoporre la quistione a Kilburn: era forzato di proporre l’alternativa; ora poi con la sua promessa, e la lettera da voi scrittagli io sono quasi certo di far dirigere al Sud queste forze: qualunque sia la cosa che avverrà io son sicuro che si sarà fatto il meglio possibile, anzi la sola cosa tentabile.
4. Parliamo del modo: prendere con denaro un vapore a Londra che facendo il suo giro con pretesto commerciale, con pochi determinati, poi al luogo opportuno dirigersi sul deposito, e poi al sito che indicherete, io mi porterei a Londra per eseguire la cosa: questo modo è il più semplice e il più segreto. Avvene un altro più pronto, ma di più difficile esecuzione: qui è impossibile aver vapore con danaro, e poi ne correrebbe subito fama, ed addio; ma non è impossibile ottenerlo a forza. Di tutti, quelli che vanno in Sardegna sono i più opportuni perché sulla via, e non se ne conoscerebbe la mancanza che dopo il fatto; perché più facilmente vi sarebbero ammessi i negozianti che si renderebbero padroni del vapore a viva forza. Finalmente Mazzini tiene, almeno lo assicurano, che vi sono a Costantinopoli circa dugento armati per servirsene in una simile occorrenza: quindi se mai rigettasse il vostro progetto che io preferisco ad ogni altro, e persistesse a volersi servire di quelli, in tal caso, mi porterei là, e di là, credo, che il punto più opportuno ove dirigersi sarebbe Catanzaro, giungervi da trovarsi un poco prima di giorno in congiura, correre direttamente alle caserme ed assalirle, raccogliere tutto quello che si può in quel punto e dintorni, e dirigersi a Cosenza. Quello con cui si giunge, essendo inaspettato, basta per rendersi padroni del punto: il resto al valore ed alla fortuna d’Italia. Lo svolgersi dei fatti dovrà suggerirvi il resto, avendo in mira principale accennare Napoli ingrossando e distruggendo. Dunque dovreste risponderci subito su quanto segue. 1° Tutte le indicazioni indispensabili al primo progetto di cui io manco assolutamente. Dirmi particolarmente se al luogo del deposito vi sono armi bastanti, o se bisogna portarle: questa condizione diminuisce o accresce moltissimo le difficoltà dell’esecuzione, prendere per parte vostra le opportune disposizioni che vi suggeriscono le condizioni attuali delle cose. 2° Ammessa la seconda ipotesi che potrebbe esserci imposta, dirmi che cosa pensate del mio disegno, suggerirmi quello che credete opportuno. Io sarei di opinione di lavorare su quel luogo; ma senza accennare il fatto, basterebbero al primo istante un lume verde come segnale, e due guide per condurci nella congiura. Se poi vi fosse sorveglianza, sarebbe d’uopo di porsi in misura onde impedire che corresse avviso, allora il numero degli amici dovrebbe essere più di due. Ritenete che Mazzini se è trascinato, e se à pretesto per fare altrove non lo lascia sfuggire; quindi urge che mi rispondiate su questi particolari, e subito, se siete sicuri dell’invio per mezzo del Console… dal vostro punto, mandate a me diretto, io son sicuro qui. Il porgitore sarebbe migliore, ma prende troppo a lungo. È d’uopo di un altro schiarimento fra noi — tanto io come Cosenz non potremo essere utili che dovendo conchiudersi il contratto: nel lavoro preparatorio vi saremmo d’imbarazzo anzi che no. Siamo tutti tre (in diverse condizioni). Voi giudice del momento, siete voi che dovete dire venite. Le condizioni del paese possono essere bellissime, opportune, e pur nondimeno non esserci in vista nullo d’immediato e concreto; viceversa possono essere quelle non buone, ed esservi un progetto, ed in tal caso voi avete il diritto ed il dovere come… di dirci siamo dieci che ci siamo decisi ad un fatto, se volete essere con noi venite; ma sarebbe un bello imbarazzo per voi vederci tutti insieme cadere dalle nuvole.
In Sicilia era progettata l’insurrezione pel 12 scorso, e questo accordavasi con l’invio della paccottiglia; quello che fece era colui che aveva moltissimo cooperato al lavoro; erasi avvisata Messina di attendere il piano, l’eroe temendo la cosa si scoprisse, e che le mire erano su di lui, senza avvisare anticipò, ma fu subito represso.
Noi dopo che avemmo l’accordo per la paccottiglia, ricevemmo inaspettato avviso del fatto ed assicurazione della risposta di Palermo, poi non più nuove degli amici, e quando il nostro amico passò per Messina trovò che ivi ne sapevano meno di noi. Ora faremo pubblicare il processo pervenutoci con tutti i particolari — In Palermo uno salvo dagli arresti, un operoso, e trovasi nella stessa nostra condizione — In Messina ad onta di arresti stanno bene, anzi chieggono porsi in comunicazione diretta con Napoli: noi non abbiamo voluto dare alcun ricapito: scriveteci su tale riguardo come credete fare, se lo credete opportuno; noi intanto gli diremo che inviando lettere a noi o a Malta esse anderanno a Napoli esattamente. Se credete utile porli in relazione con Reggio mandateci un ricapito, noi lo spediremo, se non materialmente, il legame sarebbe utile assai moralmente, per stringerci sempre più fortemente alla medesima sorte. Non ò ancora ricevuto il ritratto. Nel parlarmi intorno all'ipotesi del secondo progetto non perdete di mira le seguenti condizioni. La costa non può essere che quella. La necessità che due ò tre ore dopo il disbarco si compia un fatto abbastanza significante da scuotere gli animi, epperò bisogna subito esser padroni di una congiura, quindi pare che non vi sia altra scelta, sia anche solo plaudente e non ostile: basta ivi, credo, fatemelo sapere con precisione, vi sia un mezzo reggimento, saremo uno contro due e mezzo o tre, ma questa proporzione è più che bastante quando si opera per sorpresa. V’invio due pacchi di giornali ed alcune poesie, domani ne saranno consegnati altri al Parrucchiere ai Fiorentini conosciuto dal vostro Socio (Dragone). Tale ricapito è stato dato dagli amici di Malta e confermato dal Sensale (Mignogna) qui: sarebbe buono prevenirlo. Forse può darsi che a quel punto in pacco suggellato sieno consegnate per voi fra pochi giorni le medaglie: è importante prevenirlo. Siate certi della riservatezza della persona che porterà questa mia, è suo interesse vitale l’essere riservato ed è persona lunga pezza conosciuta e sicura — Salute — firmato Carlo.
___________________
Napoli 25 Febbrajo 1857
Amico carissimo — Ho ricevuto due giorni or sono la pregiata vostra del 16 corrente con due pacchi stampe.
Ammetto che sul luogo soltanto si è giudice competente del da farsi e della opportunità di tempo, ma però non credo che io solo possa essere questo giudice, né conosco fuori delle prigioni e dell’esilio alcun amico nostro che potesse adempiere questa missione proporzionalmente alla sua gravità: pensate seriamente a questo vuoto.
In quanto alle viste di Mazzini su Livorno sono del vostro avviso, tanto più che se pur l’affare riescisse, il resto della Toscana lungi dal seguire, s’opporrebbe energicamente per odio manifesto ai Livornesi: e dite assai bene «staremmo freschi». La faccenda poi di Genova urterebbe completamente di fronte i moderati che nel Sud sotto l’impulso di decisa indignazione spiegherebbero tutta la loro attività ed influenza per conturbare le nostre fatiche, e ciò in momenti che dovrebbero impiegarsi allo scopo per cui erano fatte. Per il nuovo caso di cui esprimete la probabilità io non posso coadiuvarvi in nessun modo in Calabria, perché i nostri negozianti di Calabria sono ristretti solo in Cosenza, ed ora a grande stento si ritenta colà stesso l’assesto, mentre una tremenda avaria à sbalzato l’albero maestro in arresto e dissipato ogni accessorio; però se uno sbarco si potesse tentare in Basilicata noi abbiamo colà maggiori elementi, e prenderemmo precise informazioni in sul proposito per potervi dare schiarimenti il più possibilmente opportuni.
Riguardo al mio progetto, per l’arresto di molti e specialmente di quello che trattava direttamente l’affare (Giovanni Matina), nel momento non posso darvi altri schiarimenti oltre quelli che inviai a Malta, i quali vi ripeto, ma con meno precisione, perché, come vi ho detto, mi è impossibile vedere Matina che li dettò. Noi dovremmo metterci d’accordo con amico colà col quale stabiliremmo che fossero in attenzione di vapore che andasse a ricoverarsi colà, cosa che suole accadere spessissimo nei cattivi tempi, e che ad un segnale convenuto, o ad una riconoscenza che meglio converrebbe, essi si unissero con tutti gli altri politici e militari in castigo, per tagliare il Telegrafo, disarmare la picciolissima guarnigione residente colà ed impadronirsi di alcune munizioni da guerra, dugento e più fucili, e due piccoli pezzi di artiglieria. Intanto quelli del Vapore dovrebbero impadronirsi di una scorridoia, che credo sia del piccolo posto di dogana, e fare tutte quelle altre operazioni che crederà opportune; quindi immediatamente rimbarcare con quelli insorti il più presto possibile', per andare nel sito che si stabilirà. Tutto ciò vi ho detto su i generali per non saper niente di più preciso.
Il sito di disbarco non potrebbe essere che in Salerno e precisamente in Cilento dove gli elementi sono buoni e nostri; ma vi è però grande avaria colà per l’immensità di arresti, ed è inimmaginabile la fatica che si adopera al restauro.
Ditemi se Cosenz sa tutto ciò che passa fra noi: io sarei contentissimo dell'affermativa. Per le avvertenze da voi fattemi tre o quattro ordinarli fa, io non ho punto parlato all’amico di Malta di quanto passa fra noi, avendolo solo avvertito di una lettera da me scritta a Mazzini e del suo contenuto; ma debbo prevenirvi che l’amico Fabrizi è l’installatore del nostro lavoro, il sostenitore e la guida perenne, sacrificatissimo, instancabile; perciò (se non trovate inconveniente) per le potenti ragioni di dovere, gratitudine, amicizia e stima mia verso l’amico Fabrizi, vogliate abilitarmi a farlo partecipe dei nostri progetti, ai quali potrebbe pure esservi di molta coadiuvazione.
Ci riuscirà forse poter ricevere le armi; vogliate dirmi di nuovo con precisione quante ne potete spedire voi e quante l’amico di Malta, ma con esattezza: se concreteremo questo fatto vi daremo gli accordi precisi al più presto. Addio. — firmato K.
___________________
3 marzo 1857
Amico carissimo — Rispondo alla tua del 19 decorso. Noi abbiamo ricevuto tutte le tue lettere, non abbiamo risposto, e perché mancato spesso il mezzo, e perché non eravi nulla che richiedesse riscontro. Le notizie della tua famiglia erano, pochi giorni or sono, rassicuranti, e spero che Rosolino con questo corriere potrà dartene delle precise.
Le lettere alle direzioni militari pare che ora non siano più opportune: in esse si dichiaravano imminenti alcuni fatti ora svaniti, del resto regolati su tale riguardo come meglio credi. La lettera del Siciliano non è scritta da chi tu supponi, è stata scritta a nostra istanza, e l’avremmo riprodotta se meno lunga, e se il processo Bentivegna non avesse assorbito la maggior parte dello spazio di un numero del nostro giornaletto. I nostri fondi sono esausti; per tener pronta la paccottiglia ad ogni cenno si è tutto disposto, e le borse degli amici hanno dovuto cooperare alla trasformazione dell'Italia e popolo, quindi ora non possiamo; e se tu puoi farla riprodurre certo faresti cosa assai utile al paese.
Il vapore rimarrà un progetto; un patriota si cura poco della speculazione, ed uno speculatore non lo comprerebbe mai per un simile scopo: certo la speculazione potrebbe vantaggiarci, ma non è una condizione da far decidere coloro che non vogliono nulla rischiare. La faccenda di Rosolino e del Vapore è cosa che fu allora durante gli avvenimenti, ma non è cosa né fatta, né da farsi, è un progetto svanito, e che accresce la innumerevole schiera delle nostre passate speranze.
Ho ricevuto e dato corso immediatamente alla lettera di Kilburn per Pippo, il quale già me ne ha accusata ricevuta, e per rispondere attende la seconda lettera che Kilburn annunzia come seguito della prima; e siccome questi maggiori schiarimenti sono giunti a me diretti, insieme al piano del mio amico, così io ne ho immediatamente dato conoscenza a Pippo insistendo pel riscontro a Kilburn, e nel tempo medesimo risposi a quest'ultimo su tutto quello che egli desiderava. Quindi da questo lato le cose sono in perfetta regola. Non mancare sempre che scrivi d’insistere presso Pippo — io so la parte mia.
Ho scritto riguardo al negozio del quale tu fai cenno, tanto per porre sotto la rubrica assalto le partite (Castello Svizzeri Polizia) in Napoli che sarebbe la mia opinione, quanto per coordinare insieme le merci isole Province ad un fine concreto e prossimo al commercio generale.
Io capisco quanto è dilicata e pericolosa la sua missione, ma non potrei che rispondere come tu hai risposto, cioè piena adesione per tutto quello che riguarda cooperazione individuale, nessuna speranza, (se non quella di Pippo) pei mezzi pecuniari. Il biglietto d’introduzione è già spedito col passato corriere e per mezzo del Console...
Egli giudica benissimo, pensando che le cose accadute sono di ottimo avviamento se continuasi, ma di grande responsabilità se rimangono isolate.
Divido perfettamente la tua opinione che in questo momento il luogo di Vilson è non solo come sempre il più adattato ed il più importante, ma il solo disposto a cedere ad un energico impulso; è questo maledetto impulso che sino ad ora non abbiamo potuto dare, né trovato il modo come darlo.
Seppi da Sproviero l’arrivo de' due amici, e la cosa non è andata molto segreta; gli aveva scritto Marsico, forse senza la delicata condizione che tu esponi, ma fortunatamente la cosa è stata subito dimenticata, quindi non credo che abbia potuto derivarne alcun male: è meglio ora non parlarne più, né anche avvertire di non parlarne.
La nuova delle bandiere fu data a noi a voce, e da noi data al corriere mercantile, perché penetra nell’interno, ed a noi ci venne data con quell’equivoco di costituzione per Nazione, che dopo abbiamo rettificato sull’Italia e Popolo.
Ricevei uno o due pacchi della interpellanza che abbiamo fatto ristampare come ottimo contro veleno sabaudo; essendo cosa opportuna in ogni tempo, cerca di farne introdurre sempre, periodicamente. Noi faremo lo stesso. Se il nuovo indirizzo dato da me e da Francklin che molto ti saluta, accetterà come spero, allorché tu riceverai questa mia Wilson ne avrà già qualcheduna.
Al ritorno dell'Avantin, spero trovare un mezzo come avvalercene, ti sia di semplice prevenzione, acciocché possa trovarti subito.
Ti ho risposto a tutto, né ho più nulla a dirti che importi. La paccottiglia è pronta, Rosolino ti scriverà anch’egli — Salute — tuo Carlo.
___________________
10 marzo 1857.
Amico caro — Rispondo alla vostra del 25 febbrajo. Per quello che concerne il decidere dell’opportunità di un negozio, trovo anch’io grave inconveniente quello di non essere sopra luogo altra persona con cui dividere la responsabilità, ma tale inconveniente scema di molto a fronte delle condizioni pressanti delle cose. È d’uopo distinguere la decisione dell’opportunità, e quella, assicurata, utile la prima, di avere negozianti pronti ad acquistare la merce iniziativa: cotesta seconda condizione è materia di fatto, e non avvi responsabilità di sorte alcuna; la prima è la più grave. Or sappiate che non vi è un solo dei nostri amici o conoscenti, compresi i costituzionali più freddi, i quali non riconoscano che i tempi corrono favorevolissimi ad intraprendere un negozio: essi vi dicono di disperare d’altronde, perché noi non siamo buoni; ma se avvenisse, tutti unanimemente approverebbero. Noi poi non solo lo crediamo opportuno ma indispensabile, se non vogliamo vedere perdute tutte le fatiche e maledetti tutti i generosi sforzi fatti, bellissimi se hanno seguito, biasimevoli, non mai da noi, dai volgo numerosissimo, se rimangono ove sono giunti. Spesso avviene che noi, e particolarmente Mignogna ed io, dobbiamo rintuzzare il biasimo che alcuni gettano sulla nostra piazza pel ristagno degli affari e per l’inerzia, e cotestoro sono gli uomini i più inerti del mondo; ma la cosa così va, chi è tardo all'opre à sciolta la lingua. Quindi la domanda vostra, quella di Cosenz e mia riducevasi a questa: noi riconosciamo l’opportunità, anzi la necessità di liquidare, e siamo anche pronti ad assumere la piena responsabilità di tale decisione, ma dovete dirci se venendo sul mercato vi troviamo un gruppo di negozianti disposti all’acquisto della merce iniziativa: questo voi l’avete già detto, ma con la vostra penultima lettera alta quale avrete a quest'ora già ricevuto nuovo riscontro in data del 24 febbrajo pel mezzo solito: quindi ora ci resta a concretare il modo.
Cosenz sa ciò che si passa fra noi, ma non conosce i particolari per la sola ragione che non ci siamo ancora visti (ma ci vedremo), ed è tra noi convenuto di non affidare alle lettere quelle cose a cui non si può immediatamente e direttamente cooperare; infine non scrivere nulla semplicemente per informare un amico, ma solo se lo scrivergli è necessità assoluta; Mignogna col quale ci vedremo sempre lo sa. Riguardo all'amico Fabrizi siete padronissimo di dircelo, e se io non l’ho fatto ciò è stato per rispettare lo stesso principio che passa tra me e Cosenz, ma non già per mancanza di amicizia e di stima verso di lui, essendo ammiratore della sua costanza, probità e prudenza: e finalmente ora questo segreto appartiene a voi come a me; quindi avete il diritto di governarvi come meglio credete. Il segreto poi che non conosce nessuno, neanche Cosenz, e che ho confidato solo a voi, è quello dei progetti di negozio e della mercanzia di Mazzini: questo vi prego di serbarlo inviolato, e far calcolo come la vostra lettera a lui diretta fosse di fatto partita per vostra volontà, e senza la conoscenza di quei fatti di cui io v'informai: quello poi che si concerterà in conseguenza di quella lettera, è cosa che appartiene ad entrambi ugualmente, ed ognuno usi la prudenza come meglio crede.
Ho ricevuto non è guari lettere di Mazzini il quale accetta il vostro progetto, e siccome voi scrivevate di dargli all’oggetto ulteriori schiarimenti, mi dice che appena ricevuti questi schiarimenti risponderà.
Io senza il menomo indugio risposi a questa sua lettera dicendogli che gli schiarimenti erano già venuti, glieli partecipai, e con essi il progetto completo, cioè: compra delle merci a Ponza e quindi disbarco a Cilento, come aveva già scritto a voi in data del 24, e veggo nella vostra del 25 suggerita Videa medesima con mio grandissimo piacere. Ora ho fede che la cosa avverrà, e se non avviene non sarà colpa di Mazzini: egli manterrà la parola, quindi è nostro dovere ed urge sommamente prendere tutti gli opportuni concerti. Il telegrafo è non piccolo inconveniente: se queste merci non si acquistano immediatamente, possono produrre grave danno: tagliarlo è già un segnale che pub trarci addosso la fallita, mezzo sicuro è quello di eseguire il negozio a notte: dunque due ipotesi.
1° — Arrivo a sette od otto sera, quindi due o tre ore pel da farsi, e per conseguenza disbarco a dieci o dodici mattina.
2° caso — Arrivo a quattro o cinque mattina, quindi sbarco a sette od otto sera. Nella prima ipotesi gl’inconvenienti sono che da spiaggia di Cilento scorgesi l’arrivo del vapore, quindi per apprezzare giustamente quest'ostacolo, bisogna vedere nel magazzino spiaggia, durante al più il tempo d’un ora, quali mercanzie marcate partito regio possano raccogliersi: io credo che scegliendo opportunamente il magazzino spiaggia e con la cooperazione dei (relegati) l’ostacolo si riduce assolutamente a zero: per contro nella seconda ipotesi vi sarà sempre il tempo di avvisare i magazzinieri di Gaeta e quindi di Napoli donde la merce vapore nel magazzino regio partito potrebbe farci danno assai grave, menare a vuoto il contratto, il che mai può avvenire nel primo caso: quindi io sono per la prima ipotesi. Ditemi la vostra opinione.
Sarebbe necessario conoscere, per soddisfare alle condizioni suddette, la merce di sbarco in qual luogo preciso del magazzino spiaggia deve depositarsi. L’ipotesi ch’io faceva di comprare (119 in 214 da sostituirsi) non può più aver luogo perché giorno: dunque trattasi determinare se la cosa debba avvenire prima o dopo di ’Palinuri; e se la spiaggia permette di avvicinarsi colla merce vapore, ivi prendere tutte le opportune disposizioni pel negozio a farsi.
Pel luogo dove poi si trovano le merci indicarmi esattamente Ventrata del magazzino numerato porto, ov’è rivolta, e se è capace della merce vapore, e dove le balle scorridoie abitualmente sono depositate; quindi il cammino più breve per portarsi ove trovasi la guarnigione ed il magazzino ove è depositato il comandante: cercate al più presto darmi questi schiarimenti, se non potete tutti, ditemi quelli che potete, è meglio saper poco che nulla 7 se potete acquistare ed inviarmi. una carta della marina, sarebbe cosa utilissima: io ne farò ricerca qui. Stabilisco da questo momento il segnale cioè un lume verde ed uno rosso collocati a prora.
Operate in modo come se il negozio dovesse avvenire domani, facendo tutti gli sforzi possibili per gli accordi: Mazzini non tarderà a dire: tutto è pronto, ed io non lascerò sfuggire l’opportunità, e mi affido alla fortuna: per parte vostra facendo quello che potete ogni responsabilità cessa.
Spero oggi ricevere il riscontro alla mia de' 24 scorso in cui eravi il biglietto d’introduzione di Cosenz. Per l’ipotesi in Calabria spero non si verificherà; intanto ivi potrebbe farsi perno quella merce di cui vi parlai; il Commesso che trovasi a Tropea è volenteroso e dispone di varie merci in quella congiura, ove io diceva depositare il disbarco. In quella congiura vi sono molti studenti, e gli aderenti del Commesso di cui parlo sono persone di credito, sono tutti pronti ed amici di Stocco, il Commesso è suo amicissimo, e si giova presso gli altri della sua amicizia, ma lo calcolo quanto vale, e, detto tra noi, vale molto poco, non sa lui stesso a quale partito appigliarsi.
Non trascurate di avvalervi di quel Commesso, egli lavora da sè, ed è pronto a tutto.
Finalmente volete sapere il numero preciso delle merci marcate armi? in questa piazza sono pronti alla vendita 250. Dal magazzino Malta potete trarne sicuramente 350: dunque 600 balle sicurissime e, riuscito il primo contratto e la Sicilia, cosa certissima, non avendo inviata nessuna richiesta, i miei amici di Sicilia, sono della stessa opinione mia, cioè di barattare tutte le 600 balle che sono nel magazzino di Sicilia per vostro conto, ed in tal caso sarebbero 950, discreto numero. Ditemi se credeste opportuno e facile (badate che non dico opportuno pel tempo, ma pel modo) se
Commesso si trovasse nel magazzino barca. Questa domanda ve la fo pel caso che le probabilità del primo contratto svanissero: cosa impossibile. Ditemi nuova che riguardi il mezzo più facile per introdurle. Spesso riceviamo lettere per mezzo del Console… di amico il quale trovasi in arresto. Credeva che fosse il Commesso, ma poi da un suo modo di sottoscriversi veggo che è Rizzo. Chiede leggere bollettino commerciale, ed indica come mezzo per farcelo pervenire quello stesso per mezzo del quale ricevete questa mia: cercate soddisfarlo se potete.
Noi abbiamo fatto pubblicare le sue lettere scritte espressamente per questo, ma in una di esse eravi una notizia che poi non è stata confermata, cioè che il re era stato per precipitarsi in un fosso, appositamente scavato ed in cui si dirupò il battistrada. 1 giornali hanno pubblicato questa nuova: vi è nulla di vero?
Ho consegnata la vostra allo spedizioniero ed a Cosenz: se avrò risposta ve l’accluderò in questa mia — Salute, carissimo amico a voi ed al vostro Socio — Vostro Carlo.
___________________
Napoli 19 marzo 1857
Amico carissimo — Ho ricevuto un’ultima pregiata vostra senza data, la quale m’invita a darvi schiarimenti ed a stabilire accordi, i quali non essendo né sul luogo, né facili, non potrò darveli che quando saranno pronti. Il piano vostro presente pare che basi su d’un disbarco nel Cilento dove vi scrissi aver noi molti elementi, ma disperse le fila ed i capi per innumerevoli arresti accaduti, e che eravamo in attivo, ma penoso assesto; per ciò l’affare mi sembra che debba pigliare un po’ per le lunghe. Se il disbarco fosse stato in Basilicata, colà gli elementi (oltre una presente piccola avaria) sono intatti, ed avrei potuto sbrigarli un po’ più; ma in ogni modo nelle condizioni presenti (adoprando noi la massima energia) è bene che non calcoliate mai né su i momenti né su i rigori di posta; ma fondiate sempre nel tempo proporzionale alla delicatezza e gravità dei fatti, ed alla scarsezza dei nostri mezzi.
Addio — Vostro Kilburn.
___________________
Napoli 26 marzo 1857
Onorevole maestro e fratello — La desiderata vostra del 6 corrente mi riempie di consolazione, perché son convinto che una volta che funditus vi rivolgete su questa parte d’Italia i risultati non potranno essere che quelli delle comuni speranze. Io vi descrissi le condizioni locali e quelle speciali della nostra fabbrica, e vi dissi come le debolissime nostre forze nel generale buon volere e nei bisogni generali (non ostante i gravi ostacoli) han prodotto un’orditura che potrebbe essere robusto elemento per lo sviluppo della nostra Idea Nazionale; ma vi dissi pure le ragioni che non ci facevano padroneggiare del tutto questo nostro lavoro, e vi proposi i mezzi che mi parevano acconci e indispensabili per ottenere questa necessaria preponderanza, e vi dimandai se eravate al caso di adempirli: quei mezzi si riassumevano in tre principali.
1° Direzione interna, perché io non ho cognizioni proporzionali al carico, e, se ne avessi, come nuovo sul luogo non ho quei credito bastevole a superare la fama ed il credito già europeo di quelli della frazione opposta, i quali esercitano una certa influenza (quantunque graduata) su tutti i patrioti; e perché un individuo (ed in quasi latitanza come io sono) non può mai essere bastevole solo; un viaggio nelle province farebbe restare vacante il centro di moto: una sventura qualsiasi paralizzerebbe ogni cosa; un arresto rovinerebbe tutto. Io intanto non conosco alcuno a ciò atto; Voi se trenta e più anni ve ne hanno fatto conoscere una moltitudine, potrete certo indicarmene un paio. Non crediate con ciò che io voglia evitare responsabilità, perché invece son pronto ad accettarne qualunque gravissima, ma quando ne ho la coscienza per Futile della Patria, e son repulsivo perciò ad ognuna che potesse indurla a danni. Una debole direzione sul luogo ha d’uopo di troppo tempo per superare gli ostacoli che frastagliano i costituzionali, e se pur venisse ad uno sviluppo, potrebbe restar vittima degli intrighi loro, e veder rivolgere le proprie forze, in ciò che crede elemento di morte per la Patria e di sventure per l’Europa.
2° Danaro — come condizione indispensabile nelle operazioni preparative, ed a dare accredito presso ognuno come indicativo della grandiosità del fatto, mentre io credo che quantunque molte spese sono indispensabili, (in particolare per Napoli), pure essendovi nelle nostre fila delle province molti proprietarii ricchi, questi, assicuratisi della potenza nostra e d’una grave e fiduciosa direzione, ho fede che presteranno i loro mezzi, perché sono ardentissimi dell’azione.
3° Riguardo alle armi mi dite ciò che potete fare, e che in vero non è molto, ma accetto perché in questi casi bisogna vaierai di ciò che si può, non di ciò che si vuole.
Ho creduto che una volta apparecchiato il terreno fosse assai utile e determinante dare un impulso, il quale fosse ad un tempo di appoggio morale e materiale allo sviluppo interno, e per non mettere tempo in mezzo mi sembrò acconcio da ora dettare a Carlo mia vista sull’oggetto, e mi parve essenziale farvela comunicare, perché se buona, ve ne valeste e l'apparecchiaste pel suo tempo: voi la trovaste accettevole nei limiti che ve la proposi, perché la giudicate concretabile in pratica; ma siccome questa è accessoria, e come voi dite è solamente «scintilla che il farne incendio dipende dai preparativi sul punto ove siamo» ed aggiungete «non lo dimenticate», ed aggiungete ancora che «l’azione sul nostro punto è il sorgere d’una Nazione», così è d’uopo che io vi rinnovassi le mie dimande fattevi nell’antecedente lettera, e ripetute in questa stessa; ed aggiungo la preghiera d’essermi larghissimo in consigli pratici relativi alle complicate manifestatevi condizioni locali; ciò è essenziale, è base, è pietra angolare.
Il carissimo ed operosissimo Nicola Fabrizj, primo impiantatore e cooperatore grave ed instancabile della nostra fabbrica, ha dato ogni aiuto possibile; ma per ciò che ora vi chieggo non gli è riuscito potersi prestare che fino a quel limite che ha condotto il nostro lavoro allo stato presente, Carlo e Cosenz stesso han fatto pur essi la loro gran parte, ma non può determinare ogni cosa che l’opera vostra, mettendovi a tutt’uomo nell’opera locale, ed io l’attendo, considerandovi naturale direttore di un’impresa che ha per vessillo il nazionale, unica espressione sincera de' bisogni fondamentali e d’opportunità in Italia, e che è preparata su d’un terreno che non può che determinarla e trascinarla tutta. Ho dati a Carlo schiarimenti su Ponza, appena ne avrò altri glieli darò pure. Addio — Vostro Kilburn.
___________________
31 marzo 1857
Amico carissimo — Ho ricevuto la vostra del 24 in cui mi annunziate di aver ricevuto le due mie, con la cambiale Mazzini. Aveva già ricevuto la vostra del 19; in essa pareva che il vostro termometro segnava varii gradi sotto il zero, mentre il giorno antecedente ne aveva ricevuta una da Mazzini che sembrava alla temperatura dell’acqua bollente. Io amo meglio bollire che gelare; in luogo di farla da moderatore ho risposto con temperatura anche più elevata. Vi trascrivo un brano della lettera ricevuta.
«Credete a me, se è da farsi, ogn’indugio è pericoloso. Anche qui le circostanze ci giovano: non è quando si ha bisogno di moti che si opera contro l’opinione pubblica, e l'opinione è per noi». Termina poi con queste parole. «In nome di Dio fate presto e finiamola: ho le mie ragioni per questo. Aspetto febrilmente la vostra risposta».
La mia risposta non fecesi attendere; fu immediata: tutto quello che dipendeva da me era pronto ed ho scritto «aspetto di essere chiamato». Conseguenza di questa mia risposta sarà quanto segue.
Martedì o Mercoledì 8 aprile partirò per Londra, quindi per tutto il resto, col divario di giorno, andremo alle date che vi ho annunziato nell’altra mia dei 24 spirante mese, ovvero ultima settimana di aprile. Ho incominciato a contare dall'8 aprile, perché attendo vostre lettere, altrimenti a rigor di posta potrei contare dal 3 o 4 aprile. Io avendolo indotto a conchiudere tale negozio non indugierò neppure di un’ora.
Nella vostra dei 19 mi dite «pare che fondate su di un disbarco in Cilento, sarebbe meglio Basilicata». In nome di Dio abolite i condizionali, io dico Cilento perché cosi mi hanno suggerito le notizie da voi fornite; ma tale scelta è assolutamente subordinata alla vostra volontà; voi avreste dovuto dirmi; nò Cilento non vale, bisogna attenersi a Basilicata ed indicarmi la spiaggia, e questa vostra determinazione era dipendente solo dalla condizione delle cose a voi nota, e quindi avreste potuto scrivermelo recisamente.
Il vostro riscontro a questa mia, giudicando dal presente stato delle cose, non mi troverà qui; ma se voi lo spedirete il 9 entrante col solito mezzo giungendo qui il 14 stesso, io farò in modo d’averlo nel Vapore ove mi troverò in tale epoca. È cosa inutile e lunga dirvi il come: vi basti sapere che sarà possibile.
lo so benissimo che la tempesta ha rotto le fila, né pretendo rannodarle — sarebbe lavoro lungo, penoso, rischioso e inutile: la materia v’è, e ciò basta. Il cospiratore è condannato alle pene di Sisifo ad un lavoro indeterminato, infruttuoso, se l’azione non giunge al fine. Io vado a dirvi tutto quello che mi aspetto da voi. A Ponza un amico, il quale disponga gli animi senza nulla palesare, e cerchi di crearsi un drappello dal quale è sicuro di essere secondato, costui deve essere pronto, e deciso ad operare appena vedrà noi. Nella spiaggia del disbarco lo stesso, ed ivi sarete voi stesso.
Non perdete di mira in tale faccenda quanto vado a dirvi. Tra i due mali, arrivare inaspettato o che la cosa si sappia, io, senza paragone, preferisco il primo male, non dubito dirvi, non fate nulla, se mai temete il secondo male, se il segreto venisse a soffrire. Come ancora, la mancanza di tempo per preparare è molto, ma molto meno dannosa che gl’indugi. Se in questo momento potessi trovarmi nei due punti sarei certo del risultamento.
Dopo questa mia riceverete quella in cui vi dirò vado in Londra e v’indicherò con precisione la spiaggia di disbarco che sarà quella da voi indicata, se come spero lo indicherete nella vostra lettera, che spero ricevere oggi stesso o col solito mezzo o col commesso Sigaro la settimana ventura, o col solito mezzo della stessa settimana, cioè 7 di aprile, e sarà l’ultima che riceverò; la risposta a questa vi ho scritto come spero riceverla.
Nel magazzino Vapore vi saranno le seguenti mercanzie, trenta uomini armati, trecento fucili, quattordici mila cartucce; io, Pilo, Cosenz ed un altro.
Attendo con febbrile impazienza l’accordo per le armi. Scriverò con questo medesimo corriere a Fabrizj che vi spedisse subito le mille Lire che egli ha, ed io spero fare da qui anche cosa, specialmente se mi giunge il chiesto accordo, ma col corriere venturo.
Se potete spedirmi uno schizzo di Ponza, del suo porto e località, cosa che può farsi a mano, ed a memoria da una qualunque persona, basta che vi sia stata: mi sarà utilissimo.
lo non conosco il capo dell’amministrazione dei Vapori postali, ma se potrò trovar mezzo di favorire il vostro raccomandato, lo farò immancabilmente.
Le medaglie sono in mie mani, le riceverete col commesso Sigari come ancora. varie copie dell’articolo sui deportati, e spero anche, ma non ne sono certo, una caricatura di Murat.
Un articolo del Leader, giornale inglese, dice chiaramente che Palmerston non ha voluto far inviare le flotte in Napoli, perché seppe dei disegni di Napoleone riguardo a Murat, che avrebbe corso volentieri il rischio di vedere in Napoli una Repubblica, ma non mai quello di vedere Murat. Dunque i murattini senza che hanno né uomini, né mezzi da operare, hanno messo il sospetto e la dissoluzione fra il nostro partito e se hanno cagionato danno a noi, ne hanno cagionato molto, ma molto più ai moderati che tanto speravano dall’intervento straniero; imperciocché cotesta idea messa in campo da pochi svergognati ha distrutto cotesto intervento. Da questo lato noi dobbiamo ringraziarli. Salute insieme al Socio che spero siasi ristabilito — Carlo.
D. S. Ricevo lettere da Mazzini in data del 26. Mi annunzia alcune difficoltà sorte per l'acquisto del Vapore: mi propone altro mezzo per acquistare questa merce, mezzo molto difficoltoso, ma molto economico: basta, spero che questo porterà il ritardo di giorno e non altro, ma se bisognerà adottare il partito più difficile e più economico, mi prometto spedirvi una discreta quantità di denaro. Questo ritardo ci servirà per meglio intenderci, ora potrò sicuramente avere la risposta alla presente. Potrebbe anche essere di no, ma io ora credo che la risposta mi troverà nello stesso luogo, il che sembravami impossibile prima di ricevere questa sua lettera. Salute. — Carlo.
___________________
Tunisi 23 Marzo 1857 (246).
M. Kilburn, Ancona — Chi (Carlo) in brevi linee dell’ultimo ordinario mi dice di spedirvi la piccola partita danaro che stava destinata per barca ed armi, suppongo sotto l’idea di quel rapido corso di affari di cui le lettere che m’inviate in copia fanno fede essere stata sino alla loro data intenzione di Carlo e Mazzini. Ma spero che la Vostra risposta sia arrivata a tempo onde evitare il precipitoso incominciamento, che avrebbe dato luogo una serie di equivoci sul vostro vero stato, facendo supporre, che ciò che avrebbe mosso dal progetto alla combinazione dietro l’accertarsene le generiche condizioni, invece fosse stato a disposizione di una immediata accettazione.
Debbo poi tranquillizzarvi ancor più sull’effetto della Vostra risposta, col dirvi come alcune linee di Mazzini ultime, e spero susseguenti a quelle su cui fondavano le viste di Char. mi richiedessero se io credessi possibile una dilazione fino ad oltre la metà di Aprile cui, ben sapete immaginarlo, risposi cercando di distruggere l’idea che la dilazione potesse nuocere, e sostituendo quella del nocumento della precipitazione, e facendo risentire della necessità di non fissarsi da estero perentorietà condizionale, sibbene far dipendere estero dalle condizioni costituite interno.
Spero quindi che con calma ed attività il tutto ormai debba intendersi su un preventivo rapido, per quanto sia possibile, concretatole e libero da pregiudizio, tanto di esigenza di combinamenti minuti irrealizzabili, e perciò rovinosi nel loro concetto per dispersione, pericoli e danni positivi di tempo e di elementi; quanto da altro lato di precipitazione estranea alle condizioni per cui si possa corrispondervi dall’interno. In quanto alla piccola partita danaro mi limito a porla a Vostra disposizione per il caso straordinario ed urgente; ed in caso invece di andamento d’affari secondo le Vostre viste, mi pare di non dover sprovvedere Malta di danaro per le occorrenze armi, cui era destinato e conservato.
Perché la cosa possa situarsi, e procedere sulla linea conveniente, penso che debbasi immediatamente soddisfare alle seguenti condizioni; intendo immediatamente, cioè con ogni sforzo possibile di rapidità, e concentrazione di attività.
1° Da entrambi i lati esterno ed interno fare ogni sforzo possibile onde armi sia collocato ove occorre.
2° Da parte interno concretare cosa può farsi, quanto tempo occorra, nei limiti dell’attuabile, esclusivamente a quella estensione e reale vastità e grandiosità di combinamento che è una chimera impraticabile, mentreché il possibile è il veramente necessario. Su ciò concreterò giusta il mio intendere più sotto.
3° Calcolare nel rapporto concretatole di reciprocanza tra interno ed esterno sul danaro disponibile, onde proporzionarne l’impiego in relazione alla necessità dei due lati.
4° Prevenire intanto più estesamente le Provincie non già del progetto speciale, sibbene di una importarne coincidenza di circostanze all’estero ed all’interno non esclusa concorrenza di alcuni mezzi da dovere concretar subito il loro stato, onde divenire a diffinitivi accordi. Però scegliere tra Provincie la parte direttamente attuabile a iniziativa onde su quella costituire la positiva diffinita intelligenza, guardando l'incamminamento successivo o collettivo in proporzioni relative al loro stato onde affidare l'iniziativa al combinamento dell'estero con l'interno, riserbando tutti i particolari inutili a comunicarsi, e solo sugli estremi di realtà attiva, intendersi su quel punto unico cui deve applicarsi l’esecuzione.
5° Determinare un recapito per ogni caso di personale disbarco in Napoli avvisandolo a Malta il quale dovrà servire solo per l’Amministratore Fabrizj, ovvero, per altri che di eguale eccezionale fiducia potesse credersi utilizzabile in Napoli o Provincie.
6° In quanto agli stati di forza delle Provincie la richiesta la considero utile per far risultare quella idea di combinamento che, come voi dite, si esige grandioso; ma non credo che su i medesimi si possa e debba far altro conto se non quello di un certo impegno di responsabilità morale non di cifra, ma di attitudine, da lato delle influenze che producono tali stati, e della fiducia che imprimono in quei che esigono tali condizioni delfinite.
7° Per concretare la parte vera, e realizzabile del combinamento, e la efficacia degli atti che debbono darvi movimento, mi sembra:
1. Doversi fissare che le Provincie da parte sud di Napoli debbano tutte complicarsi rapidamente in iniziativa, talché ne risorta una esistenza rivoluzionaria collettiva, quasi immediata.
2. I dati esistenti danno, che iniziativa direttamente ha Provincie più disposte ed altre dipendenti da movimenti dell'iniziativa, le prime esigenti di alcune condizioni sufficienti delle conseguenze, sulle quali non può a meno logicamente di avere favorevole influenza la proposizione, od avviso di una complicanza attiva con l’estero', le principali cure, e semplificanti dovrebbero dirigersi subito su Province della più suscettibile iniziativa onde coll’adesione al combinamento (iniziativa estero interno) si assume anco l’intendersi con Provincie vicine e seguenti.
Ma se l’annuncio della proposta fosse di tal effetto da generare viva aspettazione, o accidentalità ridestasse quell'allerta di pochi mesi sono, allora non dovrebbesi consultare che l’occasione morale per adiempiersi da Mazzini e Char, giusta le loro viste.
Prepararsi Napoli per quanto possibile in rapporto alla iniziativa delle Provincie. La formalità e fidanza nel proporre dovrebbe avere molta influenza alla serietà e fidanza dello accettare, e penso che alla rapidità delle intelligenze debba molto influire il proporsi da voi qual mandatario ad ottenere esplicita e concreta intelligenza, dichiarando necessità di rapide conclusioni, legame con l'Italia, e perentorietà di circostanze onde profittare dell’offerta.
Combinare sulle isole. Intanto peraltro sempre disbarco ed armi ed avvisi a Mazzini e Charles di un termine approssimativo entro cui pensiate potere avere compiuti tali precedenti. Penso con voi che la sorpresa non potrebbe avere effetto favorevole, ed il successo mancato darebbe dissoluzione totale conseguente; ma penso pure che la maturità stia nell’aspettazione fidente, e nella esecuzione opportuna ed impulsiva.
Per direzione all'interno quando vi sia chi faccetti, per cosa che debba procedere, e compirsi concretamente da un lato, o d’altro si otterrebbe; ma vi vogliono oggetto ed adesione costituite; molto più quando debbasi arrischiare il tutto per portarla sul luogo.
La parte che io esercito frattanto è quella di raccomandare a Mazzini e Genova di subordinare ogni attitudine all'interno, nel medesimo tempo di stimolare voi alla più rigida possibile concretazione d’intelligenze nell'interno è sulle isole di calcolo di bisogni indispensabili, di una scadenza approssimativa ad avere date comunicazioni, e proposta, ed ottenuta adesione ad espettazione attiva, previdenza per armi e relativa a ricevimento e conservazione personale. Vi abbraccio.
Bigami e Compagni
P. S. A Londra Madamigella Withe tiene sedute pubbliche ove tratta della causa Italiana, e dei suoi bisogni, e fa collette abbondanti in prò di quest’ultimi.
Le risposte di Palmerston alle interpellanze relative a Napoli, cioè che nessuna soddisfazione riconosceva il Governo Inglese nella deportazione dei politici in America, e che, a qualunque forma di governo potesse essere volontà del paese, non eccettuata la repubblica, il Governo Inglese non avrebbe creduto di suo diritto opporre, sono di rilevanza ad escludere alcune apprensioni.
___________________
1 aprile 1857
Amico carissimo — Il Commesso di Malta mi comunica copia della lettera a voi inviata: vi manifesterò, come è mio debito, francamente la mia opinione su quanto dice, e quello che scrivo a voi, lo scriverò eziandio direttamente a lui.
Prima di tutto è d’uopo che noi e voi non abbiamo che una medesima misura dei tempo: col commesso Sigari avrete ricevuto tre mie lettere, … e fra queste tre la copia della risposta di Mazzini. Ieri ricevei altra lettera della medesima categoria Mazzini atterrito delle lettere pervenutegli da Malta, e quindi rimanda la faccenda al giorno dieci maggio: calcolate pure che ora le merci non partiranno più dal magazzino di Londra ma dal mio magazzino, quindi il tragitto brevissimo.
Il far dipendere l’estero come dice l’amico Fabrizj da interno è giusto sino ad un certo punto, ma voi vivete in una falsa idea, supponendo che noi abbiamo completa libertà d’azione: noi dobbiamo operare nel modo stesso che voi con meno rischio, ma con eguali difficoltà materiali, né possiamo fare in ogni tempo quello che vogliamo, quindi le occasioni propizie non bisogna farle fuggire, giacché potrà bene accadere che quando interno è favorevole estero sia contrario. Volete un esempio: era difficilissimo trovare, barca per le armi, finalmente alcuni amici posero a nostra disposizione barca, è una magnifica goletta a patto che la cosa riuscendo noi pagavamo le sole spese, circa mille Lire, se poi barca perdevasi avrebbero ritenuto 5 mila lire da noi depositate, il prezzo di barca era 14mila, noi non abbiamo fatto fuggire questa bellissima occasione; immediatamente si costituì il piccolo equipaggio con la speranza di subito profittarne, sono scorsi più di due mesi, ed abbiamo pagato l’equipaggio e non si è fatto nulla, ora poi si comincia a parlare della vendita di barca, ed ecco la bellissima opportunità fuggita se mai la barca si venderà.
Fabrizj dice: Da entrambi i lati interno ed esterno fare ogni sforzo possibile onde armi siano collocate ove occorre. Questo secondo me sarebbe errore fatale, se tutto andasse con X la massima rapidità e prosperità ne passerebbero almeno due mesi; ma tale operazione come non si è fatta sino adesso non si farà mai, siatene certo: ed offre tante difficoltà, che il tentarla essendovi in vista cose più importanti e decisive è errore gravissimo: non vi sarebbe altro che richiamare l’attenzione del governo sull’estero ed allora tutto andrebbe in fumo. È illogico fare un’operazione lunga e rischiosa per collocare armi, mentre queste verrebbero collocate nel magazzino vapore: non vi sarebbero quelle di Fabrizj ma che monta: davvero voi credete che quattro cinque cento fucili possono fare, e non fare riuscire. No mio caro amico, se rivoluzione è nel cuore vi sarà, e se non vi è tutte le armi del mondo non bastano a suscitarla.
L’altro, Direzione all'interno, è un punto su cui non siamo d’accordo: chi mai può chiuso preparare! Produrre un effetto magico pel nome lo potrebbe solo Mazzini e neanche troppo in Napoli: altri potrebbero fare ma con la possibilità di personalmente agire; chi cospira l’è d’uopo che scenda fino all'ultime file, altrimenti corre rischio di rimanere interdetto se arresto si negozia da due o tre individui. Ed in che modo potete supporre che questo possa avvenire, se direzione fosse data dall’estero?
A me pare che la quistione è vista sotto due aspetti assai diversi: voi e categoria Malta pensate costituirvi promotori di rivoluzione, e fate dipendere dalla vostra personale cooperazione il risultamento buono o tristo. La categoria Mazzini ed io, siamo convinti che rivoluzione è nel cuore (se non lo fossimo non saremmo nulla) e vogliamo mandare ad effetto una congiura ristretta, rapida in virtù della quale i quattro o cinquecento colli che sono in Isola si trovassero in Cilento: ecco lo scopo a cui miriamo; di ciò che questo fatto deve produrre. dipende non da noi ma dal paese allorché saranno in Cilento: cominciate le prime operazioni vigorosamente, il nostro dovere di cittadini è compiuto. Vista la cosa sotto questo lato, importa sommamente non far precedere il fatto d'armi da nulla che possa dar sospetti al governo, e non vivere, non operare, non pensare che alla riuscita di tal fatto. La cosa che più di ogni altro importa è accordo in Isola e notizie particolareggiate, e lascio pensare a voi con quanto dolore ho letto nell’ultima vostra del 9 che eravate stato costretto a distruggere tutto, ma l’attendo con grandissima impazienza. Lo accordo in isola non può prender tempo, hanno o non hanno intenzione di sbarco? se l’hanno come vi dissi, basta prevenire un solo che si costituisca un nucleo che secondi, se non lo hanno allora bisogna rinunziarci affatto, voi non riuscirete certo a farli cangiar d’opinione. Voi direte l’hanno, basta che Cilento è pronto, ma chi l’assicura di ciò? La semplice vostra asserzione?e dall’asserzione di un solo si può giudicare della disposizione di un’intera Provincia? Se staranno a quello che voi gli direte, allora è segno che son disposti, ed il vedere gente dall’estero nell'isola sarà una ragione, una persuasiva più potente di una vostra asserzione.
Per farvi apprezzare le nostre condizioni vi dirò che il Sapore richiede somme favolose, ed anche avendole, l’attenzione dei consoli sarebbe ivi rivolta, quindi un ostacolo insormontabile anche coi milioni,giacche un sospetto ruinerebbe tutto. Ciò che non possono i milioni lo può il patriottismo: nel magazzino Sapore, come si suole, vi saranno una quarantina colli marinai io un capitano con destinazioni naturalissime, tutta gente di qui, e tutta questa mercanzia è trovata due ore dopo della partenza del Vapore e nessuno può sospettarlo. Onore all’Italia, e particolarmente a Genova che trova pel solo principio mercanzia di tal fatto. Ma questa congiura se rimane inoperosa, alla lunga potrebbe correre gravissimi rischi. (S’intende già che barca con armi si prende e andrò ad una data parte). Io sono responsabile direttamente e personalmente verso coloro che intraprendono tale negozio, e se il governo comincia ad aver sospetti allora la mia coscienza non mi permette di condurre a certa morte elementi sì preziosi, ed io pongo per condizione principale l’improvviso: vedete dunque,. che se voi vi perdete in preparativi troppo vasti, quando direte interno vi è, Governo sarà sospettoso, ed allora estero non vi sarà più: quinci non può darsi il dire estero dipende dall’interno: su quanto vi ho scritto vi chieggo segreto di tomba.
Io, amico caro, unito a voi ho cercato a far rivolgere Mazzini verso il Sud; ho superato tutte le difficoltà prevedibili prima., ho offerto me stesso, vi ho scritto le mie ragioni, e le cose che mi sono indispensabili le quali non richiedono tempo lungo; se poi si rimanda alle calende greche, io non ho che farci, ho fatto quel che poteva, comincio però a vederci nero; tali cose, quando si spandono troppo, si prolungano, si discutono in quattro punti in Napoli, Londra, Malta, Genova finiscono per abortire, spero che rimarrò bugiardo. Attendo le chiestevi notizie e non vi parlerò più di un tal fatto, la discussione nuoce. Vi abbraccio insieme al socio. Il sensale è sfiduciato (egli sa dell’adesione di Mazzini un altro) io lavoro a confermare tutti nella loro sfiducia. Secons (247) non vuol saper nulla, dice che le cose prese a lungo non riescono, vuol saperlo solo al momento del fatto. Spero che questo momento verrà. Siate certo che se al sentire avvenuto disbarco di gran quantità di relegati il paese non si scuote, allora non vi è nulla da sperare. Mi avete rammentato Bentivegna? ma chiunque farà come lui finirà per soccumbere. Eravi quel tale convincimento di evitare il combattimento, ed evitandolo sempre è avvenuto quel che doveva, sonosi sbandati: se avessero tenuto testa a Cefalù io credo che la cosa sarebbe andata diversamente. Sapete voi tutti i tentativi perché son sempre falliti? 1° Cagione principale circostanze di tempo e di luogo sbagliate; per tempo sbagliato non voglio intendere preparativi, ma disposizioni morali del paese; e 2° Perché le cose si son progettate, e poi menate alla lunga, e la Polizia sapeva sempre prima quello che doveva succedere.
Sono dispiaciuto che Fabrizj non vi abbia spedito quel danaro, io prevedeva che quello di Mazzini doveva ritardare, e voleva soccorrervi prontamente con mandarvelo.
Fatemi sapere esattamente se in isola vi è telegrafo: a me sembra la distanza troppo grossa per agire.
