Eleaml - Nuovi Eleatici



CONDIZIONI INTIME E MISTERIOSE DELLA RUSSIA

TRATTE DA DOCUMENTI AUTENTICI

VERSIONE LIBERA DI G. A. G.

FANO

Presso i Compilatori della Enciclopedia Contemporanea

TIPOGRAFIA LANA 1855

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)
LA GUERRA DI CRIMEA (1853-1856) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO
CAPITOLO I - IL DISPOTISMO DELLO CZAR CAPITOLO VI - SERVAGGIO
CAPITOLO II - CARATTERE DEI RUSSI CAPITOLO VII - L'ARMATA
CAPITOLO III - RELIGIONE E CLERO CAPITOLO VIII - MARINERIA
CAPITOLO IV - AMMINISTRAZIONE CAPITOLO IX - POLITICA
CAPITOLO V – LEGISLAZIONE GIUSTIZIA E SIBERIA NOTE

CAPITOLO I - IL DISPOTISMO DELLO CZAR

Il Governo Russo tipo del potere assoluto — Onnipotenza dello Czar — È proibito in Russia di esser disgraziati; e il suicidio è un insulto che si fa all’autocrate. Le vittime ignorano il perché vengon colpite; il maggiore Musson, Kotzebue, e il principe Dolgouruki. — Propaganda secondo l’esempio di Maometto. — Moglie e cuoca. — Pericoli dell'autocrazia. — I suoi ordini non si discutono. — Il knout, e lo skrosstroi. — Sempre il bastone. Prodigi di tale autorità; i viali improvvisati. Spionaggio. Il diplomatico, e l’impiegato postale. — Terrore delle lettere. — Censura. — È proibito ai Russi d’abitare in paese straniero. Il timore, risorsa principale del Governo Russo. — Riverenza d'obbligo. — Cortigianeria; aneddoti.

Se ai tempi di Montesquieu Russia fosse stata meglio conosciuta, l’autore dello Spirito delle Leggi, invece di osservar costantemente gli Stati Musulmani, avrebbe dovuto disaminare soltanto il regime sociale e politico dell'imperatore Moscovita; ed allora le Sue illazioni rispetto a' governi assoluti sarian state salve da ogni obbietto, perché basate sopra teorie limitale alla esposizione di un fatto, e di una patente realtà.

Russia, invero, ben più che Persia e Turchia, appresenta il tipo ideale del potere assoluto, in questo senso, che ivi si scorge un governo produrre con logica inflessibile tutte conseguenze analoghe alla propria natura, e assumere, a miglior sostegno, l’ajuto del governo militare. Il principio di dispotismo è nel suo apice in Russia.

In Persia e Turchia, esiste una legge scritta, tanto più venerabile, in quantoché costituisce la religione istessa. II sovrano sta sommesso, al pari dell'infimo tra' suoi sudditi, alle leggi del Profeta: le sue voglie non ponno oltrepassare i confini segnati dal Corano; è onnipotente siccome amministratore ossia esecutor delle leggi, ma non quale legislatore, e meno ancora nelle materie religiose.

In China, il Capo dello Stato è assistito da un Consiglio o Tribunale che ne disamina le azioni e può sottoporle a censura.

Dovunque, insomma, in Europa e in America, il potere soggiacque a modificazioni, o almeno dalla forza d’istituzioni protettrici, o di tradizioni religiose fu costretto a non trasmodare.

In Russia però nulla osta all'autorità sovrana; e son legge suprema le voglie dello Czar. Egli è autocrate, vale a dire: egli trova in sestesso l’origine di sua potenza é il dritto a governare; in lui solo si concentra e vive un Consiglio di Stato, e un Senato. Dippiù, capo di quella Religione, tiensi per delegato dell'Eterno in sulla terra, e quasi per vero Nume. Tutto esiste in esso e per esso. Egli può tutto creare, e distruggere; disporre della vita d’ogni soggetto, dal più sublime all’intimo. (1) Non tenuto a dar conto a chicchessia di sue voglie ed azioni, ei comanda, e tutti obbediscono; colpisce, e ognuno si sommette. In guisa che meglio di Luigi XIV lo Czar può asserire Io sono lo Stato»: potrebbe anche aggiungere «Io sono la Russia intera.» Ad onta delle leggi che guarentiscono la proprietà, egli può considerarsi come padrone di quanto esiste entro l'impero, in forza del diritto di confisca, di vita e di morte. Non assemblee, non consigli che statuiscano l’annuo riparto delle imposizioni. Lo Czar solo regola e amministra la rendila della nazione. Il cosi detto Senato non à incarichi politici di sorta, ma forma soltanto un consesso deliberante, le cui attribuzioni si limitano a giudicare in appello dalle sentenze pronunciate nei tribunali inferiori, ad esaminare futili quistioni amministrative, e registrare le ordinanze dello Imperatore. Gli affari esterni dello Impero sono diretti unicamente dallo Czar; da lui derivano le onoranze, e gli impieghi; tutto da lui emana, lutto ritorna in lui. L'armata di terra e di mare, l'istruzion pubblica, le forze tutte nazionali sono in sua mano. E ritenuto infallibile, quasi Nume, e più ancora se egli a suo grado può cangiare in delittuosa una azione lodevole. Ora se si consideri come tale illimitata autorità si appoggi ad istituzioni militari che ne moltiplicano a più doppj la forza, e come si aggravi in collo aduna nazione, la quale da lungo tempo, abituata a servitù, pose in obblìo gli imprescrittibili diritti della umanità, sarà agevolmente chiarita la sentenza per noi enunciata nell'iniziar questa storia, vale a dire: essere il governo Russo un tipo ideale del potere assoluto, con soprammercato ogni sorta eccessi i più mostruosi e straordinari, che dallo abuso di autorità ponno derivare.

L’autocrazia à contrassegni particolari, onde vuol essere analizzata con speciali teorie, siccome i cadaveri che esigono minuta disamina a vantaggio della scienza, ove la morte sopravvenne per forza di morbo non troppo comune.

Il dispotismo Russo non vuole che i sudditi trovinsi infelici sotto un tal giogo, né che aspirino a miglior condizione di vita. — Un povero mougik (schiavo) allocato presso un parrucchiere di Pietroburgo, non valendo a sopportar più oltre gli aspri trattamenti del suo padrone, risolse troncarsi la vita, e si tagliò la gola: ma non si ferì mortalmente, e fu tradotto all’ospitale, ove le più assidue cure vennergli praticate. Guarita la piaga, il malato ristabilivasi sollecitamente. Uscì dall’ospizio, e trovavasi ben lieto della riparata sciagura. — Ora però toccava al despotismo l’adempiere alla sua missione.

In Russia un servo, che si uccide di propria mano, deruba il suo padrone, se appartiene a. un nobile, o deruba lo Czar, quando appartenga alla corona. D’altra parte un uomo misero, che si uccida, addimostra come taluno si trovi infelicissimo nei dominj dello Czar: locché è un insulto al potere e all’autocrata, secondo la più rigorosa logica. Perciò il convalescente, di che è parola, ebbe numerose vergale, acciò imparasse a custodir sua vita; tantoché più fatale tornassegli il fanti di quello noi fosse stato il rasojo con che erasi ferito. — Un pittore francese, a noi cognito, il quale tolse a curar l’infelice punito, non poteva persuadersi di tal barbarie. Egli però non ne avrebbe avuta maraviglia, se avesse posto mente alle necessarie conseguenze di un poter assoluto, tal quale si pratica in codesto felice impero. Lo schiavo niuna ragione poteva affacciare; e di ciò persuaso non profferì verbo, Niuno d’altronde ne avrebbe accolte le rimostranze. Stette pago a ristabilirsi, e ridonare al padrone l'usufrutto di sua persona miracolosamente salvala dal suicidio e dal bastone.

In Russia, chi venga colpito dal dispotismo, da qualsiasi lato, il più delle volte ignora la cagione di sua disgrazia. Né la cosa è irragionevole; perocché tenendosi il potere autocratico per infallibile, né dovendosi quindi né potendosi con esso ragionare, inutile tornerebbe alla vittima il conoscere, perché sia perseguitata o trucidata. Lo Czar che si vanta di rappresentare l'Onnipotente può ben dispensarsi dalle discussioni e giudizj contraddittori.

Per non recar noie ai lettori bastino per ora alcuni esempj famosi. — Il maggiore Masson, da lungo tempo localo a' servigj di Russia e segretario de' comandi di Alessandro in allora granduca, fu arrestato un bel giorno, e inviato fuor de' confini per ordine dell'imperatore Paolo I. Ignorò sempre la vera causa di tal brutale espulsione, e potè solo immaginare che ciò avvenisse per la propria simiglianza di fisonomia al colonnello Laharpe, precettore dei granduchi, cui lo Czar detestava. Masson si vendicò gravemente pubblicando le Memorie segrete sulla Russia, e veramente la rivalsa fu terribile. — Kotzebue ebbe a meglio apprendere cieche fosse il despotismo Russo. Egli fu colto e rilegato in Siberia, senza una probabile idea di ciò che avesse potuto fornir pretesto a simile proscrizione. — Nulla seppe durante l’esilio: tornatone, in luogo di lamentarsi, addivenne il più vii servitore di Paolo I. Era un Uomo senza dignità, ma conoscitore profondo di Russia. — Il principe Dolgoruki fu trattato anche peggio. Chiamato nel 1843 a Pietroburgo, sapeva bene ciò essere conseguenza e punizione dell’aver pubblicato in Francia senza permesso dell’imperatore un libercolo innocentissimo e segnato anzi di un pseudonimo. Giunto a Cronstadt, fu arrestato, insieme a tutti i domestici, (poiché in Russia anche il figlio debbe soggiacere alla pena pel padre, e il servo pel suo padrone); furon sequestrate e suggellate le sue carte ed effetti; e alcuni giorni dopo il principe s’incamminava alle frontiere dell'Ural.

Spregio della libertà individuale, non curanza delle vite umane, violenti offese a quanto evvi di più rispettabile nell’ordine sociale, vile abuso di forza e di potenza, ogni mezzo adopera il dispotismo Russo. Il potere degli autocrati si abitua cotanto a simili principj, che, senza più frammettervi scrupolo, si attenta a soverchiare i più intimi sensi dell’uomo, e persino le convinzioni religiose, locché costituisce un misfatto obbominevole di morale violenza.

Lievi passatempi del fanatico despota sono, lo scacciar dalle terre Russe o Polacche gli ebrei, il perseguitar i cattolici, l’ordinare che, ove una chiesa latina sia distrutta o rovini, non possa rifabbricarsi se non cangisi in chiesa greca; e l’imperatore Niccolò non mancò al certo intorno a ciò di approfittar dell’esempio di altri sovrani noti alla istoria per furiosa intolleranza. — Lo Czar però li segue e li avanza. Non riuscendo a convertire gli Israeliti, né volendo perderne d’altronde il servigio militare, fa rapire i lor figli, collocarli in una scuola preparatoria, battezzarli, e allevarli nella greca religione. Tale propaganda assomiglia a quella di Maometto; e questa forma l’accusa più enorme al certo, di quante accuse la giustizia e la umanità ponno scagliare contro il dispotismo Russo. Nulla può esservi certamente di più odioso che una simile violenza morale inferita alla coscienza di un popolo.

Gli atti del dispotismo Moscovita portano sovente l’impronta di una volubilità naturale in un potere a cui, non avendo basi stabilite e freno di leggi, riman soltanto il pensiero di determinarsi ad azioni giuste o ingiuste, o a taluna delle infinite gradazioni che possono aver luogo fra i due estremi. Naturali sono il capriccio, la contraddizione, e l’insania in un giudice che sentenzia a seconda di sue buone o malvagie passioni, e che può decidersi forse a condannar taluno a morte, dietro la impressione d’uno spaventevole sogno avuto nella notte, o durante lo sforzo affannoso d'una diffìcile digestione. — Un disgraziato, ch'era prigioniero in Siberia, riuscì a fuggire, non sò come, e a ricovrarsi in Odessa sua patria; ma fu scoperto; e la moglie, colpevole di avergli dato asilo, venne condannata a seguirlo nel luogo d’esilio, ove sarebbe trasportato di nuovo il consorte. Quando un locandiere, recatosi presso il governatore generale, e rappresentando come questa donna fosse da più tempo locata a' proprj servigi, e indispensabile a disimpegnar la cucina dell'albergo, fe’ vive istanze onde fosse graziata. Locché tosto avvenne; e la donna, già come sposa amorevole dannata all'esilio, meritò piena indulgenza dal giudice siccome abile cuoca. — Tale è la giustizia del dispotismo russo.

Né può dirsi che l'autocrazia divenga perniciosa sol quando il sovrano abbia sortito tal natura da formare la disperazione d’un popolo e la vergogna dell’umanità. Perocché sempre è a temersi assai l’abuso, anche eccezionale, possibile della propria autorità, al che fare troppo ovvii sono gl’incitamenti, perché possa resistervi anco un animo temperato. L’imperatore Alessandro, giusto e umano qual era per carattere, ebbe, quant'altri mai, parecchi tratti di colpevole violenza e deplorabile iniquità. Tutte le donne che regnarono in Russia, sebbene ponessero ogni lor cura a ingentilire i costumi. della corte e della nazione, praticarono, o permisero gravissimi atti di crudeltà e mostruosi arbitrò. È noto, tra altri, come l’imperatrice Anna, consigliata dall’infame Biren, facesse morire, mutilare, od esiliare meglio di 70 mila individui.

Col dispotismo Russo non è possibile alcuna discussione o disamina. Non vale che l’ordine dato o firmato dal padrone sia contrario a verità od a ragionevolezza; debbe essere all'istante eseguito. I comandi dello Czar debbono esser sempre giusti, e le sue volontà a niuno parere ingiuste o ineseguibili, siccome alla sentinella ogni osservazione è vietata sulla consegna che riceve dal proprio superiore.

È facile il comprendere, come l’abitudine di ordinare, senza forme e senza esame, punizioni immediatamente inflitte, possa cagionare strane evenienze, crudeli errori, e imprevviste complicazioni. Ecco un aneddoto, dai quale rilevasi quanto abbia a temere del dispotismo russo anco l’uomo più innocente. — Ilracconto è del conte di Sègur antico ambasciadore di Francia a Pietroburgo.

«Un bel mattino, vidi presentarmisi affannosamente un uomo in sembiante atterrito, sconvolto dal dolore, dalla collera; dallo spavento insieme; avea irti i capelli, gli occhi arrossati e pregni di lagrime, tremebonda la voce, gli abiti malconci. Era un Francese.

«Chiestagli appena la cagione dello stato suo deplorabile, ei mi rispose: — Vengo a implorare, signor conte, la proiezione di vostra Eccellenza, contro un alto d’inaudita ingiustizia e violenza: per ordine d’un possente signore fui oltraggiato senza motivo, e mi diedero cento colpi di frusta.

«—Un tal fatto, risposi, sarebbe inescusabile, ove anche grave colpa per parte vostra ne avesse dato motivo: senza ciò poi, siccome voi l’asserite, diviene inesplicabile anzi del tutto inverosimile. Ma chi mai può aver ordinalo ciò?

«— Il conte di Bruce, governatore di questa città.

«— Voi siete pazzo!, io replicai; è impossibile che un si nobile personaggio, cosi colto, e generalmente stimato siasi permesso tale violenza contro un Francese, se voi non l'abbiale personalmente aggredito o insultato.

«—Ah! signore, rispose il ricorrente, io non conobbi giammai il conte di Bruce. Son cuoco di professione; avendo saputo che il signor Governatore ne abbisognava, mi presentai al suo palazzo, e mi si fece salire al suo appartamento. Appena venni annunziato a sua Eccellenza, egli ordinò mi fossero dati cento colpi di frusta, e ciò fu eseguito sull istante. La mia sventura può sembrarvi inverosimile, ma e pur troppo reale, e potete convincervene esaminando le mie spalle (2)

L’ambasciatore promise un ampia riparazione allo sventurato cuoco, se aveva detto il vero, minacciandolo gravemente se avesse mentito. Scrisse tosto al conte di Bruce per avere le necessarie spiegazioni. E, dopo alcune ore di aspettativa, apprende: che il Governatore aveva per cuoco un Russo nativo de' suoi poderi: che questi erasi fuggito da lui dopo averlo derubato: che perciò un’esemplar punizione eragli preparata ove fosse colto, o ritornato. In tale circostanza si era presentato il cuoco francese; e mentre lo si condusse al Governatore, questi era seduto allo scrittojo volgendo il dorso all’uscio della stanza. Il servo, che introduceva lo straniero, entrando disse: — Signore, eccole il cuoco: — Il conte, senza volgersi, gridò: — Bene dategli tosto cento frustate, com’io ordinai. — Il servo rinserrò lentamente la porta, ed obbediente esecutore, malgrado le proteste dello sgraziato cuoco francese, trascinò questi nella corte, ove, unitosi ad altri domestici, gl’inflisse i colpi ch’erano destinati allo schiavo fuggito.

Ben s’intende che le migliori spiegazioni e riparazioni vennero accordate. Ma allo sgraziato Francese niuno potea togliere l’insulto e le percosse. Tali pericolosi equivoci accadono in Russia, perché ogni contestazione è proibita rispetto agli ordini di possente padrone.

Il signor di Sègur, dopo. il racconto di tal singolare avventura, espone alcuni riflessi che qui cadono assai in acconcio. # Codesti risultati, or crudeli, or bizzarri, radamente piacevoli, di un potere il cui esercizio nulla infrena o rattiene, sono conseguenze inevitabili della mancanza di ogni istituzione che guarentisca la giustizia. In un paese ove è legge la obbedienza passiva, e delitto sono i riclami, il principe o signore, quantunque d’animo giustissimo e savio, debbe paventare gli effetti possibili di una volontà irreflessiva, o di un ordine emanato con soverchia precipitazione.

Russia è la classica terra delle meraviglie; ivi accadono fatti sì straordinarj, che si terrebbero per favole e menzogne da chi non conosca a fondo sì strano paese. E tale è la incredulità di ogni sorta stranieri nei primi momenti di soggiorno in Russia: e solo per forza di propria osservazione, e trovandosi spettatori a fenomeni ancor più meravigliosi, e dopo avere fatto studio sulle conseguenze intime e logiche del despotismo Moscovita, s’inducono a persuasione di ciò ch'era ad essi sembrato cosa impossibile.

In uno stato sommesso al regime autocratico, i supplizj ordinariamente mirano a cagionare sofferenza e vergogna anziché morte, imperciocché di niun valore si reputi la vita umana. Togliendo senz’altro dalla società il colpevole sarebbe mancare allo scopo propostosi dal despota: cioè la vendetta delle ingiurie alla sua onnipotenza religiosa e politica, e il rammemorare al suddito, con ignominioso processo, la condizione infima e sempre incerta di sua esistenza. In Russia quasi mai si applica la pena di morte, ed esiste soltanto perché, quando gli talenti, possa lo Czar decretarla.

S’inventò adunque, miglior punizione, il knut, che à il doppio pregio d’infamare, e talora uccidere, in guisa che parecchie volte tramutisi in pena capitale. Innoltre àvvi il marchio in fronte sostituito alla mutilazione delle narici; infine, a render compiuto il sistema penale, avvi la Siberia, ove rilegasi il condannato strappandolo di mezzo a' concittadini, sommettendolo a un supplizio continuo, in ispecie allorché è destinato a' travagli delle miniere. Per leggiere trasgressioni il bastone è sufficiente: essendoché degradi, ed uccida talvolta gli uomini al pari del knut. Questa legislazione penale armonizza mirabilmente colle massime della autocrazia.

Il knut è in apparenza uno strumento poco pericoloso; consistendo in una frusta formata d’una lunga lista di cuojo preparata appositamente all'uopo. Se quegli, che deve adoperarla sui pazienti, è abituato al mestiere, e s'imbatte in individuo di gracile costituzione, può ucciderlo. Onde il knut è a considerarsi vera sostituzione della ghigliottina, coll’aggravio dell’ignominia e dell’ipocrita apparenza di non cagionare una morte, che spesso ne consegue del pari senza avere il vantaggio della rapidità.

Se il knut può pareggiarsi alla ghigliottina, lo skrossstroi (in mezzo alle file) rassomiglia alla fucilazione. Ecco la descrizione di tal supplizio.

Fatta lettura della sentenza dinnanzi al reggimento adunato, l'esecutore prende le mani del condannato, e le avvince solidamente alla estremità della canna del suo fucile. Un altro esecutore ne sostien dinnanzi il calcio elevato all'altezza della cintura, in guisa che la baionetta rimanga orizzontalmente diretta contro al ventre del paziente. Due ajutanti lo sorreggono dai lati perché ei non cada all'indietro o di fianco. Un rullo di tamburo dà il segnale del supplizio. Il condannato, a cui vengon prima rasati i capelli sulla nuca e sulla parte posteriore del cranio, debbo incamminarsi lungo le due file di soldati che fanno ala, e trascorrerle intieramente. Ognuno dei soldati è munito di una bacchetta di nocciuolo assai flessibile, con cui debbe percuotere lo sventurato compagno, nel momento in cui gli passa d’innanzi. Se il paziente tenta accelerare il passo per evitar i colpi o affrettare il termine del supplizio, è tosto colpito al ventre dalla baionetta del fucile, che le proprie sue mani gli tengon parata incontro, e l’uno degli esecutori gli spinge addosso, trattenendo il calcio del fucile. Ove egli tenti lasciarsi cadere, i due ajutanti ne lo impediscono. Allorché il condannato abbia percorse, l’una dopo l’altra, le due file, raro è che non trovisi presso a morte; e se venga meno durante l'esecuzione, e non si giudichi possibile il proseguirla, il paziente vien tosto condotto all'ospitale, e sovvenuto di tutte cure necessarie. Ma appena guarito, debbe subire il resto della punizione. La giustizia Russa è esatta e larga retributrice, né mai ai suoi clienti attien meno di ciò che promise.

Il despotismo Russo, nell'inflessibile sua logica, spinge l’uso del bastone ad eccessi i più vergognosi. In Russia il bastone è la ragion suprema tra uomo ed uomo. Chiunque sia costituito in alto grado di nobiltà o milizia, à dritto di percuotere qualcuno, senza distinzione di sesso, perciocché le femmine non vanno esenti dall'esosa punizione. Servi e soldati si educano col bastone. Il bastone è serbato al paesano che per corta intelligenza o disarmonico orecchio non apprende la musica: il bastone al soldato che non giri sollecito sui talloni, o sia malaccorto o stupido, o di alcun che difetti nella assisa: Il bastone allo schiavo disobbediente: il bastone per qualunque delle infinite lievi mancanze che tuttodì commettono i nostri domestici: il bastone al negoziante russo che manchi di riverenza al nobile. Dovunque e sempre regna codesto strumento di vergogna e di violenta oppressione; e ciò dipinge chiaramente l’intero sistema sociale.

I nobili Russi sono talmente abituati a maneggiar il bastone, che non saprebbero immaginar mezzo diverso per reprimere o punire le trasgressioni o mancanze ordinarie. I Russi anco più distinti per educazione e per maniere civili non sanno astenersi da ciò.

Tutto debbe piegare, obbedire, inchinarsi umilmente dinnanzi ai voleri di un superiore: questo è l’assioma Russo: e i supplizj sono i pratici strumenti della teoria. Anche le leggi di natura debbon cedere alle voglie del dispotismo; e non appena l’imperatore abbia proferito un — io voglio — non deve trovarsi alcun ostacolo, alcuna materiale impossibilità. Nei paesi sommessi al dominio dell’abbietta ragione sonvi pur circostanze ineluttabili di tempi ed opportunità riferibili ad ogni cosa: ma non già ne’ paesi dell'autocrate: imperocché tutto debbe piegare a sue voglie, anco le leggi della creazione e delle fisiche rivoluzioni mondiali. E se allo Czar talenti, non più gelido sarà l’inverno, non più ardente l’estate. E se il sole cessasse d’illuminar questo globo, ma piacesse allo Czar di ordinare che la luce ricomparisse, renderebbesi indispensabile la pronta obbedienza, ricorrendo nel peggior caso allo spediente di un sole artifiziale, di cui lo Czar avrebbe ad appagarsi, siccome di tante altre simili illusioni onde và orgoglioso, togliendo per oro l’orpello. In somma, qualunque cosa possa immaginarsi oltre modo straordinaria, fantastica, incredibile non può fornire esatta idea di tutto ciò che, con ogni possibil mezzo, sia capace di creare l'onnipotente volere dell'imperatore di Russia.

Cadde in mente all'imperatore Paolo un bel giorno di formare due magnifici passeggi in prospettiva di Newski. Erasi nel colmo del verno e nel maggior rigore della stagione; la terra coperta di neve e ghiacci a una profondità di molti piedi. E che perciò? L’autocrate vuole sia creato un passeggio, e lo vuole tantosto, vale a dire in pochi giorni, acciò gli alberi che vi saranno collocati, se allignino, possan mettere qualche fronda al primo influsso del sole di primavera. La passeggiata debbe esser formata di doppio viale, e aver quattro filari d'arbori: lunga circa due chilometri: chiusa da barriere adorne di variopinti colori, gli alberi che si pianteranno siano alti 15 o 20 piedi. — E tuttociò debb’essere, e senza meno eseguirsi, perché Paolo 1. à voglie di tiranno e smanie fantastiche da mentecatto.

L’opra fu tosto iniziata; e per trenta giorni diecimila operai lavorarono in cotal strana impresa. Gli alberi si toglievano da un terreno con tutte le radici e la terra circostante, e cosi pure locavansi nel nuovo lor posto. A tale uopo occorrevano fosse profondissime, ma il suolo indurito dal gelo cedeva appena a ripetuti colpi di picca: onde, tracciato il disegno delle fosse, conveniva ragunarvi in mezzo una catasta di materie combustibili, che abbruciandosi sciogliessero il gelo e rammollissero quindi il terreno. Il gran duca Alessandro erede del trono sorvegliava i lavori, e incoraggiava gli operai; sapendo bene che se il tutto non fosse compiuto entro il divisato termine, lo sdegno del padre iracondo cadrebbe su lui per primo. — Didatti, gli alberi vennero sradicati e ripiantati, i viali sparsi di sabbia e guarniti di zolle tolte di sotto alla neve, le barriere e i sedili furon dipinti, nello spazio di tempo prescritto. Ogni albero trapiantato costò settanta franchi, e gl’intra prenditori li guarentirono per soli tre anni, siccome praticasi degli orologi imperfetti. Ma ciò che allo imperatore interessava, si era che germogliassero nella imminente primavera; e quegli alberi, mostrandosi avveduti cortigiani, ben s’astennero dallo inaridire.

L’imperator Niccolò à fatto di meglio ancora. Un incendio aveva distrutto il Palazzo d’inverno, ed ei volle che in un anno fosse intieramente riedificato. Il prodigio ebbe luogo; ma di seimila operai impiegati a tal lavoro durante l’inverno, un gran numero soccombette all'eccesso della fatica e al rigore del freddo.

La nobiltà russa s’inchina vilmente dinnanzi all'autocrate; ma se i suoi interessi di casta, allungo contrariati, ne sveglino le ire, sorge tantosto e spesso massacra il tiranno. — Quando gli schiavi Russi ribellansi, si è per uccidere, incendiare, e distruggere. — Gli Czar non ignorano le conseguenze naturali del potere che essi esercitano; onde lutto dì paventano di perder la corona e la vita. I sonni del dispotismo son loro ben crudi; e in tale governo la sventura è sempre imminente.

Piucché in qualsiasi paese lo spionaggio è ottimamente organizzato in Russia. A Pietroburgo le muraglie ascoltano. La polizia à suoi fidi in ogni classe sociale, in guisa che dentro ogni abitazione, e più ne' luoghi pubblici, v’ànno traditori pronti a denunziare al padrone o ai ministri anche una sola parola avversa o sospetta, un’equivoca o mal'intesa espressione.

Non occorre asserire come in Russia la legge del segreto epistolare riducasi a mera Unzione; che la polizia Russa non rispetta suggelli: e ciò si dichiara apertamente e pubblicamente siccome fatto il più ragionevole. — Ecco, in proposito, un curioso aneddoto: In un giorno dell’anno 1850, un diplomatico francese si recò a far lagnanze presso un impiegalo superiore dell'ufficio postale di Pietroburgo, attesoché tutte le lettere a lui indirizzate per l'ordinario corriere sempre fossero ritardate. — Ciò è strano, rispose l'impiegato, e non so come mai possa accadere, mentre ò destinato un ispettore di più, onde le vostre lettere siano sollecitamente disbrigate. — Il diplomatico si tacque; e al sopravvenir del nuov'anno, strinse la mano all’onesto funzionario ponendovi un biglietto di 500 franchi, e gli disse: «Vi servirà per pagare un altro ispettore.»

Tanto pericolosa è in Russia la forma d’una lettera, che addiviene sospetto e temibile qualunque piego sia trasmesso per altra via da quella postale. — Ilsignor Raikes viaggiatore Inglese, incaricato di portare una lettera alla granduchessa Elena, mandò il proprio servo al palazzo della principessa con ordine di lasciar il piego in mani del di lei ciambellano o del segretario. Ebbe però a meravigliarsi altamente quando il domestico di ritorno gli narrò come il ciambellano avesse rispinta la lettera quasi fosse appestata, e decisamente la rifiutasse. Il sig. Raikes allora fu necessitato a deciferare il suo nome e cognome e qualità, e presentare il passaporto, onde il messaggio venisse ricevuto.

I privati ancora, scimmieggiando i principi, risentono codesto terrore; e però è costumanza delle grandi famiglie il rifiuto d’ogni lettera la cui derivazione non sia abbastanza palese.

Niun libro, opuscolo, o numero di giornale, non un foglio, o una linea stampata, s’introducono in Russia, apertamente, senza che prima si esaminino, si concino, si lacerino, si cancellino in tutto quanto potrebbe suonar male all’orecchie dello imperatore. Talché se poche son le stampe che s’introducono in Russia, più rare ancora sono quelle le quali giungono a veder la luce.

Il sistema di difesa contro i principi e le idee Occidentali non sarebbe completo, ove il Governo tollerasse un lungo contatto de' proprj sudditi con quelli che chiama giacobini di Francia e d’Inghilterra. E a ciò pose riparo senza meno il despotismo moscovita, stabilendo un cordone sanitario insuperabile e rigorosissimo. Un ukas (decreto) vieta a tutti i nobili Russi una dimora all'estero per più che quattr’anni consecutivi; alle persone di classe inferiore per più che Ire anni. Se l’assenza si prolungasse, si confiscano i beni del colpevole. A chi à scarsi mezzi poi, venne tolta indirettamente la libertà di viaggiare, coll’ordinanza che fissò a 200 rubli d’argento, 700 franchi, per anno la tassa dei passaporti all’estero. I negozianti non posson uscire dai confini dell’impero, senza soggiacere, ovunque si rechino, alla continua sorveglianza della polizia Russa.

È vero che alcuni Personaggi d’ambo i sessi risiedono quasi sempre a Parigi, o a Londra, o in altre grandi Capitali; ma la tolleranza che godono, costa loro di belle somme per gratificarne i funzionari più possenti e persino i membri della famiglia imperiale.

La legge Russa non mirò soltanto a reprimere ne’ suoi sudditi la mania di viaggiare: ma dispose ancora varie leggi all’oggetto di antivenire ogni facilità di sponsali fra le donne Russe e gli stranieri. Non già che si vieti alla femmina di seguire la condizione e la dimora del consorte; ma dessa, passando a vivere sotto un governo straniero, è costretta per legge a vendere, entro sei mesi, i beni immobili che possegga in Russia. Il Governo poi sui capitali che in tal guisa si esportano preleva il 10 per cento!

Le migliori guarentigie del dispotismo Moscovita però si fondano nella organizzazione della società su cui regna, e nella educazione del popolo affidala all’esclusivo monopolio dirigente del potere.

«Io vidi, dice uno storico Francese, alcuni fanciulli a cui insegnavasi di cercare d’esser piacenti al re; ed ò sentito dire che a Venezia le governanti di famiglia raccomandassero ai bimbi di amar la repubblica; e che nei serragli di Marocco e d’Algeri si avverta di guardarsi dal grande eunuco nero.» L’educazione dei Russi racchiudesi intera in codesta espressione; tranne la sola differenza che, invece dell’eunuco nero, avvi un autocrate cui bisogna saper riuscire accetti, e temerne lo sdegno.

Il timore! — Ecco il gran principio e il movente universale del Governo Moscovita. 1 Russi tutti crescono sotto la impressione di superstizioso terrore per tutto ciò che rammenta il potere! — Obbedire e tacere; adorar l’autocrate, se si possa; ove nò, temerlo: annichilar sé stesso perché ridondi ogni gloria e prò ad esigenti padroni, soffocare ogni affetto o pensiero di miglioramento sociale, rassegnarsi a somigliar per tutta la vita a un soldato in fazione; non udire o vedere fuor quello che è ordinalo o permesso; serbare il più rigoroso silenzio sulla politica, sulla storia, sulla filosofia, e le materie religiose; abituarsi alla dissimulazione, alla menzogna, all'adulazione, alla viltà; son queste le massime necessarie alla vita sociale in Russia.

Lo Czar è centro di tutti i pensieri; attorno a lui si commuove e affaticasi l’intiero popolo di codesta speciosa nazione. Molte cose è d’uopo operare onde piacere allo imperatore, moltissime evitare onde non recargli offesa, e perciò questo semidèo tiene universalmente preoccupati gli animi dei nobili russi. Da chi non sia amato, è temuto. — Caterina II. stavasi un giorno dal balcone dell'Eremitaggio rimirando il discioglimento della Neva; e vide una giovanetta precipitare nell'onde. Spedi tosto gente a di lei soccorso; saputala in salvo, desiderò vederla, e fecesi condurre innanzi la meschina ancor tutta tremante e intirizzita; la fe’ rivestire d’abiti tolti da' suoi armadj, e la congedò regalandole denaro, e raccomandandole si presentasse di nuovo quando fosse per andare a marito. Non appena uscita di Palazzo, molti interrogarono la giovinetta sul caso toccatole. «Oh! mio Dio! rispose, ò provato nel presentarmi alla Sovrana un terrore, che non sentii l’uguale precipitando nel fiume!» (Memorie segrete sulla Russia T. III. pag. 463.)

In Russia le dimostrazioni d’affetto pel sovrano sono regolate da comandi: perciocché le relazioni dei soggetti col potere supremo non potevano lasciarsi a praticare dal libero beneplacito dei governati, in uno stato ove tutto è sottoposto a rigorose norme, a disciplina, a numerazione. Russia è il paese dell’etichetta per eccellenza: ma non già in corte soltanto: regna severa etichetta nei luoghi pubblici, nelle vie, ne’ passeggi, e ne’ teatri, e dovunque sia possibile che quest’idolo chiamato Czar venga a beare di sua presenza la turba degli adoratori.

Quando lo Czar recasi officialmente e in palese allo spettacolo, gli astanti debbono tenersi in piedi e rivolti colla faccia al sole imperiale finché la tela non sia levata, e nello intermezzo degli atti.

Quando l’autocrate percorre sia in cocchio sia a piedi la sua cara città di Pietroburgo, ognuno che lo incontri è tenuto a fermarsi, far di cappello, e prosternarsi. Se chi transita per via è in vettura, è obbligato a scendere, e fare atto di ossequio togliendosi la pelliccia di dosso, sia pur rigida la stagione. — Paolo I. diede sovente gravi punizioni a taluni che, noi conoscendo o non essendosene avveduti in tempo, non si erano fermali in atto di omaggio. Diranno alcuni che Paolo 1. era un tiranno capriccioso e bisbetico, ma Niccolò era meno esigente, e passeggiava il più delle volte incognito. Locché è vero: ma non ne siegue che men pericoloso divenga ai governali un tal privilegio e costume, pel solo riflesso che il Sovrano non soglia abusarne.

Niun ingegno più eletto o cuore magnanimo può resistere all'influsso della. servile obbedienza che domina in Russia; ove la politica principale del despotismo consiste nell’avvilire di continuo gli animi e gli individui. Ed ogni cosa è disposta per guisa che niuno possa sottrarsi all'azione mortifera di tale sistema.

Gli ordini di merito, e le decorazioni militari in ispecie sono in tutti i paesi destinate a ricompensa dei servigi resi alla patria, ad emulazione dei buoni, ma in Russia ne fa uso il monarca per rimeritar le bassezze ed eccitare l’ambizione de' cortegiani. Né ciò basta: posciaché, ad ottenere un intero dominio morale, il potere autocratico regolò le condizioni nazionali per guisa, che dalla volontà sua dipendesse totalmente la posizione altrui. Che se àvvi una aristocrazia, non essendo questa derivante dai natali, ma dal beneplacito dello Czar, ne risulta che i desiderii tutti dei sudditi si affisano nell'autocrate, intenti è fiduciosi tutti in lui, donde emana ogni fonte di grazia. Quindi negli individui smisurata ambizione e mania d’intrigo deturpano le migliori doti; e una vigliacca e ignominiosa servilità regna in tutti feconda di vizj innumerevoli, necessario frutto del dispotismo.

Giammai in Russia sorgerà una voce appieno schietta e verace che osi manifestare l’intera realtà. E se l’imperatore volesse sfuggire agl’inganni, sarebbe pur sempre ognora ingannato! Trista condizione è questa di un despota! e non conoscerà mai lo stato preciso de' vasti dominj, o quali provincie siano sofferenti, quali genti muovan lamento, quali migliorie si rendano indispensabili in una od altra regione dell'impero.

Nei nostri luoghi, ove i modi di convivenza sono i più spogli di aristocratica affettazione e ceremonia, non può aversi idea della stranezza e follia alla quale giungono i Russi ne’ loro atti cortigianeschi. Esaminando la storia di Russia sotto i varj Regnanti, trovansi ad ogni tratto, dai secoli più rimoti, insino ad «oggi, prodigiosi esempi di codesta abitudine. — Regnante Caterina II. la massima abilità de' cortigiani riponevasi in adulare il creduto amante della Czarina. Le persone di corte non solo, ma i militari valorosi, e persino i vecchi generali non risparmiarono umiliazione per la quale gradir potessero al favorito. — Un giorno Zuboff divertivasi a cacciare ne’ dintorni della capitale, e fece sosta sulla strada che conduce da Pietroburgo a Czarko-Cèlo. I gran signori che venivano a corte, i paesani, le vetture tutte, i corrieri offiziali, e anche la posta, si fermarono; e proseguirono il lor cammino sol quando il giovine idolo, stanco d’attender ivi la selvaggina, prescelse di riporsi a cacciare, dopo un’ora di fermata. — Sotto l'imperatore Paolo, bisognava aggradire al suo favorito Koutaicoff, e i cortigiani s’inchinavano in mille modi all'antico cameriere dello Czar per acquistarne protezione. Il mezzo più sicuro a quest'uopo consisteva in colmar di presenti e doni la sua dama, signora Chevallier, attrice del Teatro Francese a Pietroburgo. Or ecco l'espediente che rinvennero gl'intriganti: I palchi del teatro erano affittati annualmente, ad eccezione di quelle sere in cui a benefizio dei primi attori davasi qualche produzione più interessante, nel qual caso, sospeso l’abbonamento, acquistavansi presso i beneficiati stessi i biglietti d’ingresso ai palchi. Allorché adunque la recita particolare era devoluta a benefizio della signora Chevallier, i gran signori si facevano mettere in nota appo lei per avere i palchi. Il valore dei biglietti era ordinariamente di 20 o 25 rubli; ma presso la dama di Koutaicoff si pagavano anche 5 o 600 rubli; e in varii casi l’insaziabile attrice ne ritrasse il doppio e il triplo ancora. Queste larghezze erano segnate in apposito registro co’ nomi degli autori, onde, sottoposti allo esame del favorito, questi tenesse conto di coloro che più aveano largheggiato, e all’occasione li raccomandasse all’Autocrate. Questo schifoso mercimonio era noto ovunque a Pietroburgo, senza che alcuno ne mormorasse. Ecco in proposito un fatto più caratteristico ancora.

Ilprincipe Korsakoff, commissario imperiale all'armata di Condè, era tornato a Pietroburgo insieme alle truppe Russe che fecer parte della coalizione. In una serata fuori di abbonamento e a beneficio della Chevallier, mandò un suo segretario, chiamato Prud'homme, presso l’attrice onde ottenere un biglietto; ed essendo il principe informato siccome bisognasse esser generoso colla dama del grande scudiere per ottener favori dallo Czar, cosi raccomandò a Prud'homme di pagare largamente il palco desiderato. Il segretario adempì allo incarico, ma non avendo avuto designazione di somma, credette aver dato assai, avendo pagato cento rubli. — Il principe, ravvisando Io sbaglio, và sulle furie accusando il segretario d’esser cagione di sua ruina. E tosto, a tentar di ripararvi, corre presso un gioielliere, acquista un finimento di diamanti per 1200 rubli, e lo invia sull’istante alla signora Chevallier. La quale, sorpresa e penetrata di si bel dono, fece tenere un posto in teatro a Prud’homme, invitò il principe a bere il tè presso di lei, onde presentarlo al suo amante; e, dopo alcuni giorni, Paolo I. nominò Korsakoff comandante d'un reggimento di guarnigione a Pietroburgo. — Generali furono l'ammirazione e l’invidia per l’avvedutezza addimostrata da quel Principe cortigiano.

Nel 1857, alcuni signori d’una provincia Russa decisero che una abitazione, ove erasi fermato lo Czar durante un viaggio, sarebbe mutata in cappella, da recitarvi ogni giorno preghiere ad implorare la conservazione dei giorni al Sovrano.

Il celebre viaggio di Caterina II. in Crimea è l'esempio più rimarchevole delle mentite apparenze con cui si tradisce la cieca vanità de' sovrani moscoviti, e di quanto può produrre la smania cortigianesca in quella nazione.

