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UN’OPERA DI CARLO CATINELLI. CHI ERA COSTUI? di Zenone di Elea

CIVILTÀ CATTOLICA

ANNO DECIMO

Beatus populus, cuius Dominus Deus eius.

PSALM. CXLIII, 18

VOL . II.

DELLA SERIE QUARTA

ROMA

COI TIPI DELLA CIVILTÀ CATTOLICA

1859

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RIVISTA DELLA STAMPA ITALIANA

Scritti intorno alla Quistione italiana

Volendo dall’ una parte tenere i nostri lettori al corrente dei vari scritti, che in Francia e in Malia si vanno pubblicando sopra la così detta Questione italiana,di cui tutti gli animi sono più o meno preoccupati; e non potendo dall’altra esaminare ciascuno di essi separatamente (il che richiederebbe assai più spazio che il nostro Periodico non comporta); siamo venuti nel pensiero di fare come una rivista complessiva, che dia qualche contezza almeno dei più notevoli, e faccia vedere quali fantasie vadano frullando pel capo ai nostri agitatori politici.

E cominciando dagli scritti francesi, ci si presenta in primo luogo un libretto in 56 pagine del sig. de Girardin, intitolato La Guerre, nel quale si prende a confutare il noto opuscolo di La Guéronnière: Napoléon III et ll’Italie.

Il de Girardin mostra passo passo la falsità e l’assurdità. delle idee contenute in quell'opuscolo, e l'assoluta mancanza di senso pratico che vi si mostra. Che si pretende? egli dice. Pacificare l’Italia. Ma che? è forse in guerra l'Italia? Avesse per avventura sbagliato il calendario, sicché invece dell’anno 1859 dovesse leggervisi il 1849, e ci trovassimo alla vigilia della battaglia dì Novara (1)?

Bisogna stare alla pubblica opinione. Sì! Come la conoscerete voi? Dallo schiamazzo di quattro scrittori o dal baccano d'alcuni studenti (2)? Sì vorrebbe costruire perfettamente la nazionalità italiana. Benissimo; ma costruire una nazionalità, lasciando altre nazionalità senza costruzione, si è un far trionfare non l’indipendenza ma l’iinconseguenza (3) . E non vanta la Polonia almeno gli stessi titoli che l’Italia, e non si trova senza paragone più soggetta? E se è ingiusto che un Principe straniero abbia sovranità sopra altra nazione; perché(1) la Francia non abbandona l’Algeria, e l’Inghilterra le Indie (4) ? Comepoi v’impromettete voi d’impedire l’elemento rivoluzionario, che si mescolerà senza fallo all’elemento nazionale? La sola presenza di Garibaldi, che si dice arrolare già una legione, dee porvi in sospetto? E se Mazzini previene o seguita le nostre bandiere, lo tratteremo noi dà alleato o da nemico? Se da nemico, che penserà l’Italia? Se da alleato, che penserà l'Europa (5)? Infine la confederazione degli Stati italiani, che si propone, sotto la presidenza del Papa, è una vera ridicolaggine. Se questa presidenza è meramente nominale, il Papa non sarà libero, ma soggetto alla volontà della Confederazione. Se poi non è nominale ma reale, come resterà distinta in faccia al mondo cattolico l'autorità spirituale dalla temporale (6)? Si ricorrerà al sistema costituzionale? I fatti del 48 v'insegnano quant'esso valga. Queste riflessioni sono assai giuste e meritano d'essere ponderate da chiunque ha tuttavia sano l'intelletto. I liberali non vorrebbero che si movessero per ora simili questioni; ma le coscienze cattoliche vi sono interessate, ed esse non son disposte a farsi uccellare balordamente.