A Parigi è fallito un nuovo attentato contro Luigi Napoleone: di notte usciva………………………………………………………………………………………......, venne assalito; chi dice che nella lotta due studenti assalitori rimasero uccisi, chi dice che fu ucciso uno che andava con l’imperatore: il fatto è certo, i particolari ancora dubbi. I murattini, ci scrivono da Parigi, sono nel massimo abbattimento — Carlo.
___________________
Napoli 2 aprile 1857
Amico carissimo — Rispondo iu fretta alla vostra del 24 marzo 1857 per manifestarvi la immensa sorpresa che mi arreca; mentre lo spirito patriottico che la detta mi rivela ciò che foste, ciò che siete, e ciò che sarete, e mi è robusto argomento di speme per la patria oppressa.
Io vi ho manifestato sempre essere indispensabile un serio e robusto apparecchio interno per potere insorgere; essendo ciascuno determinato a non muovere senza questa condizione, e nella lettera del 2 febbrajo diretta a Mazzini (che in altra della stessa data a voi diretta acchiusi e vi avvertii di leggere) scrissi «le delusioni perenni han qui radicata la massima che devesi fare o cosa di grandiosissimo o niente, ed i moderati appoggiano questo pensiere di già radicato e convertito in succo e sangue»: quando tutto il possibile sarà in ordine converremo esattamente sul diffinitivo; senza di che ogni operazione di fatto certamente non verrebbe seguita dalle indispensabili coadiuvazioni da noi dipendenti. «Ciò mi pare che in altri termini dica che senza solidi preparativi locali il partito ch’era a noi ligato non avrebbe preso parte a fatti isolati, per essere convinto in contrario; e voi non vi siete punto opposto; perché forse avete giudicato ch’era tempo di servirsi degli elementi esistenti, e non di quelli a formarsi, e perciò nella citata lettera da me scritta a Mazzini leggeste. Abbiamo in vista alcuni fatti che possono servir di spinta e forse determinare un’azione — abbiamo… ecc. ec. Manchiamo di direzione interna proporzionale all'opera da iniziarsi, manchiamo di armi, e danaro; voi potete coadiuvarci in ciò che a noi manca?» Queste tre richieste non potevano certo essere per la rivoluzione fatta; ma per fare preparativi solidi ed imponenti indispensabili per le ridette ragioni, altrimenti avrei parlato d’un governo provvisorio, non d’una direzione, e non avrei parlato di denaro; perché a noi sono ligati molti e ricchi proprietarii, che quando sono convinti della nostra potenza e serietà che lor garentisce la riescita caccian forse essi stessi il danaro, ed infatti nella citata lettera a Mazzini stesso dicevo «non sperate che si segua una minima cosa che succedesse altrove, né altra dello stesso conto che accadesse qui stesso». Basta io sto perdendo troppo tempo a riscontrare mentre non posso più restare nel sito dove sono, ma son certo che dovete esser convinto che il progetto di Ponza avrebbe dovuto essere coadiuvativo e d’appoggio all’apparecchio interno: ora questo apparecchio inferno ha tutti gli elementi di base e manca solo di quell'ultima botta consistente in direzione interna, danaro, e armi, e dico questo come accredito alla gravità e potenza dell’argomento; sventura avvenuta dall’essere il nostro partito nuovo sul luogo, e menzogneri quelli che lo han preceduto. Intanto il fatto coadiuvativo spingente su Ponza potrebbe forse far decidere parte, ancorché le due condizioni, armi e denaro, non fossero così late, come le chiedono; ma di ciò non sono sicuro; ad ogni modo, siccome io era convinto che l'affare Ponza fosse stato coadiuvativo e spingente della preparata rivoluzione nelle province e Napoli, la quale aveva d'uopo delle chieste operazioni per rendersi in tale stato, così io non ho proposto ancora questo nuovo fatto; e se voi mi consiglierete di proporlo lo farò; ma badate che va a nascere l’altra difficultà, cioè quella di doversi svelare a moltissimi il secreto, senza essere preventivamente sicuri dell’accettazione.
In ogni modo perché non 9i prendano equivoci vi manifesto lo stato attuale della nostra fabbrica, acciò voi possiate calcolare il tempo necessario a mettere in pronto il terreno, o nell’altro caso dei due propostivi, se voi ne accetterete qualcuno, e v’anderò poi informando successivamente di ciò che si fa, e di ciò che si ottiene.
Non senza ragione vi spedii copia di una Circolare da me inviata nelle Provincie, perché come conseguenza di quella vi avrei inviati i dati statistici che ci venivano rimessi, i quali (quantunque l’esperienza ha in molte occasioni dimostrato riescire per inesatti), pure avrebbero potuto servire sì a Mazzini che a voi come importante punto di partenza per calcolare quali sacrifici meritava il lavoro, quali probabilità di riescita vi erano, quali coadiuvazioni accessorie sarebbero state più conducenti, ecc. ec., ed infine qual piano preciso sarebbe stato più opportuno relativamente alle forze ed alle località in cui si trovano, per mandarci consigli ed ordini in conseguenza di ciò che i dettagli del piano generale vi dettavano; ed è qui acconcio fare osservare, che senza questi ordini da darsi a ciascuno, e che io non saprei dare, né avrei il tempo di poter dare, si metterebbe quella gente in preda ad una tal ventura che han protestato di non volerne azzardare l’impresa.
Vi rammento il fatto Bentivegna, che quando erasi ottenuto il lavoro maggiore e ci voleva l'ultima botta, per generoso ma mal calcolato impulso si perdette il tutto. Concludo dunque, io guardando a ciò che tengono fermo in animo i patrioti sul luogo, credo che il fatto di Ponza isolato non produrrà l’effetto de’( )nostri desideri; mentre credo che preparato il terreno dell’azione l’affare potrà riescire quale si spera; perciò son necessari, ajuti di consigli, indirizzi di uomini, e tutto ciò che possa valere a far credere serietà e robustezza della cosa e dare probabile garentia della riescita. Ma quando si finalizzerà tutto? Noi dal nulla e coi nulla abbiamo ottenuto non poco; con ciò che occorre, pare, dovremmo finalizzare presto; ma io non son Padre Eterno! né la differenza di un mese può sgomentare di fronte alla relativa' certezza della riescita voi ed il Socio che lavorate da anni ed anni, e forse senza mai ottenere le belle condizioni che tutto il Sud ora offre. Ma se Mazzini e voi giudicate che dallo spirito pubblico manifestatovi in altre mie, e dagll'apparecchi come stanno, che io giudico inatti a seguire una sorpresa, si possa dal fatto di Ponza avere il risultato dovuto, io allora essendo fuori dei miei calcoli di probabilità e ridotto inadatto a coadiuvare coi lavori i fatti, sarò non ostante l’individuo di cui potrete disporre come v'aggrada, e soldato che non manca al suo posto, come altre volte fui. Addio. — Vostro Kilburn.
___________________
Napoli marzo 1857
Onorevole Cittadino e fratello — Le speranze fondate sulla Francia finirono sventuratamente in un impelo che è puntello de' troni. 1 nostri giornali ne prognosticarono anteriormente l’avvenuto, avvertendo, che se la Democrazia europea in generale ed italiana in particolare fosse stata inerte ad attendere in un beato sopore i risultati altrui, senza dar vita ad una cooperazione energica, e forse anche ad una determinata iniziativa, ogni speranza di bene sarebbesi convertita in lutto; ma la lusinga potette più che i dimostrati asserti, e ne pesano ancora gravi gli effetti dell’immensa sventura.
Si sperò di poi sulla prossima scuola della delusione, e s’annunziò questa speranza come salvatrice; ma infortunio volle che prevalesse invece, per alcun tempo, un’angoscia scomposta assai dell'inerzia peggiore; e gli svariati pareri democratici, che diretti con mezzi identici ad un medesimo scopo avrebbero ottenuto per risultato il comune riscatto, furono da speculatori lusinghieri incitati a sperare in tutto ciò che faceva d’uopo temere, come pseudo mezzo tendente a rafforzare il barcollante privilegio, a seconda del pro che arrecasse a viste individuali grettissime. Sventura! uomini cari e caldissimi credettero; né la storia eterna, né i dolori dell’epoca furono bastevol lume a rischiararli! Il tristo frutto del mal seme ne fu che bella parte fra i migliori a ragione credette alla pratica impotenza.
In prosieguo l’ostinata baldanza Russa rese indispensabile una guerra, che nelle condizioni generali d’eccitamento patriottico fu giudicata dai potentati suoi amici e nemici inopportuna, come quella che deviava le forze della compressione in un campo in cui la gloria e l’onore riponevasi nell’abbattere il nerbo della tirannide europea, Noi ringraziammo Iddio, e vedemmo in questa largizione della sua Provvidenza la magnanimità del potere che ci assiste. Ma i governi che temevano le rivoluzioni, come l’arme della decisiva lor morte politica, adoprarono per distrarne il colpo fatale, il vecchio mezzo di proteggerla, e con mille vaghe menzognere promesse isperanzirono in un’aspettativa di largizioni spontanee; e quantunque noi con ogni mezzo disvelassimo le intenzioni dei gabinetti, e le loro turpi trame, ci opponemmo con ogni energia ad approfittare del solenne momento, pure il dannevole velo s’incompattiva più ancora sugli occhi di molte delle limpide menti italiane, (e pare incredibile!), ma accadde, che si sperò financo nell’astuzia del più fiero tirannico nemico; ed un dì la venuta di Ubner fu raggio di speme. Quale orribile conseguenza d'un incompatibile errore!
Questo stato d’accecamento vergognoso non fu creduto dai governi, così vasto com'era; essi, timorosi della potenza della verità, credettero nei propagatori della luce apostoli più fortunati; e certi dello spalancarsi del precipizio, in cui dovea inevitabilmente inabbissare il privilegio nell’effervescenza della guerra, venne precoce ed inatteso accennamento di pace che non tardi si realizzò in proposta e stipula diffinitiva.
La gravità di quel momento non ha paragone: esso fu, tale che nella sua comprensione era riposta la libertà o la schiavitù di tutti i popoli. Lo spirito pubblico e le milizie di Francia e d’Inghilterra erano ripulsive alla pace. L’Austria già spossata e snervata avea affilate le sue schiere in due lunghissime linee che riescivano debolissime a serii urti (spiegate fino nei Principati e nelle Romagne). La Spagna era in effervescenza che allarmavano seriamente i governi e rinvigorivano i popoli, e per non parlar d’altri, l'Ungheria, la Polonia, l’Italia ribollivano di sentimento nazionale, rieccitavano alla delusione ed esacerbavano ai tradimento. La Santa Alleanza ancor rotta, le complicazioni governative che erano fatte ognor più delicate e difficili dalle complicanze novelle che potesse produrre la democrazia, erano compimento al vasto campo che materialmente appoggiava la rivoluzione, e moralmente imponeva, come sacro dovere, di compierla.
In chi era intanto il dovere d’iniziare? Quella nazione che, fra le molte, è a un tempo civilissima e schiava, non solo ha diritto e necessità d’insorgere, ma dovere, e sì grave e imponente, che dà dritto alle altre di pretenderlo e di punirne con l’ignominia l’inadempienza. Le scienze, le lettere, le arti belle, la gentile dolcissima favella e il carattere vivo e ponderato de' suoi abitatori, rendono l’Italia civilissima, e l’efferata Tirannide, e la moltiplicità del martirio, additano non dubbia la feroce schiavitù da cui è repressa, e da Italia infatti tutti speravano ansiosi il segnale: e come ella fosse per poco dimentica de' suoi doveri, non vi fu libero straniero che non glieli rammentasse, e non la eccitasse con ogni mezzo. La Diplomazia intanto ricongiungeva gl’infranti anelli della ferrea catena, e preconcepiva una scacchiera di difesa alla quale ogni giuoco popolare potesse trovare la più difficile vittoria: ma era timida, palpitante} pel momento ch’era dall’ordine delle cose destinato solo al riscatto de' popoli. Unico mezzo di già sperimentata vittoria era quello di tutto promettere e fu praticato; né valse che noi gridammo al tradimento, indignati, e scongiurammo e persuademmo, ché le promesse ebbero tal maschera ed apparati sì gravi, che fu tra le due estreme vie scelta quella che col fascino d’un incantevole tramonto menava alla notte. La falsa posizione e le svariate complicanze, restarono lungo e penoso trascino pei governi; ma finito il momento, sbiadarono le promesse in un pallore di larva che si perdea nell’infinito etereo.
Il molto male avvenuto ha prodotto però anch’esso il suo buon frutto, e giudichiamo opportunissima la presente generale condizione politica per coglierlo. Il lume dato dalla scuola dei disinganni è completo, la conoscenza degli uomini e delle cose è diffusa, la conquista di questi elementi ci pare bastevole a passare dal campo negativo in quello della vittoria.
I governi ligati da contenzioni insoddisfacenti sono ancora più scissi che prima e conturbati da confusa complicanza d’interessi non assodati, né assodatoli che dopo lo sviluppo o la compressione del sentimento democratico. Il sospetto di possibile preponderanza che potrebbe esercitare ciascun governo su nuovi interessi, li rende più vigili e sospetti fra essi; ed è ad un tempo sì congegnata sul nostro terreno che deve o eccitarli ad una gara (ancorché involontaria) di protezione, o produrre una nuova guerra fra le più grandi nazioni, le conseguenze della quale, ponendo mente all’origine da cui parte, non potrebbero essere che di speranzoso risultato ai nostri voti.
Intanto i Francesi si ordinano segretamente con ogni alacrità, e se il loro lavoro per la poca abitudine che hanno a rannodarsi sotto la compressione alla quale non erano avvezzi, non potrà riescire d’iniziativa che dopo lunghissimo tempo, è già potentissimo a seguire l’impulso altrui. La politica dell'imperatore nelle faccende di Neuchatel, ove disse, poi disdisse, ed accettò quindi il gravame d’una responsabilità ben seria inverso le due potenze contendenti, mostra ben chiaro, com’egli tema un’iniziativa esterna, sia pure di minor conto, come quella di Neuchatel. La manifestazione dello spirito pubblico nelle elezioni è pure altra pruova, che mostra, come il partito è conscienzioso dell’appoggio d’una organizzazione potente, che a noi infatti è stata annunziata dagli onorevoli direttori di questa per rapporti fattici. Si ci fanno pure relazioni confortantissime dello spirito pubblico e degli ordinamenti dei popoli compressi dal governo austriaco, né abbiamo animo xii dubitare di buona parte della truppa, osservando che nel 1848 siccome tutta la gioventù ha presa integrale ed entusiastica parte alla rivoluzione della quale anzi è stata essenza, e d’allora in poi i nuovi ingaggi non han potuto esser fatti che nei giovani, così vediamo nella forza del governo austriaco l’elemento della propria distruzione.
Prova pubblica di ciò è la spontanea amnistia data dall'imperatore, e ricevuta dai popoli con contegno di chi ha coscienza del proprio potere. L’onore d’Inghilterra e gl’interessi popolani inglesi sono molto poggiati sulla nostra esistenza nazionale, e se noi daremo pezzi di appoggio positivi in mano de' nostri difensori, il partito radicale o popolare che li rappresenta saprà ben valersene per istabilire gravi e duraturi interessi comuni, per lo sviluppo dei quali potrà ben cangiar faccia la presente scena d’Europa. I governi intanto procedono verso un graduato assesto dei loro interessi per poter dare con fermezza un colpo solenne ribaditore dei nostri ceppi.
Che facciamo noi? L’Italia sanguinosa ci vibra co’ suoi fulminei occhi sguardi ferali. L’Europa ci attende, Iddio ci comanda, Agesilao Milano ci dà il magnanimo esempio, la Capitale ci spinge con ripetute dimostranze, i Parlamenti trascinano il mondo sul nostro terreno, e lo rieccitano — e noi seguiremo le orme che i Re ci tracciano?Dio guardi! Oh che saresti più mai magnanima Italia!!! Noi non abbiamo che la insurrezione come simbolo di salvezza e quiete, energica ed imponente; ecco il programma d’iniziativa. Convenuti su questo principio e sulla urgenza e unicità del momento, desideriamo per ora sapere di quali indispensabili e soddisfacibili bisogni ciascun Commissario o Comitato provinciale, abbisogna; desidereremmo pure uno statino che indicasse la quantità degli uomini arrollati in ciascun paese e pronti all’iniziativa, la quantità di questi armati e muniti, e la parte di questi ultimi che si presterebbe alla guerra insurrezionale fino alla vittoria compiuta; vorremmo inoltre che si stabilisse un modo di corrispondenza il più possibilmente sicuro, e precoce: ed infine desideriamo che chi il può, mandi persona autorevole al Comitato Centrale, per prendere quegli speciali accordi che per mezzo di corrispondenza arrecherebbero lungaggini ed inesattezza.
L’adempimento dello statino delle forze e l’accettazione della nostra credenza, che la insurrezione interna il più che puossi energica ed imponente in questo momento può solo salvare il paese, vorremmo che fosse formulata il più semplicemente possibile ed avvalorata da tutta la legalità necessaria, dovendo servire a noi di documento d’appoggio presso il Comitato Direttore all’estero, per dare esso legalmente e con profonda cognizione di causa opera agli apparecchi deffinitivi dei lavori del Nord, del Centro e del Sud insulare; e perché la direzione militare possa con verità di dati procedere alla formazione di un piano, ed averne garenzia per l’attuazione — Salute — Pel Comitato Centrale — Wilson (248)
___________________
Tunisi 1 aprile 1857
M. Kilburn — Ancona — La presentazione della, tratta, di polizza di cui fate cenno in lettera in copia a Pisacane mi allegrò da un lato per l’esito fortunato; ma da altro mi accrebbe quell’ansietà, che mi tiene inquieto su ogni pendenza di vostro conto.
Le lettere poi in copia vostra a Mazzini e Pisacane danno testimonio di due utili circostanze, che se con calma profittate e messe in accordo, dal procedersi spontaneo delle cose da parte e d’altra, ben poco rimarrà onde la deffinizione conclusiva sia armonizzata tra' l conto interno ed esterno, e sono che un’incidenza abbia di necessità sospeso e protratta l’esigenza all’estero, e che voi vi troviate attivo e continuo con alacrità nel regolare la partita interno nel frattempo, talché al termine dato dall'estero non debbasi incontrare difficoltà di tempo molto gravi ad uniformare le due scadenze.
Continuo ad insistere presso Mazzini pel temporeggiamento proporzionale alla disponibilità dei fondi interni, ma presso voi raccomando non meno di attenervi nel maneggio di questo conto delicato alla realizzazione stretta di estremi di vera necessità, e realizzazione, non facendovi illusione di grandiosità che non hanno per loro né possibilità, né avendone avrebbero utilità reale, talvolta anzi riuscendo a danno per quella specie di esigenza quasi meccanica che costituiscono sull’accordo, per cui la mancanza di una circostanza arbitreggia negativamente alla fiducia di tutto l’affare. Per ciò che tocca poi la fiducia previa degli azionisti che voi dite esigente di tale apparato, molto dipende dal tatto, e dalla fiducia di chi propone, onde l’apparato risulti, e non ingannevole, ma coscienzioso poiché in rapporto alla verità, e realizzabilità effettiva degli affari. E permettetemi che io vi esponga il procedimento che io sceglierei, giudicando cosi astrattamente alla lontana.
1. In Provincia di vostra comunicazione affidando rispettivamente di comunicare ai vicini Circolari generali in forma o nò a seconda del vostro giudicio di utilità allarmante per improvvisa coincidenza di circostanze interno Italia estero, e di offerta di appoggio, e di necessità di profittarne con premura, quindi invito a costituire in effettivo realizzabile i loro fondi, a comunicare reciprocamente la rispettiva attitudine a stabilire corrente di comunicazioni onde ricevere le ordinarie, e straordinarie, che da un momento ad altro possono interessare gli affari, giacché dallo stato relativo ed assoluto può dipendere iniziativa.
2. Idem seguente avviso, che dalle risultanze finora ottenute, è evidente lo stato favorevole generale, e mentre si aspetta un completamento, un progetto di iniziativa, ottiene assenso, e concretazione sugli agenti e piazze necessari, sempreché la cooperazione e seguito sia loro assicurata.
3. Intanto armi al posto necessitoso ed essenziale.
4. Assicurare sull'isola unico ove circostanze di dettaglio debbonsi calcolare, per ragione diretta di mezzi e di ostacoli a vincersi coi primi.
5. Sul punto di disbarco (a ciò che sembra sarebbe Salerno o Cilento] senza molto compromettere per comunicazioni singolari, porre in certa attitudine relativa a iniziativa che quanto più indipendente da viste dell'estero più riescirebbero suscettibili a questo concorso, poiché meno esigenti per lui, e più da lui favorite.
6. Complicare più concretamente, più comunicazioni reciproche, che tra vicini dovrebbersi tenere attive, e da centro comune dirigersi, e raccomandarsi relativamente, e generalmente Provincie da parte Sud di Napoli in aspettazione, e disposizione collettiva a iniziativa.
7. Assicurare alcuni atti rispondenti immediatamente a iniziativa in Napoli e nelle Provincie, che se non bastassero a produrre rivoluzione, dessero immediata prova di quel rapporto inatteso e costitutivo di interessi, che raffida i più esposti, e stimola i dubbiosi;
8. Nel frattempo e previamente potendosi, suscitare invece atti di dimostrazioni da parte nord & Napoli ancorché tenui, altro non potendosi, tanto ad effetto morale sulle Provincie da parte Sud, come a diversione di attenzione Governo: non dovrebbesi omettere di coltivarne l'idea.
9. Tenere continua l’informazione a Mazzini e Pisacane senza apprensione di precipitanza, una volta costituita la condizione che un certo stato speciale interno debba essere costituito per autorizzare l'esterno.
10. E sopratutto sicuri mezzi di comunicazione estesi, poiché in affari di tale specie un avviso valer può meglio di ogni altra condizione prestabilita; e la collettiva avvertenza degl’interessati ad una opportunità vai meglio di qualunque piano: quest'ultimo conto dovendosi considerare piuttosto come un mezzo di richiamo a riconoscimento di attitudine di quello che una norma di positiva realizzazione.
Le informazioni generali non sono favorevoli alle viste d'iniziativa in Basilicata e favorevoli a Cilento nel Salernitano. Dico generali e generiche, giacché niuno degli amici conosce l’affare di cui si tratta, e solo i due ultimi hanno un cenno del trattarsi un affare complicato fra esterno e interno, e la persona che trascrive queste linee è della più assoluta sicurezza. Non trascurerete notizia nelle vostre lettere, anche per soddisfare la curiosità degli amici, cui rincresce il doverle tenere da altre fonti non nostre, e talvolta poco precise.
Sono vere le dimissioni militari di alto grado?
Bigami Ingen.
P. S. Sono un pò e più di un po’ malato; ho un accesso al cuore, di cui spero liberarmi con salasso: ma soffro assai. La presente (come fu precedentemente) va spedita in copia a Pisacane, cioè il testo superiore non la P. S. che non ha alcuna relazione con quegli interessi.
Aspetto vostri ordini per la partita danaro di cui accenna Carlo — Addio.
___________________
Napoli li 2 aprile 1857
Amico carissimo — Ho ricevuto la pregiata vostra con annesso borro di circolare. Vi spedii copia della prima lettera spedita a Mazzini (che non so se vi piacesse) e seguitai ad intrenare con Carlo Pisacane il piano di Ponza, nella certezza che ottenuta adesione da Mazzini nelle condizioni che gli scrissi, ed ottenuto poi l’effetto che quelle condizioni avrebbero prodotto, una volta il terreno preparato, l’affare Ponza avrebbe potuto essere coadiuvativo, spingente, eccellente: ma guardate un pò cosa mi accade con gli uomini che ho creduto sempre i più ragionevoli e concreti; Mazzini mi manda con mia molta sorpresa la risposta che voi avete letta, (perché a voi si è inviato l’originale ed a me solo la copia); la quale non rispondendo punto alla mia lettera di proposta, mi affrettai a rispondere per togliere equivoci, ed ora vi rimetto copia di questa mia risposta. Dopo ciò accaduto, Pisacane mi scrive altra lettera, che mi è arrivata molto più sorprendente di quella di Mazzini, e v'assicuro che ho per poco temuto che non fosse sua, ma il carattere, la pervenienza, ed alcuni fatti noti a lui solo mi hanno subito rassicurato. Io non vi dico l’allarme in cui mi ha messo questo foglio pensando allo sciupìo del nostro lavoro, alla perdita di fra poco, forse utilissime ed elette forze ed alla conseguente disgrazia grave alla nostra Italia, unico tutto del nostro spirito; e tanto più in momenti iu cui, la cooperazione attiva di Mazzini su questo povero terreno (trascurato da tutti i nostri, mentre è loro prima speranza) sollevava il nostro animo rassicurandolo quasi alla certezza di un felice sviluppo, da noi creduto difficilissimo e quasi impossibile su d’altri luoghi. Io vi rimetto copia di questa lettera di Pisacane e copia della risposta — giudicate un poco voi!!!
Il vapore indicato nella lettera di Carlo era di già partito, e però per inviare la risposta ci siamo serviti del mezzo solito «Sarebbe utile che voi scriveste immediatamente a Mazzini per prevenirlo dello stato delle cose», perché se incidentalità volesse che Carlo partisse prima di ricevere la mia risposta potrebbe rinnovarsi il fatto di Bentivegna!! Vi raccomando caldamente questo affare che mi mantiene in agitazione incalcolabile fino a tanto che non sarà sistemato.
Vostro affezionatissimo Kilburn.
___________________
5 aprile 1857
Amico carissimo — Per mezzo del commesso Sigari riceverete la seconda di cambio della prima partita che vi debbo, con questa mia tremila lire pel medesimo oggetto, cercate di avvalervi senza riserva di questa mercanzia, né vi ritengano scrupoli di responsabilità. Quando avete adoperato tutti i mezzi che avete, e fatto quello che potevate, di che deve assicurarvi la vostra coscienza, siete al di sopra di qualunque sindacato. Con l’altro corriere spero di mandarvi il complemento di ottomila.
Vi trascrivo quello che maggiormente importa di Mazzini che vi ho trascritta intera per mezzo del Commesso — «Il vostro moto non è isolato, si connette con altre combinazioni che fallirebbero se si indugiasse soverchiamente.
«Le insurrezioni non si fanno con l’oriuolo alla mano. Né il loro successo dipende da un preparativo di più, o di meno.
«Vi è un calcolo morale che vale molti calcoli materiali. Questo calcolo mi fa debito tentare d’applicare la scintilla — secondateci quanto potete».
Vi ho scritto che questa era accompagnata da una a me diretta, e che veniva ultimato il piano seguente (queste ripetizioni le fo pel caso di dispersione).
Il venticinque di questo mese alle sei di sera partiremo da qui; il ventisette alle sette del mattino saremo alla porta dei due ultimi magazzini isola, e quindi con poca differenza a mezza notte porremo in regola la partita disbarco con Sapri. I particolari ve li ho già scritti, questo ci basta nel caso non riceviate la mia n. 4 per essere informato di quello che vi riguarda e farmi recisamente le vostre osservazioni, non mai di rimandare, ma di modificare il contratto ne’ suoi dettagli. Per esempio se mi scriverete: il mercato Ponza offre grandissimi vantaggi, esso non verrà da noi trascurato. Se mi dite l’ora di arrivo a Isola è malissimo scelta, ma bisogna che sia quest’altra, io mi atterrò a quanto mi dite; se credete cangiare il punto di disbarco, ditemelo, per noi è lo stesso. Di queste cose ve ne saremo gratissimi senza credervi perciò responsabile di cosa alcuna. Se poi dite i negozianti Isola non vogliono saperne, non si farà nulla, solamente la mora non accettiamo, non per capriccio, ma perché convinti che il contratto peggiora.
Riguardo alla partita armi quella di qui è indispensabile all’altra disbarco compresi gl’ingredienti, giacche potrebbesi correre il rischio gravissimo di avere in un luogo armi e non uomini, ed in altro questi e non quelle; se poi siete in misura d’immagazzinarle subito spedite la polizza di carico a Malta, sarà nostra cura fornirlo del danaro occorrente per eseguire direttamente il contratto. Col medesimo corriere vado a scrivergli sul soggetto.
La partita arresto acquistata dai negozianti che mi nominate mi ha addolorato assai. È una cosa terribile, ecco la necessità di fare subito.
Vi ho rimessa una circolare per le varie Case di commercio, debbono essere circa trecento, ve ne accludo una, un altro numero lo spedirò a Malta per voi, spero che vi giungeranno tutte o almeno una gran parte.
Qui abbiamo avuto un’agitazione molto viva, la cagione la rileverete dai giornali che vi ho rimesso; ora vi è calma apparente, ma assicuratevi che siamo su di un vulcano. Un tale stato ci agevola sommamente, noi per le cose nostre troviamo cooperazione attiva e generosa.
Volete sapere quale sia lo stato del Piemonte rispetto alle grandi potenze? Con la Russia non havvi che buona intelligenza di re a re, e quella stampa adulatrice e servile che diceva il nostro partito amico della barbara Russia, durante la guerra di Crimea, ora loda a cielo la Russia e la sua amicizia pel Piemonte. È poi alleato di Francia e d’Inghilterra, e queste due potenze lo garantiscono sicuramente da qualunque attacco dell’Austria, la quale non sogna neppure di volerlo attaccare; e nel tempo stesso gl'impongono il rispetto assoluto ai trattati del 15 che il Piemonte non sogna di voler violare, quindi una commedia in cui sono tutti d’accordo, e volta a corbellare i Popoli. Il Piemonte per le due potenze occidentali è come uno di quei due piccoli cagnolini, i quali per ischerzo o per dispetto si aizzano contro un avversario, senza correre mai il rischio di lotta veruna, giacché con uno scappellotto si fanno tacere. Il sistema costituzionale che non è durato in nessuna parte d’Europa, finirà anche qui: il malcontento è universale, meno la regia Torino: assicuratevi che in tempo non lontano si andrà avanti o indietro; ma così non si durerà, che che ne dicano gli ottimisti.
Notizie precise sul telegrafo di Isola e sugli approdi vi trascrivo alcuni nomi di persone che si trovano a Ventotene, popolani ottimi. Raffaele Valerio il Cuoccio, e fanno parte di un gruppo di sei o sette, che hanno guadagnato dieci anni di relegazione. Il più influente tra questi è Pasquale Buonomo, credo saranno conosciuti da Basile.
Vi prego gettare alla posta la qui acclusa. Un affettuoso abbraccio insieme al Socio — W. vi saluta; sono — vostro — Carlo.
Di Pateras che n’è? — Salute.
È giunto il commesso Sigari, ma non mi ha portate vostre lettere, spero che avrete ricevuto tutto, tre diverse lettere dovevano essere con quella di Mazzini.
È inutile dirvi che troverete voi il mezzo per decifrare le lettere 1. 2: se ve ne avvarrete credo che sarebbe buon consiglio inviare separatamente la lettera e le parole corrispondenti alle cifre
Con questo medesimo corriere riceverete duemila lire da Mazzini, mi si dice deviarmene più ma non ancora l’ho, spero subito mandarvi altro.
Vi prego di far gittare alla posta la qui acclusa.
D. S. Un’ultima parola, noi non pretendiamo da voi l’assicurazione che tutti insorgano, tutt’altro. io vi ho scritto mille volte, e Mazzini nell'ultima sua, che voi non avete responsabilità di sorta alcuna, noi desideriamo che Isola accetti dal luogo, e quando ci dite Isola, accetta tutto è fatto. Un abbraccio insieme al Socio — e votatemi bene. Accusatemi subito ricezione del danaro.
___________________
7 aprile 1857
Amico carissimo — Con questa mia rispondo alla vostra del 26. Alta precedenti che ho tutte ricevute ho già risposto: la vostra a Mazzini fu inviata immediatamente al suo destino, e spero per mezzo del commesso Sigari mandarvi la sua risposta, come ancora le medaglie od altro numero della Libera Parola. Con somma meraviglia ho tatto in questa vostra «pelle armi io vi trascrissi la polizza di carico contenente gli accordi». Nessuna delta vostre lettere mi è mancata, ma io non ho punto ricevuto questa polizza che ho chiesto con istanza grandissima, e che urge di avere, almeno avreste dovuto scriverci con quali mezzi l’avete spedita. Vi sia di avviso che noi spediremo delta paccottiglie, al solito luogo, (non lettere). Ci eravamo astenuti sino ad ora, perché ci avevano detto che non volevano riceverne, ma ora ci hanno fatto conoscere che accettano come prima.
Quel tale istrumento credo rischio gravissimo spedirlo senza un utile adeguato, e però me ne astengo, e lo farò nel solo caso che voi potreste trarne un utile immediato e reale.
La vostra lettera a Mazzini è molto scoraggiante, sembra che sia tutto a farsi, ed io so benissimo che non sono queste le opinioni dell’amico: sentiremo la sua risposta. Vi lagnate che le balle armi sono poche, ma se anche ne avessimo pieni i magazzini, pare le difficultà dell’introduzione sieno quasi insormontabili. Ho fatte le vostre imbasciate agli amici S. D. e W. Non trascurate avvalervi della credenziale Seconz. Questa mattina spero ricevere riscontro a tutte le mie. Spero che sarò in tempo di annunziarvelo in questa mia.
In questo momento 9 ½ di mattina ricevo la vostra del 2 corrente. Comprendo la vostra agitazione, ma bisogna cercar come dominare gli eventi: non sono io che direttamente affretto, ma neppure quello che ritardo, e ciò dipende dal convincimento che un lavoro lungo ci menerebbe a completa ruina, ed ho fede che un colpo inaspettato, se gli animi sono volenterosi, produrrà effetto maggiore di qualunque lavoro. Fate dunque non già ciò che vorrete, ma ciò che potete. Le notizie che mi promettete saranno preziosissime, quindi speditemele al più presto unite alla benedetta polizza di carico che tanto importa.
Delle vostre richieste, direzione, è impossibile prima del fatto, e non potrebbe essere utile per preparare. Armi sarapuo circa 250 in vapore, danaro spero che vi sarà spedito al più presto; io scrissi già a Malta per farvi inviare un piccol soccorso: ritenete che la cosa ha luogo, con differenza di giorni, come già vi dissi, meno imprevedibili incidenti — Salute Carlo.
P. S. Se con questo ordinario mi avrete scritto col commesso inglese, scriverò più tardi la lettera, ma sempre dopo d’aver consegnata la presente. Pensate che le cose lunghe nelle presenti condizioni vengono indubitatamente interdette da immancabili arresti.
___________________
7 aprile 1857
Fratello — Ho la vostra, e pochi minuti appena per giovarmi dell’occasione: non posso dunque scrivervi che poche parole per ora.
Noi individui, qualunque sia la nostra attività, non possiamo creare l’insurrezione d’un popolo: noi non possiamo crearne che l’occasione. 0 il popolo fa, e stà bene, o non fa e non siamo mallevadori che davanti a Dio e alla nostra coscienza. Unico debito che ci corre è quello di studiare coscienziosamente l’opportunità del momento: coglierlo, e offrire con una mossa audace l’iniziativa alla Nazione, è il genio della rivoluzione.
Per me, per noi il momento è giunto. Non possiamo or darvene le ragioni perciò che concerne la condizione estera; ma accettate lamia fede, come riassunto di gravi considerazioni. Quinto all’interno il malcontento esiste tra voi e per tutta Italia. Le vertenze, nulle in sé, tra l’Austria e il Piemonte, accrescono il fremito. Da quel fremito, i moderati non trarranno cosa alcuna da per sé, credete a me, seguiranno. D’altra parte il vostro lavoro di che parlate non è possibile, sarebbe scoperto. Oggi Punica cospirazione è l’azione. Siamo dunque fermi d’agire. La responsabilità è nostra; e sapremo, occorrendo, assumercela tutta. Agiremo nel modo che voi stesso suggeriste, appena potremo: dentro un termine assai ristretto.
La parte ch’io vi chiedo è questa. Fate quanto è in voi e rapidamente, perché la provincia sulla quale siamo intesi possa fare eco abbastanza potente. Stringete nel punto ove siete le (ila de' generosi, che sono con voi nell’aspettativa d’un incidente propizio, d’un fatto senza dir quale.
Stringeteli tanto da tenerli pronti a profittare del fermento che il fatto stesso farà nascere negli spiriti per cacciarsi in azione. Maturate un punto obbiettivo a quell’azione. In tutto ciò voi siete libero d’ogni responsabilità in faccia al partito. L’assumerò, vi ripeto, io tutta.
Se il fatto ha luogo, siate in misura per non esser presi. La polizia tenterà arresti di precauzione.
Quanto al dopo, alla direzione non temete. Sarà provveduto. La mossa stessa della provincia darà i caratteri fondamentali. E del resto, avrete istruzioni da me prima del momento supremo.
Vi si spedisce con questa un po’ di denaro, ne avrete altro tra poco — Addio — Osate, un popolo non caccia in Europa il modello delle cuffie di Silenzio, senza prendere impegno di una protesta virile. Importa all’onore d'Italia farla, al popolo spetta di convertirla in vittoria. Amate il vostro G. Mazzini.
___________________
Tunisi 7 aprile 1857
Signori Maestri e Benucci — Ancona — Alla pregiata vostra dell’ultimo ordinario poche parole e rapide, un po’ disturbato e sofferente.
Non trovo accusato il pacco camp: del solito mezzo mensile ed abbastanza voluminoso. Non mancate mai di avviso.
B. N. mi darà un mezzo per cui voi userete diretta od in» diretta trasmissione, come meglio penserete, e dietro cui potrete presentarvi nel modo da voi proposto.
Nulla ebbi da osservare sulla Vostra lettera a Mazzini benché presso Pisacane scrivessi incirca su questo tema «La vitalità esistente dover progredire a vita attiva per l’oggetto definito, e dal momento che l’oggetto acquistava per punto di partenza l’accettazione Estero, cominciava l’opera di armonizzamento da costituirsi tra l'estero e l'interno. Feci o volli fare in modo che s’intendesse come su Isola fosse indispensabile alcuna precisione di conoscenze e di intelligenze reciproche, onde ottenervi fatto Vapore, e come su Provincia destinata a Iniziativa vi occorresse un che di assicurato efficientemente, e sul resto aspettazione più allarme Fidente». Nei quali estremi sta, a creder mio, esclusivamente l’obbietto cui devono tendere nel frattempo i Vostri sforzi, e tutta la maturità realizzabile dell'affare.
Per carità, sotto prevenzioni erronee non vi fate precipitoso nello interpretarmi, giacché può avvenire che m’intendiate troppo eterogeneamente al mio giudizio! Parlai di concretazione di rapporti, dinotando questi ultimi sotto il nome d’intelligenze. Ma le dotte intelligenze personali cui alludete le temo più di voi, e mi dolsi sempre del dubbio che non intendeste di volerle evitare alla conclusione. Le conobbi dal primo giorno del mio operare sin oggi fatali ad ogni solido e realizzabile convegno. Per riunire sotto una guida bisogna di un po’ di sano e calmo criterio, e più sano quanto meno dotto, e più istrutto dall’esperienza o per naturali disposizioni capace fatto da gioventù.
Va bene il paragrafo che mi trascrivete di Vostra s. Mazzini, giacché mi sembra che costituisca un termine abbastanza proporzionale, ancorché in astratto, onde le due partite esterno ed interno possano livellarsi.
Ciò che allarma Mazzini è il dubbio di forzosa emigrazione od arresto da parte del Governo.
Circa agli stati delle Provincie vi dissi già in qual senso io vedeva bene la vostra richiesta, cioè a soddisfazione di quei che vi mettono importanza, ed a provocazione generica di senso di opportunità.
La risposta che date circa al ricapito e conservazione individuale è molto imbarazzante, ed è oggetto che meriterebbe vostre speciali avvertenze più assicurative, per ogni possibile occorrenza.
Mazzini avrà la Vostra fattura, onde d’ora innanzi potrete valercene con lui.
A Civitavecchia in data recente si davano notizie (telegrafiche diconsi) di movimento a Parigi; ma arrivi diretti da Marsiglia della stessa data non recavano simili nuove — Addio.
Bigami e Compagni
P. S. Nulla mi dite rispetto alla partita Danaro di cui per avviso di Pisacane vi feci arbitro. Or sono pochi momenti un negoziante mi avvisò di una partita di Lana Armi di prezzo più che moderato, di cui vidi fattura per conto di negoziato Londra, che intende disimpegnarsi dal ritirare la qualità corta e specialmente' revolver. Dal lavoro artistico non poteste cavare alcun che, vi stiamo ancora per le spese, cioè pel debito delle spese.
La cassa di vostro conto armi piccola non poteste mai combinare modo onde ritirarla? L’amico F. dice che sul punto che più volte v'indicai vi ha chi potrebbe occuparsene.
Alle linee particolari per altro.
___________________
9 aprile 1857
Amico Carissimo — V’aveva scritto lo stato singolo di tutte le provincie, ed aveva apparecchiato un lavoro descrittivo di tutte le isole, ma la polizia picchiò dove io era, e volle fare una perquisizione, ed appena ebbi tempo a distrugger tutto, e non so come mi sia salvato (249).
Ora non ho tempo di scrivervi altro; attenetevi però alla precedente mia, come espressione dello stato vero, e del sentimento dei patrioti; però io credo, che bisogna preparare ancora un altro poco all'uopo per ottenere quel solido concreto ch'è desiderato, e spero grandi cose.
Pensate che nella buona intenzione di valerci sempre dei momenti, mentre non si era nulla apparecchiato per padroneggiarli, si son perduti molti anni ed elementi bastevoli a riscattare l’Europa intiera.
Un bacio ad SS. e che mi scriva; ma egli il Decano (Mignogna) della fabbrica perché tace?!!! Ma è possibile che nessuno degli uomini ch’io stimo per i più concreti abbia compresa la posizione del paese, e del nostro partito per afferrarla pel ciuffo, trascinarla colà dove desta l’inestinguibile incendio. Un bacio |n tutta in fretta — Addio — Vostro Kilburn.
___________________
16 aprile 1857
Amico Carissimo — Ringrazio C. N. su ciò che mi dice per l'individuo, che ho in pensiero di destinare nell'affare delle armi.
Conosco il Calzolaio, e vorrei che per altra linea gli si facesse avvertire, che avesse piena fiducia in chi lo saluterà in suo nome, perché io lo saluterò a nome suo quando questo apparecchio sarà fatto. Per l’altro ho bisogno d’un qualunque accredito. Intanto il suindicato per l’affare armi ora non è in relazione che con pochissimi, ed io credo conoscere quei pochi che raramente le veggono, e ci ho più comunicazione io che altri. Vi ringrazio delle avvertenze che mi avete indicate dover avere su tal riguardo. Aveva diggià pensato a gran parte di esse, ed altre che credo essenziali.
Il progetto Svizzeri era fra mani di dipendenza dello stesso individuo, ed è sospeso, perché il solo tenerlo in mira, portava molta spesa; ma potendosi riprendere, se troveremo le condizioni favorevoli, lo riprenderemo.
Per la «Concretizzazione d'affari in trattativa» per cui ci fate inchiesta, i principali sono quelli che vi manifesto nella qui acclusa lettera della quale bo inviato copia a Carlo.
Per i consigli che mi date in quanto all’affare in corso Carlo e Mazzini, ed il modo col quale vi siete contenuto verso loro, vi ringrazio; non mi dite però se la lettera scritta a Mazzini vi piace, e questa è una delle ragioni per cui vi rimetto copia delle lettere. La lunga lettera qui acclusa mi pare indicativa della pratica di parecchi dei vostri consigli: ditemi se l’acclusa lettera vi piace.
Il ricapito per ogni pervenienza personale (in giorni non festivi) e quello di Maurien. In quanto alla conservazione poi della persona, noi non possiamo garantir nulla, nulla, perché si rende ogni di più difficile il garentire anche noi stessi. Credo egualmente inutili gli stati delle forze delle Provincie, ma io aveva delle ragioni per riceverli e passarli a Carles, che voi non stenterete molto ad apprezzare.
Ciò che mi dite nel n° 4 del Capo 7 della vostra ultima; se è riferibile ad una proposta formale che debba farsi ai costituzionali per iscoppiare la rivoluzione, è bene che v’avverta che io credo indispensabile tenere il più stretto segreto con essi, essendo certo che qualunque appalesamento è fatale per noi e pel paese.
Al numero 9 dello stesso capitolo dite «Stimolo voi alla più rigida possibile concretazione d’intelligenze». Per carità, intendiamoci chiaro: io non ho relazione con alcuna intelligenza; i nostri amici sono influenti nel partito d’azione; le intelligenze ci stanno facendo la guerra: ecco perché ho chiesto sempre una direzione perché manchiamo assolutamente d’intelligenze. — Addio di cuore.
___________________
13 aprile 1857
Fratello — Vi ho scritto due linee per altra via; vi scrivo ora per mezzo dell’amico Comune.
Bisogna che gli amici vostri si guardino da un errore frequente in quanti intendono a fare: quello di non contemplare se non le proprie forze, e considerarsi isolati.
La vostra azione sarebbe strettamente parlando iniziativa. È appunto un’iniziativa che noi cerchiamo, per dar moto e ragione a' fatti nel Centro e nel Nord, pei quali io mi porto mallevadore. Il problema che dovete porvi non è dunque: abbiamo forze sufficienti anticipatamente organizzale a far fronte a diversi nemici, o trionfar solo senz’aiuto morale e materiale da altrui? Ma è, abbiamo elementi che bastano a giovarci, per agire, del fermento che l’operazione proposta susciterebbe negli animi? Può l’operazione compita determinare un moto serio nella provincia che voi stesso indicaste? Può la bandiera nazionale mantenersi in alto per una settimana, tanto che le nuove giungano favorevoli altrove? Se sì, debito vostro e nostro è fare, perché gli aiuti morali e materiali anche dell’altra parte d’Italia non vi mancheranno; la nuova dei moti che seguirebbero il vostro ne accerterebbe lo sviluppo e il successo, e le nostre mosse s’ordinerebbero possibilmente a convergere al Sud e rafforzarvi. È l’operazione proposta e che io accettai, possibile o nò? Se mai noi fosse affrettatevi a dichiararlo a Genova e a me. Se lo è, come credo, affrettatevi a compiere le intelligenze necessarie, perché possa riescire. Lasciate il resto a noi, alle conseguenze morali del fatto e alla vostra e nostra energia. Fidate in me: le condizioni d’Italia e d’Europa sono propizie all’iniziativa. Bisogna credere e darla. Le lunghe e vaste organizzazioni non sono ora possibili; conducono inevitabilmente a scoperte. La missione d’una minorità organizzata è quella di studiare il terreno; di calcolare se un fatto energico d’audacia e di successo può suscitare a vita la maggioranza, e crearlo. Le minorità non fanno rivoluzioni; le provocano: la minorità che provocò le giornate di marzo in Milano, se avesse esatto, prima della scintilla produttrice, cifra uguale all’impresa, non avrebbe tentato mai. Milano e la Lombardia dormivano in apparenza, sognavano tutto al più dimostrazioni legali o semilegali, non lotta aperta o vittoria. Il nucleo di arditi che intimò la battaglia credette aver toccato il polso al paese, e calcolato una somma di cifre che l’iniziativa avrebbe chiamato; tentò e vinse. Voi dovete fare lo stesso studio. Per quanto posso, io l’ho fatto; credo il paese maturo; è debito dei patrioti, che hanno core e affetto vero di patria tentare.
Non v’è dunque che la impossibilità dell’operazione prima, se voi coscienziosamente la dichiarate ora in opposizione alla proposta anteriore, che potrebbe mutare il mio disegno e farmi pensare ad altro. Se l’operazione è possibile, affrettatevi a prendere gli ultimi concerti con Carlo; annunziatelo, perché io possa spedirvi un po’ di danaro; giovate, come meglio potete, a preparare la nota provincia, perché ingrossi l’iniziativa: preparate gli animi con voci vaghe e diffuse, e scritto clandestino all’aspettazione d’un fatto, senza tradire la direzione sulla quale deve compiersi, ordinatevi a un fatto ove siete quando gli animi sieno in fermento: cercate assicurarvi — parlo degl’influenti — dagli arresti che il governo sulle prime nuove tenterà, e lasciateci fare — Addio — vostro — Giuseppe.
___________________
13 aprile 1857
Amico carissimo — Rispondo alla vostra del 2 corrente ricevuta per mezzo del porgitore, ed è questa la più recente che ho, il giorno medesimo che ricevei quelle vostre. Rispondo alle vostre difficoltà. Noi non abbiamo dato alle vostre lettere interpretazione più larga di quella di cui convenivasi: gli elementi che ci dite esistere ci sembrano più che sufficienti al fatto r nella vostra del 10 febbrajo in cui numerate tutte le merci disposte al contratto piano di Pateras. Dite Basilicata promette la rivoluzione ed armati 2000 (250), se lo promette senza impulso, tanto più con un impulso: questo solo basta, e se non basta sarà segno evidente che le presenti condizioni non si vogliono o non si possono cangiare: finiremo la carriera dopo di aver fatto il nostro dovere. Dite: un mese di più ci assicura la riuscita, e che noi (Mazzini ed io) che da tanti anni aspettiamo non dovremmo spaventarci. Senza dilungarmi su tale argomento, che sarebbe inutile, vi spiegherò in modo soddisfacente l’enigma. Voi contate un mese, ma da che epoca? se dal momento che vi ho inviata l’accettazione di Mazzini, in tal caso è quasi decorso, se intendete dal momento che siete a posto con tutte le cose che chiedete, assicuratevi che passeranno anni non mesi; inoltre noi siamo convinti, giusto per la lunga esperienza, che da qui ad un mese saremo in condizioni non migliori, ma assai peggiori: ora le merci dei magazzini Calabria e Cilento sono avariate; da qui ad un mese lo saranno anche quelle di Basilicata: bastano due o tre arresti e ciò può avvenire da un momento all’altro, per ruinare il tutto. Noi adunque respingiamo ogni indugio, non già per fretta intempestiva, ma per fermo convincimento che se indugeremo non faremo nulla.
Dite: che tutti vogliono un negozio importante, ma chi è che rende importante il negozio se non gli stessi negozianti? Secondassero tutti nel mercato, ed il mercato diverrà importantissimo; ma se ognuno aspetta prima che vi sia il concorso, non vi sarà mai nessuno. Se dieci generosi rimangono soli, quando l’opera ed il luogo del contratto è bene scelto, di chi è la colpa, di quei dieci, o dei tanti che rimangono indifferenti spettatori? A che valgono gli accordi? Essi non cangiano la disposizione del cuore: se tutti convengono di muovere, e nessuno vuole essere primo, tutti rimarranno fermi. Se tutto quello che ha fatto e che fa il governo non basta per rendere ad ognuno insopportabile il presente, e per renderli pronti a seguire un generoso impulso, siate certo che tutti i concerti ed i mezzi del mondo non produrranno un tale effetto: si dirà sempre che il fatto non è stato abbastanza grave, ma la vera cagione dell’inerzia è nel cuore; auguriamoci che non sia cosi per onore del nostro caro paese, e facciamo il nostro dovere.
Voi chiedete, direzione, danaro e armi — Direzione come voi la intendete è impossibile. Mazzini non potrebbe indicarvi nessuno dell’interno, ed importare questa merce per cospirare, è cosa assolutamente impossibile: tale operazione non può farsi da chi è obbligato a celarsi: per tale lavoro è d’uopo conoscere ed essere conosciuto, diffondersi, moltiplicarsi ovunque. Danaro, l’avrete subito: scrissi a Fabrizj per inviarvi ciò che aveva, avrete poi otto o dieci volte tanto. Armi, dite che son poche quelle che abbiamo? ma se ne fossero pieni i magazzini rimarrebbero sempre inutili: finora il mezzo d’introdurle non si è trovato; verranno col vapore con più sicurezza introdotte di fatto. Ma il dilungarmi in ragionamenti è cosa affatto oziosa. Mazzini, voi ed io facciamo senza indugi quello che possiamo: mai un negozio è stato intrapreso con tanti mezzi, con tanta opportunità, e con tanto cuore, e siate certo che per riuscire è d’uopo sacrificare tutto alla rapidità dell’azione. L’ottimo è il nemico del buono, né si deve perdere un probabile presente per un sicuro avvenire, che non verrà mai.
Avrete già ricevuto la mia in cui vi diceva in quali limiti bisognava restringersi riguardo al segreto.
Ora reassumo.