L’imperator d’Austria Giuseppe II. che trasse a visitar Caterina nel fastoso di lei viaggio dichiarò in modo particolare le proprie opinioni sulle meraviglie che Potemkin aveva profuse dinnanzi ai passi dell’antica sua amante. Richiesto dal signor di Sègur intorno ai nuovi stabilimenti della Russia meridionale, rispose: V’à più sfoggio di mentita apparenza che non siavi realtà. Ogni cosa addivien facile quando non si risparmiano il danaro e la vita degli uomini. Non sarebbe possibile tentare in Francia o in Allemagna ciocché in Russia si opera senza ostacolo. — Un padrone comanda, e mille schiavi lavorano; pagati scarsamente o per nulla, mal nudriti ancora, non osano mormorare sillaba; e mi è noto che in que’ nuovi governi da tre anni in qua per soverchie fatiche e per la insalubrità delle paludi son morti presso 50 mila uomini senza che se ne facesse motto o compianto veruno.

Trentasette anni dopo, la cortigianeria Russa segnalavasi per nuovi atti di cotal genere. L’imperatore Alessandro, visitando nel 1824 le colonie militari di Russia meridionale, assistette alla commedia istessa, fu illuso dal medesimo sistema di false dimostrazioni. Il generale de Witt fece enormi spese e pose in atto tutti i possibili espedienti per far credere all’autocrate che i nuovi istituti di cavalleria erano nello stato il più florido. Acconciò le case, fe’ adornare le vie d’alberi cavati di fresco ne' boschi vicini e destinati a far bella mostra di sé per pochi minuti. Si tolsero a nolo uomini e fanciulli perché facesser numero e turba intorno allo Czar; armenti di pecore ed altri bestiami ugualmente tolti a fitto completavano la decorazione, dando una lusinghiera idea dell'agiatezza che gli abitanti del paese godevano. E quando se n’era fatta mostra in un luogo, si mandavano in un altro, siccome le comparse ne’ teatri che, per rappresentare un armata intera, passano, e tornano di nuovo ancora sotto gli occhi degli spettatori, uscendo da uno, e rientrando per altro lato.

Lo stesso interessato ciarlatanismo, le istesse adulazioni, gli stessi stratagemmi furono adoperati pel viaggio dell'Autocrate Niccolò. Tutti i villaggi situati lungo la via, che lo imperatore e la imperatrice dovean tenere per recarsi a Odessa, furono restaurati e vagamente dipinti: se v’erano case distrutte dallo incendio, il vuoto prodottone si cuopriva con una muraglia isolata, o una decorazione di circostanza. Due viaggiatori francesi, nostri conoscenti, si trovarono presenti in una terra

Russa, allorché le autorità s’affrettavano ad eseguire tali abbellimenti d'offizio.

Il dispotismo sospinto in tal guisa oltre i limiti della ragione degrada coloro che ne subiscono 1 influenza; abbrutisce gli spiriti, avvilisce i caratteri, indura i cuori, estinguendovi persino il senso di carità, di delicatezza, di generosità. In Russia tutti si allontanano dall'uomo distinto che cade in disgrazia: spariscono gli amici e i protettori, e attorno alla persona esecrata si forma un deserto, e tutti ne rifuggono siccome da uno scommunicato o da un novello Caino. — Il signor di Sègur narra come il celebre Americano Paolo Jones compagno nelle vittorie al Principe di Nassau, essendo tornato a Pietroburgo, fu accusato da' suoi nimici con neri trovati di calunnia. L’imperatrice Caterina II. immediatamente crucciossi coll'ammiraglio straniero, il quale videsi tosto abbandonato dai numerosi adulatori, che poco prima l'opprimevano con incessanti elogj. E il signor di Sègur, per moto d’animo generoso essendosi recato a consolare l’intrepido soldato, trovollo immerso nella disperazione, e risoluto di bruciarsi il cervello: imperciocché trova vasi completamente isolato; tutti i pretesi amici fuggivanlo siccome fosse attaccato da peste; niun avvocato consentiva ad assumerne la difesa; niun funzionario voleva ascoltarne le giustificazioni: perfino il suo domestico erasene andato; onde egli trovavasi solingo, abbandonato nel più tristo isolamento per mezzo ad una immensa e popolosa città. La collera sovrana l’aveva colpito, e ciò bastava onde fosse trattato siccome un malfattore segnato dal marchio della riprovazione. Le cure però dello ambasciadore Francese riuscirono a sventar le trame de' calunniatori, e Paolo Jones fu chiarito pienamente innocente; dopo di che la imperatrice, ricredutasi, confessò il proprio errore. In un baleno, e quasi per prodigio, i cortigiani affluirono nel palazzo dell’Ammiraglio, facendo a gara gli uni gli altri ad esternare quali meglio potessero frasi di ardente interessamento per compiangerlo della momentanea disgrazia trascorsa, e per felicitarne il trionfo riportato sui calunniatori.

Ma l'esempio più specioso di tale viltà ne’ cortigiani Russi videsi nella disgrazia di Suvvaroff. L’Eroe Russo tornava a Pietroburgo carico degli allori, che in Italia avea colto attesa la numerica inferiorità dell'esercito Francese avversario. Paolo I. pieno d’entusiasmo pei successi del Generalissimo, nonostante la vergognosa sconfitta di Zurigo, ordinò per decreto apposito che Suwaroff dovesse far ingresso trionfale a Pietroburgo. La cerimonia era prestabilita: un forte corpo di cavalleria, composto di dragoni, ussari, e cosacchi, doveva recarsi incontro al vincitore della Trebbia, più leghe fuor della capitale; venti mila fanti erano stati ragunati per far ala al suo passaggio: ordinata l’illuminazione universale nella città: il trionfatore sarebbe condotto colla maggior pompa su di un cocchio imperiale alla reggia, ad occuparvi un appartamento che il benevolo Signor suo aveagli fallo approntare. Infine, ad eternar la memoria di sì grand'uomo, era statuita l’erezione di un monumento in marmo e in bronzo sulla piazza maggiore di Pietroburgo, con sopra ritratte la effigie dell’eroe e le più splendide sue vittorie. — Ora vedasi il rovescio della medaglia. — Giunge all'orecchio dello Czar, che Suwaroffsiasi arbitrato di porre in non cale un ordine emanalo dalla Sovrana autorità: trattavasi di cosa risguardante le militari formalità, un oggetto da nulla, una quisquiglia (3). La disobbedienza del generale vien tosto pubblicata clamorosamente in un ordine del giorno a tutti i corpi delle milizie: la ceremonia del trionfo è proibita. Suwaroff giunge, gravemente malato, rifinito, agonizzatile; entra in Pietroburgo in mezzo a completa solitudine e silenzio. Si fà tosto condurre presso sua madre in un quartiere rimoto; ed ivi, dilaniato dal dolore, inconsolabile per la ingratitudine dell'Uomo, a cui salvò la corona, muore in orribile isolamento al pari d'un. lebbroso!...

L’autocrate ebbe la bontà di asserire che la morte di Suwaroff era una pubblica sventura, ma una lieve disobbedienza ne aveva macchiata la gloria. E tosto la folla cortigianesca ripeteva in coro: «Egli era un grand'uomo, ma diede mali esempi d'indisciplina.»


vai su


CAPITOLO II - CARATTERE DEI RUSSI

Buone qualità dei Russi. — Nobiltà sinonimo di libertà. — Mania di decorazioni e titoli; curiosa conversazione. — I nobili Russi tengono in ispregio le altre classi del popolo. — Ostentazione; smania di lusso. Gran signori rovinati; il gentiluomo rigattiere. — Inezie dei Russi. — I Russi intelligenti e sagaci; eleganza delle donne; l’avere schiavi le rende crudeli. — La borghesia: tariffa dell’onore di un borghese. — Buone qualità del mercante Russo. — Qualità del volgo: ignoranza e semplicità; aneddoto.

I Russi per loro natura sono bravi, ospitali e caritatevoli. Né già s’intenda per bravura la fanatica ostinazione, con cui il soldato moscovita resta impassibile innanzi alla morte più certa. I Russi valgono qualche cosa di meglio, e sarebbero gli uomini i più intrepidi se non fossero con ogni cura abbrutiti dalla abitudine d'una stupida ubbidienza, e dal dispotismo di una disciplina, che essendo esagerata, addiviene ridicola. In quanto ad ospitalità vuolsi parlare di quella che con nobile semplicità adopera il servo russo povero e dispregiato qual è, e non già delle fastose larghezze che uno straniero riceve presso i grandi signori di Russia.

E cosa rimarchevole nei russi l'essere spogli di taluni pregiudizi, di cui non vanno privi altri popoli meglio civilizzati. La nascita in Russia non fu mai giudicata superiore al merito; e l'antichità delle pergamene è tenuta in poco conto. Ciò ell'essi chiamano nobiltà à un origine rispettabilissima e preziosa, la libertà: perché la parola russa dworannoi, appellativo dei nobili, significa proprietario di beni rustici, perché soltanto l'uomo libero può posse derne; talché i vocaboli uomo libero sono sinonimi di nobile. Il merito in Russia soverchia la eredità, e l'ordine delle classi nobili è organizzato in guisa che qualunque individuo, anco il più umile servo, può sperare di esservi ascritto. Talché questo modo d istituzione sarebbe assai democratico e vantaggioso, se sgraziatamente non fosse reso inutile dal conservato principio della schiavitù.

Lo straniero, che recasi in Russia, resta a un tratto meravigliato dell'immenso numero di persone che portano decorazioni di ogni colore. Ai passeggi, nelle vie, nelle sale aristocratiche, nei circoli di società, e dovunque si veggono abili fregiati di nastri e di croci; onde sorge tosto la idea di trovarsi in mezzo ad un popolo composto in maggioranza d'uomini di merito, e di ragguardevoli cit tadini, fra cui la virtù s’innalza e brilla per tutti i gradi della sociale gerarchia. Ma l’ammirazione svanisce allorché si apprenda che quelle croci, di cui i russi tanto vanito samente si adornano, si accordan sovente agl'intriganti, e quelle sole sono rispettabili le quali si veggono in petto ai militari conquistate da essi colla punta della loro spada.

Le decorazioni sono il primo mezzo con che si appaga la vanità dei nobili russi; àvvi di esse una sfrenata mania; formano il sogno delizioso di ognuno che sia uomo libero, la passione dominante delle alte classi sociali. Né con ciò si avveggono come tale profusione di nastri sveli la più trista di loro infermità morali, cioè una vanità eminentemente sciocca e puerile. I russi bonariamente ignorano le gravi conseguenze di tale stoltezza, né sono perspicaci tanto da accorgersi che l'Autocrate, unico dispensatore di ogni distinzione, si approfitta di tale monomania per aumentare i suoi fidi, e domanda ai sudditi in vile tributo di rassegnata sommessione assai più che non concede loro in larghezza di benefici e favori.

I russi, invasi dai pregiudizi aristocratici di casta, non giungono a persuadersi che un uomo guadagni la stima dei suoi concittadini senza possedere un titolo onorifico; non possono concepire che taluno sia rimarchevole per merito, senza essere collocato in una classe particolare della società; e per essi gli Stati più rispettabili sona quelli i cui abitanti sono divisi in categorie ben distinte. Il contrario è per essi un’anarchia; e credono sinceramente che un popolo libero sia un popolo senza dignità e senza avvenire; ritenendo in pari tempo come spregevole quell’uomo che non appartenga ad alcuna classe privilegiata. — Ci si permetta di narrare in proposito una speciosa conversazione avuta, son pochi anni, fra un nostro amico ed un senatore russo; perciocché essa dipinge perfettamente le opinioni di quelli abitanti del nord. — La scena avvenne durante un desinare, presenti molti altri russi che approvavano del gesto e dello sguardo tutte le parole dell'onorevole senatore. «Signore, siete voi militare? domandò egli al nostro amico. — Nò signore: io sono di carattere troppo indipendente per poter giammai desiderare gli onori delle spalline. — Indipendente! ma pure è ben duopo che voi abbiate alcun superiore o che obbediate ad alcuno. — Io obbedisco solo alle leggi del mio paese, e niuno al mondo à dritto di comandarmi.... Oh! io mi dimenticava che obbedisco al mio comandante quando sono di guardia, perché avevo dimenticato dirvi che anch'io faccio parte della guardia nazionale.» Il volto del russo che erasi da prima oscurato, tornò alquanto sorridente. «Ah! voi siete della guardia nazionale? benissimo! Sarete senza dubbio uffiziale? — Nò signore. » Il volto del Senatore si turbò di nuovo presentando profonde' traccie di sorpresa. «Ma infine voi avretequalche grado?— Nessuno. — Ma che siete voi dunque?— Sono un semplice cacciatore, o per dir meglio un semplice soldato. — Oh!……...»

Quante cose si comprendevano in tale esclamazione! e come il nostro amico scadeva dall'opinione dell'interrogatore! «Voi non siete uffiziale, egli riprese, ma lo sarete certamente un giorno? — Io spero di non esserlo giammai:» Lo stupore fu generale: «E perché dunque? — Perché i fastidi del comando non sono compensati da una meschina soddisfazione dell'amor proprio. «Il russo era assai imbarazzato; poiché sembrava dispiacente di dover togliere o scemare la propria stima a quel commensale. Tuttavia sembrò restassegli un barlume di speranza, e dopo alcuni minuti di silenzio, così continuò le domande.» E vostro padre à egli nessuna carica? — Signore io mi compiaccio in pensare che le vostre domande sian mosse da un sentimento di amorevolezza, di che vi sono grato. Se altrimenti fosse, mi sembrerebbero assai strane. Voi mi chiedete se mio padre sostenga alcuna carica? Egli è maire della piccola città ove dimoro. — Ah! egli è maire? «E la fisonomia del signore moscovita si rischiarò tosto.» Alla buon'ora! sciamò egli: è probabile che anche voi un giorno giungerete al possesso di quest'onorevole officio. — Tutto porta a credere il contrario. — Ma io non vi comprendo! Chi siete voi insomma? A qual classe appartenete? — Io sono cittadino francese, e non appartengo ad alcuna classe. — Ma il vostro passaporto conterrà una qualifica? — Si: quella di proprietario; locché vuol dire ch'io non ho alcun titolo, ma non impedisce che nella stima di molti sia cosi allo locato come tanti nobili e grandi personaggi. — Vi accerto che voi fareste ottima cosa di entrare al servizio in Russia. Voi siete intelligente, istruito, e avvanzereste con sollecitudine; avreste un grado e una posizione. — Io vi sono tenuto, o signore, della premura, ma desidero di restare qual sono. — Peccato! Voi potreste cominciare entrando tosto nella quattordicesima classe della nobiltà, e avreste a sperare di giunger ben presto all'ottava. — Grazie! amo meglio di rimanere nella prima classe del mio paese.

Quel senatore non volse più parola al nostro amico, ritenendolo per certo uomo d’assurdi principi e poco degno di stima; e di più non era nemmeno decorato!

Si comprende facilmente siccome uomini in tal guisa imbevuti di pregiudizi aristocratici, e così superbi di vane distinzioni, spingan l'orgoglio e l'ambizione all’eccesso. Per un nobile russo un cittadino è un soggetto spregevole da sfuggirsene il contatto; un paesano tiensi per bruto, per cosa che esista soltanto e si muova a volontà dei potenti. Non occorre narrare che i nobili non ricevono né visitano mai i negozianti del lor paese: e questo disdegno viene esteso lino agli stranieri, ch’essi paragonano ai piccoli commercianti nazionali. Tuttavia la necessità à qualche volta avvicinato la nobiltà moscovita alla plebe. Non dissimili da quei gentiluomini francesi che, dopo i disordini della reggenza e gl’infortuni della banca di Lavv, si rassegnarono ad abbassarsi tanto da sposare alcune ricche cittadine, in egual modo vidersi parecchi signori russi cercare nella industria la riparazione ai danni di loro fortune prodotti dalle scioperatezze, dal giuoco, da pazze prodigalità. Ma, divenendo mercanti o fabbricatori, questi figli traviati delle classi privilegiate non rinunziarono affatto alla nativa fierezza e al portamento principesco.

La superbia è la caratteristica di tutte le aristocrazie; ma quella dominante in Russia è arsa anche dalla febbre del più crudele egoismo, che la rende ingiusta ed oppressiva contro gli schiavi. La nobiltà inglese non favoreggia la plebe, ma non ne disprezza gl'individui né come uomini né come cittadini. L’aristocrazia Russa all'incontro, abituata a comandare su questi sventurati tenuti in conto di animali o di cose, sdegna pienamente tutto ciò che a lei è inferiore nella sociale condizione.

Conseguenza di questo orgoglio aristocratico è l’ostentazione e la smania di appariscenza. Gran numero di nobili moscoviti cadde in ruina pel lusso delle case, degli equipaggi, delle acconciature, profondendo in splendide danze e feste le loro rendite del tutto inferiori agli enormi dispendi. D’onde avviene, che i signori russi, se togli i possessori di colossali fortune, siano il più sovente senza denaro: e siccome non rinunzierebbero giammai alla vita fastosa, comprano fin che possono a credito, e adoperano ogni mezzo possibile a fornirsi di risorse. Non diremo siccome Clarke, che essi venderebbero tutto ciò che possiedono, cominciando dalla moglie insino al cane: ma noi possiamo affermare col medesimo scrittore, ch'essi non si astengono dal mettere a pegno o alienare a vilissimo prezzo i mobili dei loro palazzi, o le proprie vestimento. Avvene alcuni che impiegano lor tempo in vergognosi traffici da cui sperano vantaggi: altri ridotti agli estremi si fecero negozianti rigattieri. Un principe Troubetzkoi era diventato mercante di minerali, di quadri, di calzette, di berretti, di chincaglie, d’antichità, di tutto ciò in fine che costituisce il fornimento di una bottega e di un museo. Acquistava qualunque oggetto trovar potesse da rivendersi con lucro. Molte stanze del suo palazzo erano ingombre di oggetti destinati a tale commercio. Gli stranieri restavano assai sorpresi in vedere un principe, che si trattava col maggior lusso ed ostentava nobilissimi modi, occuparsi in questo traffico. E il degno personaggio era abile di molto: conosceva perfettamente tutte le astuzie colle quali i rivenduglioli si studiano di sedurre e ingannare; egli mentiva sfacciatamente, vantando oltremodo le buone qualità di un oggetto ai ricercanti, palliandone i difetti, e adulava, lusingava, opprimeva 1 avventore in guisa da uscirne presso che sempre con buon successo.

«Tutto, dice Clarke, potevasi rinvenire e acquistare presso sua altezza, un soffietto del pari che un quadro di Claudio Lorenese: vedevi schierati nella medesima stanza fazzoletti, calzette, fiori artificiali, ventagli, acqua di colonia, saponette, pomate, pitture, fucili, pistole, minerali, orificerie, fornimenti, selle, briglie, pipe, abiti vecchi, sciabole, uccelli imbalsamati, bronzi, anelli, bottoni, tabacchiere, parrucche, orologi, cassette e scarpe.»

La mia casa, ci disse egli, è ai vostri servigi, e di chiunque altro voglia comprarla: imperocché io son disposto a venderla al tenue prezzo di un rublo, purché mi si paghino un rublo l'uno tutti i mobili che contiene». Mentre noi contrattavamo col principe, questi ricevette un biglietto, che lesse ad alta voce. Era del principe di L.... che gli chiedeva un prestito di denaro. — Ecco un uomo disse sua altezza, il quale à una sala così brillante di lusso e di ricchezza da valere un milione di rubli e ora me ne chiede quarantacinque per fare alcune minute spese: giudicate voi come si vive in Russia (4)!

Facilmente si può render ragione dell'orgoglio nazionale di un popolo, che vanti una splendida istoria, cavalleresche tradizioni, alta rinomanza militare, opinione universale di talenti e di coraggio, luminosa gloria nel campo delle scienze, un posto onorevole nel consesso delle genti civilizzate. Ma non sarà ella cosa strana e ridevole che i Russi semibarbari ancora, e non usciti interamente dall'infanzia sociale si tengano in sul serio per la prima nazione del mondo, pel popolo meglio organizzato e incivilito, e si chiamino predestinati a compiere una sublime missione di rigenerazione politica, religiosa e morale?

A tanto incarco son minori di troppo le forze della società Russa, e i più civili di questo popolo son uomini di niun valore. Nei più eletti convegni del fiore dell'aristocrazia non si ascoltano che aspri e satirici motteggi sulle persone assenti, futili ciancie, insensati giudizii di opere letterarie, epigrammi pungenti, giuochi di parole e innumerevoli facezie di gusto più o meno squisito e innocente. Niun grave discorso, niuna importante discussione fra loro, poiché non potendo ragionare affatto dipolitica, se non per approvare gli atti del Governo, gli uomini anche i più distinti intorpidiscono l’intelligenza e contraggono man mano l’abitudine di occupare lo spirito in pensieri ed immagini non diverse da quelle di inesperto e sciocco fanciullo. Niuna meraviglia adunque che i loro concetti sian privi di perfezione e di buon gusto; poiché, quantunque non poveri di penetrazione e di accortezza, pure la loro educazione è incompleta, bastarda, diremo quasi abbozzala e risente l’influenza di una barbarie non vinta né cancellala ancora dai troppo recenti tentativi di un più largo sviluppo d’incivilimento.

Le donne russe squisitamente educate ponno paragonarsi alle francesi più distinte, per la grazia, la maniera, lo spirito e i portamenti: ma queste brillanti qualità non giungono a cancellare in molte di esse l'influenza di una falsa e incompleta civilizzazione; e non è raro di vedere dame russe assai colle e istruite, comportarsi colle loro schiave con durezza e crudeltà non minore di quella che adopererebbero gli uomini i più insensibili alle impressioni delle umane miserie. Una donna che vi avrà rapito colle gentili maniere e avrà fatto ammirare il perfetto criterio, le svariate cognizioni, la squisita eleganza, l'apparente dolcezza, è capace, mentre discorre seco voi letteratura e belle arti, di ordinare che si batta a sangue una sua schiava per qualche iscusabile innavvedutezza in che questa sia caduta. Narransi ributtanti atrocità ordinate da nobilissime dame; a talune si attribuiscono fatti che la penna abborre di riferire; ma in ciò non vuolsi accusare il carattere russo, bensì le istituzioni e più che altro la schiavitù: enorme vizio che martora il servo e intristisce il padrone, che dilania il corpo delle vittime e fai perverso il cuore del carnefice. Le dame russe vengono allevate in mezzo a un branco di creature dispregiate verso le quali si abituarono ognora a comandare ed essere obbedite a un cenno solo, a un semplice sguardo. Per esse un servo fu sempre inferiore a un bruto, inferiore al mastino, che guarda l'entrata del castello. Fin dalla infanzia più tenera ebbero lezioni di severità riguardo ai loro servi, appresero insieme alla parola le abitudini di comando, e i primi accenti delle labbra infantili forse pronunciarono minaccie di condanna. Lo spettacolo frequente dei supplizi tolse loro ogni sensibilità; in guisa che si allettano di veder battere o uccidere uomini e deboli femmine ancora, senza commuoversi alle grida dei pazienti, alla vista del sangue che lor piove dal corpo, dei brani di carne che il knut viene strappando ad ogni percossa. Potrebbe mai sperarsi buon frutto da tale educazione? Sonvi lezioni morali o filantropiche capaci a distruggere queste impressioni della infanzia? La donzella cresce sotto l’influenza delle idee stesse e dei medesimi pregiudizi. E quando è fatta adulta presenta le più strane contraddizioni di dolcezza e crudeltà, di mansuetudine e violenza, di delicati costumi e brutalità. Ove la schiavitù si abolisse, il padrone diverrebbe migliore nel tempo stesso che i servi riacquisterebbero la libertà.

Che se v'anno dei russi cui nazioni eminentemente civili ed oneste terrebbero ad onore l'aver nel proprio seno pure la maggioranza della nobiltà non merita stima o simpatia veruna; imperocché questa classe della nazione moscovita ha tutti i difetti di casta, tutti i vizi che ponno derivare da istituzioni detestabili, senza considerare gl'istinti particolari della razza slava ed asiatica.

Ora ne conviene gettare uno sguardo sulle altre classi della società russa

Sotto il nome di Borghesia o terzo stato è malamente designata quella classe d'individui in Russia, che sta fra la nobiltà e il popolo, fra gli uomini liberi e gli schiavi. Questa classe partecipa assai più di questi che di quelli e veramente è plebe, nel senso più ingrato della parola. Questa classe comprende tutti quei mercanti, i quali in forza di un permesso pagato a caro prezzo ai lor padroni, possono darsi al commercio, e arricchirsi: locché talvolta riesce a profitto di alcuni oziosi titolati. Niuna meraviglia adunque se il commerciante russo à tutti i difetti inerenti alla precaria ed abbietta sua condizione.

Sembra invero che i sovrani russi abbian posto ogni cura a mantenere tal classe in infima situazione e pressoché abbietta, per impedirle di raggiungere un grado di forza e d’influenza onde potesse bilanciarsi in qualche modo tra la nobiltà e le classi inferiori. Nulla àvvi di più odioso, a mo’ d'esempio, dei mezzi che adoperò Caterina II. per abbandonare il medio ceto del suo impero allo spregio incessante dei signori e dei servi. Citiamo qui le parole del decreto con cui la imperatrice in certa tal guisa pose a prezzo e a tariffa l'onore dei borghesi moscoviti: fu questo decreto un modello di barbarie e di empia politica, di cui non v'è atto somigliante in veruna altra legislazione. Eccone i principali articoli:

«Quegli che insulterà un borghese con parole o scritti, sarà condannato a pagare una somma eguale a quella che l’offeso paga annualmente alla città o al tesoro.

«Chi lo percuoterà della mano, senz’armi, pagherà all'offeso il doppio di ciò, che questi paga annualmente.

«Chi farà insulto alla moglie di un borghese, deve dargli il doppio di ciò che suo marito paga ogni anno alla città e al tesoro. Se la donna pure paga un imposta, l'insultatore sborserà il doppio di ciò che annualmente importano le somme del marito e della moglie.

«Chi insulterà le figlie di un borghese, è obbligato a pagare il quadruplo di ciò che annualmente pagano il padre e la madre.

«Chi insulterà fanciulli borghesi, pagherà la metà della somma che devono annualmente i genitori.

«Chi insulterà il figlio di un borghese, maggiore di età, debbe sborsare la somma che quegli paga annualmente alla città o al tesoro di qualunque stato o condizione egli sia».

Ma ciò non basta; Caterina volendo impegnare i sudditi a dotare largamente l'ospizio dei trovatelli, decretò:» Che un borghese il quale assegnasse a quello stabilimento dai 55 fino ai 1000 rubli o più potrebbe pretendere ugual somma da chi l'insultasse, ed anche il doppio se l'insulto non fosse di semplici parole».

Ciò mostra quanto valga l’onore di un borghese russo, e quello di sua moglie, delle sue figlie, dei suoi bambini e dei figli maggiori: con pochi rubli si può prender l’arbitrio d'insultare un’intera famiglia, e il suo capo ancora: si può anche giungere alle vie di fatto, mediante lieve aumento di multa. E se queste praticate colla mano e senz’arma giungessero fino all'assassinio?.... Il decreto non dichiara tale circostanza; perloché resterebbe sempre a punirsi colla pura e semplice ammenda stabilita. E quale importanza maggiore meritano diffatti un borghese, o un vii commerciante? — Ed è a rimarcarsi che, siccome il ricco borghese pagando più forti imposte, riceve assai di più per un insulto arrecatogli, di quel che un piccolo negoziante, ne consegue in via di rigorosa logica essere l'onore dei ricchi ben altrimenti apprezzabile che non l'onore dei poveri.

Come ispirare adunque sensi d’onore di delicatezza e lealtà ad un popolo che vive sotto leggi di tal fatta? Da ciò è forza che il negoziante russo somigli al giudeo d’oriente per l'abbietta viltà e la cupidigia.

Il mercante russo ama i suoi figli, adempie esattamente gl'impegni verso i suoi confratelli non già per onesto animo (che questo sentimento gli è ignoto) ma per conservare il proprio credito. Egli è ospitale e caritatevole, mostrasi rassegnato ai colpi della sorte se l'avversa fortuna lo persegue, ed impiega onorevolmente il suo danaro quando può farlo apertamente e senza timore.

Lo schiavo russo vai meglio assai dei suoi padroni. Creatura spoglia di ogni bene in questo mondo, senza proprietà, senza morale, senza onore, ed anco senza religione, egli è umano, ospitale, disposto a render servigio, fedele e coraggioso. Fra costoro il men civilizzato è anche migliore; e più si va lontani dalle capitali, più si rinviene il tipo primitivo e patriarcale dello schiavo. Gli esempi di generosità sono frequentissimi fra loro; e malgrado il terrore e la ripugnanza che hanno i servi russi per le miserie dello stato militare, furonvi sovente giovani schiavi che si gettarono ai piedi dei reclutatori, a pregarli di essere arruolati invece di un fratello che sarebbe rimasto a sostegno della famiglia. Avvene molti, che ad onta dell'abbrutimento prodotto dalla schiavitù, sono suscettibili di energiche e coraggiose determinazioni, quando si tratta della propria libertà.

Mancando ogni incitamento a ribellione, lo schiavo russo è rassegnato alla sua sorte: obbedisce e si piega senza mormorare ai più assurdi capricci del suo signore. E ignorante siccome un selvaggio cui niuno si die’ mai pensiero d’istruire della menoma cosa. Un nostro amico vide uno schiavo curare un compagno colto da un vomito di sangue, con chiudergli e turargli alternativamente la bocca e le narici: Dessi sono creduli, in modo quasi invidiabile, alle parole di un superiore. Fatti soldati crederebbero certamente che la notte fosse il giorno, se cosi talentasse ai loro capi; e in tutto ripongono cieca fiducia si nei loro padroni come nella piccola immagine di un santo, che portano appesa al collo per garantirsi dai malefizi. All'assedio di Otschakoff sotto il regno di Caterina II., una mano di soldati recavasi ad occupare un posto avvanzato, quando incontrò un ufficiale di trincea che gridò loro: «ove andate, disgraziati? I Turchi anno preso la posizione ove siete diretti! Tornate al vostro reggimento, se non volete essere massacrati.» — I soldati presero in ischerzo il consiglio dell'Uffiziale. «Il principe Dolgoruki ci garanti l'operazione, gridarono, e noi nulla temiamo. Continuarono cosi fidenti e creduli la loro corsa, e furono lutti scannati dall'inimico.

Senza l'ubbriachezza, lo schiavo russo sarebbe il più delle volte pacifico e tranquillo. L’ebrietà gli fa commettere talora atti di barbarie contro la propria natura. Ma tale vizio è per lui sovente un mezzo per dimenticare i colpi di verga che riceve. In tale stato egli si abbandona sul canto di una via, rimanendo sul ghiacciato terreno finché alcun guardiano giunga a rialzarlo, e condurlo presso un uffiziale di polizia, sbarazzandolo in prima delle poche monete che quel misero trovisi in tasca.


vai su


CAPITOLO III - RELIGIONE E CLERO

Divergenze fra la chiesa greca e ialina. — Istituzioni religiose di Pietro il Grande. — Difetti e vizi dei preti russi. Loro ignoranza. — Esempio d'insegnamento religioso. — Spregio dei Russi pe’ loro preti. Povertà di questi. — Tariffa delle colpe. L’autocrate capo della religione e concilio. — Il cursore criminale. — Persecuzioni contro la chiesa rutèna, atti di barbarie, mezzi odiosi di seduzione. — Credulità e superstizione. Fabbrica imperiale di santi. — Talismani.

L’introduzione del cristianesimo in Russia risale al principio del secolo XI. All'epoca dello scisma di Fozio alcuni missionari greci suoi partigiani predicarono nella Moscovia i dogmi cristiani, e fecervi numerosi seguaci. La differenza principale tra le due chiese greca e Ialina consiste in ciò: che la prima non vuol riconoscere la supremazia e l'autorità del Papa; e non ammette che Io Spirito Santo proceda dal Padre e dal Figliuolo, ma solamente dal Padre per mezzo del Figlio. Donde l'usanza dei Cristiani di rito greco¥scismatici che fanno il segno della croce diversamente dai latini, e non dicono il Gloria Patri. V’ànno ancora altre divergenze. I greci battezzano per immersione, e i latini per aspersione. Questi consacrano col pane azimo, quelli col pane di lievito, e ministrano il sacramento Eucaristico sotto le due specie. I russi non credono al Purgatorio quale lo intendono i cattolici;

essi credono soltanto che coloro, i quali muojono in peccato, non sono dannati per la eternità, e possono esser tolti dall'inferno colle preghiere e le elemosine.

Lo Czar Pietro Irinnovò l'impero russo sotto ogni aspetto, e riformò per fino le istituzioni fondamentali della religione; sommise la chiesa allo stato, e aggiunse al potere temporale del sovrano un’autorità spirituale senza limiti; tolse ai preti il diritto di vita e di morte, che esercitavano dopo Wademiro Monomaco, abolì il Patriarcato sostituendovi un collegio o sinodo perpetuo composto di 13 membri vescovi o archimandriti, ma tutti nominati dall'autocrate. Questo tribunale ebbe il diritto di regolare ogni disciplina ecclesiastica, esaminare i costumi e la capacità dei vescovi, risolvere le quistioni religiose, un tempo sommesse al giudizio del Patriarca; infine verificare le rendite dei monasteri, e vegliare alla distribuzione della elemosina. Ma il santo Sinodo dovea rimaner sommesso all'Imperatore, e di più il Senato godeva in taluni casi la precedenza.

I Popi furon sempre ignoranti libertini dediti all’ubbriachezza e alla sudicieria. L’educazione, che hanno nei seminari, basta appena a dirozzarli, e contribuisce ad oscurarne l’intelligenza collo studio di una teologia grossolana ed assurda. Eppure ad essi si affida la cura di allevare ed istruire a lor volta i fanciulli destinati allo stato ecclesiastico.

Ecco un saggio di ciò che essi insegnano alla gioventù moscovita, tratto da un esame tenuto in un seminario. Si estrae da un’urna questa domanda: cos’è un angelo? — allora si udiva il dialogo seguente:

Il Prete. Ditemi che cosa è un angelo. — Il Discepolo. E un santo spirito che serve a Dio nel cielo. — Il Prete. Va bene: quanti angeli vi sono in cielo? — Il Discepolo. Avvene una quantità difficile a noverarsi. — Il Prete. Ma io credo che si possa, chi fra di voi è capace a dirmi quanti angeli vi sono in cielo? — Un altro Discepolo. — Ve ne sono dodici legioni. — Il Prete. E quanti Angeli per legione? — Il Discepolo. Ai tempi in cui fu scritta la Bibbia ogni legione era composta di 4500 angeli. — Il Prete. Prendete la matita ed eseguite la moltiplicazione. — (Il discepolo fa il conto e trova per risultato 54000 angioli). — Il Prete. Benissimo. E gli angeli sono maschi o femmine? — Il Discepolo. Sarebbe difficile il precisarlo. — Il Prete. Certamente; ma quale è la loro forma esterna? Somiglia al sesso mascolino o femminino, ovvero quali vesti indossano scendendo fra gli uomini? — Il Discepolo. Alcune vesti che partecipano di quelle dell'uno e dell’altro sesso, una specie di veste ondeggiante. — Il Prete. Ottimamente.

Qual rispetto il popolo russo potrà mai nutrire per ministri cosi ignoranti, e i di cui costumi offendono la men schiva morale? Eccettuatine pochi, gli altri meritano pienamente lo spregio in che son tenuti dai nobili e dalla plebe.

Si è compresi da un senso altamente doloroso nel vedere la spregiata condizione di quei preti! ministri di un culto, a cui s’inchinano tanti milioni di uomini, e nel riflettere che tale spregio sia giustamente meritato. Diffatti la degradazione intellettuale e morale di quelli infelici popoli debbesi alla religione greca e al governo russo; perché quella li rende innetli colle più stolte insulsaggini, e questo nell'interesse di serbarsi onnipotente li mantiene a bella posta nella più abbietta ignoranza e condizione.

Per compiere il loro invilimento, quei sgraziati preti sono condannati a una povertà irreparabile; sono costretti, per vivere, a coltivare colle proprie lor mani l’angusto terreno appartenente al presbitero, darsi ai più gravosi lavori e non trascurare occasione di trarre ogni benché meschina elemosina dalla carità dei parrocchiani. E non soltanto a frequenti questuazioni essi s’abbassano fra il popolo, ma dippiù, ad assicurare un aumento di lucro, sottopongono a tariffa tutto ciò che cade sotto la loro giurisdizione. I peccati e i castighi anno per loro i prezzi correnti al pari delle merci. Per assolvere da un furto occorrono certe dozzine d'uova; un numero di polli per una leggiera infrazione al digiuno; un gran numero di cibi per compensare una bestemmia; e il penitente umile si assoggetta ai decreti del ministro, dando senza meno fin l'ultimo soldo per ottenere l'assoluzione: e quei ministri abilmente prevalgonsi di ciò, aumentando il prezzo delle spirituali derrate in proporzione dello interesse che vi pongono i fedeli.

Conseguenze tristissime dell’indigenza a loro riserbata! E la politica cooperò a rendere colai situazione il più possibile soggetta e precaria: poiché essi al pari di ogni infimo suddito ponno essere rilegati in Siberia. Le leggi civili non danno loro privilegi, e benché siano liberi ponno essere condannati a servire nell’armata come semplici soldati. Per tal guisa, durante la guerra di Svezia, regnante Caterina II, si fecero più battaglioni d'artiglieria con una leva forzala di molte migliaja figliuoli di ecclesiastici, molti dei quali erano già iniziali al ministero. Vennero brutalmente strappati agli altari, alle mogli loro, ai loro possedimenti, perché apprendessero il mestiere di cannonieri, e quello di carnefici dei loro simili; né crediamo andare errali ritenendo che simiglianli fatti si ripetessero duranti le ultime guerre di Russia contro Francia.

L' Autocrate da sé solo è pontefice e concilio; decide le questioni teologiche più astruse, modifica il cullo a suo piacimento, impone novelle credenze, crea santi, e li destituisce.

Lo Czar comprende ottimamente che la religione, quale s’intende e pratica in Russia, è necessaria al suo dispotismo, onde colpisce inesorabilmente tutto ciò che possa danneggiarlo. Tale è la severità riguardo alle materie religiose, che un misero impiegato di pubblica amministrazione fu destituito per avere adoperata questa frase «se io fossi Dio» nel tradurre una poesia di Victor Ugo. In ogni circostanza mostrasi cotal zelo, che la devozione si risolve in fanatismo. Le persecuzioni di Caterina II. contro il clero Ruteno furono non à guari rimesse in vigore. Ognun sà che i Ruteni professano la religione greca-cattolica: riconoscono l'autorità del Papa, donde naturale occasione e motivo ad eccitare contr’essi lo sdegno dei Sovrani russi; il quale è tanto maggiore in quanto che la chiesa Rutena è unita alla Romana. Dessa comprendeva un tempo i vescovati di Kieff, Leopoli, la Podolia e la Volinia, porzione del palatinalo di Lublino, i governi di Smolensko, Czernikoff, Poltawa, Karkoff e Katherinoslaff, in tutto meglio che 10 milioni d'anime. Contro questa popolazione Caterina e il suo nipote Niccolò esercitarono l’implacabile furore. Ogni mezzo, per violento o perfido che fosse, fu praticato dall’Imperatore Niccolò a fine di convertire quegli infelici. Un decreto del 1795 ordinava che ogni cattolico, prete o laico, fosse trattato come ribelle, ove si opponesse al progresso del cullo dominante, o impedisse famiglie o villaggi separati di riunirsi alla chiesa russa. Nel 1833 Niccolò richiamava in vigore questo decreto, servendosene di terribile ed esiziale strumento. Molli missionari furono inviali nei villaggi popolati di Ruteni, e codesti apostoli fecero una propaganda alla guisa di Maometto. Costrinsero ad ascoltare le loro omelie sotto pena di rilegazione, o d’esilio o di peggio ancora; ricchi o poveri debbon lutti cedere, e lutti sono colpiti in caso di resistenza. 1 Popi tolgono seco una mano di soldati, la cui sola vista eccita i paesani a tumulto. Nascono collisioni e ferimenti. Le baionette trionfano facilmente di alcuni miserabili riluttanti, e colla punta delle spade si convertono villaggi interi. Il sig. Marmier nelle sue lettere sulla Russia narra, che «pochi anni or sono una commissione ecclesiastica, scortata da due battaglioni s'impadronì di una chiesa, radunò gli abitanti, dichiarando loro, ch'essi per ordine supremo dovevan tutti riunirsi alla religione dominante. Dietro rifiuto di questi meschini i soldati si scagliarono loro addosso colla spada alla mano; alcuni morirono pei colpi, altri si precipitarono verso uno stagno coperto di gelo sottile, ove inseguiti dai soldati, e spezzato il ghiaccio, le disgraziate vittime della fede furono inghiottite dalle onde».

Gli agenti del governo russo non vanno paghi di simili atti crudeli, ma impiegano rispetto ai paesani i più infami mezzi di seduzione. Denaro, alimenti, liquori, ricompense enormi, tutto promettono che possa lusingare e corrompere genti immerse nella più profonda miseria; le quali poi s’inducono per tal guisa a domandare la riunione loro alla chiesa russa. Locché dallo Czar viene sempre generalmente accordato. Con grossolane menzogne, con fallaci promesse di tal fatta, e con minaccie non meno i russi ottennero l'atto di unione di Polock: tre vescovi ruteni sedotti si unirono nel 1838, con gran numero di loro dipendenti, alla chiesa moscovita. Però il Metropolitano e il clero permanente protestarono ognora contro un simile atto di colpevole viltà, nata dai vergognosi intrighi di Russia.

Delle persecuzioni, che lo Imperatore Niccolò inflisse alle popolazioni cattoliche, toccheremo più tardi ragionando della Polonia. Qui volemmo indicare solo quali sentimenti nutra l'Autocrate rispetto ai culti nazionali dissidenti ispirato da una politica che vuol lutto dominare e piegare alle proprie voglie. Questa politica à bisogno di schiavi, che non riconoscano altra autorità spirituale e temporale fuor quella dell'Autocrate; abbisogna pure di ministri ignoranti, i quali mantengano il popolo nella superstizione, e ne lascino fra le tenebre l’intelligenza.