Il de Girardin si fa un’obbiezione; ed è che il Piemonte si è talmente inoltrato, che oggimai non potrebbe ritirarsi dal, muover; guerra, senza che il conte di Cavour si ritirasse dal Ministero, e il Re abdicasse la corona. Egli risponde che questa è una pretta esagerazione. L’uomo di senno non dee lasciarsi guidare dal puntiglio, ma dalle regole della prudenza, tollerando con coraggio civile che contro di lui brontoli la maldicenza. Vittorio Emmanuele può continuare ad assidersi sul trono e il suo primo Ministro a reggere lo Stato, disprezzando le ciarle degli avventati o malevoli. Né l'ambizione del conte di Cavour dee credersi lesa per andar a vuoto il disegno di guerra; giacché egli dee star contento a due grandi fatti per opera sua digiàcompiuti: la spedizione del contingente piemontese in Crimea, e il matrimonio della Principessa Clotilde col Principe Napoleone. Il primo di tali fatti ha elevato il Piemonte da Potenza di terz’ordine a Potenza di prim’ordine (7); il secondo equivale ad un esercito (8).

Essi dunque bastano ad immortalare il sig. Cavour. Ed in vero che potrebbe un piccolo Stato pretendere di più da un suo Ministro, che vedersi per opera di lui elevato a Potenza di prim’ordine, e fornite d’un esercito, che per giunta non costa nulla all’erario? Il conte di Cavour cessi dunque dagli apprestamenti guerreschi, e non aggravi lo Stato di nuovi debiti. 

Il sig. De Girardin adunque si dichiara per la pace e consiglia fede e pazienza. L’ora dell’affrancamento non è giunta; echi per affrettarla urta con la mano l’indice sul quadrante dell’oriuolo, non accelera il tempo, ma ne falsifica l’indicazione (9). Sotto un solo aspetto l'Autore non è alieno dall’approvare la guerra, ed è se questa si volga non ad affrancare l'Italia, cosa chimerica e che non durerebbe, ma ad. allargare l'Impero francese, restituendogli le perdute frontiere e vendicandolo del rovescio di Waterloo (10). Ma in tal caso converrebbe collegarsi colla Russia, ed aver dichiaratamente nemiche l’Inghilterra. e la Prussia (11). Egli ricorda a tal proposito l'idea annunziata dal Persigny nel 1834 della divisione dell’Europa in due Imperi, l’uno occidentale (il francese), l’altro orientale (il russo ), ed i pensieri di Napoleone I intorno all'unificazione di tutta l'Europa. Così egli suggerisce di sostituire all’idea italiana l'idea napoleonica (12); il che gli sembra tanto più giusto, in quanto che la Francia sola tra le grandi Potenze europee è rimasta al di sotto di quel che possedeva nel 1740, mentre tutte le altre quattro Potenze si sono accresciute. Soprattutto l'Inghilterra è divenuta onnipotente pel dominio de' mari; il che nuoce massimamente alla Russia. Quindi l'Autore termina il suo libro con questa alternativa: Ou la Guerre avec ses conquêtes, ou la Paix avec ses progrès.

Più, vasto è il sogno dei sig. Federico d’Hainault nel suo libro intitolato l’Avvenir de l’Europe cito perciò contiene quindici pagine di più. In esso l’Autore dopo aver annoverati i torti del Congresso di Vienna; da cui l'Inghilterra è quella che ha tratto il profitto maggiore, e dopo aver descritta la presente irrequietezza degli animi, propone come rimedio di restringere l'Inghilterra nel cerchio delle sue acque naturali e cancellarla dal novero delle grandi Potenze continentali (13). Il Continente poi d’Europa dovrebbe dividersi in tre parti, secondo le tre grandi razze, a cui appartengono i popoli che lo abitano; vide a dire la razza latina, la germanica e la greco-slava; là prima unirebbe in una sola confederazione Francia, Spagna ed Italia; la seconda abbraccerebbe tutti gli Stati alemanni; la terza stringerebbe tra loro la Russia, la Grecia, eccetera. La prima avrebbe la religione cattolica, la seconda la protestante, la terza la greco-scismatica. Come vedete, l’Autore trincia francamente anche le coscienze dei popoli: figuratevi se si spaventi delle difficoltà etnografiche e geografiche. Egli scontrandosi in alcuni popoli alquanto anfibi!, subito trova il posto da collocarli.. L’Olanda diventi tedesca, il Belgio francese i Rumeni slavi. Preso; poi in mano il mappamondo e tirando non più che due linee ora rette, ora oblique, ora a zigzag sull'Europa, vi dà belle e precise le tre divisioni del suolo. 