Vi rimetto due pacchi di campioni. Vi rimetto nove medaglie, una l’ho regalata al porgitore — tre poesie su Milano, e se uno degli oggetti ed una di queste poesie potesse farsi pervenire alla famiglia dell'Eroe sarebbe cosa bellissima. Spero poi mandarvene delle altre.
1. Col venturo corriere spero inviarvi danaro che dirigerò al socio come l’altra volta.
2. Vi manderò una Circolare per tutti i negozianti, e ciò basterà.
3. Piano diffinitivo fino al disbarco.
4. In ultimo, avviso della partenza col telegrafo.
1. Polizza di carico per armi con la massima sollecitudine.
2. Tutte le indicazioni che potrete raccogliere concernenti le Isole e la costa del disbarco.
3. Scrivete ad uno di quei che sono a San Stefano il da far si, raccomandandogli caldamente il segreto, ma nel tempo stesso si accordi con gli amici nel modo come dovrà coadiuvarvi nel momento dell’arrivo. Inculcategli che il segreto è l’anima di tutto. Regolatevi nel modo istesso per le altre due Isole.
4. Prendete il medesimo concerto con pochi amici al luogo di disbarco.
5. Indicatemi un nome di negoziante vero a cui io farò indirizzare l’avviso per telegrafo, così concepito. «Il giorno (qui la data). I semi di bachi saranno venduti (la parte tra parentesi significherà) partiremo da qui. Voi dal giorno indicato a sei ore di sera conterete 85 ore, giacché noi abbiamo due punti invariabili, partenza che non dipende da noi, ed arrivo alle Isole che non deve essere prima di 8, o 9 ore di sera».
Se a questo primo avviso non segue nello spazio indicato un’altro negativo la cosa ha luogo, e voi avrete tutto il tempo per preparare.
Profittiamo, carissimo amico dell'opportunità, e vivete sicuro che non è la nostra puerile impazienza, ma è forza sottostare alle circostanze, che non possono numerarsi, e che c’impongono di troncare ogn’indugio. Rispondete a tutto: il vostro compito ora è tracciato, né credo che vi sia impossibile eseguirlo: non vi sarà impossibile, giacché parlo ad uomo, la cui abnegazione, attività e coraggio sono a tutta prova. — Salute — firmato Carlo.
D. S. Fatemi sapere con precisione se a Ponza vi è il Telegrafo: se non vi fosse, la cosa sarebbe molto facilitata: vi raccomando informarvene.
Ho già consegnato tutto al Commesso, e ricevo in questo momento lettera di Mazzini di cui vi trascrivo un paragrafo «Rispondo subito alla lettera di Fanelli. È trista. Mentre quanto aveva detto suonava, se mai realizzavamo l'operazione egli avrebbe fatto. Da quest’ultima si direbbe ch’ei non può assolutamente far nulla. Né io gli chiedeva, né poteva sognare di chiedergli altro, che ciò che c’impegniamo noi stessi di dare, una iniziativa; una minorità organizzata che si giovi del fermento prodotto dall’operazione che riesce per cacciarsi in piazza e tentare un colte po ardito. Ho fermo di tentare — Vittoria o protesta». Ed a ragione, giacché se lo stato presente, qui come da voi dura ancora due mesi, è d’uopo smettere ogni speranza per iniziare ed affidarsi al tempo, ed agli impreveduti. Per carità dunque, non ragioniamo più dell'opportunità. Attento con ansia grandissima nuove precise sulle isole — quale di esse è la più importante? Quale contiene elementi migliori? quale più atta a coadiuvare? rispondetemi — Salute.
Carlo
___________________
febbrajo 1857.
Riscontro di nuovo alla vostra de' 22 gennaio. Dico di nuovo, poiché una consimile aveavi fatta tenere mercé mia persona, che via facendo la disperse, e che per rossore, disse, non avervi riscontrato per mancanza di tempo. Pazienza… Se mi abbia inteso dolore in rilevando dai vostri penultimi caratteri che molti dei nostri operai, e tra quali il, mio bene affetto Giovannino, furonvi privati dalle prigioni, o perché latitanti non lo ridico. Mi spero nel momento sieno liberi ed uniti. Il lavoro che diceste avermi chiesto per l’amico di Saponaio mi sorprese, stanteché di là nessun incarico mi è giunto. Ai vostri comandamenti eccomi, benché imperfettamente, atteso l'oculatezza de' misantropi, o meglio antropofagi di questa mia patria, i quali col microscopio spionano ogni piccolo movimento de' nostri piedi per addentarci. Padula offre pel nazionale riscatto duecento militari, dei quali un terzo incirca è munito di schioppi, pel rimanente poi a me non sembra difficile poterli armare offrendo questo paese da 400 e più fucili. M’imprometto per la sicurezza far escire di Provincia cento individui a far parte dell'insurrezione generale, quantunque mi sia certo che molti di più se ne offriranno. Siffatti militi sono per la maggior parte artisti: i bracciali poi, ai quali per delicatezza niente si è fatto assapere, quantunque tutto hanno capito, sono tutti a nostro pro, ed a ragione, poiché più degli altri sentono il gravame della schiavitù. Ed i proprietari? tutti per la parte opposta, quindi dubitanza in molti, che per altro non sono amalgamati nel tutelare la causa comune — Sala è pronta ad insorgere con cento individui dei quali venti in trenta posseggono armi da fuoco, e pel resto apparecchiansi le sole cartucce. Sono pronti ancora ad escire di provincia. Atena offre non più che venti individui desiderosi di spargere il sangue pel riscatto nazionale, per servirmi dell’espressione loro, come in realtà posso assicurarvi che ne sono desiderosissimi, ma inermi affatto, stanteché dal 48 in poi vengono vessati in modo singolare dalla polizia.
S. Pietro ne dà venti bene ammaniti, e pronti similmente a qualunque cimento. In S. Giacomo ne abbiamo un solo, il quale nelle peripezie del 48 ha sofferto i suoi anfratti, e che s’impromette portar seco circa trenta militi senz’amalgamarli, non lo stimando necessario essendo essi pronti a seguire fedelmente la sua arma. Ma con pochi mezzi, perché guardatissimi. Montesano ne dà pochi. Buonabitacolo ne offre da venti in trenta e per ora stanno ancora acefali; tra oggi o domani però s’acconcerà tutto. Di Diano, come vengo assicurato, siete abbastanza informati. Di Sassano, Sanza, S. Rupo, S. Orazio e Palla, de' quali mi attendo i rispettivi lavori, dirovvi tra breve, anche con apposito mezzo, e nel contempo vi dirò altro spettante gli anzinomati paesi. Rassicuratevi però che il manubrio da cui dipendono i paesi siti sulle diverse colline, e poggi di questa convalle sono Padula e Sala, e che ostacoli forti a sormontare non ne avremo quante volte si sapranno sorprendere, e sacrificare pochi corifei del partito opposto.
Sono sicuro non aver appieno soddisfatto i vostri voti esternati nella vostra lettera: la premura però e fretta nel mandare a bella posta il nostro fratello di fede, e porgitore della presente, per giustificare la non mia inerzia, e non riconoscimento di cui mi accusate, non mi ha permesso tenervi informato di altro, di che ne fo riserva.
In questa provincia si sta organando un partito reazionario sotto la direzione di Perazzo di Vibonati, Palmieri di Polla, e Coletta di Diano, i quali promettono a ciascun individuo carlini cinque per ogni giorno. Ciò non si sa con certezza, ma quando anche fosse non ce ne fanno paura, poiché voi sapete benissimo, l’uomo libero non teme punto della gente mercenaria.
Le cifre segnatemi nel termine dell’ultima vostra, non l’intendo perché non sono uniformi a quelle fattemi tenere per Titta. Vivete per sempre — Addio.
___________________
20 febbrajo 1857
Onorevole cittadino Wilson (Fanelli) — Ebbi la vostra che come ogni cosa che vienmi da voi mi fu gratissima. Non debbo dissimulare che mi accorsi del modo evasivo con cui cercaste evitare mia proposta fatta nello interesse della causa, e per necessità dello adempimento regolare e preciso dei lavoro, non per me. Vi chiesi delle carte con intestazioni, e forse credendo che ne avessi fatto mal uso ve ne siete sbrigato col silenzio del fatto, e delle parole, e di ciò ne avrà anche colpa mio fratello, che non vi ha esposto le ragioni mie di questa dimanda. Avrei voluto copiare le circolari, le notizie, estratto della stampa su di essa per ottenere quelle soddisfazioni che non offrono semplici carte, non avete creduto, ma non cesso ripetervi che la loro utilità qui è immensa. Quando vi domandava di avere dal Comitato quelle autorizzazioni che erano volute dalle condizioni del nostro lavoro provinciale, lo era più per mia soddisfazione verso degli altri che per me, ed oltre che ho tattica, e non poca fiducia riscuote la mia lealtà, ciò facendo voi, nessuno avrebbe potuto dolersi, perché la mia venuta costà mi pose primitivamente in contatto con voi, e perché essendo mio fratello organo di comunicazione con queste provincie, nessuno meglio poteva affidare la sua personale fiducia e sicurezza che ad un fratello, e perché nessun altro punto del regno ha sì facile comunicazione con voi quanto questo. Tutto ciò chiedeasi per far con più decoro l’obbligo mio, e mostrare che la dipendenza da voi era stretta per me, e così doveva essere per tutti, i quali non si sarebbero piccati di ciò, perché nella prima mia Circolare scrissi a caratteri cubitali che la gerarchia era richiesta, per l’ordine non perché inducesse supremazia. Anche mi sarebbe più piaciuto (e ve ne pregai) che non credendo me adatto, aveste destinato un altro, purché si fosse destinato per non andare a tentoni, e rubando, diciam così, Io assenso degli altri alle vostre opere, non ottenendolo per la forza della certezza, in uno che fa perché richiesto e scelto dalle facoltà superiori e inesorabili. Io torno in queste cose perché foste convinto che nessun’altra idea attaccai a quella mia proposta, tranne il bene della causa, e la regolarità del lavoro. Tutti, e sommamente io, siamo dolenti che ci prometteste d’indicarci i vostri capi delle vicine province per tutte le buone conseguenze che nascono dallo accordo; intanto qui il lavoro da più tempo è a tale che si sarebbe desiderata questa notizia per non andare alla ventura, e non si è avuta. Mio fratello mi ha scritto di tenere precisamente Vincenzo Padula per Salerno, ma può essere idea sua non appoggiata da voi, né ordinata con vostra carta di riconoscimento per entrambi. Queste formalità sono necessarie per la disciplina pel decorò del lavoro, se no si cammina sbrigliatamente, e senza utile risultato. Dovendo porre in rischio la nostra vita ed averi, e tutto l’avvenire della patria, è giusto che ci mettiamo al corrente, almeno pei generali del pensiero che si ha del piano d’insurrezione, dove cominciare, come, quando, con quali ausilj morali e fisici, esterni ed interni, che si opera in Sicilia dopo la disfatta di Bentivegna, se tutte le quindici province sono con noi, se le frazioni costà souosi intese. Questo buio è tremendo, è sconfortante. Siamo sempre affamati, e sempre digiuni. Nel 48 si disse che erasi fallito per mancanza dei capi; speriamo che nel 57 non si ripetesse lo stesso. £ assolutamente necessario che le disposizioni quali che siano del Comitato di Londra, relative alla iniziativa, o altro, fossero trasmesse con stampe analoghe del detto Comitato, altrimenti saranno pure aspirazioni parziali di qui, senza la estensione richiesta dal nesso Italiano generale, e non produrranno effetto.
La unione del giorno sedici ebbe luogo, ma vi mancò Titta e Santomauro che ci dovevano apportare le nuove di mezza provincia. Incolpatene voi che non voleste prevenirli sul conto mio.
I convenuti non vollero sturbare l’ordine attuale delle cose non ostante le mie insistenze, dicendo che si era camminato bene. Di accordo decisero essere impossibile la rivoluzione se non viene capitanata da uomini di grado e. prestigiosi. Appena costoro apparirebbero non duemila, ma diecimila si avrebbero insorgenti. Si manca di armi e provvisioni.
Chiedete gli statini; Fidate in me, a che varrebbero? a mostrare il numero reale. Comunque non si sieno stesi, per certa precauzione, posso assicurarvi che i seimila che si vorrebbero da noi si hanno. I capi militari si facciano venire da profughi, con essi farò trattare i nostri, ed in un dì si unirà ad essi quanta gente si vorrà. La stampa fa prodigioso effetto. Si mandino proclami stampati.
Si sono presi molti provvedimenti pel miglior corso delle cose voi intanto eseguite quanto dietro con più calma ho cennato — questa occasione è stata istantanea e non compio l’opera — Il Cittadino.
___________________
6 marzo 1857
Caro fratello. — Ecco il tanto desiderato statino. Vergognava mandarlo perché incompleto. Del resto, notate il mio buon volere, e siavi presente la mia mortificazione e il non potervi mandare cosa migliore.
Matera tace, non ostante i solleciti avuti. Potenza finalmente promette, ma nessuno viene.
In Melfi non sappiamo che sia fatto da Potenza.
D. Carbone promise mandare subito il suo stato rettificato. Vi mando l’antico ed unico che ci mandò.
L’essere andato a passeggiare in Lagonegro ha portato l’attrasso.
Ci aspettiamo più recenti statini da vari comuni.
Si è scritto da pertutto con calore. Il silenzio non s’interpreti male — Ognugno fa, ed ha difficoltà cacciar carta.
Un plico direttomi dà V. Padula per Trimuntula fu ivi bruciato, dissemi Mar.(0) per timore. Veniva forse da costà? Ciò avvenne intorno alla venula di Guarini.
Non guardate lo stato, siate certi che all’apparire degli uffiziali insorgeranno pure le gatte.
Badisi al concorso di tutte le province se no, patiremo le sorti dei Siciliani. Il Comitato non vuol consigli.
Fui da Giliberti. È tutto fuoco per la causa, ma Commissario provinciale di fatto non vuole essere, vuolci prestare il nome. I 2000 ducati non li ha offerti mai: darà all’uopo quello che si troverà disponibile. Ora Titta non vi burlò. Scontento non è più venuto. La neve lo avrà fermato, sa Dio dove. Avute le carte stenderò ai Commissari di Sezione Circolare soddisfacentissima, e lascerò nulla più a desiderare loro. Mi piacerebbe da voi più singolare dilucidazione su le tante cose domandate.
Per togliere dalle mie spalle ogni responsabilità futura cercava istallare altro Commissario, ma ognuno rifiuta per le mie stesse ragioni forse. Del resto tu non mi farai dare un passo in fallo certamente, e cerca veder tutto, toccar tutto.
Il messo è stato sempre qui, e lo è tuttora. Gravi cose saranno sul conto suo — Dicci il netto, l’essersi dipartito dagli esercizi non poteva portare quel trascino di terrore che ci dici. Che ha fatto dicci? Un messo invalido e tanto perseguitato, fa disonore al Comitato. Ho capito per altro andare trovando sicurezza propria e questa è sua reale missione. È bravo per altro ed eccellente.
La tua a Cristarella è stata poco intelligibile — si è rimasta sepolta la più gran parte. Che modo di scrivere.
L’albo nostro è venuto vuoto.
Vogliono da noi sapere tutti. Cosa dire? Non una notizia ci avete mandato stasera!! Questa è miseria. Passa in miglior carta se credi lo statino, Varie altre categorie ho messo neL modello mandato al Comitato come, persone influenti fondo di cassa 7 7, ma io non sapeva finora che i militi, e questi ho segnati.
L’aspettazione da pertutto è eccedente, non ci perdiamo in formalità.
Titta si avrà pure gli stati di Bari e Lecce — qual colpa nostra? io non pretendo merito alcuno, ma giustizia e compatimento se più non posso.
Si vorrebbero di viglietti di prestito provinciali per la sola Lucania. Se si possono fare, si facciano: cosi potrassi aver danaro anche dalle pietre — da 4 a 12 carlini. Ne vorrei per un un 1000 ducati. I nazionali si sono distribuiti, ma non ho introitato danaro ancora — Il cittadino.
___________________
marzo 1857
Onorevole cittadino Wilson — Non spendo una parola in mia difesa per sgravarmi di quanto mi addebitate di male in una lunga vostra. Ai posteri l’ardua sentenza.
Anche la riunione dei 25 è andata a vuoto. Le Circolari son corse intanto. Le modulo degli statini pure.
Prima de' 10 aprile tutti dovranno essermi stati trasmessi. «Se le cose stringono, non li attendete e siate sicuri che la cifra degli insorgenti supererà le vostre aspettative».
Stimiamo doversi e potersi stabilire a Potenza un Comitato Lucano, costituito dall’Avvocato Giliberti, Branca e Addone, oltre una giunta provinciale pei casi di massima imponenza, e ciò per ovviare le contraddizioni che potrebbero insorgere contro i Potentini e fare stare anche questi al dovere. Accettandosi da voi questo partito dovete convenientemente scrivere a costoro, intestando al secondo segnato, più potente e di cui conosciamo le idee. Dovendosi muovere persona da costà, potrà a lui dirigersi, ed intanto a me farete conoscere quanto anderete a fare.
Io non mi arresterò pertanto, e da per tutto riscuoterò gli statini che v'invierò per persona scelta dagli stessi suindicati individui, ai quali per altro nessun generale mandato abbiamo dato, e solo quello di fornirvi gli statini di molte cifre, e di fondersi fra loro, che prima disuniti.
Che vi pare dell’operato di T....? Leggete un po che mi fa scrivere da uno di sue Sezioni! non ho voluto rispondere come si conveniva. La sua gratuita elezione in persona di Giulio ha apportato mesi tre di remora!
Ho fatto il dover mio, e sempre il farò. Appunto per rimediare agli sconci ho chiamato ben due volte, ed ho gridato notte e di. Non sono stato udito; colpa mia non già, ma del timore panico che ha invaso ogni animo: timore per altro che svanirà allo sventolare di una bandiera.
Le mie opere mi esimono dall’obbligo di dir molte parole. Se fui lido e costante ai posteri l’ardua sentenza.
D. S. Ritengo la scritta su cennata del Commesso di Titta dovendomi servire di documento.
___________________
7 marzo 1857.
Tiranna fatalità ci persegue! Vincenzo Padula profittando di una fiera in paese vicino qui si condusse per prendersi tutto, e correre tosto costà. Intanto è arrestato a Salerno, gli rovistano tutto, ma nulla rinvengono: nel contempo il Sottintendente fa diligenza in sua casa a Padula, e nulla pure rinviensi. Benedetto!!... Se no quattro province rovinate! e parecchi individui. Ecco perché state a l’oscuro da più tempo. Noi fatichiamo, non lasciamo mezzi ad onta degli amici falsi che ci attraversano la strada.
Per i dieci dovrei avere tutti gli statini. Forse neppure verranno, perché la generalità è sconfortata dal ritardo, e teme compromettersi vanamente. Si agogna il momento dell’azione, ed il temporeggiare apporta non poco discredito a noi e voi. Promettere sempre, e poi mancare. Non sono io che parlo, ma è l’espressione d’infiniti coi quali ho parlato, ché si è pronti, prontissimi ad insorgere: negli statini non è da poggiare. La insurrezione sarà universale purché si mettano alla sua testa uomini aeri, e conosciuti fedeli e volenti, e si ha guarentigia.
Venga Gir., tocchi i punti più interessanti, comunichi ai più capaci il piano della insurrezione, e tutto anderà a seconda. Atteso la vigilanza della polizia entusiasmo apparente pare che non ve ne sia, ma il fuoco è celato, e divamperà in modo sorprendente. Che si odano quattro tamburi, due trombe — si veda una bandiera, e poi, e poi vedrete se non vi cadranno lagrime di gioia dagli occhi. Ci è d’uopo di spinta; da sé nessuno vuol fare. Venga Gir. e tu pure: in dieci giorni, se pure si vorranno altri stati, farò vedere se saprò raccoglierli, passando io da punto a punto e tu stando al mio posto per la scuola (dico al fratello). Le carte valgono nulla — ci vuole la voce ed io ho sperimentato che i più superbi si sono lasciati vincere dopo mezz’ora di discorso. In breve. La provincia è nello stato d’insorgere tutta purché senta alla testa uomini esimii — si assicuri che lo straniero non l’attraversi, e si diano i mezzi adatti. La nostra è maggiore dell’ansia vostra. Tutti 'si lagnano del ritardo. Per riassicurarmi maggiormente del valore di tutti farò una circolare in cui annuncierò giunto il momento e mi assicurino se è loro costante e decisa volontà ad insorgere al primo segnale. Benché non esponga quello che faccio, non arguite da ciò che non operi. Così il mio buon volere venisse secondato dai nostri stessi!
Venne persona di Santa barbera che era stata diretta a Giulio da Titta. Si portò la modula dei statini, e promise farli correre per Bari e Lecce, e che dopo il dieci sarebbe mosso per costà — verso quale epoca si manderà pure da noi, ma la persona non è scelta ancora — mi sono diretto ai membri proposti pel Comitato Lucano acciò la prescelgano di loro fiducia. Vorrebbe venire l’esclusivo Orazio — aspetto un corriere ivi mandato — ma non aspettate a noi, vengasi da costà — si tocchi quel punto che vorrassi. Da pertutto trovasi ospitalità. Si portino documenti assai, proclami infiniti, ritratti di Mazzini. Voi dite a noi non s’indugi — noi prima pronti, con più ragione gridiamo a voi. Vi spiacete degli stati non giunti — non ci pensate, come se fossero venuti. Chi vi assicura della costanza de' segnati? Gli uomini usciranno — il fremito è universale. Dateci i capi, diteci come debba insorgersi — il piano, il piano generale per soppiantare l’attuale regime, e nulla più.
Vincenzo Padula mi assicura che cercherà farvi arrivare subito quello che doveva egli consegnarvi, lo spero, e datemene avviso.
Scriverò a Carlo quanto mi avete scritto.
Pensate tosto per noi — voi guidate, e da voi e non da noi dipende tutto. Gli animi scorati si ridesteranno — credete a me. Puranche i realisti amano la rivoluzione. Venga a farsi G. una passeggiata pei nostri luoghi, e vegga, se dico il vero. Addio.
___________________
23 marzo 1857.
Stasera ho terminato di avere ogni cosa tua spedita per Sconto, Sasso, Anzi e Pupi.
In esse non ravviso equabilità or caldo or freddo. Io intendo essere equabile, e lo sono senza scompormi.
Ho strappato finalmente da mano di T.... i rapporti a Bari e Lecce che non son veramente che polemiche, e non statini. Si descriva pertanto una cifra complessiva di duemila parati ad bellum, e seimila di propaganda «Della sua cerchia però T.... nulla vi ha mandato, se riesce pure con alquante chiacchiere. A me poi scriveva in questi termini». Svariate circostanze non mi permisero venire alla riunione, ed anche perché non mi venne dal Comitato provinciale la chiamata. Veda mo un pò Wilson se il mio tatto politico era tanto rozzo, quando chiedeva d'essere accreditato.»
Ciccio Paolo Coccia pur forte si duole pel disturbo dell’ordine stabilito da T A voce non dissemi cosa, dopo aver parlato con T...., mandatovi da me per strappargli le carte, ha scritto cosi — Me la vedrò io questa bagattella. Si badi al sodo.
Camilluccio l’altro ieri non ci portò nulla, ci accreditava Addone. Risposi che fosse venuto al convegno il 25. Da tempo sapendo essere in Montechiaro il Signor Branca gli feci fare un’imbasciata che voleva trattare con lui — Ieri sera venne — Piacquemi il suo dire. Avrebbe dismesso ogni rancore col primo, e si sarebbero accordati. Gli ho dato incarico speciale ed ho promesso il restante dopo la fiera. Spero molto in costui, ha molto credito, influenza e mezzi. Si aggiungerebbe a questi due Pasquale Giliberti, pure interrogato, e potrebbesi ivi stabilire un bravo Comitato. Branca è molto appassionato d’Errico e vorrà far capo da lui in ogni cosa. Del resto le intenzioni di Branca, non sono trattenitrici, e poi egli risponderà di tutto. Basta dopo la fiera scriverò a Wilson (Fanelli) io l’occorrente. Ho stabilito un perentorio fino al dieci Aprile, per l’invio degli statini dappertutto a me. Se verranno bene se nò se la vedrà il Comitato. Ho perduto' la testa per soverchio gridare. Se mi si dava più latitudine, e credito la provincia si troverebbe in altro piede. Basta — non poteva fare di più! Ho spedito a T.... un secondo messo da cinque giorni e non viene ancora. Che sarà?
Il 25 la notte sono stato a Saponara. Il tempo cattivo ha arrestato i passi di più d’uno. Sono venuti dal distretto di Lagonegro soltanto, e Vincenzo Padula. Da nessun altro punto! Ho esaurito ogni mezzo. Non è altro da fare o saper fare. Facciasi da Gir. una Circolare lusinghiera a Branca D. Gerardo incaricandolo d’invitare gli altri due segnati da me e farmi con questi un Comitato Lucano. Se ne farà a me una. seconda nella quale dirassi di approvarsi il mio divisamento di stabilire nel Capoluogo un Comitato, ed essendo stato già stabilito lo faccia riconoscere da tutti i Comitati e Sezioni da me organizzati. Se le cose stringono. si mandi da Branca, e non ci vorrà altro.
Il corriere è tornato da Titta, questi ha detto non potersi muovere affatto. Le sue Sezioni offrono un 200 militi ed il numero si diminuirà se prenderassi tempo.
Eccovi Vincenzo Padula, ho detto a lui altra cosa.
Ho avuto la tua in cui parli della venuta di Ciccio Ambro ed amici di Carlo.
Scrivo poche parole a Gir.
Nelle Circolari spedite da me ho preso il nome di Alfonso Armillino, e così mi s'intestino da voi internamente, e questo nome si usi, occorrendo, a farmi conoscere.
___________________
Napoli 9 aprile 1857
Onorevole cittadino — Non avendo potuto vedervi da vicino, che mi sarebbe stato consolantissimo ed utile al comune scopo, approfitto della buona occasione da voi procurataci, per aprirmi con voi alla prima, e senz’altri complimenti e ragioni che m'incitano a questa dovuta fiducia, perche i tempi incalzano, comincio senz'altro a parlar d’affari.
I nostri lavori (proporzionalmente alle varietà delle frazioni ed al trattenentismo d’alcuna) sono estesi ed infiltrati in ogni ramo e dovunque v’aggirerete ne troverete spiegato l’andamento, o le tracce, od almeno il germe, ma la polizia da un canto e i trattenentisti dall’altro ora ci spezzano ogni legamento di trama, ora ci dividono in un aereo indeterminato, per modo che bisognerà decidersi ad istabilire un nucleo robustissimo d’iniziativa, che noi penseremo coadiuvare con ogni possibile mezzo e coronarlo di fatti spingenti; e questo nucleo servirà a richiamare ad un tempo quelli che sono ligatissimi ed ordinati fra loro, e per le discorse incidenze rotti momentaneamente da relazione con noi, e farà decidere i trattenentisti, i quali saranno spinti da quei medesimi che ora a stento e non senza discredito rattengono traccheggiando. In questo momento le fila del Cilento, ove abbiamo buon lavoro, per gli innumerevoli arresti, il lavoro è rimasto interrotto, e non ci son restate le fila che d'una parte; di Basilicata e Lecce voi ne sapete l’orditura e l’oscillauza, e però non ve ne parlo; ma noi colà abbiamo uomini che con iniziativa altrove saprebbero spingere e determinare, e per non esser lungo taccio del resto; ma vorrei che si stabilisse per l’iniziativa la vostra provincia e quella di Basilicata, per la qual cosa vi dò i seguenti incarichi, dalla prestezza dei quali dipende il sollecito sviluppo di un nostro piano.
Vorrei che ci rannodaste alle rotte fila del Magnone, e che al suo incaricato cugino od (al fazzoletto), gli premuraste a ligarsi con noi, e ad inviarvi (nel modo fra noi convenuto) lettera a noi direttamente, o persona intelligente di piena loro fiducia riserbata. Desidero pure che mi mandiate con la massima sollecitudine, e se possibile anche a rigor di posta, uno specchietto preciso dei paesi della costa del Cilento, e se avete relazione in qualcuno di questi paesi, uomo veramente positivo ed energico, mi farete il piacere d’indicarmelo, ma dovrebbe essere immensa la fiducia in costui: m’indicherete pure i principali siti di disbarco, e quali di questi più favorevoli ad una sorpresa, e che ad un tempo potessero offrire coadiuvazione ad un disbarco se per caso avvenisse. Impegno la vostra parola all’assoluto secreto di questa parte delle nostre trattative, da doversi serbare anche ai miei e vostri più cari amici intimi non escluso alcuno. Non vi meravigliate di tal fiducia somma che ripongo in voi, quantunque voi non mi conoscete, pure è da molto ch’io conosco voi per l’operosità avuta, e per l’amore disinteressato alla causa.
Noi avevamo cprrispondenza diretta con Rutino per mezzo di Salerno, cogl’indicati amici potreste ristabilire questa rotta corrispondenza e trovar modo, perché se ne stabilisse anche un’altra diretta con voi.
I tempi son favorevoli per noi in faccia alla popolarità inglese. Lord Palmerston interpellato se in una rivoluzione democratica in Napoli avrebbe preso parte ostile rispose «le Nazioni sanno i bisogni delle Nazioni e per ciò il ministro non interverebbe in qualunque genere di quistione interna». Disse poi in un meeting che non aveva inviata la flotta per velleità murattiana che avesse potuto appalesarsi, perché il governo ama in Napoli più la repubblica stessa che Murat. In Francia si preparano alla rivoluzione, ma per ragioni che sarebbe lungo il dirvi aspettano l’iniziativa da noi. Noi promettiamo con cognizione di causa, che se l’iniziativa delle due province con la saggia direzione militare che noi le daremo, si sostiene per più giorni, insorgerà pure Sicilia, Centro e Nord d’Italia.
La fretta somma che ci vien data non ci permette dilungarci. Fa d’uopo prepararsi all’azione con sollecitudine e con secreto sommo. Il … (251) di cui mi parlate sarebbe meglio lasciarlo stare per ora perché si può fare, ciò che devesi, subito subito ed anche senza esso. Cautela somma, fraternità completa, che è nerbo, sollecitudine nel farci nota ogni cosa; ancorché noi non potessimo rispondere, è utile che sappiamo — siate pieno di fede e speranza.
Vi raccomando cautela somma per voi e delicatezza per Basilicata e Lecce. Il buon metodo è dir poco e sentir molto; salvarsi dagl’intrighi dai cavilli ed avvolgere chi li fa nei suoi intrighi stessi.
Ricevete una stretta di mano con la preghiera di risponderci subito, e se è possibile, per persona direttamente inviata.
___________________
Tunisi 15 aprile 1857
M. S. Kilburn — Ancona — Alla vostra ultima e copia a Genova osservo quanto siegue.
1. Riguardo al dubbio, se in caso d’iniziativa dobbiate ingerirvi direttamente della partita provincie ovvero della Capitale, considero come voi restiate nella Capitale tanto per la tratta Moderati e Murattisti, come per quella da cui debbono trarsi le lire vittoria nel mentre che la provincia ha in proprio beneficio le genti sbarcate.
Nota bensì che alla provincia destinata dovrebbe sostituirsi da voi (onde appianare come voi dite, malintesi possibili, e tenervi l’esercizio di quello zelo tanto necessario) dovrebbe esservi sostituito un agente di là bene informato della circostanza e condizioni per cui vi credevate utile, per quanto sia possibile immedesimato negli interessi vostri, e nel sentire 'vostro, nella natura dell'affare. E non per suggerimento su oggetti in cvi non ho dati a proporvi, ma per idee vaghe su cui voi siete in caso di conoscere, interrogo se il proponente della partita descrittami tre mesi or sono da voi, sotto la marca Piano vi parrebbe al caso suddetto che più corrisponda a ciò che sembrami alla fiducia dei nostri amici di Genova.
2. La relazione politica per gli amici Inglesi mi è impossibile per questo momento e se avessi saputo che ne accettavate l’idea giusta la mia proposta, dopo quel tempo forse a quest’ora vi avrei potuto servire.
3. Spedisco la vostra dimanda di istruzioni a Mazzini e Pisacane.
4. Mi duole l’imbarazzo che voi esprimete riguardo alle interpellanze politiche intorno a doppia alleanza Russo-Franca-Svedo-Prussa, ed all’opposizione di un nuovo pretendente Beauharnais, giacche la risposta ne è semplicissima, cioè non vi ha l’ombra di vero. La rivista Franco-Italiana riferisce, come voi dite, proclami murattisti, probabilmente per quello stesso squisito sentimento di nazionalità che ha dettato il titolo composto di quel giornale. Ma le carezze tra Francia e Russia, le poche chiacchiere di complimenti dei principi russi al Piemonte etc., sono giuocattoli diplomatici, non solo senza profondità di scopo, ma che non si scostano da quello d’imbarazzare, anziché promuovere mutamenti. La Russia e la Francia vogliono controbilanciare l’influenza semiliberale inglese, specialmente durante la crisi elettorale. La Russia vuol far avvedere l’Austria della propria debolezza in odio alla di lei condotta durante la guerra, e ricordarle la necessità del di lei appoggio a nuovi casi possibili. Tutti vogliono divertire l’opinione pubblica col tenerla in varie aspettazioni, e vi riescono per la poca logica politica della maggiorità, specialmente nel paese di Macchiavelli, sulla cui opinione ogni tranello ha felicissimo giuoco.
5. Le nuove modificazioni che accennate potermi indicare su i recipienti delle armi sarebbero molto imbarazzanti, dopo quelle che già vi avvisai da mesi compiute che occasionò e spese e tempo, e mentre il ritornarvi esporrebbe a dannose induzioni. Ogni recipiente... contiene dodici,
6. Pisacane si lagna per non aver ottenuto dà voi una polizza di carico per armi richiestavi con premure, ed indispensabile al possesso della mercanzia in magazzino Piemonte,
7. Mi sembra dalla lettera di Pisacane che lo Stato suscettibile d’iniziativa nelle provincie si costituisca, e mentre mi vi raccomando di non farvi troppo esigente de' preliminari, ed anzi d’evitare quelli che potessero compromettere il segreto di attacco, di curarne destramente e rapidamente gli estremi necessari, cioè indispensabili nelle Isole da cui dipende il resto, e mentre al resto si accomoda nel frattempo.
8. Circa alla scelta dell'Italia, sempreché non danneggi il fatto per la perdita di tempo, attenetevi alla più lusinghiera. La persona che nominate è ottima, e di mia conoscenza (Agresti).
9. Vi ricordo un credito mio per piccola partita armi, ed un'estrema miseria di Malta, miseria passiva di debiti. Il lavoro artistico (252)
improvvidamente ripetuto in più luoghi ci ha lascialo alla scoperta delle spese.Avvertite: Pisacane dimanda nome di Negoziante vero cui poter fare avvisare per mezzo di telegrafo convenzionalmente avviso per partenza di vapore. La convenzione potrebbe essere ignorata anco dal negoziante per versare in oggetto totalmente commerciale ecc.
Avvisate il risultato delle ricerche pacco. Addio.
___________________
Napoli, 16 aprile 1857.
Amico carissimo — Vi dissi il perché dovetti distruggere una lunga lettera che v'aveva scritta nel (lassato ordinario, perciò ora vi riscrivo le condizioni presenti dei nostro lavoro che colà vi manifestava: voi per intenderne l'importanza, bisognerà che addimandiate al Decano Mignogna della influenza delle persone che vi segno. In Cilento Michele Magnane e compagni assicuravano essere Analizzato il lavoro, ora costui è in arresto don gli altri principali operatori. Matina è pure in arresto!!! ciò significa sdrucitura di molli elementi. lo altro Distretto della stessa Provincia vi é ora Padula prete attivissimo, il quale vi manda gli specchietti di duo delle quattro Sezioni in cui è diviso il suo distretto (che vi accludo per vostra intelligenza) e ci promette rilegarsi a persona delegata dal su cennato agente principale di Cilento, e risponderà subito alle nostre inchieste d'indizi) dei principali lavori fattisi sui siti più importanti della spiaggia, dei principali a cui potessi dirigermi in caso d’una mia visita colà, ed indicherà i principali punti (per condizioni di località e di concertali) atti a disbarco di armi ed altro. Costui è ligato ai lavori di Basilicata, e conosce quelli di Lecce e Bari.
Nella stessa provincia abbiamo altro amico operoso, ma fatalmente ci si è rolla la comunicazione; pel mezzo però dello stesso indicato prete speriamo subito riprenderla. In Basilicata Giacinto Albini ha operato moltissimo, e ci manda per ora gli specchietti che v’invio; colà abbiamo altro amico, M itera Giambattista, che ci assicura aver dugento uomini armati e pronti; abbiamo altri non in diretta nostra relazione, ma pure operosi, e questi coi due primi in relazione. In B. tri e Lecce sono ordinati in modo quasi carbonarico; uno dei loro molti di ricognizione è Mazzini ed il berretto rosso; dicono esserci da sei mila affiliati dei quali due m ia pronti ad iniziare; ma i loro capi (che sono in relazioni con noi) sono dottrinarii, e solo la inutile, o meglio, dannosissima polemica è il loro forte.
Libertini operosissimo, intelligente, influentissimo sui buoni e sui ricchi delle quattro provincie, Bari, Lecce, Basilicata e Foggia, e ricco anch’esso, è ora uscito dall’isola della relegazione e partito ieri per Lecce, è antimurattiano ed accetta completamente la nostra idea; ma è indirettamente ligato a Lafarina, che assicura, essere delle idee nostre stesse. Costui può mettere in un mese i lavori già fatti in Bari e Lecce nello stato di seguire, e può riunire molto denaro; se lo avessimo nemico potrebbe scomporsi gran parte di lavoro.
Nell’isola in Ponza non abbiamo relazione; ché il progetto inviatovi ci fu dato da Malina, il quale come vi ho detto, è in arresto; e mentre ci sarebbe facilissimo avere molte relazioni per colà, pure la sventura in cui siamo che gli uomini balzano da frazione in frazione ad ogni momento, non ci ha dato per ora trovare l’uomo che chiediamo.
Intanto mi è riuscito scrivere a Matina non ostante che fosse sotto chiave, ma mentre ne aspettava ardentemente la risposta, la persona intermedia si è allontanala da Napoli per giorno. In Santo Stefano colui che potrebbe essere nostro è Filippo Agresti, ma in questo momento la sua moglie è pure essa per giorno fuori Napoli, e per delicatezza (nelle condizioni frazionali del partito) abbiamo trovato inopportuno ogni altro mezzo presentatoci finora per istabilire con esso lui cosa sull’isola. Voi intanto ditemi se le condizioni di quest’isola vi sembrassero più favorevoli di quella di Ponza. In Ventotene sono influentissimi, (e gli unici coi quali potremmo metterci in relazione) i Fratelli Pisani ma essi sono parenti di Lafarina e credono che egli professi le nostre idee. In Procida potremmo dirigerci a Luigi Praino presso cui sono stato accreditato, e così pure in altre isole.
In Napoli le diverse mie relazioni, che man mano le combinazioni vi han fatto sapere, e parecchie altre, e fra queste quella di Raffaele Basile, potranno con l’aiutai del carissimo amico Mignogna (che non ho potuto sapere perché non mi scrive) potranno darvi idea della mia posizione locale. Si ci promette un nucleo di gente in Monteforte, ed altre bazzecole che non trascrivo per non allungare la vostra noia, e perché finora già sette volte ho dovuto conservare la cominciata lettera, e poi riprenderla, per importunità ricevute, mentre l’insicurezza mia in faccia alla vigilanza energica della polizia non mi permette far niente con quella quiete e concentrazione che sarebbe indispensabile. Questa è la vera posizione principale del lavoro.
Riguardo poi alla posizione generale; ogni cosa che faremmo in giorni, per riguardo agl’inciampi in cui può cadérsi per la frazionalità del partito, ci vuole alcune volte un mese; di più la mancanza di direzione interna, la misuratezza dei mezzi danaro, l’opposizione energica dei moderati, l’essere rovistate le lettere alla posta e scrutinate per indagarne se ci è mezzo chimico; la vigilanza che si tiene su quelli che vanno a rilevare le lettere, e bene spesso la dimanda che gli si fa «di chi è l’individuo? da dove aspetta lettera? e perché le rileva a direzione? ecc. ec.» L’essere perquisiti i corrieri; arrestati per strada i patrioti che alcune fiate vengono a conferire con noi, anche muniti di passi regolari, e gli altri mille inciampi che ci vorrebber volumi per narrare. Le suscettibilità, i malintesi, e via via. E sovra ogni altro la mancanza di quella fiducia cieca, necessaria naturalmente che deve avere un nucleo, che mentre per sé è un principio che ne addita chiaro il disinteresse, ha operosità impareggiabile agli altri qualsiansi nuclei, ha propaganda più assidua, pure non ha né direzione grave proporzionale all'opera da imprendersi, né danaro tanto da mostrare il credito che riscuote da altri, né armi bastevoli agli uomini d’azione da potere col suo mezzo unico operare anche senza il concorso de' dottrinarii. Ma a che io dico tutte queste cose, se voi non l’aveste comprese da principio, io non potrei essere in relazione sì fiduciosa con voi; perciò non mi prolungo e son certo che voi vedete gli altri ostacoli che sono sul terreno. Voi mi dite che io avrei dovuto scrivervi «a Ponza ho stabilito ogni cosa, a me mi troverete sul luogo in ordine, venite». Voi mi augurate la più alta delle mie felicità, e vorrei che questo augurio fosse una realtà per la patria nostra; ma posso io dirlo? Io non posso dirvi che quello che vi scrivo in questa mia, ed aggiungere, che se anche nelle isole avessi tutto prontissimo, pure per mandare una lettera di avviso colà fa d’uopo attendere le rarissime barche che ne vengono, e poi trovare l’uomo fra queste che sia convenuto del clandestino trasporto, e quindi attendere una lettera significativa delle difficoltà naturali che possono insorgere, e quindi rinviarne altra che le disciolga ed assesti; e ciò non è possibile (se tutto va propizio) che si faccia in meno d’un mese e mezzo. Quello che posso fare io ed il mio socio Dragone è di sospendere ogni nostro interesse presente, e di mandare al diavolo l’avvenire, di sfidare ogni compromissione, e di fare sempre pertinacemente ed attivamente tutto quello che il bollore del sentimento, la verità del principio, il limitato criterio che la Provvidenza ci ha concesso, e la scuola della pratica ci danno, e ciò lo abbiamo fatto e lo facciamo. Se vi dicessi tutt’altro sarei colpevole di falsità; e quel ch'è peggio, anzi orribile, è che la Patria per la quale dedichiamo tutto per ragione di sentimento, riceverebbe il danno di questa menzogna.
Son convintissimo che un lungo lavoro si perde fra le sue incidentalità; ma son convinto pure che senza un vasto apparecchio non v’è alcuno che prenda parte ad un fattarello: ed un uomo politico deve approfittare degli elementi come sono non utopizzare su un ideale di elementi che dovrebbero esservi, e perciò trovo che il lavoro fatto era indispensabile, ma son pure convinto, che un’iniziativa non debbe né può comprendere tutto il lavoro; perciò mi pare ragionevole che si sia preparato un lavoro alquanto lato; ma mi pare utile, anzi necessario, che l'iniziativa si faccia solo in una o due province, che nel caso presente di rottura di fila in Calabria mi parrebbero Salerno, o meglio ciò che vi ho descritto in cotesta provincia od in quella di Basilicata; ma io non son vetraio né questo lavoro è caraffa che si fa col soffio, né posso dirvi che arrivando voi senza il terreno preparato, tutti insorgeranno; perché ragion di tatto e sentimento da tutti espresso mi fan credere che possa invece farsi fiasco, mentre son convinto che preparato il terreno si potrà iniziare tutto ciò che l’Europa intiera non ha saputo, o non ha potuto, non ostante i sacrifizi, gli sforzi ed i tentativi.
Io con ciò non tolgo, né la libertà del vostro giudizio, né la libertà della vostra azione né di quella di Mazzini che rispetto per principio generale, come cosa sacrissima, ed anzi aggiungo che avendo fede nel criterio, sì di Mazzini che vostro, e nello studio pratico da voi fatto, se voi dite, va a tal punto ed aspettaci, io senza pure far motto verrò qualunque ne sia il pericolo, ma verrò peregrino ed a null’altro buono, che come individuo che ha braccio, e vuote adoperarlo per la salvezza della Patria. Vi rimetto la polizza di carico da voi richiesta.
Potete inviare alla direzione di Antonio Rizzo.
Dite scoraggiante la lettera che ho inviata a Mazzini: mi parrebbe indecoroso per lui e per me prendere l’impresa d’incoraggiarlo. Io voglio dirgli ciò che è, e credo dovere suo (che ho stimato è stimo come maestro e condottiero) di dovermi dirigere ed appoggiare; ma nel caso avrei io bisogno d’incoraggiamento, non lui: in me la posizione è tale da meritarlo, iu lui sarebbe capriccio indegno, inescusabile, e mi permetterete che io non lo creda minimamente capriccioso. Addio.
D. S. Mazzini ba dimandato a Fabrizj se era possibile una dilazione sulle nostre trattative in corso, niente di meglio, siamo d’accordo completo. Io gli dò e desidero una dilazione quanto basta a preparare il terreno per modo d’impedire almeno, la quasi certezza d’un fiasco. Dimandate a Mignogna se Palmieri ch’è stato in carcere con lui è nelle nostre idee.
___________________
Tunisi 20 aprile 1857
M. S. Maestri e Benucci — Ancona — Fummo lietissimi dell’essere rassicurato sull’equivoco generato dalla vostra penultima relativa ai campioni.
T. relativamente al possesso del castel nuovo non ha altri particolari se non quelli da voi stesso con lui uditi dall’amico di M. M.
Dimanda lo stesso T. se Kilburn abbia mezzo per Cosenza. Ricorda Prete-Pianeggi in Calabria ed esistendo mezzo provvederà occorrendo di suo.
Sempre vivo il desiderio di sapere esperimentata la cambiale Seconz, rammento che il traente fidava del buon esito, e deve dolersene del non aversene fatto uso come di poca fiducia nelle sue relazioni.
Per armi e munizioni ad evitare equivoci bisogna fissar bene che armi in marca Malta non ha munizioni ne’ danari, munizioni sono sotto marca di Genova. Le armi di marca Malta per combinarsi in barca e munizioni deve dipendere da Genova, ovvero esser disposto isolatamente privo di munizioni e provveduto di danaro per barca.
Non erano nella vostra ultima le due lettere per Mazzini e Pisacane che accennavate nel testo della medesima. Ma sul tanto che accennate relativamente a quello e ad altri affari vi parlo colla solita franchezza.
Riconoscerai sotto la marca Z, l’individuo di cui è riferita la conversazione. Saggiamente e da esperto commerciante egli sostiene ciò che ricordo avere più volte espressovi, cioè che su di un fondo limitato primitivamente armi si può provvedere progressivamente ài necessario; e questa massima non riguarda solo la specie armi, ma bensì tutto che costituisce il capitale rivoluzione, anzi questa massima commerciale è l’anima esclusiva d’ogni affare possibile, tutt’altro dovendo considerarsi più come elemento di fiducia conservativa fino alla pratica, di quello che di realizzazione. Perciò poi riguarda le responsabilità per cui egli raccomanda avvertenza, occorre fissar bene, che esse non sono da lato solo positivo, ma anco negativo, e da questo lato realmente gravi quando induca il dubbio di correre la prima la perdita del valore, opportunità in Napoli e per la Nazione. Su cui sta fissato il capitale assoluto. Vi sarebbe illudersi a danno sino alla mina, se non si avvertisse che quel fondo essenziale ha sofferto e soffre, e soffrirebbe decrescimento continuo, se, per l’idea di assicurare guarentigie esatte materiali, si procedesse molto oltre, e non s’intendesse a tempo come il tatto è quello che serve su un fondo proporzionale ad assicurare l’incamminamento e l’esito dei negozi.
La vostra del 16 a Mazzini e a Genova esprimeva e proponeva una scadenza a comune accordo, la quale dovete studiarvi di rendere per quanto vi sia possibile reale, come termine necessario, mentreché d’altronde anco per incidenza estero mi sembra proporzionale ad interessi ed occorrenze bilaterali procedere quindi tranquillamente, concretamente, arditamente in quello spazio, fissando bene nello spirito vostro per uniformarvici ciò che è possibile ed occorrente da lato vostro, è ci$ che no, per non farvi imbarazzo del secondo a danno del conseguimento del primo.
Lo specchio che offriste del partito in assoluto è ottimo, bastante: la parte importante è d’introdurvi il titolo capitale opportunità ecc. mentre si matura l'attacco.
Per questo fondo di esecuzione fissare la parte veramente necessaria in rapporto a vittoria per l’interno e le isole per le condizioni assolute, ma positive ed esigenti in cui si trovi l’isola.
Combinare quindi nello stesso limite stretto alla pura necessità ed in misura di tempo alla scadenza, la frazione di gente che deve sbarcare in provincia guardando di non nuocere a riserba per troppa estensione e chiarezza di patti.
Fuor del materiale isola tutto l’affare poggia sull'esistenza del fondo generale segreto, danaro, opportunità ecc. coltivato e spinto a tempo direttamente ed indirettamente.
Per ciò che desiderate su Inghilterra ho adempito subito informando Mazzini.
I supposti, o meglio vantati accordi Inglesi e Francesi per Murat sono assurdi e ridicoli, e non meritano se non che una stretta di spalle, contraddetti dalla logica più semplice e dalla notorietà de' fatti. Se mi aveste spediti i Proclami di Murat vi avremmo fatta un analisi se erano suscettibili. Vi abbraccio affezionatissimo. — Vostro Bigami.
D. S. Per l’individuo relativo al negozio castello nuovo. T. vi dirige a Tafone stampatore che potrà ancora informare di Torre Annunziata.
Non ho lettere di Mazzini, ma ho motivo di credere che le scadenze vadano naturalmente giusta il vostro desiderio.
___________________
21 aprile 1857
Amico carissimo — Ho ricevuto la tua diretta a R. Ti manifesto francamente la mia opinione su di essa. Dire che l'esterno debba dipendere dall’interno è giusto, se intendesi per disposizioni di animo sì, ma per tutt’altro no. Tu ragioni come se avessimo una completa libertà d’azione: questa ipotesi è falsa. Noi dobbiamo operare non allo aperto, quindi le opportunità non sono a nostra disposizione, te ne dò un esempio. Le difficoltà per Barca (Bastimento) furono grandissime, finalmente alcuni amici nostri misero a nostra disposizione una magnifica Goletta... la quale costò 14 mila franchi con questo patto di pagare sole 1000 lire per le spese, ma depositare 5 mila lire se essa anderà perduta, perdevamo meno della metà noi, il resto loro: noi subito facemmo il piccolo equipaggio, sono circa tre mesi che lo paghiamo, e non si è fatto nulla; ora parlatasi della vendita della Goletta e se ciò avvenisse eccoti un’opportunità sfuggita. — Collocare armi ora sarebbe cosa ruinosissima, ma credi tu, che hai tanta esperienza, con la vigilanza in cui sono i Consoli, che non segnaleranno per sola precauzione il muovere di tali oggetti; ma dirai allora sarebbesi fatto? Si, perché non si poteva far di meglio, ma far dipendere un’opera importantissima da un accessorio sommamente rischioso, secondo me è un errore fatale; ammetti che riesca, darà l’allarme certissimamente, se non si sa prima si saprà dopo, questo è indubitato: se vi è un piccolo sospetto la cosa non va più. Le armi di qui verranno collocate nel magazzino Sapore, quelle di Malta pronte per lo invio dopo il fatto principale.
Tu parli di direzione interna, ma caro amico conosci tu un uomo, il quale potesse avere dell'ascendente in Napoli? io no. Credo che tu, che io, che Cosenz potendo condurci là, ed operare apertamente, e personalmente faremmo cosa, ma se, obbligati a star chiusi, nulla: il solo nome che avrebbe importanza, Mazzini, ma neppure molta in Napoli. Chi in un paese cospira da capo, è d’uopo che si diffonda, che tratti personalmente, altrimenti un poco che mancan è bella che finita, e da quanto appare, ciò ora è avvenuto a Kilburn.