Il russo è l'essere più credulo e in pari tempo il più ostinato nelle sue credenze. Felici gli Autocrati che hanno a reggere un popolo di tal fatta! Un russo giammai intraprenderebbe cosa alcuna in giorno di lunedi, perché questo si considera sommamente nefasto. ché se alcuno pongasi in viaggio sotto quel giorno, e accadagli ventura, ciò si attribuisce senza meno all'influenza della giornata. Le dame russe, ignoranti quanto belle, non sono estranee a tali stolti pregiudizi. — Se manifestasi in alcun luogo una malattia epidemica, si attribuisce a tristo affascinamento, o a malefizio, e tosto si ricorre agli esorcismi, agli scongiuri, alle preghiere per discacciare lo spirito maligno. Se un cavallo vien preso da colica, si ritiene per certo ch'egli abbia inghiottito il diavolo nascosto fra l'erbe in forma di serpente; e tosto si corre in cerca del maniscalco del villaggio vicino, essere privilegiato che possiede magici secreti per guarire gli animali tormentati dal demonio. — Le genti della plebe non mangiano mai colombi, perché sotto questa forma si è manifestato lo Spirito Santo. — Quell'insetto nerastro e fetente che deturpa le cucine delle case, in alcuni paesi dell'impero è tenuto pel buon genio del domestico focolare. Perìocché quelle abominevoli bestiole sono inviolabili: e se addivengono cosi santamente moleste, che necessiti sbarazzarsene, si aprono le finestre, e si attende con pazienza che l'impressione dell'aria gelata le uccida. — Il volo delle cornacchie taluni consultano ancora. — Alcune monete benedette sotterrate ai quattro canti di novello edifizio sono preservativo eccellente contro gran numero di sventure. — Le carte da giuoco si riguardano qual mezzo infallibile per indovinare il futuro. — Ma ciò non basta. Nella vigilia di natale, per esempio, le giovani fanno crocchio per poter sapere se andranno a marito sollecitamente. Tracciano un cerchio con molti grani di frumentone e pongonvi al centro un gallo tenuto a digiuno da 24 ore. La persona avanti a cui si slancia il gallo dapprima a beccare i grani è quella che si mariterà innanzi alle altre: se l'animale assetato beve. a lunghi sorsi, la giovane avrà un marito dedito all'ubbriachezza: se il gallo canta, è ottimo segno e certo di felicità coniugale.

Alcuno vorrà osservarci che esistono altrove e nei paesi pure più civilizzati superstizioni di tal fatta: ma noi rispondiamo che le superstizioni popolari regnano soltanto in certi luoghi, scarsamente, e nella classe inferiore. In Russia al contrario il fatto è generale, e comune al popolo, alla classe dei borghesi, e alla nobiltà ignorante. Non può dunque istituirsi un paragone, e la Russia per questo lato, come per tanti altri, non può sostenere confronti.

Ivi la devozione dei Santi è pura superstizione. La maggior parte dei russi indossano una piccola immagine di S. Niccolò lor celebre patrono, e infinite sono le dimostrazioni con cui attestano il loro rispetto a quel talismano in ogni incontro in cui vogliano preservarsi da malori o desiderino ottenere qualche fortuna. Tutti i soldati senza eccezione posseggono codesta immagine riverita; e si persuadono di trarne tutela infallibile persino contro la morte. — I postiglioni russi non si pongono giammai in viaggio senza raccomandarsi al santo protettore, scuoprendosi il capo, e facendo tre segni di croce: e ciò ripetono ad ogni immagine cui passino innanzi, e al termine del viaggio rendono grazie per la felice riuscita. — Se un commerciante o un agricoltore vantaggia d'assai nella industria, nei negozi, o nel prodotto dei campi, i suoi vicini mediante un compenso di danaro tolgono in prestito l’immagine da lui posseduta, attribuendo a quella ogni cagione di prosperità; e l'usofruttuario provvisorio del Santo si profonde allora in rispetto, in tenere espressioni, in offerte d’ogni guisa; non lo abbandona giammai; e se, mentre è assente il proprietario, taluno si presenti alla di lui abitazione e chiegga di vedere il Santo, la moglie risponde ch'egli è andato pei campi.

Cotale superstizione adoperasi talora in aiuto del vizio e della furberia; imperocché alcun individuo, fatta di sua casa una bisca, e per mezzo d’indegni tranelli spogliati di danaro gli avversari, accende poscia molti ceri innanzi all'immagine del suo santo, e lo adorna e lo abbiglia splendidamente, per renderselo più propizio. Questa devozione non gl'impedisce però un continuo scialacquo e di continuare a tener giuoco. È necessario occuparsi in qualche modo, poiché il Santo non può supplire a tutto.

Quando si riflette che fra quei personaggi canonici e riveriti sommamente, ve ne sono moltissimi che furono coniati per mano degli Autocrati, non si può a meno di sorridere a tanto spettacolo di cieca credulità,

Ogni volta, che un russo passa avanti una cappella o immagine di un santo, saluta; si prostra, e borbotta preghiere. Il Dio o il santo, che i soldati e gli schiavi portano nelle tasche, è pure oggetto di un culto ripieno di dimostrazioni. Vedesi spesso un paesano levar fuori la piccola medaglia, gettarvi sopra la saliva e strofinarla con la mano per ben ripulirla, poi appenderla a sé dinanzi a un mobile o ad una pietra, e cadere ginocchioni facendo mille segni, di croce, mandando veementi sospiri, e recitando i quaranta Gospodi pomiloi (Mio Dio abbiate pietà di me). Compiutala cerimonia, torna a chiudere la medaglia e rimette in tasca il suo Dio.

Molto sarebbe a dirsi oltre a ciò intorno alla religione russa e,ai suoi ministri, e intorno all’uso politico, che ne sanno fare gli Autocrati. Le materie però soverchie del seguito di questa narrazione ce lo impediscono.

vai su

CAPITOLO IV - AMMINISTRAZIONE

Russia somiglia a un gran casotto ove ciascuno abbia il suo locale assegnato. Influenza di tali classificazioni. — Venalità dei funzionari; aneddoto. — Corrotta amministrazione. — Polizia: esame degli stranieri che giungono iu Russia; truffe e brutalità degli agenti; aneddoti. Alta polizia; sua missione. — Silenzio imposto alle vittime. — Mezzo singolare immaginato da un funzionario per ottenere avvanzamento. — Attribuzioni eccessive della polizia. — Galanti delatori all’estero. — Il conte Czernicheff. — Delatori industrianti. — Inutili tentativi degli Czar per purgare i loro stati dalla corruzione.

Né conviene toccare ancora delle istituzioni sociali russe e della loro influenza. La società russa non è soltanto divisa nelle tre classi dei nobili, dei borghesi, e degli schiavi; le due prime si suddividono in guisa che vi corrispondano le diverse frazioni, almeno di nome; ed è naturalmente il sistema militare che à servito di tipo e base a tale strana organizzazione.

In Russia tutto è classificalo, tutto è diviso e suddiviso all'infinito. É quasi un immenso casotto dove ogni individuo à il suo ripartimento; è un alveare diviso in cellette, colla sola distinzione che quivi le api più laboriose e più utili occupano gli alveoli più incomodi,

Certamente cotale classificazione favorisce le idee di subordinazione e d’obbedienza, primo fondamento del governo dispotico. Una tale divisione però è a scapito dell’intelligenza nei cittadini e del perfezionamento umano; mentre invece nei paesi ove l’istinto individuale non è rattenuto, e niun ostacolo si para d’innanzi agli sguardi sulla via della umanità, le classi inferiori anno continuamente in cuore l’ambizione di pareggiar la distanza che le separa dalle classi superiori; e questo desiderio è stimolo efficace e possente aiuto a nobilmente elevarsi. Per lo contrario se gli uomini vengano inceppati dalle pastoie d’inviolabili divisioni scrupolosamente sistematiche, e quasi racchiusi fra le pareti di un carcere, ove da ogni lato occorrano allo sguardo alte muraglie e perigliosi ostacoli, lo slancio intellettuale si paralizza ben tosto, e quel popolo condannato a un regime cellulare addiviene servilmente timido: non à più felici ardimenti né volontà energica, perché mancagli desiderio e speranza; e sà bene che ogni passo in una via migliore lo condurrebbe a nuove difficoltà, a far sosta replicate volte e per lunghissimo tempo, che il suo cammino saria impedito, e in ogni nuova prigione ove penetrassero gli mancherebbero aria e luce. Cosicché dinnanzi a questi terrori spaventato e turbato si ferma, colpito a morte nella propria volontà, preferendo quindi l'umile condizione ove il pose la sorte, assidendosi sull'orlo della via senza aver neppur sperimentate le proprie forze. Considerata in massa la società russa presenta due divisioni o categorie: nobili e servi. In alto tutti i pregiudizi della aristocrazia associati alla tirannia, alla corruzione; in basso tutti i vizi dello schiavo, e innoltre la superstizione, l’ignoranza, e un’abitudine inveterata all'ubbidienza assoluta. Fra questi due estremi niuna posizione rimarchevole, poiché tale non può dirsi quel nucleo quasi impercettibile di borghesia, vivente la più parte in una dipendenza poco men che completa, pressoché legata ancora a un avvanzo di catena, senza alcuna delle nobili qualità o attribuzioni proprie di un terzo stato. Per tal modo l'ordine sociale poggia su mal ferme basi, poiché gli manca l’elemento delle simpatie e della concordia che assimila le varie classi e crea la potenza delle ben organizzate forze collettive.

Infrenata onnipotenza nei superiori, cieca sommissione nei subalterni; prepotente abitudine nei grandi di violar la giustizia e patteggiare colla coscienza; bisogno nei funzionari di sistematiche prevaricazioni per riparare allo scarso stipendio; venalità e corruzione in ogni classe della popolazione, ecco l’incurabile cancrena che rode il corpo sociale moscovita. Inutile ogni riforma nel sistema amministrativo, vana o pericolosa qualsivoglia, nuova istituzione civile o politica, poiché un tale avvilimento morale giova al dispotismo dello Czar, che, se mai si accingesse a incivilire e migliorare il suo popolo, lo troverebbe meno disposto alla stupida illimitata docilità e sommissione dello schiavo imbestiato.

E massima inconcussa in quel felice paese, che nulla si ottiene dagli impiegali governativi, senza pagarne i favori; e sian questi i più lievi, o consistano nei più semplici alti di giustizia, debbono essere comperati e spesso a prezzo esorbitante. Se vi occorre un passaporto, un alto, od autorizzazione qualunque, se i vostri baulli sono trattenuti alla dogana, ove non abbiale sempre pronto il danaro, perderete intere settimane in pratiche e sollecitazioni inutili. Non entrate giammai in quei nidi di miserabili e di onesti ladri senza aver le lasche piene di rubli; datene al capo, che accetterà con premura, a patto di secreto: datene ai subalterni, i quali tendono la mano senza tali esigenze. E pensate che codesta è la terra classica delle mancie, e che in niun luogo come in questo apronsi tante porle colle chiavi d'oro. E inutile aggiungere che in forza di simile abituai corruzione i ricchi soli ponno farsi sollecitatori; giacché i poveri, indigeni o stranieri, sono costretti a subire ogni più grave ingiustizia e danno d'ogni sorta, sapendo bene che, anche muovendone lamento e reclamo, perderebbero e tempo e fatica.

Tulio ciò che noi asseriamo è generalmente notorio in Russia: e la immoralità degli impiegati governativi, la loro bassezza, le ignominiose pratiche sono altrettanti fatti non solo positivi, ma affermati anche e sanzionali dalla pubblica opinione; locché forma la maggior vergogna di questo orgoglioso potere autocratico, il quale lascia in balia di. speculatici burocratiche passioni di provvedere al bisogno non soddisfatto di equo e largo salario colle estorsioni e col mercimonio della giustizia e dell'onore.

Potremmo citare un Distretto giudiziario composto di 40 impiegati che si dividono annualmente la modica somma di 6000 franchi; eppure ognun d'essi tien servitù, allegra vita e passatempi villerecci nei giorni di gala. I loro amministrali soltanto potrebbero spiegare d'onde derivi questo supplemento di salario… — Il signor Marmier conobbe un proprietario russo, che non poteva ritirar dalla posta le rimesse del suo intendente, senza pagare un tributo all’impiegato che gliele consegnava. — Un individuo al servizio del governatore della nuova Russia confidò a un nostro conoscente, che egli si fabbricava una rendila di circa 35000 franchi con un salario non maggiore di 5000; e aggiungeva che dinnanzi a qualunque esame sarebbe sicuro di esser giudicato l'uomo più onesto di Russia. — Un negoziante inglese avea assunta la fornitura di una quantità di piombo, che abbisognava al governo, e trovò inserita nel contratto una lunga lista di mancie destinate àgl’impiegati per l’ammontare di oltre sei mila rubli. Egli però non fu colto all'imprevista, poiché nel calcolo presentato delle spese aveva computato già una forte somma da regalarsi agl'impiegati. — ché se facciasi inchiesta agli ingegneri russi o stranieri, che ànno conti da regolare coll’amministrazione, vi diranno come dopo aver compiuti lavori pel governo, e giunto il momento di farseli pagare, ai affaccino loro mille difficoltà, contestando le cifre, discutendo i loro reclami, e la liquidazione dei titoli, in guisa da prolungarne la definizione per più anni. Alcuni ingegneri francesi, che ànno reso molti servigi alla Russia, subirono gravi persecuzioni da parte dei capi dell'amministrazione da cui dipendevano, e più volle si trovarono compromessi nella loro carriera, e rovinati talora dalla malvagità degli impiegati. E non occorre asserire che, ove adoperassero il mezzo infallibile del denaro, le persecuzioni cessavano come per incanto.

Un russo, personaggio istruito e migliorato da un lungo soggiorno in Francia, diceva: «i nostri impiegali divengono truffatori ed accattoni, non perché poco guadadagnino, ma perché vivono continuamente in un’atmosfera corrotta, e i nostri costumi pubblici non possono stigmatizzare d’infamia questi scandali, sui quali è muto eziandio lo stesso governo. In Francia àvvi gran numero d’impiegati che guadagnano a mala pena 1000 o 1500 franchi, e certamente questi non bastano per vivere a Parigi con moglie e figli; eppure essi non accetterebbero elemosina da un sollecitatore importuno. E ciò perché dessi sono probi e leali, perché ànno bastante forza morale per resistere alla tentazione, perché l’idea del disonore e di una destituzione umiliante li spaventa più che la povertà. Appo noi al contrario i funzionari meglio retribuiti saccheggiano e sono cupidi più ancora dei loro inferiori. Non è adunque il bisogno ma la depravazione e la mancanza di ogni sentimento delicato e di ogni principio morale che li spinge a ciò. Il mio amor proprio nazionale ne soffre: ma bisogna palesare il vero: col denaro in Russia si può ottenere ciò che si voglia da un funzionario qualunque civile, militare, o ecclesiastico. E cosi a lor grado i nostri nemici potranno avere per poche abiette somme con finezza distribuite tutte le più minute e particolarizzale notizie relative alla situazione esalta delle nostre armate, delle fortezze, e d'ogni provvigione o risorsa. E appena credibile che un francese, aiutante di campo di Luigi Filippo a quanto pare, potesse nel 1854 procurarsi con un dono di 500 rubli lo stato della nostra marineria nel Mar Nero, colla indicazione di tutti i punti deboli, di tutte le imperfezioni e finzioni destinate a illudere il volgo! E queste rivelazioni sono di un ufficiale della marina russa che oggi porta spalline di capitano e molte decorazioni.

Se taluno sbarca a Pietroburgo tosto una mano di agenti di polizia si reca a bordo del legno novellamente giunto, e fa subire ai forestieri un esame generale chiedendo loro chi siano, donde vengano, dove vadano, ciò che li conduca in Russia, a chi siano raccomandati, perché viaggino, con quali intendimenti, ove si propongano di alloggiare, e quanto tempo contino di rimanervi. Queste e simili dimande si fanno: quindi si procede alla visita dei bagagli durante la quale gli onesti funzionari si appropriano quegli oggetti che sgraziatamente lor piacciano, e non poca è la sorpresa dei viaggiatori in trovarsi poi mancanti di alcune robe. Talora però sottraggono, presenti i proprietari, oggetti preziosi senza alcuna ragione di sospetto o pretesto di contrabbando. E cadrebbe in grave errore chi sperasse poscia la restituzione: imperocché torni vano ogni reclamo, e inutile l’insistere presso qualunque officio di polizia od altra fra le numerose amministrazioni di Pietroburgo. D'altronde questi interrogatorii e disamine si fanno colle più scelte maniere. E s’inquisisce, si cerca e si trafuga con perfetta grazia ed urbanità; che niuno al mondo à maniere più dolci e carezzevoli, un linguaggio più insinuante e melato, un’attitudine più rispettosa dello agente russo, allorquando esercita le sue funzioni verso qualche straniero che all’apparenza mostrisi distinto personaggio o ricco viaggiatore. ché se abbiano a fare con persone dappoco la voce degl'inquisitori si fa rozza, ed aspre le maniere: naturale vicenda in un paese ove regnano le caste e le puerili distinzioni.

Questi impiegati poi, sebbene abbiano lussureggiato di frasi ufficiali, riboccanti di proteste di simpatia e benevolenza, sorvegliano lo straniero come un nemico, in ispecie se sia francese, e viaggi per diporto. Né spiano i passi, ne indagano appuntino la condotta, entrano nei luoghi pubblici ove quegli si reca, lo sieguono ai passeggi, ne raccolgono ogni motto; somigliano all'ombra del corpo, e se la sventura lo incolga di lasciar travedere ch'ei s’occupi di politica, o se abbia pronunciato qualche lieve discorso sopra un’autorità russa, vedrebbe a un trattò alcuno di questi antichi conoscenti dallo sguardo rispettoso dal linguaggio lusinghiero, fermarlo senza riguardi, ed intimargli l’ordine di uscire entro le 24 ore dai domini di S. M. l’imperatore di tutte le Russie.

Ma la polizia di quel paese va conosciuta sotto ogni aspetto, Se taluno osservi un agente nel momento che porge la mano per rimettere in piedi un popolano ubbriaco, caduto a terra nella pubblica via, lo si vedrà visitare destramente le lasche del misero, sottrarne ogni oggetto, e cacciarlo quindi in prigione, senza risparmio di percosse e d’insulti per ogni verso. Né sembrino strane queste abitudini di truffa, poiché altre sé ne ravvisano in gran copia.

Incontrandosi nei luoghi di molta gente adunata, è cosa da muovere a sdegno la brutalità con cui gli agenti di polizia tengono in ordine la moltitudine circostante. Essi non adoperanoparole né minacce, ma percuotonodel piede e del pugno, e sul viso e dovunque, e con ogni sorta ingiurie intimano gli ordini supremi agli schiavi infelici. Ed ove nasca querela fra due operai, o se un conduttore di pubblica vettura cada in contravvenzione, il soldato di polizia si scaglia sul colpevole, malmenandolo a terra, e lo consegna sanguinante ai compagni per tradurlo in carcere.

Più ributtante ancora è il vedere la polizia cosi violenta ed implacabile verso i popolani per minime colpe, indulgentissima invece verso i ladri, siccome verso persone amiche, e che ben s’intendono delmerito scambievole. Da ciò avviene che i vagabondi e i ladri si tengon sicuri dalle persecuzioni degli agenti di polizia, e contano anzi sulla loro benevolenza e guarentigia.: Donde niun reclamo mai fanno, i derubati. E d’altra parte la necessità delle corrispondenti. pratiche presso gli uffici richiederebbe tanto tempo da non poterne uscire se non con mille istanze e sacrifizi di denaro, in. guisa da toccarne perdita maggiore del guadagno (5).

Un bel mattinò i uno dei nostri amici traversando il ponte dei Marescialli a Mosca, scorse il negozio di un sarto francese messo in un disordine, tale che dimostrava, avere avuto luogo qualche straordinario accidente. Egli era stato avventore di quel sarto, e per curiosità entrò ad informarsi dell’accaduto, e seppe che il negoziante era sfato svaligiato durante la notte, siccome scorgevasi da' suoi scaffali vuotati nella massima parte. Lo straniero gli chiese s’egli avesse concepito alcun sospetto, e fatta dichiarazione alla polizia; ma il negoziante rispose; veggo bene, o signore, che siete da poco arrivato in Russia. Poiché la mia intera rovina sarebbe un ricorso alla polizia: per seguir tal pratica io sarei obbligato a lasciare fra le mani degli agenti anche il mio ultimo scudo; otterrei però il mio intento se avessi molto danaro.

Non bisogna mai uscire da una città russa senza avere le tasche ben guarnite di rubli: perché essendo ben forniti di danaro nulla si à a temere da quegli impiegati, ancorché carichi di ogni sorta di delitti spettanti alla giurisdizione della polizia, da cui giusto o no, tutto si ottiene coi mezzi indicati. Il sig. M.... socio di un negoziante di Alsazia possedeva una fabbrica a Mosca. Aveva stabilito l'uso di pattuire co’ suoi operai, che essi pagherebbero 15 rubli di multa per ogni giorno di assenza non motivata. Un operajo, che era già debitore di tre multe, fece un giorno reclamo alla polizia, che il suo padrone volesse ingiustamente trattenergli 45 rubli sul salario. L’uffiziale del quartiere si presentò tosto, e tolse a difendere con villani modi l’operajo presso il sig. M...., il quale sovvenendosi che da lungo tempo nulla aveva regalato a quell’Ispettore, lo chiamò da un lato, e, senza far motto, gli presentò una cedola di dieci rubli. Sul momento l'altare fu deciso; l'Offiziale chiamò il lavorante, e percuotendolo di molti colpi in sul viso gli disse: come puoi, vile ribaldo, lagnarli di un simil padrone?

V’è di più ancora: se vi cada in mente di far bastonare un cocchiere o un operajo a ragione o a torto, basta recarsi presso l'Offiziale del quartiere, mettergli in mano una somma proporzionata, e tosto il disgraziato, vi conosca o no, vien preso e battuto. Ciò sembra favoloso e incredibile, quasi impossibile. Eppure è cosi, e queste verità sono talmente autentiche da non potersi trovar persona che le smentisca.

Questi scandali sono di notorietà pubblica in Russia; eppure si ripetono con la maggior possibile impunità. Il governo li tollera, e li incoraggia colla indulgenza. Permettendo che si compiano entro l'impero sotto gli occhi dell'universale atti tali, di cui la millesima parte basterebbe a disonorare un popolo ed un governo. Anzi l’improbità di quegli agenti è provocata e favorita dalla noia insufficienza dei salari a bella posta mantenuta. Ciò avvenne sotto quell’Imperatore che si costituiva difensore della religione nazionale, e che taluni scrittori ciechi o interessati osarono di offrire all’Europa occidentale siccome un modello di lealtà cavalleresca, di probità, di pietà, e di ogni sorta virtù.

A lato di questa polizia grossolana, brutale, vilmente pitocca, un'altra àvvene che vive in diversa atmosfera: è la polizia dello Imperatore, quella dei Ministri, e di tutti i funzionari alto locati: e consiste in una moltitudine di spioni bene educati, che esercitano la loro professione nelle alte regioni della società.

Quest'alta polizia è istituita per discoprire le trame contro lo Stato, o per dir meglio, contro lo Imperatore. Anch'essa avrebbe una missione morale, perché incaricata di perseguitare il delitto e lo sciopero, di proteggere la virtù e la probità. Ma questa polizia, comecché lodevole nel suo scopo non vai nulla di meglio della bassa polizia, variando soltanto nelle maniere men rozze, e nell'annoverare fra' suoi membri uomini più civili, ma non meno disgraziati. E poiché per essa ogni individuo, sia personaggio eminente o uomo del volgo, trovasi esposto alle persecuzioni, ne deriva che ciascuno si tenga in guardia, e paventi di rinvenire delatori fra i suoi più intimi, e talora forse tra i suoi più stretti parenti. Dal che è ben facile immaginare quale influenza sopra i legami e rapporti sociali sia esercitala da simile diffidenza e sospetto permanente.

Diffatti il ministro di polizia è in realtà il padrone della libertà, del riposo e della vita di qualunque fra i sudditi dello Impero. Chiunque sia rivestito di tal potere à il diritto di penetrare nel castello del più potente Boiardo, del pari che nel palazzo di ogni principe del sangue imperiale; può fare imbarcare chiunque sia, mandarlo in qualunque luogo trovi opportuno, senza dirgli ove sia diretto, né quando potrà ritornare, né la causa dello imprigionamento. E di più le famiglie dei condannati, i loro servi, gli amici serberanno stretto silenzio su tale atto arbitrario, né ardiranno chiedere se possa ben tosto ridonarsi loro l’infelice esigliato; tanto grande è il terrore che ispira la polizia secreta, da costringere anco i più affezionati e congiunti a dimostrare piena indifferenza sulla sorte del loro parente od amico. Né si vuole che le vittime dell’arbitrio possano raccontare le pene sofferte; si prescieglie che muoiano negli ergastoli, o in Siberia, anziché correr pericolo, che tornando dall'esilio o uscendo di prigione, rivelino i patimenti sostenuti.

Ché se l’amore del danaro spinge questi funzionari a turpi azioni, non meno può sopra loro la smania di avvanzamento, e la brama di raggiungere i sommi posti dell'Amministrazione. A tale uopo sembra incredibile lo zelo e i mezzi inventivi,che adoperano. Narreremo uno spiritoso anneddoto, di cui un russo sapiente e probo ci garanti l’esattezza. — Sono alcuni anni che un personaggio eminente si accorse d’essere stato derubato di un portafoglio contenente 2000 rubli. Si presentò tosto all'Uffiziale di polizia, e, parlando con tuono altiero, pretendeva che si avesse da trovare in ogni modo il suo portafoglio. L’uffiziale chiese la descrizione dell'oggetto rubato e la indicazione dell’esatto numero dei biglietti che vi eran contenuti. Il ricorrente soggiunse che egli non poteva fornire altri dati fuor questi: esserne quel portafoglio di color rosso, nuovissimo, e contenere 2000 rubli senza rammentarsi il. numero preciso delle cedole. Era trascorsa un’ora appena, che l’officiale presentossi, e trionfante all'aspetto annunziò di avere arrappato il ladro, e d’essersi fatto restituire il portafoglio con tutto ciò che vi si conteneva. E lo straniero non rifiniva di elargire gran lodi a quell'offiziale, con assolutapromessa di occuparsi pel suo avvanzamento. — L’indomani questo Signore ponendo mano alla pelliccia, senti un oggetto resistente fra le fodere di essa: onde si pose a frugare e vi trovò quel portafoglio che crede vasi rubato, e pel quale erasi cacciato in prigione un supposto ladro. E ciò come avvenne? Ben si comprende che l’Offiziale, conosciuto di avere a petto persona di alto affare, aveva comprato un portafoglio nuovo in luogo dello smarrito, riponendovi di suo i 2000 rubli, sicuro e contento di acquistare per tal guisa la protezione di un uomo autorevole, che lo rimeriterebbe certamente di futuri compensi, e lucri maggiori; Come se di sua natura questa polizia non fosse abbastanza potente, le si diedero enormi attribuzioni, facilità di prevaricare e d'opprimere l’autorità d‘intrudersi arbitrariamente anche nell’amministrazione della giustizia. Gli agenti subalterni risolvono definitivamente ogni lieve questionedi commercio: altri di maggior grado esaminano dapprima ogni processo civile. Ponno infligger pena corporale a ogni individuo non libero, e la fustigazione sentenziata dai tribunali fanno dare in segreto: nei; locali loro hanno prigioni ove chiudono per più o men tempo gl’infelici raccolti sulle pubbliche vie.

V’hanno spie galanti mandate dal governo negli esteri paesi per informarlo di ogni politica vicenda. A Parigi ve n' à molte, e le illuse vittime neppur lo sospettano. Doppia n’è la missione: attorniare di osservatori gli uomini importanti di quel paese, e i Russi ivi dimoranti o di transito: far quindi proseliti a Russia e allo imperatore in ispecie. Al qual uopo adoperano un armata di ciondoli, diamanti, anelli, tabacchiere, con cui rimeritano e allettano i nostri uomini distinti e quelli in ispecie che offrono qualche opera allo Czar.

Ognun rammenta il Conte Czernicheff di si deplorabile celebrità a tempi di Napoleone I: compito di modi e franco, di buon tatto politico, e molto istruito; da uomo abile e conoscitore si procurò tosto la simpatia delle donne, e niuna guisa risparmiò per riuscirvi, né versi, né frasi, né tratti galanti, fino ad introdurre nelle sale la mazurka ch'ei ballava perfettamente; e n’ebbe premio d’immensa incontestata influenza. Ma s’ingannava ognuno a crederlo immerso nelle gale e nei piaceri: di queste e della simpatia femminile servivasi a continuo spionaggio sulla politica di Napoleone, sulle mire diplomatiche, iniziando talora le dame sue amanti a lievi segreti di affari russi, per carpir loro i più rilevanti de' mariti o aderenti. Sicché tutto apprendeva o nei gabinetti donneschi, o nelle saledi ricevimento, o nei balli, e in questa guisa si narra penetrasse il progetto della spedizione in Russia.

V’à ancora un altra polizia speciale in Francia e all'estero, colla quale Russia s'informa di ogni nuova invenzione d'arti o industria e tenta di sorprenderne i segreti. La dirige un capo che porta per titolo: incaricato d'affari dell'imperial ministero di finanza. Son noti in Francia alcuni di tali funzionari. In ciò fare Russia tende a persuadere che dessa à a cuore le arti, l’industria e il progresso, e apprezza e protegge meglio di ogni governo i più chiari ingegni e le utili opere, adottando per figli i distinti uomini che a lei si affidano. Ma in realtà intende a soverchiare le estere manifatture, e perciò tenta rubare a Francia in ispecie ogni nuovo segreto delle arti. E a ciò mirano, e riescon talora con ogni sorta adulazioni, promesse, titoli d'onore, dimostrazioni d'amicizia. E molti pure francesi caddero nella rete; e confidati i segreti dei loro studi sepper poi che erano stati attuati in Russia.

Basti quanto dicemmo per giudicare il costume della classe offiziale in Russia: la quale non è capace di riforma, e l'ingegno più eminente, la volontà più energica non vi riuscirebbero. Imperciocché una nazione decaduta cotanto non può rialzarsi per la volontà di un solo; e Pietro il grande falli nella impossibile impresa: invano si affaticò di por freno alla venalità che vedeva regnar nell'impero, sebbene non risparmiasse né sangue né sacrifizi, la com battesse col knut e colla scure, perseguitasse, punisse sin della morte i colpevoli. Fece persino frustar pubblicamente sua sorella per aver fatto traffico della sua mediazione presso di lui; ma tuttociò invano; ché mentre egli studiava di estirpare dalle radici la corruzione, il suo favorito Menschikoff accettava da Mazeppa il prezzo di un accordo fra loro statuito per nascondere allo Czar i propositi e le trame dell'audace condottiero cosacco.


vai su


CAPITOLO V – LEGISLAZIONE GIUSTIZIA E SIBERIA

Che sia la legge in Russia. — Eccentricità legislative degli autocrati. — Il privilegio è base delle leggi civili. — Legge penale; il Knut sostituito alla pena di morte, il marchio, e la deportazione. — non esiste graduazione di penalità in Russia. Procedura. — Sempre segreta. — Singolari giudizi. — Venalità dei magistrati. — Scarsità degli onorari!. — La Siberia. Cenni sul clima di quel paese. — Due categorie di condannati, e loro trattamento. — Dettagli sull'organizzazione della colonia penitenziaria. Gran numero di condannati perisce nel tragitto. — Crudele situazione dei rilegati; storia di un esiliato. — Condannati illustri.

In Russia la legge consiste in una formola scritta contenente i voleri dello Imperatore: nasce per arbitrio, e si abolisce; e perciò gli atti legislativi sono innumerevoli, e contradittorii spesso, rimanendo però tutti in vigore.

L’Imperatore Paolo, di umor fantastico, abusò sommamente di tal potere: faceva leggi su tutto per cause gravi o insulse, sulla forma dei cappelli e degli stivali, sulla acconciatura del capo voluta pei sudditi e per gli stranieri dimoranti in Russia: e mille cose di tal fatta indegne dell'attenzione di un Sovrano. Le di cui leggi formerebbero una curiosa raccolta. Né da tali frivolezze si astenne lo Czar Niccolò, che nella sua onnipotenza decretava gravi misure sulla foggia dei mustacchi, ed altre simili prescrizioni.

Esaminando le leggi civili russe nelle tendenze e nello scopo, per quanto lo si possa nella oscurità che le cuopre, vi si ravvisa il tipo della società semibarbara cui son destinate: dovunque scorgi il privilegio e le traccio del feudalismo: siccome, a modo d’esempio, il prescritto onde alle femmine compete solo la quattordicesima parte nella eredità dei genitori: devoluto ai maschi il rimanente. E rimarchevole a prima vista nella legge penale, che pei delitti, eccettuato quello di Maestà, sia tolta di mezzo la pena capitale, e siano sostituiti il knut, il marchio in viso, la morte civile, e la rilegazione nelle miniere di Siberia. Ma questo principio caratteristico della legislazione russa non pruova una mitezza di costumi, anzi è tratto di convenienza politica e generale utilità. Al governo torna meglio popolare i deserti di sue próvincie asiatiche, di quel che le tombe: e da ciò il risparmio della vita ai colpevoli. E, dove occorra, il knut, come dicemmo, può tener vece della pena capitale. La rilegazione consiste nello unire i due castighi, che ne’ paesi civili si danno o l’uno o l’altro, ma non mai contemporaneamente ambedue invece della pena di morte: vogliam dire l’esilio e i lavori forzati. Delle quali pene è indescrivibile la gravezza in Russia, sebbene i lamenti dei condannati non giungan mai sino al pubblico, né all'orecchio dello Czar; e i rari esigliali, che per prodigio ritornino, non narrano giammai per proposito quanto videro e soffrirono.

Pessima è la gradazione penale in Russia. Al parricida il knut e la rilegazione perpetua; al fallito frodolento la frusta e la rilegazione del pari. Che se tra i due supplizi niuna è la differenza del dolore, ma solo quella del luogo da pubblico a privato, e nella rilegazione il trattamento delle due specie di colpevoli è vario, tuttavia innanzi al popolo la pena è identica, e quindi priva di effetto morale. Per tale irregolarità di pene v'ànno moltissimi 5

In Siberia che solo meritavano una prigione o un' ammenda. Orribile ad ogni modo è il pensare all'uso che di tal pena può farsi, rammentando come le autorità russe possono sulla più vile denunzia e senza forma di legalità alcuna arrestare chicchessia e rilegarlo in Siberia.

Ogni procedura è per iscritto, e richiede lunghezza enorme di tempo e dispendio di carta e diritti governativi. Non v'à pubblicità, non dibattimenti, e le sentenze si pronunciano a porte chiuse.

Si disse che piena è la legislazione di decreti contradittorj: onde sovente accade che fra due contendenti l'uno e l'altro si faccia schermo di qualche legge a suo prò. In tal caso il giudice savio porrà da banda la legge, decidendosi a favore del più ricco, ovvero emanando sentenza a suo capriccio che pareggi o superi per stravaganza le più famose dei Cadi. Vogliam citarne un esempio dei più rimarchevoli.

Un bel giorno gli abitanti della città di Kaminieck, capitale della Podolia videro cadere all’improvviso dalla finestra di un primo piano un giovane uffiziale russo di natali distinti, e rimarchevole per avvenenza: niun male gli incolse; ma sgraziatamente cadde addosso a un pover’uomo Valacco, il quale ne rimase pressoché schiacciato. Il caso per sé stesso si strano colpi maggiormente gli spettatori, perché l’abitazione d'onde cadde il projettile animalo era di un tal Cristoforo ricco negoziante armeno, che da non molto avea menato in isposa una giovane giorgiana di straordinaria bellezza. E le congetture maliziose di quei Podoliani crebbero quasi a certezza nell'apprendere che il valacco avea chiamato l'uffiziale d’innanzi a' tribunali per essere indennizzato delle offese ricevute nella persona, e dall'altro lato il conte Balaban (cosi nominavasi il projettile) avea citato Cristoforo, che alla sua volta chiamava in giudizio la giorgiana sua moglie. Arduo caso pel tribunal civile di Kaminieck; le parti e i testimoni comparvero, e deposero giusta il dovere; cosicché fu chiarito avere quel Cristoforo imprudentemente locato un quartiere al giovane russo, da cui la bella sposa erasi lasciata conquistare, in guisa che sorpresine un giorno i segreti colloqui, l'armeno si slanciò addosso all'uffiziale, l'afferrò, e lo gettò dal balcone. Ma la vendetta tornò vana, essendosi trovato a riparo della caduta lo sfortunato di che sopra dicemmo. Questi, presso che sfracellato da un corpo pesante venutogli addosso da un primo piano, avea dritto ai danni e interessi. Ma da chi reclamarli? Non dell'uffiziale, la cui responsabilità era nulla, come involontario era stato l’aereo suo volo dal balcone: non dallo sposo ingannato che l’aveva lanciato per aria, perché ne lo giustificava abbastanza il motivo: la quistione fra marito e moglie competeva ai tribunali Ecclesiastici. Ma i Civili dovean giudicare e conoscere sulla rifazione dei danni; poiché in fondo un delitto erasi commesso, e meglio di ogn’altro lo sgraziato valacco il sapea. Intralciata e ardua perciò la quistione era per sé stessa, e tal sembrava a molti. I giudici moscoviti però, non temono difficoltà di questa sorta e coraggiosamente le affrontano. Il Tribunale non istette dubbioso, e pronunziò questa singolare sentenza:

«Noi Carlo Durowscki, giudice del distretto di Kaminiek; Stefano Slarjvnski Vice Giudice; Bartolomeo Michalski secondo giudice, e Antonio Hvsvjanowski notaro del distretto.

«Considerando che il matrimonio è un sacramento religioso istituito dalla Chiesa, onde ogni quistione fra conjugi è di competenza dei tribunali Ecclesiastici.

«Considerando che l’ukas di S. M. I. Paolo I. dell’anno di N. S. 1799. porta che ognuno à diritto di gettare per la fenestra in istrada qualunque mobile inutile che abbia in casa, purché non manchi di avvertire i passeggieri, dicendo tre volte: badate!e senza ciò debbe andare multato di 25 rubli, ed esser responsabile dei danni cagionati.

«Ritenuto che il conte Platone Alexiewitch Balaban doveva senza dubbio esser considerato da Niccola Cristo foro siccome un mobile inutile, e questi trovarsi quindi autorizzato a gettarlo dal balcone, purché mandasse le» tre grida prescritte.

«Ritenuto che Niccola Cristoforo non emise alcun grido d’avviso, e quindi disobbedi espressamente alla legge:

«Condanniamo Niccola Cristoforo a 25 rubli d’ammenda a favore dello stato, 2000 rubli d indennizzo a Grodisko, con più a quest'ultimo 2000 rubli per le spese di cura e querela; lo condanniamo inoltre a tutte le spese del» processo: e queste somme dovranno essere sborsate entro sette giorni dal presente. Assolviamo interamente il» Conte Platone Alexiewitch Balaban, e cosi pure Maria Zulma moglie di Niccola Cristoforo, riserbato a questo ogni diritto e facoltà di chiamare la consorte avanti ai tribunali Ecclesiastici.»

Saria cosa divertente se i magistrati Moscoviti si limitassero a giudicare senza senso comune o con ridicole forme. Ma non è questo il mal maggiore: poiché codesti magistrati sono generalmente venali e corrotti, senza coscienza, onore e probità: talché può guadagnarsi da loro qualunque sentenza, purché abilmente rimunerata. Cosicché in Russia vai meglio d'ogni difensore una borsa ben pingue. La corruzione cammina colà a fronte alta, ed è si generale e profonda, che più non si asconde o cerca tramutarsi. I giudici favoriscono l'ultimo e il maggiore offerente; e si tratta con tutti gl'impiegati giudiziarj al pari che coi mercanti.

E qui pure è chiara la complicità del governo, perché assegna ai magistrati provvisioni veramente insufficienti, e in guisa che si trovino obbligati a rinunziare l’impiego, o cercare col traffico delle coscienze i mezzi di miglior vita. Con 100 o 200 rubli l’anno quelli impiegati non ponno mantenere una famiglia, comunque il vitto sia a buon mercato: onde sembra abbia il Governo fatto assegno sulla venalità, fissando onorari cosi meschini.

Nominare la Siberia è il medesimo che rappresentare tutti gli orrori del deserto, della solitudine, del freddo eccessivo, dei patimenti, della noja mortale, della miseria. Pianure sterminate, il cui suolo è sempre gelato a molli piedi di profondità; canali innumerevoli, ghiacci per otto mesi dell'anno; paludi donde emanano miasmi i più funesti; aspre montagne ricoperte sempre di neve; campagne spogliate e deserte, che il sole giunge appena a riscaldare, e nella men cruda stagione offron sola bellezza e ombra di vita strati di morte erbe ed ispide steppe. Il cielo è tuttodì grigio e tetro con neve quasi permanente o ripieno di mal sani vapori; là cui temperatura è sempre intollerabile, e spesso mortale: rarissimi gli abitanti, in guerra continua col clima micidiale. Questa è la Siberia.

A Tobolsk, che n’è la capitale, il termometro scende spesso a 40 gradi sotto lo zero, fino a gelare il mercurio. Nella breve estate il sole abbrucia, e per lo più si mantiene ai 28 gradi, e resta cosi lungamente sull'orizzonte, che a mezzanotte si può leggere distintamente all'aria aperta; ciò in ricambio dell'eterno crepuscolo che regna nell'inverno. ché se si consideri, durar ivi questa stagione da otto a nove mesi, e si tenga conto di uno o due piovosi ed umidi nella state, è ben facile concepire qual debba essere l'esistenza umana in que' luoghi.