Poco dissimile dal precedente e un altro opuscolo, di egual mole, intitolato: Un Congrés et non la Guerre. In esso si osserva che il mondo politico presente è appoggiato a due trattati: a quello di Vienna del. 1815 e a quello di Parigi del 1850. Il primo è lesivo delta Francia, il secondo della Russia; Dunque bisogna stracciarli ambedue (conseguenza naturalissima); e assestare l’Europa sopra altra base. Questa base dovrebbe essere la creazione di tre grandi Stati continentali, formati, da tre grandi gruppi: il gruppo franco-romano il gruppo germamo-teutonico, e il gruppo russo-slavo. 

I popoli che non possono ridursi ad essi; formerebbero varii Staiti di secondo ordine, obbligati a neutralità assoluta. L’Inghilterra resterebbe. Potenza marittima, ma bilanciata nello sue forze dalla flotta riunita dei tre grandi Stati continentali. Così non solo la quistione italiana resterebbe sciolta (e chi ne dubita, poiché l'Italia diventerebbe appendice della Francia?), ma resterebbero ancora sciolte tutte le altre quistioni; eccetto, s'intende, le nuove che dalla soluzione stessa risulterebbero. La sola cosa, che l'Autore chiede in visceribus, si è che in ninna guisa si venga a fare guerra per ciò, ma che la faccenda si risolva in un Congresso politico; giacché a qual fine correre alle uccisioni, alle stragi, e a tutti gli orrori di una guerra, mentre le cose possono aggiustarsi pacificamente? La petizione dell'Autore è giustissima; massimamente che qui alla fin fine non trattasi che d’una bagattella. 

Alle pacifiche intenzioni del prelodato anonimo è del tutto opposto un opuscolo intitolato: La Guerre c’est la Paix, che il sig. De la Forge dirige contro le utilitarie proposte del sig. de Girardin. Egli sostiene che la Francia dee intraprendere la guerra per mero spirito cavalleresco e senza pretendere nulla per sé medesima, tranne il merito d’aver fatta un'opera di carità. Questo scritto non è notevole, se non per le sciocchezze che dice intorno al poter temporale dei Papi, e però non merita che ce ne occupiamo più a lungo. Ma interrompiamo l'esame degli scritti francesi per dir qualche cosa degl'italiani.

Qui avremmo voluto cominciare dalla scrittura del sig. Salvagnoli, la quale è un vero capo d’opera di audacia e di scipitezza (14). Ma perciocché essa è l’ultima delle pervenuteci, ne parleremo separatamente nel prossimo quaderno: questo dobbiamo dar luogo alle altre: Prior in tempore potior in jure... 

Primi pertanto di tempo son duo fascicoli del sig. Carlo Catinelli, di cognome italiano ma di nascita austriaco, come asserisce egli stesso (15). Essi son principio d’un’opera più voluminosa, in cui l’Autore si propone di discutere tutti gli argomenti, che sogliono arrecarsi per l’indipendenza italiana. Non essendoci venuti a mano se non i soli; anzidetti due fascicoli; di essi soli esporremo il contenuto. L’A. comincia dal mostrare che qualunque fossero i discorsi dettati da Napoleone I in S. Elena, e le parole da lui proferite intorno all’Italia; i fatti furono ben diversi: giacché egli ridusse a compartimenti francesi molti Stati italiani e dichiarò Roma la seconda città della Francia. Ribatte l’argomento preso dai proclami dell’arciduca Giovanni nel 1809 e dei Principi alleali nel 1813 promettenti l’indipendenza; giacché essi non furono accettati dagli Italiani, i quali in cambio d’insorgere, come erano invitati di fare e facilmente potevano si rimasero cheti sotto il giogo in che erano, e concorsero anzi col loro sangue e col loro denaro alla continuazione del medesimo (16)