La ragione principale dei nostri disaccordi è che Mazzini ed io vediamo la faccenda sotto un aspetto diverso da quello che la vedi tu e Fanelli. Voi dite (e Fanelli esageratamente) bisogna preparare il terreno, acciocché la riuscita. di rivoluzione sia quasi certa; noi diciamo rivoluzione non dipende dagli uomini in particolare, né tu, né io, né alcuno al mondo è nella possibilità, neanche Napoleone primo con un esercito, il quale poteva conquistare il paese, ma non già rivoluzionarlo: in questo mi trovo precisamente di accordo colla politica di Mazzini. L’ha egli stesso scritto a Fanelli nell’ultima che gli ho inviata col passato corriere. Gli individui possono menare a termine una cospirazione, la quale sia la cagione che faccia divampare un fuoco latente quando vi è. Or dunque noi prediamo che tutte le condizioni morali e materiali presenti accennano alla esistenza di questo fuoco latente (ne siamo certi), come p. e. un geologo può indovinare la esistenza di una miniera. Eccoci dunque all’opera per menare ad effetto una congiura la quale ha per iscopo di prendere la mercanzia Ponza e portarla Cilento.
Se facciamo, se in Cilento esordiremo con energia, il nostro dovere di cittadini secondo la nostra coscienza è compiuto; ma per far ciò, anima di tutto, è il segreto: il rischio maggiore è quello di essere presi in cammino. Noi per avvisi da esteri non temiamo, abbiamo preso tutte le possibili ed immaginabili precauzioni, se arriviamo a partire non temiamo più che la cosa si sappia, i rischi per disbarco sono tutti prima, invece se i preparativi si allargano nell’interno, se si parla di cooperazioni esterne, allora credilo a me la frittata è grossa, ed è bella che fatta. Accordo nell’isola è indispensabile sì, ma in interno son disposti, o non lo sono a insurrezioni. Se lo sono, basta un solo che lo sappia, e che ne avvisi un mucchio pronto a secondarvi, se poi non lo sono, allora bisogna rinunciarvi affatto: credi tu che i preparativi di Fanelli facciano cambiare la opinione di quella gente? se cedono ad una lettera, ad un invito, cederanno sicuramente alla eloquenza del fatto. Io per controcambiarti ti trascrivo ciò, che ho chiesto a Fanelli.
1. Da qui manderemo una specie di circolare da spanderla pochi giorni prima del fatto.
2. Polizza di carico delle armi, altrimenti non posso ritirarle da Torino, e le persone che le hanno debbono sempre credere al loro collocamento, e neppure sospettare un fatto simile, altrimenti ne chiederebbero permesso a Cavour: questa Polizza di carico anche simulata non ho potuto ottenerla, prego da un mese, mi serviva per aver la marca in mano nostra
3. Notizie particolareggiate di località riguardante disbarco e l'isola, cose che si sanno interrogando con arti anche persone indifferenti.
4. Avvertire un amico nell’asola, uomo che sappia tenere il segreto e rimettere alla sua prudenza il modo di secondarvi.
5. Al disbarco ci basta un nucleo di 20 che ricevano i nuovi ospiti.
6. Un nome di negoziante vero al quale dirigere un dispaccio che serva di avviso.
Questo ho chiesto, e sono fermamente di avviso che tutto ciò che uscirà da tali condizioni sarà ruinoso, e faremo una frittata, io poi protesto che se a forza di voler preparare si darà la sveglia al Governo; e si comincerà a parlare della faccenda, siccome sono responsabile non di me stesso, ma di molti che vengono per fiducia in me, avrò il coraggio di rifiutarmi.
Io pongo condizione principalissima il segreto, la sorpresa: solo con questa condizione son pronto; se questa manca, e vi sono tutte le altre possibili ed immaginabili, rifiuto.
Ti avevo scritto d’inviargli le lire mille per far presto. Mazzini mi annunzia che ne invierà subito danaro, ma non l'ho ancora ricevuto. Certo il tuo punto non sarebbe rimasto sguarnito, ma siccome non serve ora e a Fanelli sì, ecco perché ti proponeva l’inversione.
Debbo dirti che un poco di delusione in queste faccende vi è stata. Nella lettera prima di Fanelli a Mazzini certamente vi erano dei punti, dai quali poteva interpretarsi che vi era necessario del tempo; ma per fare altro e non questo. Dippiù tu moltissime volte ci hai accennato fatti concreti, imminenti: hai detto «urge che i casi scoppino là; in un’altra vi era che una provincia era presta alla iniziativa: quindi io non supponeva, te ne assicuro, che nel momento che erasi ottenuta la desiderala accettazione, che si offrivano mezzi, che mai vi sono stati, e braccia giganti, si sarebbe risposto col rimandar tutto alle calende greche. Caro amico, cominciare per dimandar direzione all'interno per preparare, significa che non vi è nulla, solamente la scelta di direzione; le lettere, e le risposte per mettersi d’accordo e per l’andata richiedono mesi, poi cominciare il lavoro, poi un arresto sbaraglia tutto, e si comincia da capo, ed eccoti nella condizione di Sisifo. Or mio caro son persuaso che l’opportunità è mezza sfuggita, e finirà per sfuggire intieramente.
Ti prego intanto di scrivere in Tunisi a tuo amico, pregarlo di far venire in Genova per posta diretta al Capitano Marittimo Raffaele Pienavil per ricapito del signor Angelo Mergini Droghiere, nella quale lettera s’invita il suddetto Pienavil di recarsi in Tunisi con una ventina di marinari per condurre un grosso legno ad una destinazione che saprà: lo invito che sia di persona non sospetta: esso non porta alcuna compromissione. Ti prego se puoi di farlo senza indugio. Si è intrapresa una viva discussione tra qui Napoli, Malta, Londra di questo male augurato fatto, discussione che finirà di ruinare, è buono perciò a non parlarne più, ognuno resti colla propria opinione, ed operi secondo il proprio convincimento, il resto alla fortuna.
Sento da Sprovieri che sei un poco dispiaciuto pei ritratti. Caro amico la prima volta se ne avesti inviato cento, tutti si sarebbero smaltiti; ma tu ne inviasti appena venti, la smania fu tale che subito li fece riprodurre. Intanto qui si cacciano le spese ed è molto bene inciso, e tu non hai coverto le tue.
Farò il possibile per fartene rivalere.
Vi è un nostro conterraneo che ha stampato molte sue poesie, tra queste alcune per Milano, non so il prezzo del libro, ma potresti tu smaltirne ove sei, non credo che il prezzo potrà esser molto. — Carlo.
___________________
Napoli 24 aprile 1857.
Amico Carissimo — Ho ricevuto la vostra n° 1. La polizza di carico ve l’ho spedita col solito mezzo in data del 16 aprile.
Risponderò in ventura a Mazzini, e vi prego leggere l'ultima mia ed attenervi a quella e darmene subito risposta. Se credete fatene copia anche a Mazzini. — È impossibile che io faccia più di quello che sto facendo per preparare ogni cosa necessaria, o almeno indispensabile all’adempimento del comune piano; appena che da parte vostra e mia giudicheremo tutto in pronto daremo principio. Dio voglia sia presto; io ne veggo tutta l'urgenza, ed ardo più che voi stesso.
1° Attendo ciò che mi indicate inviarmi. 2° La polizza di carico ve l’ho spedita; spero in ventura mandarvi la ratifica. 3° Le indicazioni riguardanti le isole ve l’ho spedite. Ne attendo altre, ho premurato e le invierò quando verranno. 4° Scriverò subito che mi si porge l’occasione a S. Stefano: la mia posizione colà la conoscete dall'ultima mia, per ciò non ostante la gran fretta ho bisogno non solo della lentezza che offre la scarsa comunicazione con quel punto, ma quella che un necessario tatto m’impone. Farò lo stesso con le altre due. 5° L’amico sui luogo del disbarco di cui vi ho parlato con l’ultima mia, so che ha avuto una certa avaria, ma non ancora so quale. Sono sicuro però che crederete non lascerò via intentata, né minuto inoperoso. 6° V’indicherò il negoziante. 7° Mi spiace moltissimo che ragioni gravi (al certo politiche), determinano sì voi che Mazzini ad una precipitanza, ed io essere all’oscuro completo di queste ragioni.
Credo che a Ponza vi sia Telegrafo, e che a S. Stefano manchi, ma cercherò informarmene con precisione. Addio.
___________________
28 aprile 1857
Amico Carissimo — Rispondo alla vostra del 16 corrente che ho ricevuto pel mezzo del Commesso Inglese. Vi ringrazio infinitamente de' particolari che voi mi date, ed avvalendomene vi dirò la mia opinione, la quale non deve per nulla ledere la vostra libertà. Ma prima d'ogni altro mi è d’uopo una giustifica personale. Leggo nella vostra queste parole (Voi mi dite che io avrei dovuto scrivervi: a Ponza ho stabilito ogni cosa: a me mi troverete sul luogo in ordine; venite). Sono certo che nel leggerle avete dovuto darmi del buffone e dell’imbecille, e tale io sono avendo scritte queste parole; sono dippiù in contraddizione con me medesimo., imperocché in esse io vi addosso tutta la responsabilità, mentre ho protestato che io credo che voi non ne avete alcuna: scrivendo quelle parole doveva essere stordito o pure errore l’ho commesso traducendo in cifre. Io credo di aver scritto, o meglio era mia intenzione di dire «scrivete subito a Ponza» quando «avete scritto avvisatemi» e voi se credete trovatevi al disbarco: tra questo pensiero e quello di voler sentire da voi «tutto è in ordine, venite» ci passa differenza grandissima, voi paragonando quei due versi coi principi che informano le mie lettere avreste da per voi potuto giudicarli un errore.
Il desiderio di voler troncare ogni indugio non era l’effetto d una mera illusione: dalla vostra lettera in cui mi comunicavate il piano di Pateras, voi dichiarate Basilicata, incondizionatamente presta a iniziativa: quindi se la iniziativa poteva ottenersi senza veruno impulso, ed era incondizionatamente accettata, io dicea: l’otterremo con maggiore sicurezza combinando Isola e Basilicata — e però tutto è presto; rimane raccordo Isola solamente. Di questo progetto Isola, Fabrizj me ne avea da varii mesi parlato; da parte vostra, nel mese di Gennajo se non prima; ed io. risposi che divideva la vostra opinione, che la trovava opportuna, che forse poteva capitare un’opportunità da menarla ad effetto, e però urgeva prendere gli accordi finali. Segue la vostra lettera a Mazzini nella quale voi proponete il medesimo progetto, ed eseguendo tutto con la massima rapidità si andava sempre alla fine del corrente; (io non ho mai creduto come Mazzini che potesse aver luogo prima) — da Gennaio sarebbero scorsi tre mesi e più, e dalla vostra a Mazzini poco meno di tre, e dall’epoca dell’accettazione (che io vi dava già per indubitata) quasi due mesi. Aggiungete che io vi aveva scritto «voi potrete ottenere o Vapore o danaro, non già l’uno e l’altro». Di fatti siccome la prima idea era noleggio di Vapore se in tal caso Mazzini esauriva tutto il denaro, io capiva che cosa eravi necessaria: scrissi subito a Fabrizj, ed appena fossi stato certo che la cosa si facesse, avrei preso tutto il denaro che abbiamo per invio d’armi e ve lo avrei spedito. Dunque io ho errato ih una sola cosa, nel credere, che il punto Isola non era un pensiero vago, ma cosa di cui erasi parlato e discusso, e che i soli mezzi mancavano: aggiungete che io discorrendo con Mignogna dissi: vi è pericolo che a Isola rimarremo delusi, che si negano? ed egli rispose: è impossibile; la sola apparizione di Vapore basta per averli tutti, non vi è d’uopo d’altro.
Avevo poi somma ragione di stringere, giacche io era stretto in un modo incredibile da Mazzini: vi ho trascritti i brani delle sue lettere: egli vi ha chiesto dilazione, è vero, ma quale? al di là del 15 aprile, ed io non contava che alla fine. Vedete dunque che io non sono né visionario, né utopista; credo invece utopie tutti quegli accordi i quali ad altro non menano che a propagare la cosa. Voi mi enumerate le difficoltà che incontrate nel lavoro: ed io le apprezzo più di voi, e per questa ragione sono convinto che non bisogna far discendere iniziativa da cose, le quali sono incertissime e difficoltosissime ad attuarsi. Finiamo, amico carissimo, le giustifiche personali: io non dubito né della vostra attività, né del vostro patriottismo; voi ed il socio (Dragone) siete due persone che io amo, stimo, ed ammiro; spero che voi non avete ragione di dubitare di me, quindi ogni protesta scambievole è inutile.
Credo poi che voi (Fanelli), il Socio (Dragone) ed io e Mazzini e Fabrizj possiamo vedere le cose sotto diverso aspetto, e così uno di noi potrà credere dannoso quello che un altro creda necessario. Se io avessi saputo che in Isola era tutto a farsi, non avrei finalizzato tutto per parte mia, avrei aspettato con somma pazienza; ma il trovarmi io pronto, fa sì che gli indugi sono dannosi: basta, speriamo che avrò torto, speriamo che la cosa si farà (ora ne dubito un poco), e che io possa confessare di aver errato, e che bene grandissimo ne venga dal tempo.
Dopo aver lette le condizioni del paese e gli accreditati negozianti, vi dico il modo come io nella vostra condizione mi regolerei: queste mie idee però debbono essere subordinate affatto alle vostre cognizioni di persone e di luogo. Io mi affiderei ad una sola, al prete Padula: con esso prenderei gli accordi finali pel disbarco; da esso chiederei le notizie; agli altri non parlerei di nulla, meno che speranza di prossima iniziativa. Al momento poi che si è stabilito il giorno si partirà: da qui si faranno girare le Circolari che vi manderò e con esse una lettera vostra o pure di Mignogna, se credete, a Libertini, persona importantissima: ad esso non bisogna dargli il tempo che possa scrivere a Lafarina, altrimenti saremo fritti. Dunque scrivetemi, se credete necessario la lettera di Mignogna a quest’ultimo. A mio credere, fare più di questo sarebbe dannoso — Veniamo a Isola. Egli è certo che sarebbe più facile eseguire il progetto a Ponza che alle altre due, ma dalle vostre relazioni risulta che un certo numero significante di uomini non possono ottenersi che da San Stefano: quindi su tal punto è d’uopo dirigere i nostri sforzi, e quindi anche Ventatene è indispensabile che sia nostra per pochi momenti, imperocché mi ricordo che havvi una batteria che mira l’altra vicina. Nondimeno se passando si potesse raccogliere mercanzia dalla prima non sarebbe male — è questa una condizione che poco importa. Vi rimetto due lettere segnate coi numeri 1 e 2: la prima diretta ad Agresti, o a chi altro credete di colà; ma se credete quello più adatto dirigetevi a lui: la mia lettera è adattata per chiunque siasi, voi fatene uso «se lo credete utile, altrimenti distruggetela»: l’altra è diretta a Pisani, con vi sono già stato in relazione indiretta, avvaletecene, sempre pella condizione che lo trovate giovevole.
Ho ricevuto la polizza di carico, e l’ho già spedita per essere padrone di armi che dovranno clandestinamente portarsi a Genova da Torino — intanto l’operazione secondo la polizza per parte vostra, e secondo quello che faremo noi, non offre difficoltà, ma è importante che tale mercanzia sia su vapore onde fornire la gente d’isola. Le balle poi di Malta non potendosi spedire che regolarmente, siate certo che faranno l’effetto di un avviso al governo. Dunque è d’uopo fornire Malta di danaro, acciocché lo faccia immediatamente dopo.
Il giornale della natura che voi chiedete non esiste: tutta la stampa qui è venduta al governo, meno il Diritto, e l’Italia del popolo. Altri giornali diversi da questi due farebbero danno; il primo dei due si occupa soverchiamente di questioni interne, e molto delle estere: il solo che dice le cose come sono, ed è anche ricco di notizie, è l’Italia del Popolo: del resto come voi decidete cosi farò. Ho dimandato a Mignogna di Palmieri: mi ha detto che è ottima mercanzia e potete usarne come meglio credete. Cosenz non ancora mi ha risposto riguardo al rimpiazzante che dovrebbe vedere il suo corrispondente di Salerno; ma io credo che essendo caso di fiducia, se la persona è di vostra fiducia non vi è nulla a dire che si rimpiazzi, che sia alquanto civile più che istruito, giacché io non lo credo uno scienziato.
Non credete che io creda inutile il lavoro di cui mi ponete a parte: è cosa magnifica, è la più bella e più attiva propaganda che possa farsi, e qualunque sia la vostra opinione io spero molto. Quello poi che io credo una speranza vanissima è il voler convincere i moderati: la ragione che li persuaderà sarà il fatto. Vostro — Carlo.
___________________
Tunisi 29 aprile 1857
SS. Maestri e Benucci — Accetto la fattura nuova e solò mi valgo dell’antica per la facilità che mi porge nella consuetudine, nel bisogno di sollecitudine a) disbrigo delle mie occupazioni.
Anco una volta sospendo per necessità da comunicazioni coll’Inglese, mentre poi m’avveggo che voi direttamente sapete assai bene sostituire (253). Riguardo al Bastimento (Fattura nuova) che l’Inghilterra nega (254), sarà assai bene di farvi sentire in questo senso «mi sono astenuto dal comunicarlo anco ai più intrinseci, giacché gioverebbe assai a Murat, mentre veggo poi sul giornalismo il pessimo effetto che produsse verso Murat una simile negativa comunicata dall’avvocato Antinori di Palermo una volta messo in emigrazione, e so come sin’ora abbia servito a contegno favorevole verso l'Inghilterra e contro Murat il modo compiacente della prima. Noi inganneremmo se ci dicessimo proclivi verso l’Inghilterra più di quello che possa prometterne la più decisa e risoluta Italiana Nazionalità, ma se non andiamo da quel lato per non danneggiarci in quel limite, abbondiamo bensì nel lato di avversione a Murat perché contrario alla Italiana Nazionalità, e delicati verso l’Inghilterra, risentiamo grave ciò, ma ci pregiudica la simpatia politica per l’indiretta conseguenza, mentre Murat si da per appoggiato, o lasciato libero da Inghilterra servendosi di ogni incidenza, e propugnandone per prezzo pattuito che Murat favorirebbe Inghilterra nelle sue difficoltà, contro cui sta l’assurdo. Ma se dopo la freddezza del Sud vien l’abbandono e il rifiuto umanitario od altri fatti di tale specie, qual elemento favorevole resta l’Inghilterra! Murat non ha base morale, ma profittar può d’ogni demoralizzazione».
Manca totalmente la qualità munizione per cui vi vorrebbe danaro e quindici giorni circa di tempo dalla ordinazione. Crederei bensì che Napoli potesse provvedersene, giacché è opera facile meccanicamente e da compartirsi tra pochi, provvedendo la materia alla spicciolata.
Mia massima è che le armi abbiano importanza morale piucché materiale, giusta la massima espressavi dallo stesso magazziniere circa il modo di provvedersene sulla piazza, ma che per perdere i’ importanza materiale sia necessaria conoscenza e fiducia nel mezzo di procurarsene rapidamente', per sapere dove por mano, con chi, e senza incertezza di possesso. Se queste conoscenze ispirassero a segno da far perdere la importanza morale, il che potrebbe pervenire da un procedimento d’affari abbastanza lusinghiero a colpo d’occhio generale, sarebbe erroneo il far dipendere dall’accessorio il principale. Ma se la condizionale si sostiene ancorché erroneamente tenace, bisogna correrne il rischio, procacciando però senza sottrarre la promessa di accreditare nel frattempo la fiducia ai modi di provvedimento per la rivoluzione all’interno.
Bisogna ben tenere ricordato, tanto per provvista dall’estero, come dall’interno, la partita iniziativa senza cui le armi riuscirebbero inutili, come il portar calze a chi non ha scarpe.
Mio parere è di applicare contemporaneamente ad assicurare i due modi di provvista, talché l’imbarazzo dell’uno non privi dell’altro, e tener bene fitto in mente, che se in caso di vittoria la partita armi nell’interno comparisce in piazza, non si dimanderà se è di qualità estera ovvero interna per apprezzarla, cosicché se altre cause morali arrivano a produrre vittoria e le sue relative disposizioni previe, debbasi correrne senza esitanza l’affare, non subordinandolo affatto alla condizionale, che nella sua causa sarebbe distrutta per altro modo di provvedimento, e per la fiducia che lo avrebbe assicurato.
Occorrono rinnovarsi le marche tutte relative alla consegna.
Le comunicazioni relative ai bisogni di armi onde esser messa in istato l’Isola sono spedite a Genova per ciò che di colà dipende.
In quanto ai nostri conti è semplicissimo. Il bilancio per la partila piccola armi spedito, franchi 600 se non erro, dei quali cento andarono spediti a Marsiglia.
La spesa per armi franchi 649 per cui 149 sono digredito e, come la cassa si trova passiva per molti debiti, vorrei pregarvi di permettere questo indennizzo sui 1000 destinativi da Genova. Vi basti il sapere che oltre molt’altre gravezze non soddisfatte, il lavoro artistico sinora non produsse incasso se non di fr. 25, avendone costati oltre fr. 300 della metà non pagati, una metà pagati di mia lasca.
Abbiamo consegnato una cassa campioni, ma ci si dice incerto se partirà il mezzo mensile.
Non vi siete trovato ancora al caso di presentare la cambiale Seconz? Perché avete così poco simpatizzato in cosa nella quale il traente si teneva pressocché sicuro?
Badate rispetto all'Isola di assicurarvi di tutto che sia necessario nel riguardo cooperativo, cioè orario abitudini forza spirito degli arrestati con destrezza e previdenza.
Rispetto alla Provincia per l’iniziativa suscettività relativa alla qualità di adesione.
Al totale, allarme indeterminato, suscettibile a ciò che renda combustibile alla scintilla che accenna Mazzini.
Ed io insisto onde nel percorrere del tempo e nel concretarsi, tanto l’estero che l'interno adoperino ed intendano in tale necessità cooperative, anzi concomitanti. Non esagerazione di piani non trascuranza di necessario, non illusione di preesistenza di una suscettività che ha forse d’uopo di un nulla per esser desta, ma che creduta già desta, ove noi fosse indurrebbe alle conseguenze di un calcolo sbagliato. Addio di cuore, aff. Bigami.
D. S. Vi prego di tenermi accennato tutto che di positivo provvenga da Mazzini e da Genova o presso voi si stabilisca, onde essere in misura ad ogni occorrente, tanto dal lato di Ostalgini, come d’ogni altro rapporto.
___________________
aprile 1857
Il Partito d’Azione si adopera a rivolgere tutte le forze agenti della democrazia delle diversi parti d’Italia, per rovesciare il presente stato di violenza governativa ed ottenere quel governo che si appresenta piò spontaneo allo sviluppo rivoluzionario, e che possa essere più armonico alle condizioni interne ed esterne, onde sia solido e duraturo. Rivolge quindi le sue forze a cogliere il momento favorevole, e cerca evitare tutto ciò che possa frammischiarlo in complicanze e quistioni d’interessi esterni. Crede per ragioni economiche politiche che gli Italiani stabiliti in governo progressivo addivengono naturali alleati dell’Inghilterra, e però da questa presuppone dover ottenere appoggi pel suo andamento, e pel suo sviluppo. Tende all’alleanza con tutti gli altri governi liberi.
È suo scopo l’indipendenza; perciò rivolgerà le sue forze sempre e contro l’occupazione austriaca, e tenterà ogni mezzo per sottrarre l’Italia dall’occupazione francese. Crede il murattismo il peggior male d’Italia che potrebbe rivorgersi poi su 'tutta Europa e lo avversa e mira con tutti i suoi mezzi: sa però che è repulsivo nella opinione dei migliori, ma lo teme come possibile con un colpo di mano se il popolo non vede altre speranze realizzabili: perciò il Partito d’Azione volge al concretamento delle sue operazioni, ora che sa essere il partito piemontese deluso dalle possibilità dell’iniziativa diretta del Piemonte.
Uno dei grandi ostacoli trovato fin ora dal Partito d’Azione o nazionale è stato quello che mentre mostrava alle masse come naturale alleata ed interessata a suo favore l’Inghilterra, i fatti dicevano diversamente, perché la Francia prometteva appoggi d’ogni genere, e l’Inghilterra invece negava anche il ricovero, a chi nell’imponenza d’un imminente gravissima sventura politica credeva trovare scudo sicuro la bandiera di un legno inglese.
___________________
Aprile 1857 (255).
Ti porterai all’Immacolatella, e domanderai se vi sono barche di Ponza e da marinaio ponzese che ci troverai ti farai dire se il Sig. Vincenzo Rocco trovasi nell’Isola o pure in Campagna sua patria, ed appena che mi farai conoscere il luogo ove trovasi il medesimo, potrò additare il modo come metterti con lui in relazione onde poter trattare l'affare a te noto. Nel noto luogo non vi sono telegrafi ed il sito più buono per lo sbarco sarebbe piano di luna, ma tal punto dell’affare meglio potrai assodarlo con la persona sopra citata quando ti sarai messo d’accordo col medesimo — Ho ricevuto il danaro. Per la fuga poi sto preparando l’occorrente e spero riuscirci nell’entrante settimana. Intanto cerca di trovarmi il luogo, un luogo sicuro ove nascondermi
Il mio avvocato è venuta una sola volta a trovarmi promettendomi di farmi conoscere di che si trattava, ma poi non si è fatto più vedere.
Ti saluto con il segretario.
___________________
Napoli 30 aprile 1857
Onorevole maestro e fratello — Ho ricevuto da Carlo copia d’una vostra senza data.
Mi dite cose degne di voi e dell’ammirazione di tutti.
Se la vostra scuola nelle idee fondamentali fosse stata con maggiore pertinacia diffusa fra noi, ora le vostre idee pratiche conseguenti darebbero nella loro applicazione per risultato ciò che unicamente conviene all’Italia, e più tardi la renderebbero modello della Democrazia universale.
Convinto (dal cominciamento della mia vita politica) di questa verità, e più ancora da che ho cominciato a lavorare nel Sud; e dissestato dall’oscillanza, inazione, e dallo scomposto e recalcitrante operare (contro ogni idea concretante e conciliativa) tenuto dai moderati, ho per lunga pezza insistito presso l’ottimo amico Fabrizj, perché egli tutto vostro spiegasse il potere della sua amicizia, per far volgere l’opera vostra, coadiuvata dai vostri mezzi, sul nostro punto nella idea Nazionale per lo sviluppo della quale lavoriamo; ma ciò fu infruttuoso, ché nessun risultato vidi delle mie istanze all’amico e delle sue a voi. Risolsi premurarvi direttamente, e senza discorrervi dell'interesse della nostra posizione morale politica militare (che troppo bene sapevo esservi nota) vi narrai i fatti del Partito che qui accadevano, e come noi senza mezzi di sorta (per avventura quasi nuovi sul luogo), rappresentanti un principio sul luogo nuovissimo, e respinto dalle principali intelligenze influenti del paese, solo perché avevamo la buona voglia di fare, e l’osavamo con energia, abbiamo avuto dei risultati che possono dirsi grandiosi e speranzosissimi, quantunque insufficienti, per mancanza di bastevole credito, perché mancanti dei mezzi necessari all’attuazione pratica dei principi intorno cui abbiamo rannodati i migliori del Partito d’Azione, essendo privi dei tre fondamentali elementi danaro, armi, e più che ogni altra cosa di direzione.
Vi esortava però a prestarci in ciò quella coadiuvazione che voi potevate dare, e l’attendeva con fede, perché chi ha la vostra fama deve aver avuti i mezzi da meritare questa fede, e deve riconoscere quei doveri che sì magnanimamente si ha di per sé imposti; tanto più che, presentatovisi nel cominciamento il Progetto, sul quale doveva iniziarsi il nostro lavoro, vi scriveste di contro. «L’accetto in senso d’urgenza ecc.». Dopo ciò io vi manifestava alcune nostre viste che dopo compitosi i| lavoro, per il mezzo delle su esposte condizioni e della vostra morale cooperazione diretta, avrebbero potuto valere d’occasione, d’impulso determinante, e d’appoggio insieme, e vi proposi quasi ad esempio l’affare delle isole, mentre molti altri avrei potuto proporvene, e con danaro avrebbero potuti adempiersi.
Credetti con ciò dimostrarvi, e ve lo espressi, che se noi con sì poco avevamo ottenuto assai, col lavoro già fatto per base, e con la vostra cooperazione poi, spinta e coadiuvata da fatti determinanti, avremmo potuto ottenere il tutto, e non ne dubitava punto.
Voi mi rispondeste alcune frasi che non ho presenti, ma che reassunte dicevano. «Accetto, e mi pongo all’opera». Questa vostra risposta m’infuse nuova vita e le asprezze d’un lavoro stentato, durissimo, vidi rinverginite, e nunzio della certa prossima libertà d’Italia.
Da Pisacane mi vennero spiegazioni più precise della lettera vostra e seppi subito, che voi accettavate il fatto indicatovi dell’isola e che andavate a praticarlo; e Carlo mi dava delle incumbenze indispensabili alla pratica di quel fatto (ancorché fosse isolato) che in un paese libero si sbrigano in giorni; ma in uno che è nella condizione del nostro, anche con molti mezzi, in questo genere vi vuole quel tempo che non si può calcolare, tanto più nelle condizioni frazionali del Partito, per cui ci vuol tatto e tempo per ogni qualsiasi cosa da intraprendere. Le mie premure, com’è naturale, si attendevano tutt’altro risultato; quello cioè dei preparativi per operare, non di operare senza preparativi; però fu molta la mia sorpresa, e credendo che avessi errato nello esprimermi, fui sollecito a riscrivervi direttamente ciò che io aveva inteso dirvi, e vi manifestai le condizioni precise del nostro lavoro, che con più minuti particolari bo scritto all’amico Carlo con preghiera di trasmettervele. Voi intanto rispondete alla mia direttamente inviatavi che «un lavoro esteso non è possibile senza scoprirsi; che noi individui non possiamo creare l’insurrezione d’un popolo, ma solo creàre le occasioni; che Punica cospirazione possibile ora è l'azione; che le condizioni esterne sono favorevoli e che non le spiegavate, ma che vi credessi per fede; che le interne sono favorevolissime ecc. ec., che voi prendevate sulla vostra responsabilità ogni atto che andavate ad intraprendere; e che da me desideravate che cercassi rapidamente ogni mezzo, perché le province sulle quali intendesi operare possano far eco abbastanza potente. Stringere nel punto ove mi trovo le fila de' generosi che sono con me e convenire sulle isole, e preparare col più buono e secreto nel secreto ecc.
La citata lettera scritta da me a Carlo, e che pregai trasmettervi, l’avrete di già ricevuta, ed è espositiva delle particolarità della condizione locale, e tale da far giudicare a voi stesso del tempo e del modo con cui posso adempiere alle succennate vostre indispensabili incumbenze per l'adempimento di questo nuovo vostro piano.
Io vi dico schietto di non sentirmi bastevole per dirigere solo una rivoluzione, né generalmente parlando, né molto meno nella condizione frazionale del partito, di fronte alle determinazioni del governo, alle complicanze esterne, e sprovvisto o fornito meschinamente di danaro e armi. Intendo però che il genio può far tutto; ma che questo genio non sono io, che il bisogno generale ed il generale volere è per un cangiamento e sia qualunque, che gli ultimi decreti del governo e il preparativo di nuovi hanno aggiunto disgusto a disgusto; che il Concordato che si sta stabilendo col Papa, è tal cosa che disgusta ed allarma anche le pietre, che l’arbitrio è in tale eminenza da non potersene più, e che perciò sotto tale aspetto la rivoluzione è indispensabile: sotto l’aspetto poi della frazionalità del partito veggo chiaro essere impossibile o almeno lunghissimo il tempo per ottenersi de' grandi preparativi. Se a ciò poi si aggiunge ciò che qui si va spargendo, cioè che l’Inghilterra pel mezzo dì Persigny siasi accordata ad accettare il Murattismo in Napoli, allora poi ogni sforzo mi sembra un dovere, e nel Sud dovrebbe farsi al più presto la rivoluzione, ed in Inghilterra eccitarsi al più alto grado lo spirito pubblico contro questo tradimento governativo. Ma non ostante, se v’è tempo da rassodare le cose per modo da ottenere noi un calcolo di probabilità assicurante, è bene: il farlo credo dovere sacrissimo per noi.
In quanto a me non posso fare altro che offrire ciò che è fatto e dare tutta l’opera nostra, adoperata con la massima energia possibile a chi è sotto il peso della tirannide che ci opprime: ma per caritè vi scongiuro a non immaginarvi sul mio conto quello che io non posso eseguire.
È voce comune che il prete Bianchi di Calabria fin ora latitante, ha raccolto quanto avea di patrimonio e riunito nella Sila numerosa banda. Il governo ha inviato colà un reggimento. Un vapore da guerra costeggia la Calabria per evitare un credutovi presuntivo disbarco di murattisti. I murattisti sono in grande allarme per ciò, ed in gran movimento operativo, e si dirigono ai popolani con danaro; io non credo questo; ma credo invece alle promesse di danaro.
Riguardo all'adempimento delle commissioni da voi datemi sto facendo quanto posso, ed appena mi sarà dato adempierle ve ne farò consapevole. v
Del resto attenetevi, per la posizione locale, alle molte mie precedenti scritte in questi ultimi tempi a voi ed all’amico Carlo — Addio.
___________________
Napoli 30 aprile 1857.
Amico carissimo — La vostra lettera, come tutte le altre, rivela il patriottismo che vi distingue e perciò è degna di tutta l’ammirazione dovuta al magnanimo disinteresse di chi la detta.
I sacrifizi personali che voi proponete, e la disinvoltura con cui volete accingervi a praticarli danno ben ragione alla fama che corre di voi, e la rendono anzi inferiore al dovere. A me perciò corre sempre maggior obbligo nel dichiararvi in altri particolari la vera nostra posizione, e l'ho fatto nelle precedenti mie ed ora aggiungo sempre più schiarimenti, perché possiate colla maggiore profonda cognizione di causa giudicare con Mazzini se l’impresa che volete imprendere valga senza dati preparativi ad ottenere l’altissimo scopo.
Ciò m’impone maggior dovere per dirvi altre particolarità nello stato presente nostro locale, onde da me non manchi alcuna cosa per poter voi giudicare con profonda cognizione di causa, se convenga esporre elementi sì rari alla ventura della precipitanza, o sistemare nel loro necessario tempo almeno le cose indispensabili al vostro piano stesso; se troverete del tutto inapplicabile il piano precedente da noi stabilito.
Tutti quelli che si sono a noi legati hanno accettato a condizione di armi, danaro e direzione. Ora se voi imprenderete il fatto determinante prima che queste condizioni sieno adempìte, due casi possono darsi; cioè che noi chiameremo le influenze d’azione o prima, o dopo della novella; nel primo caso credete voi che uomini che han parlato chiarissimo nelle condizioni pretese sine qua non, ora mi seguiranno solo perché gli dico «ho ragioni perché marciate anche senz’armi in quel modo che a voi piace meglio (perché siamo senza direzione)»; e tutto ciò senza la spinta di un fatto preparato definitivamente da sgomentare, od almeno sbalordire il nemico ed esaltare i nostri?!!! Se i molti fossero come le eccezioni, comincerei anche da domani e senz’altro; ma fra le altre cose nella capitale siamo senza studenti. Nel secondo caso poi avranno bene il diritto di dirmi «tu hai mancato al tuo impegno; noi non senza ragione abbiamo accettato condizionalmente; ora non ci sentiamo forti per muovere contro le molte migliaia di Svizzeri e d’altra truppa, castella e certo stato d’assedio che non permetterà nemmeno che due soli vadano insieme, e di fronte ad un governo determinato a tutto osare o tutto perdere, perché ha coscienza della impossibilità d’una transazione».
Veggo la difficoltà di armonizzare i preparativi esterni e quelli interni per ottenere l’azione; ma perciò noi avevamo determinatogli finalizzare prima gli apparecchi interni, e poi dar principio a
fatto spingente e determinante che potesse venir dallo esterno. Apprezzo pure la vostra riflessione per la entrata delle armi, ma perciò noi non avevamo mai pensato che il fatto isola dovesse essere eseguito ora. Insomma noi eravamo logici in un piano che stabiliva prima i preparativi interni, e poi la spinta all’azione. Se voi invece volete spingere senza i preparativi, io v'invito a calcolar bene le convenienze dell'impresa proporzionalmente alla possibilità della riescita; per ciò vi ho mostrato i diversi inconvenienti e nominatamente vi ho significato lo stato del nostro lavoro.
Se voi poi imprenderete il vostro piano per altre vostre ragioni, state sicuri della mia cooperazione in tutto ciò che posso; ma non v’illudete sul tempo; perché se mi darete commissioni che nella nostra posizione han d’uopo di mesi, e voi fondate sopra per l’adempimento in giorni, rimarrete delusi non per mia colpa. Come è dura la condizione di chi ha anima che ribolle oltre il confine, di chi è tenuto generalmente, ed è forse il più eccitato in tutto il partito del Sud e deve per dovere parlar parola di ghiaccio!!!
Per adempiere alle commissioni più volte datemi, cioè di mettere in pronto il più possibile Cilento è da comunicare a persona influentissima il segreto. Stabilire persona simile nell’isola ec: ec: vi vuole ancora un po’ di tempo: le incidentalità sono state tante e tali da avermi occupato continuamente senza ottenerne ancora il risultato, e dicevate bene che non si può cospirare da chi non può correre dovunque, ed io ed ogni essere che vive sotto il nostro governo, è in questa condizione!
Forse potremo subito subito ritirare le armi da quel punto che meglio si crederà; che ne pensate? Addio.
___________________
4 maggio 1857
Fratello — Non vi si è potuto mandare quanto vi dissi, mando ora all’amico per voi ottomila franchi. Potrò forse mandarvi ancora cosa al momento supremo, quando vi manderò alcune istruzioni. Questo momento è fissato non lontano, e dovete preparatici.
Il moto vostro non è isolato. Si connette con altre combinazioni che fallirebbero se s’indugiasse soverchiamente. D’altra parte il mal contento deve essere tale fra voi da far plausibilmente supporre che un primo successo ponga gli animi in fermento d’azione. Bisogna dunque tentare. Le insurrezioni non si fanno con l’oriuolo alla mano. É necessario studiare se il terreno ha materia combustibile sufficiente, preparare gli animi ad afferrare l'occasione, e suscitarla. Vi è un calcolo morale che vale molti calcoli materiali. Questo calcolo mi fa debito tentare d’appiccare la scintilla — secondateci, quanto potete; e Dio, e l’Italia ci aiuterà — vostro — G. Mazzini.
Qui finisce la lettera di Mazzini, ora comincio io: contemporaneamente a questa ricevo la mia, in essa è stabilito che bisogna fare in Maggio, io conosco le ragioni per cui assegna un tal limite e lo approvo; rimaneva a me la scelta del giorno e questo deve sottostare ai periodici movimenti dei vapori, e non potrebbe essere che il dieci, o il venticinque: ho scelto quest’ultimo, spero ne sarete contento, né sono sicuro nella mia coscienza che si giunga sino a tale epoca senza
imprevedibile ed inevitabile frittata. Vado ad esporvi come la cosa sarà fatta, lì 25 alle 6 di sera parte da qui il Vapore per Tunisi. In tal magazzino vi saranno 30 ai 40 colli di merci congiurati quasi tutti marini meno 3 o 4 colli capi. Durante la notte il Vapore sarà nostro, il giorno dopo dalla barca apparecchiata debitamente dal giorno antecedente si passeranno nel Vapore gli armati, in poca quantità armi e munizione. Il 27 alle 7 del mattino saremo ai due ultimi magazzini Isole.
Intanto voi meglio informato della condizione della piazza, potete benissimo (senza assumervi alcuna responsabilità} suggerire delle modifiche al negozio: per esempio. Se mi scrivete: l’ora di arrivo all’isola è malissima scelta, per tale o tale altra ragione, noi la cangeremo. Se mi scrivete: il punto di disbarco non è bene scelto, invece deve essere il tale altro, noi ci uniformeremo ai vostri suggerimenti, essendovene gratissimi, e non facendovi responsabile assolutamente di nulla.
Se finalmente direte, i negozianti isola, non vogliono saperne, noi non faremo nulla — in una sola cosa non ascolteremo i vostri suggerimenti, nell’indugto — giacché non è possibile più indugiare. In data del 28 vi ho spedito due lettere per l’isole ed una cambiale. Spero collo stesso mezzo domani spedirvene altra — io non ho ancora ricevuto la somma annunziata — accusate ricezione del danaro. Vostro Carlo.
___________________
Tunisi 5 maggio 1857
SS. Maestri e Benucci (Fattura antica) — Ancona — Non erano nell’ultima vostra le due di Mazzini e Pisacane, ed occorre di non mancare di avvisare, quando rispetto ad un invio cangiate opinione sospendendolo.
Mazzini e Pisacane ora sono insieme.
Le vostre lettere, e le loro mi riescono ugualmente allarmanti per una disarmonia di calcolo che il tempo trascorso avrebbe dovuto appianare, giacché mentre da vostro lato si accennava un termine probabile, da altro percorreva un termine non dissimile dalla vostra proposizione, e le piccole differenze avrebbero dovuto succedersi, per ciò che si fosse guadagnato, e ciò che fosse necessario ottenere.
Mio pensiero esplicito nella delicata posizione in cui stanno oggi le cose, è il seguente.
Voi proponete 26 (257) a Mazzini speciale e diffinita sul Sud cui uniformare la vostra condotta, alle seguenti condizioni.
1. Vi occuperete direttamente con attività continuata sino al conseguimento del necessario sull’isola.
2. Adopererete come vi sarà indicato sulla Provincia destinata alla iniziativa.
3. Altrettanto proporzionalmente per tempo mezzi e scopo su Napoli e totalità delle altre Provincie.
4. Mazzini oltre a somministrarvi istruzioni speciali riservate vi somministrerà avvisi comunicabili circolari di carattere speciale interno Sud e generale Italiano, Proclami stampati ecc. a coadjuvare ed incamminare moralmente. il Sud tanto a livello delle condizioni generali, come alla sua propria necessità.
5. Avendo per oggetto vostro concreto l’isola e iniziativa rispondente in (Provincia destinata) le altre vostre cure attive saranno nella comunicazione diffusione e conseguenze del relativo al paragrafo soprascritto.
Rispetto a Malta. Avvisate 1. se debbasi disporre di armi ancorché mancanti di munizione, od attuandosi, provvidenze relative all’oggetto munizioni concomitanti 2. se i giorni quindici precedenti a iniziativa possonsi calcolare dalla prima probabilità a trattative per barca, ovvero dal momento della conclusione del negozio barca. Giacché nel primo caso vi si avvertirebbe di ordinario in ordinario dell’andamento del contralto e sopra di ogni alterazione di probabilità se non accadesse.
La più intesa provvidenza di barca da Genova con munizione fa abbandonare ogni vista provvidente da Malta, ed ora s’incontra terreno vergine e difficoltà che non possonsi affrontare decisamente per non sapersi se munizione sia necessaria: essendolo, dovendosi ricevere Danaro per essa ed importando, che il contratto non abbia incertezza né sospensione lunga di tempo. Chiediamo danaro per Barca ed avendone per munizione avremo provveduto senza incertezza.
Mazzini mi parla di limite Giugno, né so se nello stesso senso si esprima con voi, e se le sue comunicazioni a voi sieno posteriori e cangianti sul limite espresso — A me sembra che quel limite che già oltrepassa la vostra precedente proposta, possa essere di comune accordo per Mazzini, onde non debba a volontà abbreviarlo, e su voi onde nei suo spazio accelerare.
Però occorre procedere in esso senza oscillanza con calma risoluta.
Le circostanze relative ad operazione sull'isola sono di materiale necessità, quelle a iniziativa nella Provincia di morale bisogno; ma dipendenti in gran parte dalle prime, Provincia e Napoli in generale in rapporto dipendente da iniziativa in Provincie, e su questa scala proporzionale sta costituita la concretazione relativa di combinamento.
Il dubbio di precipitazione di Mazzini e Pisacane vi porta a troppo disperanti comunicazioni, che non corrispondono a precedenti vostre prospettiche e misurate a razionali prevenzioni.
Troverete una di Mazzini ritardata d'assai per accidentalità fortuite; ma che contiene alcuni riflessi giusti, per cui io vado ad esprimermi per ridurre le cose alla loro realtà.
___________________
Tunisi 12 maggio 1857
SS. Maestri Benucci — Ancona — Ho la pregiatissima vostra, manco di lettere del Mazzini e Carlo, con l'ultimo incontro, pel che vi credo più addentro nelle loro intenzioni diffinite di Quello che io mi sia, giacche il mio limite è quello che vi avvisai col p. p. ordinario.
Ma se non avete dati diffiniti e nuovi, penso che il partito vostro sia di procedere rapidamente, per quanto vi sia possibile, sopra tutto stretto al più necessario relativo ad Isole e Cilento, con calma però e sicurezza di spirito, facendovi certo di ciò che è fattibile, ed il più fattibile nel profittare del tempo che corse, giacché quello che per caso non vi si accordasse non è né a vostro debito né difetto. Ma la vostra ultima, benché si dimostri inquieta, prova però che voi profittate con saggezza di ogni momento, e mi dà lusinga che anche le communicazioni importanti ritardatesi abbiano potuto prendere il loro corso: fatene oggetto fondamentale.
Mi duole che i documenti Proclami e Programmi non siano almeno in mio, se non in vostro possesso sin d'ora, giacché il prossimo è l’incontro mensile profittevole all’invio.
Per i Proclami insurrezionali potete ritenere in presuntivo fondamentale, come unico razionale e correlativo al modo d'iniziativa (stabilito) costituirsi dei due oggetti seguenti. 1. Produrre, comprendendovi le provincie da lato sud di Napoli, iniziativa come base. 2. Movimento verso e su Napoli.
Quindi ogni altro oggetto è a considerarsi o concomitante, o conseguente, o diversivo avendosi quei due per obbjetto costitutivo e primario. Da lato mio per armi sono ancora ai preliminari, per non sapere se sono provveduto de' mezzi per munizione. Alcune difficoltà per l’esecuzione si presentano, contro cui l’incertezza su espressa non mi consente prendere misure diffinitive, né andare a fondo. Però io avendo mezzi provvederò di munizione abbreviandone, se mi sarà possibile il tempo di composizione, col dividerla a più sorgenti.
Avviserò del procedimento continuo e positivo o negativo a Napoli, e mi regolerò proporzionalmente alle circostanze riguardo a conclusione d’affare, considerando la esistenza della merce a disposizione, oggetto doveroso il disporla, dipendente dalla fortuna, l’averla utile per ogni tempo e caso, di poterne disporre.
Aspetto con impazienza il vostro ordinario — Addio aff. Bigami e C.
PS. Piacciavi di avvertire che entro la cassa sta la nota seguente di oggetti importanti abbastanza nella stagione attuale in Marca Inghilterra.
Una circolare dovrebbe dire che il partito nazionale che annunciò costantemente le illusioni di ogni speranza nei Governi stranieri, e riconobbe solo dalla complicazione loro talvolta opportunità migliorate per fatti nazionali, non deve pertanto pretermettere, e trascurare le occasioni che invece per omogeneità diretta sono le più propizie, e che si riferiscono a rapporto di solidarietà internazionale.
Per ciò il partito Nazionale deve far risentire l’opinione pubblica del come una di tali favorevoli occasioni critiche offresi ora dalla nuova elezione che agita l’Inghilterra.
Il Governo fu battuto dai partiti coalizzati, per la sua condotta negli affari esteriori tra cui è la quistione cosi detta Napoletana. I reazionari! lo rimproverano di aver messo quella quistione, i liberali di avervi dimostrata debolezza e poca sincerità.
Il Governo ricorre a nuove elezioni per cui l’agitazione e l’influenza del medesimo non si restrinse al solo corpo elettorale. Per ottenere maggiorità coi reazionarii dirà che l’onore inglese dimandava l’intervento diplomatico. Coi liberali che ciò che fece atteso lo stato passivo del paese, ed il voto delle maggiorità ripulsive a radicali cangiamenti è tutto che poteva fare.
Intanto però gli uomini eminenti delle emigrazioni politiche appelleranno alle simpatie popolari e liberali inglesi onde es' sere un verdetto della pubblica opinione che riconosca come la diplomazia ha forviato e non favorito le aspirazioni del Paese, inceppato e non provocato, né appoggiato lo spirito indigeno del Paese, e farà risalire come elementi di vita nazionale esistono in Italia, che non dimandano ciò che i governi stranieri né possono né potendo vorrebbero dare; ma solo appoggio morale, raffidante da popolo libero a popolo che merita di esserlo, che ha valore per divenirlo; dimanda che essi ingannandolo non s’immischino nei fatti suoi a nome della libera nazione inglese; che l’Inghilterra riconosca il suo dritto e la sua ragione nazionale superiore a tutti i trattati.
Aurelio Saffi, Giuseppe Mazzini, Ruffini ed altri s’adoprano in quel senso. Aurelio Saffi tiene riunioni ove dà letture di grande effetto sull’entusiasmo pubblico.
Ma perché l’effetto non si disperda, come ad uno spettacolo l’applauso, perché possa realmente la condizione italiana essere costituita nella sua potenza obbiettiva nella politica inglese per influire sulla agitazione elettorale e nell’opinione nazionale, le parole degli uomini di fede debbono essere affidate dalla testimonianza' di fatti degni all’Italia ed al popolo presso cui debbono imprimere.
Occorre che l’Italia si presenti in atto, che il partito 'che accusa il governo per patimenti civili lo vinca su quello che lo accusa di sommovitori.
E forse i fatti italiani alla sicurezza di crearsi l’amicizia e la stima e l’appoggio di un popolo libero, aggiunge libero d’avere in ricambio influita sulle stesse sorti interne del popolo stesso su cui imprimerebbero Ma se vorrà attendersi invece passivamente ecc. ecc. se ne avrà il solito nulla e la perdita di una necessità.
___________________
12 maggio 1857
Amico carissimo — Con questa riceverete altre tremila lire e sono in tutto settemila spedite da me, oltre la partita che avete ritirata da Malta da Fabrizj, come mi annunzia il nostro corrispondente, al quale con questo medesimo corriere invio tre mila cinquecento lire, onde sia in misura di collocare presso di voi la partita armi direttamente, e senza indugio, sperando che avrà già la vostra polizza di carico: avrete tutta la mercanzia cioè circa ottocento fucili.
La vostra lettera spedita a Mazzini oggi o domani sarà al suo destino.
Scriverò pure al corrispondente Fabrizj, che se vi fosse un supero del danaro, ed egli non ne avesse bisogno immediato, spedisca a voi.
Non ho nulla a rispondere alla vostra ultima lettera, non dovrei che ripetere tutto quello già detto precedentemente; debbo però farvi osservare due cose 1. Che noi non abbiamo mai preteso che tutti iniziassero al vostro appello, noi invece siamo convinti che se si lavora ad un apparecchio per dieci anni, con tutti i possibili ed immaginabili mezzi non verrà mai giorno che tutti saranno d’accordo per iniziare. 2. Le difficultà che enumerate, le quali rendono lungo e penoso il lavoro, sono ragioni che militano in vantaggio della nostra, e non già della vostra opinione: quando sono così triste e difficili le condizioni della fabbrica, allora non vi è altra riserva che una stretta, subitanea, energica congiura, ogni altro lavoro è un pascolo al governo per sfogare la sua rabbia. 3. Voi volete sciogliervi da ogni responsabilità, e fate bene, io per parte mia ve ne ho sciolto completamente: Mazzini ha fatto lo stesso: ma dire che il negozio isola era un'idea, un esempio, perdonate ciò è un voler spingere la cosa troppo oltre: voi non lo proponevate come un semplice esempio, e tanto è vero che Fabrizj mi parlava di ciò da un pezzo; da Mazzini si rispondeva, accetto la prima idea che proponete, ciò vale pure, che la proposta di un apparecchio indefinito, o almeno lungo, non sarebbe stata accettata; lungo ed indefinito vale lo stesso, giacche un arresto basta per rovesciare il lavoro di un anno, e quando non si concreta si è alla condizione di Sisifo, condannato a gettare un macigno dalla cima d'un colle dal quale ruina incessantemente senza mai fermarsi.
Ora pare che le difficultà di questa parte debbono essere superate — avrete ricevute le mie due lettere per Pisola: voi non siete responsabile di nulla, la vostra opera, se non credete fare altro, limitatela a farci pervenire, subito subito quei riscontri, ecco tutto, salute — Carlo.
___________________
Napoli 14 maggio 1857
Amico carissimo — Ho ricevuto la pregiata vostra n° 5.