In Siberia si gettano, e vivono confusamente ogni sorta di rei e di sventurati; l'assassino, come il negoziante decaduto, e il fraudolento, e l'uomo colpito giustamente o nò di sospetti politici, e il prigioniero di guerra, e il fornitore ruinato debitore del pubblico erario, e il povero schiavo condannato da tirannico padrone: poiché in Russia tanto è il potere dei signori su questi infelici, da farli per puro capriccio rilegare in Siberia.

I rilegati sono divisi in due classi: 1.° i colpevoli sentenziati ai lavori di forza; 2.° gl’individui esigliati per colpe minori. I primi son destinati a lavorar nelle miniere, confinali i più a Nerlschinsk piccola città nel governo d’Irkuslk, luogo aridissimo e selvaggio, ma fertile in preziosi minerali. Il trattamento però!è di tutti uguale, per sino dei condannati politici; sono chiusi la notte in luoghi murati, cinti di ben munite fortificazioni; inutil precauzione, sendo impossibile la fuga pei ferri gravissimi che inceppano i lor piedi, e le scolte vigilanti e numerose. Hanno unico cibo pane, acqua, e pesce salato; abituale incitamento la frusta e il bastone; condotti il mattino incatenali alle miniere, antri tenebrosi ed umidi, sono astretti a consumarvi per entro il più dei loro giorni. Nell'inverno ogni lavoro divien quasi impossibile; e per rinvenir le miniere, piantano di tratto in tratto lungo il sentiero alcuni tronchi per segnale.

Né questo è il peggior lavoro e più pesante inflitto ai condannati: imperocché molti sono costretti a far la caccia delle belve dal pelo prezioso, e gli è forza perciò a cacciarsi per mezzo ai deserti inabitabili del nord e dell'est di Siberia, in mezzo a paludi e ghiacci che natura volle inaccessibili ai viventi. Colà sovente, esauste le scarse provvigioni innanzi di aver fallo preda, o tardata questa per la stagione, muoiono di fame e disperazione. Altri sono impiegati a servigio della navigazione sui fiumi: a rimorchiar cioè barche pesantissime, ajutando i cavalli, peggio di questi trattati e frustali.

La seconda tra le principali categorie de' condannati, composta di sentenziali per noi) gravi cause, dividesi in cinque classi: la prima comprende gl'individui, che toccata la pena del bastone, vanno a lavoro nelle fabbriche ed officine; la seconda, coloro che a' robusti travagli son alti; i più fragili la terza, adoperandosi ad uso d'inservienti. Nella quarta i destinati all'agricoltura, e son quelli che per forza o professione si riconosconoabili a tanto: dell’ultima classe son gl’infermi o gl’inetti, o i vecchiardi incapaci di fatica.

I condannati della prima classe dopo un anno di lavoro e condotta esemplare àn dritto a passar nella seconda, ove apparano un’arte e vi rimangon sei anni. Scorso il qual tempo, se ciò talenti ai lor maestri, ponno sperare di aver facoltà d'allogarsi per domestici presso gli abitanti che ne abbisognano. — Questo stato però non può abbracciarsi per meno di 8 anni, a servir di pruova, vinta la quale senza nota di reprensibile azione, sono ammessi fra i coloni o posèlentzi: di questi formansi talora borgate, o sono allocati presso i paesani Russi sinché si ammoglino, e possano assumere la lor parte di coloni. Questa denominazione s’applica non solo ai condannati che vinsero le pruove suddette, ma ancora agli individui senza titoli, o servi colà trasportati per ordine del loro padrone.

Ai coloni si assegna per lo più la regione occidentale della Russia d’Asia, e più spezialmente i distretti men rimoti del governo di Tobolsk. Arrivando al luogo ad essi destinato, questi infelici trovan spesso foreste vergini e terreno intatto, ove e dissodamento e capanne e tutto è a farsi dapprima e per intiero. In un rapporto del ministro all'interno di Russia, del 1806, leggesi come nel 1799 fosse invialo gran numero esiliati, paesani, e invalidi nelle regioni di là dal lago di Raikal, diecimila dei quali rimaser più anni senza asilo e ricovero al ferreo clima dell'Asia boreale; talché buon numero peri di fame di freddo e di stenti; e si dispersero gli altri cercando terra men micidiale.

Il solo viaggio dei rilegati per la Siberia è doloroso al par di morte; e sovente avviene che molti d'essi trapassino per via. E in ciò non le pene fisiche soltanto influiscono quanto e anche più le morali, se si ponga mente alla situazione di uno sventurato di qualsiasi posizione sociale, che per ordine dello imperatore venga arrestato brutalmente, costretto a partir tantosto, senza abbracciar la famiglia, apparecchiarsi niun agio o sostentamento, e neppur fornirsi di vesti per difesa dal rigore del clima cui si fa incontro.

Sotto Caterina IIscriveva Chappe d'Auteroche, che l'esilio in Siberia porta con sé la nota di riprovazione e fa l’uomo sì misero, che vedesi fuggito da' suoi simili pur vivendo tra loro: e niuno osa stringer seco vincoli d’interessi o d'affetti: non per la colpa di che fosse reo, ma per timore dell'autocrate. E lo stesso scrittore narrando di non aver potuto ogni cosa esaminare in Siberia, aggiunge: «I Russi son d'altronde in generale cosi diffidenti, che interrogati anche su cose le più indifferenti rispondonosempre: lo saDio solo, e l’imperatrice!»

Kotzebue, che senza sapere il motivo fu rilegato in Siberia, narra di un polacco Sokoloff l’à conosciuto: il quale era stato imprigionato perché il governo aveva discoperto come sotto il proprio indirizzo un amico di lui teneva corrispondenza con persona sospetta. Desinava il polacco presso un vicino quando fu arrestato, né gli valsero proteste e guarentigie della innocente partecipazione: fu immediatamente tradotto a Pietroburgo, sentenziato, ed esilialo in Siberia, e al pari d’altri condannati gettato sui carri di trasporto. Benché seguir dovessero una via distante poche miglia dalla abitazione di Sokoloff fu vana ogni sua preghiera a fine di riabbracciare un’ultima volta la famiglia, e toglier vesti e biancherie di ch'era privo. Dové proseguire nello stato in cui trovavasi, e giunto in Siberia fu confinato a Kurgau, dove lo trovò Kotzebue tre anni dopo nello stato più miserabile e senza nuova alcuna di sua moglie e dei figliuoli. Gli passavano 20 kopeck al giorno per vivere, si può creder quanto, miseramente. Era costretto passar l’inverno presso un albergatore sempre briaco, e la moglie rabbiosa all'estremo, alloggiando fra le più immonde bestie della casa: e l’estate dormiva nella stalla ove il narratore stesso lo trovò: un misero letto di legno, una tavola, un bacino, un crocifisso era tutto ciò ch’ei possedeva. A petto però ai rilegati ne’ luoghi di abitazione, incomprensibili son le torture dei condannati alle miniere: ché l'oscurità delle gallerie sotterranee, e l’umidità di quei pozzi, l'azione micidiale dei metalli, le perniciose esalazioni del terreno sconvolto, gli sforzi penosi del lavoro, rendon peggior della morte la vita: né alcuno ignora che il lavoro delle miniere distrugge per se stesso e logora lentamente l’umana esistenza.

Molti storiografi stipendiati degli czar vantano la salubrità del clima di Siberia: incompressibile assertiva! Imperciocché felice non possa riputarsi la vita e la igiene pubblica in paesi dove urge il sopraccaricarsi di vesti doppiate di pellicce, onde conseguono difficili emanazioni dalla pelle, ove la temperatura glaciale dell’aria produce mortali pneumoniti anche negli individui robusti; ove per otto mesi dell'anno si beve un’atmosfera priva di luce, carica di emanazioni carboniche e mefìtiche; ove innondazioni frequenti e spesse paludi esalano miasmi e contagi fatali: la vita debb’esser misera e breve, per certo, in simiglianti regioni!

Se non che maggiormente l’avvenire degrada i deportati, oltre la gravezza della pena attuale: per cui rimarcasi in quegli infelici una profonda tristezza. Ad ogni deportato tolgonsi d’ordinario titoli e onori, ridotto a servi della corona: e questo lustro non acquistano che i deportati addivenuti coloni, dopo dieci anni di ogni specie tormenti; prima di quest'epoca nulla essendo il condannato, privo di un nome, e designalo colla numerazione al pari dei forzali nelle galere: creatura scancellata dal libro dalla società, ridotta a cosa, a cifra tra' viventi, a macchina da lavoro. In quanto alla istruzione, s’ei non n’abbia, o sia cresciuto nello abbrutimento, peggiora a mille doppi; non avendo alcuna speranza di riabilitazione; nè, senza il permesso del sorvegliante che agisce a capriccio, potendo darsi a' manuali lavori da borghese, comunque ignobili, se non provvisoriamente a piacer de' padroni. — Se abbia figli, maggiore è la desolazione, portando la legge che seguano la paterna condizione di schiavi. Non affetti, non legami d'amore son possibili al deportalo, s’ei non voglia sacrificar la sua compagnia, e votare alla schiavitù e alla infamia i propri figliuoli.

Non è strano che le penne vendute di Russia esaltino a cielo la Siberia se gli czar profondono decreti di rilegazione con incredibile facilità. Niuno in Russia n’è al sicuro: e in ogni epoca uomini i meglio famosi furon cacciati tra quelle gelate steppe. Il famoso principe Mentschikoff vi mori nel 1729. Il celebre maresciallo Munich, Ostermann, Goloffkin, e molti altri uffiziali della regente Anna Ivanowna nepote a Pietro I, espiarono o coll'esilio perpetuo o con lunga deportazione, la fedeltà serbata alla sovrana loro: e tra questi Ostermann, condannato nel capo, ottenne grazia in sul patibolo, confinato tosto sulle rive dell'Ob, regione inabitabile. Munich era imputato dagli scherani della regina d’aver profuso soverchio denaro nella guerra, e pagate troppo care le riportate strepitose vittorie; ma il vero motivo era la punizione inflitta per mancanza di servigio militare al Razoumoffski amante di Anna. Agli inutili interrogatorj ed infiniti che gli si facevano sclamò il maresciallo: dettate le risposte che volete, ed io le sottoscriverò: e il tribunale tosto accettò questo spediente di procedura, e condannò Munich alla semplice pena di essere squartato.

Commutata la pena, e rilegato a Tobolsk in un piccolvillaggio, si guadagnava miseramente la vita insegnando matematiche ad alcuni giovani dei dintorni, e vendendo il latte di vacche che pascolava. Salito al trono Pietro III, fu richiamato in Russia all'età di 82 anni. Affralito più che dall'età dai 20 anni di esilio si presentò allo Czar coperto della pelle di montone istessa che avea indossato nei deserti di Pelim. La moglie, che divise seco lui la sventura, non poteva trattenersi da mortalbrivido al rammentarle solo il nome della Siberia: trasaliva ad ogni improvviso aprir d’uscio; tanto all’animo suo, vinto dal lungo patire, sembrava sogno la libertà, e sempre possibile un nuovo esilio.

L’infame Biren, che per dieci anni aveva insanguinata e depredata Russia con tremendo furore, cagionata la sentenza di Munich, rilegato poi egli stesso, dovette la libertà a Pietro III: il quale imperatore richiamò dall'esilio presso a 17000 individui condannati per cause politiche. Era del numero con la propria moglie il conte Lestoc: questo fedel cortigiano, dopo aver messa la corona in capo con fortunata audacia ad Elisabetta, avea provato alla sua volta l’infedeltà delle grazie sovrane. Fu esiliato, perché avesse ricevuta forte pecunia da straniero governo alleato di Russia e favoreggiatore dell'esaltamento di Elisabetta: su di che, interrogato dai giudici dell’ammontar della somma, rispose: ne richiedessero come ben conscia la imperatrice! Ed ei visse miseramente e nel dolore lunghi anni in Siberia. Una piccola stanza aveva la moglie, con soli mobili una tavola, un fornello, un letto grossolano senza materassa né coltri: biancherie rinnovate due volte nel prim’anno. Quattro guardie a vista dentro alla stanza, e impeditane l'uscita anco per le più strette necessità: permesse le camicie in scarsissimo numero. Onde al ritorno meravigliavasi Lestoc come la misera non avesse soggiacciuto ai patimenti e al lezzo del putridume e degli insetti che per quel sudicio vivere abbondavano. La meschina era costretta a tentar di carpire al giuoco di carte colle guardie pochi meschini soldi, e non sempre riusciva ad averne permissione. E il malumore e gli insulti degli offiziali bastavano ad aggravare la sua cattività la quale era pur tuttavia lieve a petto di quella del consorte: ché questi non avea facoltà di passeggiar per la stanza se non a patto di star lungi dalla ferriata. Quattordici anni durò l'esilio; e l'infelice Lestoc aveva più che 70 anni quando fu liberato per ordine di Pietro III.

Degna di menzione è la avvenente signora Lapoukhin, esiliata dopo che ebbe tagliata la lingua, e ricevuto il knut, comunque fosse incinta: apparente colpa era l'aver cospirato col marchese Botta ministro d'Austria a danno della imperatrice: reale delitto il soverchiarla di beltà e attrattive. Né sono ad obbliarsi, nelle solitudini di quella gelata Tebaide, i migliaja Polacchi confinati per implacabil vendetta del defunto Niccolò fra ogni sorta colpevoli in Siberia, e molti Francesi che imprigionati nel 1812 furon da Russia distribuiti al par di vile armento fra i coloni di quelle regioni; e si pure i prigionieri Circassi, che a guiderdone dell’invitto eroismo, sono colà ristretti e dannati. Qualunque guerriero del Caucaso cada in mano de' Russi, viene incorporato nelle milizie, se è giovine e robusto, per la certezza che dimentichi tra quelle file ogni velleità d’indipendenza: se è vecchio o malaticcio, e non più suscettibile di cangiar pensiero, vien rilegato in Siberia. Dio solo vede quali umiliazioni, oltraggi, e patimenti incontrano allora quei fieri e onorati montanari!


vai su


CAPITOLO VI - SERVAGGIO

Principale privilegio dei nobili. — Il servaggio, base fondamentale del l’impero Russo. — Due classi di schiavi; statistica del servaggio in Russia. Condizione miserabile dei servi. Imposte su questi. I padroni lor concedono di esercitare il commercio nelle città. — Situazione loro precaria. — Prezzo d’un paesano Russo. — Nobil traffico d’un offiziale. — Onnipotenza del padrone sul proprio schiavo. — Crudeltà dei proprietarj: aneddoti. — Influenza della schiavitù pel lato morale; aneddoti. Statistica dei delitti dei servi contro i loro padroni. — Vendette terribili dei servi. — Fatti curiosi. — Un suicidio in massa. — Carattere dello schiavo. — Niun pudore; aneddoti. — Abbrutimento dei servi; aneddoto. — Qualità dello schiavo.

I nobili russi, in segno di libertà, vanno esenti dalle pene corporali, ancorché trovinsi nelle file dei semplici soldati. Primo è questo tra i privilegi dell'aristocrazia, posti spesso in non cale però dallo Czar, onde taluno ebbe a dire: quattro essere i veri privilegi che competono ai nobili di Russia: l'immunità dal bastone e il dritto di adoperarlo: la facoltà di servire gl'imperatori con ogni sommissione, e quella di strangolarli quando troppo pesante si faccia il giogo.

Il servaggio è condizione assoluta d'esistenza pel Governo Russo siccome è oggi. Onde senza cangiarlo dalle fondamenta niun mutamento a pro della umanità può operarsi, e fu stolto chi disse che lo imperador Niccolò pensava ad abolire la schiavitù ne’ suoi stati.

Che è lo schiavo? Un essere spettante in corpo e in anima a un altro simile a sé. Un infelice per cui nulla ànno ad essere volontà, brame, speranze: non altri moti può avere che quelli imposti dal padrone, il quale su lui, come su d’un giumento, à dritto di vita e di morte; pari a un mobile si vende se ciò profitti: un essere insomma senza vero nome proprio nelle umane lingue, partecipando insieme dell’uomo, della bestia da soma, dello strumento, della materia inerte.

Ognun sa di due specie essere i servi russi, della corona, o privali. Ve n’à 21,463,994 de' primi, e dipendono dal sovrano direttamente, e son sue proprietà, e li regge special ministero. Son 23,362,595 i secondi, e servono i privati abbenché tenuti sieno ad un’imposta personale e diretta verso il tesoro imperiale. Son 44,826,589 schiavi in una popolazione al totale di 60 milioni d’uomini; e da questa cifra togliendo i soldati e i marinai, i borghesi servi anch'essi in gran parte, i Kalmucchi, Chirghisi, Tartari, Polacchi, e Finlandesi, e le colonie russe d’America, e gli abitanti delle provincie transcaucasee, chiaro si scorge da qual pugno impercettibile di privilegiati individui sono amministrati e posseduti 45 milioni d’abitanti d’arabo i sessi. Sotto qualsiasi aspetto, e in qualunque lingua, è codesta una mostruosità: ma i Russi ne vanno superbi e sei tengono ad onore come fosser perciò il primo popolo della terra.

Tra i servi, quello della corona è di poco meno infelice che gli altri: soggetto a più padroni anzi a tanti quanti sono gli officiali, e quindi alle durezze, ai capricci loro: e non per questo sfugge al pericolo di rilegazione, se troppo onesto volesse proteggere il decoro d’una figlia che avesse dato nel genio a qualcuno de' suoi superiori. Riguardo al ben’essere materiale, il servo della corona è più esposto alla fame, se la sventura gli tolga il ricolto del suo campicello; e frequentissimi son gli anni di carestia in Russia. — Ricorrono è vero in que’ casi gli schiavi alla generosità dello czar; e lo czar dà infatti dei soccorsi: ma questi son pochi, e rimangono quasi per intero nelle mani degli incaricati. Si suppone adunque che i miseri abbiano avuto scarso un ajuto, e niuno s’occupa più di loro.

«Nella state del 1841 narra il Marmier come migliaja di poveri servi erravano sulle vie maestre con le mogli ed i figli, scarni e contraffatti implorando pietà, e taluni morsicando un tozzo di pane muffo e nero; e vecchi e fanciulli si affollavano attorno alle vetture abbracciando le supplichevoli ginocchia dei passaggieri onde aver soccorso. Tale vicenda è rado incolga a' servi de' privati. Questi poi sono sottoposti a tasse di diversa specie. Pagano l’obrock al governo: quasi imposta d’arti e mestieri, poiché può variare a seconda del lor commercio e lucro: ordinariamente è di 8 a 10 rubli. Debbon poscia al proprietario una enorme contribuzione consistente nel dover disporre a pro suo della metà del lor tempo. E oltre a ciò sono tenuti a prestarsi ad ogni comando del lor signore, che sceglie fra essi domestici, palafrenieri, cuochi, e lutto il servidorame di città e di villa. Onde non resta gran tempo a que’ servi per esercitare industrie. — E cresce la lor tassa a norma dei lucri loro o del luogo ove prescelgono trasferirsi a esercitare negozi. Cosicché bramosissimi i nobili sono e generosi in accordare a' servi licenze di trasferimento dai piccoli ai grandi luoghi, sendo questo un mezzo importante di reddito e di lusinga all’ambizion loro, nel possedere schiavi che colla buona condotta e abilità onorino e arricchiscano i loro padroni. Di questi v àn persino taluni, che rifiutano somme considerevoli offerte ad essi da servi arricchiti, anziché donar loro la libertà: compiacendosi nel possedere un numero di negozianti (6), i quali non solo trovatisi per tal guisa nell'estrema difficoltà di farsi liberi, ma vivono sotto il terrore continuo di essere quando che sia dispogliati in un attimo del frutto di lunghi anni e sudori, come il padrone può fare se gli talenti. Donde le continue precauzioni ch’essi ànno di sotterrare o nascondere in mille guise il danaro che guadagnano: e la perdita che ne consegue della circolazione al commercio e alla industria. — Se un paesano commerciante smarrisce il passaporto firmato dal suo padrone, o venga arrestato senza pruove della sua condizione, se ne pubblica il nome pe’ giornali come praticasi per le bestie o gli oggetti smarriti, e se niuno il reclama, cade di pieno diritto in possesso della corona.

Tutto concorre adunque a far dello schiavo una merce, che renda il massimo dei frutti oltre quello contemplato dalla legge; e per tal certezza di lucro dovrebbe il prezzo salire di molto e mantenersi. Però avviene il contrario, poiché uno schiavo non vai più di 1000 franchi, compresa l’intera famiglia comunque numerosa ella sia, e fornita di braccia da lavorare più o men terreno. Val quindi un Russo assai meno d’un negro, che alle Antille costa 3 mila e anche 5 mila franchi se non più. Le donne fra' negri si vendono, non cosi le schiave russe, che si, rilasciano per soprammercato, meno il caso eccezionale di straordinaria bellezza.

Quando lo imperatore accorda un numero di schiavi a qualche suo favorito, dice d'accordar tante anime, e con questo s’intendon schiavi maschi: le femmine non si comprendono sotto quel vocabolo, e figurano nelle note di vendite o doni sol per memoria.

Per lungo tempo il commercio degli schiavi in Russia fu libero al pari che nelle colonie si pratica, facendone mercato siccome di animali. L’imperatore Alessandro cercò mitigarne la sorte con un decreto che ne proibiva l’alienazione separata dal terreno che abitavano; proibiva a' padroni i gastighi corporali senza formai giudizio preventivo, e i matrimonj forzati. La misura fu buona e generosa, ma tornò inutile: ché se presso la capitale occorreva rispettarla, nelle lontane provincie era posta in non cale, o elusa in mille modi: e d’altronde i proprietari possono agir di tal guisa, e fare il piacer loro, senza che alcuno lor chiegga conto dell'operato, o una vittima apra bocca a denunciarlo. Il medesimo avviene di ogni prescritto legale ne' rapporti tra schiavo e padrone: sul nutrimento che gli compete, sui maltrattamenti indebiti, sulle proprietà acquisite, le quali ponno esser vendicate e sorvegliate dal maresciallo de' nobili di ogni provincia: ché la legge esiste, ma i proprietari in fatto si attentano a lasciar nullameno morir di fame gli schiavi, ucciderli e martoriarli, saccheggiare le loro industrie, sicuri di rimediare con qualche pugno di rubli ad ogni eventual riclamo: il proprietario Russo nulla à da temere della esecuzion della legge per parte de' funzionarj(1), se non sia che cotesti abbian avuta cagione di vendetta o d'odio contr'essi.

Toccammo de' matrimonj forzati e della legge che li vieta: ma i padroni non la curano, né saprebber mai valutare la necessità del consentimento di un uomo-cosa. Preme loro che crescan le braccia e gli operai: null'altro. Onde nelle visite ricorrenti che i signori russi fanno per le castella e i poderi s’affrettano a ordinare l'accoppiamento (morale e felice per certo) di quegli individui che, giunti a pubertà, non fossero uniti ancora.

Niun freno à la collera dei signori Russi contro a' propri schiavi: se noi permetton le leggi, il fatto lo concede, e Tesser quei miseri men che un mobile innanzi al padrone. Non età né sesso giova a riparo: e un lacché incaricato di punire per lieve trasgressione uno schiavo và a prenderlo in mezzo alla famiglia, senza riguardo se il più vecchio sia e venerando di quella moltitudine; ordina tosto che getti a terra le vesti, e gli s’inginocchi d’innanzi; quindi di piena forza il percuote di verga o di frusta sino a renderne livido il corpo: né ciò basta 1 che terminato il supplizio l’infelice debbe baciare la mano del carnefice e protestar sommessione; e guai (foss’anche donna o fanciullo, moglie o figlio, paziente o spettatore) se alcuno mostri in viso segno d’impazienza o di collera: il medesimo supplizio lo aspetta: e sono i più stretti congiunti a preferenza chiamati a tener fermo il paziente in caso di resistenza: orribile immagine pei popoli civilizzati, e non men strano pensiero è il sapere, che quei miseri si prestano a tale officio con rassegnazione e indifferenza. — I gastighi d’altronde non anno cause legittime: l’ignoranza nello apprendere a servire, la pudica ritrosia di una fanciulla, il sottrarsi di un giovine al reclutamento son titoli di enormi pene, e si applicano i colpi talora insino alla morte del paziente: intorno a ciò è rimarchevole la punizione che si narra inflitta ad un paesano, il quale azzardò consigliare al suo padrone un’intrapresa industriale che sgraziatamente ebbe infelice successo: il mal capitato consigliere fu dannato all'esilio in Siberia, strappatigli pria che partisse i quattro denti d'innanzi a perpetua memoria del fatto. Si tien per certa l’altra avventura d'un padrone, che, sdegnato inverso un suo dipendente, e trovandosi in viaggio per l’Italia, colà il chiamò dalla Russia, e pervenuto a Firenze lo fe’ frustare, e rimandollo quindi in paese. Avventure son queste delle quali non sai se maggiore la stranezza o la tirannia ne apparisca (7).

Sian pur questi tratti una eccezione una follia di pochi, e avvengan di rado! ma ciò non toglie che, laddove soltanto simili eccezionali follie avvengano, stato sociale non possa dirsi, o almeno di codesta società debba sentir schifo e ribrezzo ogni civile nazione.

Immorale oltre ogni credere è la onnipotenza dei proprietari russi sulle loro schiave: che desse spettano intieramente al lor signore, riputando egli elargir sommo onore nella scelta che faccia tra loro. Stanco delle meschine le marita a quale schiavo più gli talenti: tale abuso è generale e continuo: e, quel che è più, i fanciulli nati dalle povere schiave convissute co’ padroni sono abbandonati a seguir la condizione delle madri e la trista sorte loro per tutta la vita. — Fatai veleno, e distruggitore di ogni nobil senso umano è la istituzione della schiavitù (8).

Nè, per quanto i Russi il nascondano, è men rimarchevole il numero di orrendi delitti che contro i proprietari di carne umana commettono gli schiavi. Dalle statistiche ministeriali sessanta assassinj per anno in medio ragguaglio si contano, e certo la cifra non può essere volentieri esagerata. E colla ignoranza, la cieca sommissione, la stupidezza dei paesani russi, forza è di tirannici eccessi perché giungano a metter le mani si di frequente in dosso a' lor signori.

Quando gli schiavi si risolvono di vendicarsi il fanno apertamente e senza ritegno, ed ogni arme è buona per loro: agiscono a pieno giorno, e son già apparecchiati al gastigo all'esilio e ai suppiizj perché decider non saprebbero il misfatto se non giunti allo stremo della miseria e dei patimenti, talché altro ristoro non vagheggiano fuor la vendetta e la morte (9).

Tali rivolle avvengon di continuo in Russia: ma se scoppiano quando che sia con cupo e tremendo furore, l’indomani son poste in obblio, represse che siano, e tenni nate con alcuni supplizi o rilegazioni: e spesso nelle province e nella capitale s’ignorano, perché né le autorità né i Russi si attentano o godono di palesar simili fatti: e solo gli stranieri sono al caso di riferirne, trovandosi talora di passaggio sul luogo di recentissimi avvenimenti (10).

Quando si pronuncia la parola — servaggio — s’intende e si spiega ogni più strano avvenimento e più atroce. L’assoluto potere da un lato, l’intero abbrutimento dall'altro non ponno che generare soprusi e delitti.

Che se pur anco v'abbia, ad onorevole eccezione, alcun signore Russo umano e generoso, il quale tanto la civiltà conosca o il proprio interesse da render invidiabile agli schiavi de' possedimenti vicini l'averlo a padrone, e indurli persino a metter in sue mani tutte le economie per esser comperati, o non venduti se al suo servigio già fossero; se pur anco talun proprietario rinvengasi fautore delle idee abolizionistiche, e promotore della libertà degli schiavi; son queste sempre rare eccezioni, strani benché felici accidenti, ma da non costituir giammai regola in un paese ove vige la istituzione della schiavitù.

Chiara e infallibile è poi la demoralizzazione dei servi: i quali ànno tutti i vizj proprj della lor tristissima condizione, a prima vista ravvisabili e manifesti. L’ipocrisia, l'astuzia, 1 abituai menzogna, l'ubbriachezza, il furto; la viltà (11), la perfidia, l'infingardaggine: e questi sono i più apparenti: che nell’intimo penetrando di lor convivenza più mostruosi e orribili se ne avvisano: come a dire di niun freno al senso, o al pudore, di che ignorai) persino il nome: e non potrebbe essere il contrario se tutto di veggonsi uomini e donne rimestati, spogliati, esaminati dai padroni e da' mercanti in faccia a tutti e ovunque, e se a talento del lor signore de' corpi loro disponsi (12).

Niun sentimento d'onore esiste presso quegli schiavi: e inutile diffatti ne tornerebbe l'idea e il vocabolo a chi non è uomo ma cosa; e tanto si accostumano a scambiare la brutalità nel diritto, la degradazione in rispetto, che perdono alla lunga ogni desiderio pure o immagine di miglior condizione e trattamento (13).

Con tali descrizioni non vogliam denigrare nel servo Russo la sua qualità di uomo, ma dipinger l’effigie dello schiavo non mollo dissimile invero da quella dei servi di ogni paese in cui sian maltrattati ed oppressi. ché ove dall’abbrutimento vadan securi o risorgano alcun poco, e l’uomo si mostri nei mugik, son dessi per naturalcarattere in generale cortesi, sensibili, umani ed ospitali: sol nell’interno di lor famiglie però è dato scorgere questo buon lato, mentre in faccia a' superiori ed agli estranei per forza o per abitudine son costretti a tener il contegno per noi già descritto.

Mille particolari potremmo dare intorno a questo argomento del servaggio in Russia. Ma lungo sarebbe l’esaurirlo, e non del nostro proposito. Quei lettori che amino conoscer a parte a parte le condizioni della schiavitù in Russia, leggano l’opera di Ivan Tourghenief, che dal Charriére fu voltala in Francese, e pubblicata nella Biblioteca delle Vie Ferrate: il libro à per titolo: Memorie d’un gentiluomo russo. — La schiavitù e le sue conseguenze vi son narrate stupendamente, e con accortezza e ritegno assai interessante sono esposte le scene più rimarchevoli dei lor costumi.


vai su


CAPITOLO VII - L'ARMATA

Le forze militari, base fondamentale dell Impero Russo. — Impossibile conoscerne la cifra anche approssimativa. — Qual giudizio abbia a farsi sul famoso milione di soldati. — Cause per cui si debilitano le armate Russe. — Reclutamento, e su quali popolazioni à luogo. — Come siano trattati i coscritti. Triste condizione dei soldati. — Strani modi di reclutare le milizie Russe. — Educazione militare a colpi di bastone; cattivo nutrimento; niuna cura per la sanità del soldato. — Malignità dei capi dei reggimenti. — Varie cause di decrescenza nelle armate Moscovite. Quadro del soldo per gli uffiziali d'ogni grado. — Come questi ne suppliscano alla scarsità. — Saccheggio organizzato. — Aneddoti e fatti rimarchevoli. — Offiziali mendicanti. Ripugnanza dei Russi pel servigio militare. — Disciplina che abbrutisce. — Inconvenienti dell'eccessiva severità di disciplina; aneddoto. Caratteri infamanti della giustizia militare in Russia. — Brutalità degli offiziali. — Penalità. — Procedura; un’udienza di un consiglio di guerra. — Esecuzione di un giudizio militare; il supplizio delle verghe. — Ritratto fisico del soldato Russo. — Suo nutrimento. — Soldo. — Rassomiglianza notabile dei soldati Russi fra loro. — Cattivi elementi di cui compongonsi le armate Moscovite. — Il servigio militare degradato in Russia. Qualità morali del soldato Russo; sono costretti a fanatizzarlo. — Fatti istorici. — Ignoranza ed incapacità degli offiziali. — Sole, luna, e stelle. — Qualità e difetti della infanteria; della cavalleria; dell’artiglieria; del corpo ingegneri. — È impossibile che Russia possa inviare numerose armate fuori del suo territorio. — Mortalità spaventosa nelle armate Moscovite. — Russia và debitrice agli stranieri di ogni suo progresso nell'arte militare. — Esame storico del valore delle armate Russe in campo di battaglia; guerre della Repubblica e dell’impero; guerra di Turchia; guerra di Polonia.

Sostegno della macchina governativa e sociale in Russia son le forze militari: ché uno stato di tal fatta non potrebbe esistere senza un armata considerevole. Onde gli imperatori di Russia poser sempre ogni cura a ordinare mezzi di difesa ed offesa analoghi alla politica loro e all'ordinamento interno del paese: a Niccolò si debbe la maggior gloria in questo, e non si vuol negargli in molte cose riuscita, siccome nell'aumento dell'effettivo, e nel miglioramento della cavalleria.

É ben naturale che in Russia, paese fornito di mille risorse fisiche, e dove la direzione di ogni forza morale e materiale è in mani del capo supremo, riesca ed esista un modo di armata imponente, apparecchiata agli eventi di guerra. L’armala adunque in Russia esiste ed è imponente', in ispecie se notinsi le milizie ragunate alle frontiere senza posa vigilanti e co’ cannoni approntati: e ciò essendo, doppiamente cieca fu la fiducia dei governi civilizzati di Europa, e più specialmente in quelli di Alemagna e Francia, che non si posero in guardia dalla minacciosa attitudine del cosi detto colosso del nord.

Inutile ci sembra il rintracciare, come gli scrittori per lo più fecero, la cifra delle armate russe. Tanto è difficile il conoscerla che niuno mai andò d'accordo a stabilirla: imperciocché gli stati officiali son pure menzogne, e più si appressa al vero chi ne dubita e se ne discosta. Si può anzi asserire che lo czar istesso non conosca l’effettivo reale e veritiero delle proprie armate, e ne vedremo il perché. Oggi d’altronde poco ne importa di sapere qual è la forza normale di Russia, quando meglio e con più vantaggio possiam rilevarne le risorse e il novero delle milizie che adunar possa a difesa in grave e seria guerra. A ciò dunque volgeranno le nostre ricerche.

Molto si ciancia del milione di combattenti che Russia tien sempre in arme; e molti son gonzi che vi credono. Ma quell'impero e gli uomini di quel governo non palesan mai la verità, e molto meno il farebbero sul punto più delicato e importante della esistenza propria. Noi crederemmo a questo numero in tempo di guerra, poiché la Francia ed altre nazioni potrebber, volendo, fare altrettanto. E Francia a' tempi della repubblica e dell’impero (considerando le enormi perdile in minimo lasso di tempo) pose in armi ben meglio di 2,500,000 soldati, ad onta che di tanto inferior numero a Russia abbia la popolazione. Nulla di strano adunque se questa in tempo di guerra possa adunare un milione di soldati, tanto più che a lei è impossibile disporne poscia un quinto appena contro i nemici esterni. — Vedremo ora che tal numero non esiste veramente; e passiamo ad enumerarne le cause.

L’arruolamento in Russia colpisce i servi soltanto, potendo i borghesi e gli uomini liberi sostituire un cambio. L’ingaggio non si pratica colà; e il servigio militare è cosi penoso e di lunga durata da non muover certo le persone alcun poco agiate a sobbarcarvisi. Le leve si fanno a tenor dei vari frangenti, da uno a dieci uomini su cinquecento o su mille, e non ad epoche regolari ma all'improvvista, e quando all'autocrate piaccia ordinarle. Vi sono ammessi gli uomini dai 18 ai 40 anni, e talora anche i più giovani. Onde i signori àn tutto il largo a provvedere, e mandar ponno all'armata qualunque soggetto purché sano e robusto: e talora, se abbisognan di danaro, mandano a' governatori alcuni schiavi di sopravvanzo, da servire per il contingente venturo. La ricevuta officiale serve ad essi qual lettera di cambio, che scontano poi a' lor vicini, i quali non si trovino in grado di fornirne alla prossima cerna annuale.

Dapprima tutto l’impero indistintamente forniva le reclute, che perciò dovevan sostenere enorme cammino, faticose marcie, freddi, e privazioni dolorose, sicché molli ne perivano tra via, e appena un terzo del contingente arrivava in istato di servigio. Lo imperadore, avvisato il danno, decretò a riparo: che il territorio moscovita fosse diviso in due zone: l'una comprendente i più remoti distretti, l’altra i più prossimi e centrali: esentala la prima dall'arruolamento forzoso, e sommessa a questa legge la seconda in perpetuo.

Da tale disposizione venne a risultare che le cerne si fanno in realtà sopra una popolazione di 40 milioni, dai quali se detraggansi tutti i nobili e gli uomini liberi rimane appena da rifornire la milizia Russa una popolazione presso che 'eguale a quella di Francia. Se in Russia adunque la forza numerica armala è ragguardevole, meglio che alla moltitudine degli abitanti deve attribuirsi al contingente maggiore che si trae a proporzione da alcune provincie; ossia dalla facilità che ànno gli czar di ottenere quel numero di soldati che non potrebbe un altro governo.

Il servo reclutato per la milizia, dopo consegnato all'offiziale dirigente, viene impastoiato con una sbarra di legno a' piedi che lo tien legato a un altro coscritto, resa cosi impossibile la fuga ad ambedue. Per tal guisa allacciati, siccome destrieri al pascolo, e rasa per metà la testa, onde riconoscerli tantosto se riuscissero a sottrarsi, si trasportano in altri distretti e talvolta rimoti, con non poche sofferenze, avvegnaché spesso le operazioni di leva accadono nello inverno. Giungendo tra via a' luoghi abitati si racchiudono in prigione fra ladri e colpevoli, o in qualche infetto granaio: e durante il tragitto tanto appena àn di cibo quanto basti a sostenerli in vita, e a reggere a' colpi di bastone che il condottiero profonde in abbondanza. Quindi non è raro il caso delle morti fra questi disgraziati lungo il cammino.

Pei servi russi non v'à perciò destino più affliggente che il servizio militare; oltre lutti i mali della propria sorte, perdono le uniche consolazioni nello staccarsi dalla famiglia, toccando loro invece un cibo nauseoso e scarso; educazione militare a colpi di verga: disciplina non che severa, crudele: travagli e martiri d’ogni fatta; e per compimento una oscura morte sul campo di battaglia. Quei che resistono a si dura vita denno consumare 25 anni sotto le bandiere; e al menomo fallo il servigio precedente è nullo, ed altri 25 anni incominciano a decorrere: sicché non è raro avvenga che al termine di essi o per lieve trasgressione o per malizia de' capi siano costretti a nuovo e prolungato servigio. Ridotti a infermità o vecchiezza son rimandati senza pietà alle case loro, dietro giuramento di non accattare, né portar più barba insinché vivono. — A questi sgraziati non rimane di meglio allora che l'allogarsi a portinai di qualche imperiai residenza, o a servigi domestici co’ privati: il più delle volte però non trovano altro pane che quello dello sgherro politico, o del mendicante.

Una beffa e un insulto è quindi la legge che dichiara liberi i servi e i paesani divenuti militi russi; e di tal libertà sian pruova le catene che li costringono al primo entrar ne’ ruoli e tragittarsi ai depositi: il supplizio del bastone serbatogli durante la vita militare: il giogo di vent'anni, prolungati ancora ad arbitrio dei superiori; la miseria o la morte per final guiderdone.

Né mancano d'altronde al governo russo singolari espedienti a procurarsi soldati. Fra gli altri, fu emanato un decreto che autorizzava l'arruolamento forzato di tutti gl'Israeliti che fossero colti per via senza passaporto. Uscito il decreto e aperta una caccia a quei miseri fu tutt'uno; e quali colti alla sprovista, quali privati a forza o per inganno de' recapiti venner tradotti all'armata; facendo cosi di essi miscredenti altrettanti valorosi difensori dell'ortodosso imperatore, poco meno scrupoloso di un volterriano, quando trattisi della propria utilità.

Né a ciò si limita la prepotenza onde riparare i vuoti che la morte, le diserzioni, i morbi, e la renitenza dei sudditi cagionano. Tutti i figli nati dai militari (non offiziali) in attività sono costretti a seguir la paterna carriera: e del pari i figli adulteri delle mogli loro, che per lungo tempo spesso son separate dai mariti; i figli illegittimi nati dalle figlie o vedove dei militari, cui non è permesso ritenerne pur uno.

Abbiamo già toccato dell'infelice condizione che è serbata al soldato russo in servigio: ma a chi ne bramasse minute particolarità da scrittore non sospetto, poiché esuberante in elogi alle istituzioni russe, legga l’opera del prussiano barone di Haxthausen; Le forze militari in Russia (14).

Da ciò la scarsa realtà dei contingenti forniti secondo che si disse da' 40 milioni d’abitanti: per lo che, udendo parlar di leve straordinarie e numerose, vuolsi accortezza di ragguagliarle a metà soltanto, per far giusto calcolo delle perdite che antecedono e seguono l’allogazione delle forze.

Altre cagioni di non minore entità son pure le seguenti: che i capi 'delle milizie riscuotitori dei soldi per gl'individui presenti ne’ ranghi, ànno tutto l’interesse a trascurare di riempire i vuoti, sia che questi avvengano per le diserzioni, o per le morti. V’ ànno senza dubbio ispettori militari a vegliar su gli abusi: ma oltrecché non è difficile né nuova impresa il cuoprirli, non è raro che gli ispettori stessi sian conniventi per interesse o per abitudini contratte ne' medesimi gradi dei vigilanti, o perché abbian nella milizia figliuoli o parenti che desiderano protetti ad ottenere avanzamenti. — A ciò si aggiunga, che d’ordinario in ogni reggimento ànnovi 70 o 80 uomini non combattenti perché esercitano le arti indispensabili meccaniche. I 60 offiziali d’ogni grado che son nel corpo ànno dritto d'impiegare a' lor servigi tante ordinanze che variano in numero dall'una alle dodici per ciascuno: e comeché ciò sia poco, abusando di autorevolezza e d’impunità occupano spesso chiunque trovin nelle compagnie capace ed abile a lavori, per conto loro personale, e fuor dei bisogni del servizio: questi individui fìguran sì nelle parate e riviste, ma non possono acquistar perizia militare e quindi contar per soldati nei giorni di battaglia. — I malati pure son da detrarsi, e non son pochi a cagion della trista vita e dei patimenti già narrali. Per lo che, se aggiungasi la difficoltà degli arruolamenti, è ben certo che un battaglione russo, accennato in cifra a 4000 con due battaglioni di riserva, si riduce a men di 2000 in realtà di effettivo.