Sicché conchiude l'Italia essere stata in rigor di termini conquista, fatta, dalle Potenze alleate, e disputato loro fino all’ultimo dagli Italo-francesi sotto Murat e sotto Eugenio; oche però le Potenze vincitrici erano in pieno diritte di riordinare l'Italia con subordinazione agli interessi generali d'Europa. Ciononostante, soggiunse, esse temperarono l'uso di questo loro diritto per, modo, che il riordinamento avesse luogo, con appena qualche eccezione,, nel più perfetto accordo con. i voti delle rispettive popolazioni. Soprattutto egli ciò dimostra a riguardo dei Lombardi, servendosi delle autorità del Maroncelli, del Gualterio e del Cantò; l’ultimo dei quali (fine espressamente che quando Eugenia brogliava per ottenere indirizzi, dai reggimenti italiani dal Senato italico la dichiarazione di Re, non riuscì nell'intento, perché era contrariato da molti ufficiali, e perché Nobili, preti e il grosso della popolazione propendevano per l'Austria. Quindi dimostra che l’agitazione posteriore contro il suddetto riordinamento è stato-prodotta e alimentata dai settari coi mezzi più riprovevoli. Passa poi a provare come l’Austria nella sua presente posizione, estensione, composizione e possanza, è per l'Europa in generale e per l'Italia in particolare una vera necessità; e conchiude che, essendo il Piemonte un vicino inquieto, che trama, del continuo contro di essa Austria, è (interesse europeo ed italiano il ridurlo al dovere (17). E per verità un vinto che fa là pace col nascosto pensiero di riassalirvi come prima il potrà, e un confinante che vi. suscita del continuo disturbi e gitta. fiamme in casa, non sono la più bella cosa del mondo. L’onore, la lealtà, la morale non pare ohe debbano chiamarsene gran fatto contenti; 

Sensi del tutto contrarii ai precedenti contiene la lettera indirizzati dal Farini a Lord Russell (18). In essa si dice che i trattati del 15 riescono a danno dell’Italia e a pericolo dell'Europa; che il regno Lombardo-veneto non ha, secondo che erasi premesso, amministrazione propria; che la venuta degli Austriaci per aiutare in diversi tempi il Re di Napoli, il Papa, il Piemonte, i Ducati, contro le interne rivolture, debbono arerai per invasioni despotiche; che l'essere stato un tale aiuto invocato dagli stessi Principi italiani, non è ragione che io giustifichi; giacché i Principi non hanno diritto a contrariare l’autonomia dei popoli, e l’autonomia dei popoli importa che possono lare rivelazioni come e quando vogliono. Fatta poi una descrizione dei rigori usali dai diversi Governi della Penisola contro gl’interni cospiratori, esorta il nobile Lord e tutti gl’inglesi a non volere restringere le loro vedute al solo Stato pontificio, ma ad allargarle a tutti gli Stati italiani. Quindi lamentasi sì di Lord Derby per aver censurato il discorso del Re Vittorio Emmanuele, e si del Parlamento e dei giornali, inglesi per mostrarsi ora favorevoli all'Austria, contra ciò che il Farini da essi si saria aspettato. Ricorda i meriti del Piemonte per aver accolti tutti i fuorusciti italiani, per essere concorso alla spedizione di Crimea, per aver emancipato lo Stato dalla primazia ecclesiastica.; laddove per contrario l’Austria ha fatto un Concordato favorevolissimo alla Chiesa. Il perché si meraviglia come, dopo tante opere buone, il Governo piemontese debba oggi trovare censori presso una nazione, da cui in passato ebbe plauso e conforto. Voi, egli dice, ci avete sempre consigliato a mantenere ed esplicare la nostra libertà per modo, che fosse di esempio e di scuola e di speranza a tutta l’Italia(19). Ora noi abbiamo eseguito appuntino tutto ciò. I nostri esempii sono stati, luminosissimi e di una edificazione incredibile; tutti gl’Italiani ne vanno in visibilio. Le nostre lezioni sono state moralissime; e se tutti gli uditori non se ne sono bastantemente approfittati, none stata nostra la colpa. Come dunque ora ci abbandonate? Ah! non sia mai! Riflettete che tolti i mali d’Italia e i pericoli dell’Europa derivano dall'antagonismo tra il sistema austriaco e il piemontese; e l’Italia non avrà pace, finché un tale disaccordo sussiste. Or è chiaro più che la luce del giorno che per dileguare cotesto antagonismo, non è giusto costringere il Piemonte a quietare, ma è giustissimo costringere l’Austria ad andarsene via. Né si creda potersi ciò conseguire per opera di congressi La pubblica opinione debbe omai avere per cosa dimostrata che le solite ampolle della diplomazia non possono sanare le piaghe d’Italia. Cosi conchiude il Farini, e queste conchiusione mastra assai chiaro che il suo voto è per la guerra. Ma più esplicito in favor della guerra è un altro scritto anonimo, che quantunque assai breve e molto insulso, merita nondimeno che se ne parli per la schiettezza, con la quale si esprime (20). Eccone la somma. I due nemici da combattere sono l'Austria ed il Papato (la setta austro-gesuitica, secondo il gergo del Salvagnoli, che ripete goffamente le frasi oggimai viete del Gioberti). La prima tiene divisa l’Europa, il secondo l’Italia. Coll’unità italiana è incompossibile il Papato. Il potere temporale di questo non dee mettersi neppure in quistione; tanto è chiaro che dee abolirsi. Solamente può farsi quistione del potere spirituale; ma la decisione di questa non appartiene armi né alle combinazioni della politica, bensì alla coscienza degli italiani, i quali, come siano un giorno resi liberi e indipendenti, decideranno col fatto: se loro convenga emancipare le proprie coscienze o giacere schiavi dello spirito in podestà altrui (21). 