Voi nella lettera n° 3. vi mostravate essere persuaso delle necessità di finalizzare certi dati accordi e schiarimenti; io ne ringraziai Dio, e ini dava tutto il moto possibile per preparare l'indispensabile con la massima sollecitudine: immaginate con quale sorpresa mi giungono ora le vostre due, che non solo ritornano al pensiero primitivo d'intraprendere anche senza accordi, ma fissano l’epoca vicinissima, ed escludono ogni proposta di proroga, fondata su qualunque siasi ragione. In questa trista posizione in cui mi mettete non posso fare altro che dirvi le condizioni in cui ci troviamo nel momento, perché possiate regolarvi con cognizione di causa, non essendo finalizzato alcuno dei preparativi da voi stesso giudicati necessarii, né essendo possibile finalizzarli per l'epoca da voi fissata.
Vi dissi, e vi ho poi ripetuto, che Matina progettò l’affare di Ponza, e che egli aveva le relazioni di colà; ed ora ch’egli è sotto chiave, io son nudo d’ogni cosa, e non ho potuto trattare con altri, perché mi son sempre imbattuto in persone che ancorché buonissime, avevano relazioni murattiane e costituzionali da rovinare la faccenda. Io son conosciuto da Agresti, il quale spesso mi ha protestato sensi di gratitudine e stima in occasione di servigi patriotici resigli, ma io fino all’epoca che ha cominciato ad istringersi l’affare dell’isole non gli aveva mai scritto, e dopo quest’epoca che ho desiderata farlo, non mi è mai riescito per mancanza di mezzi di comunicazione, ed ieri mi si è presentata occasione di potergli inviare una lettera che da tanto tempo aveva preparata, la quale è espositiva dei nostri principi!, nunzia d’un lavoro già fatto e presso al suo fine, e d’invito ad associarsi a noi promettendogli, dopo tale accettazione, dovergli fare comunicazioni ben positive e stringenti per affari diffinitivi; ma giuntemi le vostre ultime, vi ho aggiunta altra mia, di cui vi rimetto copia, e la vostra a lui diretta. Scriverò a Pisani. Nelle due isole non vi sono telegrafi, e per queste pure potrei darvi accordi, ma vi vuol tempo che voi non mi date.
Riguardo alla Provincia di Salerno il prete (Padula) è ancora in arresto; gli abbiamo scritto non ostante, ma difficultà materiali non ci hanno fatto ancora avere la risposta. Abbiamo però speranza non lontana di poter aver mezzo di far pervenire una lettera ad amici di Magnone che son pure nostri; se ciò accadrà scriveremo che mandassero immediatamente persona di completa comune fiducia, ed in questo caso siamo sicuri che troverete un apparecchio che vi potrebbe essere utile; ma di ciò non son sicuro, anzi sono insicurissimo, ma vi ricordo di nuovo che colà sono senz’armi, e che v’è molta miseria, e con danaro si può assoldare gran numero d’individui e buonissimi.
In Basilicata (oltre poche avarie) il resto sta in migliore ordine che altrove. Libertini per aver fatta una direzione sbagliata ha guastato le intelligenze da noi prese per la corrispondenza, e siamo ora senza sue lettere.
Vi parlo un momento della condizione del partito per poi parlarvi di Napoli. I moderati sono fermi nel loro traccheggiamento, e s’isperanziscono bene spesso in Murat. I murattisti sono operosissimi; han lavorato molto nei popolani,e dando per fatto ciò che progettano, si accreditano, e concretano così positivamente ciò che è desiderio loro. Ora assicurano che in questo mese promuoveranno uno sbarco di emigrati e 2000 zuavi, il quale prima dicevano dovesse avvenire in Calabria, poi, dopo l’affare di Bianchi, dicono avverrà in un punto della costa. La massa è in speranza perciò, e questo torna a noi di vantaggio pel fatto nostro. Il Governo in modo certo se ne allarma, e ciò potrebbe riuscirci di grave danno per la vigilanza in mare.
Cosa sapete voi del muratismo? Certo io posso assicurarvi che non dorme in Napoli, centro in cui le provincie consultano e che può avere nei fatti molta influenza nella decisione d’una forma politica: è un punto perciò interessantissimo; mentre è quello in cui massimamente tutti i partiti esercitano la loro influenza. Senza armi, senza studenti, senza direzione non è certo in condizione speranzosa per noi, né io posso in tal condizione lottare senza armi, contro armati e fortezze, né padroneggiare le influenze intelligenti, e quella parte di influenze d'azione da queste condotte, se la potenza del fatto da voi intrapreso non li colpisce e li trae a noi. Aggiungete che mi mancano certe tali date condizioni indispensabili a chi trovasi nel caso di dover dirigere, e che io non ho — ci vuol genio che mi manca e mezzi che non ho potuto mai avere. La necessità poi d’un programma, l’offerta di certe date condizioni che a tutti convengono, la diffusione di stampe immense che esaltino e decidano, l’accennamento di certi dati principi che devono servire di base e d’impianto al nuovo Governo, e un proclama e promesse alla truppa tali che la decidano; fatto grave che scuota, come quello degli Scoppi per esempio, son tutte cose che mancano e che sono indispensabili — volendo anche toglier di mezzo l’idea di grandi, mediocri o qualsiansi apparecchi ad un popolo che da 10 anni pensa alla rivoluzione, perché la sua insurrezione è speranza della democrazia — Questi ed altri apparecchi noi avremmo potuto fare, avremmo pur potuto stabilire più precise intelligenze con gli amici nostri; ma tutte le volte che mi son diretto a qualcuno dei migliori, non ho trovato che l’idea d'un tentativo azzardato: m’han fatto morir di palpiti, parlandomi sempre di otto in otto giorni e al più da un mese all’altro per l’insurrezione (che poi non han fatto aver luogo) facendomi fare per istrettezza di tempo apparecchi meschini precipitosi a nulla buoni, che poi sono stati cagione di guasto anzicché di base a quel calmo apparecchio (unico che può farsi nel pericolo) che in mese di tempo avrebbe potuto farsi per modo da aver potuto già produrre i suoi effetti, dei quali ne godrebbe ora già forse lo sventurato paese.
Se vi sarà tempo di poter io avere una risposta a questa mia datemi delle istruzioni pel da fare quando il fatto comincerà, ma badate alle condizioni del partito e del paese su espressevi; all'influenza della capitale sul resto; e pensate che se un colpo di mano murattista si valesse de' nostri mezzi, se pur noi avessimo vittoria sullo stato presente, saremmo in questo caso rovinati più ancora. Ditemi pure se potrò riunire degli amici, dopo che la novella del fatto vostro sarà sparsa, in che modo senz'armi debbo adoperarli.
Perdonate la manifestazione del mio poco criterio e compatitemi; ma vi dico schietto che se io non avessi fede in voi e più ancora in Mazzini, io crederei (che oltre all’eroismo immenso da voi manifestato in questa circostanza, ed al pensiero, il quale mi riempie di riverenza) crederei che non si parlasse, né facesse sul serio, ma che si volesse invece fare la burletta per divagarsi dalle gravi preoccupazioni in cui è costantemente un cospiratore. Ma giacché è deciso, io vi dico d’altra parte che lo stato nostro è sì tristo, e ne è così intenso il gravame, che spero anche da un colpo d’azzardo senza preparativi (che s’avrebber potuti fare) come è questo.
Mi consola ciò che leggo di Mazzini in quelle poche linee che me ne trascrivete, cioè «che il fatto nostro non è isolato»; e così come sta congegnato, mi sarebbe piaciuto anche meglio sentire che non è il principale. Io seconderò quanto posso, ma il mio secondarvi dipende molto dal vostro appoggio. Riguardo alla partita armi dite «quella di qui è indispensabile all’altra disbarco compresi gl’ingredienti». Non ho capito questa frase. Noi potremmo ritirare quelle di Malta, perciò abbiamo già tutto combinato per rilevarle al punto convenuto ed immagazzinarle in Castellammare; ma la nostra lettera d’avviso all’amico di Malta non potrebbe partire da Napoli prima del giorno 15; né potrebbe arrivare colà prima del 18; voi partite al 25 e non vi sarebbero che i giorni — Chi è nelle nostre condizioni volendo non si può sbrigare di questo fatto che in un mese almeno; perciò non potremmo fare questa operazione, perché il fatto vostro metterebbe tale allarme in mare che le armi, giungendo sarebbero sequestrate. Noi nonostante ne scriveremo all’amico di Malta, e, se voi credete, scrivetegli pure sul proposito.
Riguardo agli approdi non ne so niente: se dimando ai moderati che potrebbero saperlo ci mettiamo in certo rischio di guastare ogni cosa col semplice sospetto che può destarsi colla dimanda.
Notate bene alla voce qui sparsa di disbarco di murattisti sopra discorsavi. ciò è essenziale per le precauzioni che dovrete prendere.
Non so, ma credo che vi sieno scorridoie a S. Stefano e a Ventotene, e potrebbe accadere il caso che, mentre si approda in una delle isole, potrebbe l’altra essere avvertita, e far partire una scorridoia liberamente. Mi spiace dovervi dare un consiglio, ma la natura del luogo me lo fa credere indispensabile, Quando verrete nessuna bandiera esclusiva s’innalzi da voi. Potreste avere fra i liberali opposizione che non avreste forza a lottare; è necessità che s’innalzi il vessillo conciliativo, che i proclami e le stampe sieno di tal colore senza pur dar ombra di esclusivismo. La nazione vittoriosa deciderà de' suoi destini; questo è unicamente ciò che potremo ottenere dal luogo quando l'iniziativa è nostra.
Nei primi dei corrente un giovane inglese di famiglia distintissima e molto ben veduto dalia sua nazione (il quale era stato uffiziale nella guerra di Crimea) fu assalito da tre persone vicino la Chiesa di S. Giuseppe a Chiaia ed a forza di bastonate, di calci, e dopo caduto a terra, lo lasciarono semivivo — Visse cinque giorni e mori; il suo Console fece schiamazzo e fece fare una specie di dimostrazione facendo accompagnare il carro funebre da quasi tutti gl’inglesi che sono a Napoli — Questo fatto ha messo grande allarme nella polizia e nel Governo ed è voce che i mandatarii sono stati i costituzionali. Gli aggressori sono stati arrestati, e non si sanno ancora le loro confessioni. L’altro giorno due persone assalirono un francese, lo fracassarono di bastonate, gli rubarono 40 Napoleoni d’oro e non sono ancora arrestati. Si vuole che sieno stati i moderati e murattisti, credendo di muovere quei governi a loro favore. Addio.
___________________
14 maggio 1857
Amico carissimo — Ricevo le lettere che vi trascrivo una da Mazzini l’altra da Pisacane. Io ho risposto che non aveva apparecchialo nulla sull'Isola, e le ragioni che me lo avevano impedito, e come dopo la sua lettera mi son creduto in dovere di scrivere per la prima volta ad Agresti, ed annunziargli per introduzione il fatto senza troppi particolari, perché non li so né io, né quelli che debbono intraprenderlo.
L’avverto pure che non ho potuto fare nemmeno in Cilento niente, gli ripeto che qui sono con Dragone risoluto a tutto intraprendere, con i costituzionali contro in gran maggioranza, e che possono fare un giuoco di mano che volge a loro il fatto nostro, ancorché lo coronasse una vittoria: che i murattisti possono fare altrettanto ed allora i moderati vi si unirebbero, e che qui si sta ora senza studenti senza armi senza direzione col poco danaro che sapete e non ancora tutto spedito, senza Proclami Programmi e norme, e finisco col dire che se non proponessero un fatto in cui ammiro eroi, crederei che fanno la burletta.
Ho promesso in fine che io non ostante non mancherò di fare quello che è in me per coadjuvare, ma cosa posso far io privo di tutto, e come se fosse fatto a posta, privato anche del tempo per intendermi con gli amici che lavorano per noi?
I due più grandi imbarazzi miei sono ora 1. di dovere preparare il massimo che si può, con la concretezza che si deve, col tatto necessario per la posizione nostra di fronte ai Murattisti ed ai Costituzionali che parteggiano di questi, e senza tempo. 2. Il far muovere senza armi. Se per caso poi riesco, succedono gli altri imbarazzi cioè mancanza di direzione ecc. Quantunque io ho fede immensa nella causa, nei tempi, e negli uomini che imprendono il primo moto, pure non posso starmi dall’esclamare povera Italia.!!!
Per esperimentare la cambiale Cosenz bisogna recarsi in Salerno ed ottenere in conseguenza arresto. Questa è l’unica ragione che mi ha trattenuto, ma certo è che per soddisfare l’esigenze di tutti, vi vorrebbero quaranta persone libere e non la quarantesima parte vigilata.
Dite a F. che per Cosenza, abbiamo relazioni. Carlo dice in altra ultima sua che se abbiamo mezzo di ritirare le armi con sicurezza lo facessimo, gli fo il conto che prima del 27 e impossibile che ciò si possa fare, e gli dico che dopo il Governo è troppo allarmato — Addio — Kilburn.
___________________
Tunisi 18 maggio 1857
SS. Maestri e Benucci — Ancona — Prendete conoscenza di copia a Mazzini, che vi darà norma riguardo alle condizioni.
Rispondo alla vostra ultima. Quanto mi accennate delle risoluzioni precedenti della lettera che per errore tratteneste, io aveva già inteso, e giusta lo inteso vi aveva avvertito che posteriori a me dirette davano a credere una dilazione, che poi se non completa a vostro desiderio, almeno ultimamente si verificò, e fu per tale supposto che io vi raccomandai di procedere con calma sollecita, profittando del tempo quale si fosse che vi veniva, e tranquillizzandovi di tutto ciò che per la strettezza vi fosse impossibile. E mi sembra che lo abbiate fatto, giacche per 73 (fat. nuova) 163 (258) vi trovate in corrente, e per isola probabilmente siete per trovarvici con prontezza. Proseguite con uguale perseveranza, sicuro che voi adempite ad ogni vostra responsabilità innanzi ad ogni giudicio pratico, né quindi vi mancherà la più ampia sanzione da lato stesso di chi voi avete dubitato scarso, ed invece non fu che stimolante.
Non ho inteso parola alcuna di quanto riferiste parlarsi su di un giornale relativo all’incaricato (fatt. ant.) Murattista in Calabria. Né lo approverei, benché non merita riguardi quella specie di merce agli stessi diritti d’altro, che invece io la penso immeritevole di riguardo alcuno; però convengo che l’effetto non sarebbe utile, ma è merce di qualità (Lv.) polizia francese.
Non credo alla realizzabilità del progetto empio che voi supponete al Governo di Napoli, lo giudico proposto per spauracchio, e per tale divulgato dai moderati.
Le date che mi dì Mazzini sono movimento di vapore da lui dieci Giugno. e quindi il. seguito.
M’incaricava con incontro di bastimento con armi con vapore il tredici in mare su cui rispondo, orinai improbabile, ed in caso di mancare l’affare principale di combinarmi con Napoli per trasmettere a Cilento senza munizione: la improbabilità del primo induce la quasi impossibilità dei secondo progetto sostitutorio, per non potervi dare alcun dato oggi se non che di pressoché soluzione alla suddetta probabilità.
Mi esclude ogni fiducia di dilazione, talché non posso proporvi cosa alcuna per cangiamento di termine. Anche io fo quei che posso in istretto e contrattempo dandomi carico solo di ciò che potendosi fare non fosse fatto.
Per tutto ciò che riguarda Ostalgini (259) voi vedete ciò che ne dico in relazione ai casi presumibili e vari, ma per ogni supposto riflettete che stando i dati conosciuti e dovendosi decidere isolatamente Kilburn dovrebbe aver preparato pel corso seguente d’ordinario luogo, ricovero.
E dovrebbe tenere sorvegliato l'arrivo (f. v.) a disbarco mentre Ostalgini dandosi quel caso, si dirigerebbe a visitare Studi, ed altro consimile onde distrarre la polizia ed incontrare direzione e guida. Il caso più probabile è quello di andare in Sicilia ma al caso improbabile armi per Napoli, diviene probabile quello cui riferisco il suddetto paragrafo.
Avete ragione a Commesso Inglese, però dovete sapere che io sono pressoché in ogni settimana attaccato vivamente da affezione nevralgica al cuore, ed al capo che dispone delle mie forze mentre fo prodigio pel po’ che eseguisco.
Aspetto con impazienza vostre lettere, ed altre; e mi pare che se un accidentalità allungasse ancora di un respiro sarebbe propizio a Kilburn e Ostalgini. Ma mi si dice di non dover ammettere dilazione possibile — In fretta. Addio.
Finisce la lettera.
Voltate Bigami e Compagni
P. S. Una rapida, e succinta relazione dello stato dei partiti in Italia può darsi in questi termini. II paese fermenta ed aspetta. £ chi dicesse che il partito più esteso è quello della risoluzione errerebbe, ed è precisamente quella specie di irresoluzione cheta aspettare un’occasione, senza vedere d’onde sia per presentarsi, che dà estensione al partito Piemontese, poiché il Piemonte ha una attitudine, qualunque essa sia, di esistenza e di ostilità o semiostilità all’Austria: ma la parte maggiore poi s’addentra molto onde riconoscere se quella attitudine sia di volontà attiva o di condizione passiva agli avvenimenti, come è quella della maggiorità che in lui spera.
Ora di partito ottimo cioè che mira a fatti, volendoli promuovere in Italia e da per tutto, non ve ne ha che uno, ed è il partito che perciò si determina d’Azione e nazionale. Questo non è esteso di fatto, ma estesissimo in aspirazione, giacché la maggioranza che spera nel Piemonte, o per meglio dire desidera dal Piemonte, vi guarda come ad opportunità possibile, quindi è mobile verso l’opportunità che si realizzi, e come le condizioni interne Italiane ancorché ibridamente pretendono, e si fanno sentire ovunque tendenti ad una crisi, così è che la crisi disporrebbe della maggiorità assorbendola in sé stessa, e questa così desiderata da un lato, presentandosi da altro prevarrebbe nella sua forza di moto alle prevenzioni dell’aspettazione.
L’avvenire poi ed il senso di un movimento, che sorgesse per risoluzione del partito Nazionale sarebbe abbandonato agli avvenimenti ed al modo con cui si disegnasse la capacità e il valore intrinseco, e diretto per la causa della Nazione dagli uomini dei diversi partiti. Ciò che vi ha di notevole da lato del partito d’azione e nazionale, si è che non nega l’intervento di alcun altro partito, né la libertà della Nazione alla scelta delle sue forme di essere, nega solo che la Nazione sia impedita alla espansione di tutti i suoi mezzi quanti ha ed occorrono alla propria salvezza.
Riguardo all’estero si può formolare la politica di questo partito. Guerra all’Austria colle forze della Nazione, emancipazione dalla Francia coll’azione indipendente da' suoi interventi. Alleanza coll’Inghilterra se rispetta l’indipendenza politica, e con ogni altra nazione libera o che intenda a liberarsi, non esclusa la Francia in quest’ultimo caso ed alle stesse condizioni.
Per ciò da principio i fatti eviterebbero un diretto conflitto con l’occupazione Francese, ma la politica proclamerebbe i principi che la escludono, mentre l’azione si dirigerebbe nell’Austria, e nell’interna sua influenza, e sui governi a lei attenenti onde moralizzarsi presso la Nazione Francese prima di volgersi contro il Governo. Se l’attitudine Francese fosse forte, ma riservata si osserverebbe riserva.
Il governo dei paesi insorti riunirebbe a sé la direzione delle forze che ne sorgerebbero, alleato ad ogni forza nazionale che si associerebbe sotto la bandiera dell’indipendenza.
Il partito d’azione si sente forte pel successo, perché è l’unico che abbia programma e volontà d'agire, in mezzo all’espettazione di una maggiorità che dimanda occasione, e non aspetta se non che nulla. Il Murattismo di Napoli è più impotente del Sabaudismo, poiché non ha simpatie, e propone che altri agisca, onde impossessarsi del fruito, ma potrebbe farsi potente se col dileguarsi della speranza sul Piemonte non esistesse altro partito ed altro programma positivo che gli togliesse il terreno, e sembrasse un appoggio di salvezza comune.
___________________
Tunisi 26 maggio 1857
SS. Maestri e Benucci — Ancona — Ho la vostra. Ciò che riguarda armi ed Ostalgini, e quanto comunicate a Mazzini e Genova.
Sono sotto pressione morale funestissima, per un corso di particolari e delicatissimi sentimenti, che fecero questo momento dei più funesti della mia vita. Ma l’animo mi regge all’adempimento di quanto mi è doveroso.
Movimento per armi se non cangiano le condizioni di scadenza o le disposizioni è sospeso per cagioni di calcolo logico.
Non poteva darsi che ieri nel giorno cioè none, pagamento previo intero. Se aveva luogo ecco la conseguenza; interpellai la coscienza di persona interessata materialmente nell’affare della probabilità o no della coincidenza o la scadenza, il parere ne fu, possibile ma improbabile vedendovi fortuna somma, mentre ogni incidente contrariente o di quiete bastava ad escluderlo.
Conseguenza d’insuccesso erano: 1. assorbimento completo in puro danno di danaro, esclusione quindi di tutto che ne dipende in altre viste e completa neutralizazione di Malta, 2. assenza da Malta di armi per lo meno di dodici giorni tra due movimenti di vapori, la espettazione per dubbi e speranza di ritardo di coincidenza, 3. imbarazzo susseguente di armi in Malta per causa di Governi d’ogni specie avvertiti e di contrari emigrati, e messe armi nella maggior pubblicità e d’irregolarità da renderne quasi impossibile la disponibilità.
Col vantaggio di ventiquattro ore vedendo bilanciate le casualità avrei deciso affermativamente, presi la risoluzione negativa per calcolo razionale e sono tranquillo.
Non ebbi linea Mazzini né Genova coll’ultimo ordinario non senza meraviglia.
Nello stato di cose attuali e non sopravvenendo cangiamento sui precedenti avvisi, Ostalgini e tutto relativo a Malta a direzione per la rivoluzione dipendente da iniziativa nel Sud avendo luogo movimento armi Ost: vi si sarebbe complicato se in condizioni di assoluta probabilità, per passare a vapore egli avesse proposto di non complicarsi a vapore se non per conoscenza e relativo giudizio di qualità di mezzi possessivi, e di direzione, e non avendone ricevuta comunicazione, non ostante che richiesta, avesse dovuto credere non giudicarsi opportuna la sua diretta influenza.
Per ciò che tocca Malta relativamente a rivoluzione, stantecché rivoluzione non può ora dare iniziativa, ma dipende da questa, e Malta non ha disponibile al di sopra di quindici al più ed anzi piuttosto dieci presupposti, sei o sette certi, non può che tenersi in attitudine relativa alla conoscenza dell’affare principale, per seguirne. Una lettera di Messina dà ottimo ragguaglio, è solo di apprensione per l'allerta precoce. Le condizioni confermate sono sempre di dipendenza da iniziativa per tutto rivoluzione.
Cangiamento di disposizioni che attivino armi e danaro, cangia la condizione Ostalgini rendendola isolata, e quindi personale.
Le notizie vostre provano il profitto vostro del tempo, onde sperare che il resto che d’allora in poi decorse sarà stato utile ad appianare le ultime difficoltà.
Avvertite, se troverete acclusa una lettera, ancorché in espressione negativa, vorrete darle corso, dovendo servire di segnale positivo (cosi convenuto al suo destino) dell’accaduto di iniziativa sia pur di Provincia ed altro. Non mancate di gitlarla alla posta, onde la marca postale indichi il giorno reale del suo invio.
Non ebbi i proclami né per Napoli né per le Provincie né intendo perché, né credo dovermene assumere in affare in cui mi fui passivo, conseguente e spero che si sarà sostituito perduto presso voi.
Invio un commesso passivo a Messina, coll’incarico di movimento di barca per Malta prima notizia di iniziativa, giacché la scadenza presumibile è immediatamente posteriore a vapore.
La mia posizione fu ed è delicatissima in negozio che si combinò astrattamente da ogni esame delle condizioni relative agli incarichi che poi si affidavano, e dovendo procedere per calcolo di presupposti, in mezzo a svariatissime contrarietà, prendendosi là responsabilità di giudizj che a caso avverso niuno vorrà riconoscere redatti. Ma ho l’animo sicuro e so di essere logico. Vi abbraccio — Affi Bigami.
P. S. Avvertite che l'espressione della lettera convenzionale, che va in copia conforme per essere al caso confrontata, non ha alcun valore, dovendo essere l’arrivo dalli, lettera il segnale, essendosi scelta l’espressione negativa, onde in momenti gravi, il sospetto la lasci correre come opposta, ancorché favorevole allo scopo.
___________________
19 maggio 1857
Fratello — Vi scrivo dell’Italia ove sono. L’urgenza delle circostanze mi v’ha chiamato.
Aspetto con animo ansio lettere vostre che giungeranno tardi, perché io possa rispondervi. Se diranno il sì che chiediamo abbiate per nulla questa mia; la risposta da parte nostra sarà l’azione che promettemmo. Se chiedevamo protrazione di poco, voi già sapete dall’amico comune che non può essere se non di quindici giorni. Se per malaventura la chiedeste prolungata, o indegnità, sentite.
L’Italia intera ha doveri tremendi; ma più specialmente il Sud. Il Sud ha sul collo una di quelle tirannidi che degradano chi le sopporta. Il Sud, dagli assoldati in fuori che sono una cifra non considerevole e determinata, non ha truppa straniera né vicinanza di nemico straniero. Il Sud è strategicamente parlando il punto d'onde l’iniziativa italiana dovrebbe muovere. Il Sud è centro per l’importanza d’ogni suo moto, da essere seguito da tutta quanta l’Italia. 1) Sud ha empita l’Europa de suoi lamenti, e della sua minaccia, e sino a quel punto che non è consentito se non a chi vuole anzi tutto giustificare il suo sorgere. L’Europa era ed è tuttavia pronta a salutare plaudente e in parte aiutatrice il sorgere del Sud; ma incomincia a richiedersi se la terra dei Vulcani viva ancora o è spenta; incomincia a pronunziare la fatale parola «essi hanno alla fin fine quello che si meritano».
Il Sud non ha da temere intervento straniero. Non parlo dell’Austria che tratterremo noi, parlo di Francia. L’unica terra sulla quale il francese non possa inoltrare' senza romper lite con l’Inghilterra è la nostra. Vedo dalla vostra lettera che i muratisti ciarlano d’accordo favorevole ad essi tra i due gabinetti. La nuova è falsa, li gabinetto inglese ha già segnatamente protestato contro ogni intervento di Francia in caso d’azione interna. Quando v’aspettavate l’invio delle flotte alleate, lord Palmerston interpellò il Bonaparte s’egli avrebbe insieme all'Inghilterra represso un moto murattista quando avesse avuto luogo: perché il Bonaparte rispose non potersi torre l’assunto, il Governo inglese disdisse la dimostrazione. Il moto capitanato nazionalmente tra voi avrebbe, siatene certo, per primo risultato la rottura di un alleanza già minata dalla pace in poi.
In quanto all’interno, voi versate in condizioni che non concedono senza scoprirsi lavoro sistematico esteso prolungato: il vostro si è già prolungato di troppo. Ma d’altro lato le vostre condizioni son tali da poter ragionevolmente aspettarvi che una iniziativa ardita svegli un incendio. Il malcontento più o meno potente è in ogni classe tra voi. L'esercito non ne è illeso; e non vi parlo dei comparativamente pochi che vi fanno noto il loro sentire; accenno alla generalità e dico che debbono esistere in seno all’esercito semi considerevoli di scontento; che non v’è ragione plausibile di credere in una resistenza ostinata; che lo staccarsi di un primo nucleo comunque piccolo deve trascinare l’universale dissolvimento.
Voi avete un partito moderato potente; dove non è? ma il partito moderato che un lavoro qualunque non conquisterà mai, dacché ciò che lo costituisce è una mancanza di fede che gli vieta l’iniziativa, seguirà inevitabilmente il moto quando altri lo inizi. Lo seguirà in parte perché il fatto privandogli la possibilità dell’iniziativa lo tramuterà in parte a cercare d’impossessarsi del moto e dirigerlo a posta sua. Così fu sempre, così sarà sempre. [I giorno prima dell’insurrezione Lombarda al 48 gli uomini della stessa tempra deprecavano tutti l’idea di muovere; un’ora dopo il moto v’erano misti. Tre giorni prima che un’ardita minoranza proclamasse la Repubblica in Roma doversi battere con lo Straniero, le titubanze erano più che gravi, minacciose, l’intera guardia Nazionale dava aperto rifiuto a me che vi scrivo; decretata la guerra ognuno vi si gittò con impeto che fu il segreto della nostra difesa. Finché chiederete, otterrete dubbii e difficoltà, troncate il nodo col fare, è l’unico modo di averli.
Quand’io v'invitava ad avere il Genio della rivoluzione io incendeva questo; non il genio potenza intellettuale che dirige, costituito il fatto, gli elementi d’un popolo a disciplina insieme e guerra e vittoria. Questo sorgerà dalle viscere della nazione suscitata nei giorni che seguono il primo irrompere. Io v’invitava ad avere il genio che sente venuto il momento d’osare: che afferra la condizione morale degli elementi; che intende il paese essere coperto d’uno stato di materie combustibili e non aver bisogno ad incendersi che d’una prima scintilla; e v’invitava ad avere il coraggio di chi a rischio di morte appicca primo quella scintilla. È il genio dell'alcade che primo alzò il grido di muoiano i francesi nella Spagna del 1808, il genio del militare che insorse primo tra voi in provincia nel 1820; il genio di quanti iniziarono le insurrezioni nazionali: non erano intelletti eccezionali, erano uomini di forte animo e di senso diretto che sentirono giunta l’ora ed osarono, e furono seguiti.
Io v’invito ad osare per l'onore e per l’avvenire de) paese. V’invito ad osare per voi: le condizioni non consentono lunghe cospirazioni: voi vi perderete, indugiando sterilmente.
V’invito ad osare per noi: abbiamo preparato elementi a seguirvi; elementi voglienti ed impazienti. Gl’indugi li perderanno; oppure, saremo costretti a far noi, con danno forse della causa, dacché, mentre seguendo immediatamente la vostra chiamata si deciderebbe la quistione, iniziandola ne verrebbero sospetti di localismo e non produrrebbero l’entusiasma necessario.
Io vi chiedo assenso alla operazione che prima voi proponeste; azione nel vostro punto, quando vi giunga nuova del nostro successo. Vi prometto in ricambio azione immediata dopo le nuove del primo fatto su punti vitali, diretta da me e tale da assicurarci incremento d’entusiasmo generale e indipendenza assoluta di moti.
In nome d’Italia accettate. 0 adesso, o più mai per forse dieci anni. Per molti anni io non ho iniziato con voi. Se oggi lo fo è frutto di convinzione profonda che l’ora è giunta e che noi non cogliendola, ci disonoriamo. Vostro — G. Mazzini.
___________________
19 maggio 1857
Amico carissimo — Per mezzo del commesso Sigari ho ricevuto in questo momento le vostre quattro lettere. Siamo alle 10 antimeridiane, debbo consegnare la lettera a mezzogiorno.
Sono insieme a Mazzini, e cerchiamo il vetriolo, e se possiamo averlo prima che parte il corriere, vi risponderemo, in caso non arriviamo a tempo, vi scrivo quello che più importa.
Se voi accettate nella vostra anche il tempo, sarà fatto con quelle modifiche di luogo e di ora che proporrete, e resta stabilito il piano inviatovi con l’altra mia, — se poi vi sarà dilazione vi sarà tempo a rispondere.
I campioni proclami di cui parlate ne spedii un pacco a voi solo, ma siccome chi s’incarica non può farlo senza aprirlo (si è protestato) ne avrà sottratto pure
suo amico; mi dispiace ma non è gran male. Trovasi alla vicaria un giovane buonissimo appartenente a quel (206 tempo fa in 209 cifra sbagliata} esso merita ed ha bisogno di soccorso. Nell’altra mia se vi sarà tempo vi scriverò il nome.
Nel caso affermativo anche del tempo col venturo corriere vi spediremo
altra piccola partita danaro, quindi bisogna che il Socio si trovi in Napoli per riceverlo.
Se è possibile fate che un paio di uomini si trovino al disbarco pronti a correre a Napoli o altrove, onde per dispaccio o in altro modo far pervenire qui l’avviso il più rapidamente che sia possibile; pensateci e cercate ogni mezzo per riescire, giacche è cosa che importa moltissimo, beninteso non debbono muovere prima di aver parlato con me.
É qui la famosa ed ottima Miss Mario White che ha fatto tanto per la causa Italiana in Inghilterra, a Genova gli operai le fecero una magnifica dimostrazione, e si esaltarono tanto da gridare Viva la Repubblica, e fecero dalla banda ripetere quattro volte la Marsigliese.
Vi accludo la lettera di Mazzini scritta prima che avesse ricevuto la vostra del 14. che sino ad ora non abbiamo potuto leggere.
L’ora passa e forse saremo obbligati a chiudere la lettera. Un abbraccio al socio — Salute — Carlo.
___________________
Napoli 20 maggio 1857
Amico carissimo — Abbiamo ricevuto la pregiata vostra N. 6 col compimento di franchi settemila, che uniti ai duemila ritirati da Fabrizj sono in tutto franchi novemila.
Scriverò col medesimo ordinario all’amico di Malta pel ritiro delle Armi. Vi fo alcune osservazioni a cui vi prego badare.
Mi diceste che ritirandosi da noi le armi prima della vostra venuta, un’incidenza qualunque avrebbe potuto dar materia di grave allarme al governo, e che perciò era bene di non dare opera a questo fatto; io approvai questo vostro pensiero, e soggiunsi che sarebbe pure accaduto inconviente se il ritiro di esse si fosse fatto dopo della nobile intrapresa vostra; perché la merce, avrebbe incontrato allarme grande in mare, e però pericolo immenso, e ne dedussi la solita conseguenza che bisognava prima aver apparecchiate queste cose, o apparecchiarle per poter poi eseguire il fatto determinante con serena coscienza, e se non erro, in senso d’urgenza, proposi; (ma ciò non ricordo bene) che vi foste inteso con l’amico di Malta, perché ve le avesse fatte trovare in mare per farne voi stesso carico. Nella vostra N. 3 davate tempo necessario ad istabilire queste ed altre indispensabili cose; ma in quelle N. 4 e 5 pervenutemi quasicché insieme, mi diceste di ritirare le armi, e che pel 27 sareste stato in Cilento. Vi risposi ch’era impossibile che questa operazione potesse pel 27 essere effettuata, mancando il tempo materiale anco per avvisare e ricevere, perciò cadevamo nella stessa difficoltà, ed ora soggiungo che la persona che s’incaricherebbe della ricezione è nerbo della insurrezione di Napoli, perciò se in Napoli potrà farsi cosa dopo il vostro impulso, la persona non è più disponibile per la ricezione armi. Aggiungete a ciò che l'amico di Malta ci scrive con questo stesso ordinario che le munizioni mancano, e che una volta avuto il danaro per provvedersene, ha d’uopo almeno 15 giorni per la fabbricazione.
Dopo queste considerazioni con questo stesso, ordinario scriveremo all’amico di Malta (che è già avvisato di ciò che scriveste nella vostra N. 4 e 5, riguardo a questo affare) che preparasse tutto per l’attuazione, e gli rinnoveremo (per prevenire equivoci) i diffinitivi accordi già da gran tempo datigli.
Voi intanto riflettete attentamente a tutte le osservazioni sopraindicate e decidete voi il da farsi, e comunicatelo all’amico di Malta, e noi dipenderemo da ciò che con questo converrete. Noi però dobbiamo essere avvisati quindici giorni prima che le armi sieno imbarcate a Malta, perché la persona incaricata deve provvedere di otto o dieci barche, e di tutte le altre necessità per l'attuazione, e ci ha richiesto questo tempo e vi ripeto noi non possiamo mettere in mare questo uomo latitante ed utilissimo, in tempo in cui la vostra venuta può destare tale allarme in mare da comprometterlo, senza esser sicuri che l’amico di Malta va ad eseguire l’immediato imbarco. Questa precocità d’apparecchio per parte nostra sarebbe pure di spesa superiore alle nostre forze.
Dopo le vostre N. 4 e 5, dovete immaginare con quanta ansia attendeva l'altra N. 6, per avere istruzioni precisissime si vostre che di Mazzini, per avere un programma d’azione pei siti non occupati immediatamente da voi, per avere proclami alla truppa, al popolo, alle diverse frazioni, per avere in fine comunicati alcuni principi costitutivi del nuovo governo, onde non procedere disparati per difetto d'anticipate intelligenze. Avrei pur voluto togliermi un dubbio grave, ed è se debbo in Napoli avvisare gl’influenti all'azione, quando già è giunta la novella del vostro disbarco, o prima; ché nell'un caso il segreto andrebbe a male, ed un incidentalità di sospensione sarebbe dannosissima, e nell’altro sarebbe troppo poco il tempo. Voi invece in momenti sì supremi vi trattenete in cose individuali che certo se mi aveste conosciuto nei passati fatti avreste inteso che mi dovean tornare spiacevoli e parermi ingiuste e non le avreste dette; perciò non me ne adonto. Voglio solo dirvi che Mazzini può ricordarsi che in Milano presi una gravissima responsabilità nel reggimento degli istruttori, in momenti che a molti a cui spettava la rifuggivano pel suo gran peso; che in Svizzera operai senza evitare responsabilità, e che altrove mi ha pur conosciuto per modo da presentarmi agli amici suoi in quella guisa che non sogliono presentarsi da Mazzini gli uomini che non sanno accettare responsabilità.
Medici mi conosce nei fatti e certo mi giudicherà diversamente da voi, e l’amico Fabrizj farà altrettanto. Voi dunque ' non avete interpretata bene la mia idea, che è stata quella di tenervi a giorno perfetto dello stato delle cose, perché poteste agire con cognizione di causa e non mettere le sorti d’Italia, della democrazia, e della vostra impresa a repentaglio per equivoco od illusione; ciò era mio dovere, e se voi me ne aveste voluto dispensare, io non ostante avrei creduto doverlo adempiere, il più che mi era possibile, nei miei scarsi mezzi; né ho trascurato in tal tempo adoprarmi con ogni potere a coadiuvare il vostro piano d'urgenza; (piano che invero non conosco che solo nel concetto disbarco ed iniziativa, ma non so poi il resto; come per esempio se Napoli deve fare il suo movimento quando voi date l’iniziativa o quando voi concentrando marciate su d’essa; cose che avreste dovuto dire a lettere di scatola a me che non sono militare, e mercé quest’opera ho fatto ed ottenuto tutto quel massimo che si poteva, da chi agisce fra le immense contese difficoltà e privazione di mezzi di ogni genere. Queste due partite, non per isdebitarne la mia persona, ma come riconosciuto dovere insito alla mia posizione, doveva adempiere e l’ho adempite, ma più essenziale era ancora ciò che era indispensabile a tener calma la coscienza sul fatto da imprendere) cioè l’intelligenza perfetta con isole e Cilento, ed a me istruzioni eseguibili e coadiuvazioni indispensabili sopra discorse, una volta che avevate giudicate impossibili le proposte da me affacciate di denaro, armi e direzione. Ciò non mi pare volersi esonerare da responsabilità, ma anzi evitare possibili inconvenienti, ed accettare invece la maggiore che si presenta nel fatto; che se anche avessi la viltà di non farlo, noi potrei nel Sud, dove solo all’interno sostengo l’idea Nazionale con lotta accanita, e dove sì ciascun nostro operaio, come ciascuno oppositore non conosce che me responsabile.
É mia abitudine di oppormi sempre in quelle imprese che dovendo produrre un tale desiderato effetto, non sono in quell’assesto che ne produce naturale lo sviluppo, mentre potrebbero esservi; ed in particolare quelle che non riguardano la persona ma i principii, perché toccasi l’utilità pubblica, che non abbiamo diritto di molestare e che oggi sentiamo sì forte il dovere di alimentarla che vi abbiamo dedicati tutti noi stessi.
Ma se un sentimento generoso per falso calcolo o per isventura apportasse quel guasto che io avea preveduto possibile, allora è ch’io non rammenterei già le osservazioni fatte, e prenderei quella responsabilità maggiore che potrei sottrarre ad altri.
Ho fatto cosi sempre, e lo credo dovere in ogni uomo, e naturale in chi nella sua giovane età ha già dedicati 11 anni alla Patria.
Mio dilettissimo so che chi si propone impresa sì magnanima come voi vi siete proposta avrebbe d’uopo d’altre parole; ma io mentirei se non vi dicessi d'aver nell’animo un vuoto che mi strazia mancando alcuni dati apparecchi che credo necessariissimi; e che vedrei appianato questo vuoto e godrei della morale certezza della vittoria se alcuni tali apparecchi fossero finalizzati. Il genio però vede più che l’uomo volgare, e voi e Mazzini avete genio, e ciò mi dà fede, che si corrobora nella fede maggiore che ho nella verità della causa.
È vero che né voi né Fabrizj mi avete tenuto al corrente dei fatti dell'estero; ma da ciò che ne giudico dai giornali fornitici dai moderati, deduco essere questo uno di quegli unici momenti che chi non lo coglie tradisce. I bisogni in cui è ridotto il paese, il sentimento patrio diffuso, l’irritamento della truppa, il nodo gordiano dei re e dei popoli trasportato sul nostro punto, la quistione nostra tumultuante, mi dicono, che se l’Italia non avesse un Genio che cogliesse il momento, non sarebbe, né dovrebbe essere più Italia.
Io tutte queste cose le veggo le sento altamente e mi esalto; ma per sentimento di dovere e non per trincerarmi contro responsabilità, adempio la solita monotona ma utile incombenza col dirvi le ultime condizioni del lavoro e dello spirito pubblico.
La lettera ad Agresti non è ancora partita, non ostante che abbiamo fatte mille escogitazioni, ogni ricerca per mezzi sicuri; domani quasi certamente partirà e direttamente.
Abbiamo da sette giorni mandato in Basilicata ad Albini con incarico di mandare immediatamente in Cilento, perché ci spedissero persona loro fiduciata al più presto, ma nessuno è ancora venuto, e nessuno colà sa niente della vostra impresa!! Abbiamo a tutti spedite lettere di fuoco, in senso d’urgenza massima.
Mando in questo momento una persona in Basilicata avvisando che se altrove s’insorgerà rispondessero immediatamente; rifò urgenza massima per Cilento.
L’insurrezione giungerà inattesissima, ma desiderata da tutti come la manna, sarà solo in odio ai capi moderali. Lo spirito pubblico e della truppa è esacerbatissimo, la plebe non dice altro «non voglio più bugie ma fatti»: noi indichiamo questo momento come il migliore da dieci anni in qua. I governativi sono sfiduciati del governo più che noi stessi. la miseria è immensa: se ci aveste mandato un programma stampato di principi ed in iscritto per l’azione pratica; delle promesse al Popolo di togliere alcuni dazj a lui molestissimi; ai militari di dovere divenire il quadro della grande armata italiana, e che nel loro congedo avrebbero un tempo di istruzione e mantenimento gratuito, e poi un tanto da poter con decoro esercitare l’arte loro, sarebbero state cose d’effetto magico.
Ma in. ogni modo Dio ci aiuterà: il bisogno della rivoluzione è imponente; noi faremo ogni sforzo per seguirvi, ed ho fede che ogni lotta sostenuta vi torni a gloria per la scelta del momento. I nostri auguri e i caldissimi voti nostri vi accompagnino,
I principi spagnuoli partono ed anche i fratelli del re. Giorni sono una commissione di uffiziali superiori svizzeri con alla testa un generale, si recarono dal re perché volesse mandare
reggimento svizzero in provincia, perché la truppa del paese stava acquartierata sulla paglia, e poteva ciò produrre odio contro essi. Il re rispose che pagava per esser servito, non consiglialo. L’irritazione degli svizzeri è stata per ciò grande — Vostro Kilburn.
D. S. Vi fo nota una riflessione che fo insieme al mio socio per la partita armi; ed è che noi avevamo invitato il cennato individuo pel disbarco della quantità che ci era stata promessa; ma ora che si è aumentata dovremo dimandargli se può per lo intiero; perché non sappiamo se ci osserverà che molte barche in mare potrebbero destare sospetto al governo. Appena saputa la risposta la faremo nota a Malta.
___________________
Napoli 20 maggio 1857
Amico carissimo — Ho ricevuto la vostra.
Dopo le ultime determinazioni di Carlo mi aspettava ordini convegni, istruzioni, proclami, programmi stampati diffinitivi, tanto d’azione quanto di principi, piano generale per dedurre in ogni singolo sito il da farsi, un' appello e quanto altro mai occorre. Egli non solo fa silenzio su queste cose, ma per giunta non mi conferma nemmeno la sua venuta. Certo ne è causa scusabilissima la sua preoccupazione; ma io coi preparativi quasi tutti incompleti, potete immaginare in che imbarazzo sono; spero che col prossimo ordinario voi me ne leviate almeno in parte.
Carlo crede che io voglia togliermi responsabilità, e mi dice cosa di disprezzante sul proposito; vi ho risposto convenevolmente.
Per le isole non sono ancora partite le lettere di prevenzione!!! Non si è ancora presentata occasione sicura!!!
In Cilento ci è stato impossibile riattaccare finora le Già rotte, e sono all’oscuro di tutto!!!
Vi ho informato delle determinazioni di Mazzini e di Carlo; riguardo a noi non si perde un momento per far tutto ciò che è possibile per coadiuvare; ma io fido poco sulla nostra cooperazione, mentre con un pò di tempo avrei fidato moltissimo; fido solo negli uomini ch’imprendono, nella posizione Europea, nel bisogno di un cangiamento, nella indignazione generale, non esclusa quella della truppa, ch'è più irritata che altri. Addio.
___________________
24 Maggio 1857
Fratello — Voi avete a quest’ora ricevuto notizia dell’indugio; mi dorrebbe che sul punto, se non ebbero avviso, avessero lasciato trapelare per ansia d’aspettazione o senso di delusione il segreto, spero di no. Ritenete per fissato irrevocabilmente il termine che vi si è dato.
Colla prima occasione dopo questa riceverete un altro po’ di denaro.
Poco prima del fatto, vi manderò probabilmente un Commissario destinato a rappresentare come intermediario tra noi e voi il pensiero politico che ci dirige; uomo di core, di mente, di esperienza, scrittore, intimissimo mio, e che esercitò già altrove funzioni politiche pubbliche. Vi sarà di grande aiuto. Farò di mandarvi pure, potendo, un ufficiale.
Tra voi, come altrove, dove i fatti vostri saranno immediatamente seguiti, il colore del moto deve, come avvertite, astenersi da manifestazioni esclusive. Bandiera Nazionale. Unità Nazionale: Indipendenza. Crociata contro lo straniero. Il paese eserciterà poi dopo la sua Sovranità. Questo ci basta. Nondimeno, anche questo ha conseguenze logiche, sulle quali sarà necessario insistere: il programma appunto perché non intollerante dev’essere gelosamente serbato.
Il grido Murattista nega la Nazione e la Sovranità del Paese: dev’essere punito il di dopo come grido fazioso..! Badate.
Fazione senza radice, composta di timidi, e di venali, ammutisce davanti a un esempio di rigore risolutamente dato.
L’idea di una rapida convocazione di Parlamento, che taluni di certo porranno innanzi, sarebbe fatale alla unità nazionale e all’andamento della rivoluzione. Richiamare l’antico, che fu eletto per un moto locale sarebbe un rinnegare sulle prime il carattere nazionale dell’insurrezione; e vi porrebbe in assoluta discordia coi moti che noi capitaneremo al Nord e nel Centro. Convocarne un nuovo è un negare la Sovranità del Paese che deve intervenire coll’elezione: il moto si localizzerebbe, e sarebbe perduto.
La proposta di Parlamento darebbe inoltre campo a quante provincie d’Italia ebbero nel 48 e 49 assemblee a ripristinarle. Diffondete, dunque per tutto le idee elementari d’ogni moto Nazionale. Due stadii: stadio d’insurrezione, e stadio di rivoluzione: la Rivoluzione non comincia se non quando l’insurrezione ha trionfato securamente. Il primo stadio è eccezionale: il secondo normale. Il primo dev’essere amministrato da poteri nazionali temporanei: il secondo da Un’Assemblea Nazionale regolarmente eletta. Chi confonde i due stadii perde la rivoluzione. Voi avete bisogno dell’Italia: come l’Italia ha bisogno di voi. Localizzando avreste tutte le forze nemiche convergenti presto o tardi contro voi senza gli altrui aiuti. La salute sta nell’ingrandire la sfera del moto.
Aggiungete che dove il carattere Nazionale del moto non fosse esplicato, mancherebbero non solamente gli aiuti interni, ma gli esterni. Il moto Nazionale Italiano avrà seguace rapidamente l’Ungheria, dove abbiamo lavoro potente; Kossutb, Klapka, PerezeI, non attendono che un primo fatto per secondare sul nostro terreno e provocarvi la diserzione dei 20,000 Ungheresi che abbiamo in Italia, e sarà quello il segnale al moto Ungherese. Le insurrezioni Italiana e Ungherese ricominceranno, non ne dubitate, il 1848 in Europa. Tutto questo sfumerebbe dove il moto tradisse colore napolitano. Non ho bisogno neppure di accennare alle tristi conseguenze che un colore locale produrrebbe sulla Sicilia.
Discorro su questo insistendovi, perché lo credo il pericolo più grave che minacci un moto vittorioso nella vostra città; ed è probabilmente la via, che i moderati affratellandosi al moto con intenzione di dominarlo, sceglierebbero. Fate dunque che l’idea contraria circoli tra i giovani combattenti alle barricate.
Un potere locale che mantenga la regolarità dell’amministrazione; poi una Giunta d’insurrezione composta d’uomini imbevuti dell’idea Nazionale. Appena le insurrezioni nostre scoppieranno — e si tratta di giorni — un governo d’insurrezione Nazionale, composto di cinque uomini al più mandati dalle Giunte a formarlo, dovrà prendere le redini e dirigere la bisogna. Quando la battaglia sarà verso le Alpi, cominceremo a parlar d’assemblea.
Formate la Giunta d’insurrezione, senza grande riguardo a vecchi nomi e vecchie riputazioni, d’uomini che si saranno distinti nel moto stesso. Sono i migliori e sono sempre accettati. Del resto seguite quanto più potete l’impulso e la direzione che vi verranno da Carlo. Miglior uomo non potreste avere ad ispiratore: principio radicalissimo: assenza d’ambizione di potere, pericolosa nell’avvenire, concetto strategico della guerra d’insurrezione, energia nell’esecuzione. Troverete tutto in lui. Non posso, abbastanza raccomandarlo a voi e ai vostri.
Non vi preoccupate soverchiamente di responsabilità morale o di difficoltà che sorgeranno il dì dopo.
V’aiuteremo a scioglierle. Io ed altri saremo in azione visibile ore dopo avuto avviso di un vostro successo. Le norme del fare dovranno essere possibilmente comuni. E trarrete ispirazione dagli alti che noi faremo, come noi trarremo dai vostri. L’importante ora è di pensare all’insorgere.
Credo certo che la nuova del successo della prima operazione e la discesa accenderanno fermento grandissimo dove voi siete.
Bisogna cogliere rapidamente il momento. Un pò più tardi il governo procurerà sostenersi col terrore, cogli arresti dei quali sarete vittime tutti e colf isolamento delle milizie. Ciò che potete tentare, tentatelo subito; non vi lasciate sedurre dalla tendenza così facile e funestissima ad aspettare che lo sviluppo del moto provinciale assuma proporzioni imponenti. La nuova che in Napoli si battono farà divampare il moto provinciale, come la nuova nelle provincie porrà in fermento d’azione la Capitale.
Per dove siete io non posso darvi norme: in mezzo a voi e conoscendo i vostri elementi lo farei; da qui mi è impossibile: ma vi raccomando le seguenti norme.
Spargete tra le fila dell’esercito al momento in cui cominciate, non prima, alcune linee simili a quelle che troverete nell’altro foglio.
Cercate che per fatto individuale spariscano lo stesso giorno parecchi tra i capi; già dei più invisi tra i vostri, sia possibilmente degli svizzeri, nulla disordina più la truppa.
Studiate una operazione importante e concentrate le forze su quella. Non vi è sorpresa che trecento giovani arditi non possano, volendo e tacendo, compiere con armi corte. Credo voi potreste volendo e tacendo farvi padroni di uno dei forti, quello ove stà copia d’armi. Comunque, su qualunque punto assicuratevi d’un trionfo, non disperdete le vostre forze allargando troppo la sfera dell’attività. I rumori delle province e un successo dentro v'accerteranno sèguito dalla popolazione scontenta.