Le stesse lacune son nella cavalleria, con soprappiù la difficoltà di avere offìziali per lo scarso appuntamento assegnato loro; onde le agiate persone cercan meglio entrar nelle guardie imperiali. Molti offiziali stranieri attestano di aver veduto in guerra co’ propri occhi queste mancanze, e se taluno à levato romore e meraviglia di speciose riviste cui assistette a Pietroburgo, ben tosto apprese da' medesimi offiziali delle truppe, che si erano all'uopo e in fretta completati gli squadroni traendone parte da vari corpi, non esistendo in alcuno il dovuto novero.

Da scomputarsi ancora nella milizia attiva d'operazione sono le truppe fuor di linea, siccome gl'invalidi, le artiglierie stanziali, le compagnie di operai, e la gendarmeria. E i battaglioni di presidio son composti di militi e d’officiali inetti a sostenere le fatiche guerresche: che se tra loro v’ànno de' giovani, son ben rari, e lo si debbe a ragioni di punizione, per cui son lì confinati. Il simile è dell’artiglieria stanziale.

Rispetto ai Cosacchi poi, non è dato al governo russo il fare assegnamento positivo su quelle truppe irregolari viventi la più parte una vita nomada e arbitraria (15).

Il contingente di Kirghisi, e di ogni altro ausiliario in generale è meramente illusorio. In quanto a' corpi speciali situati in Siberia, nell'Uràl, ed altri luoghi, son si scarsi da non meritare di farne conto. Le colonie militari fornirebbero certamente buoni cavalieri; e destrieri di buona razza si ottennero in quegli stabilimenti, ma l’effetto del servigio in guerra non corrisponde. La guardia imperiale soltanto e i corpi situati alle frontiere sono organizzati regolarmente: di tutte le altre truppe si avverano le cifre non già la realtà.

Né consegue adunque ciò che avevamo asserito: che a ben poca importanza riducesi il milione di soldati russi (16): che quanto àvvi di certo si è: non essere l’arruolamento eseguito sopra una popolazione maggiore di 40 milioni d’individui; e trovarsi poi decimale le truppe russe da cause permanenti di deperimento, anche in tempo di pace, e affatto estranee alle belliche vicende.

Ad ogni modo non è sempre, ed oggi in ispecie, il numero dei battaglioni che vinca, ma il coraggio de' soldati e l’abilità loro e dei capi. E a veder quindi ciò che valgan per questo lato le truppe russe: ma prima di accingerci a tale esame, occorre esaminare altri particolari sulla organizzazione delle truppe medesime.

Incredibile è quasi il misero assegno del soldo annuo che percepiscono le milizie: eccone le cifre secondo le più recenti informazioni:

Il Luogotenente generale à 4500 franchi: il generale maggiore 3350: il colonnello circa 2100: il luogotenente colonnello circa 1500; il maggiore 1350: il capitano in primo 1200: quello in secondo 1130: il luogotenente 950: il sottoluogotenente 800. L’insegna e il trombetta 750: un sott’uffiziale 40, il soldato da 10 a 20 franchi: e da 12 a 24 quelli dei corpi scelti.

Apparisce da ciò che un tenente generale russo à il soldo d’un capitano prussiano di prima classe; e un colonnello è men pagato di un portabandiera inglese: i sott’uffiziali francesi dei corpi privilegiati ànno la paga dei capitani russi in 2.°— E si che in Francia, a mo’ d'esempio, le milizie non son largamente retribuite. Per tal modo si chiarisce come le cifre delle spese pel dipartimento della guerra in Russia sian sì modiche, da fame rimaner estatici gli ammiratori ignoranti e i ciechi panegiristi.

Molti domanderanno in qual modo gli uffiziali russi possan vivere con quei soldi, sia pur minore colà il costo delle sussistenze, e stupenda la sobrietà degli individui. — Non vi è altro da rispondere di plausibile se non che gli uffiziali superiori potenti e bene accolti presso i ministri e l’imperatore si fanno accordare gratificazioni di ogni specie, ed anche somme considerevoli a lunghi prestiti e gratuiti. — Suppliscono poi a ciò che lor manca colle concussioni e i soprusi d’ogni sorta a danno dei soggetti. La rapina è organizzata nelle milizie universalmente; ogni grado, ogni officio fa la sua parte. E ciò è noto al governo: e par che tacendo approvi, e sia lieto di supplire per tal guisa al difetto dei soldi e dell'erario. —

Il soldato non à per risorsa che il furto, e l'esercitar qualche basso mestiere, locché gli è permesso nelle ore di libertà. Troppo lieve però è il profitto derivabile da quest'ultimo mezzo: imperciocché nella state impiega egli nella manovra quasi l’intera giornata, e l’inverno non è possibile darsi a' lavori agricoli ed altre industrie, che potrebbero procacciargli onorato guadagno. Laonde sono costretti di piegarsi a vilissimi servigi, e i più si prestano alle opere da facchino, e pur vi si addattano pazientemente, in onta al carattere militare (tanta è la loro miseria!), e sebbene tristissimo sia il vedere uomini sovente coperti il petto di medaglie e decorazioni darsi a faccende sudicie o umilianti.

Il soldo delle milizie, come dicemmo, passa per le mani de' colonnelli, i quali oltre all'amministrarlo come più gli piaccia e tener ruoli d’apparenti cifre, traggon lucro da tutti i contratti, dalle forniture, dallo scarseggiar le razioni a' soldati, dall'acquisto di generi deteriorali, dalla ritenzione di una quota sui guadagni che i militi fanno per le private industrie sopraccennate. L’equipaggio, l’armamento, l’abbigliamento, le sussistenze, i foraggi, le mancie volenterose o forzale dei commissari o fornitori che da lor dipendono, son fonti per essi di risorse incessanti. Danno insomma il men possibile, traendo il più che possono, legalmente o nò, dai soggetti e da ogni ramo cui soprassiedono. Il reggimento è insomma una fattoria da sfruttare; niun reclama, ed è a ritenere che lo czar non lo ignori, se ai suoi favoriti, che voglia arricchire, provvede mettendoli a capo di que’ lucrosi comandi.

Gli uffiziali subalterni ànno altri mezzi: destinati che siano ad un distretto si stabiliscono nel villaggio più agiato del circondario: si fanno destinare sette, otto, e fin dodici alloggi,«abitano nel migliore, esigendo dai rimanenti per indenizzo polli, uova, latte e cibarie occorrenti.

Tutti i soldati del distaccamento sono a lor disposizione per far da cuochi, da servi, da cocchieri: cosi il piccol soldo non gl'impedisce di menar lauta vita, né il potere lor manca da supplire ampiamente ad ogni altra men lecita voglia. Avviene talvolta che comandino riviste ai soldati col sacco indosso ma vuoto: i sergenti son di concerto; e fanno riempir i sacchi di fieno e di avena tolta ai magazzini degli abitanti, e dopo la manovra o la parata ogni soldato và a depositare quelle biade e foraggi presso il superiore (17).

I soldati poi s’indennizzano dei soprusi dei comandanti a spese dei paesani appo i quali anno alloggio. Si prendon dritto a partir con lui la mensa e la casa intera, e gli abiti persino. E quando son chiamati per più giorni a manovre od altre operazioni, il proprietario della casa è tenuto di buona o mala voglia a fornir loro il vitto pei giorni di assenza, ed anche alcun pò di denaro.

Ne’ corpi di cavalleria i colonnelli ànno, oltre i consueti, altri più facili guadagni, alimentando d'erbe i cavalli il più lungo tempo possibile anziché di fieno, comperando sui campi intere raccolte, falciate per le loro ordinanze; e ne danno poscia l'assegna al prezzo di rigore, come se ne avesser fatta compera ne’ tempi e modi ordinarj.

Il medesimo avvien nella guardia per gli offiziali miserabili, i quali lucrano abbondantemente sulle forniture di ogni specie per I' occorrente a' soldati. Narra Tanski come verso il 1830 a Varsavia, sendo il freddo a 30 gradi, si scaldassero le caserme ogni dieci di, mentre v’era ordine e mezzo di farlo due volte ogni giorno.

Non è a dirsi che l'amministrazione e i capi delle milizie sien senza sindacato: che l’ànno anzi severo e minuzioso: e tanto pieno di norme, e formalità, di scritti, ed atti, e registri, da disgradarne I organizzazione dei dicasteri civili, e da fornir forse appunto un mezzo di tutto cuoprire agli occhi dei superiori, che trovano cifre esatte e bene apparecchiale: laddove è maggiore la forma burocratica, non è sempre prevalente la lealtà delle operazioni. Il fatto è che lo spoglio è generale ed impunito, e il confessa, sebben ligio a Russia, l’Haxthausen nella citata opera in mille luoghi, sebben si studj di tutto riferire all’epoca precedente al penultimo Czar. (18)

Nelle armate del Caucaso la dilapidazione è anche maggiore; e quasi si fà commercio di tutte le risorse e le forniture destinate al ben’essere delle truppe (19). Ivi la mortalità, pel manco d’igiene e di cure, è spaventevole, Intiere divisioni scompajono in pochi mesi e l'armata si rinnuova pressoché ogni quarto anno. Sui forti del littorale in ispezie la mortalità è massima per le maggiori malattie, 1‘ isolamento, e lo scorbuto.

Serva poi a compiere questa narrazione sorprendente l’accennare come molli uffiziali di grado inferiore ne’ luoghi rimoti dalla capitale, forse per mancanza di lucri più ovvii, non arrossiscano di stender la mano a mendicare, sulle pubbliche vie, nelle case, nelle stazioni postali, umiliando cosi innanzi a' compatriotti e allo stupefatto straniero l’assisa militare. Noi non sappiamo qual paese gli ammiratori di Russia possan citare, ove accada un ignominia simigliante. Né con ciò vogliam dire che come eccezione non trovinsi nelle armate Russe distinti, dignitosi, istrutti offiziali, corpi scelti e ben montati: ciò deve attribuirsi alla posizione sociale di quegli individui, e talora alle private dovizie; al soggiorno dei corpi nella capitale, dove almen nelle parate, ricercatissima e splendida si vuole la mostra. Pel resto ovunque giunga lo sguardo dei viaggiatori nelle provincie, trova soldati coperti di stracci scolorati, squallidi, e ricolmi di sudiciume: abituali a cercar l'elemosina o costrettivi dal bisogno.

E non sarà ragionevole lo assegnare questo stato di immoralità e di miseria nelle armate Russe tra le cause della lor debolezza in tempo d'azione?

I Russi poi ànno in genere ripugnanza al servizio militare. Haxthausen, la cui autorità non è sospetta, lungamente parla di ciò nella sua opera, ed asserisce come fatto inconcusso le tendenze antiguerriere, e il timore che di tal vita nutrono i Russi, eccettuatine al più i Sarmati, i Tartari, e gli abitanti del Caucaso; in guisa che la maggioranza di tante tribù sembri da natura destinata piuttosto a formare una nazione agricola, industriale, e commerciante, di quel che a riuscir popolo guerriero e dominatore del mondo. Donde le continue violenze di che vennero accompagnati gli arruolamenti, un tempo vere caccie d’uomini: e le sorveglianze e le catene ai tragittati ne’ depositi centrali, siccome a malfattori, le pene rigorose contro chi ricetti i fuggiaschi (20): le mille e incredibili astuzie per fingersi inabili al servigio. Né il battesimo di fuoco e l’abitudine modificano le ripugnanze del soldato russo, mancandogli i due moventi decisivi: l'onore e l'ambizione, che sentono i coscritti degli altri paesi civili, nei quali il servigio militare è adempimento ancorché penoso di patrio debito, e mezzo a salire in fama e grado sociale. I coscritti russi sanno di esser schiavi e mandati sotto le armi pei capricci d'un padrone: come schiavi e malfattori son tradotti e ricevuti nelle milizie: come macchine, o come bruti son ivi trattati e puniti: perdono quasi la vita civile col vestir le militari assise, giacché poca anno speranza di rientrare in società; e se le mogli loro per tre anni mancan di notizie, ànno facoltà di rimaritarsi.

Anche per mezzo agli offiziali delle truppe di linea non poco è lo scoramento e la ripugnanza: per questo che difficile si rende ad essi salire a gradi maggiori potendo per legge gli offiziali della guardia esser traslocati in linea cresciuti di doppio grado, e innumerevoli essendo gli offiziali tedeschi che il governo accolse nelle truppe Russe: donde ai lunghi servigi e meritevoli veggonsi di balzo anteposti giovani offiziali stranieri o tratti da corpi privilegiati, che non altro ànno requisito fuor la nascita, la protezione, o il caso.

Niuna meraviglia quindi se ad ottenere qualche disciplina, anzi la necessaria e severa, i più energici gaslighi sienoimpiegati, e comune e ordinario sia l'uso del bastone. Il quale già dicemmo come sia strumento generale di comando domestico e cittadino in Russia, e perciò tanto più nelle milizie, nelle quali viene adoperato a tener all’erta i militi, ad istruirli, a punirli, senza che, più del dorso battuto, l'animo si dolga. Ciò è naturale: poiché il bastone è lo strumento miracoloso degli schiavi: e senz’esso Russia, almeno nella sua attuale organizzazione, più non esisterebbe.

V’ànno formule, e toni determinati, obbligatorj pei soldati sotto gravi pene, onde rispondere od acclamare ai superiori. Con ciò è prescritto quando, dove, e come e innanzi a chi, e se ad unisono, o per battaglioni debbasi gridar l’hourra!, o altra esclamazione di prammatica.

Talvolta per la mancanza d’un commilitone tutta la squadra è punita o il battaglione, senza dirne il motivo: o una lievissima trasgressione è considerata nel castigo come enorme delitto: spedienti questi a mantenere e incuter terrore profondo dell'autorità; a produrre se non per dovere ed eroismo, almen per paura la disciplina, e la fermezza anche in faccia all'inimico.

Su i bassi uffiziali pesa del pari non lieve la dispotica autorità: non l’ubbidienza sola ai superiori, ma i segni più umilianti di sommessione si esigono. Non solo gli offiziali denno salutare i lor superiori; ma innanzi a un generale debbon fermarsi, far fronte, e rendere il saluto militare con eccessiva umiltà. Il soldato pure deve far di berretto ai sott'uffiziali; ma se scorge un uffiziale da lungi deve nudare affatto il capo, fermarsi di fronte, e tenersi diritto e immobile finché l’uffiziale non siasi allontanato d’altri 15 passi. L'imperatore Niccolò annetteva la massima importanza ad estendere e mantenere nelle sue truppe questo abbietto spirito servile. E per natura e per mania di distinguersi, piacevasi a vessare e tormentare di sua vigilanza gli uffiziali altolocati e gl'inferiori per le più ridicole inezie, e mancanze, facendone gravi delitti, ed aspri rabbuffi, che disconvenuti sarebbero non che al supposto Vice-Dio, ma a un semplice tamburo maggiore, per la brutalità dei modi, e la collera di che andavano accompagnati (21). Né da tali severità e furori andavano immuni gli uffiziali superiori e i generali stessi, i quali non sono in salvo da rimarchi e legami speciali pur nelle adunanze e ne’ convegni sociali aristocratici; non essendo permesso ai graduali di rango inferiore di intertenersi e danzare con dame d’alto rango, o principesse; e non essendo mancalo il caso che un generale in pubblica rivista, indugiato di pochi minuti all'ora stabilita, sia stato svillaneggiato innanzi alle milizie, e, fattolo scavalcare issofatto, mandato in coda al reggimento a marciare durante la parata fra le bagaglie d’infermeria. Se ciò accadesse in Francia il punito e il punitore sarebbero colpiti d’infamia: né da questo consegue che in Francia sieno le truppe men disciplinate che in Russia.

Questo terrore, e la cieca obbedienza conseguente agli ordini, senza che alcuno osi interpretar la legge o i comandi, è cagione di fatali conseguenze nella guerra in ispecie. Ogni iniziativa, ogni campo è tolto all'ingegno individuale; niuno osa pensare, ed operar di proprio impulso. Nelle guerre della Repubblica e dell'Impero si videro reggimenti interi di Russi distrutti impassibilmente dal fuoco e dalla mitraglia, perché i colonnelli non osaron mutarne la posizione, come avrebbe fatto il generale in capo se vi fosse stato presente. Nella campagna del 1828 contro i Turchi molli si videro di simili fatti, in cui una moltitudine di Russi periva fulminata dalla mitraglia, immobile, senza né ritrarsi, né avventarsi all'inimico; e noi non stimiamo che il morir di piè fermo (eccetto pochi speciali casi) sia vero eroismo, o maggiore di quello che morir combattendo e quando il pericolo è inevitabile (22).

Questa inalterabilità di comandi, questa cieca forza di passiva obbedienza alle leggi, e i pregiudizi, e le distinzioni aristocratiche nelle milizie istesse, ollrecché generano seri imbarazzi al governo stesso, talora incarnano le più false e strane idee di onore e decoro.

E noto come il generald’Auvraycomandante nel 1828 un corpo in Lituania commettesse un bel giorno talun fallo o smemoratezza nel dirigere una rivista innanzi al GranDuca Costantino: e questi tosto a riprenderlo aspramente, e ordinargli di passare agli arresti nella sala di correzione dei soldati. Ora è da sapere che nella istituzione dei corpi due sale v’ànno: l’uria pei semplici soldati, cui un milite fa guardia: l’altra per gli uffiziali, a cui un di loro fa la scolta. — Imbevuto come tutti il D’Auvraydel falso principio che disonorato sarebbe se avesse subito il castigo in quei termini, si rifiutò senz’altro: il GranDuca allora fe’ radunare un consiglio di guerra che alla lesta il dannò a morte siccome reo d’insubordinazione al capo supremo. L’indomani prima dell'esecuzione, il GranDuca fe’ tradursi d’innanzi il condannato, e fece di persuaderlo con ogni mezzo a subire la formalità dell'incarceramento prescritto, esibendosi di condurlo egli stesso per mano nella sala dei soldati, appena un momento titubò il giovine generale: ché tosto si rifiutò di nuovo con ogni energia. Infuriando Costantino allora fe’ comando ai soldati che l’afferrassero e a forza il trasportassero in quel luogo. — Atterrito D’Auvraya tal ordine, e per ira e vergogna lagrimando, non appena vide slanciarglisi addosso gli sgherri, che in un attimo si strappò le spalline, lacerò l’uniforme, e così toltasi ogni insegna del grado, sciamò: ora conducetemi ove meglio vi piace, che io non disonoro più il mio grado né il mio reggimento.

E il principe ebbe tosto reclami si numerosi dagli Uffiziali, che dové implorare la grazia per D’Auvray, e l'ebbe, mutata la condanna nella degradazione a semplice soldato: ed ebbe cura di collocarlo sotto ad accorto generale che lenir ne sapesse con ogni riguardo la situazione. Tanto era il fanatismo che aveva destato nella offizialità l'esagerato punto d'onore di quel collega rispetto alle prerogative del grado.

Certamente non crebbe per questo onor vero alle armi, né al principe: ed anzi è incontestabile che Russia più perda che non acquisti nello adoperare sì barbara disciplina ed ingiusti modi. ché i soldati, abbrutiti ancora, anzi perché tali, ove il possano senza timor di castigo, reagiscono o colle diserzioni, o colla mala vigilanza, o con trascurare i doveri del servigio. Ogni popolo, è vero, richiede secondo sua natura costumi usanze e leggi militari addatte, e colà dove maggiore è la civiltà e la coscienza morale del dovere più miti esser ponno le leggi e le punizioni senza che ne patisca la disciplina: ma come v’è un limite a ciò, cosi all'eccessiva oppressione, la quale tanto invilisce l’uomo da abbrutirlo maggiormente anziché renderlo obbediente e morale.

Dicemmo già, ne qui giova ripetere, che la pena più comune in Russia è il bastone: e di questo si fà uso ed abuso sui soldati: con questo si dà la pena di morte: e quando l’imperatore si degna commutarla, è consueta sostituzione ai soldati la degradazione perpetua, o l’invio all’armala del Caucaso. Cosicché se in Francia i più coraggiosi ed abili chieggono ed ambiscono essere mandati in Algeria, i Russi ànno quasi nota di riprovazione a recarsi nelle milizie del Caucaso, benché sia l’unico luogo ove abbiano occasione a distinguersi.

L’insubordinazione agli offiziali supremi è punita da migliaja colpi di verga, ossia da morte, che è impossibile evitare. Un tempo si strappavano le narici e la lingua ai colpevoli: ma da Catterina II in poi, si marcano in volto i condannati alle miniere, o a duri lavori nelle fortezze. Quando si tiene giudizio, conduconsi i prevenuti, offiziali o soldati che sieno, incatenati innanzi al tribunale. Strani i processi (23), le ragioni di decidere, i voli dei giudici, le sentenze: niuna garanzia o difesa per l’accusalo. Inaudite e barbare spesso le rescrizioni dello imperatore, non essendo nuovo il caso che la pena venga dalla sovrana grazia accresciuta. Inflitta a' rei la carnificina anziché la morte, e puniti quegli esecutori che di men fermo braccio percuotano. Tipi son questi incancellabili della natura e della civiltà Russa.

Ma è ornai tempo di scendere a più serie considerazioni, vale a dire allo esame delle qualità morali del soldato russo e delle fisiche.

Rispetto a quest'ultime è a dire che, tranne gli scelti individui della guardia imperiale, sono i militi Russi per lo più magri, di infermiccio aspetto, e languido. E gonfiezza piucché sanità in quelli che pienotti appajono. E contribuisce non poco a rendere i volti accesi, talora, lo stringer soverchio e abituale delle uniformi, il che poi cagiona numerosissime malattie.

I veri Russi sono generalmente meglio costituiti e robusti. Quelli delle altre provincie ànno temperamento linfatico e tardo.

Il trattamento d’altronde che à il soldato Russo dà ragione dello stato suo fisico: ché in tempo di pace è sommesso a doppie fatiche; e nelle caserme vive malsano e mal si ciba; non così negli accantonamenti rurali. Nutronsi è vero di carne, farina di segala, gruau, e acquavite. Ma di carne ànno 5 once al giorno, e di pane invece 4 libbre ognuno. E questo nutrimento pesante, e l’abuso dei spiritosi liquori ne danneggiano oltremodo la sanità. Fuori delle città i soldati vivon meglio, perché a spese degli abitanti che mettono a contribuzione. Né il soldo gli fornisce mezzo a cibarsi più sanamente, non sorpassando, come si disse, i 20 o 24 franchi l’anno per testa, comprese le ritenzioni. In Francia il soldato à da 135 a 230 franchi per anno.

Massime sono le sofferenze perciò dei soldati Russi, massima la mortalità: e poco atti sono a sostener dure fatiche, predisposti invece a contrarre sul fatto le endemiche malattie dei vari paesi che trascorrono. Dicesi che nell’armate Russe muojano per ordinario più soldati che non degli inglesi a Bombay, il sito più pestilenziale del globo. Le valli del Danubio e della Theiss fra altre ànno servilo di tomba a intieri corpi d’armata.

Chi vede un soldato russo può figurarsi di averne visti gran numero: ché tutti si rassomigliano per effetto della oppressiva disciplina, e macchinale docilità acquistata. Pari in tutti il gesto, i moti, il portamento: ogni individualità scomparsa, pressoché come nei bruti della medesima specie. Quest'automatica mania di identità è più speciosa e anzi cercata nei corpi della guardia, ne’ quali si formano compagnie intere di soldati che abbiano capellatura bionda e occhi azzurri, altre di quelli che abbian occhi neri e crin biondo: altre di quelli che occhi e capelli abbian neri. Ciò è di prelibato gusto nella militare etichetta di Russia.

Riguardo al valore morale dell'armata Russa, vuolsi osservare anzi tutto di quali elementi si compone, ed indagare quali spedienti adoperi il Governo per render onorevole agli occhi e alla mente delle moltitudini la professione militare.

Narrammo già come i signori Russi mandino all'armata quei servi che trovano inabili a' lavori o indocili; e l'Haxthausen, benché amico di Russia, descrive con severe parole l'accozzaglia di malfattori, discoli, e oziosi che si arruolavano nell’armata russa. Da ultimo si cercano gli operai. Tutti questi elementi eterogenei si accordano nel sol punto del niun trasporto per la carriera militare. Né il governo

promuove questa tendenza onorevole, ma ne aliena anzi gli animi col far considerare siccome una punizione la vita militare: essendoché s’infligge l’obbligo del servigio in moltissimi casi di delitti, e l’armala si cangia in prigione, e in istituto penitenziario. — Niuna meraviglia adunque che ben poco amor proprio sentano i militi russi, e molti e molti anni occorrano a formarne di appena istrutti soldati: poiché il valor militare, se non pur dall'istinto, almen può derivar solo dai sensi d’onore, e di coscienziosa annegazione, d'affetto alla bandiera, d'orgoglio cavalleresco. Da ciò la forza delle armate regolari. Il coraggio (comunque si intenda la parola) non può esser frutto di violenza nelle coscrizioni, di barbara disciplina, di mancanza di ogni patriottica e nobile idea, in individui in ispecie che bene spesso nacquero, e i più crebbero schiavi. — Per timore delle verghe anzi che del cannone sanno mantenersi come inchiodati nelle file, si astengono dallo indietreggiare e muojono al loro posto senza batter palpebra. In una parola, obbediscono al comando, e non altro.

L’infanteria Russa à però dato pruove di grande fermezza, opponendo agli avversari in guerra quasi una muraglia insuperabile, fosser pure valentissimi gli assalitori. Nella battaglia di Novi, in quella di Zurigo nel 1799, a Pultusk furono distrutti interi battaglioni moscoviti senza che cedessero un palmo di terreno: questo contegno però si deve nella massima parte al fanatismo religioso, che i generali sanno spesso eccitare in quelle superstiziose masse, le quali di quest'unico sentimento rimangon capaci. Ciò si vide ben chiaramente nelle ultime guerre tra Francia e Russia, nelle quali erasi riuscito a persuadere ai soldati che i Francesi fosser nimici di Dio e del mondo, mostri quasi usciti d'inferno, che era opera meritoria l’uccidere, premio il martirio alla morte in cotal guerra. Cento amuleti avevan indosso le truppe, e marciavano colle incessantiinvocazioni ai Santi Sergio, Niccolò, ed altri patroni con indosso le immagini, attorno a cui avvinghiate le dita si rinvenivano pressoché tutti i cadaveri. Alla battaglia della Moscowa Kulusoff per eccitare l'entusiasmo fece esporre poco prima della pugna un'immagine veneratissima della Madonna di Mosca, la cui invocazione divenne quasi un grido di guerra in quelle luttuose vicende. E a' nostri dì il defunto Niccolò ne’ suoi proclami e nelle omelie fatte emanare dal concilio non dichiarò che la guerra con Turchia e le potenze occidentali era una guerra di religione, perché quegli stranieri eran empj ed esecrati da Dio, bramosi di distruggere gli altari e il culto della religione moscovita? Non si udì volger in senso di sacrilegio l’attacco e il bombardamento dato a Odessa il dì del Sabato santo? Ad onta di ciò la storia à numerosi esempj che provano la niuna tenacità d'animo delle truppe Russe in quanto sia a coraggio istintivo e valore. Austerlilx, Friedland, Evlau mostrarono quanto il valore, che deriva dall'amor di gloria, la vinca sulla fermezza imposta macchinalmente dal giogo della disciplina.

E guai se il soldato russo é colto da terrore o avvilimento: non v'è altra via che condurlo innanzi l’inimico a colpi di verga. Narrasi che, in una delle guerre colla Turchia il feldmaresciallo Munich dové decretare che ogni soldato, il quale fossesi dato per infermo innanzi al combattimento per isfuggirne i pericoli, sarebbe sepolto vivo al cospetto dei commilitoni: dové legare ai carri dell'artiglieria e far trascinare ignominiosamente i generali che s’eran condotti da vili: altra volta volger sulle proprie truppe fuggiasche il fuoco delle mitraglie. A Rustchuk nei 1810 un generale non riuscì a decidere la sua brigata all'attacco: e un’altra divisione si pose a far ripari dalle offese colle fascine che doveva adoperare a colmar le fosse per correre all'assalto.

Forse a' tempi di Pietro I migliori erano i soldati Russi; ma da quell'epoca ad oggi per certo infiacchirono gl'individui e la organizzazione di quegli eserciti; e ciò ben chiaro apparisce anche dai risultati delle guerre, se si raffrontino le campagne di Suvaroff e Romanzoff e quelle e quelle del 1828 e 29 fra Russia e Turchia: lo addimostrano l’assalto e presa d’Ismail, e lo scacco dinnanzi alla meschina Rrailoff: le armate allora inferiori di numero e sempre vittoriose; le immense truppe d’oggi, e sempre battute dagli Ottomani in regolare battaglia. — Di ciò è causa anche la incapacità de' condottieri, la quale è più fatale che mai, dove nulla dal personale coraggio ed iniziativa de' subalterni e dei soldati può attendersi.

Riesce ingrato ma indispensabile asserire che ignoranti e inetti generalmente siano gli uffiziali Russi: ove pochi si eccettuino appartenenti alla guardia imperiale, i rimanenti son privi delle necessarie istruzioni, e anziché supplirvi collo studio e l’impegno finiscono di perder le poche che avevano con darsi ai disordini d'ogni fatta. Ma di ciò avrem luogo a ritoccare più innanzi. Quel che è notabile si è il poco affetto che i graduati Russi ànno per lor mestiere, e il poco zelo che dimostrano, difensori come sono di un governo si orgoglioso delle proprie forze militari. L’imperatore è costretto a secondare, per stimolarli, la lor vanità, e l’ambizione che ànno estrema di decorazioni. E dovette perciò creare un numero prodigioso di croci e di medaglie, che accordasi poi con mirabile facilità: sicché si veggono alcuni offiziali col petto interamente coperto di decorazioni, del quale ornamento esagerato van tronfi e superbi; mentre gli stranieri meglio civili ne menan risa, e si narra perfino che Francesco II d’Austria, nel 1815, dovendo accogliere una sera l’offizialità Russa ordinò celiando ai ciamberlani, che facessero entrare «il sole, la luna, e tutte le stelle.»

Non vogliano noi essere sì ingiusti e parziali da accusare i graduati Russi di pusillanimità; ma crediamo poter giudicare che il difetto di loro energia guerresca nuoca assai alla forza delle milizie e al vigor morale de' soldati.

Della infanteria l’Haxtausen dice «essere senza dubbio la miglior arma di Russia. Non perché possegga intelligenza, abilità, e sveltezza: ma perché ubbriacata di liquori esaltata da' preti innanzi alla pugna, và spensierata al combattimento senza né conoscere né temere il pericolo. Al momento dell'attacco i soldati si segnano e fanno la preghiera, e venuti alla mischia più non obbediscono alle parole degli offiziali, né son capaci di alcuna foga ardimentosa: e se nel momento dello scontro mandano feroci grida, gli è per stordir se stessi e cuoprire i fischi delle palle e il romor delle artiglierie nemiche, non per interno senso di gioja e bellicoso ardore. Tantoché se un battaglione russo s’innoltri ad assalire l’avversario alla bajonetta, e questi lo attenda di piè fermo, sosterà per certo a buona distanza per cominciare la fucilata. — Confidente poi oltremodo è negli accampamenti la infanteria Russa, avvezza ad aver buona guardia dai Cosacchi: talché per entro ai ripari si abbandonano a profondo sonno tutti, e spesso anche le; scolte. I fanti Russi son meschini imberciatori, e poco istrutti in ginnastica per sapersi condurre abilmente in quella difficil manovra. Non mirano quasi mai, sparano a caso, nella posizione che ànno al passo di carica. A questi difetti se s’aggiunga che gl'individui son pigri, pesanti, e tardi camminatori, non sarà strano che muoian più uomini dopo una marcia forzata che in una battaglia. — Però il soldato russo è dotato di calma e perseveranza; e sà morire senza tema al suo posto: onde a formar le masse è addettissimo. Non à l'ardore e l'intelligenza dei meridionali, ma nemmen com'essi dalla energia passa in un attimo allo scoramento. Dicemmo dei difetti: questo n’è il compenso.»

Dei fanti nella guardia imperiale non è a stupire se veggansi quasi giganti, e monturati superbamente, quando dall'altro lato quelli di linea son di mediocre e meschina statura, e abitualmente ricoperti di assise lacere, e indegne del loro impiego. I componenti la guardia sono una eletta la più scrupolosa fra tutte le truppe dell'impero, e vestiti con ogni ricercatezza, destinati a servir di mostra nelle parate anziché di forza nelle battaglie: anch'essi però non ànno, se dappresso si scorgano, segni di vigoria e salute, e mal conformati son di petto e di membra il maggior numero.

Porzione della cavalleria Russa è stupenda a vedersi: sendo magnificamente montata, al ché riesce il Governo in parte imponendo agli offiziali, che dimandan congedo, l’obbligo di rifornire in parte la rimonta del corpo cui appartengono. E questi per aver grazia innanzi a' Superiori, sacrificano spesso enormi somme per dar bei cavalli al lor reggimento. — Rimarchevolissima è poi la cavalleria delle colonie militari del Sud: la quale sendo numerosa, e con ogni cura vegliata e provvista dal governo, riuscirebbe formidabile se non avesse tali difetti da contrastarne e render nulli i pregj. I bei cavalli che possiede, sì vispi e appariscenti, non son alti alle fatiche, mentre per la loro corporatura esigono abbondante alimento: donde molti periscono in tempo di guerra o per la fatica o per la fame. I cavalieri son pigri, inintelligenti, e freddi: ed è verità ornai conosciuta che il Russo è un tristo cavalcatore, né riesce mai ad acquistare l’abilità e la fermezza in sella che a tale specie di truppe è indispensabile (24). E ciò deriva in massima parte dalla somiglianza che ànno fra loro tutti i militari russi dal lato delle condizioni morali, e di fisica costituzione, e di educazione guerresca: poiché se l’anima servile e insensibile, la brutale disciplina, il timor del bastone fanno immobile e imperterrita, utile perciò in molli casi la fanteria, non però altrettanto della cavalleria che per operare à d’uopo di animosità, avvedutezza, e carattere diametralmente opposto. E questo pregio si distingue specialmente nei Turchi. Ciò rende ragione del non aver mai riportato brillanti vittorie i Russi nelle ultime guerre: Tesser loro stati tagliati a pezzi reggimenti intieri nelle guerre di Polonia, ad onta che la cavalleria sia la migliore e più numerosa d’Europa. Si dice ancora che, provvedendosi i cavalli a spese dei comandanti in massima parte, interessi a questi troppo il conservarli, perché volentieri e facilmente li espongano dove sia maggiore il bisogno e il pericolo. .

Sembra che il defunto Niccolò abbia introdotto notevoli miglioramenti nella sua cavalleria: che gli offìziali sien ora più istrutti: che utile assai riescir debba il duplice impiego dei dragoni istrutti nella manovra di fanteria e di cavalleria: in Francia però questo doppio offizio dietro positive sperienze si riconobbe ineseguibile. — Quel che di più certo vantaggio si fece in Russia nel militare ordinamento, è la modificazione introdotta nell’arme di parte della cavalleria. La prima fila di ogni reggimento corazzieri è provvista di lunghe lance; e sembra che questa modificazione risulti utilissima contro la fanteria. Alla battaglia di Grochow nel 1832 una divisione di corazzieri armati di tal guisa distrusse di prima carriera due linee di quadrati solidissimi di fanteria polacca. Ci vien riferito da competente persona che il passaggio di tali reggimenti è terribile. E il maresciallo Marmont, che certo se n’intendeva, da gran tempo aveva consigliato l’uso della lancia nelle prime file di alcuni corpi di cavalleria: né si sà spiegare come fino ad ora non siasi presa a considerare l’importantissima proposta.

Cerio è cosa sorprendente che la cavalleria Cosacca, orda di barbari, fornita di miserabili cavalli dall'aspetto il più meschino e mal proprio, sia più vantaggiosa alla Russia dei migliori e ben mantenuti reggimenti: che certo i Cosacchi le son preziosi in tempo di guerra: sendo essi eccellenti cavalcatori, e molto coraggiosi; dippiù nulla costano al Governo, che li lascia alla abitudine di mantenersi mediante il saccheggio: avvezzi alla vita nomade non li gravan né le lunghe marce né le fatiche di lunga campagna. Sobrii essi e i lor destrieri non soffrono della penuria inevitabile di certe regioni sterili o povere: vigili e destri mai sempre, sempre pronti a correre alla pugna, a foraggiare, a far ricognizioni qualsiansi e comunque pericolose. Maneggiatori di lancia senza pari a fronte dei Russi, e non meno dei Polacchi. E nelle guerre coi Turchi, ebbero sempre sugli spahis ogni vantaggio, perché quantunque i cavalli di questi sien magnifici a petto a' loro e sappian sostenere lo scontro, tuttavia i cosacchi ànno più arte, più pazienza, più astuzia, e sanno schivare a tempo gli urti nimici. Hanno ingegno particolare a frugar paesi e orientarsi tantosto: locchè mette gran conto specialmente nelle guerre di Russia contro Turchia: dove spesso son luoghi deserti e irreconoscibili. Ma i cosacchi, senza ajuto di carte geografiche, per istintiva sagacia e finezza di sensi indovinati le località, ogni movimento degli avversari, ogni spionaggio, e raccolgono e recano ai corpi tuttociò che i siti percorsi potevan fornire di sussistenza. I loro cavalli poi salgono leggeri pei più ripidi monti, guadano i più rapidi fiumi. — Haxthausen però dice che talora questa irregolare cavalleria portò anche disordine nell’andamento della campagna: e molti oggi vogliono che pur d’essi scemato abbia il valore e l’energia, e citano esempi nella guerra di Polonia.

In una guerra Europea adunque non farebbe gran peso questo special corpo, più rimarchevole pel paragone agli altri della cavalleria Russa che per universali pregi proprj, e notabile il più pe’ vantaggi particolari che arreca a quelle armate.

Numerosissime ànno i Russi le artiglierie, e fornite di stupendi materiali, di magnifici cavalli senza eccezione bardati; e il servizio è fatto con capacità e istruzione. Ma pel difetto di superficialità esistente ognora in Russia, son più esercitati quegli artiglieri al veloce che non al giusto tiro, e a ciò cooperano i capi, vaghi soli di aggradire allo imperatore: il quale può senza dubbio vantarsi di possedere artiglieri capaci di trar tanti colpi in un dato tempo, quanti niun altro mai d'altra nazione. Ma la soverchia celerità nuoce alla esattezza: onde molti tiri riescon vani. In un fatto dinanzi a Schumla si videro sei infimi cannoni turchi tirati da bovi e su meschini carri, resistere per molte ore a una batteria russa di 20 pezzi, situata in vantaggiosissima postura: e i Turchi ritrarsi inoffesi dopo ottenuto lo scopo della cercata resistenza.

I cannonieri russi sono in generale poco destri e intelligenti: un tempo imperterriti, abbandonan oggi facilmente i loro pezzi; siccome nelle guerre di Polonia si vide. Poco dotti son gli offiziali, sicché non reggerebbero al confronto dei loro inferiori nelle altre milizie d’Europa. E sembra che i Russi sei sappiano, e cerchino supplire col numero all'abilità: mentre niuna truppa à seco come la loro tanta artiglieria: la quale poi arreca imbarazzo anziché vantaggio, malgrado la somma cura che prendono i generali di avvezzzare gli artiglieri a mobilizzarsi tosto e in ogni senso, pronti a seguire qualunque manovra dei fanti o dei cavalieri. A riparare la difettosa istruzione il governo istituì più scuole di cadetti, fra le quali una a Woronesch nel 1857. I fatti decideranno del risultato.

Nel corpo del genio però sopra tutti manifestasi la scarsa istruzione, perché gravissimi appaiono in quell'arma gli effetti della mediocrità e della inettezza. Poco innanzi nell’arte delle costruzioni, e meno in quella di difendere o assalir piazze forti, ambiscon pure quegli offiziali di saper assai. In ciò convennero tutti i personaggi competenti che visitarono Russia, e ne studiarono le istituzioni, ancorché partigiani di quelle: in guisa da sentenziare che tra gli officiali russi del genio e della artiglieria e quelli delle altre nazioni nelle medesime armi ugual paragone potrebbe farsi come tra i generali che ebbero un di l’imperatore Alessandro, e Napoleone.

Da questo esame parziale dei corpi nelle milizie russe, divenendo a più generali considerazioni, non si può a meno di considerare siccome Russia mantenga sul piede di guerra l’armata, in tempo di pace, all'opposto degli altri Stati, che saggiamente ne serbano allora in piedi sol una bastante a garantirne l’indipendenza territoriale, risparmiando ogni risorsa speciale pei casi di grave importanza. Donde consegue che allo scoppiar delle guerre Russia non trovisi mai fornita di nuovi ed efficaci mezzi se non d'uomini, almen certo di danaro: il che non avviene negli altri stati dove un’imposta maggiore è possibile nei momenti di crisi, capace di produrre ogni somma necessaria.

Né a riparo di Russia soccorrer ponno gl’imprestiti, non avendo gran credilo lo Stato. Cosicché mai fece la guerra a Francia senza il soccorso pecuniario di potenza straniera: e Paolo I. riceveva considerevoli sussidj perfino in merci: e Alessandro non potè sottrarsi a quest’umiliazione.