Questo, sì che è parlar chiaro e senza ipocrisia! Per apparecchiare poi, prosegue l’Anonimo, questa beata redenzione d'Italia, il Piemonte ha lavorato per dieci anni, ed ora ne scorge l’ora propizia. Ma non basta egli solo a compirla; ci vogliono gli aiuti della Francia, la quale, cooperando a questa pia opera, avrà in premio quella piena libertà, di cui essa oggi è stata privata. La guerra dunque dee farsi; segua che può. Da essa o dobbiamo uscir grandi o perire tra le mine della patria mutata in deserto(22). Tal è il voto disperato di questo matto che è nondimeno identico a quello de’ suoi consorti. Ma basti. di tante enormezze, rifacciamo gli orecchi de’ nostri lettori con qualche cosa di cattolico e di sapiente. 

L’illustre de Falloux prende anch'egli in un breve articolo a trattare la Quistione italiana, e la tratta con quel senno, che solo uno spirito sinceramente cristiano e una giudiziosa politica possono ispirare (23). Non potendo riportare quell'articolo per disteso, come ne avrebbe il merito, ne accenneremo soltanto alcuni tratti.

La Francia ha operato sempre con franchezza sì nel bene, come nel male, né si piegherebbe mai a farsi strumento di subdola politica. Quando essa faceva le Crociate, le faceva dichiarandosi francamente cristiana; quando moveva guerra ai troni, la moveva dichiarandosi francamente rivoluzionaria. Al giorno d’oggi sotto l’influenza di quale spirito ci presenteremmo noi all’Italia? Ci presenteremmo come gli eredi di S. Luigi, o come i figli del Direttorio?È questo un punto che tocca le coscienze cattoliche, e la cattolica Francia non può tenersi sopra di esso allo scuro (24)

Di più, la Francia andrà sola alla guerra? Ciò desterà ombre e sospetti in tutte le altre Potenze. Si associerà l’Inghilterra o la Russia? La nostra influenza in tal caso sarà vinta o collisa. E qual miracolò potrebbe ispirare alla Russia il nostro disinteresse, e all’Inghilterra il nostro rispetto per la Santa Sede? La Russia non parla, ma è facile indovinarne i pensieri. L’Inghilterra ha parlato; e qual è stata la sua parola o piuttosto il suo grido? Il grido a pena raddolcito di Arrigo VIII e di Lisabetta (25). Non ci facciamo illusione: quelli, che spingono la Francia a codesta guerra, non sono né gli amici del governo imperiale, né gli amici dell’Italia: essi sono gli amici e i complici della demagogia europea (26)