Voi mi avete chiesto un manifesto. Un manifesto sarà il primo atto d’un governo d’insurrezione, e sarà diretto all’Italia ed all'Europa. Voi non avete bisogno che di proclami. I proclami si scrivono tra le barricate, non prima e a sangue posato.
Nondimeno, eccovi le basi sulle quali un vostro primo proclama dovrebbe fondarsi. Ne farete ciò che vi parrà: pocoimportano le frasi, importa lo spirito che sarà il nostro pure, ed arra d’unità agli Italiani.
Noi abbiamo, da una monarchia perennemente tirannica, perennemente spergiura, patito per lunghi anni l’estremo dell’oppressione, abbiamo patito vilmente pazienti per non avventurare a un sorgere prematuro le sorti d’un’intiera nazione. Oggi sappiamo che l’Italia è ordinata a levarsi e sorgiamo a darle il segnale.
Noi abbiamo empito l’Europa del nostro lamento. L’Europa lo ha raccolto. La coscienza universale ha pronunziato il suo giudizio e condannato l’oppressore all’isolamento. Tra la tirannide e noi non sono ostacoli d’interventi possibili, di prepotenza straniera. Persistendo a patire, noi saremmo agli occhi delle nazioni non saggi, ma codardi.
Italiani di Napoli! Voi non siete codardi. Sorgete dunque con noi.
Sorgete rapidi; sorgete tutti. Nella rapidità e nella universalità della mossa sta il segreto della vittoria, e la nostra è la vittoria d’un popolo.
Osate. La tirannide è minata per ogni dove. Pochi assoldati stranieri sono l’unica forza reale ch'essa possiede. I nostri militi sono italiani; e non contamineranno le loro mani nel sangue dei loro fratelli al fianco di sgherri stranieri.
Sorgete in nome d’Italia. Santificate il vostro moto con la proclamazione d’un grande principio, la vita d’Una nazione. Sventoli sulle vostre barricate la stessa bandiera di Venezia e di Roma, la bandiera dei tre colori: venticinque milioni di uomini la saluteranno come simbolo di salute dall’Alpi al mare.
Sorgete per tutti: avrete l’appoggio di tutti.
Sorgete a rivendicarvi a dignità d’uomini e dritti di cittadini. Il paese salvi il paese. La patria comune decida onnipotente, sola e libera dei proprii destini. Non intolleranza, non programmi esclusivi. Quanti s’affratellano con voi sotto la bandiera dell’unità nazionale sian vostri amici: soli nemici quanti tentassero violarla, smembrarla, sostituendo padroni a padroni o appoggiando ambizioni di pretendenti stranieri.
Noi non vogliamo stranieri dominatori sul nostro suolo. Noi non riconosciamo padroni fuor che Dio nel cielo e il Popolo sulla terra.
Viva L’Italia
La Giunta d'Insurrezione.
Soldati! figli del Popolo! Siate con noi che sorgiamo pel popolo e col popolo. Voi non potete combatterci se non a fianco dei mercenarii stranieri: tra essi e i vostri fratelli scegliete.
Soldati noi sorgiamo per voi: per aprirvi un vasto campo di gloria in battaglie nazionali, per riabilitarvi in faccia all’Europa che vi crede strumenti ciechi di un re sprezzato, per togliervi ai capricci di un despota che vi guarda siccome schiavi e darvi a una nazione di 25 milioni che vi chiama ad essere cittadini.
Soldati! venite a noi. Chi ci guida un numero d’uomini avrà la riconoscenza del paese e il grado corrispondente a quel numero.
Ad atti consimili dovete aggiungere alcune linee di chiamata fraterna ai siciliani, dicendo loro: da questo momento voi non siete più nostri; voi e noi siamo della nazione.
Radicate in tutti i nostri l’idea che le rivoluzioni si difendono con l’offensiva, che i primi due reggimenti riuniti alla bandiera della libertà dovranno varcare i confini; che il primo punto obbiettivo della vostra insurrezione è Roma come il nostro sarà Milano — Addio vi riscriverò. Dio e l’Italia v’inspirino — Vostro — G. Mazzini
___________________
Napoli 14 maggio 1857
Onorevole Cittadino e fratello.
La nostra relazione è stata sventuratissima; ma la fortuna vuole che in questi gravi momenti, gli errori ed infamie governative rendano per sé stesso in isfacelo il governo, compatto il partito Nazionale, irritata la truppa — ed all’esterno complicazioni in generale, e lo spirito pubblico inglese si particolarmente spiegato a nostro favore, che ci fan credere potere il genio della rivoluzione giudicare da un momento all’altro l’opportunità essere giunta. Noi perciò vorremmo che voi preparaste ogni cosa pel diffinitivo ed in senso d’urgenza; ma più d'ogni altro giudichiamo indispensabile che voi veniste immediatamente da noi per sentire a voce cose urgenti e delicatissime, e senz’altro vi attendiamo con immensa impazienza nel cognito sito, ove foste altra volta. il segreto sommo anche con gli amici stessi è indispensabile nei momenti gravi, e noi prendiamo la vostra parola ad impegno per questo riguardo. Il porgitore di questa è persona della completa nostra fiducia, ed è amico della persona che ci procurò il piacere della vostra relazione; la stessa persona potrà soddisfarvi in molte lodevoli curiosità che potessero insorgervi, e meglio darvi la direzione del luogo se lo avete dimenticato.
Vi ripeto la urgenza per la vostra attesa venuta, e vi prego arrecarci le più particolari nuove della persona che il porgitore di questa v’indicherà — Addio.
___________________
Napoli 16 maggio 1857
Onorevole Cittadino e fratello — È moltissimo che non ricevo vostre attese lettere, ne attendo con premura; d’altra parte l’immenso zelo, e la penetrazione vostra, mi fanno certo che l’interessante lavoro da voi sì ben condotto, sia ora sempre più da voi padroneggiato: e se prima era in pronto, ora sia spingente all’azione. Gli eventi sono favorevolissimi. Le leggi emanate, e che stanno per emanarsi, rendono impossibile lo stato presente. I partiti interni si sentono forti ed animosi ed hanno di già spiegata parte della loro potenza; la truppa è al colmo dell’irritamento — e le complicazioni esterne e l’agitazione che muovesi in Inghilterra a nostro favore, v’impongono tenervi prontissimi, e se alcuna cosa noi fosse è d’uopo finalizzarla con urgenza.
Il genio della rivoluzione potrebbe trovare il gran momento fra questi gravissimi elementi.
Il dovere di ognuno è di seguire ravviso; l’indugio snerverebbe, ed il danno arrecherebbe anni ed anni di schiavitù, di rimorso e vergogna. Il moto primo è l’avviso comune. Quando si giudicherà l'opportunità venuta, noi fedeli alle nostre promesse invieremo i capi. Il segreto è la salvaguardia comune, un arresto potrebbe aprire una voragine dove potremmo precipitare. La forza poi è nella unione; e la concordia è il più certo segno preventivo della riescita, però intendetevi coi migliori, e state stretti fra voi. Addio.
___________________
Napoli 26 aprile 1857.
Onorevole cittadino — Ci vengono riferiti alcuni brani di una vostra lettera qui diretta. Il vostro zelo nei pericoli è quello che ci attendevamo, e per la certezza nel fatto vi facciamo le nostre più vive congratulazioni. Seguitate cautissimo, ma con alacrità uguale, e maggiore se occorre.
Ragioni estere ed interne potranno da un giorno all’altro farvi avvisare che l’ora è giunta. Voi tenetevi pronto ad iniziare, perché la vostra provincia è meglio piazzata che le altre per dare impulso e sostenersi. Noi vi manderemo i capi militari. Se nel momento supremo si crederà più atta ad iniziare altra provincia, cominceremo da dove si crederà opportuno, e se altri appoggi potremo darvi, lo faremo; ma voi preparatevi per l’iniziativa e state prontissimi. Gli eventi e le cose sono apparecchiate, e sempre più si apparecchiano per modo che la vittoria dev’essere nostra.
L’opinione pubblica in Inghilterra è per noi agitatissima, in Francia vi regna il più gran malcontento.
Nel resto d’Italia e Sicilia ci aspettano ansiosi per seguire il nostro impulso. I soldati sono esacerbatissimi; la democrazia di tutta Europa è decisa. Una occasione si apparecchia, chi non la coglie tradisce; no» però abbiamo fondate ragioni per credere che quei che la coglieranno son più che bastevoli. Il bisogno ed il volere son generali. Il governo è in isfacelo, fa gli ultimi sterili sforzi, ma diffida degli uomini e delle cose.
Apparecchiamo adunque solenni i magnanimi fatti a compiersi.
Studiatevi da ora ed accuratamente di trovare parecchi mezzi sicurissimi ed agevolativi di corrispondenza per i momenti decisivi, nei quali la mancanza d’un avviso può condurre a mille catastrofi, badate che siano tutti sicurissimi, e se qualcuno ha d’uopo di spesa, non ci badate, approntatelo egualmente e penseremo noi — Addio — Wilson.
___________________
Napoli 22 maggio 1857
Amico carissimo — Segreto sommo e massima calma. La quistione de' popoli e dei re è trasportata sul nostro terreno, tutto ci annunzia che l’ora è giunta, e che da un momento all’altro può sonare l’appello le complicazioni esterne, gli errori dei principi, lo sfacelo governativo, l’irritamento generale, e nella truppa in ispecie, la decisione e gli apparecchi della democrazia d’ogni parte, tutto ciò che accade per noi in Inghilterra, mentre noi non diamo segno di vita, è nunzio che Dio è con noi. Mandate immediatamente, a volo se possibile, chi deve accompagnare sul vostro terreno i capi militari. Questi vostri messi dovranno venire in Napoli forniti di passa porti per i capi militari, dovranno tenersi a nostra disposizione riguardo al termine. Oltre a questi messi, ci dovete mandare un altro da rimanere sempre a nostra disposizione, come rimanemmo d’accordo; ma badate che sia intelligente il più possibile, fiduciatissimo, e che venga immediatamente; i messi per la guida dei capi se non potessero venire sino a Napoli (dopo aver voi tentato ogni possibile mezzo) si arresteranno in Salerno, allora mandateci ad avvisare immediatamente in che ora, in che giorno, in che luogo arriveranno colà, ed inviateci dei segni per riconoscersi coi capi. Spero che ciò non sia più tardi di tre giorni da questa nostra.
Mandate pure a spron battuto quel tal uomo che dev’essere a nostra disposizione in Napoli.
Non ci avete ancora scritto!!! Attendiamo da minuto a minuto i concertati promessici, il rendiconto delle commissioni adempite, e lo stato generale: ma che perdiamo tempo?!!
Ponete attenzione. Se prima che noi v’invieremo i capi dirigenti militari, sentirete scoppiare l’insurrezione in altra provincia, in tal caso. 1. Insorgete immediatamente cercando sempre far massa, spezzare le fila governative, impossessarvi di armi, munizioni e denaro; compromettere il maggior numero di paesi possibili. Chi frena l’impeto della insurrezione, chi grida in pro dello straniero, è reo di morte: evitate scandali di vili passioni individuali. 2. Inviate messi verso gl’insurrezionali, e colà troverete il nucleo dirigente, che darà ordini ed istruzioni.
Il motto di riconoscimento, se tal caso s’avverasse e se ve ne fosse d’uopo lo invierete scritto e suggellato e con ogni riserva, dirà (l’Italia per gl’Italiani, e gl Italiani per essa) 3. Apparecchiatevi e concertate con le influenze fidatissime subito e col massimo segreto segni che posson dare l’allarme ad un tempo in molti punti. La bandiera dev’essere col verde all'asta, e con rosso in punta, e sul bianco — Italia, o Nazionalità Italiana.
Attendiamo sulla vostra grave responsabilità l’inviare la qui acclusa a Titta Matera. Da Rotino non ci hanno scritto; mandate a volo una persona colà.
D. S. Se l’insurrezione altrove comincia, e non seguirete, questo atto d’inerzia sarà ritenuto come tradimento alla patria; ma noi speriamo che i capi potessero venir prima e direttamente da. voi; ciò dipende dalla vostra attività. Di nuovo segreto sepolcrale, e premure per quei di Rotino che preverrete di secretezza e riserba somma, e di stare all'erta che il momento è giunto.
Per carità calma assopimento completo, non movete prima che o i Capi vengano o l’insurrezione scoppi altrove solenne. Dio benedirà la pervenienza di questa nostra, che abbiamo dovuto per necessità cosi avventurare, stante che la persona da voi avvisata per tenersi pronta a partire (e da voi tenuta celata a noi la posizione sua cioè di essere senza carta di soggiorno) ha detto non poter venire, perché non poteva presentarsi a dimandar passaporto senza carta di soggiorno. Vi dico franco la ritengo come scusa. In altra circostanza vi prego essere più calcolatore e nien facile a fidare.
Eccovi il piano pel momento dell’insurrezione. Fate massa marciando sopra Auletta ove troverete altri appoggi, e dove prenderete posizione. Se nella vostra sinistra il vallo sarà insorto vi riunirete a quei capi militari da noi già spediti colà, sotto la cui direzione ciecamente starete. In caso contrario ad Auletta verranno i Capi Militari coi quali anderete immediatamente sopra Salerno, dove cercherete di scacciare o impadronirvi della guarnigione. Ciò vi dico in confidenza, perché spetta ai Capi militari il darvi gli ordini opportuni.
Qui acclusa troverete l’affiliazione che serve pei passaporti dei Capi Militari che aspetto da voi. Vostro — Wilson.
___________________
Napoli 25 maggio 1857
Amico carissimo — Dio onnipotente; noi scriviamo lettere di fuoco per rispondere doverosamente al fuoco vostro, e voi seguite col silenzio!!! Ma che cosa è mai occorsa?! La lettera inviatavi fin da otto giorni per mezzo del padre Serafino l’avete ricevuta, o non ancora? Essa era concretante, determinante, positivissima.
Quando le ore sembran secoli, ed un’ora di tardanza può essere di danno gravissimo, e può produrre conseguenze incalcolabili, voi fate passare non solo giorni, ma una settimana e più — Addio.
Qui è di nuovo scritta la lettera de’ 22 maggio.
___________________
29 maggio 1857
Ieri partì per costà un mio messo. Gli detti due lettere, una di Lecce più due passaporti, che non so se serviranno, perché in quest'ultima nulla mi dite intorno a venuta dei Capi. Ebbi la lettera per Gallo, non quella per Serafino Ecco ogni mio ritardo e dissesto. La lunga dimora del messo posta a confronto col menomo pro del ritorno, mi ha finito di accorare. Scrivo a stenti. Le nostre relazioni di qui valevano ad avvertirvi di ciò che dite. Nel senso del vostro piano non so dirvi che avverrà per la iniziativa che dite altrove. Il certo è che tutto va in dissenso delle vostre condizioni, delle vostre promesse — Qui e Lecce, e Bari e Foggia gridano «i Capi». Avete promesso adempite. Sono questi necessità, assoluta vita. Il non farlo è discredito vostro sommo — indizio di prima impotenza — Si griderà al tradimento. La fatale apatia s’impossesserà de' più!! Inoltre il vostro piano è falso — è sfiduciante. Si muove una provincia ex abrupto. Vecchi avvisi indeterminati alle altre — Ignoto il punto iniziatore, il come, il quando. Non assegnato da voi, ed a noi il dì certo fatale inalterabile — non concertato il primo nucleo, il primo avviamento, il modo imprevisto secreto di piombare su Capi luoghi. Nel tempo necessario per eseguire intanto questo, tutto potrebbe abortire o esser represso il moto della sola provincia. Debbono iniziare almeno tre o due, ma col concerto detto. Il moto di una provincia sarà noto prima ai governativi, che alle altre. Essi avranno tempo per opporre ostacoli. Bisogna colpirli nel sonno. Presi i capiluoghi, facile è il resto. Per Dio! un solo generale un solo ne vogliamo, e fra otto dì si stabilirà tutto qua. In Salerno vi è molta truppa. Guai se inizia quella. Come noi andare ad Auletta? Alle strade rotabili? Uscire da' nostri centri, dai nostri monti fortezze naturali? Il tempo deve sarebbe? Il tempo per accorrere colla richiesta celerità senza concerto, e questo mancante per la indeterminazione del dì. Per carità i capi. Sono spariti i tre promessi? Se fatalità portasse quel moto provvedete (ho scritto pur io ciò) che gl'insorti non stessero inoperosi sul luogo della insurrezione. Invadessero questa provincia; uniti andremo dove occorre. Io non dormo — mi occupo della riuscita degli arrotati. Sto formando un drappello a cavallo per correre disorganizzando il vecchio, organizzando il nuovo da per tutto. 1 piedi sono la vita dell'insurrezione.
Fidate pienamente nel messo — É callido — atto a tutto: con lui mandate qualcuno. Scrivete il dì della partenza da costà. Si servano della carrozza, non della giornaliera — A voce vi dirà il resto — non temete.
Mandatemi la Circolare pei capi di Lecce, Bari e Foggia che dicono essere tutto maturo; pel dì… (261) si muovono secondo i concerti e gli ordini che con suo bullettaio i capi faranno — È ciò essenziale — Il vostro carattere è noto e creduto. Il resto farò io. Mandinsi allora pure i proclami. Il Salese mi cennava una notizia avuta da Salerno, che il dì 13 avveniva uno sbarco in Cilento. Se ciò è vero sarebbero eliminate le difficultà suddette. Innanzi a quel fatto tutto cederebbe» Concretizziamo — I capi — le circolari — le determinazioni, non più gli astratti sognati, i motti isolati, i misteri. Un notiziario recente. Poscia non vogliamo altro che otto dì — La circolare diffinitiva è indispensabile — più copie — Sapeva la venuta di Aragona, siate muti con esso. Nulla mi ha fatto sapere della sua venuta.
Torni il messo immediatamente. Sanate l'ansie deluse di tanti infelici compromessi. L’imprudenza dell'Invalido ha causato in un paese di Bari ventuno arresti. Opera però per cento. Addio.
___________________
30 maggio 1857.
Il latore è di tutta fiducia. A voce vi dirà perché Armellino (Albini) non sia venuto. Il dì 11 ebbi lettera da Gallo. Quella di Serafino non mi è giunta. Ho mandata a rilevarla. Mandai subito le lettere a Matera e Lecce. Ieri ebbi la risposta. L'indugio per diverse fatalità. Colà tutto bene, non ci vuole altro. Qui egualmente. Da per tutto però rigori di polizia. In giornata è venuto un messo di Sala, Rizzuto. Costui ci ha scorato. Altra causa che Armellino non è venuto. Dice di non muoversi il Cilento senza soccorso straniero, sbarchi. — Gli abbiamo parlato di alti direttori, subiti sussidii, muoverci mai prima, ma si è stretto nelle spalle per l’esito. Che fare?! — Se voi non avete diverse assicurazioni la nostra posizione sarebbe assai falsa. Chiaritevi dunque, e chiariteci. Il piano di accorrere in Auletta, massa per la insurrezione, colà è fuori regola. Qui a Lecce, Bari, e Foggia vogliono i Capi. Questi decideranno. Mi ha fatto sorpresa lo scrivere trasversalmente, e non pel messo. Che fa costà? Assolutamente fatelo tornare. Fidate interamente in lui — È callido — Venga con lui un solo dei tre. Manderò subito a rix levare il resto. Non è prudenza che vengano in una volta. Sentitemi. Manderò subito nuovamente. Io intanto ho detto l’occorrente al Salese. Si è investito del nostro fuoco, e pensiero, ed accomoderà le cose. Ricevete una sola carta. Attendeva le altre da altri paesi, ma le cateratte aperte del Cielo hanno tutto sconcertato. Non dubitate del primo, è anche questo domestico. Assolutamente torni il primo — Rimanderemo immediatamente — Ammanite tutto — Noi ci siamo — Non dubitate. Addio.
___________________
Napoli 3 giugno 1857
Ho ricevuto le due vostre — Mandatemi appena vi saranno giunte le lettere di Lecce, e quelle di Matera.
Picone ha mandato da noi e siamo in accordo, ho mandato da Padula, non so ancora l’esito dell’invio. Attenetevi all'ultima nostra inviatavi per la via del frate, e sbrigate. Che lo spirito pubblico sia desto, non è male; ma per voi ed i migliori è indispensabile un secreto di tomba ed apparenza di sonno.
In Inghilterra ci è fermento, eccitamento, e dimostrazioni per noi; ed il governo di colà è costretto a favorirci per reggersi.
Da qui partono i principi reali, e tutti i principi Spagnuoli. I realisti temono la rivoluzione da un momento all’altro. Nella truppa innumerevoli arresti. La democrazia di tutta Europa spera da noi, ed è in preparativi per seguire. In Napoli si son diffuse carte tricolori, motti, e si seguita. In Calabria, e Sicilia vi è fermento grande. Il parlamento inglese è preparato per noi. Mandateci i passaporti per i capi. Dio sarà con noi. Fate ogni cosa subito, subito, subito e con cautela somma. L’individuo a nostra disposizione è giunto; lo invieremo se ci sarà caso eccezionale urgente. Se avete cosa a dimandarci fatelo presto. Addio.
___________________
Napoli 18 giugno 1857
Amico carissimo — Vi complimentiamo pel sommo elo da voi spiegato. Ho ricevuto con la vostra quella di Lecce, ma non quella di Montescaglioso che pur desidero. — Mi maraviglio del vostro allarme per il detto del Salese; noi abbiamo avuto contro noi sapete quanti elementi, ed abbiamo sempre proceduto intrepidi, ed ora siamo pronti al ricolto; ma avete fatto bene avvertirmene. Si son calcolati gli elementi di quel distretto nel loro giusto valore. Ogni cosa era apparecchiata pel suo sviluppo, ma una incidentalità fa ritardare di giorno l’insurrezione, perciò approfittiamo di questa occasione per dimandarvi altro passaporto con gli acclusi connotati.
Intendo la giusta riflessione che fate, perché i capi venissero separati, e l’apprezzo, e ne approfitteremo al più presto.
Tenete tutto prontissimo. Avrete di già il cassettino e la lettera speditavi dal messo da noi inviatovi. Aggiustate la corrispondenza con Padre Serafino.
Riguardo alle vostre osservazioni su parte d’una iniziativa di piano comunicatovi, io non so se potete coscienziosamente giudicare senza essere perito, e senza sapere il piano intiero, ma comunicherò non ostante le vostre osservazioni, anzi il vostro asserto agli uomini del mestiere. Ci dolgono le incidenze che han trattenuto Armellini. Addio.
___________________
Napoli 24 giugno 1857
Amico Carissimo — Ho ricevuto l'ultima vostra con altro passaporto, ed attendo l’ultimo richiestovi.
Le riflessioni da voi fatte sul piano rilevano l’ardenza vostra per la causa che vi distingue; ma vorrei per vero in voi più fede, la quale unicamente può condurre allo scopo. Non ci sono in Italia migliori intelligenze militari superiori a quelle che ci dirigono; però se cosa potesse parervi non omogeneo al vostro vedere, è perché il genere del lavoro non ci fa essere consapevoli dell’intero piano. Vi dissi che un intoppo si era dato; questo è momentaneo, noi siamo per superarlo, e tutto è concretato pel diffinitivo. Ciò che vi raccomando è il segreto sommo con tutti, e l'apparecchio di tutto ciò che vi scrissi.
L’operosità ed il zelo vostro ci consolano e ricevetene i complimenti dell’intero Comitato. Le altre province non si mostrano inferiori; lode agli uomini d’azione che infondono speranze e con la fede la vittoria. Tenetevi fermo sempre alle nostre ultime istruzioni. I tempi sono favorevoli a noi — Addio.
30 maggio 1857
Amico Carissimo — Un giro di combinazioni, vi ha fatto arrivare una interessantissima nostra per altra via, e siete per essa a parte del più grave segreto. L’epoca del fatto annunziatovi è tra l'11, ed il 12 di giugno. Non vi rammento il dovere e la necessità di un segreto di tomba, perché il fatto stesso vel dice, e la moralità e patriottismo vostro me ne sono di garentia. Apparecchiate ogni cosa p'er la buona riuscita e cercate nel momento solenne dar opera a tutto ciò che possa impedire la partenza di barche che potessero servire d'avviso. Sono da due giorni in ardente attenzione di vostre lettere, e spero da esse sapere gli ostacoli che pensate potranno incontrarsi, le vostre riflessioni nel modo di superarli, e tutti gli schiarimenti possibili del luogo e delle condizioni, e avvertenza a tenersi, che può parervi utile.
___________________
18 maggio 1857
Mio caro — Io ti risposi incontanente alla tua prima lettera indirizzandola a Giovanni Bisco, perché l’appuntamento preso con Nicolino fu d’indirizzare le lettere alla rispettiva firma apposta appiè di esse; ond'è che avendo firmato Giovanni Bisco la indirizzai a questo nome. Andasse dunque alla posta e ne chiedesse conto. Intanto nell’ultima lettera del sei che inviò Bisco, sta firmato Birco; di tal che a scanso di vani equivoci tu cercherai sì dell’uno che dell’altro cognome, e fa di cambiare di quando in quando per non destar sospetti. Tu poi indirizza te tue lettere al Signor Ignazio Crispini in Lecce sino a che non muterò direzione.
Ti dissi che avessi fatta l’associazione del Corriere Mercantile, ovvero dell’opinione e indirizzare il plico a... E non sarà male che tutto ciò che riguarda stampe venisse indirizzato sempre a lui, essendo mio amico da potermene fidare. Tutto ciò poi che riguarda notizie interne, e mi capisci, tu le affiderai alla lettera diretta, come ho detto di sopra, al Signor Ignazio Crispini Lecce, e scritta col metodo chimico. Qui le cose progrediscono bene: io mi dichiaro soddisfatto della condotta di Cipolla e di Pontari. Ho però fatto in modo che un’altra classe di liberali onesti e volenterosi di fare entrassero a parte del partito Nazionale, e così può aversi vigore e pronta esecuzione. Ho fatto intendere a tutti il concetto del partito che è nostro, e come v’è necessità combattere a tutta oltranza il Murattismo, e tutti hanno accettato i nostri principi. La provincia di Lecce abbila organizzata a modo nostro, e tu sai quanto sono di difficile contentatura; oggi però coscienziosamente ti assicuro che la provincia è nostra. In Bari non ancora si è potuto sistemare e perfezionare lo stesso organamento di cose, ma da quattro giorni in questa parte si sono spediti colà quattro nostri inviati, e fra questi Floriano, il quale fu da me dopo avere percorso la provincia di Salerno e Basilicata; ti assicuro che di questo ne sono più di ogni altro contentissimo, ammirando il modo del suo coraggio, lealtà e vero patriottismo. Spero che nel vegnente Giugno posso darti organizzata e pronta a sacrifizio Bari, Basilicata, e Lecce. Tu intanto fa che io sappia notizie di Salerno, e delle tre Calabrie. Dimmi se riceveste lettera da Pisano, e da Luigi Praino da Procida; e se ti mettesti in relazione con Agresti. Fa di mandarmi stampe e proclami del Partito Nazionale, perocché qui si ha bisogno assolutamente di questo alimento. Il denaro dell(7) associazione lo riceverai per mezzo di Nicolino, il quale sa da chi debbesi rilevare. Da ultimo attendi un nostro inviato che dovrà significarti a bocca ciò che non posso affidare alla penna. Avvisa il Cavaliere Nicola Capuano tuo amico e mio che con questo ordinario stesso scriverò a Giovanni Trombetta. Sia quindi tutta sua la cura rilevare dalla posta la lettera e subito, anche perché costà vi è un militare nostro paesano dello stesso nome e cognome. Addio mio caro, abbiti tutti i miei più cordiali abbracci, e di tutti i miei consorti.
Avvisa il Cavaliere Capuano, affinché allora quando gli si presenta la occasione di un corriere di fiducia rimettesse tutto in una scatola diretta a Bari al Canonico d’Antonio Ruscigni, il quale è stato pure prevenuto sull'occorrente, dunque replico in Bari al Canonico D. Donato Rasugni Bari. Addio di nuovo (262).
___________________
Napoli 20 maggio 1857
Onorevole Cittadino — Non posso dirvi quanto alcune poche cautele alla precisione della corrispondenza abbiano prodotto incalcolabile danno; basta dirvi che fino ad ora non ho ricevuta alcuna vostra lettera, e solo ho potuto interpretare da un’ultima diretta all'amico comune, che voi calcolate essere per la fine del mese ogni cosa pronta.
Son felice della occasione che mi si presenta per dirvi dell'eccitamento a nostro favore in Inghilterra. Noi crediamo che il non cogliere questo momento è delitto, che non può esonerarci dalla pena di lunga schiavitù: qui tutti lo intendono, e ciascuna frazione guarda speranzosa nell’altra, ma niuno osa. Se il genio della rivoluzione ci mostrerà i 1 momento, noi lo afferreremo pel ciuffo: state dunque con le lampade accese che il gran momento può venire a giorni ed anche ad ore.
Il tempo di stabilire intelligenze minute potremmo forse non averlo; in tal caso l’avviso comune sarà l’iniziativa d’una provincia. Chi a questo appello non insorge, tradisce.
Le norme generali per Bari e Lecce sono insorgere, e muovere gl’insorti il più sollecitamente nella Basilicata.
Noi se il momento verrà, fedeli alle nostre promesse invieremo capi militari intelligentissimi e di tutta fede patriottica.
Mio dilettissimo, dopo ciò non mi resta a raccomandarvi che il secreto sommo, e la somma cautela, ma ad un tempo la massima energia preparativa, e fiducia nei tempi, nei bisogni del paese, nell'irritamento massimo della truppa, nell’esterno, e quel che è più in apparecchi gravissimi nel resto d’Italia, e nella Democrazia d’ogni Nazione. Dio sarà con noi, la Nazione per la Nazione. Mandate subito subito
persona fiduciosissima così per potervela noi spedire se circostanze gravi avverranno. Se potete pure mandare persona intelligente e con mezzi sarebbe buono, buonissimo.
La risposta a questa la dirigerete ad Angelo Lanone Napoli, ed a seconda della firma che voi farete a questa risposta noi vi dirigeremo la lettera senz’altro avviso. Addio.
___________________
Napoli 3 giugno 1857
Amico Carissimo — Con ardenza febbrile ho atteso invano tue lettere; ma una continua delusione è durata fino al 28 dello scorso mese, in cui ricevetti una gradita ed attesa tua del 18. —
L’amico comune è stato attivissimo e premuroso nel dimandarne sempre alla posta, ma invano; ora arriva la cennata lettera per mezzo di Verratti, ed aperta!!! per carità non dar più commissione ad alcuno; dirigi sempre le tue lettere a chi si firma. Tu dacci nuova direzione.
Appena l'altro amico sarà pronto ti manderò la scatola che ho apparecchiata cinque o sei volte infruttuosamente.
Farò pei giornali ciò che mi dici. Dici «(qui le cose progrediscono bene)» hon mi aspettava meno dalla tua solerzia, e dal molto saper fare, e sapere intendere, ed ora son convinto che tutto sarà a buon porto. È d’uopo però dirti (e tu il sai) che gli apparecchi valgono assai, ma vi sono alcuni momenti unici supremi che il genio della rivoluzione li riconosce superiori ad ogni orditura perché da per essi possono creare la rivoluzione. Uno ne fu la pace dopo la guerra di Oriente ecc. ec. Da noi si attende il segnale. Per Dio noi non ci succhieremo l’inquisizione!!! Lo spero!!! Non v’e tempo da perdere. Apparecchia con urgenza pel diffinitivo; mandami notizie d’ogni cosa; manda uno o più corrieri qui subito subito per tenerli a mia disposizione; manda qualcuno intelligente con la stessa sollecitudine e manda pure mezzi se puoi. Se un caso si verifica (e vi sono apparecchi perché avvenga) si comincerà, e subito; in tal caso fa ogni sforzo perché nelle province di tua relazione s’insorga immediatamente, e delle forze cerca farne massa e marciare sollecito verso l’insurrezione: colà sarà il nucleo militare dirigente. Avrei voluto dirti prima queste cose, ma io non potevo darti finora che barlume; ripeto vi sono dei momenti e dei fatti, che il genio della rivoluzione deve conoscerli e coglierli, e questi a chi prepara da anni si presentano come baleno. Le fatalità della nostra corrispondenza sono state pure altra cagione fatale; ma per altra via ti ho già da un pezzo detto abbastanza per farti intendere ch'era preoccupato della possibilità che un momento ed un fatto potesse venire sollecito e che bisognava aspettarlo con le lampade accese, e preparare in senso d’urgenza.
Sappi che con quella certezza che è nel limite di queste cose posso assicurarti che il resto d’Italia insorgerà immediatamente, e che l’Ungheria risponderà sollecita al moto. Tuttociò ti dico per dovere, e perché apparecchi coi migliori (se possibile), volendo l’occorrevole; ma prendo in pegno la tua parola pel secreto di tomba a dover serbare su quanto t’accenno, una parola potrebbe rovinare le speranze di tutti e da tant'anni pasciute. Tu abbi fede, che è pietra angolare della riuscita.
Per la persona che invierai ti manderò (scritte con questo istesso chimico) talune istruzioni che andranno come programma generale.
Mi tratterrò per ora a raccomandarti la formazione di molte bandiere, l’approntamento di munizioni e d'armi; l’apparecchio di segnali che potessero (fra convenuti buonissimi) stabilire intelligenze per allarmi a suscitarsi nello stesso tempo in più punti.
Il tener pronti corrieri per inviarli in ciascuna provincia, e per la stessa provincia in diversi luoghi ecc. Ma sò che sei coi tuoi amici peritissimo; mi limito solo a dirti che abbiamo dati ordini, perché se l’insurrezione accadrà tu ne sii informato immediatamente da corrieri.
Ho ricevute lettere soddisfacenti da Pisani, ora ne attendo altra, la quale spero che mi annunzierà poter scrivere agli altri, perché egli mi disse che doveva prima dimandarglielo: Con Agresti mi son messo in relazione. Vorrei mandarti un mondo di stampe. Mi dici dichiararti soddisfatto de' due individui; io non so quale fatalità interruppe e guastò le nostre relazioni con questi; ma non ho lasciato d’amarli e stimarli sempre.
Scrivimi subito subito — Io sono sulle brace ad attendere la risposta — Addio.
___________________
6 giugno 1857.
Mi compiaccio saperti soddisfatto dello stato politico della capitale paratissima a tutto. Qui la idea nazionale è una grande verità anzi coscienza per tutti. Con coraggioso desiderio sono accettati i principii e le conseguenze dei partiti. Nessuna industria si è tralasciata da parte nostra. Il reclutamento progredisce benissimo. La parte eletta del paese è entrata nelle fila. Mille influenti ban messa la loro opera, ed al momento dell’azione diecimila e forse più saranno in campo. Le linee di corrispondenza interna e colle vicine provincie sonosi stabilite. Varii emissarii percorrono, fra quali Floriano, le provincie. Insomma qui si predica, si fa, si conclude. Bisogna che il Comitato di Napoli non manchi a se stesso ed alle comuni aspettative. Tutti dimandano quando ci saremo? quando avverrà? è questa l’incognita della equazione, la quale non debbe restare a lungo nel buio e nell’incertezza. Molto tempo è corso per noi desolatissimo per la privazione delle notizie che ci riguardano. Un nostro sarà costà fra non guari. Scrivete con metodo ai seguenti — Errico Bassi, Achille Brunetti, Vincenzo Altieri, Pasquale Mantovano. Vada Nicolino dal negoziante mio amico e rilievi il denaro per l’associazione. Indi fatto un plico delle stampe rimettilo in Brindisi ài noto indirizzo. Non porre indugio. Dimmi se ti avesti risposta da Pisani, da Braico, e da Genova. Pensate ai capi — è il sospiro di tutti — necessità assoluta — Non si tardi — Il tempo nuoce — discredita — ho detto tutto — Addio — Libetta.
___________________
12 giugno 1857
Onorevole cittadino e fratello — Mi ebbi la tua dei 3, e con qual febbre fu letta puoi figurartelo. Intanto mi trovo aver inviata un’altra mia per mezzo del Commissario di Basilicata a te diretta, e resto sicurissimo che a quest’ora ti sia ricapitata, ond’è che mi risparmio ripetere con questa quanto in quella ti significavo. E quasi per una combinazione fortunata quella lettera può ritenersi come responsiva all’ultima tua de' 3 e questa anche in parte risponde a ciò che si addimandava dalla mia. Aggiungo solamente che tu fossi convinto dello stato politico di quelle province chiamate a prendere l’iniziativa, ancorché si dessero passi sicuri e misurati, e ricordati che le province iniziatrici non dovranno essere mai né le Puglie, né la Capitale, sì bene le tre Calabrie, Basilicata, e Salerno.
Sii certo che noi non ce ne staremo con le mani alla cintola appena sarà dato il segnale. Qui stiamo travagliando a tutt’uomo, perché l’organizzazione delle province di mia relazione sia menata a fine al più presto possibile. Riesce agevole spiccare emissarii per le province, ma difficile inviarne qualcuno costà; nulladimeno si tenterà qualunque mezzo risicato perché qualcuno venghi da te; però da Bari ci si scrive che un individuo di colà si approntava per Napoli, ed il nostro bravo Floriano potrai vedertelo a fianco quando meno tel credi, dacché è un diavolo operosissimo.
Fa che io sappia se la lettera inviatati per l’emissario basilisco ti pervenne, altrimenti ti riscriverò rimettendoti un duplicato. Fa di scrivere in ogni ordinario di posta, perché una tua lettera che fosse ricca di notizie, infonde sempre nuova vita al partito.
Ricordati di spedire i giornali.
Nel vegnente luglio aspettati senza meno
ricapito, ma io spero potertelo rimettere su lo scorcio di giugno. Indirizza alla posta la risposta ad Errico Bossi in Lecce. Addio.
D. S. Con lo stesso emissario di Basilicata ti rimisi in una carta separata dalla lettera i nomi dell’intiero Comitato, dessa è scritta col presente metodo (264).
___________________
Napoli 20 giugno 1857
Onorevole cittadino — Ricevetti le due gradite ed attese tue, Puna per la via di Basilicata, e l’altra per la posta.
Intendo l’allarme che dovettero produrre le ultime mie; ed infatti esse erano nunzie del cominciamento dell'azione, sospesa ora per pochissimo a causa d’inattesa incidentalità. È utile intanto giovarci della poca dilazione; e se in questo tempo potresti inviare l’amico Salvatore che è nella eletta noticina, e che io ti dissi a voce avere in molta stima, faresti cosa utilissima.
Pel momento supremo sai che non vi è danaro che basta. Noi per la incidentalità datasi ne abbiamo speso moltissimo; perciò se ne hai raccolto, sarebbe utile che ne mettessi per quell’epoca la maggior parte che puoi a nostra disposizione in mano di persona di vostra piena fiducia. Sai tu quanto può il danaro nella Capitale, e quanto può questa agevolare e decidere l’impresa delle province.
Le tue sagge riflessioni sui luoghi atti all’iniziativa erano già intese dai militari direttori e sono state prezzate.
Saluto caramente Floriano e mi congratulo con lui. Avvertite che non venga; egli qui è cercato ancora e si comprometterebbe certamente.
Ti spedirò subito i giornali che ho incombenzati, ma ora ne sono privo, perché gli ultimi imbarazzi li han fatto trascurare.
Ti raccomando assai i lavori di Basilicata; di colà è venuto un tale infelice, certo Petruccelli, e si è presentato ai trattenitori spiegando protezione, e assicurando che in cotesta provincia non si muoverà foglia senza il suo assenso, ed esso non farà niente senza che quei signori glie lo dettino. Scrivi al tuo amico colà (che saluto caramente), ed avvertilo perché prevenisse inconveniente che potesse accadere, quantunque io non temo, perché è troppo nullo quel Petruccelli. Ne ho avvisato anche ad altri amici nostri in Basilicata.
Il carissimo ed operosissimo amico e fratello Matera non mi ha più scritto, informati della cagione e fa che mi scriva.
Io stimo molto quel patriota.
In Francia vi è grande agitazione.
In tutta l’Italia vi sono preparativi per seguire il nostro impulso. L’Ungheria è prontissima.
Vienna è in istato assai speranzoso. La truppa nostra è perseguitatissima ecc. ec.
La polizia ogni giorno crede dovere accadere una rivoluzione ecc. Addio.
___________________
26 giugno 1857.
Onorevole cittadino — Ho ricevuta la carissima tua dei 20 andante, ma sottoposto allo sperimento chimico, i caratteri, sono rimasti annebbiati, in modo che tranne Petruccelli ed altre poche parole, il resto è rimasto inintelligibile; e ciò o per difetto della carta diversa che avete usata, oppure dell’ingrediente allungato, o alterato forse, dacché il nostro a rilevarla è quello stesso delle altre. A rigor di posta dunque aspettiamo ripetuto tutto quanto ci avete scritto. Te lo prego con tutta l’anima per essere rimasti di stucco. Fate indirizzare la lettera in tèsta a Saverio de Meo in Lecce, nome che troverai pure nella firma della lettera. Assolutamente rispondete a rigor di posta, dacché noi stiamo sulle spine — Addio mio caro, addio — Libetta.
___________________
Napoli 14 maggio 1857
Onorevole cittadino e fratello — La sospensione delle nostre relazioni ha arrecato immenso danno, ed io ho tentato immensi mezzi per riprenderle, ma per disgrazia tutti sono riesciti inutili, e non è che ora che ho avuta la consolazione di sapere che voi inviate da tanto in tanto persona vostra e che potremo riprendere la nostra corrispondenza.
I tempi sono favorevoli, ed i preparativi volgono al fine, ed è indispensabile che persona vostra intelligente e che sia venuta altra volta fosse da voi qui spedita per concretare cose urgentissime, indispensabili e deffinitive.
Io attendo questa persona al più presto e con impazienza.
Sovra ogni altro vi raccomando assai caldamente il segreto d’ogni menoma cosa che potesse anche sembrarvi indifferente, e vorrei che il pregio maggiore della persona che invierete fosse quello d'essere secretissima, ciò è essenziale.
La persona potrà dirigersi alla cognita casa ed alla cognita ora, e prevenitela che fosse accorta a guardare con disinvoltura, se è seguita da alcuno, per evitare inconvenienti.
Dateci pel mezzo che ricevete questa mia notizie vostre e de' vostri amici, de' preparativi da voi fatti, e dello spirito pubblico. Dateci una vostra relazione in Salerno, utile per qualunque incidente potesse darsi — Addio.
Aggiungo alla prima quest’altra lettera per esortarvi, che siccome il tempo urge, e c’incalza, voi immediatamente ricevuta questa lettera spediteci allora per allora una persona senza ritardare di un momento, la persona che vi ho pregato di mandare senza ritardare di un momento, dovendo trattare di cose urgentissime e definitive, non badate a spesa perché (se non potete) scusate la frase, noi la rimborseremo. Addio di fretta, i tempi urgono e c’incalzano; gli affari d’Inghilterra vanno propizii per noi.
___________________
Napoli 7 Giugno 1857
Mio carissimo — Vi rinnovo in breve (per non incorrere in equivoci).
Ricordatevi della persona che dovete far trovare in Sapri nel momento del disbarco, la quale persona dovrà presentarsi ai capi che disbarcheranno (col da voi già conosciuto motto di riconoscenza) L’Italia per gl’italiani, e gl’italiani per essa; e il motto che vi fu consegnato anche in iscritto e suggellato è quello che deve consegnarsi al capo de' disbarcati.
La persona che invierete deve essere esperta de' luoghi per poter servire di guida a coloro che disbarcheranno. Vi rinnovo d’aver cura d’inculcare a coloro che aspetteranno sul luogo indicato, il segreto di tomba.
Nel sito del disbarco dovranno essere pronti anche altri individui, i quali dovranno servire (ricevuto che avranno gli ordini dai capi) uno per andar subito ad avvisare in Basilicata, altro in Salerno, cui avviserete da ora, che spediranno immediatamente persona per avvisare noi, con lettera che direttamente ci manderanno i capi. Ciò è la cosa essenziale che desideriamo, acciò tutti sappiano immediatamente il disbarco, e se questi corrieri potessero essere più d’uno per ogni punto indicato sarebbe meglio. Altro verrà direttamente da voi, e voi avrete la cura di spedire altri corrieri negli altri punti del vostro distretto per far sì che appena riceveranno l’avviso da voi insorgeranno immediatamente.
Ricordatevi che la prima operazione che dovete fare nell’insorgere è quella di togliere i telegrafi e rompere tutte le (ila governative, pugnalare tutti quelli della polizia, e rompere ogni comunicazione con Napoli. Se è possibile di stabilire da paese a paese segno che nel momento dell'insurrezione potesse dar l’allarme in una stessa ora a tutti sarebbe cosa ottima: questi segui potrebbero essere p. e. delle folgori in aria, fuoco bengala ecc. ec. e ciò apparecchiatelo e concretate con le altre influenze che credete fidatissime.
Fate delle bandiere tricolori e sul bianco la parola Italia, o Nazionalità Italiana.
Segreto di tomba, è l’essenziale che a tutti dovete inculcare, e ripeto ancora perdonatemi, segreto.
All’alba del giorno 13 corrente mese di giugno arriverà la mercanzia che sapete. Dio li benedica, e benedica pur noi con essi.
In ciascun Comune, a suffragio universale, si stabilirà un consiglio comunale, ed il Consiglio nominerà il Sindaco che diverrebbe capo politico ed amministrativo.
Approntate ogni cosa con riserba, informatemi di tutto ciò che operate; ditemi la missione che aveste da noi presso il zio, ed il suo amico 'quale risultato ebbe, ed insomma ogni cosa che ci tolga dall’oscurità — Addio.
___________________
Prigioni di Salerno 8 giugno 1857 Lunedì.
Ragguardevole Cittadino e Fratello — Ieri mi ebbi la vostra lettera, e stamane l’ho subito,spedita a mio Nipote — Egli eseguirà quanto gli ordinaste in risguardo allo sbarco con esattezza, calore ed energia — mi riprometto di ciò perché gli scorre nelle vene il mio sangue. Statene senza minima dubbiezza. Imprigionato come sono non stò mica inerte. Ho spedito stamattina un emissario in Pisciotta perché si rispondesse da tutto il Vallo di Policastro alla rivoluzione di Basilicata. In Concerto col prete Padula abbiamo praticato altrettanto per Vallo di Diana. Salerno non vuol muoversi se non vede prima rivoluzionato il Regno intero e disfatto interamente il tiranno — Sono stati vani tutti i miei tentativi — insomma non vuol saperne niente. Il suo distretto però sente bene, ed è per ciò che sarebbe buono che subito spediate un emissario in San Severino, affinché si levassero in armi, e venissero a soccorrere noi, perché siamo in prigione seicento uomini e tutti risoluti. Il resto Io facciamo noi. Non trasandate questo tentativo — Se quando avete ottenuto l’aderimento di questi Casali potete disporre per qui uno sbarco di gente che desse loro un impulso, ciò sarebbe cosa utilissima, e mi piacerebbe sol per dare uno scacco ai salernitani — cioè i Dottrinarii, perché il popolo è buono. Come avete detto il giorno tredici vi spedirà un messo mio nipote per significarvi il risultato dello sbarco. Sono in ismania tormentosa per non potermi trovare in azione. Pazienza. Addio — Io e mio fratello vi preghiamo accettare i nostri abbracci rispettosissimi — Michele.
Ricevei la carafina di liquido dall’amico, diretto a Totonno — Non trovaste nessun segno nella mia lettera, perché non avea qui mistura.
___________________
Napoli 14 giugno 1857.
Onorevole Cittadino — In questo momento ci arriva una lettera dall’estero la quale ci annunzia che una imprevista combinazione non ha potuto far spedire, nel giorno indicato, la merce che voi sapete, e ci soggiungono di attendere altro loro avviso che su tal riguardo fra non guari ci daranno. Mi sono perciò affrettato a parteciparvelo, onde ne siate anche voi a conoscenza per le misure a prendere su gl’individui che a quest'ora saranno già ad attendere lo scaricamento della suddetta merce.
Ho profittato di un’occasione per farvi giungere questo avviso. Addio.
___________________
Prigioni di Salerno 22 giugno 1857
Onorevole Cittadino e fratello — É inesplicabile il trambusto e l’agitazione in cui sono per il non avvenuto disbarco. Mi naufrago in un mare di fantasticazioni senza indagarne la causa che lo abbia sviato. Ieri a notte mandai un corriere a mio Nipote per esserne informato, ma impaziente di aspettare il suo ritorno, vi spedisco il latore, che è proprio quello che andò a Sapri per aspettare lo sbarco, e che inutilmente vi attese. Toglietemi da questa perplessità, ditemi, ve ne prego, perché non avvenne, quale incidente il contrastò, e per quando lo avete riappuntato. Il disappunto in queste cose mi fa palpitare d’incertezza. Son più giorni scrissi una mia a Totonno (Rizzo) affogliandogli una lettera per voi — ditemi se vi giunse.
Rincoratemi di non lontane speranze, e ricevetevi gli abbracci rispettosissimi che vi fo con mio fratello — Addio — Michele.
___________________
Napoli 22 giugno 1857
Onorevole Cittadino — Ricevo la pregiata vostra speditami per mezzo della carissima persona che aspettava gli amici sul luogo da voi saputo. All’annunzio che in essa mi date di non aver ricevuto alcun mio avviso resto pure io sorpreso, perché pare che voi non abbiate ricevuto il mio biglietto speditovi la sera del giorno 14 per un messo che si recò in Salerno. Questo biglietto conteneva l’avviso che lo sbarco non potè avvenire nell’indicato giorno per una imprevista circostanza che in altra mia vi dirò; e vi avvertiva di far avvisare vostro nipote, perché lo avesse fatto sapere a quelli che erano sul luogo e che foste stato in prevenzione di altro nostro accordo. Ora vel ripeto soggiungendovi che la circostanza avvenuta di non eseguirsi il disbarco non ha fatto cangiare l’idea del progetto; e però attendismo altri accordi o sul medesimo progetto, o su d’altri che sono pure da tempo in mira, e che vi parteciperò appena saranno presi i concertati diffinitivi che non potranno ritardare che di giorni.
Debbo avvertirvi che una persona, Salese, andata in Basilicata, pochi giorni or sono, disse colà a de' nostri amici che nel Cilento il giorno 13 doveva avvenire uno sbarco; altro non disse, per quanto ci riferisce l’amico nostro. Addio.
___________________
Prigioni 26 giugno 1857
Onorevole Cittadino e fratello — Ricevei esattissimamente il vostro riscontro. Fui riconfortato delle vostre assicurazioni che il riappunto per lo sbarco è imminente. Non potete credervi. in quale sconforto m'era caduto per non averlo veduto effettuato e l’essere ignaro del perché; dappoiché il biglietto diceste avermi mandato, onde ne avessi avvertito anche mio nipote, non mi giunse, né so prenderne conto, non conoscendo a chi lo affidaste.
Adopratevi a tutt’uomo perché fossero presi i politici nel Bagno di Procida, perché ciò importa la rivoluzione completa di tutte queste province, e con quell’entusiasmo che non puossi da altri inspirare. Mio nipote eseguì con zelo, precisione ed effervescenza tutto quanto concerneva il disbarco; ed abbiate certa fidanza che egualmente il ripeterà. Non siavi discaro dirmi approssimativamente quanto altro tempo occorrerà: e propriamente quanti altri giorni per lo avveni, mento. Perdonate all’ansia irrequieta che mi ange, questa dimanda. Fate tenere il riscontro della presente a Totonno prestamente onde la consegni allo stesso porgitore mio concittadino. Vi chiesi con l’ultima mia se eravi pervenuta una mia lettera che spedii soccartata a Totonno per la ferrovia; ma non ci rispondeste. Levatemi da questa dubbiezza. Non so come sia avvenuto che la persona di Sala abbia detto agli amici di Basilicata dover succedere il 13 Giugno uno sbarco nel Cilento. So che insieme col prete Padula che si… (265) abbiamo disposto a secondare la rivoluzione di Basilicata il Vallo di Diano ov’è inclusa Sala — Addio — Conservatemi il vostro affetto — Michele.
___________________
Napoli 27 maggio 1857.