Niun dubbio è quindi per le cose discorse, e guardando la statistica delle truppe di Russia che combatteron la Francia a' tempi della Repubblica e dell’impero, che non può dessa avventurare armate considerevoli fuor dei suoi confini, quantunque grande sia la cifra delle forze militari che possiede. Né il solo difetto di mezzi pecuniarj, ma ancora la difficoltà delle marcie vi contribuisce. Cogli immensi impedimenti di carri e bagagli che traggon seco i corpi russi non ponno avviarsi facilmente molti insieme alla frontiera, né adoperare a ciò la posta, né spingere su d’un medesimo punto colonne considerevoli anche per vie diverse convergenti alla meta stabilita. Le strade il più delle volte pessime, e senza spessi luoghi addatti a posare; le enormi distanze che i corpi ànno a percorrere per recarsi in paese straniero; la poca lestezza nel soldato russo, e la ripugnanza a lungo cammino: le malattie che regnano buona parte dell’anno, e annienterebbero un’armata che in quel tempo si travagliasse in acerbe e dure fatiche, contribuiscono a render impossibile la spedizione di un’armata all’estero se non a piccoli corpi e a brevi giornate. Per far guerra a Turchia dové Russia apparecchiarsi due anni innanzi, e pur non riusci a mettere in campo più che 120,000 uomini. Per combattere l’insurrezione Polacca, Niccolò potè appena in due mesi riunirne egual numero, sebbene fin dalla rivoluzione francese di luglio avesse cominciato a ragunare grandi forze pel timore di una guerra continentale: e, durante la lotta, valse a mala pena a inviare 60,000 uomini di rinforzo. Vogliono taluni ciò attribuire alle perdite considerevoli di fresco patite in Turchia. E cioè vero. Ma se le forze militari di Russia fossero in realtà quali si enunciano in in cifre, tali perdite sarebber state microscopiche, e un armata imponentissima doveva pur rimanere allo Czar per schiacciare i ribelli di Varsavia. Invece Niccolò fu costretto di richiamare tutte le truppe dalla Turchia, e provincie circonvicine; e ricorrere alla formazione delle armate di riserva in carta, poiché quei decreti non ebbero altro scopo fuor quello di atterrire gli avversari colla fantasmagoria di supposti battaglioni.

Oltre a ciò ognun rammenti che Russia è stretta a tener permanenti nel Caucaso 150,000 uomini, e a lasciare nell'interno de' proprj stati numerose truppe a guardia dell’immenso territorio. E non queste per certo son forze che possano inviarsi ad assalire un paese straniero.

Men rilevante poi è nella bilancia d’Europa il peso della forza militare di Russia, se si consideri che nelle sue armate, piucché in altre qualunque, immensa e incredibile regna la mortalità. E di questo fatto son varie e pressoché irremediabili cause, finché sien quali di presente le istituzioni russe. Il non esser di robustissima costituzione i soldati: la lor somma facilità in campagna a contrarre ogni specie di malattie, perché mancanti di morale eccitamento che sostenendo il fisico lo afforza contro gli elementi morbosi, e perché ancora (una volta contratti) non ànno il soccorso dei bagni a vapore per eliminarli: la poca o niuna cura che i capi ànno della sanità e della vita dei soldati, la cui esistenza é per essi di niuna importanza, talché non solo gli ospedali militari son mal forniti e peggio serviti da ignorantisssimi chirurghi, ma di fatto raramente i gravi feriti e mutilali si raccolgono con premura, inutile sembrando il continuare un’inutile esistenza. E la storia conferma queste verità: poiché se si legga il racconto delle guerre sotto la Francia repubblicana e imperiale, vediamo come un immenso numero di malati si trassero ognor dietro i corpi russi; e quei di loro, che prigionieri cadevano, levassero alte meraviglie delle innumerevoli cure che vedevano prodigate ai feriti francesi nelle ambulanze. Troviam pure che nella guerra del 1774 contro Turchia incredibili furono le perdile russe: onde lo storico Lloyd ebbe a dire: «si fece in Russia una leva di 500 mila uomini; e, conchiusa la pace, non ne rimasero che 56 mila sotto il generale Romanzoff, e 12 mila in Crimea col generalDolgouruki: tutti in pessime condizioni.» Né l’ultima guerra coi Turchi fu ai Russi men fatale. Per le cagioni sopra discorse, la peste, le febbri, e la fame li decimarono orribilmente in guisa che alla fine dell'anno 1829 il medico in capo dell'armata russa a Bukarest denunciava meglio che 12 mila uomini periti di peste; a Varna gli uffiziali ne indicavano 10mila per malattie epidemiche; a Silistria vi erano 16 mila malati negli ospedali, che si narra avevan soli medicamenti l’acqua e l’aceto.

A Andrinopoli soccombettero 6000 uomini in capo a tre mesi; d’un reggimento di lancieri composto d’undici squadroni rimasero diecisette uomini (25). La perdita totale dei Russi fu di 160 o 200 mila uomini, 50 mila cavalli.

Né alla pestilenza intieramente può attribuirsi un danno si forte, poiché non è la peste il solo e il più micidial flagello delle armate. Anche i francesi ebbero la peste a Jaffa sotto un clima ardentissimo, in un paese ove niun soccorso potevano sperar dagli abitanti, eppure non perirono in tanta copia. Come spiegare poi la perdita di 50 mila cavalli che per certo non morirono di peste? Alcune parole del generale Valentini ponno spiegarci questo enigma, e la ragione dell'aflralimento dell'armata moscovita dinnanzi ai Turchi. «Mancavano i foraggi, e perciò estenuati erano i cavalli, nei quali simile penuria è fatale perché non ànno i sensi dell’uomo né il coraggio che si persuada a sopportare e resistere alle privazioni. Il deterioramento poi dei cavalli ridondava anche sugli uomini che mal si avventuravano a gire incontro agli Spahis Turchi. Se vi fosse stato maggior numero di cosacchi, meglio sarebbesi provvisto ai foraggi dell'armata e alle faticose custodie delli avamposti. E invece stretta a questi incarichi la cavalleria indigena, n' ebbe quasi total distruzione. E gli avamposti furon di giorno in giorno più difficilmente incustoditi: e doveron supplire con doppio carico i fanti, e all’ora del combattimento perdere ogni aiuto della cavalleria.

Riassumendo il fin qui detto, chiaro appare che Russia non può mettere innanzi e contro alle armate Europee fuor del proprio confine molta parte delle sue effettive forze: e questa, oltre ché minima, è soggetta a condizioni tali di mortalità e distruzione che non esistono per le truppe degli altri paesi.

Da ultimo ne rimane una considerazione che è fra tutte la più rilevante: e per ardito che sia l'esporla, non dubitiamo di farlo.

Quantunque guerre abbian combattuto, e conquistati paesi, e passeggeri successi conseguito, i Russi non ànno spirito militare. Mancali loro del tutto quegl'intimi sensi del talento guerresco, fuoco sacro che si di sovente tien luogo di scienza e dà vita alle ispirazioni decisive delle vittorie. Dovuto a stranieri è ogni progresso moscovita nell'organizzazione militare, nel materiale da guerra, nella scienza strategica. Diffatti sotto Paolo I. dirigevano in capo l’armata Lefort, Rruce, e Gordon; l’uno Genovese, Scozzese il secondo, l'ultimo Inglese. Il Danese Munich, Hesse-Hombourg, Rouer ed altri generali tedeschi ebbero la maggiore autorità sulle milizie, regnante Catterina II. — Alessandro molto dové allo Svizzero Jomini, e all'Opperman di fless. E da quell’epoca in poi l’armata russa à sempre contato una folla d'offiziali e sopratutto di superiori, di stranie nazioni qualunque, ma i più di Germania. Diebitch l'eroe dei Balkani era tedesco: e cosi Geismar, Roth, Rudiger e tanti altri. Il solo merito che può attribuirsi ai Russi si è: d'aver saputo trarre ognora partito dalle lor guerre e approfittare delle sperienze anche infelici. Vinti dagli Svedesi appreser da essi a vincerli più tardi: in appresso tolsero a studiare come modello la Prussia: e da ultimo Francia, iniziandosi non senza profitto alla tattica dei generali di quest'ultima nazione: tantoché Alessandro si fé cosi intimo al Jomini onde questi istruisse i capi delle armate russe negli spedienti militari di Napoleone, de' quali passava per conoscitore lo Svizzero. Dai Turchi Russia apprese le maniere della guerra irregolare. Insomma se la nazione moscovita non à facoltà inventive né ispirazioni nell'arte della guerra, sà imitare studiare ed appropriarsi il buono altrui in guisa da superare in qualche punto i propri maestri.

Ad onta di si lungo e frequente guerreggiare Russia non ebbe mai che un sol generale meritevole del nome di sommo: e fu Suvarow. Questa penuria di bravi guerrieri caratterizza la nazione. In Francia invece, paese tanto pieno di spiriti guerreschi, si contano a centinaia gli uomini distinti per fama militare. E nel solo periodo della repubblica e dell'impero crebbero tanti esimii, che l'ultimo di essi avrebbe abbastanza onorato qualsiasi altro popolo.

Niccolò ben sapeva che i guerrieri appetiti mancano nel popolo russo e nelle armate; e fino conoscitore e avveduto qual era studiò mezzo a destare o infonder alcun pò di ardore ancorché fatuo nelle genti e nelle milizie con far nascere tante piccole guerre, e comandar ogni istante si numerose manovre e parate. Cosicché non era Stato d'Europa in cui fosser tanti spettacoli militari, destinali a servire di fantasmagoria ai creduli e timidi stati d’Europa.

Il solo Suvarow era pervenuto realmente a communicare un po’ del suo marziale ardore alle truppe moscovite: ma ciò solo (come narrammo) tentando i grossolani loro superstiziosi istinti, e ispirando in esse contro ai francesi un odio stupido e furioso. Per simil guisa riuscì a raccorre qualche alloro in Italia.

Paolo I. in un momento di entusiasmo e di gratitudine lo soprannomò col glorioso titolo d'Italico. Ma la storia non riconosce in lui meriti si incontestabili: poiché, ricorrendo quei fatti, è da osservare, come l’armata di coalizione a quell'epoca entrando in battaglia avea 100 mila combattenti, di cui 40 mila Russi di truppe scelte, e 60 mila Austriaci: i Francesi avevan poco più di 30 mila uomini. — La prima rimarchevole vittoria degli Austro-Russi fu quella della Trebbia; divenuta famosa negli annali degli Czar sotto il nome di Battaglia del S. Giovanni. In questo fatto gli alleati erano 50 mila, e poco più che 5 mila i Francesi: o dopo 48 ore le armate possedevano ancora lo stesso terreno, e gli onori del combattimento erano risultati a vantaggio delle truppe repubblicane. In sostanza, malgrado i vantaggi che il nemico traeva dalla propria superiorità numerica, ebbe perdite pari. Gli Austriaci pure ebber gran numero d'offiziali d'ogni grado feriti. E il cattivo esito della battaglia debbesi riconoscere nel non aver potuto il generale Macdonald sopravvedere a tutto, portato com’era in lettiga per ferita toccatagli alcuni di innanzi.

La guerra ricominciò furiosa in Italia, e nuovi allori colsero le armi moscovite a Novi: ma colà pure gli alleati avean forze soverchianti, 60 mila combattenti di fronte a 45 mila Francesi la più parte coscritti. Ad onta di ciò e della morte del generai Joubert, de' cui piani di guerra il sostituito Moreau non potè aver contezza né tosto né con esattezza, i Francesi resistettero gloriosamente, e sembrava potesser sperare vittoria, senza l’ardita manovra di fianco e con novelle truppe fatta dal generai Melas, a cui soltanto Suvarow andò debitore del trionfo. Diecinove mila uomini perdettero gli alleati (a lor confessione), e Suvarow che tante carnificine aveva viste e il massacro d’Ismail e del sobborgo di Praga a Varsavia, non ristette dal dichiarare al governo Russo com'egli mai si fosse trovato a combattimento più sanguinoso. E Melas scriveva al suo Sovrano. «Questa vittoria ci costa assai caro.»

Da ciò appare che nelle due grandi battaglie vinte dai coalizzati i Russi ebbero aiuto e nerbo dagli Austriaci; e nella seconda da un generale Austriaco ottennero la decisiva vittoria. E di non poco momento si è pure il riflettere che allora reggeva le cose in Francia il Direttorio, governo incapacissimo tra quanti furono, debole e impossente a ben fare.

Ma non vuolsi tacere della battaglia di Zurigo: la quale coronò di giuria le truppe francesi comandale da Massena. Interi battaglioni russi furono annientati, e perseguiti dalla cavalleria fin dentro a' sobborghi. Presa la città, l'intera armata moscovita fu dispersa. Magazzini, ambulanze co’ feriti, l’immenso parco di artiglieria, le donne persino di seguito all’armata del principe Korsakoff, e tutte le artiglierie leggere e le munizioni non che la cassa di guerra vennero in mano de' francesi. Né risultò alla Francia la libertà dal pericolo d’invasione che la minacciava, e l’allontanamento degli avanzi nemici dalle frontiere. — A Zurigo però i russi combatterono soli. — Pochi dì dopo il generai MoJitor con 1300 uomini seppe contenere nel KlonTall per un’intera giornata 15 mila Russi comandati da Suvarow in persona: e l’eroe della Trebbia dové inghiottire l’umiliazione di vedersi mandar fallita da un pugno di bravi la progettata congiunzione col corpo d’armata austriaco. Di li a non molto lo stesso generai francese rinnovò l’eguale prodezza; essendoché, avuto rinforzo di un sol battaglione, difese sì risolutamente una gola dove i Russi s’erano innoltrati, da costringere Suvarow a ritrarsi con tale fretta e precipizio che abbandonò i feriti e la massima parte delle artiglierie e bagagli. I Russi erano compiutamente disorganizzati, e tanto sentivan terrore, che non osavan fermarsi nemmeno in cerca d’alimenti di cui difettavano. I Francesi li inquietarono senza posa decimandoli di continuo e togliendo loro ora uno ora un altro dei pochi cannoni rimasti, o facendo nuovi prigionieri.

In quella sanguinosa campagna di 15 giorni si vide in realtà qual delle due armate nemiche e de' comandanti possedesse meriti e valore, poiché l’abilità e il coraggio solo dieder la vittoria, e non le circostanze o il caso, su di uno spazio lungo trenta leghe, e largo venti: non un punto fuvvi di comunicazione, una gola, una posizione che non venisse occupala, attaccata, disputata con indescrivibile accanimento e furore. Questi parziali combattimenti furono siccome l’azion principale compresi sotto il nome generico di Battaglia di Zurigo. Il risultato definitivo si glorioso per i soldati francesi dissipò ogni prestigio che effimeri e momentanei successi avevano acquistato al generai russo e sue milizie. In 15 giorni tre corpi d’armata eran ridotti a nulla: i morti e feriti sendo 15 mila, e 15 o 20 mila i prigionieri; e perduti 100 pezzi d’artiglieria, 15 bandiere, un immensa quantità di salmerie, di muli e di cavalli. L’armata francese perdette 6000 uomini. Son fatti cotesti da paragonare alle vittorie russe di Trebbia, e Novi coll’immensa superiorità di numero, e il materiale appoggio degli Austriaci?

Dal momento di tale disfatta, guardiamo i successi moscoviti nelle guerre continentali.

Nel 1805 una divisione russa, spalleggiata dagli Austriaci, fu battuta dai Francesi sulle rive della Trann: e così ai 3 novembre dell’anno medesimo, e anche peggio, ad Amstetten. Agli il a Diernstein 4600 Francesi comandati da Mortier massacrano e rompono 30 mila Russi. Giunse in fine il di della battaglia d’Austerlitz; e le truppe russe tenevan sicura la vittoria per l’immensa superiorità numerica, e per gli abili generali, e i principi e l'imperatore Alessandro che la dirigevano. Ma fu sogno. Restaron sul campo 18 mila Russi, 30 mila divennero prigionieri, tra cui 15 generali e 4 o 500 offiziali: 45 bandiere lor furon tolte, le insegne tutte della guardia imperiale, e 120 pezzi di cannoni. Fu una rotta decisiva e completa a eterna onta di Kutusoff. L’armata francese aveva 50 mila uomini, la coalizzata 100 mila. I superstiti doverono lo scampo alla generosità del vincitore.

Nel 1807 i Russi furono ancora battuti a Caslelnuovo dal generai Marmont in Dalmazia. Ognun sa i numerosi combattimenti che precedettero la giornata campale di Evlau; nella quale poi metà delle truppe francesi non trasse colpo, e E altra bastò a romper l’inimico. A Friedland pure la vittoria contro i moscoviti riuscì brillantissima, ad onta della loro superiorità di novero, e un’immensa cavalleria che traevan seco.

Che se poi si considerino i Russi quando ebber guerra sul proprio territorio, li vediamo patir continua serie di sconfitte, e in ispezie alla battaglia della Moscowa. E benché dissimulassero le gravi perdite, dovettero, come è noto, ridursi a incendiar Mosca per non lasciarla in potere dell’inimico.. Famosa è troppo la serie di sventure che incolse poi i Francesi a quell'epoca, per aver d’uopo di dichiarare che non ai Russi, e al loro valore, ma agli elementi con insolita prestezza turbati, e a mille tristi e luttuose circostanze fu da attribuirsi la perdita della campagna.

Né asserir potrebbesi da' loro partigiani che innanzi a' Francesi siccome forniti di esimii generali mancasse la Russa fortuna. Poiché in altre epoche e con altri avversar] qualunque a nulla riuscirono. Nel 1828 a mo’ d’esempio invece di approfittare dello stato di debolezza, e delle perdite turche per ottener decisivi risultati, si trovarono al fine della campagna vittoriosi si, ma senza la gloria d’una battaglia, «in si misero stato d’uomini e di truppe, e con tale mortalità da render dubbio se meritassero più compassione i vinti di quella che i vincitori. A Brailow furon i Russi assedianti che dovetter capitolare. A Boulalouk, a Silistria, a Varna, a Devra, a Koslugi, a Tchornau, a Scimmia vinsero i Russi ma con immense perdite proprie.

Ove poi gettiamo lo sguardo sulla guerra di Polonia, vedremo che i Russi entrarono in campagna con 120 mila uomini, un’armata perfettamente organizzata, e provvista di esuberanti munizioni e materiali. I Polacchi avevano poco più di 58 mila uomini, e non tutti riuniti e disponibili, né istruiti da potervi far sopra fondamento di buona riuscita; innoltre era nuova l’armata, e sprovvista di ogni mezzo, delle fabbriche, delle fortificazioni, degli approvvigionamenti. Tutti i vantaggi dell'arte della guerra avevano i Russi, tutti i pericoli e difetti di essa le truppe degli insorti. Ma con tuttociò al combattimento di Dobrè i Polacchi si batterono con triplo numero di Russi, e li costrinsero a ritirarsi dopo 24 ore di accanita pugna. Cosi a Wawer 40 mila contro 60 mila pugnarono due giorni senza guadagnar palmo di terreno. A Grochow 45 mila Polacchi combatterono 100 mila Russi, ed ebbero gli onori della giornata, sebbene a propria sicurezza dovessero poi ripassare la Vistola. In questo fatto un superbo reggimento di corazzieri Russi fu completamente distrutto.

Il Generale Dwerniki con 2800 uomini disfece la divisione Geismar di 4800 appoggiata da 80 pezzi di cannone; perderono i Russi 11 cannoni e 400 prigionieri. — Un pugno d’insorti s'impossessarono a Pulawv di due squadroni di Dragoni.

AI principiar della seconda campagna sul fine di marzo 1831, i Polacchi avevano 63 mila uomini, ma i Russi s’erano di molto afforzati. Pure furon battuti a Wawer. Maggiore fu la rotta che toccarono a Dembè, dove i soldati russi si lasciaron trasportare prigionieri dai paesani senza essere disarmati. — Stupenda fu la vittoria d’Iganiè: 10 mila Polacchi combatterono 20 mila Russi per sette ore d’asprissima pugna coronata dalla fuga e dal massacro di questi. A Boremel 30 mila Russi cedettero innanzi a 5 mila Polacchi comandati da Dwerniki, lasciando prigionieri e cannoni. E senza toccare dei più lievi e numerosissimi fatti, diremo della sanguinosa battaglia d’Ostrolenka. Quivi ancora i Russi avevano 60 mila uomini, i Polacchi 35 mila; e sebbene questi dovettero ritrarsi, non ebbero però i Russi ardire d’inseguirli. Così alla battaglia di Varsavia, ove le truppe moscovite ascendevano a 90 mila con 300 cannoni, mentre i Polacchi avevan solo 20 mila combattenti e 50 bocche da fuoco.

Inutile sarebbe qui il ripetere ciò che (tutti sanno delle continue sconfitte provate dai Russi nel Caucaso, dove gli Czar è d’uopo si rassegnino a subire l’affronto interminabile d’una guerra ognor rinascente.

Ciò che si vide poi sul Danubio nel principiare dell’attualguerra colla Turchia supera ogni altra possibile dimostrazione. Gli avvenimenti son troppo noti perché alcuno ignori come i Turchi sprovvisti di tutto e colti quasi alla impensata, abbiano in un tratto messa in azione una milizia formidabile, e data la peggio ai Russi presso che in ogni scontro avuto con essi.

Conchiudiamo non esser le armate russe dispregevoli: aver talune qualità buone che accennammo, e che diconsi aumentale dalle cure del defunto Czar. Son desse mai sempre ricche di numero, perché lo Czar può a suo grado decretar quante leve sian necessarie, e mandar individui all'armala. Noi volemmo provare e chiarir soltanto che le truppe moscovite non sono molto temibili, come taluni scrittori pretesero, e che sì per la organizzazione loro, come per le sperienze dei fatti riuscirono e saranno ognora inferiori a qualunque milizia d’Europa.


vai su


CAPITOLO VIII - MARINERIA

Statistica delle forze navali di Russia — Ripugnanza dei Russi pel servigio marittimo — Quadro del soldo pei diversi gradi Cibarie dell’equipaggio — Tisi e scorbuto. — Non si perviene a far reclute nella marina mercantile. — Violenze praticate contro gli Ebrei. — Disordine e sudiciume nei bastimenti. — Lentezza nelle manovre. — Perché i Russi non possono addivenire buoni marinai. — Incapacità degli offiziali, disordini amministrativi; saccheggio. — Breve durata delle opere; ragione. — A chi Russia vada debitrice della Armata navale. Esame storico del valore delle forze navali di questo impero sul campo di battaglia. —

Malgrado i fatti e la Storia, in Europa giunsero a persuadersi i Governi e i Popoli che Russia potesse disporre d’immense risorse: e questa opinione non può spiegarsi se non per la difficoltà degli Stranieri a poter bene addentro vedere nelle cose di Russia. Imperocché lo Czar defunto in ispecie metteva in magnifica e splendida mostra, innanzi agli ospiti o stranieri d’importanza, alcuni reggimenti con gran cura e magnificenza tenuti, mentre tutto il resto delle sue forze era invisibile, ed enigmatica n’era la cifra e la condizione si materiale che morale.

Egual sistema si adottò rispetto alle forze navali dello impero: anzi di più si volle circondarle di mistero e segreto: essendo vietato ad ogni straniero il visitare le flotte del mar nero, e del baltico: e gli offiziali russi medesimi spesso non ànno conoscenza che delle squadriglie cui appartengono atteso l’immenso numero di esse nella flotta. La cifra dei navigli era considerevole, imponenti gli apparecchi, e tuttociò, che esternamente potesse colpire l’immaginazione, era improntato di magnificenza, ed esagerato in quanto a numero e forza. L’organizzazione però, le cifre reali degli equipaggi, i minuti particolari del servizio, gli elementi attivi di una marina si stupenda in apparenza, la realtà insomma, erano cose ignote a chicchesia.

Nullameno v'ebbero rivelazioni, come ognora avviene, né importa indagare il come e il donde. Ci basta darne contezza a' lettori. — Magnifico è il novero: computandosi cinque divisioni: 3 nel Baltico, 2 nel Mar nero, suddivise in 3 brigate ciascuna, ogni brigata in 3 squadre. E l’intera flotta comprende: 1 Vascello di 30 cannoni. — 4 da 120. — 6 da 300 a 110. — 26 da 80 a 90. — 18 da 70 a 80. — 6 fregate da 60 cannoni. — 24 da 40 a 50. — almeno 40 corvette, schooner, bricks, etc. — 34 vapori da guerra. In tutto 45 vascelli di linea, 30 fregate, più una quantità di minori bastimenti e flottiglie a remi, di cui la cifra sale a 500 piccoli legni armati.

L'effettivo degli equipaggi secondo le cifre offiziali è di 50 mila uomini e più; i quali bisogna in realtà computare a 40 mila circa, detraendo anche i 1000 adoperali nel mar Caspio. Una tal forza è ben considerevole per una potenza che della marineria non fa la sua specialità: tanto più che si riporta questo novero al tempo di pace, e quando è noto che di poco si aumenta in caso di guerra.

Ora fa d'uopo indagare il valor reale di tali forze. A detto degli scrittori anche favorevoli a Russia è un fatto riconosciuto che i suoi popoli ànno estrema ripugnanza al servizio marittimo. Locché è strano considerando che province intiere ed immense si trovano sulle rive dei mari. Eppure è cosi: e poche se ne eccettuano, come i Lettj sulle spiaggie di Curlandia e Livonia, i Tartari di Crimea, i Greci, e i Cosacchi Tscernomòri, al sud i Finlandesi, e i Tedeschi delle coste germaniche annesse allo impero: e tra' primi di questi, pure cosi poca è la disposizione alla vita marinaresca, che per lo più il cabotaggio e la pesca sono esercitati da stranieri anzi che dagli indigeni: Onde, sì scarso essendo il semenzaio de' marinai, il Governo dovè ricorrere a vari spedienti: apri arruolamenti volontari, che, malgrado i premi, diedero in 12 anni 1827 coscritti: ordinò una cerna forzata nella grande e piccola Russia e tra gli abitanti degli antichi regni di Polonia e Tarlarla, e cosi si formò, e formasi la maggior parte del peresonal per la flotta Russa. Ma questi coscritti, sendo tratti da' servi, riescono pur sempre mediocri marinaj: e forse più sono avversi a questo servigio che al terrestre; né abitudine né tempo li cangia. ché se degli offiziali si dica, è maggiore l'avversione loro a questo ramo di milizia, ad onta dei compensi che loro offre il Governo, e del potere esser traslocati con avvanzamento di doppio grado alle armate di terra. Prescindendo dalla naturale contrarietà d'animo, vi contribuiscon forse la noia di una continua navigazione in angusti e limitati paraggi, e la meschinità del soldo: diffatti le paghe sono modicissime: eccone la distinta officiale.

Il contr'ammiraglio


13,500 fr.

per anno

Il Vice-ammiraglio


5,625 fr.

» »

L' ammiraglio


4,500 fr.

» »

E pei gradi inferiori


Nella guardia

Sui Vascelli di linea

Un Capit. di Vasc. di 1

Classe

2,575—

2,025—

Id……………….. di 2

»

2,025—

1,687 50

Un Capit. Luogotenente

»

1,687 50

1,350—

Un luogotenente

»

1,575—

1,237 50

Un Midschipman

»

1,406--

25 956 25

Per le sopradette e per quest'ultime cagioni né soldati né offiziali senton trasporto a una carriera che esige naturale tendenza, e studio, e compensi. Gli offiziali non cercano di perfezionare gli studi primitivi delle scuole navali, e poco sanno generalmente. I più attendono ansiosi e cercano il trasferimento nelle milizie di terra (26) senza aver zelo e prospettive di avvenire nella carriera marittima.

I cibi della ciurma sono anche poco sani e scarsi, locché contribuisce assai a disgustarla, oltre la dura fatica che sostiene. D’infima qualità vien ad essa fornito il bove e il maiale salato; il biscotto di segala e non di frumento, e si poco lievitato che riesce indigeribile. V’ànno innoltre i giorni di digiuno frequentissimi, durante i quali il menomo cibo animale è vietato. Non poco danno risentono i marinai dai troppo prolungati soggiorni in terra durante i crudi rigori del verno, e l’esperienza à mostrato che più tra essi muoiono di mal di petto che non fra i marinai di altre nazioni soggetti a lungo soggiorno sull'acque. Lo scorbuto fa stragi immense nella flotta del Baltico: e par strano attesa la più breve dimora dei marinai Russi in sui navigli, che non oltrepassa i 7 mesi dell'anno: ma ciò deve attribuirsi al soverchio cibo di carni salate anche durante il tempo d’inverno, senza alternar mai cibi farinacei o vegetali.

Altrove la marina mercantile fornisce i più abili allievi alle flotte: ma non è cosi in Russia, ove ad onta degli incitamenti dati da più d’un secolo non son navigatori, o se veggonsi legni con bandiera russa, non perciò sono equipaggiati di gente russa, e comandati e diretti da negozianti o capitani Russi.

Il non trovar gente che si appigli al mestiere di marinai vuolsi attribuire allo stato di servaggio che grava il più minuto popolo e il più bisognoso di lucro; il quale senza un ordine dello Imperatore che ve lo astringesse, non avrebbe facoltà di decidersi a tale o tal altro ramo di industria, abbisognando sempre della permissione padronale: la quale è naturalissimo non si conceda né si affretti spontanea, mentre, come dicemmo, il padrone Russo tiene in continua soggezione e vigilanza i suoi dipendenti e le loro industrie, e li brama applicati alle più fruttifere, per poterne trarre contribuzione facile é la maggiore che sia dato. Il pericolo poi del perder le vite de' servi loro pone il colmò alla ritrosia dei Signori Russi a fornire reclute per la marina. Né il governo molto si desola di tale mancanza, timoroso com’è del contatto straniero: per cui anziché desiderare che i suoi sudditi si pongano in relazione incessante coll'estero per via di rapporti commerciali e viaggi marittimi, preferisce che questo genere d’industria e il naviglio mercantile sian trattati e tenuti da Finlandesi, Tedeschi, Svedesi, e Danesi. I quali poi, se voglian godere il nome di mercanti Russi e portarne bandiera, debbon tenere a bordo un capitano Russo. Figura da parata e non altro, poiché non appena salpate le navi, o adempiute le formalità ne’ luoghi di fermata, il fantoccio legale scompare cedendo il luogo al vero e reale capo del bastimento. E così il commercio esterno di Pietroburgo, Riga, e Odessa può dirsi esclusivamente essere opera dei Tedeschi, de' Finlandesi, de' Greci ed altri stranieri.

Niun’altro spediente rimaneva adunque se ' non il consueto, la forza: e, poiché con questo si operan fenomeni meravigliosi anche contro natura, il Governo Russo giunse a ottenere i marinai di che difettava. Pose la mano sugli Israeliti de' suoi domini e li destinò marinai: migliaja di questi infelici ad epoche ricorrenti son sequestrati, e inviati a' depositi, donde rasa loro la barba e la testa per metà vengon distribuiti nelle flotte del nord e del sud. Più astuti od attivi marinai diverranno forse quest'infelici, ma non sappiamo quanto sentir possano dell’onor nazionale, il maggior movente delle milizie.

Ad onta della rigorosa disciplina delle armate di terra molto più larga è quella della marineria: dove il bastone poco giovarebbe a far soldati che muoiano al lor posto, necessitandovi invece membra sane ed agili, ingegno pronto ed energico, non mente oppressa e istupidita dai patimenti. Al primo scorger de' navigli trovano è vero i visitatori un ordine e nettezza tragrande, e molta ricchezza e buon tenimento delle vele, de' cordaggi e di tutti gli accessorj. Ma se con occhio profondamente indagatore si pratichi un minuto esame, discuopronsi tosto mille imperfezioni, come la soverchia ampiezza delle stanze per gli offiziali, e l’ammasso di oggetti superflui o di lusso che essi tengono tanti e tali da trasformarle in gabinetti da eleganti Signore. Nei vari scompartimenti interni poi, e nei vari ripiani del naviglio si scorge spesso un sudiciume, un disordine, un incuria che mai sarebbero comportati nelle flotte d’altre nazioni.

Riesce poi inconcepibile a chi si trovi presente alle manovre, la loquacità dei marinai in ispecie se israeliti, quando sui legni delle altre nazioni sì rigoroso è il silenzio. Gli offiziali si travagliano affannosamente in un continuo andirivieni e in minuziosi comandi e ispezioni, quasiché la febbrile loro instancabilità supplir potesse alla inettitudine dell'equipaggio. Ad onta di ciò pesanti e stentate son le manovre dei vascelli di linea nel Baltico, e cosi il maneggio e il tiro delle artiglierie. Il sistema stesso di costruzione dei navigli Russi, è pesante, e di forma corta, obesa, e contraria all'agilità dei moti e delle evoluzioni. La flotta del Mar nero è più istrutta e valente; e son pregevoli ed utili in ispecie le galere e le scialuppe cannoniere dei Cosacchi Tscernomori. E questo addiviene per essere i marinari del Baltico imprigionati circa 6 mesi dell'anno fra i geli, occupati 3 altri mesi nelle provvigioni ed altri apparecchi, onde appena 3 mesi ponno contare di servigio completo, di navigazione ed istruzione: la qual poinon altro campo à che il Golfo di Finlandia. Locché non avviene nel Mar nero, ove sebbene non sia modo ad acquistare una estesa sperienza navale, sendo pur sempre in un lago, tuttavia il campo è più vasto. Comunque sia però quest'angustia ancorché minore toglie sempre alla Russia d'aver marinai istrutti, a tal segno che né i suoi navigli potrebbero andar securi per ignoti paraggi, né i marinai facilmente si avvezzano a superare il mal di mare.

Gli offiziali russi poco vantaggiar possono nella coltura dello spirito oltre l’istruzione loro speciale, mentre il Governo Russo à per massima che, generalmente considerata, la istruzione noccia alla speciale bontà dell'individuo: onde ogni militare anche di marina, il quale si piaccia nella lettura di storie e lettere, è notato come uomo pericoloso. I colonnelli sono obbligali di fare all'imperatore di quando in quando un rapporto sulla condotta de' subalterni, distinti in tre categorie di trasgressione: giuoco: ubriachezza: amor di lettura. Questo prescritto spiega abbastanza quale sviluppo d’intelligenza si voglia, e qual istruzione possa diffondersi nella offizialità in genere di quelle milizie (27).

Niuna ambizione, niuna emulazione può aprire uno splendido avvenire al marinaio Russo a differenza dei francesi e degli inglesi: poiché a questi le gloriose azioni, l'abilità, i portamenti acquistar possono tutti i gradi più vagheggiali, ed agj, e ricchezze, mentre quelli nacquero e moriranno schiavi e poveri, e niuna prospettiva lusinghiera ànno, da sentirsi mossi ad opere di coraggio, e di annegazione che non sien quelle consigliate dal più stretto dovere. Se ai capi loro può tornar utile di avere ingegno e buon volere, a' soldati riuscirebbero del lutto inutili.

Nella marineria pure l'insufficienza delle paghe è cagione di immensi disordini ed immoralità nella amministrazione: e l’imperatore Alessandro diceva: mi trafugherebbero i vascelli se sapessero ove nasconderli. Del resto niuna meraviglia che sia piana la via a tali frodi e irregolarità, alterando i conti e i valori delle forniture, o l’entità delle perdite e delle avarie subite dai navigli. E questa piaga nell'amministrazione viene accresciuta dalla scusa veritiera che somministra ai fornitori la repentina deteriorazione dei vascelli nel Baltico. La quale è di fatto, ma non è certo se cagionata sia da' vermi distruttori, o meglio dall’impiego di cattivi legnami per parte de' fabbricanti.

Il medesimo avviene nel Marnerò, ed è unanime l’osservazione fattane da viaggiatori benché dissentano nelle cause. Il Suzannet attribuisce il guasto precoce dei navigli nello Eusino alle truffe di lavoratori e somministranti il legname. Destell invece ritiene che sian nelle acque di Sebastopoli un numero immenso di speciali vermi roditori esizialissimi ai fondi de' vascelli.

Dopo tali osservazioni null'altro ci rimarrebbe fuorché disaminare qual parte la marina russa abbia avuto nelle guerre Europee, e il valore che ad essa convenga nella istoria. Ma nuova e bambina com'è a luti’ oggi la flotta Russa, ad onta gli immensi apparati e materiale, non può aver alcun posto considerevole, luminoso ne’ fatti d’Europa, e a volerne dir qualcosa che somigli a storia è d’uopo limitarsi a fatti rari e di ben poca importanza.

Il più memorabile è la distruzione della flotta turca nella baja di Tscesmè (6 Luglio 1770); ma fu opera dell'inglese contrammiraglio Elphinstone, assistito dai suoi due compatriotti il contrammiraglio Greig, e il luogotenente Dugdale; e non è a tacer pure che i Turchi erano allora assai inferiori ai Russi in mare. Poco tempo dopo, caduto in disgrazia il contr’ammiraglio e surrogato da Greig, vinsero sotto i suoi ordini i moscoviti la battaglia di Hogland (17 luglio 4788) nella quale gli Svedesi furono battuti. Più tardi la marina russa ebbe la battaglia di Navarino, ma tutti sanno ch’essa si trovò in buona compagnia, e che le flotte alleate erano superiori in numero alle forze Ottomane: innoltre l'ammiraglio Heyden, che comandava la squadra Russa, era un Olandese.

Dopo questi avvenimenti oscurissima è la storia della marineria Russa: solo di quando in quando si videro apparire le sue flotte nei mari del Nord e nel Mediterraneo, ma senza mai levar nome di sé. Nel 1799, per citare un esempio, una squadra Russa in unione ad una turca giunse incontro a Corfù allora occupata dai Francesi. I Russi erano comandati dall'ammiraglio Outchakoff loro compatriota: avevano 10 vascelli d’alto bordo, 4 fregate, e molte corvette e brick con buona mano di truppe. La squadra turca avea 50 legni di varia grandezza e 8 mila uomini a bordo. Queste forze eran per assalire una città difesa da soli 1800 uomini e una piccolissima divisione navale composta di un vascello, una caravella, una bombarda, un brick, e quattro mezzegalère. Il bravo capitano Lejoille che la comandava tanto seppe manovrarsi e si abilmente che pose in fuga parecchi legni Russi, ne danneggiò altri, e traversò quindi l'intera squadra assediante per recarsi in Ancona a rimbarcar truppe di rinforzo. L’assedio finì colla capitolazione dei pochi francesi ma onorevolissima, poiché furono ricondotti in Francia sopra legni Russi e a spese dei vincitori. La sola fame e le malattie li avevano vinti, non la squadra Russa, né 15 mila Albanesi soprarrivati a combatterli.

Riassumendo il fin qui detto è a conchiudersi che la Storia della Marineria Russa nel periodo in ispezie delle grandi guerre della repubblica e dell'impero è perfettamente nulla.

E prima di chiudere il presente capitolo vogliam dichiarare lealmente che le nostre osservazioni non ànno il basso scopo di mettere Russia in dispregio, ma di farne conoscere la forza reale né più né meno. Se la marina Russa à difetti, non è dispregevole per questo: è pur numerosa, fornita di splendido e abbondante materiale, e non le manca ambizione di far noto alle altre flotte Europee che vuol essere messa nel novero e pesar nella bilancia delle potenze marittime. Notevoli sono anche i porti e luoghi muniti eretti a suo ricovero.

Russia fece sì gran mostra e vanto delle proprie forze, che non potevasi a meno nella presente quistione Orientale e ne' fatti che si preparano, di esaminare intimamente e davvicino ciò che tanto da lungi sembra formidabile.

Studiare le forze e. i difetti di una potenza in guerra, non è umiliarla, ma un voler conoscere il peso della sua spada.


vai su


CAPITOLO IX - POLITICA

Carattere della politica Russa. — Conquiste di Russia dopo Pietro il Grande. Politica di Russia rispetto ai popoli soggiogati. — Crudeltà e devastazioni in Crimea, presso i Cosacchi Zaporoghi. — Emigrazione di 500,000 Kalmucchi. — Atti odiosi in Georgia. — Politica Russa in Polonia; persecuzioni atroci; rapimento di fanciulli. — Una madre snaturata. Gli studenti cospiratori. — Persecuzione religiosa in Polonia. — Politica di Russia all'Estero. — Affare de luoghi Santi. — Missione del Principe Mentzikoff. — Trattato segreto proposto dall'inviato Russo alla Porla Ottomana. — Doppiezza del gabinetto di Pietroburgo. — Il governo inglese ingannato quindici volte. — Odiosa comedia. Proposte dell'imperatore Niccolò a Carlo X e Luigi Filippo — Inganno. — I Russi e i Turchi nei Principati. Effetti della dichiarazione di guerra di Francia, e d’Inghilterra.

A pochi è ignoto il carattere speciale della Politica Russa tenebrosa sempre e pressoché impenetrabile, incostante nei fatti, paziente, immota nei propositi, assumente apparenze e linguaggi quali meglio tornino all'uopo, secondata stupendamente da occulti e palesi agenti, aprentesi a traverso mille ostacoli un libero cammino verso la meta vagheggiata, il dominio cioè e la conquista. Cognito è a tutti, e in mille scritti spiegato e narrato siccome Russia allargasse successivamente i suoi territoriali possessi in Oriente sino ad ottenere il quasi protettorato sulla Turchia, siccome giusta i vari interessi propri e i tempi si accostasse lusinghiera ora a Francia ora ad Inghilterra: e come pervenisse non menò ad ottenere gravissimo ascendente sull’Alemagna, e attraesse da ultimo nella propria sfera d’influenza gli stati d’Europa settentrionale.

Non restano a darsi che poche e meglio particolareggiate nozioni in proposito. La somma degli atti politici degli Autocrati non è che l’applicazione e la traduzione esatta del testamento di Pietro I., il quale non è chi non conosca: di guisa che, osservato quel documento da un lato, e dall'altro l’istoria Russa da un secolo in poi, ogni lettore facilmente ravvisa che gli czar non altro ànno fatto se non sviluppare punto per punto il programma del loro Fondatore.

I risultati materiali ponno contarsi per date memorabili; e rimarchevole n’è troppo il novero da' primordi insino ad oggi, perché noi possiamo lasciar di accennarlo (28).