Si fa della presenza di truppe straniere un’accusa capitale contro la Santa Sede. E che? Esigereste voi che un paese privo, da lunga data, di organizzazione militare, e che per lunghi secoli è stato governato da augusti Vecchi, armati unicamente della loro patema carità e della loro sublime e tranquilla sapienza, possa sormontare, senza l'appoggio d’una forza materiale, le difficoltà inerenti all'epoca nostra, e venute per lo più da di fuori e da lontano? Osereste voi promettervi di mantener l'ordine in Lione o in Parigi con nulla più che affiggere sulle cantonate un esemplare della dichiarazione dei diritti dell uomo, ed incaricare un oratore di spiegarne alla moltitudine il contenuto (27)? Si grida ancora che l’ordine ristabilito negli Stati pontificii per intervento straniero, per ciò stesso dee tenersi per mal fondato. Se questo principio fosse vero, esso rovescerebbe d’un tratto tutto ciò che da sessant’anni a questa parte si reputa costruito, secondo il voto é il movimento popolare. E non è l’intervento straniero della Francia e dell’Inghilterra che ha stabilito il trono di donna Maria ed assodato quello di donna Isabella? Non è l’intervento straniero della Francia che ha consecrata la separazione del Belgio dall'Olanda? E per abbreviare, non è l'intervento straniero che s’invoca al presente dagli agitatori d’Italia per abbattere ciò che essi abboniscono? Come dunque l'intervento straniero diventa buono e cattivo, giusto ed ingiusto ad un tempo? in sì patenti contraddizioni non può ravvisarsi principio, che valga di regola a chiunque s’intenda di diritto e di giusta politica (28)

Queste futili accuse messe da parte, che resta in piedi? Pio IX! Pio IX che ha amato e voluto, più che forse non appariva possibile, la libertà de’ suoi popoli; Pio IX che ha preso di proprio e spontaneo movimento l’iniziativa di larghezze, a cui altri Sovrani per ordinario appena si lasciano spingere, e che i tribuni della plebe ben presto confiscano, come prima sieno giunti al potere (29)

L’esimio Statista dimostra come la Francia, invece di secondare i voti del partilo rivoluzionario, dovrebbe più giustamente volgere i pensieri e le cure all’affrancamento dei cristiani d’Oriente, pei quali tanto poco ha conchiuso la guerra di Crimea; e toccando dei torti del Piemonte conchiude con queste sapienti parole: «Il Piemonte ha altresì bisogno d’essere ammonito e raffrenato; la Francia Ben può né lasciarlo ingaggiate alla ventura, né lasciarsi ingaggiare ella stessa dalle fantasie di lui. Quando la guerra non è il più imperioso dei doveri, la pace è la più inviolabile delle leggi. Appartiene alla dignità del più forte ricordar questa massima così volgare all’impazienza improvvida del più debole (30).» Noi non aggiungiamo verbo; il buon senso de' nostri lettori giudichi da sé medesimo.


__________ NOTE __________

1 Est-ce que nous serions encore en 1849 à la veille ou au lendemain de la bataille de Novare? Pag. 13.

> 2 Q’appelle-t-on l’opinion? Comment la reconnaître? Comment la commiter? Comment la constater? Ivi.

3 Ce ne serait pas le triomphe de l’Indépendance, ce serait de l’inconséquence. Pag. 14.

> 4 Les titres et les droits de la Pologne, si souvent proclamé, ne sont-ils pas égaux aux droits et aux titres de l’Italie? Que répondrait la France à l’Angleterre si celle-ci toujours au nom des nationalités vaincues, lui disait de renoncer à la domination en Algerie? Que répliquerait l’Angleterre à la France, si celle-ci à son tour et par les mime» motifs la requérait d’abdiquer l'empire des Indes? Pag. 15, ,

5 S’il est vrai que Garibaldi, l’intrépide défenseur de Rome en 1849 s’occupe déjà de lever une légion, que représentera-t-il à nos veux, il serait plus juste de dire aux vòtres? Représentera-t-il l’élément national, ou l’élément révolutionnaire?… Si l’insaissisable Mazzini, l’ancien triumvir de la République romaine, devance ou suit nos armées en Italie, verrons-mous en lui un allié on un ennemi? Si nous le traitons en ennemi, que pensera l’Italie? Si nous le traitons en allié, que pensera l’Europe? Pag. 19.