Amico carissimo — Ho ricevuto or ora la pregiata vostra del 21 corrente, e vi rispondo in massima fretta. Credo che questa mattina sia partita la lettera per le isole, essendomi stato impossibile farla partire prima; le barche non possono mandarsi apposta colà, perché vi vogliono quei dati uomini e quelle date circostanze, acciò la lettera giunga senza disastri. In Cilento abbiamo avvertito il delegato del nostro corrispondente che penserà farvi trovare in Sapri al punto di disbarco un tal Matteo Giordano sarto con altri che saranno ai vostri ordini, questi si presenteranno a voi col motto seguente Italia per gli Italiani, e gli Italiani per essa che poi vi consegnerà m iscritto e suggellato con la giunta ec.; lo stesso penserà di fare avvisare l’incaricato del nostro corrispondente che farà il poco che potrà per coadiuvarvi; (mentre ci avvisa che tutti i capipartito sono in arresto) e manderà in Basilicata ad avvisare i nostri amici colà ed a noi in Napoli.
Se mi aveste dato da principio tre mesi di tempo avrei stabilito il decuplo di ciò che ho, ma da otto in otto giorni, da quindici a quindici non ho potuto fare quello che occorreva in due mesi. Non dimenticate di darci un piano generale, diteci se si deve il più contemporaneamente possibile agire in provincia e Napoli, se dobbiamo avvertire gli amici nostri in provincia il giorno del disbarco, o dopo la notizia di esso che ci assicura della certa riescita; se Pateras deve restare in Napoli dove abbiamo un abbozzo di un piano che vi scriverò col prossimo ordinario o se deve recarsi in Basilicata e coadiuvarvi. Veggo che il danaro in nostro possesso è troppo poco e che cosa di urgenza dovrà trascurarsi per la sua mancanza.
Ah! se in ventura potessi darvi notizia di concretamento su d'isola!!1 Lo spero.
Mi fate dei rimproveri! non mi scuso per essi; gli uomini non possono non errare; maio vi aveva dimandato una direzione o guida del lavoro, ed altre condizioni; e voi invece senza soddisfare ad alcuna mi dite doversi fare tal cosa nel nostro terreno da salvare o compromettere le sorti d’Italia, non. incaricate altri che me, che mi son dichiarato insoddisfacente, non mi date norma di sorta, non un consiglio, e non so per quale prova maggiore mi lasciate con l’ultima vostra nel dubbio di se venivate o no; condizione che senza rendermi colpevole avrebbe potuto rovinare il paese!!! Se io non vi amassi e stimassi assai, avrei invece bene a dolermi d’aver voi trattato l’unico sostenitore de' nostri principii ed organizzatore (sprovvisto d’ogni mezzo ed avente contro tutti gli elementi), come si può trattare un uomo ch'è passivo alle sorti d’Italia, e che non merita sapere nemmeno quello ch'è indispensabile ad adempiere la sua parte, ed a fare adempiere quella degli amici suoi diffusi in diversi punti, e che hanno piena fiducia in esso. Questa è condizione che chi ha in animo un vulcano, sente il proprio dovere e si trova nella mia posizione nel Sud, la può comprendere. Stolto! pensava che avreste più apprezzatala mia pazienza! ma m’avveggo rassegnato che io non poteva pretendere più che tanto; del resto mi riferisco alla mia precedente e più particolarmente vi scriverò ih ventura.
Importa — Qui si dice che sovra un giornale piemontese si denunzia un tale che è andato per missione murattista in Calabria. Ciò sarebbe orribile; ne risulterebbe un arresto; si discrediterebbe la morale del partito che l’ha scritto, e metterebbe questo partito nell’arbitrio della moralità dei murattisti. Addio, Addio.
___________________
Napoli 28 maggio 1857
Amico carissimo — La molta fretta, e la folla di cose a sbrigare fecero dimenticare di accludere la lettera diretta da Mazzini e Carlo. Ciò mi è stato dispiacevolissimo, perché io sperava da voi tanti aiuti che non ho potuto perciò avere.
In generale le due lettere indicate, e specialmente quella di Carlo annunziava che il giorno 25 Cosenz partiva; il 27 mattina egli sarebbe stato nell'Isola, e che la sera sarebbero stati in Cilento, ed a me imponevano di non dar proroga, per essere impossibile. Io risposi che gli accordi non erano finalizzati né nell’isola né nel Cilento, e che tutto ciò che occorreva cioè istruzione, proclami, e programma tanto di principi quanto d’azione, piano generale per assegnare a ciascun ramo la sua parte, e particolare per Napoli ec., mancava per non averlo essi inviato. Io v’assicuro che credevo d’uscir matto; non certo per la mia posizione falsissima, alla quale non mi corse nemmeno il pensiero, ma perché vedeva che essendosi fatto quasi tutto per raggiungere lo scopo, ora potevasi per poca ponderazione finale precipitarsi per modo da perdere anche le speranze future. Dopo le lettere in discorso, ne vennero altre due, le quali parlavano sì svagatamele, da farmi nascere dubbio se il disbarco avveniva o no nell’epoca prefissa; in conseguenza se io faceva delle confidenze indispensabili nel momento finale, rovinava il segreto, ed in caso di proroga era ruina grave: se non le faceva, nessuna coadiuvazione gli avrei preparato. S’aggravava sempre più il mio animo, che avendo fede illimitata in quegli uomini in cui riponeva ogni speranza trovava invece l’agire inconsiderato. Se io non avessi per principio che in queste faccende il proprio individuo è inferiore ad ogni cosa, e non amassi profondamente quegli uomini vi assicuro che avrei riguardato questo trattamento anco e sotto l’aspetto dell’affare personale. Ora arriva lettera di Carlo che dice Parto al dieci giugno». La lettera è di poche righe,mi rimane sempre sprovvisto di tutto l’occorrente: in ultimo la stessa lettera dice, «ritirate le armi» al che rispondo che per far ciò vi è bisogno di un mese e più di tempo, e questo tempo dev’essere intiero e non dato a spezzone da otto in otto giorni; perché nel secondo caso io non posso imprendere l’opera; vi dico ciò per vostra regola, perché essendovi fissata l’epoca per l’affare principale mi pare impossibile questo secondario.
Ho rattoppato alla meglio gli accordi in Cilento, ma non ho ancora avuto risposta dall'isola.
Scrivete tutto quello che credete possa giovarmi. Addio.
___________________
Napoli 29 maggio 1857
Amico carissimo — Il Commesso Sigari ha avuto una visita a bordo di Polizia, ed ha bruciato quanto aveva, gli è restata solo la spazzola col contenuto, ma non l’abbiamo ancora ricevuta, sono inquietatissimo di questa faccenda.
Agresti ha risposto alla mia lettera di principi, che gli pervenne prima, ed alla vostra che accompagnai con altra mia. Vi trascrivo il brano più interessante della prima, e per intera (vi mando originalmente) la seconda (266).
Ho avuto finalmente il mezzo di scrivere a Matina, che è sempre in arresto: mi promette di darmi tutte le istruzioni necessarie a riprendere l’affare Ponza, che come vi ho detto altre volte fu da lui proposto: se avrò a tempo queste istruzioni ve le rimetterò.
L’amico del piano (Pateras) mi rimette una letterina che vi accludo; io veggo per Napoli meno di ciò ch’egli vede, ma spero forse più di lui dai bisogni del paese, e dal momento che mi parve sì grave che se non si coglie, dispero per molti anni.
Non debbo negarvi però che son convinto che se mi si fosse concesso da principio mese seguito di tempo, ed avesse potuto prestarmisi aiuto maggiore da poter intraprendere varie cose che avevano d’uopo di tal tempo; come per esempio quella delle armi e di fatto determinante ecc. ora avrei potuto dirvi assai di più di quello che vi scrive l’amico, e ci avreste potuto contare come cosa più concretata che progettata.
Qui vi sono moltissimi arresti di truppe, ma le carte bruciatevi si sono trovate sparse nel giorno 26 che ricordavano essersi data nel 26 maggio 1849, l’amnistia, ed ora essere nuovamente nei ceppi: dopo ciò son seguite visite di polizia nei caffè, e si. è rovistato addosso a ciascun individuo. Si rassicura da tutti la partenza dei principi spagnuoli e dei principi reali, e due vapori sono a ciò pronti. Gli amici di Basilicata si dicono pronti e premurano, poiché dicono danneggiare col tempo. In Cilento vi è fermento grande, ed in Napoli si esagerano scontri di band'armata con truppa colà avvenuti.
Dopo il penultimo termine da voi fissato, noi abbiamo scritto in provincia lettere che senza dubbio han prodotto un certo allarme, e quel vostro proclama non ha dovuto contribuire meno.
Non posso, né debbo celarvi che sono in un grave dubbio, ed è, se dopo la lettera di Agresti voi siete fermi per l’epoca e per il luogo, o se per intraprendere preparativi su d’altro luogo è spuntato l’epoca!!! nella mia posizione e precisa del momento, questo dubbio deve promuovere un brivido nervoso. Pel resto attenetevi alle ultime precedenti mie. Addio.
___________________
20 maggio 1857
Onorevole cittadino e fratello — Ho letto e ponderata la vostra del 4 corrente, e vi ringrazio della buona opinione che avete di me; apprezzo molto i vostri elogi, benché da me non meritati, e per non perder tempo in inutili proteste passo brevemente a farvi la mia professione di fede, con un breve cenno sulla mia passata e presente situazione.
Dal 1815 finora, uno è stato il mio pensiero, come la mia passione dominante; rendere la Patria libera dalla tirannide cittadina ed estera; unificare l’Italia sempre che l’opportunità si presentasse: non mi sono mai fatto dominare da idee esclusive: tutte le idee sono buone per me, purché conducano al fine con mezzi onorevoli. Eccovi in poche parole la mia professione di fede.
L’Unità Italiana non può nello stato attuale essere il primo passo da farsi; la prima occupazione nostra dovrà essere la libertà del nostro povero paese, per quindi passare all’Italia in generale.
Credo che nel nostro disgraziato paese vi sieno tre partiti più distinti, Republicani, Murattisti, Costituzionali. Volendosi dar principio ad un movimento quale sarà la bandiera? quale sarà il grido di unione? Secondo me, se si grida Repubblica saremo schiacciati dall’intera Europa, e non avremmo, almeno pel momento, alcuna simpatia; se si grida Murat, vi assicuro che preferisco restare e morire nei ferri ove mi trovo, piuttosto che cooperarmi per un principe forestiero, per un Murat, per un cugino del 2 dicembre. Il movimento potrebbe iniziarsi col solo grido del ristabilimento dello statuto del febbraio 1848: con ciò si potrebbero avere molti partigiani, i repubblicani ed i murattisti per future speranze, ed anche i borbonici moderati per paura, più le simpatie di quasi tutta Europa. Ma voi mi direte, dunque vogliamo restare col nostro Ferd.? ma chi non comprende che statuto del 48 e F. 2° non possono stare uniti neppure un giorno? La sola riunione della G. Nazionale l’obbliga all’abdicazione, ma mi direte ancora «in favore di chi?
Rispondo che ottenuto il più, il resto da farsi darà poca pena: se non si principia non si può progredire.
Una volta trionfato il principio costituzionale nel regno di Napoli, la Romagna, la Toscana, il Modenese non possono più come sono, i due estremi debbono assorbire il centro; ed allora l’Inghilterra, la Francia e l’Austria che faranno?
L’Inghilterra al certo che se il movimento non è in senso republicano, se non lo appoggia, certo non lo contraria: la Francia resterà dubia; ma l’Austria bisogna che si muova se non vuol perdere il Lombardo Veneto, e la sola massa dell’Austria produrrà la conflagrazione generale in Europa, e potrà verificarsi ciò che ogni buon patriota italiano desidera, ma che di botto non potrà giammai ottenersi.
Eccovi mio ottimo amico la mia opinione: ora debbo dirvi poche cose sul conto della mia persona. Da giovane ho servito nell’armata; ho poco studiato. sui libri, ma le mie lunghe peregrinazioni sì nell’armata che per motivi politici mi han fatto studiare gli uomini: non avendo il bene di conoscervi personalmente, vi credo giovane pieno d’entusiasmo, pieno di puro amor di patria, siate certo; io sono vecchio, ho anni, ne ho passati quasi 40 nelle disgrazie per amor patrio: quanti disinganni ho sofferto, quante illusioni ho veduto svanite! Con tutto ciò il mio cuore non è invecchiato come il corpo: alla sola parola Patria mi batte come in età giovanile.
Pel secreto che mi raccomandate siate tranquillo, ve ne dò per provato l’ultimo processo che mi condannò alla morte, i dibattimenti furono pubblici, tutte le mie risposte sono state un silenzio assoluto, un pubblico intero vi è stato testimone.
Per i mezzi di corrispondenza più attivi si potrebbero avere, ma bisogna che vi parli con tutta franchezza, la mia posizione finanziaria non è punto felice, 26 anni continuati di emigrazioni, carceri, ed ergastolo, mi han ridotto in grandi strettezze; ho un piccolo sussidio da mio fratello, il quale appena mi basta per i bisogni più urgenti della vita.
L’Isola di Ponza è distante da Ventotene 30 miglia senza alcun porto intermedio, per cui non v’è telegrafo; quest’ultima è distante da Ischia anche trenta miglia, di modo che le tre dette Isole formano un triangolo equilatere. Da Ventotene e S. Stefano vi è un canale di mare di un miglio. In Ponza vi sono pochissimi relegati politici, e più centinaia di relegati comuni, soldati di voluta cattiva condotta; in Ventotene vi sono circa una cinquantina di relegati politici; sono colà per accedervi una scorridoia della Dogana, ed una della marina armata a guerra di un pezzo. In S. Stefano siamo tra condannati a' ferri ed all’ergastolo trenta, e circa 800 condannati comuni per omicidio. In Ventotene vi è una mezza compagnia della così detta riserva, comandati da un ajutante, ed altrettanti uomini del Reggimento Marina comandati da un Sergente, tutti sono sotto gli ordini del Comandante dell’Ergastolo. Lo schizzo che mi chiedete non posso mandando, perché mancante di mezzi per farlo, e perché noi non vediamo che cielo e l’atrio del bagno; siamo come in una gabbia, solo da un piccolo spiraglio vediamo il mare in lontananza. Addio.
___________________
Gentilissimo Amico — Sento quanto mi dite per l’aggiornamento al 12 vegnente. Da noi vi replico non si puoi fare nulla per la ragione che già vi ho scritto: l’operazione credo bene che si dovrebbe eseguire di notte contemporaneamente sulle due isole in Ventotene, impadronirsi delle scorridoje, e delle batterie di 4 o 5 pezzi che guarda S. Stefano e il canale, nel tempo stesso un vapore dovrebbe piazzarsi nel canale, ed impedire partenza, o passaggio di barca; indi eseguire l’operazione su di S. Stefano, oppure contemporaneamente, sbarcando dalla parte opposta a Ventotene si giunge alle spalle delle sentinelle esterne, vi è un posto di guardia fuori l’Ergastolo per le sentinelle esterne, più la caserma pel resto del distaccamento, più vi è un altro posto di guardia interno, e propriamente sulla loggia che guarda l’interno, ed a tre sentinelle; nell’interno vi è la caserma de' custodi che sono al numero di 24, ma non sono armati, facendo il servizio di carcerieri, vi è anche un cannoniere, il quale è incaricato delle granate a mano che ve n° è una cassa presso il Comandante. Ecco tutti gli ostacoli che dovrebbero superarsi, calcolate bene tutto, e vedete se è possibile; per i condannati comuni, come vi ho scritto, non vi è nulla a fidarsi, sono quasi tutti nostri inimici, e se sortissero in libertà subito ritornerebbero all’antico mestiere di ladri di strada pubblica. Tutti noi tra politici e semipolitici cilentani potremo sommare a meno di 50, bisogna toglierne una decina di vecchi inutili ad ogni fazione, non resterebbero che una quarantina disponibili. Calcolate tutto ciò e decidete. Potete credere, mio ottimo amico, se amerei di vedermi libero, ma io amo la Patria prima di tutto, e non vorrei che per individui si trascurassero i veri interessi della infelice patria. Voi siete fuori, siete in corrispondenza, pesate tutto senza passione e decidete. Per me finché respiro sarò per l’Italia mia, ed a qualunque appello onorato della stessa non mancherò mai.
Vi ringrazio de' ducati 30 che avete passato a mia moglie. Noterò tutto ciò che spendo onde possa sempre rendervene conto.
___________________
29 maggio 1857
Ho ricevuto la vostra del 28 — Il pagamento è trasportato fra gli 11 ed il 12 entrante; spero far arrivare il protesto vostro al traente prima di quest’epoca, ma è bene che voi facciate ogni sforzo per apparecchiarvi almeno per un acconto pel possibile caso che il protesto non arrivasse in tempo al suo destino.
Ammiro la vostra calma e buon senso negli affari, fido nella vostra riserva; ed in ogni modo desidero che mi diate al più presto le istruzioni atte a prevenire gli ostacoli di ogni genere che potessero incontrarsi: nel caso che non potessi impedire d’intentarsi la causa credete non aver io alcuna colpa nel non avervi prevenuto prima, lo avrei voluto, e l'avrei molto desiderato.
___________________
1 giugno 1857
Amico carissimo — Sono in attenzione di vostre lettere, non ancora mi sono pervenute risposte alle due mie del 22 e 28 prossimo passato mese.
Debbo prevenirvi che in Ventotene è giunta copia d’una ministeriale per l’organo del Sotto Intendente di Pozzuoli a questo Sindaco, prevenendolo di usare ogni sorveglianza, perché persone del Cilento fan giungere proclami ed altre simili carte contro il governo; pare però che detta ministeriale non sia diretta esclusivamente per qui, ma che sia per tutta la sopra detta Sotto Intendenza.
Vi prevengo ciò per vostra norma.
I due fratelli mi hanno scritto, spero potervi avere un abboccamento e vi terrò informato del tutto.
Amatemi, per quanto vi stimo, e credetemi.
___________________
10 giugno 1857
Rispettabile amico — Ho ricevuto una vostra senza data, ma vedo bene che dev’essere molto attrassata; voi avrete dovuto in seguito ricevere altre mie. Fare il colpo di giorno lo credo impossibile, la notte offre minori difficoltà, ma come vi ho scritto vi è bisogno di molta forza. Credo che il momento sia più che opportuno per un movimento: se siete preparati potrete dar fuoco, ma badate che se il colpo manca si retrocede di altri venti anni, ed il tiranno si consolida, io sono perfettamente della vostra opinione di non attendere niente dalla diplomazia, un fatto compiuto sarà sanzionato da tutta Europa. Ho combinato la corrispondenza in ogni otto giorni, e propriamente ogni Venerdì, vi sia di norma. Col desiderio di presto abbracciarvi, mi dico.
___________________
30 giugno 1857
Ottimo cittadino e fratello — Aveva risposto alla vostra lettera coll’altro viaggio, ma la pressa datami dal marinajo mi fece dimenticare di metterla al luogo solito.
Mi è dispiaciuto assai sentire la disgrazia sofferta, il destino ci perseguita; con la costanza speriamo vincere tutti gli osta» coli.
La pianta che desiderate non mi è riuscita averla, spero che avete ricevuto cosa da Ventotene, come mi si è scritto.
L’amico di Ventotene mi ha fatto sapere avervi scritto a lungo.
Per poterlo vedere non è stato possibile, vi è molto rigore. Ricevete gli abbracci del vostro affettuoso fratello.
D. S. Il giorno 27 abbiamo avuto la visita del Sotto Intendente di Pozzuoli, si è trattenuto due giorni in Ventotene, e poche ore qui. Non sappiamo il motivo della sua venuta; in Ventatene si è detta per affari amministrativi, è la prima volta che sia venuto. La mattina del 29 alle ore 4 1 (2 due fregate a vapore con bandiera napolitana, e con molti soldati cacciatori a bordo si sono fermati nel canale tra Ventatene e S. Stefano, il battello della Sanità si è accostato, ed il comandante gli ha domandato se il giorno avanti avessero veduto un vapore ad elice senza bandiera, gli si è risposto che di fatti il giorno 28 verso le ore della sera un battello a vapore dalle acque di Ponza si dirigeva a scirocco: immediatamente ricevuta questa notizia i due battelli napolitani han seguito la stessa rotta. Qui poi si è verificato che il battello a vapore ad elice fosse stato a Ponza, e che avesse imbarcato tutti quei soldati colà condannati per disbarcarli nella provincia di Salerno.
Ecco tutto ciò che ho potuto sapere, e ve ne do avviso. La notizia di Ponza si è detto averla portata una barca provveniente di là e giunta la notte per Ventatene.
___________________
1 giugno 1857
Fratello — Nell’ultima vostra parlavate del linguaggio da tenersi al popolo. Ignoro se abbiate e fin dove s'estendano i vostri mezzi di pubblicazione, ma se potete, parmi che lo scritto acchiuso stampata sopra un solo foglio grande, appunto come io lo scrivo, diffuso al popolo per ogni dove possa giovare. Se si pubblicasse nel momento stesso dell’azione v’apporrei la firma. La Giunta d’insurrezione naturalmente potrà introdurre ogni modificazione che vi sembri opportuna. Soltanto non finisca troppo esitante. La nostra vittoria sta nelle forze vive della Nazione che sono il popolo e la gioventù oggi ignota, domani potente. Le promesse contenute in questo scritto possono verificarsi tutte senza sovversioni di diritti acquisiti, senza sconvolgimento sociale.
Non temete il giorno dopo la prima vittoria si svilupperà un elemento di forza, che oggi nel letargo comune non supponiamo neppure. E quell’elemento sarà la nostra forza, se sapremo dirigerlo.
Calcolare quell’elemento eccitarlo — e neutralizzare ogni possibile raggiro monarchico — è il problema per voi.
Unica via a neutralizzare l’elemento monarchico, è impedire al moto di localizzarsi. Invadere. Le prime operazioni dopo la vittoria devono essere volte all’insurrezione ardita del Centro.
La causa Italiana sarà salva il giorno in cui tre reggimenti vostri passeranno la frontiera. Le insurrezioni non si difendono che estendendosi.
Un giorno prima del giorno fissato per la partenza collettiva, partirà alla volta vostra il Commissario del quale vi parlai.
Importa che pensiate al dove allogarlo per quei tre o quattro giorni.
Scrivo prima di ricever la vostra, e nella ferma fiducia che duri l’accordo tra noi.
Tolga il cielo che mi vengano tristi nuove d’esitazioni o d’indugi che sarebbero rovinosi. Tutto è preparato per seguirvi rapidamente. Addio — Vostro Giuseppe.
Vi mando altri 3000 franchi.
___________________
Collo stato di cose attuale voi avete. |
Dalla rivoluzione, purché fatta italianamente, non per passare da un padrone a un altro, ma per non aver padroni fuorché Dio in cielo e il Popolo sulla terra, voi avrete. |
1. Sottomissione assoluta e disonorevole a un solo uomo e ai suoi discendenti; non libertà di parola nè di associazione; non diritti di cittadini, non ingerenza negli affari dello Stato che è vostro; non sorveglianza su quei che padroneggiano le vostre persone e tassano i vostri averi. |
1. Una Patria di ventisei milioni d’uomini, libera, ricca, potente, che diventi in dieci anni Nazione di primo ordine, governata da un Patto approvato da voi, steso da uomini eletti da voi, migliorato via via dagli ottimi tra voi; dignità b d’uomini e dritti di cittadini, voto, libertà di parola e d’associazione; elezione regolare d'agenti vostri censurabili qualunque volta tradiscono il vostro mandato; sorveglianza continua sugli affari vostri. |
2. Ignoranza perpetuata studiosamente perchè duri schiacciando l’animo vostro; educazione corrotta pei ricchi, nessuna pel povero; persecuzione di censura e peggio agli ingegni che v’insegnerebbero la verità; morte al commercio librario. |
2. Educazione Nazionale per tutti, poveri e ricchi, tanto che tutti imparino ad esser fratelli,, sentano di esserlo, e possano, sviluppando le loro capacità li aspirare ad ogni impiego, carriera, e modo di servire utilmente la Patria; libertà di stampa, illimitata al commercio librario che rappresenta il commercio delle idee. |
3. Miseria perpetua studiosamente, perchè non abbiate tempo a pensare e ad emancipare l’anima vostra; un sistema di tasse ingiusto, esagerato immorale che pesa sul necessario alla vita, colpisce indirettamente tutti gli oggetti di consumo, aggrava di oneri insopportabili la proprietà, impedisce lo sviluppo dell’agricoltura, isterilisce il commercio; un esercito di esattori, gabellieri ec. che assorbono inutilmente una parte considerevole del prodotto dell’imposta; una moltitudine d’impedimenti al transito, al i cambio, alla vendita delle vostre merci; dazi enormi, e proibitivi sull’importazione delle materie che vi sono necessarie dall’estero; una negligenza assoluta delle vie di comunicazioni provinciali che diminuendo le spese di trasporto s allargherebbero il mercato ai a vostri prodotti, e lascerebbero maggior parte del loro valore ai produttori; dispendio sterile o dannoso in eserciti, spie, polizie, pensioni, lusso di corti e cortegiani del Ricavato dell’imposta ecc. |
3. Istituzioni fondate sul principio che la miseria, quando non è frutto di delitto, o di ozio, è una colpa sociale; soccorsi sociali ai poveri infermi o vecchi; abolizione dei dazi di consumo e imposte indirette; esenzione delle contribuzioni per chi non ha se non il necessario alla vita; tassato proporzionatamente il superfluo, economia quindi nelle percezioni, e nel numero degli esattori; libertà assoluta di commercio interno; facilitazioni progressive all’importazione; sistema di vie di comunicazione nazionali provinciali, comunali; limiti del Mercato Nazionale l’Alpi ed il Mare; immensi lavori pubblici di vie ferrate, arsenali, cantieri e dogs che aprirebbero sorgente di lavoro a migliaia e migliaia; risparmio delle somme che Svizzeri e Austriaci esportano annualmente all’estero, delle somme ingoiate in oggi da sette Corti, dall’aristocrazia dei cortigiani, e dall’alto Clero, delle somme largite alle spie ed alle polizie politiche, delle somme versate nelle mani di pensionati scelti dal capriccio regio, o dal patronato dell’aristocrazia; formazione di un Fondo Nazionale coi beni delle Corti, con quelli usurpati da Principi Austriaci in Italia, coll’incameramento della proprietà dell’alto Clero, colle fortune, salva una legittima ai figli dei combattenti e cospiratori contro la Nazione, colle successioni collaterali al disopra di un certo grado; e attribuzione di una parte di quel fondo alle associazioni volontarie industriali ed agricole offrenti sicurezza di onestà e capacità, ma mancanti di capitali. |
4. Un sistema di spionaggio che semina la diffidenza tra i figli della stessa terra, inonda le famiglie, corrompe i costumi e paga il tradimento. |
4. Abolizione di ogni polizia i politica governativa; la sicurezza pubblica civile affidata ai 3 Comuni. |
5. Masnade di stranieri armati che insultano il vostro esercito, cangiano le vostre fortezze in Bastiglie, e sono pagati col vostro danaro per trucidarvi ogni qualvolta domandiate l’esercizio di un vostro dritto. |
5 e 6. Esercito Nazionale; elezione dei bassi uffiziali e ufficiali dai componenti l’esercito a seconda dei gradi. Costituita la Nazione, educazione militare nazionale sì che il paese difenda il paese. |
6. Un esercito che esce dai vostri ranghi, ma che isolato da voi, guasto da capi perversi, guasto da una tirannica disciplina, guasto da un sistema pessimo di promozioni, è condannato a diventar nemico del popolo che dovrebbe proteggere. |
|
7. Un sistema d’impieghi fondato non sul merito, e sulla virtù, ma sulle protezioni, sul danaro, e sui gradi di servilità col mal governo. |
7. Impieghi dati alla capacità virtuosa; impiegati scemati di numero, meglio retribuiti. |
8. Un concentramento amministrativo che annulla la libertà dei vostri Comuni. |
8. Libertà di Comune, concentramento in tutto ciò che spetta ai doveri e dritti della Nazione; emancipazione per tutto ciò che spetta ai doveri e diritti delle località; suffragio applicato agli amministratori dei Comuni, ai giudici ecc. |
9. Il bastone sul dorso dei fratelli vostri nelle prigioni. |
9. Le prigioni ridotte a mezzi di protezione della Società contro i colpevoli, non di tortura. |
10. Una moltitudine di famiglie che piangono un figlio, o un fratello languente in carceri insalubri o raminganti a mendicare nell'Esilio. |
10. Ripatriamento degli esuli; liberazione dei prigionieri politici. |
11. Il disprezzo dell’Europa che sa le vostre miserie, e maraviglia come i figli di Procida e di Masaniello le sopportino pazientemente. |
11. Bandiera Nazionale rispettata e temuta; vera alleanza dei popoli liberi. |
La scelta è nelle vostre mani, se al sorgere di una bandiera liberatrice, vi rannoderete tutti intorno ad essa ed oprerete per breve tempo a procacciarle trionfo, siete milioni.
___________________
Genova 2 Giugno 1857
Amico carissimo — Ho ricevuto la vostra pregiatissima del 15 scorso e resto inteso di. quanto mi dite, la partita proclami la troverete con le altre partite
Comandate e sono — Carlo.
Quale è la vostra condizione? Sprezzati dal tiranno che antepone a voi pochi nemici stranieri, e vi minaccia con le loro armi. Abbandonati all’arbitrio di una sfrenata sbirraglia. Premiati tra voi i delatori ed i vili, o vilipeso chiunque ha merito e sdegna curvarsi riverente innanzi al più vile dei despoti. Con dannati ad opprimere i vostri concittadini e farvi segno all’odio di Europa. Incerti del domani, un pensiero un detto può tradirvi, il capriccio di un santafedista basta a gettarvi in un carcere, privarvi del grado, sottoporvi alle più crudeli torture, manomettervi. Ed un sì squallido presente lo preferite voi allo splendido avvenire che vi offre la Patria e che voi potete conquistarvi.
Rovesciato nella polvere il perfido governo, voi medesimi purgherete l’esercito degl’indegni capi di quei vili che hanno prostituita la loro divisa facendosi sgherri e delatori — Non più l’anzianità sarà norma alle promozioni, perché un tal metodo ammorza le grandi passioni. Non gli esami che non provano il merito, e danno luogo alPintrigo — Non il capriccio di un re o d’un ministro che premiano sempre i loro favoriti. Ma voi stessi sceglierete i vostri ufficiali, e sarete i giudici del merito di ogni uno.
Il diritto di eleggervi i capi, vi trasforma in un istante da esercito regio in esercito cittadino; da vili schiavi, in liberi guerrieri, da oppressori della Patria, in suoi nobili difensori. Ora non siete che esercito di abbietto tirannello, allora sarete esercito di una grande Nazione; ora sprezzati dall'Europa, allora benedetti dai vostri concittadini, ammirati e temuti dagli stranieri. Non solo il vostro grado non vi potrà esser tolto dall’arbitrio di un uomo, ma ogni soldato dopo aver valorosamente combattuto le battaglie della nostra redenzione, avrà assicurata dalla Patria un’agiata ed onorata esistenza, né sarà condannato come oggi a vivere nell’esercito per fuggire alla miseria.
Soldati — queste promesse non vi vengon fatte da oscuri cittadini, ma sono la conseguenza di quel principio, di quella libertà che vogliamo uniti a voi conquistare. Noi non ci mettiamo a combattere per cangiar di padrone o di ministro; ma per conquistarvi una Patria grande e Potente, e con una libera ed agiata esistenza.
2. Giugno 57.
___________________
Tunisi 2 giugno 1857
SS. Maestri e Bonucci — Ancona — Vivamente partecipiamo al sentimento della vostra difficile posizione, ammirandovi per l’animo sicuro con cui l’affrontate. La vostra lettera ci dimostrava essere ignari del disastro delle armi, ma un cenno del sensale nella sua esteriore poi ci fa credervi già informati ai momento dell'invio, ed in linea di rimedio. Intendiamole possibili conseguenze commerciali di un tal caso, e la somma importanza ed il merito che ha la vostra fermezza.
L’avviso disastroso ci venne datato da Genova mentre ci confermava all’imminenza il soddisfacimento e tatto proprio! e anco da iato di Mazzini non può che applaudirsene lo zelo e la prontezza.
Di fronte a ciò che ci costa, noi ci atteniamo alla vista Sicilia, sempre dipendenti dallo imborso di iniziativa in Napoli, e ci sembra partito unico praticabile, talché abbiamo spedito oggi stesso relativa avvertenza per assicurarci personalmente la cassa.
L’avaria pure sulle seterie Livorno è di fatale incidenza, ma se gl’interessati non si perdono d’animo possono utilizzare su Governi reclamando con diritto di buona sanzione all’indennizzo, pei gravi errori relativi.
La fortuna non è propizia; ma ad onore per cui spetta, gli uomini che tenta avversare sono a lei superiori; ed io qui intendo parlare di Kilburn. Ch: e soprattutto di Mazzini ecc., ed è la loro condotta in mezzo ai contratempi che mi raffida, non potendo convincermi che alcune eminenti qualità siano accordate all’individuo in puro lusso naturale, e perdita. Passivo intermediario e conseguente perché mi spettò trattare questo affare, talvolta noioso per contribuire alla avvertenza di condizioni che mi sembravano necessarie, ho potuto tutto conoscere, tener dietro all’andamento dell’affare da entrambi i lati, ed è mio debito di prevenire il successo colla espressione di una riconoscenza di buon socio e fratello verso gli agenti principali, che non prendendo norma dalla fortuna non può da quella alterarsi, che ha la sua misura negli sforzi, e nella maturità proporzionale con quelli ottenuta.
Aspettiamo con impazienza nuove d’ognuno, e d’ogni cosa, avendo provveduto, onde ci sieno comunicate anco straordinariamente, col corso de' mezzi ordinari periodici dei punti più prossimi. ’
Tutto poi che su Murat e costituzionali possa operarsi in dannosa concorrenza, non sarebbe che la responsabilità degli interessati relativi, dopoché un caso tanto inaspettato di fortuna e tanta sollecitudine di rimedio disimpegnano la responsabilità propria su quella di coloro che intendono associare i loro sforzi alla contrarietà, anziché insistere a contrastarvi.
P. S. Fu provvido e fortunato che armi da Malta fossero conservate a meno silenziose condizioni, giacché oltre l’incidente principale, altre merci particolari spedite per lo stesso cammino non erano arrivate al loro destino (alla metà della via) in otto giorni di viaggio. Addio.
___________________
3 giugno 1857
Carissimo P. — (La facilità che mi porge l'abitudine mi fa usare della cifra antica (K.
Miracoli no, ma fatalità sì, è ciò che dobbiamo aspettarci e calcolare, e prevedere, se non vogliamo batter sempre di capo al muro. Le due lettere 19 e 26 p. p., arrivarono Domenica 31 in cui l’intermediario ed il contraente per Bastimento (dipendenti individualmente dallo stesso principale) dovettero per affari particolari partire, ed ogni trattativa fu sciolta da quel lato, non potendosi nulla eseguire cessante l’uno e l’altro. D’allora in poi sin’ora, con altro unico intermediario che mi rimane disponibile non si riuscì ad intavolare vista alcuna, né abbiamo speranza di riuscire nelle strette che ci restano, che potrebbero dirsi di ore, giacché come intendi, voglionsi quei cinque o sei almeno per essere coincidenti alla scadenza vapore. Impossibile poi assolutamente che possa nulla dirsi in questa, né dar prevenzione a Kilburn se non che d’improbabilità la più grande di disponibilità di armi. La posizione è sommamente delicata, poiché ogni indiscretezza da Media produrrebbe prevenzioni relative al Governo di Napoli, che coinciderebbero a ruina di vapore.
La barca, ed i contraenti presumibili su Malta, mancano per accidentalità, scarsissimi come sono, per essere ditale estensione. Se poi si riuscisse nel poco tempo che resta, semprecché cangiamento non arrivi nelle viste di Genova con l’ordinario di Domenica, non avrei modo ad avvisare. Se si riuscirà a provvedere un passaporto (al che finora non si è riuscito) persona informerà a voce Pisacane dello stato delle cose e potrà essere utile nell'affare principale. Vedremo se anche in ciò il destino ci sarà contrario.
Se si riuscirà, sarà disponibile da Pisacane per il meglio, essendo a tutto pronto.
Le mie osservazioni sulle cause che neutralizzano armi, che lo imbarazzano, non hanno direzione ad alcuna accusa, ma a costituire che io non mi poteva trovare altrimenti. Kilburn aveva perduto due volte l’agente relativo per arresto: Pisacane, aveva stabilito di provvedere Bastimento; io non ne aveva né promesso di averne, per oggetto di cui si diceva provveduto da Pisacane. La maggiore o minore necessità di tempo, onde provvedere in nuovo ordine di viste non dipende da me, dipendendo da me lo studio di profittare del quanto si accorda. Resta ben fermo armi senza munizione.
Kilburn mi avvisa che l’invio voluminoso di Giornali andò perduto per doverlo salvare da Polizia su vapore. Dice alla meglio rattoppato il corso di relazioni per l’oggetto in Provincia relativo a iniziativa. Non aver ancora notizie di Isole. Auguro che nel frattempo l’abbia avuto, poiché in mio concetto è il fondamentale e da cui il resto dipende, e se i detenuti sull’isola, come ho additato sono nella condizione di arresto, non so immaginarmi affatto da una non intesa e cieca prova.
Ritenni sempre necessaria la maggior possibile celerità ad ogni provvidenza, ma la necessità di alcune provvidenze dal cui conseguimento far dipendere il meccanismo dell'affare, l’ultima mancante tuttora essere invece la prima in ordine di necessità. Kilburn protestò contro l’estemporaneità in affare che dovea valersi di due elementi esterno e interno, quindi mettersi in misura reciproca, ed avea ragione, giacche la proposta non era di condizione Interna costituita, ma suscettibile a costituirsi in rapporto all’attitudine estera. Il combinamento dovea costituirsi su di un termine di reciproca convenienza, tranquillamente decorrendo, a cui combinare, amministrazione, economia ed ogni dipendenza. Ciò dico perché Kilburn non escluse mai la proposizione, ma la estemporaneità, da un lato, indipendente dalle condizioni dell'altro.
Spero che il po’ dì tempo che scorre equilibri il tutto, senza che vedrei la sola fortuna arbitra d’ogni cosa, fortuna di consuetudine non amica. Eccoti il preventivo (cifra tua 17°) modificabile al modificarsi di circostanze non prevedibili motivato e nei riflessi che andrò esponendo.
Per recarsi a tempo ove è armi avrebbe dovuto risolversi immediatamente. So che avrebbe indotto abbandono assoluto, di ogni referenza a Malta, e ad ogni caso di alterazione ad impedimento d’affari, esclusione d’ogni suo rispristinamento in Malta per cagioni di molte specie. Oltre di che l’assenza da Malta, come la presenza in barca, ed i transiti relativi non riuscirebbero di favorevoli prevenzioni.
Se l’affare armi non può concludersi entro un termine proporzionale alle indicazioni ricevute, ma che acquisti probabilità per un termine meno ristretto sarà tenuto in sospeso fino al prossimo ordinario, che dia sicurezza se debba abbandonarsi o combinarsi.
Se l’affare armi si combina, barca sarà disposto isolatamente per Napoli o per Vapore, giusta il meglio delle circostanze, vale a dire, dell’utilità combinata alla probabilità di riuscita.
Se l’affare armi resta neutralizzato, collettivamente combinato con partita ristretta, (cioè con pochi maneggiatori della partita, ignari sinora di ogni particolare, motivante il cenno astratto di accordo la partita in circa corrispondente alla cifra indicativa dell’obbjetto secondo, vale a dire minore della metà della cifra indicante l’obbjetto primo) sarà Sicilia in risposta immediata a cenno iniziativa delle provincie del Sud, qualunque. Valendosi di danaro libero previamente destinato per armi. Come intendi armi escludendo danaro escìude il progetto su espresso. Replico, tutto modificabile a seconda dei casi. Addio — Nicola,
___________________
Napoli 4 giugno 1857.
Amico carissimo — In questi supremi momenti debbo essere conciso; ma spero esatto. In Cilento abbiamo stabilito accordi; ma le influenze amiche sono tutte in arresto. In Isola sono avvisati quelli a cui si doveva; ma nell'una l'incaricato Agresti presenta gravi difficoltà di riescita; e dall'altra so per avviso venuto dalla barca che partiva immediatamente, che hanno ricevuto avviso, ma non hanno ancora avuto il mezzo per rispondermi.
L’amico che fece il piano anderà in Basilicata con altro per a direzione della insurrezione. Abbiamo impiantate basi di comunicazioni in quasi tutti i nostri nelle province, lo ed il socio Dragone restiamo soli in Napoli contro l’influenza e le magagne degli altri partiti, e della potenza loro sulla massa; scarsissimo di denaro.
Vi confesso che là precipitanza, ma più ancora l’averci trasportato con brevi date (inatte a farci imprendere ciò che avea d’uopo di maggior tempo per compiersi) e non averci dato tutto assieme il tempo che in frazioni è percorso, è stato di gravissimo danno, e tale da non farmi avere calma la coscienza dinanzi a Dio e l'Italia; ma d’altra parte credo che il momento in cui un governo trovasi discreditato all’esterno ed all’interno; minato e sfiduciato nei suoi stessi elementi, odiato da tutti, e quando la quistione di tutti i popoli e i re è poggiata sulla quistione di questo governo, e la risoluzione si tratta da un popolo che ha interessi di risolverla a favore della democrazia; questo momento è supremo, solenne, e deve cogliersi, e devesi sperare; e quando il governo in tal momento proclama l'inquisizione, come ha fatto il nostro, è delitto per ognuno che non protesta anco con la certezza della propria morte. Io dunque confido sulla solennità del momento, nella verità delle nostre idee e nel dovere, e cosi propago.
Mazzini mi ha mandato istruzioni.
Carlo mi ha spedito un grosso pacco — Kilburn.
___________________
9 giugno 1857
Amico carissimo — Ho poco da dirvi, e pochissimo tempo a mia disposizione.
Le partite bastimento con armi e munizioni sonosi magnificamente accordate, e sono con le altre alla vela da tre giorni. Domani regoleremo la partita uffiziali, al cui smaltimento sono sorti impreveduti ostacoli, ma tutti superati. La partita arrivo dipenderà dalle merci, velocità appartenente a uffiziali e può variare fra i seguenti limiti:
Vendita della merce isola Venerdì, tre mattino.
Vendita dell’altra disbarco Sabato, un’ora mattino.
Oppure vendita della merce isola, Venerdì otto di sera.
L’altro disbarco come sopra sette di sera.
«Il nostro socio Cosenz negozierà la partita arrivo a Napoli «col postale» ovvero allorché ricevete questa mia, il suo contratto è già liquidato, e con esso il socio di Mazzini accreditato commerciante.
Abbracciatemi l’amico piano, e ditegli che non posso scrivergli perché mi manca il tempo, ed egli può apprezzare le ragioni.
E voi tutti accettate le mie proteste verso voi della più grande stima ed affetto, ed io spero di meritare eguale stima da voi — Salute — Carlo. Cosenz si dirigerà al Socio Dragone in Napoli.
___________________
12 giugno.
È impossibile dirvi il diluvio delle cose che ci mantiene agitati ed in un’operosità quasi perpetua ed a vapore. È impossibile dirvi l’imponenza e necessità di preparare e dar sfogo a mille giuste pretensioni di chi vorrebbe operare, e non può senza di certe date giuste condizioni. La scarsezza dei mezzi in cui sono, avrebbe avvilito anche Muzio Scevola, ma no provvediamo con una fermezza, che è l’unica che accredita, e che imbarazza i nostri oppositori.
L’opposizione spiegatasi dai trattenitori è sfrenata, e vi sono dei momenti in cui campeggiano nel terreno dell’azione; non vi parlo poi della bassezza delle calunnie, essi spargono, e sostengono, che a noi ci muove il Principe D. Luigi ecc. ec. ec.; costoro fanno cose inaudite.
Concretando noi per l’azione,era impossibile che essi no) sapessero: io però ho creduto mio dovere dirgli che noi volgevamo i nostri elementi alla concretazione, e che adempiva al mio dovere comunicarglielo ed invitarli alla fusione nostro scopo; e che sé lo rifiutavano, dimandava se dandosi un'insurrezione nelle provincie ed una in Napoli se essi avessero contrariato, ed almeno non ostacolato; ed essi han risposto che erano fermi nelle loro idee esclusive, e che avrebbero appoggiato, se vedevano il buon risultato, ed ostacolato se vedevano dubbio, perché volevano concorrere a far produrre il minor numero di vittime possibili. Gli dimandai: se il moto è inevitabile, voi ostacolerete pure; mi risposero che ciò che avevan risposto era per ogni caso. Impresi a fare le persuasive più calme, più ragionate, più amichevoli per dimostrargli il danno grave che arrecavano al paese, come questo è movimento in cui bisognava operare, se non per altro, almeno come protesta, ancorché tutti gli elementi non fossero stati, come sono propizi! alla riuscita, che questo è momento di assesto finale pei governi e pei popoli ecc. ec. Il risultato n° è stato un(7) opposizione, ed un magagnare tra tutti gli elementi, crescente, infernale.
Gli amici arriveranno il giorno 13.
___________________
14 giugno
Amico carissimo — Ho saputo come non poteste interpetrare a mia lettera che vi venne trascritta dal comune amico, vi scrivo una seconda, per darvi la trista nuova, che il progetto è andato a vuoto. Una barca era già partita carica di armi, munizioni ed uomini, tra questi vostro fratello Errico: questa barca dovea poi esser raggiunta, in un luogo indicato da un vapore, di cui dovevamo impadronirci; ma il giorno 9 un uragano obbligò quei della barca a gittare in mare quanto avevano, e così perdemmo in un istante i mezzi raccolti con grandissimi sforzi; l’idea però non è del tutto abbandonata, solamente non potremo più portare noi i trecento fucili perduti, quindi tutti i nostri sforzi possono ridursi a venire all’isola con un vapore e quaranta armati, raccogliere in Ponza e Ventotene quanto vi è di armi, e di volenterosi, e di sbarcare in un punto della terra ferma già stabilito.
Quelli che ci seguono con gli elementi che troveremo, posso assicurarvi che sono tali da sperare un esito felice all’impresa delle province come nella Capitale: le cose sono in modo, che un impulso, una scintilla può produrre un incendio, questo è il mio convincimento morale, che non posso trasfondere in alcuno, ma solo manifestarlo, convincimento che ho attinto non solo dalle relazioni dell’amico Wilson, ma da cose toccate con mano, da me medesimo sopra luogo ove mi trovo.
Più di questo non possiamo dirvi, epperò vi preghiamo risponderci: 1. se un vapore, un quaranta armati, sarebbero cagione determinante abbastanza forte, onde decidervi ad imbarcarvi con noi: 2. se tale forza può vincere gli ostacoli che sono nel medesimo luogo: 3. se in tale numero vi unireste a noi: 4. quale sarebbe il luogo migliore d’approdo, e il più opportuno per trovarci al centro dell’isola.
Questo è tutto quello che forse possiamo, epperò nel caso che tali guarentigie non bastano a determinarvi, è inutile discutere oltre, se poi bastano, dateci tutte quelle notizie oltre le sopraddette che potete credere utili allo scopo che ci proponghiamo.
Oh come è stata per me terribile la disgrazia avvenuta!!! Ma nella spinosa carriera che percorriamo, solamente la perseveranza può menarci a buon fine. — Salute Carlo.
___________________
17 giugno 1857
Vi rimetto una lettera di Pisacane qui presente, che v’informa del disastro accaduto; noi però non siamo men fermi nel nostro proponimento, e speriamo o col ripetere il progetto o con imprenderne
altro (che abbiamo pur da gran tempo ruminato e disposto) di venire sollecitamente allo scopo desiderato. Non vi ho scritto con la passata occasione, perché supponeva che l'affare avvenisse e non avreste perciò potuto ricevere quella mia, che così abbandonata avrebbe potuto produrre disastri. Ho ricevuto il commovente mestissimo dono che vi è piaciuto mandarmi (269), e ve ne ringrazio assai; ma l'amico di cui vi accludo lettera vuole portarsi a Genova, ed io glielo ho promesso, ma se vi potesse riescire di avere uno schizzo della pianta delle due isole e segnarne i siti atti al disbarco, sarebbe cosa utilissima; se ciò non può essere, ditemi in quali dei punti cardinali, o collaterali devesi eseguire il disbarco di ciascun’Isola. Mi annunzierete che vi sareste visto con gli amici dell’altre Isole, ditemi se ciò è avvenuto, ed il risultato; noi non abbiamo ancora avuto da essi lettera responsiva e soddisfacente per essergli riuscita poco leggibile la vostra scrittura. Gradite i sensi della più sentita amicizia e stima — Vostro — Kilburn.
___________________
16 giugno 1857
Onorevole cittadino ed Amico — Ho letto tutte le vostre lettere in cui ci ragguagliate su ciò che concerne la possibilità del fatto progettato; gli ostacoli sarebbero stati superabili, e per noi i nostri sforzi erano abbastanza compensati, se potevamo rendere a voi la libertà, al paese un generoso cittadino, a un amico, che quantunque non conosciuto da vicino, ci è caro per le sue qualità, e per la sua nobile fermezza nel soffrire pene così dure. Ma il fato per ora ha voluto altrimenti: una barca carica di armi e munizioni, che noi dovevamo col vapore raccogliere in cammino, sorpresa da tempo perverso, né potendo, a causa di ciò che aveva a bordo, approdare in alcun porto; alla vigilia della nostra partenza gittò tutto in mare, quindi il seguito non ebbe luogo. Accostumati oramai alle disgrazie ed alle delusioni, esse non ci scoraggiano, ma con maggior pertinacia ci legano all’impresa, sperando sempre che un giorno ne potesse venire al paese
utilità.
Vi ringrazio delle notizie che ci avete date e sperando in occasioni migliori e prossime. Vi auguro salute — Pisacane.
___________________
18 giugno 1857
Procedimento energico del lavoro in Napoli, mediante gli ajuti pecuniarì che potranno ottenersi; ricezione o compra di armi, scegliendo il mezzo più pronto.
Lavoro in Basilicata sospingendola all'iniziativa, al più presto con spedirvi i capi, se li domandano.
Continuare la pratica con le Isole, nei modo il più sollecito possibile.
Coi moderati evitare ogni discussione, procedendo sempre ad assimilarsi gli elementi di azione, ed evitando ogni discussione di principii, opponendosi occultamente con ogni mezzo alle dimostrazioni.
Cedere alle loro pretese di ammettere il grido di costituzione (perché l’avvenire è nostro) nel solo caso che da questo dipendesse il fare o il nonare immediato.
Contare sempre non come condizione indispensabile, ira come spinta (se necessaria), il progetto delle Isole, o uno sbarco di una cinquantina di armati.
Un proclama pei cittadini e per la truppa; una specie d dichiarazione di principi da affiggersi sulle mura nel momento dell’azione.
Spedire una barca nelle acque di Pantelleria, con segnali convenuti, avvertirne a Nicola, comunicargli i segnali, acciocché spedisse in quelle acque le armi.
___________________
Napoli 19 giugno 1857
Amico carissimo — Vi rimetto copia di ciò che in generale stabilimmo, e vi prego farmene dare formale approvazione da Mazzini, copia di ciò che viene da Libertini, e da Basilicata Albini, perché siate al corrente delle cose. In Basilicata chiederemo altro passaporto per voi. Io ho cominciato a darmi moto, per carità sbrigate l'opera vostra.
I moderati ci stanno tendendo una contromina nella provincia.
I murattisti si apparecchiano ad approfittare dell’opera nostra, bisognerà che agiamo di sorpresa. Da Marsiglia mi si dice che il dottore è ligatissimo ai murattisti anche per interesse, e che manifesta il pensiero che bisogna fare agire in Napoli i Mazziniani ad approfittare con un colpo di mano dell’opera. Io domani vado a trattare con quei di Castellammare per l’affare delle armi, ma la notizia ricevuta mi mette in grave sospetto verso quei con cui tratterò; perciò conviene che traccheggi, e prego voi perché scriviate in Marsiglia al sarto Cacace, o chi meglio credete, perché v’informi di detto Dottore, e mandarmene subito risposta.
Associatemi ad un paio di giornali
Vi raccomando il carissimo, il buono, e verace Titta Falcone, a cui mando un bacio ed accludo lettere per lui, ma non scrivo per mancanza di tempo. Attendo con grande ansia notizia del vostro arrivo, e del come avete trovate le cose.
Tutto ciò che dovete sbrigatelo; io non credo che possiamo durare a lungo senza avere arresto, ed allora le faccende potrebbero rimanere sospese per un pezzo e con grave danno. Addio.
___________________
Scritta da Napoli il 16 giugno, partita il 18.