Nel 1686 Russia ebbe dalla Polonia le provincie che facevan parte del gran ducato di Lituania, il ducato-palatinato di Smolensko, le provincie della piccola Polonia, il ducato-palatinato di Tscernigow, l’Ukrania transboristana o Piccola-Russia, il territorio de' Cosacchi Zaporoghi, e da ultimo la città di Kiow sulla destra sponda del Dnieper, col paese situato tra il fiume Irpien, e quello nomato Stulina o Slucz.

Nel 1689 ebbe luogo la prima annessione del Kaintschatka a Russia, compiuta poi definitivamente nel 1696.

Nel 1692, un trattato colla China stabili nuove frontiere dei due stati vantaggiose a Russia.

Nel 1696, acquistò stabilmente Azof, che era stata occupata antecedentemente, e cosi nel 1721 tolse alla Svezia la Karelia, Wiborg. l’ingria, l’Estonia, la Livonia Svedese, le isole d'Oesel, di Dagoè e di Moèns nel Baltico.

Nel 1751 i Tartari e i Kirgi Cosacchi divennero tributari agli Czar; nel 173859 i Tschutschi, popoli al nord della Siberia, subirono la stessa sorte.

Nel 1743 Russia acquistò la provincia di Kumennigrod in Finlandia.

Nel 1772 Russia tolse alla Polonia il Palatinato della Livonia polacca, una parte di quelli di Polostk e di Minsk, e gli intieri palatinati di Witebsk e di Mscislaw, che facevan corpo col gran ducato di Lituania.

Nel 1774 col trattato di KoutschoukKainardgi Russia acquistò il dritto di navigazione nel Mar Nero e ne’ Mari Turchi in genere; più il passaggio del Rosforo e dei Dardanelli; e diventò signora definitiva di Azof, Taganrock, Kertsch e Kinburn.

Nel 1779 ottenne dalla Turchia la indipendenza della Crimea, della Ressarabia, e della MoldoValacchia: e occupò la prima in piena pace nel 1783. — Nell’anno istesso Heraclio re di Georgia le divenne tributario.

Nel 1784 ebbe in cessione da Turchia la Crimea, l’isola di Taman e la maggior parte del Kuban.

Nel 1792 il trattato di Jassy, estese le frontiere di Russia fino al Dniester, assicurando agli Czar la sovranità della Georgia ed altri vantaggi.

Nel 1793 segui il secondo smembramento della Polonia. Un terzo segui nel 1795 e distrusse l’esistenza politica di quel Regno, cui Russia tolse i territori locati sul Rug e sul Niemen.

Cosi nel 1795 prese il ducato di Curlandia, antico possedimento polacco.

Nell'anno seguente Caterina IIs’impossessò di gran parte dell'America del Nord.

Nel 1797 la Polonia ebbe l’estremo colpo, e in pari tempo le frontiere russe si avanzarono fino a Kour dal lato di Persia.

Nel 1800, e 1801 la Georgia fu definitivamente incorporata. — Derbent e il suo territorio rimasero in possesso di Russia.

Il 7, e 9 luglio 1807, col trattato di Tilsilt l’imperatore Alessandro di nuovo s'ebbe altra porzione di Polonia, la provincia di Bialvslok.

Nel 1809 l’intera Finlandia, l'Ostrobonia e l’isole Aland cessero allo impero Moscovita: e cosi un’altra provincia di Polonia, Tarnopoli, distaccata dalla Galizia.

Nel 1812 il trattato di Bucharest die’ a Russia la Bessarabia, e il Pruth addivenne frontiera tra il territorio Ottomano e il Moscovita.

Nel 1815 s’ingrandì nuovamente il possedimento Russo nell’America Settentrionale.

Nel 1814 col trattato di Gulistan furon tolte alla Persia a prò di Russia la Georgia, l’Imerezia, la Mingrelia, Derbent, il Daghestan, lo Shirvan, lo Scheki, la Gauja il Karabaugh, una parte del Moghan e di Talisch; di più la Persia si obbligò a non tener forze marittime nel Caspio.

Nel 1815 avvenne l’ultimo smembramento della Polonia, che fu incorporata all’impero Russo.

Nel 1827 fu distrutta a Navarrino la flotta turca; e ciò pose il colmo alla politica del predominio Russo che nell'anno seguente col trattato di Tourkmantschaì si estese anche sulle provincie Persiane Erivan, Noukschivan, e la fortezza di Abbasabad.

Il trattato di Andrinopoli colla Turchia mise l’autocrate in possesso di Anapa, e Poli nel 1820 con lungo tratto di coste sul Mar Nero, porzione del pascialicato di Akhischka, le fortezze di Akbalzik e Akhalaliki, e le isole situate alle bocche del Danubio. Colla convenzione istessa fu sancita l’occupazione della Moldavia e della Valacchia; di più si tolse ogni lena alla Porta Ottomana colla costituzione del regno indipendente di Grecia.

Nel 1835 avvenne il trattato di Unkiar Skelessi che riconobbe a Russia il titolo di protettrice della Turchia, e stabilì la chiusura dei Dardanelli a qualunque legno da guerra straniero. Da quel momento Turchia potè considerarsi posta alla discrezione di Russia.

Nel 1849 la convenzione di Balta-Liman fe’ dritto alla medesima potenza di nominare d’accordò ah Sultano (e senza consultarne le Assemblee) gli Ospodari di Valacchia e Moldavia.

L’istoria imparziale narrerà ed à narrato per quali mezzi, e con quali atti successivi di accortezza ed audacia siansi compiute dagli Czar queste numerose e sorprendenti conquiste. Per dare una più completa e luminosa cognizione delle secrete tendenze e dello spirito animatore la politica del governo Russo, noi ci limiteremo a tracciare alcuni quadri rappresentanti il modo con che vennero vinte e fatte sua preda le nazioni aggiogate all’impero Moscovita.

La conquista di Crimea fu atto poco dissimile dallo smembramento di Polonia. I Tartari poco fidenti alle promesse de' novelli Signori stavano in guardia, e colatamente pensavano alle difese. Ma Potemkin avvedutosene tosto ordinò che i più malcontenti fra gli individui distinti per nascita e grado fosser messi a morte, e 50 mila Tartari di ogni età e sesso perirono. Il restante si sommise al dominio di Catterina II degnamente rappresentata dal suo favorito.

Alcun tempo dopo avendo i Nogai emigrato in massa da un distretto in vicinanza di Azof, il Governo fe’ trasportarvi di viva forza 65 mila Greci e‘ Armeni che da più anni si erano stabiliti in Crimea: gli sfortunati perirono pressoché tutti di miseria di fame e di freddo. Da queste vicende è derivato che appena 50 mila individui di ogni età e condizione popolino ora la Crimea, che era stata un tempo capace di fornirne sin 50 mila dei soli atti alle armi. Dopo tale sperpero di popolazione non minore fu il guasto materiale di si bella e fertile contrada.

Narra Clarke alla pag. 80 e seg. del 2 Volume de' suoi viaggi, che i Russi devastarono il Paese, abbatterono i boschi, le case, i templi e i pubblici edifizi, egli acquidotti, dispogliarono degli averi gl'indigeni rimasti, l'impedirono nel culto loro, ne profanarono le tombe gettando pe’ campi i cadaveri pasto d’immondi animali; annientarono i monumenti antichi, cristiani e pagani sepolcri distrussero, gettando le ceneri al vento. — A Kertch, dopo atterrale 500 case, non lasciarono in piedi che 30 povere capanne in mezzo alle ruine. Fu pubblicato un decreto per invitare i mercanti greci a stabilirsi in quel Porto, e tosto che molti creduli il fecero, venne distrutto il rimanente dell'abitalo. A Calla io vidi (dice il medesimo scrittore) atterrar le superbe moschee della Città e mutarle in granai, abbattere i minareti, spezzar le pubbliche fontane e gli acquidotti, profittando i soldati di quelle meschine quantità di piombo. — Di Balschi-Serai è impossibile dir cosa era, e come è oggi ridotta: dividevasi un tempo la Città in più quartieri, e quello della colonia Greca sola occupava una intera vallata; tutto fu distrutto in guisa da non rimaner pietra su pietra: e oggi appena un terzo dell'antica città rimane. Si narra persino che, quando i preti tartari salivano sui minareti al mezzodì a gridar l’ora e la preghiera, eran falli segno a colpi di fucile, e talvolta uccisi». II Reuillyne’ suoi racconti conferma queste enormezze: e narra come l’imperatore Alessandro a Sebastopoli alla osservazione da esso scrittore fatta — che la natura tutti i suoi doni avesse profuso sulla Crimea = rispondesse: = ma noi nulla abbiam fatto per secondarla. =

I Calmucchi manifestarono la loro opposizione a chi li opprimeva senza misura, con un atto di disperazione unico nella storia. Gelosi di loro indipendenza al pari di tutti i popoli dediti alla guerra ed alla pastorizia, non potendo soffrir più oltre i soprusi de' novelli padroni, risolsero di fuggire in massa da que’ paesi: e il 5 gennaio 1771 diffatti, 500 mila Kalmucchi d’ogni sesso ed età abbandonarono le rive del Volga e si diressero verso l'Est per raggiungere la frontiera di China, non lasciando di loro stirpe |se non 15 mila famiglie circa, perché difettavano di mezzi di trasporto onde passare il Volga non ancora gelato. L’immensa caravana si pose in via con eroico coraggio, preferendo al duro giogo di Russia le fatiche la miseria e i pericoli di si lunga marcia traverso a regioni deserte e inospite. E didatti il loro viaggio fu segnato quasi da una successione continua di cadaveri e di agonizzanti, per la fame la sete e il freddo che patirono, con più i replicati attacchi sofferti per parte dei Cosacchi del Nord. Doveva esser ben dura la vita antecedente, se cercavano a tal prezzo la libertà. In fine dopo un lagrimevole pellegrinaggio di otto mesi, i rimanenti fuggitivi varcarono il confine Chinese, e decimali, spossali, moribondi posarono su quel suolo donde ebbero origine un di, e dove eran costretti a ritornare per la impossibilità di vivere sotto la civile tutela di un governo europeo.

Non meno odiosi furono i mezzi pei quali venne soggettata la Georgia: in questo paese, dopo sommesso agli Czar, fu fatto ogni buon viso alla ferocia e suscettibilità nazionale degli indigeni, mantenendo loro i privilegii, conferendo gradi nelle milizie imperiali, prodigando loro lusinghe e promesse a ribocco. — Non tardò guari però la persecuzione: la quale cominciò si accanita, che i capi maomettani dovettero abbandonare i loro possedimenti e rifuggirsi in Persia: e questi appena partiti, il despotismo non ebbe più freno e la sommessione si consumò con ogni feroce mezzo, sebbene gli abitanti insorgessero: e tale fu la rabbia degli oppressi che le truppe russe, divise in piccoli corpi furono assalite e tagliate a pezzi: massacrato il generale Lessanowilch insieme a molli officiali del suo seguito; le donne stesse preser le armi e facean da vigili scolte sulle gole di lor montagne. In una parola, generale era l’incendio d’insurrezione nel Caucaso: e questo fu il risultalo degli alti politici dei conquistatori.

A calmare gli irritali animi però i Russi ricorsero allo spediente delle maggiori crudeltà possibili; e con sanguinose rappresaglie mostrarono a quei montanari che non cedevan loro in risolutezza di barbarie. Furono distrutti villaggi interi, e massacratine gli abitanti. I prigionieri eran sbarati vivi, o appiccali pei piedi sinché morissero; e il sangue corse a torrenti; e questo avveniva per comando di chi presiedeva a quella guerra.

Ben più lunga e angosciosa fu l’agonia della Polonia tanto che la Iena vien meno a pensar di narrarla. Qui l'intendimento e il carattere degli Czar, e della politica Russa fu messo in maggior luce, perché di politica trattatavasi non solo, ma di religione. E questo è quanto noi cercheremo di mettere in chiaro.

Non appena repressa l’insurrezione polacca, l’Autocrate die’ libero il corso all'ira sua: supplizi e confische si successero rapidamente: v'ebbero tanti arresti, e si lunghi furono i processi, che molli prigionieri. incontrarono la morte innanzi alla sentenza (29).

Né per colpir le vittime si attese pure la fine del processo: poiché sin dai primi mesi del 1852. si incontravano lungo le strade di Russia cento e cento polacchi d’ogni condizione, che, incatenali a diecine, venivano trascinati in Siberia. E fin d’allora già contavasene più che 60mila inviati in quelle gelate e deserte lande (30).

Sollecite e numerose del pari furon le confische: le quali rimontano nel 1852 ad una cifra di più che 5000 colpiti: ben lieve nondimeno a confronto degli ulteriori atti di simil genere (31).

Molle migliaia di Polacchi ebber poscia la stessa sorte che i primi trasportati: altri furon rilegati nelle Provincie Caucasee o nelle più disabitate dell'impero: altri, e non fu il minor numero, dannati ai lavori di forza nelle città dell’impero: altri infine e forse i più disgraziati, s’incorporarono nei battaglioni di disciplina dell'armala imperiale, o inviati contro a' Circassi (32).

A quest'opera di dispersione fu recato compimento con un decreto del 19 febbraio 1832, il quale prescrisse a tutte le Autorità Russe installate in Polonia di fare man bassa su tutti i fanciulli maschi, orfani, vagabondi, o poveri, e diriggerli a' Ministri per incorporarli nei battaglioni dei presidii di cantone, e diriggerli in seguito alle compagnie coloniali. 1 minuti particolari di si crudele esecuzione registriamo qui sotto (33).

Bisognava piir disfarsi dei militari polacchi; e a tal uopo lo Czar ordinò s’incorporassero ne’ reggimenti russi tutti i soltouffiziali, di qualunque arma e grado, e i mi liti pure. Cosicché tutti ebbero a servire come semplici soldati, e a contar l'epoca di servizio dal momento della entrata nel corpo Russo. Il decreto ordinatore porta la data del 26 febbrajo 1832, e prescrive alla incorporazione una cifra non minore di 20 mila.

Tutte le istituzioni che potevano servire allo sviluppo dell'intelligenza dei Polacchi furono abolite: venne tolto ai vinti persino il conforto della lettura. L’Università di Varsavia fu soppressa, e toltane e trasferita a Pietroburgo la biblioteca; lasciatevi sole le opere di teologia, di medicina, e di astronomia: non cosi le opere di giurisprudenza. La Società degli Amici delle Scienze fu disciolta, confiscatane del pari la libreria. Ugual sorte ebbero la società dei Piarisli, l'Università di Wilna, il Liceo di Kzerminiec. I colori nazionali di Polonia furono aboliti. Un ukas del 24 luglio 1832, soppresse l'uniforme polacca. Qualunque individuo sospetto di aver opinioni politiche fu situato sotto la rigorosa sorveglianza della polizia, vessalo e perseguitato senza posa. Ogni giorno nuovi arbitrari arresti mettevano in costernazione i miseri abitanti di Varsavia, e di tutte le antiche provincie Polacche già state soggette a Russia fin dal 1782.

I libri più innocenti furono sacrificati o mutilati; né a Varsavia è più possibile il rinvenire opere e neppur semplici descrizioni riguardanti la Polonia; ché la Censura distrusse, o confiscò qualunque libro o stampa potesse più direttamente o meno ricordare le istituzioni e la Storia Nazionale (34).

La posta die’ poi mano alla censura sopprimendo tutte le lettere dirette ai Polacchi emigrati, o da loro scritte ai rimasti in patria.

Ma non bastava combattere e schiacciare per sempre lo spirito di rivolta: Si volle pervertire e informare a nuovi sensi l'intelligenza e il cuore della gioventù polacca. A tal uopo il Governo Russo fe' redigere un catechismo politico e religioso nel quale s’intromise la massima, che: sendo l’imperatore lo stesso che Dio in terra, doveva non solo essere obbedito e rispettalo da' suoi soggetti, ma venerato ancora per culto: e l’uso di tal catechismo fu prescritto a tutte le Scuole e le Chiese in Polonia.

L’insurrezione che nel 1853 fece per qualche guisa tremar di nuovo il novello Signor di Polonia, gli forni poscia occasione a raddoppiare il furore e ad inferocire con ogni possibile enormezza (35).

A togliere il più possibile lo spirito di nazionalità nella nuova generazione, era stato di già comandato che nella pubblica istruzione si adoperasse l’idioma Russo: e furon ben tosto statuite le scuole primarie con maestri Russi; locché fu complemento del sistema di propaganda; e sarà cagione validissima di annientare la letteratura polacca, e il complesso di quell'idee che dessa rappresentava in Europa.

Più che queste misure però un’altra appalesò le mire di Russia rispetto a Polonia: e fu quella di proibire a qualsiasi individuo del paese il maritaggio innanzi a 50 anni:, doppio e aperto n’era lo scopo: cioè d’impedire ai Polacchi il sottrarsi colle nozze (come per legge nazionale loro compete) al servigio militare, scemando in pari tempo le fonti legittime e naturali di aumento alla popolazione: oltreché largo fomite si aprisse alla prostituzione e alla corruzione de' costumi.

La persecuzione religiosa cominciò in pari tempo che la reazione politica, cioè nel 1852. Lo czar non poteva a meno di volere nelle sue mire d'unità ed assorbimento la oppressione del cattolicismo polacco: e vi diede opera con uno zelo si fiero da non disgradarne quasi al paragone taluni imperatori Romani inverso i seguaci di Cristo. Né son queste menzogne, poiché risultano in gran parte i falli dall'allocuzione del S. Pontefice Romano in data del 22 luglio 1842, e dai documenti autentici che le fan seguilo. Altre notizie traemmo da fonti sicure benché private.

La prima misura che era a togliersi, e lo fu, era di far eseguire letteralmente l’inibizione emanata fin dopo il regno di Catterina li. sui Vescovi e sudditi cattolici, onde essi non potessero riferirsi e dipender da Roma, per affari spirituali: sendo questo un ovvio mezzo a sfuggir la sorveglianza del Capo del cattolicismo, e ad evitare incommode rimostranze. Per ciò stesso lo Czar ricusò di mandare inviati alla corte di Roma, abbenché questa ne facesse vive istanze, nello interesse di quella parte del suo gregge spirituale. E a scemare l’influenza e le facoltà del clero cattolico, gli si confiscarono i beni di che usufruiva, e che avevano già appartenuto agli ordini regolari soppressi in Polonia: ai Vescovi fu ristretto di metà l'assegno. Ma questo fu un primo passo: ché lo spoglio venne compiuto col decreto imperiale del 25 Decembre 1841 il quale ordinò passassero nell’immediato dominio dello stato tutti gli immobili e servi ad essi addetti, appartenenti insino a quel di nelle provincie occidentali al clero del culto straniero.

Trattavasi di sfornire d’ogni mezzo il clero della chiesa unita, e della Romana, per ridurle all’assoluta impotenza: e i colpi furon battuti incessanti, e ogni giorno si tolse a quelle alcuna delle prerogative che possedessero. Venne decretato che niun matrimonio potesse aver luogo fra cattolici e greco-russi senza la preventiva obbligazione di allevare i figli nella religione scismatica. Il medesimo ukase, del 20 Agosto 1852, portava pure la nullità di codesti matrimoni se celebrali soltanto col ministero di prete cattolico. Fu proibito ai ministri della chiesa latina di amministrare sacramenti a chi appartenesse alla chiesa rutena. Tutte le scuole religiose grandi o piccole e i seminari già fondati nelle metropoli di Lituania e della Russia-bianca furon chiusi. Gli allievi della università Rutena di Polock dovettero andar a continuare i loro studj religiosi nell’università scismatica del convento di S. Alessandro Neswki a Pietroburgo: e, come ciò fosse poco, il dipartimento ecclesiastico ruteno, fu incorporato al sinodo russo, divenendo cosi semplice divisione di un istituto pienamente ligio al governo. Per reprimere lo zelo degli ecclesiastici, l’imperadore fulminò pene contro lutti quelli preti e laici, che cercherebbero convertire taluno dalla religion dominante alla Romana, o Rutena-unita. Fu riposta in vigore una ordinanza di Caterina IIcaduta in dissuetudine, nella quale si prescriveva che non avesser chiese né ministri i cattolici dove non si trovassero in numero di 400, di che derivò la soppressione di molte parrocchie. Una chiesa magnifica fu tolta in Varsavia ai cattolici nell'occasione in cui vennero eretti due Vescovati scismatici; si fecer chiuder oratori, molti demolire: e il governo proibì la costruzione di novelle chiese del pari che la ristorazione delle cadenti.

A un tempo istesso l’imperatore, animato da santo zelo per la salute delle anime dei soldati suoi, inibiva ai cattolici ogni pratica per convertire al loro culto i partigiani della chiesa greca; e con severe aggiunte ripubblicava altra legge di Catterina II per la quale era proscritto come ribelle chiunque cattolico osteggiasse con azioni e parole il progresso del culto dominante, e impedisse con qualsivoglia mezzo la riunione delle separate famiglie o villaggi ella chiesa Russa.

Era questa un’arma terribile nelle mani del Governo e del clero scismatico, e se ne fece in realtà un uso strabocchevole (36).

Infrattanto il S. P. Gregorio XVI. che dapprima aveva tentato volgere a miti consigli l'animo dello Czar, con esortare. alla sommessione i Polacchi (il che fu da molti frainteso), si commosse altamente alla notizia delle abbominazioni di ch’era falla teatro la Polonia: e indirizzò parecchie rimostranze allo imperatore, ma invano ché questi non solo non piegavasi a obbedienza, né si diportava col debito rispetto, ma rompeva in pretensioni col volere la canonica istituzione di M. Ignazio Pawlówski per la chiesa Metropolitana di Mohileff, benché il Pontefice avesse riprovata la condotta di quel Prelato nell'aderire pubblicamente a' decreti i più funesti pel cattolicismo: cosi pure si studiava di ottenere la revoca e la punizione di M. Gulkowski Vescovo di Podlachia, falsamente accusato di connivenza a rifugiali polacchi.

Attivissimi negoziati furono intrapresi; e nel frattempo l’erede presuntivo del trono di Russia fé un viaggio a Roma, dopo il quale lo Czar indirizzò al S. Pontefice una lettera umile, dolce, e rassicurante quanto mai potesse sperarsi (37).

Ma le speranze e promesse eran fallaci: che nell'agosto 1839, cinque mesi dopo, fu pubblicato un decreto interdicente sotto pena di destituzione ad ogni prete cattolico delle province polacche di battezzare i fanciulli nati di matrimoni misti, e di ammettere alla comunione cattolica chiunque avesse fatto, per un istante ancora, adesione al rito greco-russo. Il 16 dicembre dell'anno istesso lo czar inculcò di nuovo la rigorosa esecuzione di decreti già esistenti: dei quali l'uno vietava l'erezione di chiese cattoliche fuor di luoghi dati, e senza le speciali ingiuntecondizioni: l'altro restringeva il novero delle parrocchie e dei ministri; quale interdiceva ai ministri del culto cattolico-romano si regolari che secolari di togliere a' loro servigi individui di rito diverso; qual altro ingiungeva a medesimi ecclesiastici di non dilungarsi da lor dimore, foss’anche per trasferirsi a località site nel distretto medesimo, senza preventiva e regolare autorizzazione delle autorità diocesana ed amministrativa. In pari tempo comparve un decreto imperiale con che era proibito ai parrochi di sentire in confessione altri fuor gli abitanti della propria cura; e uno ve n’ebbe pure che rimetteva alla giurisdizione dei tribunali ordinari criminali que’ preti cattolici che fossero accusali di aver cercalo a propagar la fede loro, mentre lo imperatore accordava ricompense ed alti onori a quei popi che si fossero distinti nello zelo delle conversioni d'individui alla chiesa unita Greco-rutena. Infine ai 21 marzo dello stesso anno, un ukas novello pronunziò la confisca dei beni contro chiunque rinunciasse alla religione dominante, senza pregiudizio delle pene personali indicate dalle Leggi, tra cui era la reclusione perpetua in un monistero. Fu questo l’adempimento delle concepite speranze e delle date promesse. Né con ciò ebber termine le persecuzioni: ché sul cadere del 1840, fu stabilita censura sui sermoni dei preti cattolici: e i sacerdoti Bireti, e Baranoswki furon tosto imprigionati e rilegali in fondo alle steppe di Rùssia, per aver osato vangelizzare con sermoni quali il cuore, e un pio affetto li ispirava, e non con tiritere di convenzione, quali comunemente si componevano per essere approvate dalle Autorità Russe, onde sfuggire ai menomi pericoli di punizione. Il Vescovo di Podlaclìia, sebben sostenuto dal Pontefice Romano contro l'esorbitanze dello Czar, fu da questo fatto sostenere e rilegato in un Monastero, dopo toltogli l’assegno e praticategli mille angherie. Pose il colmo a queste misure la confisca dei beni che già sopra mentovammo, avvenuta nel 1841.

Il furore del governo moscovita si scatenò precipuamente contro a' fedeli della chiesa rutena, perché questi anzi tutto premevagli soggiogare; e sarebbero incredibili le atrocità contro quegli sgraziati commesse, se non n’esistessero le più autentiche pruove (38).

Non è pertanto da maravigliare, reggendo in taluna località ben ristretta piucché li mila individui abbracciare lo scisma. Il Governatore della provincia in ricompensa di sì rimarchevoli successi, fu gratificato dallo Imperadore di una pensione di 1200 rubli, cresciuti di altri 35 mila in appresso per altrettante anime che il Governatore seppe acquistare alla fede ortodossa. Un rublo,per anima, era pur buon mercato! (39).

Da ultimo una lettera del 27 luglio 1844 scritta dalle frontiere di Polonia, recava che: nel corso del compiuto anno e dell'attuale 3000 persone di Lituania, Podolia, e Russia-bianca eran state confinate nelle steppe interne di Russia per dissodarle: ed eran tutti cattolici della classe paesana o nobile decaduta.

Ciò che narrammo è bastante a presentare una qualche immagine di quel che sia il Governo degli Czar; e sollevammo anche troppo il misterioso velo: qualsiansi altre riflessioni possibili nulla aggiungerebbero alla eloquenza dei fatti.

II

Esaminammo la politica Russa di fronte ai popoli vinti e soggiogati nella pienezza di sua libertà d azione, senza riserva nel procedere, coll'infausto coraggio della imperturbata franchezza, e securtà.

Chiuderemo il capitolo e l’insieme di questi cenni, con brevi parole sulla diplomazia di quel governo, e sui più recenti saggi che ne diede all'estero. Ciò non appartiene ancora al dominio della Storia: i fatti son peranco incompleti: lo passioni ancor vive: le piaghe anco aperte: Ci saremmo dispensati dal toccare di questa epoca se questo tratto si caratteristico e decisivo non fosse riuscito necessario a completare il nostro, quadro.

Toccheremo solo di volo ciò che è nolo all'universale. Ognun sà che Francia era, in virtù degli accordi del 1840, protettrice dei luoghi santi. I privilegi dei cattolici Romani a Gerusalemme erano alquanto scaduti; Francia volle trar partito di sue prerogative, siccome d'altronde per speciale missione ad essa incombeva, e n' aveva dritto lealmente riconosciuto dal Turco governo. Russia intervenne: né v'era autorizzata dai trattati, se pur ne avesse ragione dalleaffinità d'interesse coi greco-cristiani dell'ottomano impero: e cominciò dal sentenziar scadute e annullate le convenzioni del 1740, e pretese si mantenesse lo Statu-quo ne’ luoghisanti, ove i Greci occupavano insieme a' Latini i Santuari di che essi luoghi si compongono. Francia a comprovarej suoi pacifici intendimenti, consenti alla protrazione della tolleranza di codesta parità pur contraria ai trattali. Russia non si tenne paga di ciò; e si parve altera, imperiosa, insolente, fino a minacciarne la Porta, che pendeva esitante fra' due avversari. Rivendicava il protettorato dei cristiani Greci, cui niun trattato a lei conferiva, mentre da secoli e legalmente Francia all'incontro era rivestita del carattere di protettrice dei Latini. Ciò mostrava ad evidenza che il Governo Russo toglieva la questione religiosa a pretesto, onde poter assalire ed offendere la indipendenza dell'Impero Ottomano.

Gli alti che successero mostrarono come da parte di Francia ogni benigna intenzione, da quella di Russia ogni pertinace volontà di rottura esistesse. E tosto mosse questa ad armamenti formidabili, e ad ammassar truppe verso i principati danubiani (40). Rifiutala quindi da Russia ogni altra sorte di trattative, venne mandato a Costantinopoli il Principe Mentchikoff, non senza prima far sapere ad Inghilterra (onde averla amica e cooperatrice) come portatore ei fosse di istruzioni e proposte quanto mai altre pacifiche. Di che il governo inglese rassicuravasi, mentre Russia accumulava senza posa nuove armi ed armate.

L’attitudine di quel principe Russo a Costantinopoli fu dapprima un mescuglio vuoi d’arroganza o di mistero: che d'un lato mostrava allo sdegno per Fuad-Effendi ministro Turco degli affari esteri, e dall’altro lato, faceva rifiuto di esporre le sue inchieste al Governo della Porta, che nel pressava, adducendo non volersi aprire, se non giurato il segreto di sue confidenze rispetto all'ambasciator Francese, e all’inglese. Niegatasi di ciò la Porta, minacciava il Principe di ritirarsi, il che poneva il Divano in gravi perplessità. E alle inchieste, e alle spiegazioni sui minacciosi armamenti del suo governo dava risposte incoerenti o evasive, e sperticate proteste di amicizia a Turchia, d’alto interesse alla perpetuità e prosperità sua, e alla conservazionedella pace: gravissimo oltraggio al magnanimo Signor suo il dubitarne. E in queste tergiversazioni continuò allungo, ad onta delle soddisfazioni accordategli, e delle più esplicite inchieste (41).

Ciò non ostante il plenipotenziario dello Czar manifestò da ultimo il vero scopo della sua missione. Russia intendeva a conchiudere con la Porta un trattato segreto che ponesse sotto l’esclusiva protezione dello Czar l’intera chiesa Greca, e i sudditi Greci tutti quindi de' dominii Turchi.

Era un’onta al Sultano, e annullamento d'autorità e d’ogni sua futura giurisdizione sopra ben dieci milioni di suoi soggetti. Ciò valeva forse meglio del trattato d Unkiar-Skelessv, che aveva ribaditi i ceppi a Turchia. — Premio all'assenso, sarebbero400 mila uomini e una considerevoleforza navale che Russia porrebbe a' servigi di Turchia, e a difesa da qualsiasi nemico: pena al rifiuto, o al rivelo delle condizioni ai già detti ambasciadori, la partenza del ministro, e lo sdegno dell'Autocrate.

E mentre il Mentschikoff cosi diportavasi a Costantinopoli, il Conte Nesselrode dichiarava da Pietroburgo al Barone di Brunow ministro Russo a Londra: com'ei dovesse rassicurare ne’ più espliciti termini i ministri Britanni sulle intenzioni dello Imperadore, che sempre le stesse permanevano, checché cianciato si fosse dopo l’arrivo del Mentschikoff a Costantinopoli: e che non già esagerate, ma infondate d'ogni lato erano le voci di ambiziose mire, d'occupazione, e d’ingrandimento, e di lesione ai diritti della Porta.

Stretto a spiegarsi il Nesselrode rispondeva al Castelbajac ambasciador di Francia, sicurandolo ampiamente di ogni più benigno intendimento; e, interrogato dal Seymour ambasciatore Inglese, affermava che la missione del Mentschikoff risguardava la quistione del Montenegro, e non quella de' luoghi santi, la quale a parer suo era da regolarsi all’amichevole. Ma posto alle strette, fini col palesare che un trattato d'alleanza offensiva e difensiva erasi invero proposto dal Mentschikoff alla Porta Ottomana, soggiungendo però che questo trattato aveva di mira solo la Francia (42).

In frattanto il principe Mentschikoff proseguiva con iracondi modi i negoziati. E tanto aveva messo timore nel ministero Ottomano, che Rifaal Pascià, pur nel cercar di consiglio e protezione il Redcliffe ambasciatore per Inghilterra, non si attentava ad aprirgli intieramente né la situazione del Governo Ottomano, né le esorbitanti pretese del Russo. Pur tuttavia si era giunti a tale stremo, che necessario era addivenuto il cadere vilmente, od onoratamente resistere. E la Porta rincorata un istante, e compresa in buon punto dei debiti dell’onor suo, rigettò le pretese di Russia.

Ognuno rammenta la precipitosa partenza del Principe, e l’impressione di stupore e di sdegno che incolse tutta Europa. —Russia, Austria, e Inghilterra in ispecie chiesero ragione dell’avvenuto, ma senza pro: all’ultima in ispecie e doleva la mistificazione sofferta, e riclamava altamente. Ma Russia non che cercar scuse cresceva d'audacia, e si faceva per Io contrario accusatrice, imputando all’Inghilterra che fosse stata cagione di ogni scompiglio per le brighe di Lord Redcliffe. E ciò fu creduto nelle corti tedesche; e l’Inghilterra ebbe non poco a maneggiarsi per, convincere del contrario a mezzo de' suoi rappresentanti all’estero, intimando in pari tempo al Nesselrode di chiarire e nominare l'autore della calunnia (43).

Notissimi sono gli avvenimenti dopo la partenza del principe Mentchikoff perché valga la pena di riferirne i particolari. Solo due fatti giova ricordare, come assai caratteristici di un governo che vanta missione divinale si gloria incessantemente di religione, lealtà, e civil costume.

Il 14-26 Giugno 1855, l'Imperatore di Russia pubblicò uif manifesto, nel quale alla sua guisa narrò i motivi che lo determinarono ad occupare i Principati: e nel testo russo accusava nominalmente il Sultano di perfido e fedifrago: voci che non si rinvennero poi nella versione francese eseguita per ordine dell'Autocrate, e fatta spargere in tutta Europa. Meschino spediente fu quello per nascondere alle straniere nazioni di quai vili mezzi si servisse ad eccitare il disprezzo dei Russi contro Turchia. Questo ipocritismo destò le universali meraviglie del corpo diplomatico a Pietroburgo.

In fine i principati Danubiani furono invasi. 1 motivi principali messi innanzi dallo Czar per giustificare un simil atto, erano il vivissimo interessamento a pro de' correligionari Greci soggetti a Turchia, e la brama di sottrarli ai barbari trattamenti cui si dicevan soggetti per parte di quella Potenza (44).

Ma oggimai le intenzioni di Russia sono conosciute: l’Europa è in guardia. Lo Czar non può più lusingarsi di mistificazioni e d’inganni. Si apparecchia una lotta tremenda, la quale scancellerà i legali ereditari di Pietro il Grande. Di già l’ultimatum di Francia e d’Inghilterra scossero l’Autocrate sul suo trono, fidente com'egli era non possibil fosse l'alleanza Anglo-Franca.

Qual sia per esser la sorte dell'armi niuno può predire: ma certo debbesi tener sicuro il trionfo dell'alleanza Turco-Anglo-Franca, se la civiltà e l’indipendenza delle nazioni meritano l’appoggio della provvidenza e i favori della sorte di fronte allo spirito d'assolutismo e di barbarie.

______________

Qui s’arresta lo scrittor francese che con quest'opera si propose di rivelare le condizioni intime e misteriose della Russia, sia come popolo, sia come governo. E noi pure non progrediamo più oltre nel tracciare foss’anche un rapido quadro degli ulteriori avvenimenti che si riattaccano ai già fin qui esposti, poiché o al tutto appartengono al dominio della Storia Contemporanea che ci facemmo un dovere di narrare man mano ai lettori della nostra Enciclopedia, o perché sono ancor troppo vive e palpitanti, quasi diremmo, di rabbioso furore quelle passioni, che, spingendo Popoli e Governi contro un nemico cui la pubblica opinione oggi flagella del suo terribile anatema, mal saprebbero dar luogo ai freddi e imparziali calcoli della ragione per giudicare senza prevenzione e col solo criterio della verità e della giustizia i fatti e gli uomini di questo dramma sanguinoso che «Guerra di Oriente» s’intitola. Eppure in quest’opera di cui volemmo trasportare un sunto nella nostra lingua, la Russia è stata severamente e inesorabilmente giudicata. Però a noi sembra che mal non ci apponiamo, reputando che nella esposizione di certi fatti e nella manifestazione de' relativi giudizi non sempre siasi mantenuto quel tranquillo, dignitoso, e imparziale contegno che allo storico si addice: la passione à qualche volta fatto velo al giudizio, e l’esagerazione ispirata o da nazionali suscettibilità o da preconcette sinistre opinioni troppo sovente si è compiaciuta di adombrare con troppo neri colori il fondo di un quadra, che pure in qualche parte, se non abbellirsi, al certo si potea far men orrido e brutto, lumeggiandolo con più larghi e schietti tratti di luce, che rivelassero quanto di buono e di bello anche nel Moscovita Impero à vita e culto per l’onore dell'umanità. Nella Russia, secondo lo scritto francese, dovresti dire incarnata la vera barbarie; alla Russia mancare ogni vitale elemento di civiltà e di progresso; il Russo adunque essere un popolo spregevole e vile da mettersi al bando delle civilizzate nazioni. Cosi ragionando, si pecca di esagerazione e d'ingiustizia. Anche sotto il Governo degli Czar sono protette le scienze, le lettere, le arti, le industrie, i commerci ed ogni materiale miglioramento: il Russo rispetta in sé stesso la propria dignità e come popolo e come nazione; sente l’amor della patria e della gloria, difende la propria indipendenza; dà prove di coraggio e di valore nei campi di Marte, come di genio e di talenti nei campi pacifici delle intellettuali conquiste; e l’annegazione e il sacrificio non sono le ultime virtù di cui questo popolo à dato e dà l’esempio al mondo, che dee ammirare l’intrepida costanza con cui sostiene una lunga e disuguale lotta con formidabili e vittoriosi nemici. Noi non intendiamo erigerci a difensori o peggio ad encomiatori della politica, dell'ambizione, o della tremenda autocrazia degli Czar: Noi non mettiamo in dubbio l’attuale supremazia delle varie nazioni di Europa sulla nazione Russa; ma fermamente crediamo che dessa non è decrepita nella vita dei popoli, che assolutamente non è putredine di cadavere, e forse non è ancor giunto il tempo in cui ne’ divini decreti. Essa può essere serbata a compiere una grande missione sulla terra e addivenire nelle mani della provvidenza, conservatrice e regolatrice i destini dell'umanità, uno strumento salutare di forza e di vita per ringiovanire le corrotte e bastarde generazioni della decrepita Europa.

vai su

NOTE

(1)Unproverbio russo suona così: «Presso lo Czar ogni possanza; presso lo Czar la morte à stanza.»

(2)Memorie, Ricordi, e. Aneddotiscritti dal Conte di Segur, tomo 11. pagina 236 della terza edizione.

(3)L’imperatore voleva che il comandante in capo nominasse per ordine di ruolo uno dei generali nell’armata, all’officio di generale in servizio giornaliero per ricevere gli ordini del superiore, e trasmetterli al destino. Suwaroff avea violato questo regolamento. Il principe Bragalion, essendo il solo ufficiale superiore di sua confidenza, era stato da lui conservalo generale di giornaliero servizio durante tutta la campagna. Da ciò nacquero il malcontento negli altri generali, odiose conseguenti delazioni, e per ultimo lo sdegno dell'Autocrate.

(4)Clarke, viaggi in Russia, in Tartaria, e in Turchia.

(5)Il primo giorno ch'io arrivai a Pietroburgo, dice il sig. Marmier, un mio compagno di viaggio incontrò nella chiesa di Kasdu Un ladro, che, vedendo la rotondità della sua tasca, giudicò portasse con se troppo grave peso, e s’incaricò di sbarazzamelo, togliendogli un portafogli che racchiudeva 600 rubli. Il povero viaggiatore, privo così di una somma indispensabile ai suoi bisogni, si diresse a parecchi abitanti, della Città., richiedendoli di quali, mezzi potesse far uso per ricuperarla; tutti gli risposero: sarebbe inutile ogni pratica; e la polizia lo assoggetterebbe a innumerevoli formalità pesanti, costose, e nulla gli renderebbe.

(6)Eravi una nobil famiglia Russa che giunse a possedere una metà dei venditori di frutta a Pietroburgo.

(7)Narra Clarke di un gentiluomo, che in un accesso di furore inchiodò il servo a una croce; e a punizione non ebbe che breve ritiro in un chiostro. Sotto il regno d'Alessandro era famosa la novella di tal Dama moglie di unGeneralRusso, che solazzavasi in far passeggiare le giovani schiave sui carboni ardenti, o farle immergere nell’acqua bollente, o a puntar sulle lor carni gli aghi da lavoro.

(8)In talune Comuni è concesso ai paesani o schiavi il dritto di chiedere la rilegazionein Siberia per alcuno degli individui di lor famiglia che mal si comporti: e si vidermadri talmente indurate di cuore che osavano implorare il privilegio, e assistere alla partenza de' figliuoli.

(9)Atroci storie si narrano in proposito: una inumana signora trafitta da due colpi di fucile: un intendente di casa principesca trucidato insieme alla moglie, cavatigli gl’intestini, fattene corde per violoncello, soffocata la moglie in una caldaja; simile morte incontrata da un capo fabbricatore di distillazione: un altro proprietario assalito nel letto, trascinato nudo in pieno inverno nella corte, frustato, appiccato ad un albero in mezzo a tutti i paesani accolti: un vicino che mossene lamento, pugnalato e squartato pochi dì dopo: e i ministri delle case principesche non osan quindi notte tempo uscire, perché non radi i casi di individui scomparsi senza poterne sapere la fine. — Nell epoca poi della invasione francese gravissima fu l’insurrezione degli schiavi Russi, e di gran conseguenza savia stata se un braccio intelligente guidata l'avesse. I castelli (meno quelli di pochi benemeriti) furon saccheggiati ed arsi. — Distrutti i tenimenti Razoumoffski, Voussoupoff ed altri, e dove non giunse il fuoco a distruggere, le braccia e le pietre spezzarono ogni cosa.

Veggasi in proposito la Storia della distruzione di Mosca nel1812. di A. F. di B. antico offiziale al servigio di Russia, tradotta dal tedesco daBreton. pag. 176.