6 Si cette présidence n’est pas seulement nominale, comment opérera-t-on, dans les mêmes mains, cette séparation entre le temporel et le spirituel, si difficile à opérer de l’aveu de Napoléon I? Où commencera l’autorité temporelle? Où finira l’autorité spirituelle? On ne le dit pas. Où sera la garantie que la présidence de la Confédération par le Pape «sera autre chose que l’autorité catholique appliquée aux intérêts de l’ordre temporel?» On ne le dit pas. Comment «conciliera-t-on sans les confondre» le pouvoir pontifical et le pouvoir présidentiel? On ne le dit pas. En quelles circonstances le Pape n’agira-t-il que comme pontife? En quelles autres circonstances le Pape n’agira-t-il que comme président? On ne le dit pas. Par quels moyens parviendra-t-on à concilier l’infaillibilité papale avec la responsabilité politique? On ne le dit pas. Sera-ce en recourant au régime parlementaire? 1850 et 1848 nous ont prouvé ce que volaient à l’épreuve la fiction de l’inviolabilité royale couverte par la responsabilité ministériale. Pag. 22ì.

7 Il (il Piemonte) a passé du rang d’État de troisième ordre du rang d’État de premier ordre. Pag. 31.

8 Ce mariage vaut une armée. Ivi.

9 L’heure de la délivrance n’a pas encore sonné pour l’Italie. La main impatiente, qui avancerait l’aiguille sur le cadran, ne ferait pas marcher le temps plus vite; elle ne marquerait pas l’heure, elle la fausserait. Pag. 33.

10 Soit une guerre qui rembourse ce qu’elle coûtera; soit une guerre qui verge Waterloo; soit une guerre qui rende à la France ses frontières perdues. Pag. 36.

11 Mieux vaudrait avoir tout de suite contre soi l’Angleterre et la Puisse à l’état d’ennemis déclarés, qu’à l’état de neutres embarrassants. Pag. 37.

12 Pag. 50.

13 Ren fermer l’Angleterre dans: la ceinture liquide en Europe, en ne l’acceptent plus comme grande puissance continentale: l’empêcher de continuer sen rôle désorganisateur, tout en l’indemaisont par l’investiture monopolaire des possessions lointaines, où elle pourra s’étendre, se fortifier, s'enrieller en civilisant: tels sont les moyens que none voulons proposer. Pag. 10.

14 Una corrispondenza di Firenze inserita nel giornale mazziniano: Pensiero ed azione n. 13, ci dà ragguaglio del come al sig. Salvagnoli sia venuto in mente di comporre il suo libro. Parlandosi delle mene dei liberali torinesi per muovere i toscani a una manifestazione, ricusata da questi, dicesi così: «Poi Salvagnoli promise una pubblica petizione, e non la fece; poi promise un libro, e non lo fece; finché Cavour, indisposto dello andar timido e delle mancate promesse, gli mandò, per comprometterlo, la croce mauriziana». Povere croci mauriziane! diventate prezzo e zimbello di ciance avvocatesche!

15 Il titolo di questo scritto è: Sopra la Questione italiana, studii di Carlo Catinelli. Gorizia. Ambedue le dispense portano la data del 1858, e così la loro pubblicazione è anteriore agli ultimi rumori di guerra.