Amico carissimo — Ho abbracciato i nostri due amici. Io mi recai qui temendo che la disgrazia sopravvenuta avesse prodotto una catastrofe, dalla quale io non doveva, né voleva essere immune; ma fortunatamente la disgrazia avvenuta non ha prodotto altri danni, se non quello della cosa stessa mancata. Ho visto tutti, e parlato colle cime, con coloro dai quali dipende l’azione. Ho trovato una gran quantità di ottimi elementi; e più di quelli che assicurava il coscienziosissimo Kilburn; manca (come egli dice) un centro intorno a cui questi elementi indissolubilmente rannodarsi; ma non vi è mezzo per crearlo ed a questo male che dipende da esuberante individualità, non v’è che un solo rimedio: che il nostro operosissimo si tenga strettamente unito con costoro, e si accrediti presso di loro coi mezzi che noi dobbiamo fare ogni sforzo per fornirgli; egli lo può, avveduto, e modesto come è, speriamo riuscirà.
Ci abbiamo segnato una linea di condotta, abbiamo calcolato più o meno quello che potrà bisognare, il tempo necessario, il modo d’iniziare, ed ora è d’uopo, che io e lui prefiggendoci come scopo lo stabilito, pieghiamo come si dovrà alle circostanze. Io sperava senza veruno impulso ottenere una iniziativa immediata, ma è stato impossibile. Riguardo ad armi abbiamo stabilito così. Egli farà partire una barca inviandola nelle acque di Pantelleria con stabiliti segnali; tu avuti questi segnali, farai immediatamente partire una barca & la dirigerai nel punto medesimo, ove avverrà il trasbordo. Se questo non potesse avvenire, se tu non trovi il mezzo come poterle inviare, previo consenso di Mazzini, io crederei che la miglior cosa sarebbe di vendere il tutto, e spedire a Kilburn i danari che gli saranno più utili delle armi depositate in Malta, giacché col denaro si faranno cose molto utili, anzi decisive, e si avranno anche armi.
Io domani parto per Genova. E non so cosa sia avvenuto dopo la mia subitanea partenza. È inutile dirti con quanta ansietà sono su tale riguardo. Ti prego dire a C... che ho tutto ricevuto, che lo ringrazio; ma che non ho avuto tempo di farlo. Addio. — Carlo.
«Copia conforme all'originale scritto in carattere simpatico presso me esistente» N. Fabrizj.
___________________
23 giugno 1857
Amico carissimo — Trovai come avea previsto, o immediato monopolio qui, o rifare il mancato. Il materiale era stato rimpiazzato, non già così abbondante come il perduto, ma più di quello che io sperava. Gli indugi impossibili per ragioni troppo lunghe ed inutili a dirvi. Io ho accettato, e perché accetto sempre quando trattisi di fare, e perché son convinto che questo è l’ultimo gioco che per ora si farà, e se mai non cercheremo trarne tutto il profitto possibile, faremo tale errore, che verrà scontato con lunghissimo sonno.
Noi ci siamo intesi su tutto. Il giorno seguente alla partenza sarà spedito il dispaccio a De Mata, se non ricevo da voi altra indicazione. Quindi bisognerà prevenirlo, ed appena giunto fare immediatamente quello che vi ho suggerito nel rapido cenno su Napoli. Come ancora è cosa urgentissima, nel ricevere questa mia, se jeri non ne avete ricevuta un’altra, che ho spedita all’indirizzo Rizzo di fare il possibile, onde quelle medesime persone si trovassero a quel medesimo luogo, è che il nostro amico, si portasse immediatamente in Basilicata, attenendosi a quanto fu convenuto tra noi.
Vi rimetto con questa alcuni campioni danaro, vi rimetto lo scritto da affiggersi, che io avrò stampato, e che se potrò inviarvene un certo numero lo farò, ma sembrami cosa molto difficile.
Ora vado a dirvi ciò che io spero dalla vostra lettera che debbo ricevere.
1. Indicazione più precisa per l’invio del dispaccio sia alla stessa persona, sia ad altra.
2. La lettera di Agresti.
3. Schiarimenti maggiori sulle località di Ponza, che avrete avuto da quel tale indicato, e per lo stesso mezzo un avviso che potreste spedire nel ricevere questa, o la precedente a questa.
4. La faccenda di armi in Malta già in corso, barca già partita da Castellammare.
5. Secondo il convenuto avrete già almeno un cantato di polvere che potreste avere in tale circostanza.
Se nella vostra che ricevo leggerò tutte queste cose, sarò contentissimo.
La lettera di cui vi parlo diretta a Rizzo non la spedii.
Vi accludo varie lettere.
Voi le leggerete e suggellerete, ma vi prego di consegnarle al loro indirizzo appena avrete ricevuto il dispaccio, se tale merce non giunge è segno che il contratto non ha avuto luogo, ma se giunge vi prego caldamente consegnarle a coloro ai quali sono dirette, senza la benché minima esitanza, aggiungendo a voce tutti i possibili schiarimenti.
Appena saprete il contratto conchiuso a Sapri, spedite quelle merci dispaccio.
Finalmente se per caso in luogo di sapere la conchiusione del contratto per le merci Sapri, venisse a vostra conoscenza un disastro nostro, spedite qui le merci dispaccio all’indirizzo medesimo, ma con questo altro così stabilito. La cambiale è stata rifiutala. Dunque queste merci significano disastro, tutte le altre, a vostra scelta, che non sieno queste, vuol dire arrivo.
Spero che la cosa vada, ma non possiamo esser certi di nulla, voi continuate a lavorare alacremente su quelle basi, giacché se per imprevedibili eventualità ciò non avesse luogo, il monopolio di Genova è inevitabile 5 e quindi la conseguenza immediata, è il nostro contratto, dunque, comunque vadano le cose, ritenete, che se il tutto non sfuma, la cosa avverrà con differenza di pochi giorni. Resta fisso che il nostro dispaccio vuol dire cosa fatta.
Attendo con ansia la vostra lettera, se dopo averla ricevuta vi è cosa che importi e sarò ancora in tempo vi spedirò una seconda lettera.
Un abbraccio a voi ed agli amici tutti in particolare al Socio ed una stretta di mano alla moglie.
Abbiate in pronto i seguenti campioni. Giovedì venticinque partenza. Domenica arrivo a Sapri — Salute e così sia.
___________________
Napoli 27 giugno 1857
Amico carissimo — Ricevo in questo momento la vostra del 23 e non ho che pochi momenti per rispondere. Non posso esprimervi con quale ardente desiderio l'attendevo per assicurarmi del vostro felice ritorno, e del concretamento, negazione o modifica di quanto stabilimmo; ma invece consolato per la prima parte, sono restato conturbatissimo per l’altra, la quale non ci dà determinazioni di un assoluto proporzionale all’imponenza e la gravità del fatto, né ci annunzia alcuna cosa consentanea al prestabilito ed alle condizioni locali. Voi sapete quale scarsezza di danaro noi abbiamo, e per ciò ci è impossibile comprare almeno i cento fucili che si stabilì indispensabile. Le barche non sono partite ancora da Castellammare, perché non ancora abbiamo potuto avere risposta da Fabrizj necessaria alla partenza di esse; ma ora che voi ci mandate ducati quattrocento trentanove e restate muto sullo invio d’altro denaro (come se non avessimo accordi precedenti su ciò) io non posso più far partire quelle barche per mancanza del denaro.
Matina non mi ha scritto ancora, mi è stato promesso che domani lo farà; perciò se la cosa andasse in regola, domani con questa lettera avrei la credenziale per Ponza che sarebbe di introduzione a potere io trattare con questi, vedete dunque che siamo molto lontani da' vostri desidera; cose già prevedute, per la qual ragione avevamo preso un mese e più di tempo.
Riguardo all'invio di Pateras ed alla prevenzione da darsi in Cilento, mi metterò immediatamente in moto, perché ciò avvenga subito; ma è impossibile che queste due partite si trovino in ordine, perché ora è la mezza notte del giorno ventisei, e secondo la vostra indicazione pel disbarco in Sapri al ventotto nulla può trovarsi finalizzato. Avvertite intanto che io vado a mettere le prevenzioni convenevoli, quantunque forse insufficienti per la brevità del tempo, ma che se voi non verrete, io dovrò immediatamente emigrare, e non potrete poi contare sull’opera mia e nemmeno su quella di Dragone per ragioni consimili.
Ardo per la sollecitudine, ammetto la fretta, ma il precipizio in cose di tale importanza, quando calcoli vi facevan giudicare diversamente fra noi, non è opera che approvo.
Che cosa farà Fittipaldi e gli altri senz’armi e senza denaro? Voi potete darmene la risposta meglio che me stesso. E se essi vorranno, saranno seguiti? In tal caso l’energia dei trattenitori può spiegare tutta la sua potenza.
De Mata e gli altri non potrò vederli che domani: Mazzini non ha scritto; così va bene, senza consigli.
Mi pareva bene morire in guerra; ma invece pare che lo debba di crepacuore, di bile, e di attacchi nervosi.
Un caro saluto a voi ed agli amici.
D. S. Onorevole maestro e fratello. Rifletto che questa mia non potrà pervenire all’amico a cui è diretta; perché a questa ora forse è già in via; perdonate il modo con cui è scritta. Addio di somma fretta.
___________________
Napoli 27 giugno 1857
Onorevole cittadino — Il momentaneo intoppo annunziatovi, è stato produttivo di robustezza maggiore. L’ora solenne è presta: apparecchiatevi a coglierla diffinitivamente. Uno dei capi domani parte per il vostro punto, ma per ragioni di tatto e strategica dovrà trattenersi per
giorno in Salerno, dove sarà raggiunto da altro sollecitamente. Spedite in Salerno persona di vostra piena fiducia ed informata dei fatti locali, perché sia a disposizione degli indicati uffiziali, e gli serva di guida, quando crederanno opportuno recarsi da voi.
Gli Uffiziali potranno giudicare utile, ed anco indispensabile la loro partenza, anche dopo momenti che saranno giunti in Salerno, perciò sbrigate le commissioni, e state paratissimi; mentre noi fidiamo completamente nel vostro cognito senno, zelo, ed ardenza patriottica. Pel resto attenetevi a quanto vi scrivemmo completamente nelle precedenti — Addio.
___________________
Napoli 1 Luglio 1857
Onorevole cittadino — La gloria dell’iniziativa, v’impone dei gravi doveri; siate terribili, e veloci come la folgore. La prima missione da noi è stata adempita, superiore alle vostre aspettative, adempite la vostra come solete, e siam certi che Dio seconderà i nostri sforzi. La Capitale seguirà con ogni sforzo. Non cedete; sareste ruina vostra e della patria; se uno resta che uno combatta e muoia da prode, non col patibolo del carnefice, e col rimorso dell’anima.
Badate, la nostra caduta è la caduta delle speranze dell'epoca, la vittoria è il lume dei secoli. Se cadremo, sapete voi chi è il nostro nemico?! Nò è meglio morire le cento volte, ma noi vinceremo, e Dio è con noi. Scriveteci subito e diteci tutto — noi siamo fra le mille febbri — qui tutto si prepara per la rivoluzione, che sarà a momenti. La vittoria vi circondi pel bene della patria, e la gloriosa morte coroni i nostri sforzi.
L'Italia per gl'Italiani — e
Gl’Italiani per essa — Addio.
___________________
29 giugno
Onorevole cittadino e fratello — Abbiamo proprio la febbre nel sangue. Ieri verso le otto della mattina, quando eravamo tutti maledettamente in Chiesa, che come a soldati ci appellano nominalmente e poi ci contano, ed ieri con più rigore per la presenza del sotto intendente di Pozzuoli che è qui da cinque giorni, un vapore si presenta vicino alla piccola spiaggia addimandata Gallinaro, pochi passi discosta dal porticciuolo, ci si ferma mezza ora e quindi prende la rotta verso Sud. Nessuno dei relegati l’ha visto. Stamane alle cinque del mattino due Vapori Regi carichi di truppa si accostano a quest’isola.
Dal Comandante di essa, Generale de Roberti si chiede informazioni del Vapore di ieri (e cosa ne fosse di questi relegati) e dopo prende le mosse con i due pacchetti verso sud est. Ora questo deputato marittimo che avvicinò uno dei due legni, disse qui, avere ei saputo da un sergente suo amico, che era colà fra soldati, come avantieri sera un Vapore venuto da Ponente tolsesi tutti gli ex-militi ed altri relegati in Ponza, dopo tumulti, non senza guasto di persone di case di quel porto, e di quelle autorità. Il Governo troppo tardi essere stato avvisato e correre ora sulla traccia di quell'indiavolato Vapore.
Immaginate in quale orgasmo dobbiamo essere noi! Privi di vostre lettere, male informati di questo avvenimento, in preda a mille congetture, disperati per non aver potuto esser presenti alla comparsa di quel vapore, siamo proprio in un orgasmo che ci divora. Per poco abbiamo sospettato su di esso fossevi l’amico Carlo; ma dopo più matura riflessione siamo andati persuadendoci non potervi esser lui. Dunque chi può essere che abbia potuto avere rapporti con quei di Ponza? Oh purché non fosse un tentativo Murattino qualunque si fosse non mi allarmerebbe!
Per amor di Dio scriveteci tutto e francamente di ciò che possiate sapere, ed affrettate a risponderci onde ci regolassimo.
Accogliete un abbraccio dei vostri Carlo e Giacinto.
___________________
2 luglio 1857
Caro amico — Che è nato dell'avvenimento di Ponza? Sarei desideroso conoscerne lo sviluppo. Io insieme a tutti gli Amici macchiniamo,escluso Ferdinando: Peppino e Luigi sono decisi a fuggire, ed il piano per la fuga è il seguente — Sabato la sera a mezza ora di notte farai venire nel giardino che circonda la prigione al lato di ponente e tramontana: ed a quest'ultimo lato nel sito ove ha fine il fossato vi è un muro di 10 o 12 palmi di altezza, che guarda il lato occidente di detto carcere; colà farai situare una scala per far salire 20 persone armate di pistole e pugnali o altre armature sul pavimento che serve di covertolo all’edificio, colà troveranno molti di noi ad attenderli, e disarmando le due sole fazioni e sentinelle che stanno a guardarci sul luogo indicato, potremo liberamente fuggire. Cerca ancora di fare portare armi per noi.
Riceverai pure la pianta del carcere che col metodo potrai leggere, e vederne la situazione. Rispondimi domani immancabilmente. Ti saluto con il Segretario.
___________________
Napoli 4 luglio 1857
Onorevole cittadino — Per carità, noi siamo sulla brace ardente per non aver ricevuto da voi nessuna notizia. Diteci per amor di Dio ove si trovano gli amici nostri che sbarcarono in Sapri? Son venuti fra voi? Siete voi insorti al loro arrivo? Siete con essi? Lecce e Bari cosa fanno? Per carità, movetevi, dategli aiuto. Pensate che quelli che dirigono il moto, sono di prima influenza militare europea.
Correte fra essi, ingrossate le loro fila. Guarentite questi uomini generosi, questi eroi italiani..
Movetevi qualcuno, dettagliateci tutto. Noi siamo all’oscuro di ogni loro e vostra operazione. Qui si dicono tante cose confuse, nessuna precisione di ciò che è accaduto nella vostra provincia: dettagliateci tutto.
Fategli sapere che Livorno è in rivoluzione; questa è notizia uffiziale pervenutaci di là.
Genova e Bologna si dice essere in movimento d’insurrezione, ma ciò non è per ora che una voce.
Noi questa sera faremo la parte nostra cominciando con una imponente dimostrazione che porteremo all’azione. Avvisatene tutti i punti di vostra relazione. Dio sia con voi, e con noi — Addio di tutta fretta, perché andiamo a prepararci al nostro posto.
___________________
5 luglio 1857
Onorevole cittadino — Oggi non è ieri. L’uomo non degnato della fiducia, che sola poteva salvar la causa, ha fatto sforzi mortali; nulla ha rimasto indietro. Eccovi i fatti.
Seguiamoli — e giudichi poscia chi vuole delle mie opere confortate dal testimonio dei documenti, di probe persone, e della mia coscienza. Quello che ci fu avvisato fu «Se sentite insorgere una provincia mandate immediatamente dagli insorgenti, e subito insorgete piombando sopra Auletta». Io risposi di fuoco contro questo piano. Quelle ragioni a mille doppi erano d’applicarsi al caso, a noi ignoto, dello sbarco, mentre un moto di naturali, infelice che fosse, dura sempre alquanti giorni, e può dar tempo al tempo. È avvenuto appunto che il governo preseppe tutto, previde, provvide. Noi al buio. Il giorno trenta arrivava uffizio a questo Giudice di una banda d’isolani di Ponza sbarcati a Sapri. Così sapemmo una cosa, ma non il vero, non chi fossero, dove andassero.
Ci corse in mente il vostro avviso, si pensò al moto nel Cilento. Spiccai alla ventura la notte dei trenta due a Cavallo. Uno con ordine di volare da voi con mie lettere, l’altro tornare colle raccolte notizie. Ma la sciagura fu più celere del fulmine. La mattina del primo fu l’attacco, la rovina. E tornarono i miei inviati latori di lutto, di sconforto, di scompiglio irreparabile 11 Pur non ristetti — Mandai costà. Mandai contemporaneamente ai paesi maggiori, e più ardenti. Era facile il capire che la mia voce, sì possente il dì avanti, era già divenuta benché senza mia colpa e debole ed irrisa. Ecco la necessità di fare appello al giudizio de' più volenti, porre tutto in mezzo, confortare ciascuno a prendere posto nell'impegno patriottico, ed errare o far bene unitamente.
Ahi! tutto riuscì vano. I più miti dicon follia ritentare la sventura, disordine porta disordine, perduti i bovi cercar le corna, il governo all’erta, i soldati non lontani, con qual metodo, con qual secreto magistero, i nostri sparsi sopra un suolo che ha tre dì di lontananza da capo a capo 122 comuni, due al forte nucleo successa la disfatta, all’ordito del partito lo scompiglio, ogni moto, ogni fiato agitato. 1 più irosi soli han gridato «tradimento». Impossibile tanto disastro senza di esso, o d’infernale incantesimo — Va, e rispondi!! Prima dunque del vostro avviso col messo, io tutto aveva fatto, tutto. Appelli, proclami di fuoco, organamento, provvedimenti insurrezionali — A qual pro? Io sono morto! non so darmi pace — Povera patria; poveri noi!
Potenza ha risposto non avversare, ma non volere iniziare abbattendo con forte colpo il centro della vita governativa provinciale — Voler solo Costituzione — Ma come disorganizzare il centro? Finché esiste chi sarà sicuro che non sieno invasi i raggi e la periferia? Capiteremo la seconda di Sala e Padula? Andare una banda nostra colà? Questo è ciò che riesce ora impossibile. Oggi non è ieri! Un solo sbaglio decide dell’avvenire di un popolo. Lo sapete. Troppo forte è stata la scossa della sventura. Peccato! che bel lavoro era qui. Se toccavano questo suolo or sarebbe mutato il destino d’Italia — Infallibile era il colpo assolutamente. Perché fuggirci? Ribattere la via fatale? Sapevano o no il nostro lavoro? Gli uomini? Le cose? La topografia? Ahi! Intanto sappiate che l’invalido fu qui. Fece credere di essere parati Lecce, Bari, Foggia Gli si è esposta la condizione di questa provincia, di non poter più ora iniziare, ha appreso tutte le ragioni,. e convellimenti della fatale scossa. Si è fatto correre là. Ivi si è più vergine dei nostri turbamenti e trambusti. Che iniziino dunque. Noi abbiamo assicurato il nostro immediato concorso. Si è combinato un piano, un metodo. Se succederà bene, se no null'altra speme — nulla in queste parti. — Scrivete voi pure a Libertini. Chi sa? I moli d’oltremonte resteranno isolati, fiaccati, se pur noi sono già. Tutto il mondo tace. Sicilia, Calabria. Voi avete riconcretate tutte le mire nel già fallito colpo, e si è trascurato il resto. Avete fatto contratto unilaterale. Si è caduto sullo inganno, che all’apparire di un lembo tricolore tutte le genti avessero adorato l’inatteso vessillo.
Ma noi versavamo in organizzazione, che vale concetto, catene, ruote che si muovono per effetto della prima, non a caso, non col mistero. Gli arruolati sono gli agiati, gl’intelligenti, i liberi di anima. La massa insciente doveva seguire a tempo proprio — Che scambio orribile! Ci avrete trattato da gregge cieco, o da corpo di profeti che indovina ed esegua. Che strazio! Che dolore inaspettato! Pisacane ucciso. Chi non cadde in quei dì è certo riparato.
Nessun altro arresto o morte si è intesa. Qui nessuno è capitato. Ci hanno decisamente fuggiti. Perché? Onde tale idea di noi? Dio perdoni tutto.
Ora che fare? Avete comprese le condizioni? La vostra ultima fu scritta in momento di passione. Ma bisogna sangue freddo per pensare al riparo, se è possibile unitevi, meditate. 0 può riuscire il vostro accordo con Lecce, Bari e Foggia non dubitate che faremo. Le vostre parole o calde o fredde, non potranno né accentrare, né arrestare. 0 no, come è più probabile, e che pensate voi? Quali mezzi vi restano? Che può la capitale? Si potesse fare un conato su Salerno e Prigioni; lanciarsi nelle medesime province. Che dice Cilento? potesse andarsi a Malta., raccogliere una banda di vecchi e nuovi compromessi, e ritentare il fato, evitando gli sbagli incorsi. Pensate una cosa. Non attribuite a colpa delle province l’avvenuto, no, no. Il nostro lavorò è saldo, saldissimo ancora. Sbalordite il governo. Ma voi siete più affraliti di noi! Speriamo a vicenda!!
In breve fidate sul concorso della nostra provincia in ogni caso. Delle altre vi ho detto quello che ho saputo. Incumbe a voi di sapere il resto. Sarebbe anche utile
capo, si orizzonterebbe intanto — fidate nella sicurezza completa di costui qua. Ma noi chieggo, sì perché, se l’aveste avuto senza tanti ghirigori l’avreste mandato, almeno per tenere in serbo il piano, occultato a noi, si perché potrebb’essere troppo tardi.
Se non avete mezzi di risorsa, bando alle libidini di vani sacrifici. Riordiremo meglio e per miglior tempo. Si scelga fra due mali il minore. Additatecelo. Rispondete senza ambagi — con calcolo fermo, con lealtà, noi non siamo donne; dite tutto, il bene e il male. Alla patria deve farsi la confessione de' proprii torti. Così si può andare innanzi. Se credete di mandarsi in Calabria, indicateci a chi si deve. Potessimo unirci, intenderci, precisamente sulla necessità di non potere una provincia sola insorgere. Il governo ha appreso che può rovesciare le forze di una sull’altra.
Dateci le notizie interne ed esterne. I nuovi avvenimenti, o buoni o mali di costà di altrove.
Ho mandato nuovamente a Potenza, attendo. Ho in giornata avuto lettere dell’invalido. Dà buone speranze. Ripeto che non ho mezzi. Per quello dovesse farsi, potendo, mandate un sussidio, anche poco. Avrete a suo tempo ragguaglio come le polizze. (Cartelle di Mazzini) sono ancor scoverte! Come niun soccorso si è avuto, si è potuto chiedere a chicchessia. Non si crede. Ma io non mentisco — G.
___________________
Luglio 1857
Onorevole cittadino — Qual tristo fato per quattrocento infelici! Quale scompiglio nell'ordito!! qual vituperio che indarno giova lanciarsi a vicenda in viso quando fora meglio piangere!! Dio, è fatto vostro, o di chi? e se vostro qual discolpa pel mistero a chi doveva cooperare, e saperlo per provvedere a guida pel luogo dello sbarco, od altro; e in caso di sinistro più oltre ancora fare arrivare l’appello prima delle mosse del governo. Sappiamo dalle circolari di questo ai Giudici, che un orda di servi di pena evadeva e sbarcava a Sapri; quindi avessero raccolte tutte le forze urbane nei Capi luoghi. Benché incerti, smarriti tra mille dubbi e sospetti, pure si mandarono in quelle parti due a cavallo alla ventura. Toccano Padula il primo a 16 ore. Era cominciato l’attacco — 3000 urbani gli davan contro. Arriva la trippa a diciotto ore. Fuggono parte in ordine, parte sbandati. Ribattono la stessa via tenuta nel venire!!! Perché non afferrare i nostri luoghi? Dunque luoghi, persone, capi, contadi ignorano. Perché prendere sulla strada nuova senza capo, a quattro miglia dal Capoluogo, Sala, centro di attività governativa che avea da due giorni prima preveduto a rinforzarsi? 11 telegrafo annunziò celeramente il fatto. Si aduna da per tutto forza. Buoni e tristi riuniti sulla scambievole ignoranza. Il pretesto del governo doveva essere eseguito. Dividere gli azzardi era poscia impossibile. È da pensare che se tutti avessero tirato dritto agl'infelici, tutti sarebbero periti in quattro ore di fuoco. Ignoravate voi ed essi che il nerbo dell’insurrezione sta nel frangere le fila del governo, correre sempre! E questo era piano generale! Resta solo nella mente di chi lo concepì, ignoto a tutti, isolato, infecondo di sviluppo? Tutta la illusione è caduta sulle parole spirito pubblico, bisogno sentito. Noi versiamo invece in organizzazione. Le masse nulla debbono sapere, e seguono chi impera nei momenti. Che dire del nome di galeotti dato a costoro? Ira e furore di plebe contro. Chi doveva accreditare la loro missione? Il mistero!!... l’iscienza... Ma non dicevate all’ultimo messo «non è maturo»; invece si fosse mandato in cerca a Salerno dei Capi, e dove trovarli, come? messo che vi fosse stato il tempo. Che caos. Io sono senza mente.
Dopo gli annunzii de’ corrieri muover noi era portare al macello i pochi con cui nella strettezza del tempo, nello sconcerto, fra i dubbi di tutti poteasi accorrere; strano era marciare a Padula, sito sconfitto, forte di cinque mila uomini, d’onde erano già fuggiti i nostri (se nostri). Gire a Potenza peggio, ove stava l’apparecchio che presentava Sala. È stata necessità salvare l’organizzazione, tenere l’accaduto come un episodio o staccato o lacrimoso del fenomeno — profittare della triste lezione, forse del sonno in cui potesse cadere il governo dopo gli evviva onde suonano i paesi insanguinati, la fede degli urbani, il silenzio delle altre provincie. Ma ahi! che questo indarno, — ora rigori e macelli peggiorano. Io nello squallore attuale di tutti non so giudicare che possa o debba farsi, e se presto, o fare acchetare lo sconforto, rimandando l’attuazione in altra stagione. Dite la parte vostra. Quali speranze e timori dentro e fuori, come riparare. Il silenzio del Cilento mi fa pensare. Credo ciò? Diceva vero il Salese — vero il Padre, che fino agli ultimi tempi non ci era nulla, tranne il poco di V… perduto con la sua persona. Si è verificato a riflesso quello che sotto metteva al vostro giudizio di risposta alla lettera: al vago accenno ad insurrezione di una provincia. Quale? Come? Dove? È fosse stato il cielo, e fosse insorta coi capi locali — Conoscitori dei luoghi, e degli uomini non avrebbero sbagliato quei traditi avventurieri. Fidare solo sul soccorso proprio, trascurare il resto, come gente mutile, non intelligente. Dio ve lo perdoni. Vedremo da noi che può raccapezzarsi. Si potesse dare una scossa costà, qualunque avvisare — pensate voi. Io sono annichilito dalla stranezza. del caso — dalla sfiducia avuta da voi in me, che pur forse più di tutti vi ho date prove.
Manderò fra pochi giorni un altro. Se non potrò scrivere dite a lui a voce. É nostro fidato, non temete come per lo passato. Ahi! sono stato infausto Profeta. Fate che al ritorno vegga il latore il Padre. Sia ora, sia appresso che debba riprodursi cosa, se avete mezzo, mandate una somma.
Ci è necessario, indispensabile comprare un cavallo. Io qui sono dissanguato. Ninno ba concorso, niuno. La vacuità della mia missione mi ha fatto restio di ricorrere ad altri, anche ad evitare pubblicità. Cresce ora di più questa ragione. Fate una polizza, e rimettetela pel latore senza dir nulla, per ragioni che comprenderete.
É arrivato stanotte l’invalido. Promesse di quelle parti — Ma niuna lettera di Libetta (Libertini) anzi dice di non averlo visto dal 12. La disperazione avrebbe voluto fargli dare passi imprudenti. Un mare di progetti con lui. Proclamare il figlio Murat — Io non ho osservato cose solide — approfondite — Molti arresti colà. In caso di uno di loro trovatosi tutto, fino il ritratto. Ci regoleremo con lui, ma con prudenza — Addio.
___________________
Napoli 1 luglio 1857
Onorevole cittadino — L’Ora delle divine speranze è venuta; la novella vi sarà di essa arrivata dal rombo delle mille voci, dal sublime battito de' vostri cuori, prima che da Basilicata vi avessero spedito velocissimo messo. Io credo per fede d’amore e di stima che avete già infrante le ignominiose catene della tirannide, e ciascuna autorità che ne era l’anello distrutta, e voi numerosi entusiasti tremendi in marcia verso i primi insorti. Dio è con noi, la fucina delle tristizie sprofonda nello abisso. Se non siete insorti, fatelo, ve lo dice il dovere, l’onore, il sentimento, la vostra salvezza, quella della Patria. Sul campo troverete il più eletto nucleo delle sommità militari e politiche dell’epoca, raggiungetelo, essi non verrebbero da voi a trarvi al dovere, crederebbero onta d’Italia quando gl’Italiaui non accorrono al più gran momento dell’epoca, all’iniziativa del preparato riscatto del mondo oppresso. La vittoria ci congiunga pel bene della Patria, o la morte coroni i nostri sforzi.
L’Italia per gl’Italiani. Gl’Italiani per essa.
___________________
28 giugno 1857
Onorevole cittadino — li momentaneo intoppo quantunque provveniente da disastro, pure è stato produttivo di robustezza maggiore e siamo di nuovo all'antica impresa e sollecitamente. Voi dovete da ora far tenere pronti in Sapri i medesimi uomini, ed i medesimi apparecchi che teneste pel giorno 13; perché non è stato più possibile ottenere determinazione del giorno ed ora che si effettuirà il disbarco, ma accadrà nel corso di pochi giorni, e potrebbe effettuirsi anche dimani. Questa falsa posizione d’imprecisione di tempo potrebbe riescire dannosissima, se immediatamente non si prepara tutto l’occorrevole, e come fu già stabilito pel disbarco che dovea avvenire il dì 13. Vi raccomando perciò spedire immediatamente persona a vostro nipote, perché desse le opportune, istantanee disposizioni per l’adempimento d’ogni cosa. Sono stretto dal tempo per dirvi altro; ma fido completamente nell’ardenza del vostro patriottismo, nello immenso zelo che vi distingue, e sovra ogn’altro nell’imponenza e gravezza del fatto, che v’imporrà certo più delle mie parole — Salute, sollecitudine e secreto sommo; ciò è vita. Addio.
___________________
Carceri di Salerno 30 giugno 1857
Onorevole cittadino fratello — Mi affretto a rispondere alla vostra in data di ieri arrivatami pel vostro messo or ora. Quella di ier l’altro 28 non mi è giunta perché non so dirvi. In questo momento stesso spedisco per un legno apposta corriere a mio nipote, perché facesse quanto occorre nell'attenzione dello sbarco, siccome precisamente fu altra volta. Vivete sicuro di ciò. Ieri a mezzo giorno è partito per le Calabrie il Battaglione qui stanziato, perché il telegrafo elettrico segnò che ieri stesso a 13 ore avvenne colà un disbarco seguito da rivoluzione, ciò per notizia. I vapori li abbiamo anche noi visti passare di qui.
Stanotte è passata qui forza per dirigersi alla volta di Calabria e Cilento. Niente più di questo mi so. Questa neghittosa Salerno non vuol saper niente, come sempre vi ho detto. Il popolo farebbe, ma: i dottrinarii sono negativi. Se potete voi farci venire una forza che li scuotesse, sarebbe utilissimo, se no niente aspettatevi. In questo momento si dicono tante cose confuse del Cilento, si parla di attacco con la forza, di Gendarmeria disarmata, ma non ho certezza e non mi piego a crederlo. Addio. Vi abbraccio ecc. ec.
___________________
Carceri di Salerno 2 luglio 1857
Onorevole cittadino e fratello — Ieri ricevei la vostra del 28 p. p. giugno. Ne avevo di già informato mio nipote. Sappiamo essere avvenuto lo sbarco in Sapri. Ora che sono le 10 a. m. ricevo l’altra vostra con data di ieri. Trasmetterò i vostri incoraggiamenti a mio nipote, ed agli amici del Vallo di Diano, lo mi fremo di rabbia per non potermi trovare a combattere sotto la patria bandiera generosamente alzata dai fratelli di Calabria e di Basilicata. Io mi sento ardere le vene e le ossa dalla febbre d’azione. Ma non vi è speranza che mi togliessero da questa bolgia. Ribocco di giubilo per le assicurazioni che mi fate della imminente rivoluzione di cotesta capitale. Iddio vi aiuti! Iddio vi protegga 1 Pensate escogitare come farci uscire di qui, almeno quando ferve costà la lotta, perché noi generalizzeremo la rivoluzione per la provincia tutta. Io non ho che far più. Commetto, prego, invito perché facessero, ma la mia presenza frutterebbe ben altro che la parola. Tentate una scorsa in questi casali. I miei sforzi sono stati vani. Potendo uscire noi abbisogneremo d’armi e munizioni.
Viva l’Italia. Addio — M. M.
FINE
(1) Vedi Doc. n. 4.
(2) Queste idee si trovano nitidamente sposte nelle lettere che Giuseppe Fanelli scriveva al Mazzini, vedi Doc. n. 4 in principio.
(3) Mi piace di ripetere le stesse parole che scriveva da Napoli il Comitato al Mazzini. Doc. n° 4.
(4) Più appresso. Doc. n° 4.
(5) Vedi Doc. n. 1.
(6) Vedi Doc. n. 2.
(7) Vedi Doc. n. 3.
(8) Vedi Lettera, n. 11.
(9) Vedi Documento, n. 11.
(10) Vedi Documento sop.
(11) Documento, idem.
(12) Vedi Lettera del 3 marzo scritta dal Pisacane a Fabrizj, vedi Docum. n° 14.
(13) Vedi Docum. n° 9.
(14) Vedi Docum. n° 9.
(15) Idem.
(16) Vedi Docum. n°4.
(17) Docum. n° 4, pag. XII.
(18) Il lettore ne è già informato trovandosi i pensieri manifestati in quella lettera del Comitato già da me svolti finora nella presente narrazione.
(19) Doc. n° 5.
(20) Doc. n° 10, pag. XXX.
(21) Vedi Doc. cit. pag. XXV.
(22) Vedi Doc. cit., pag. XXIX.
(23) Vedi Doc. n° 10, pag. XXV.
(24) Doc. 12, § 3.
Doc. cit. § 4.
(26) Idem.
(27) Idem.
(28) Idem.
(29) Doc. n° 13.
(30) Doc. idem.
(31) Doc. n° 13.
(32) Doc. n° 15..
(33) Vedi Doc. n° 14.
(34) Vedi Doc. n° 14.
(35) Vedi Doc. n° 6.
(36) Vedi Doc. n° 7.
(37) Doc. n° 8.
(38) Doc. n° 9 e 10.
(39) Doc. n° 14.
(40) Doc. n° 6.
(41) Doc. n° 8.
(42) Doc. n° 21.
(43) Doc. n° 21, in fine.
(44) Doc. n° 17, 26 marzo 1857.
(45) Doc. n° 24, lettera del 2 aprile.
(46) Vedi Doc: n. 32 lettera 20 febbrajo.
(47) Idem.
(48) Doc: n. 35.
(49) Doc: n. 34, lettera del 6 marzo.
(50) Idem.
(51) Doc. n° 32, lettera di febbrajo 1857.
(52) Vedi Doc. n° 21.
(53) Doc. stesso.
(54) Vedi Circolare in fine.
(55) Vedi Doc. n° 18, 22, 27 e 32.
(56) Doc. n° 17.
(57) Doc. Idem.
(58) Vedi Doc. Idem.
(59) Lettera del 23 marzo da Tunisi Doc. n° 17.
(60) Doc. idem.
(61) Doc. idem.
(62) Vedi infine doc id. § 9, dove formola la medesima idea.
(63) Doc. idem.
(64) Doc. n° 25 e 26.
(65) Vedi Doc. n° 26.
(66) Vedi Doc. n° 25 in fine.
(67) Vedi Doc. n° 25, pag. 81.
(68) Vedi Doc. n° 26 in fine.
(69) Vedi Doc. idem.
(70) Vedi ancora Doc. 32.
(71) Vedi Doc. n 27.
(72) Doc. 27 in fine.
(73) Doc. 31.
(74) Vedi Doc. n° 32.
(75) Vedi Doc. n° 41.
(76) Vedi Doc. n° 39.
(77) Vedi Doc. n° 39.
(78) Doc. id. 41.
(79) Vedi Doc. n° 28.
(80) Doc. n° 41.
(81) Vedi per tal fatto la nota al Doc. 6 in fine.
(82) Doc. idem. 41.
(83) Nella fine di questa lettera in un poscritto ritornando il Fabrizj su tale fatto delle scadenze assicura il Fanelli aver egli motivo di credere che vadano naturalmente secondo il suo desiderio.
(84) Non posso non richiamare il lettore a riscontrare le parte ultima di questa lettera dove il Fabrizj parla così acconciamente degli assurdi e ridicoli sogni per Murat contraddetti dalla logica più semplice e dalla notorietà dei fatti. Vedi Doc. cit. in fine.
(85) Ved. Doc. 29.
(86) Doc. n° 42, lettera del 21 aprile 1857.
(87) Vedi doc. 43.
(88) Vedi Doc. N» 32 in fine e Doc. N° 43 Pag. 126.
(89) Vedi Doc. 43 cit. in fine.
(90) Doc. cit.
(91) Ved. Doc. N 45.
(92) Doc. idem in seguito Pag. 131.
(93) Vedi Doc. 43 citato di sopra dove Pisacane manifesta che anche essi erano stretti a Genova da mille ostacoli, e che dovendo operare non all’aperto le opportunità non erano a loro disposizione.
(94) Vedi Doc. n° 39.
(95) Doc. N” 44.
(96) Vedi Doc. 37 - 7 Marzo 1857.
(97) Doc. 4950.
(98) Vedi Doc. Idem.
(99) Vedi Doc. 49.
(100) Vedi Doc. idem e Doc. 42, 51 ec.
(101) Vedi Doc. n° 50 in cui il Fanelli svolge a lungo l’idea che un movimento isolato non sarebbe stato seguito.
(102) Vedi Doc. idem.
(103) Vedi Doc. n° 40.
(104) Doc. n° 42.
(105) Doc. n° 46.
(106) Doc. n° 47.
(107) Vedi Doc. n“ 53.
(108) Vedi Doc. n° 57.
(109) Vedi Doc. 40, § 1.
(110) Doc. idem § 1.
(111) Doc. n(o) 42.
(112) Doc. Idem.
(113) Doc. Idem.
(114) Doc. n° 46.
(115) Vedi Doc. n° 46
(116) Vedi Doc. n° 40.
(117) Vedi Doc. n° 53.
(118) Vedi Doc. n° 57 in fine.
(119) Ved. Doc. 47.
(120) Doc. 46 Princ. e nota.
(121) Doc. n° 51.
(122) Doc: 51.
(123) Vedi Doc. n° 61.
(124) Vedi Doc. n° 61.
(125) Vedi doc. idem pag. 186.
(126) Vedi Doc. idem in fine.
(127) Vedi Doc. cit. pag. 176.
(128) Vedi Doc. n° 85.
(129) Vedi Doc. n° 62.
(130) Vedi Doc. n° 90.
(131) Vedi Doc. 53.
(132) Vedi Doc. cit. 53.
(133)Vedi Doc. n°48.
(134) Doc. 55.
(135) Idem.
(136) Doc. 55.
(137) Vedi Doc. n° 64.
(138) Doc. n° 65.
(139) Doc. n 66.
(140) Doc. 66.
(141) Vedi Doc. n° 75.
(142) Doc. 55.
(143) Vedi Doc. 85.
(144) Doc. Idem.
(145) Vedi Doc. idem.
(146) Vedi Doc. n° 57.
(147) Vedi Doc. 60.
(148) Vedi Doc. 92.
(149) Vedi Doc. n° 94.
(150) Vedi Doc. 93.
(151) Vedi Doc. n° 95.
(152) Vedi Doc. n° 96.
(153) Vedi Doc. n° 82.
(154) Vedi Doc. n° 83.
(155) Vedi Doc. n° 84.
(156) Doc. 76.
(157) Doc. 77.
(158) Doc. 78. Qui rinvio il lettore alla nota apposta a questo documento, che è la lettera dell’Albini, ed alla dichiarazione in essa contenuta.
(159) Doc. 67.
(160) Doc. 68.
(161) Doc. 69.
(162) Vedi Doc. n° 64 e nota.
(163) Vedi Doc. n° 69 in fine.
(164) Doc. n° 70.
(165) Vedi Doc. 94.
(166) Vedi Doc. 74.
(167) Vedi Doc. 91.
(168) Vedi Doc. n° 91.
(169) Vedi sopra Doc. 78 e 79.
(170) Vedi Doc. 89.
(171) Vedi Doc. n° 59.
(172) Vedi Doc. 63.
(173) Vedi Doc. 63.
(174) Vedi Doc. n° 98.
(175) Vedi Doc. n° 99.
(176) Vedi Doc. n° 100.
(177) Vedi Doc. n° 90.
(178) Vedi Doc. n° 90 verso la fine.
(179) Vedi Doc. 103.
(180) Vedi Doc. 102.
(181) Vedi Doc. 102 citato.
(182) Vedi Doc. 102.
(183) Doc. 105.
(184) Vedi Doc. 105 cit.
(185) Vedi Doc. 104.
(186)Vedi scritto di Giuseppe Mazzini.
(187) Vedi Doc. n° 85.
(188) Vedi Doc. n° 106.
(189) Vedi Cronaca sopra.
(190) Vedi doc. 10 e 12, e pag. 53 a 55 della Cronaca.
(191) Vedi Doc. idem.
(192) Vedi Doc. n° 111.
(193) Vedi documento n° 111.
(194) Vedi Doc. n° 106.
(195) Vedi Doc. idem n° 106.
(196) Vedi citato documento n° 111.
(197) Vedi Doc. n° 109.
(198) Vedi Doc. n° 111.
(199) Vedi Doc. n° 84.
(200) Vedi Doc. n 85.
(201) Vedi Doc. n 86.
(202) Vedi Doc. Idem n 86.
(203) Doc. 87.
(204) Vedi lettera del 26 Giugno. Doc. 88.
(205) Doc. 72.
(206) Idem.
(207) Doc. 80.
(208) Vedi Doc. 81.
(209) Vedi Doc. 107.
(210) Vedi Doc. 108.
(211) Vedi Doc. 110.
(212) Noi caviamo questi ragguagli da una relazione autentica dello stesso Fabrizj intorno alla spedizione di Sapri inviata da lui al Generale Giuseppe Garibaldi, e pubblicata nell’anno. 1864, nella quale il leggitore, ove voglia riscontrarla, troverà accennati gli stessi fatti, che nella presente cronaca ampiamente sono svolti e narrati. Questo scritto è intitolato «La spedizione di Sapri e il Comitato di Napoli» — Al Generale Garibaldi — Relazione di Nicola Fabrizj — Napoli Tipografia dell'Arno 1864.
(213) Vedi Fabrizj scritto citato, pag. 13.
(214) Vedi Doc. 111.
(215) Vedi lettera a Fabrizj, Doc. 111.
(216) Vedi Doc. 111.
(217) Doc. 112.
(218) Vedi Doc. citato, e scritto di Mazzini.
(219) Vedi Doc. 112.
(220) Vedi pag. 153 Cronaca e Doc. 111.
(221) Pag. 154 Cronaca e Doc. 109.
(222) Vedi. Doc. 113.
(223) Vedi Doc. 113.
(224) Vedi Doc. Idem 113.
(225) Vedi Doc. 122.
(226) Vedi Doc. 114.
(227) Vedi Doc. 121.
(228) Vedi Doc. n° 123.
(229) Vedi Doc. 123 citato.
(230) Vedi Doc. 109.
(231) Vedi doc. N. 115.
(232) Vedi doc. N. 121.
(233) Vedi doc. N. 149.
(234) Vedi doc. N. 120.
(235) Ho creduto premettere queste tre lettere delle Provincie ai documenti tra il Comitato e l’Estero per dare un’idea al lettore della relazione e dei lavori che già primo esistevano nel Napoletano.
(236) Accenna al fatto di Agesilao Milano.
(237) Si accenna qui principalmente a Nicola Mignogna — Vedi Cronaca pag. 31.
(238) Vedi Cronaca pag. 36 dove è narrato il fatto.
(239) Ponga ben mente il lettore ai sentimenti qui espressi con tanta convinzione contro il Murattismo, perché molti che ora si sono camuffati da Unitari e lussureggiano al Potere, in quel tempo erano spietati Murattisti — Il vanto del Concetto Unitario nessuno può toglierlo alla Democrazia Italiana.
Per evitare equivoci e lungaggini si ritenga che quante volte si nomina Carlos’intende parlare di Pisacane.
(241) Si ricorderà il lettore ciò che io ho detto nella Cronaca, essere il Fanelli latitante dopo il tentativo di Agesilao Milano, ed essere imprigionato il chiaro Patriota Giovanni Matina autore della proposta di Ponza.
(242) Conosce già il lettore esser questo uno dei nomi che Giuseppe Fanelli aveva assunto nella cospirazione.
(243) N. B. È indispensabile di avvertire il lettore che la parte più riservata di questa e di tutte le rimanenti lettere era scritta in cifra e specialmente in numeri, al che si prestava molto il linguaggio commerciale. Fedele nel rimanerne intatta la locuzione e tradurre solamente le cifre col metodo allora stabilito, invito il lettore a riportarsi alla necessità di tale fraseologia per non giudicarla strana come apparirebbe senza questa osservazione.
(244) Per notizia del lettore credo dover chiarire che l’Egregio Patriota Enrico Cosenz ora Generale aveva rimesso al Comitato una Credenziale per un Signore in Provincia, dal quale egli credeva che avesse potuto ottenersi del danaro per la causa liberale — Ma per vari incidenti non fu possibile al Comitato di giovarsi di quella Credenziale.
(245) La delicata posizione di Storico contemporaneo mi ha imposto la riserva di far rimanere i nomi accennati nella presente lettera con le sole iniziali come trovansi nell'originale, servendomi tale sistema per norma in tutta cotesta pubblicazione.
(246) Il Fabrizj per deludere qualunque vigilanza Governativa fingeva di mandar da Tunisi le lettere ad Ancona, ed oltre allo stile commerciale sottoscriveva col nome di una Società di Commercio, e per far tutto d’accordo metteva una data anteriore alla vera che potesse, realmente far credere alla distanza. Il lettore per conseguenza dopo questa spiegazione riterrà da ora in poi tutte le lettere del Fabrizj portare la differenza di 15 giorni dalla data vera all’apparente.
Con tale anagramma era conosciuto il Coseni.
(248) Si ricordi il leggitore esser questo uno dei nomi di che Fanelli si serviva nella cospirazione, e specialmente nella corrispondenza con le Provincie.
(249) Per buona fortuna le carte che aveva con sé Fanelli in quell’occasione erano poche, risguardanti antecedenti e notizie ch’egli doveva riscontrare per scrivere a Pisacane. Onde io non ho potuto avvertire altro se non la mancanza di due o tre lettere. Nientemeno trovandosi queste ripetute e svolte nelle altre successive, tal fatto non nuoce punto né alla cronaca né al leggitore.
Doc. n° 1. e nota pag. LXXIX dei Documenti.
(251) Ci manca una parola che non si è potuta capire nell’autografo.
(252) Si accenna qui e altrove dal Fabrizj, parlando del lavoro artistico, ad un ritratto in litografia di Agesilao Milano.
(253) Accenna qui il Fabrizj alle relazioni ch'essi avevano strette con persone politiche Inglesi per propagare e chiarire presso quel Governo le idee ed i principi del Partito d’Azione. Ed a tale proposito avendo io rinvenuto nelle carte del Comitato un Memorandum passato da Fanelli a cotesti. corrispondenti Inglesi, stimo opportuno di riportarlo qui appresso. Gioverà ciò moltissimo non solo a far vedere l'accorgimento ed il tatto onde era concepito, ma i principi immutabili che ha sempre predicato e che formano la Gloria della Democrazia Italiana.
(254) Il Fabrizj dal fatto di potersi negare gl’imbarchi ai compromessi che volevano emigrare, trae ragione a spingere sempre più l’Inghilterra a favorire il partito Nazionale e deprimere il Murattismo.
La data deve ricadere alla fine del mese di aprile perché allora Fanelli ne annunzia la ricevuta a Pisacane.
In fronte a questa lettera di Pisacane si legge trascritta una lettera di Mazzini dopo la quale Pisacane incomincia la sua al Comitato di Napoli.
(257) Questa cifra significherebbe propriamente estero. Pare che dovrebbe spiegarsi una operazione dall'estero.
(258) La parte che si trova qui in cifre la trascrivo materialmente perché non si può spiegare con nessuna fattura.
(259) Era questo un nome assunto da Fabrizj.
Era costui un tale a nome B. R. come viene nominato appresso che fu spia dipoi del Governo Borbonico, e nel 1860 per campare dall'ira popolare fuggì in America dove si ritrova.
Non si comprende la parola, pare che dovrebbe dire stabilito.
(262) Qui si avverte una differenza di nome e casato nell'indicare il detto Canonico, che non so come spiegare.
(263) Questa lettera fu rimessa al Comitato dall’Egregio Giacinto Albini a quale fu inviata da Libertini, come accenna egli stesso nella lettera seguente. Ed il sig Albini assicurando il Fanelli dell’autenticità di tale lettera spedita per suo mezzo gli scriveva la lettera che per la verità dei fatti sono indotto a pubblicare.
Mio caro Fanelli,
Ricordo molto bene la lettera del Libertini di cui mi mandi copia. Per tua intelligenza fo avvertire, che la suddetta lettera, la quale portava la data del 6 giugno, fu portata dal mio paesano Giacinto Infantini in Montemurro, ed in sua casa fu da me fatta trascrivere in inchiostro simpatico per farla capitare con sicurezza al Comitato di Napoli. Aggiungo che fu abbreviata in diversi periodi, che mi parevano non contenere cose di rilievo.
Napoli, 10 settembre 1864
Tutto tuo
G. Albini
(264) Trattandosi di storia contemporanea non ho creduto di dover mettere a stampa questa nota di nomi che formavano il comitato di Lecce.
(265) Manca una parola.
(266) Il brano trascritto della lettera d’Agresti senza ripeterlo qui può il lettore trovarlo nella lettera seguente di Agresti del 20 maggio in fine dove incomincia, «L'Isola di Ponza è distante da Ventotene» fino alla fine. Dell’altra lettera mandata originalmente dal Fanelli a Pisacane non ho potuto trovar traccia nelle carte del Comitato ed a ragione. Nullameno posso soddisfare alla curiosità del leggitore, in altro modo.
Nell’atto di accusa fatto contro i detenuti di Sapri nel Giudizio innanzi alla Corte Criminale di Salerno trovansi trascritti alcuni brani di carte rinvenute sul cadavere dell’immortale Carlo Pisacane. Tra questi si leggono moltissime notizie che il Comitato aveva trasmesso a Pisacane sulle forze, sui luoghi, sulla marina regia ecc. e sopratutto esiste l’intiera lettera del 29 maggio dal Comitato inviata al Pisacane (Vedi Documento precedente) più la lettera d’Agresti inviata originalmente. Con tutta la sicurezza ed autenticità posso pubblicare dopo la seguente lettera in data del 20 maggio 1857 l’altra che mancava nei Documenti del Comitato.
(267) Di questa lettera diretta al Mazzini fu mandata copia al Comitato.
(268) Questa lettera pare diretta ai Fratelli Pisani, ma non mi è riuscito di spiegarne la cifra.
(269) Era un piccolo modello dell’Ergastolo ove si trovava.
Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura! Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin) |
![]() This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License. |
Ai sensi della legge n.62
del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata
giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e
del Webm@ster.