16 Il Salvagnoli ricorre anch'egli all’argomento dei detti proclami, dicendo a pag. 78 del suo libro Della indipendenza d’Italia: che nella guerra contro Napoleone I si promise all’Italia l’indipendenza per tirarla a buttar giù il colosso; ed a pag. 89 aggiunge che I Austria fin dal 1809 chiamò gli Italiani a insorgere contro Napoleone, perché rivendicassero la indipendenza loro. Nondimeno invece di dimostrare che l’Italia veramente insorse per dedurne: dunque, avendo essa fatto ciò a che la invitavate, Mantenete la promessa; dimostra tutto il contrario, cioè che l’Italia si mantenne in fede del conquistatore, anche dopo la sua caduta. Imperocché dice a pag. 11: «Una prova della sapiente fedeltà degl’italiani gli consolò (a Napoleone I) la relegazione nell’isola d’Elba: poiché andarono essi in fin là ad offerirgli la corona dell’impero de’ Romani e del regno d’Italia.» E reca il documento d’un tal fatto, togliendolo dalla Storia d’Italia del Martini tomo I, lib. 3, p. 153. Si vede proprio che il sig. Salvagnoli è un avvocato che si cura poco della logica. Questo serva per ora di saggio: mostreremo a suo luogo come di logica non ci è sentore in tutta la cicalata di quel suo libro.

17 «Concludiamo. L’Europa abbisogna di un’Austria forte, possente, la di cui azione sia libera ed intiera. Una tal Austria non, può aversi senza che si ponga fine all’agitazione, che dal 1814 in poi tormenta e funesta l’Italia, e che non è che una specie di trastullo, un passatempo dei di lei agitatori.» Pag. 136.

18 Quistione italiana, Lettera di Luigi Carlo Farini a Lord John Russel. Torino 1859.

19 Pag. 25.

20 Il suo titolo è La situazione, il Bonapartismo e la Guerra. Moncalvo 1859.

21 I Pag. 36.

22 Pag. I3.

23 Le Correspondant 25 Février 1859.

24 Quand la France faisait les croisades, elle était franchement chrétienne; quand la France déclarait la guerre aux trônes, son gouvernement était franchement révolutionnaire. Aujourd’hui comment none présenterons-nous à Italie? Comme les héritiers de saint Louis, ou comme les file du Directoire? Pag. 190.

25 Là France fera-t-elle la guerre à elle seule? Elle éveillera alors les ombrages de tout le monde... Parviendrons-nous à nous concilier l'Angleterre ou la Russie? alors qui peut prédire, dans ce partage des forces, quel sera au juste le partage de notre influence! Quel miracle pourra inspirer à la Russie notre abnégation, et à l’Angleterre notre respect pour le Saint-Siège? La Russie ne parie pas, mais il est aisé de la deviner. L’Angleterre ne dissimule rien, et, par un rare privilège, la question italienne, tournant brusquement à n’être plus pour elle que la question romaine, a mis d’accord tous se-s orateurs et tous ses écrivains. Quelles sont leurs paroles, ou plutôt quel est leur cri? Le cri à peine adouci du seizième siècle, le cri d’Henri VIII et d’Elisabeth. Pag. 191.


26 Ceux qui cherchent à pousser la France dans une telle voie ne sont ni les amis du gouvernement impérial, ni les amis de l’Italie: ce sont les amis et les complices de la démagogie européenne. Queste parole bisognerebbe che fossero ben ponderate e comprese da quanti sono uomini di Stato e sondi piazza. Pag. 191.

27 Pag. 192.

28 Pag. 193.

29 Ces accusations de parti mises à l’écart, que reste-il debout? Pie IX! Pie IX, qui a aimé et voulu.... l’affranchissement de ses peuples; Pie IX, qui a pris de son mouvement propre et spontané les initiatives qu’un souverain ne prend l’ordinaire qu’en leur laissant infligé le cachet de la concession et que les tribuns se hâtent presque toujours de confisquer dès qu’ils ont atteint la suprême puissance! Pag. 193.

30 Le Piémont, à son tour, a besoin d’être averti et modéré; la France ne peut ni le laisser s’engager à l’aventure, ni se laisser engager elle- même par ses fantaisies. Quand la guerre n’est pus le plus impérieux des devoirs, la paix est la plus inviolable des lois. Il sied à la dignité du plus fort de rappeler cette maxime banale à l’impatience du plus faible. Pag. 198.















Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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