(10)Un altro curioso fatto e poco noto rilevasi dal Monitore Offiziale del 1791. Durante la guerra di Russia contro Svezia, alla novella che il principe di Nassau era stato disfatto sul Baltico, e perdutisi 5000 uomini, Caterina II. si trovò in tali strettezze da dover arruolare anche i mozzi di palazzo, e ritrarsi in luogo meglio munito. Sopraggiunse intanto una seconda disfatta; in mancanza di altra gente anche infima da travestir da eroi e mandar al campo, né potendosi con speranza di riuscita invocar da' nobili una nuova somministrazione d’uomini e d’armati, si risolse all’unico spediente che rimanevate sebbene illegale. Dichiarò che qualunque suddito Russo s’impegnasse volontario nelle file de' battaglioni moventisi contro i Svedesi, sarebber liberi di pien dritto in capo a vari anni di servigio. Era uno spoglio delle proprietà: era un furto a' nobili: un autorizzarvi i servi: ma il necessario al lecito si antepose e il decreto uscì; grande affluenza subitanea di servi giulivi di rompere lor catene, gran romore immediato dei magnati, che si spiegò in minaccie, e fe’ temere violenze a mano armata. La imperatrice non invilita di fronte agli Svedesi, scadde di animo innanzi all’aristocrazia Russa, e ritirò l'ordinanza. — Gli schiavi arruolati furon resi a lor signori senza garantirli dal loro risentimento. — Certa era quindi la peggior sorte per essi: e tanto fa il terrore, che, venuti a consiglio nelle prigioni ov’eran provvisoriamente costretti, decisero un generale suicidio, che fu tosto realizzato. — Orribile esempio e documento della fede che i servi russi tengono nella generosità de' lor padroni.

(11)Narrasi del defunto czar un tratto particolare che bea dipinge l’indole del padrone e del popolo: viaggiava egli pe suoi stati, edi passaggio in una cittaduzza accordò agli abitanti di quella il dritto di porre i lampioni nelle contrade durante la notte; e siccome non sarian stati in salvo dai ladri, decretò che per un certo tempo (sinché i ladri si accostumassero a quella luce) un cosacco si postasse a sentinella sotto ogni lampione. Un decreto simile, e l'esecuzione di esso sono un tratto amenissimo del gran quadro che presentano i costumi russi; e ben curiosa immagine destano quegli eroici e fieri cosacchi al cui patriottismo, e immobilità è data a guardare e difendere colla lancia in resta l’inviolabilità dei lampioni notturni.

(12)Né è solo tra gli schiavi questa assenza delle leggi di decoro per ciò che li riguarda. Un Francese viaggiava da Pietroburgo a Mosca, e s’incontrò a far via con alcune dame Russe. Portava egli la barba lunga; e questa essendo in Russia segnale di schiavo, e standosi lo straniero silenzioso, tale il credettero, abbenché arricchito, dall’arnese in che si scorgeva. Arrivati al primo albergo di fermata, e prima del desinare, i viaggiatori si fermarono in una stanza insieme alquanto appartata: ed ivi le belle Russe si fecero a disimpegnate speciali e minute cure del loro acconciamento e vestiario senza pigliarsi pensiero dello schiavoivi presente Estrema fu quindi la lor maraviglia quando il videro assidersi a mensa. Orror maggiore non poteva incoglierle di quel che vedere un miserabile schiavo attentarsi a sedere a desco con libere dame; e quindi tosto a rabbuffarne l’albergatore e chiedergli lo sfratto dell’insolente; e come questi non trovò difficile il difendersi in buon francese, e metter in chiaro la verità, immensa fu la confusione delle povere Diane, ravvisando d’aver avuto in lor presenza un Atteone, e non un miserabile mugik.

(13)Un viaggiatore arrivato da poco in Russia, tolto a suoi servigj uno schiavo, sendone contento, prese di quando in quando a regalarlo: ben tosto s’accorse che il servo era men premuroso: raddoppiò d'attenzioni, e allora cessò ogni premura. Fattane cercar la vera cagione, apprese che lo schiavo veggendosi regalato aveva perduto al padrone ogni stima d’uomo libero, sapendo che non coi regali si tratta tra questi e i servi. — E fu solo dietro qualche tratto di assolutismo, e rinunziando alle generosità, che egli potè riacquistare buon servigio e rispetto.

(14)Eccone il tratto che narra dei coscritti: «I primordi del servizio sono i più dolorosi pel coscritto, che spesso si abbandona alla disperazione: né solo l’educazione a colpi di verga vi contribuisce, ma le abitudini tutte nuove cui è mestieri si appigli. Non più barba né cappellatura, oggetti di venerazione pe’ Russi, ma semplici mustacchi: al caftansostituita la stringata uniforme anche nel più vivo rigor delle stagioni. Mediocre e scarso il vitto, e inferiore al consueto dei paesani Russi. Le cure sanitarie trascurate: né ciò è strano, perché molto meno i comandanti ne piglian pensiero, se non si fa per regola costante nelle famiglie, sudicie oltre modo, e non curanti della nettezza ne’ bambini. Né risulta quindi una straordinaria mortalità: spesso una metà delle reclute, e talvolta il terzo perirono: e niun riparo si pone a questa piaga sì facilmente sanabile con provvisioni igieniche, e con migliore organizzazione del sanitario militare servigio».

(15)Nella guerra del 1828 contro Turchia non potè l’Autocrate metter in campo più di 42 pulks(500 uomini l’uno) traendone 28 d'Europa e di Asia il restante: e ciò sebbene Russia avesse estremo bisogno di cavalleria per combattere la nemica superiore ed agguerrita. Nella guerra di Polonia dapprima ebbe solo undici pulks,e i reggimenti che poterono ragunarsi più tardi eran composti di veri Russi.

(16)Il Duca di Ragusa, per ammiratore che fosse di Russia, nei suoi viaggi in Ungheria, Transilvania, Russia meridionale, e Crimeanon precisa mai cifre nemmen generiche di quell'armata, limitandosi a trattar della organizzazione, troppo colto e perspicace essendo da non aver conosciu

(17)Tanschi, quadro del sistema militare di Russia,pag. 112.

(18)Nel 1838 alcuni generali di cavalleria comandanti truppe acquartierate sul Bug furono convinti di estorsioni commesse a lor profitto nello spazio di sei o sette anni. I fatti eran provati; ma furono assolti sul riflesso che avevano angarialo le popolazioni per sovvenire ai stringenti bisogni di lor milizie.

(19)Narra Hommaire de Hellin una memoria su quei paesi, che i peggiori cereali vi si acquistano per uso delle truppe, sebbene il governo li paghi a prezzo enorme: e taluni fornitori si rifiutarono allo impiego per la difficoltà di somministrare le pessime derrate che si esigevano. — Che il governo fà grandi compre di burro in Siberia ad uso degli ospedali militari, pagandolo sin 65 franchi il chilogrammo: ma senza che mai oltrepassi Taganrok dove viene smaltito, e sostituitovi il più infimo, il quale pure presta modo ad altri mercati innanzi che una reliquia ne giunga agli spedali. — Che nel suo passaggio a Teodosia nel 1840 un generale Curlandese riclamò direttamente allo Czar perché 1500 malati languivano in quell'ospedal militare morenti, e privi d'ogni farmaco e cura. Ma non giunse colà un offiziale visitatore speditovi dello Czar, che non ne fossero avvertiti i preposti allo spedale, in guisa da far trovare il tutto in piena momentanea regola. — Onde il generale che avea ricorso, ne fu rabbuffato e messo in disgrazia, con risa e soddisfazione de colpevoli.

(20)Una famiglia che dia ricetto a un coscritto deve dare due individui all'armata in pena: se non ne à addatti, sono rilegati in Siberia due membri qualunque della famiglia stessa.

(21)Un giovine uffiziale nepote del principe Menzikoff, eccitò il malcontento del defunto autocrate sol perché ebbe la disgrazia d’incontrarlo più volte andandosene a diporto in Pietroburgo. Per cui lo Czar addatosi bentosto nello zio il richiese aspramente perché avesse ad abbattersi nel giovin suo parente, e a trovarlo sempre girovago a consumare le ore in ozio, ovunque si recasse. Il giovinotto avvertito dallo zio, non seppe che rispondere: meravigliarsi esso pure come ovunque ei si recasse avesse sempre ad abbattersi nello imperatore, e trovarlo sempre girovago a consumar le ore in ozio. Il giovine fu inviato già due volte nel Caucaso, e potea finire in Siberia.

(22)Haxthausen narra fatti che sembrerebbero favolosi, e soverchiano certi aneddoti che talora si narrano sulla fedeltà delle Consegne Svizzere — Aveva dato in secco un bastimento sulla Neva, e si diè ordine ai soldati di salvar l’equipaggio, e innanzi tutto gli uffiziali: i miseri già eran per affogarsi e pochi potevan parlare: e i soldati s’affaticavano piucché a trarli dall’onde a inchiederli chi tra loro erano uffiziali,e abbandonavano chi non avesse fiato a rispondere. — In altra occasione ordine era dato che i militi innaffiassero ampiamente un largo piazzale da rivista in tempo di grande aridità ecalore; piovve nel frattempo piucché abbondantemente; ma non perciò i soldati si trattennero dall’eseguire l’incarico.

(23)Per dare un’idea precisa e viva del come si rendeva giustizia tra i militari in Russia, vogliam riferire con tutti i particolari un fatto che menò rumore nel 1837, e mostra in pieno lume la barbarie dei processi giuridici dei consigli di guerra moscoviti.

Una commissione militare riunita nella piccola città di Troìanoff, presidente il Barone Ungerò colonnello degli ussari Alessandria, doveva giudicare un giovine tedesco al servigio della Russia. — Stava in mezzo alla sala del consiglio una tavola coperta di panno verde, e su d essa collocati un enorme specchio d’argento, e un crocefisso d'ebano: questo a rammentar l’onnipossente, quello a simboleggiare (com’è universal costume dei tribunali Russi) la presenza del Sovrano, onnipossente della terra, principio, ragione, e fine di tutto ciò che si opera nello impero. — I membri del consiglio, fra cui erano un offiziale e un soldato, avendo preso posto attorno alla tavola, l'auditore, o il capitan relatore diede lettura dell'incarto redatto sul fatto sommesso all'attuale decisione. — Ecco di che si trattava.

Giorgio Federico Anguel, nato a Dresda in Sassonia, di nobil famiglia e nella età di 26 anni, era portabandiera nel reggimento Ussari d’Alessandria; e stava per esser nominato offiziale, quando videsi arrestato egettato ili carcere per dar conto di grave delitto innanzi al consiglio di guerra. Era accusato di aver provocato a duello e minacciato d'un colpo di pistola il capitano dimissionario Tchingueri pel cui ordine aveva un tempo ricevuto 100 colpi di bastone.

Dopo la lettura del ristretto processuale, vieti condotto l’accusato, carco di ferri, da quattro soldati che gli tengon levate sul capo le sciabole ignude. — L’uditore legge una seconda volta il rapporto, e il presidente dice all’accusato: — che avete a rispondere? Noi eravamo di stanza nel villaggio di Solotvine. Il capitano Tchingueri ed io ci incontravamo sovente presso il curato del villaggio, che aveva una vezzosa figliuola, cui il capitano faceva assidua corte: alcune parole scambiate da me colla fanciulla mossero la gelosia del capitano: e, credendomi rivale, m’intimò di mai riporre il piede nella casa del curato. Obbedii corri’ era mio debito. — Intanto il capitano, che non s’era rimesso dall'odiarmi, inviommi un giorno a vigilare certi cavalli che erano stati mandati a pascolare a due leghe da Solotvine. Non appena fui giunto sul luogo del pascolo, che, sopraggiunto il capitano senza far motto, e senza causa alcuna di punizione fecemi spogliare, e ordinò ad alcuni soldati ivi presenti di darmi cento colpi di bastone: e l'ordine fu sull'istante, eseguito. Io svenni prima della compiuta pena, tra per l’onta, tra pel dolore. Ripresi i sensi mi trovai all'ospedale, e vi rimasi lungo tempo malato per la febbre e le piaghe riportate: quando ne uscii seppi che il capitano Tchingueri aveva dato da poco la sua dimissione. Questa notizia mi riempie, di gioia, sendo il mio carnefice divenuto a me uguale; e lenendomi disonorato e infamato pel trattamento sofferto se non nc avessi soddisfazione, mi recai a chiedergliela: ma ne fui brutalmente scacciato: e io non potei rattenermi dal minacciare vendetta.

Allora seguì questo dialogo. — Il Presidente:dove sei stato educato? — L’accusato:all'università di Erfurt in Germania. — Benissimo: ed è ivi che apprendesti a pensare stranamente e a parlare arrogante? — Mio colonnello io penso che ogni militare si sarebbe comportato del pari, trattandosi di difendere il proprio onore. —

Dopo questo breve interrogatorio l’accusato fu tratto fuor della sala. Il presidente rammentò ai membri del consiglio le pene stabilite per la insubordinazione. Poi interpellando il soldatoche siedeva fra i giudici, lo richiese del proprio parere. — Il soldato(alzandosi): mio colonnello, io non ò alcun parere. Punite l’accusato a piacer vostro. — Il sottouffiziale:io mi rimetto al vostro giudizio per la condanna dell'accusato. — Il trombetta:sull’onor mio e la coscienza, io credo che il portabandiera Anguel sia innocente, e voto per l’assoluzione. Lo stabs-capitano(uditore): io lo dichiaro, colpevole, e chieggo che si faccia passare per una volta sotto alle verghe di uno squadrone, sia privato del grado per due anni, e per più lungo tempo ancora se mal si conduca. — Il capitano:io credo Anguel colpevole e voto per due giri sotto le verghe di uno squadrone con degradazione preventiva. — Il maggiore:uguale è il mio voto. — Il luogo tenente-colonnello: eanche il mio. Il Presidente:il mio pure; e aggiungo che Anguel e un soggetto pericoloso per lo Stato.

La sentenza fu sottomessa all'imperatore; il quale la sottosegnò in questi termini. «Approvo:ma ordino che il colpevole passi tre voltesotto alle verghe di duesquadroni, e sia destituito dal suo grado per sempre, senza lasciare inoltre il servigio militare, né ottener mai avanzamento,La sentenza sia eseguita senza indugio.»

Un testimonio oculare così narra il supplizio eseguitone. «Trecento sessanta ussari muniti di sode bacchette di rovere si disposero in due file. Il condannato giunse legato e trascinato da soldati. Era un giovinotto di fisonomia distinta, dal cui aspetto trasparivan meglio i patimenti sofferti che la tema del supplizio. Data dall'uditore lettura della sentenza, Anguelfu spogliato e denudalo sino alla cintola. Le braccia gli legarono strettamente sul petto girando la corda intorno al collo: alcuni soldati ne ritennero i capi. Due ussari dinnanzi e due dietro al paziente stavano apparecchiati a marciare colle sciabole nude appuntategli al corpo per impedirne il moto o troppo veloce innanzi, o retrogrado. Alla voce del colonnello, che gridò: colpite!incominciò il supplizio. Ciascun soldato colpiva alla sua volta. Varj uffiziali marciando al di fuori delle file sorvegliavano l'energia dei colpi, e fecer tosto sortire un milite che poca ne avea adoperata, per quindi infliggergli la medesima punizione. Anguel, che dapprima aveva represso ogni grido di dolore, non potè più contenersi. Il sangue scorreva a torrenti: aveva le spalle e le reni in brani, e un sol giro era compiuto. Al secondo i soldati dovettero sostenerlo: al terzo, trascinarlo su d’una carretta coricato sul ventre e legato. L’infelice fu quindi portato all'ospedale presso a certa morte.»

(24)I piccoli Russi son riputati altissimi alla cavalleria: e l’Europa per inesplicabil pregiudizio tiene questi per un popolo cavalleresco. Ma erronea è l'opinione, e deriva unicamente dal confondere i Russi coi Tartari e i Cosacchi. Il vero Russo non sale mai a cavallo, ma e abile invece a guidar cocchi e vetture. I piccoli Russi danno sufficienti cavalieri, il che è più strano, se si consideri che son coloni i più abituati soltanto a pascere e condurre mandre di buoi.» (Haxlhausen op. cìt).

(25)Il Morning-Chroniclediede su quella guerra alcuni interessanti dettagli, che qui riportiamo.

«I farmachi inviati da Pietroburgo non erano preparati: la chinachina era in bastoncelli: i varii sali non erano ridotti in polvere; e mancando ogni strumento necessario ad eseguire le diverse preparazioni farmaceutiche, tutti i medicamenti furono rincassati, e rinviati intatti a Pietroburgo terminata la guerra. Per lo che l’armata Russa dové farne senza. Un oncia di solfato di chinina valeva mille rubli. All’assedio di Silistria l’armata Russa contava 16 mila maiali pressoché lasciali in obblìo, che sola avevan per curarsi acqua mista ad aceto. I malati eran posti al coperto sotto provvisorj ripari con tettoje di paglia. Morti, o appena ridotti agli estremi, si trasportavan tosto sotto una capanna dove una compagnia d’infermieri era pronta per sotterrarli, morti o semivivi che lor capitassero, bastando a mala pena il tempo per scavar di continuo le fosse. Gliinfelici che erano lì trasportati non ricevevano più cura di sorta ed eran considerati come cadaveri.

«Era tale la mortalità che, fin dai primordj della guerra un reggimento partito da Bukarest con 2200 uomini vi rientrò sei settimane dopo ridotto a 263 senza che si fosse scontrato coll’inimico: tanti n’eran morti di fame e pestilenza. Di alcuni reggimenti di cavalleria rimasero 17 uomini: enel 4 corpo che sofferse più di tutti perirono circa 600 sopra ottocento soldati.

«Il corpo che il Maresciallo Dichitch riunì per passare i Balkani sommava a 20 mila uomini; e giunse ad Andrinopoli con soli 11 mila: al momento di sloggiare dalla città, dopo brevissimo soggioruo, n’eran rimasti soli 2300.

«Il registro delle morti nell’armata durante le due campagne del 1828 e 1829 portava il numero dei morti a 258 mila.

«Quando le truppe Russe, dopo la pace d’Andrinopoli, ripassarono i Balkani e sgomberarono la Bulgaria, rimase a Silistria una guarnigione di 6 mila uomini: questa ebbe più d'un rinforzo, e ciò non ostante in capo a quattro anni era ridotta a 1500 uomini. Le malattie avevan distrutto il rimanente. Spaventevoli guasti fece a Silistria la peste, resa quasi endemica.

«Niuno insegnamento trassero i Russi da sì gravi lezioni; né per questo migliorò o si fè più saggia e previdente l'amministrazione di loro armate Nell’occupazione dei principali la mortalità fu ancora più considerevole per malattie cagionate da' malsani cibi, dilapidate essendo da' capi le vistose somme destinate a fornirne di buoni.

«La mortalità di cavalli e bestiami era pur gravissima, Intere divisioni di cavalleria rimasero a piedi; e nella prima guerra ne’ Principati, sopravvenuta una epizoozia perirono 419 mila capi di bestiame.

Il numero dei cavalli che morirono avanti a Rustchuk fu sì considerevole, e tanta incuria ponevano i Russi a sgombrarne i carcami, donde infettavasi palesemente l’aria, che accorrevano dalle estreme posizioni dell’armata i cani che la seguivano a divorar quegli avvanzi attirati dal fetore che sì di lontano spargevasi. E nelle lande della Bulgaria le truppe russe eran sempre accompagnate da stormi di aquile ed avoltoj pronti a slanciarsi sugli animali che venivan cadendo tra via.

(26)Narra Haxtansen nell’opera più volte citata che gl'Inglesi celiano spesso dell'offizialitàRussa di Marina,perché parecchi di essa si piacciano a portare gli speroni asserendo di essere prossimi a passate in Cavalleria.

(27)Narrasi di un colonnello Polacco che avendo il suo reggimento in guarnigione a Zamose, domandò al Granduca Costantino l’autorizzazione di formare una piccola biblioteca a sollievo dell’offizialità: ed il Principe gli mandò in risposta il codice dei regolamenti militari di Russia.

(28)L’opera, che ne diede le tracce per questo riassunto, è quella pregevolissima pubblicata di recente da Leonardo Chodzko — Carta degli ingrandimenti di Russia da Pietro il Grande insino ad oggi.

(29)Il principe Sanguzko erede d’una delle primarie famiglie di Polonia aveva preso parte alla rivoluzione. Fatto prigioniero venne condannato alla perdita de' titoli e del grado, all'esilio e alla confisca dei beni. La sentenza fu recata allo Czar, e speravasi volesse mostrarsi generoso col Principe prigioniero. Ma egli nel segnar la sentenza, vi aggiunse in margine: il condannato viaggi a piedi.

(30)Discorso del sig. Cutlar Ferguson nella Seduta della Camera dei Comuni del 28 Giugno 1832.

(31)Piucché gli atti in sé stessi, i termini dei decreti, addimostrano lo spirito che li dettava. Vi si trova, a mo’ d’esempio, una Contessa Malackowska spogliata de' beni per aver dimorato in Polonia col marito. Un Ruczinski, perché suo figlio era in Polonia durante la rivoluzione:Un Roniker, perché suo figlio trovavasi fra gli studenti di quel Regno: un Miaskowski, perché aveva avuto un figlio tra gl'insorti: madama Zagorska, perché ita in Galizia senza permesso del Governo:una signora Wydzga, perché suo figlio era ito in Polonia:un Pruszinscki, perché avea un figlio in Austria: un Wiszniewski, perché aveva soggiornato inCracovia. una Signora Fafins, perché suo figlio aveva abbandonato il paese senza permesso del Governo: Queste sopo espressioni precise dei Decreti,e non esagerazioni. Son ordini emanati dopo più e più anni dalla riportata vittoria, e quindi lungi dal pericolo, e per vero animo e deliberato volere d’inumanità.

(32)Una sola ordinanza del 9 (21) Novembre 1831 prescrisse la deportazione di 5 mila famiglie di gentiluomini polacchi per ogni governo o ripartimento. E siccome il Governatore di Podolia a cui era diretto quest'ordine chiedeva nuove e più precise istruzioni per porre o nò ad effetto il comando imperiale, gli fu risposto dal Ministro dell'interno in data di Pietroburgo 6 (13)Aprile 1832 che fosser deportati «1.° tutti quelli che avendo cooperato all'ultima insurrezione eransi presentati al termine stabilito a dar prova di loro pentimento;e quelli eziandio, che essendo stati compresi nella terza classe di colpevoli, avevano meritato f alta grazia e il perdono di sua Maestà:2.° le persone che, pel loro sistema di sociale condotta e dietro le informazioni delle autorità locali, ispirano apprensioni e' diffidenza al Governo, e possono divenirsospette.» Il Ministro poi continuava:—Sua Maestà confermando queste disposizioni si è degnata di aggiungervi di propria mano: —Questi regolamenti debbono essere adottati non solo pel Governo di Podolia, ma ancora per tutti i Governi occidentali cioè Wilna, Groduo, Witebsk, Mohilew, Bialvstok, Minsk, Volinia, Kiovia; moltiplicate, e si ànno in tutto45 mila famiglie da deportarsi. Innoltre Sua Maestà à ordinato: 1.° Che in verun caso il Governo sarà responsabile dei debiti dei deportati, i quali non potranno essere precedentemente avvisati: i loro creditori agiranno in conformità delle Leggi, ma non sarà loro concesso di porre ostacoli, o ritardare la deportazione: — 2.° Siano deportati gl'individui capaci di lavoro; le rispettive famiglie potranno raggiungerli più tardi: 3.° i succitati gentiluomini non proprietarii, che non anno rendite né occupazioni fisse, che cangiano di luogo e di residenza, ed oziosamente vivono senza uno Stato,saranno deportati sulla linea del Caucaso, e incorporati tra i Cosacchi; e siccome d’ora innanzi essi apparterranno alle Truppe cosacchi, perciò alla loro Colonia dev'essere interdetta ogni menoma relazione coi sunnominati gentiluomini polacchi.

(33)Nel Regno di Polonia propriamente detto le classi povere vi contano per 19 ventesimi sul totale della popolazione, di guisaché sottrarne i fanciulli maschi, era la stessa cosa che far disparire la grande maggiorità della generazione crescente. Nelle provincie incorporate alla Russia (Lituania, Samogizia, Volinia, Podolia, e Ucrania) questa misura fu pienamente applicata a tutti i fanciulli poveri, e si fece buono questo ingannevole espediente; tutti quelli che avessero bisogno di soccorsi pei loro figli furono invitati a mezzo dei Commissari! di polizia a venir ad iscriversi nell'ufficio di questi funzionarli. A Varsavia e nelle provincie molti padri di famiglia poveri, e ingannati da questo perfido appello, caddero nell'agguato lor teso, e registrarono i loro nomi indicando il numero dei loro figli. Le Autorità Russe, non appena ebbero completati tali elenchi, fecero strappare dai domestici lari i figli di questi sciagurati, affermando che il munificentissimo Imperatore li prendeva sotto la sua protezione per farli educare. Si agì con meno riguardi verso i soldati. e sottoufficiali dei veterani; colla forza si portaronovia i loro figli, quantunque i più di questi miseri padri domiciliati a Varsavia avessero abbastanza mezzi per educare la giovane famiglia. Si osò anche più: per compiere più sollecitamente una tale operazione ed evitare le opportune ricerche, nelle scuole elementari delle parrocchie di Varsavia e dei circondarii di Varsavia si praticarono vere razzie che diedero in mano degli esecutori Russi un numero assai rilevante di fanciulli maschi: così tutti gli istituti di beneficenza perdettero i lor giovani alunni pensionarii. Noi citeremo fra gli altri la scuola stabilita nelle caserme di Alessandro per i figli dei soldati, e l'ospizio di Gesù Bambino consacrato ai trovatelli. La Polizia ferocemente interpretava ed eseguiva l'ukase imperiale; la sbirraglia del Maresciallo Paskiewitck violava domicilii, crudelmente insultava al dolore delle madri, e lasciava spavento, dolore, edisperazione in ogni povera famiglia. Il 5 maggio 1832 quattro convogli ciascuno di 150 fanciulli erano statigià segretamente spediti dalla sola Varsavia. Il 17 dello stesso mese di pien giorno fu organizzato il quinto convoglio formato da venti e più carri su cui erano accatastati giovinetti dai 6 ai 17 anni. Quel giorno (il 17 maggio), scrive un testimonio oculare, l’acqua cadeva a torrenti, le strade erano deserte: all’improvviso si ode un rumor di vetture confuso al suono dei passi dei cavalli, e quindi gemiti, urla disperate e gridi strazianti di donne. Era una caravana di fanciulli che, partita dalle caserme di Alessandro, si avvanzava verso il ponte di Praga attraversando il quartiere di Nowe-Miasto, la strada Podwale, e il Sobborgo di Cracovia. I riguardanti fremono e piangono a quella vista di orrore, e ciascuno gareggia di portare alle vetture provvisioni di tutta sorta, vestiti, e denaro per quegli esseri innocenti strappati barbaramente e per sempre alle loro famiglie». Il maggior numero di questi infelici dovette soccombere alla fatica, al dolore, alla privazione. Alcune volte dessi erano costretti a camminare a piedi, quando le piccole vetture erano piene e stipate di malati. Erano abbandonati sulla via, lasciando loro una scarsa provvigione di alimenti per due o tre giorni, se la stanchezza, e lo stremamento di ogni forza li rendeva impotenti a rialzarsi e proseguir il viaggio.

(34)Il Marmier dové far ricorso all’autorità di un generale per procacciarsi un piccolo Volume stampato a Varsavia nel 1820, col titolo di Guida del Viaggiatore in Polonia,la quale, soggiunge questo Scrittore, «a guida la più pacifica e la più innocente che mai possa immaginarsi». I Censoè lri in un’opera del tutto insignificante soppressero le parole: rivoluzione francese, e vi sostituirono cangiamento politico. Un Archeologo non potè pubblicare un lavoro sulle medaglie polacche intitolandolo Numismatica della Polonia, ma fu costretto a dargli il titolo di Numismaticadel paese!

(35)Molti nobili durante la detenzione furono privati dell’antico privilegio di non andar soggetti a pene corporali. Un giornale pubblicalo a Pietroburgo, l‘Ape del Nord,ne fa l’ingenua confessione con tutta sicurezza di coscienza. Secondo questo periodico, la pena del Knut non s’infliggeva che in forza di un giudicato; ma le altre pene come la fustigazione, i colpi di bastone etc. «furono adoperati conte strumenti di giudiciale inquisizione durante il corso del processo.»Né ciò ètutto: alti d’inaudita ferocia deturparono questo tremendo episodio della| reazione: Michele Wolowicz era morto, combattendo; il suo cadavere fu trascinato alla forcaper essere appeso con le ordinarie regole di simile supplizio. La damigella Kavecka, giovinetta di 18 anni, fu condannata a morte e fucilata a Lublino per aver prestato soccorsi e viveri agli insorti. L’Imperatore Niccolò si vendicava in tal guisa. Un Polacco, arruolato a forza nelle truppe russe, diserta e va a cercare asilo sotto il tetto materno, ove egli con tutta fidanza era spinto a gittarsi nelle braccia di una madre che ama, e a cui, calcolava egli, sarà lieve sacrificio l’affrontare qualsivoglia pericolo per salvarlo. Ma l’infelice s’ingannava. l’influenza del despotismo, e il terrore sparso dovunque e in tutte le classi erano già penetrati anche in quel silenzioso e povero abituro. Quella madre spaventata del castigo minacciato a chi avesse dato ricetto ai disertori polacchi, và a denunziarlo alla autorità russa, senza che, infame donna, ne facesse motto al figlio perché avesse agio di mettersi in salvo. Intanto l’autocrate e dalla voce pubblica e dalla cortigianesca turba è istruito di questo delitto, che non à nome in alcuna lingua, perché le umane società l'ànno supposto impossibile a verificarsi. L’imperatore di tutte le Russie non ne rimase indignato, non maledisse la madre snaturala, ma invece pieno d'entusiasmo per questo mostro di natura, gli decretò una medaglia d’onore e gli assegnò una pensione.

Né ancora si è detto quanto basta per mostrare di qual tempra sia il Governo Russo. Quand'esso à bisogno di pretesto per motivare nuove misure di rigore, ricorre anche all’espediente di architettare fantastiche cospirazioni. Né ciò gli è difficile per la molta abilità e insuperabile sfrontatezza dei cagnotti di sua polizia. Nel corso dell'anno 1844 in seguito alla pretesa scoperta di una di queste segrete società politiche, una commissione di eccezionale procedura condannò tre Polacchi ai lavori forzati a vita in Siberia, e altri dieciotto a cinque, e dieci anni con la confisca dei beni. Si giunse perfino, ad accusare di congiura contro lo Stato gli alunni di un Collegio di Varsavia, veri ragazzi a cui ancora non potea cadere in mente che cosa fosse politica; e che se anche avessero creduto o sognato di cospirare o meglio rappresentare una commedia di cospirazione, meritavano al più che loro si desse per tutto castigo un semplice scolastico pensum.Eppure gli scolari dai 13 ai 14 anni furon trasportati in fondo alle orride steppe della Russia, e i. maggiori di età sulla linea del Caucaso per servirvi come Soldati nel corpo d'operazione. Quasi alla stessa epoca, un tentativo d’assassinio sulla persona del direttore della polizia di Varsavia diede luogo a numerosi arresti. La lettera che comunicò in Francia questa notizia aggiungeva.

«Si sottopongono i prevenuti alle più terribili e strazianti torture, per strappar loro di bocca la confessione del preteso delitto. Di tal modo a questi infelici non si somministrano che cibi salati e loro si niega di ber acqua. Molti sono stati condannati al Knut, nessuno à potuto durare all’esaurimento completo della pena; ma son morti tutti dopo aver ricevuto un certo numero di colpi: però si è continuato ugualmente a percuotere e manomettere orribilmente i loro cadaveri. I parenti di questi sventurati sono stati costretti ad assistere a sì straziante e feroce esecuzione.»

(36)I preti russi si sparsero da ogni lato per fare proseliti. La loro audacia crebbe in ragione dell’impunità ad essi assicurata, e così questi pii energumeni fecero lecito e buono ogni mezzo il più infame. Dessi nel 1835 invadono le terre del sig. Makowiecki, ricco proprietario del distretto di Witebsk, e danno tosto opera all'esercizio di loro missione. I paesani confortati dal loro Signore oppongono una vigorosa resistenza; i missionari! russi ne informano il governo, il quale a nome dell'Imperatore manda ordine immediato venga tolto ogni possesso di beni al sig. Makowiecki, e sia il proprietario, rilegato in Siberia. I preti spalleggiati dalle baionette russe, incrudeliscono nella rinovellata missione; e quegli infelici paesani, dopo due anni di gagliarda resistenza, son costretti ad abbracciare il rito scismatico. Allora l’imperatore trasmette al Ministro dell’interno Nicolaiewitck Blondoff il seguente decreto, rimarchevole per un tratto della più amara ironia: «Rendete a Makowiecki la libertà e le sue terre, poiché tutti i suoi paesani si son convertiti alla Russa ortodossia». Né soli furono impiegati i mezzi violenti e crudeli per diseredare la misera Polonia della religione degli avi suoi: altri ancora non meno odiosi e tirannici segnalarono il brutale dispotismo dello Czar. Per esempio si. fece a Mosca un’edizione del Messale per uso del Clero grecounito, nel quale si erano sostituiti i riti nella Chiesa russa a quelli del culto Ruteno; e i preti della Chiesa unita furono costretti a servirsi esclusivamente di questo libro in tal modo adulterato.

(37)La lettera era del 25 Febbraro 1839, e del tenore seguente. «Santissimo Padre. Adempio un dovere dolcissimo al mio cuore nell’esprimere a Vostra Santità, da quali profondi sentimenti io sia compreso per le delicate e affettuose premure prodigate a mio figlio nel suo soggiorno in Roma. La gentile accoglienza e la paterna bontà di cui volle onorarlo la Santità V. gli à ispirato tai sentimenti di gratitudine, che io con tutta sincerità non posso che dividere con lui. Racchiudo nel fondo del mio cuore i voti da Voi indirizzatimi, o Santissimo Padre, nel raccomandarmi gli interessi della Chiesa latina ne’ miei Stati. Mio figlio mi à esattamente ripetute le amorevoli parole che Vostra Santità si degnò pronunciare a mio riguardò. Sono lieto di poter corrispondere a tanta bontà colf assicurare di nuovo la Santità Vostra, che fra miei primi doveri avrà sempre per me maggiori attrattive quello di proteggere il ben essere dei miei sudditi cattolici, di rispettare le loro convinzioni, di assicurare la loro tranquillità, ecc.

(38)Nei primi momenti furono poche e non audaci le esigenze dei preti russi. Si limitavano, per esempio, ad imporre ai Greci uniti che nelle loro Chiese cantassero preghiere per lo Czar e la sua famiglia: che suonassero le campane battendole d'un sol lato: che l'altar maggiore fosse posto quasi in mezzo della Chiesa, siccome e costume del culto greco-russo, e molte altre piccole e basse soperchierie dalle quali appariva purtroppo la funesta mania del prete ignorante, e fanatico. Ma i Greci uniti non portarono sempre in pace le odiose prove di questo dispotico regime; vollero resistere, e allora non mancarono pretesti alle vendette e alle persecuzioni. Nel 1833, e 34, la carestia desolava i paesi della Russia Bianca. I Popi russi vollero trai partito dalle angoscie dell'indigenza, e promisero un mezzo sacco di farina ad ogni abitante che sottoscrivesse l’atto diadesione alla Chiesa dominante. I poveri affamati accorsero a stuoli; si fé’ ad essi firmare il registro con una triplice croce, e quindi s’intimò loro di andarsene. La promessa del mezzo sacco di farina fu tosto dimenticala, e così di rincontro i paesani credendosi a buon dritto sciolti da ogni vincolo di promesse, facean ritorno alle loro antiche abitudini religiose; ma que’ tapini erano man mano arrestati, e a colpi di bastone si costringevano a dichiarare che mantenevano la loro promessa di assoggettarsi ai dogmi e al rito della Chiesa dominante. Per raggiungere il medesimo scopo, agli schiavi si prometteva la libertà in prezzo della loro apostasia. Ma questi meschini rinnegati non appena avevano assaporato per qualche grano le dolcezze della personale indipendenza, che già la forza li trascinava di bel nuovo alla gleba, e la spietata ragion del bastone imponeva ai renitenti obbedienza, sommessione, e tutte le tristizie del più duro servaggio.

(39)Una lettera che narra le gesta di tal funzionario, aggiunge. Il prete Giuseppe Sosuowshi curato di Kleschtchele in Lituania, vecchio settuagenario, fu strappalo dalla sua casa parrocchiale e messo in carcere. Il prete Michele Onacéwicz, decano a Groduo in Lituania, privato del suo beneficio di Creslow e di tutto ciò che possiedeva, morì di stenti e di dolore; il nepote di lui, il prete Giovanni Tawaszhiéwicz, citato a comparire dinnanzi al concistoro di Zyrowitzè in Lituania, vi fu condannato e costretto ai più umilianti servigli nelle fabbriche del Seminario. Né questo è tutto: una commissione composta di impiegati del governo e di preti apostati fece intimare agli abitanti del Villaggio di Woradszkoff di comparire innanzi ad essa. Trascinati con le più brutali maniere da agenti di polizia in cospetto del tremendo tribunale, essi dovettero firmare uno scritto, precedentemente preparato in cui era detto: che quei sciagurati desideravano abiurare la religione cattolica romana, e abbracciare l'ortodossa russa. I renitenti furono caricati di ferri, e in mezzo ai più intensi rigori della invernale stagione si gettarono entro bagni freddi, che con raffinata crudeltà si facevano empire di un fumo fetido e soffocante. Per quattro giorni quei tapini dovettero soffrire le mille torture della fame, del freddo, le più umilianti ingiurie, e le più disumane ferocità dai loro custodi. Molti caddero gravemente malati, e alcuni ridotti allo stremo della vita. Altri però, affranti dai patimenti e spaventati dalle terribili conseguenze del loro rifiuto, consentirono a firmare la dichiarazione sopraccennata. Fin da quel momento furono fatti certi che dessi non appartenevano più alla Religione Romana, e colle minaccie delle più inesorabili pene fu loro interdetta ogni pratica del culto cattolico. Ma queste vittime deldispotismo, questi fedeli credenti profondamente afflitti di una apostasia ottenuta con morali e fisiche torture, protestarono contro la patita violenza e se ne richiamarono al Decano della loro Chiesa, perché li assolvesse da un giuramento che dessi avevano prestato per sottrarsi al martirio. Ma lo Czar avea già previsto e calcolato che tali violente conversioni sarebbero o presto o tardi ritrattate, e fu sollecito di precorrere a questo scandalo con la minaccia delle più severe e terribili punizioni. Al contrario furono accordate larghe ricompense ai preti cattolici romani o greciuniti, i quali abiurassero la religione avita per adottare lo scisma russo. Un ukase del 2 Gennaio 1839, dava piena amnistia a qualunque cattolico condannato come ladro od omicida, al carcere, al knut, alle mine, purché confessasse la fede della Religione dominante. E di rincontro un nuovo martirio insanguinava la sventurata Polonia. Il venerabile abbate Dombrowski, esule per molti anni in Francia affrontò il pericolo di restituirsi travestito in patria, ove lo chiamavano i più importanti affari di sua famiglia. Fu scoperto, arrestato, e condannato a ricevere 150 colpi di bastone. Al cento quarantesimo settimo colpo morì!!

(40)Veggansi i gravi termini del Dispaccio 14 gennaio 1855 del Signor di Nesselrode al barone di Brunow.

(41)Il principe Mentschikoff era scontento di tutto, e di tutti. Egli, unitamente al Gabinetto di Pietroburgo, mostrava un vivo risentimento contro l’Ambasciator francese, il sig. Lavalette, a cui facea una colpa dell’attitudine poco conciliativa é benevola, mentre che questo diplomatico avea piuttosto peccato di una soverchia indulgenza. Per allontanare ogni pretesto di mala intelligenza, si richiamò il signor di Lavalette. Al principe Mentchikoff spiaceva pure Fuad Effendi; e questi fu sacrificato. La Russia avea pretesa l’evacuazione del Montenegro; e il Montenegro fu sgombrato. In una parola, ogni possibile concessione fu fatta a questa politica esigente e incontentabile. Tempo perduto! La Russia continuava i suoi armamenti. Ma infine l’inviato dello Czar, stretto da invincibili argomenti che provavano la Turchia e la Francia essere animate dai più pacifici sentimenti, cominciò a lamentarsi in altro tono, perché il Sultano Abdul-Medjid non avea corrisposto con abbastanza cordialità, come suo padre Makmoud, alle offerte di amicizia del l’imperatore Niccolò; perché subiva troppo apertamente l’influenza di governi, e di persone avverse e ostili a Russia, e perché non manifestava alla Corte di Pietroburgo il dovuto rispetto, e quella alla considerazione che ben poteva meritare.

(42)Infatti la Francia era perseguitata il più animosamente dal Gabinetto Russo, mentre dava opera a guadagnarsi l’alleanza dell’Inghilterra. Esso non lasciava intentato alcun mezzo per separare le due potenze amiche, prodigando adulazioni e promesse al gabinetto di Londra, e destando con raffinata abilità i suoi sospetti contro quello di Parigi, dipingendolo come animato dalle più ingiuste ed esorbitanti pretese, e trascinato dalla più terribile e infrenabile ambizione. L’Inghilterra parea credesse a queste ingannevoli parole, e ritardasse la partenza delle sue flotte verso i Dardanelli, ove già erasi presentata la squadra Francese.

(43)Tutti i portamenti di Russia nella questione di Oriente furono segnalati dall'astuzia, e dalla doppiezza. Di tal guisa mentre Francia a Pietroburgo proponeva di trattare direttamente coll’Imperatore, questi che si diceva disposto a intavolar negoziati a Costantinopoli, non trasmetteva al Principe Mentchikoff alcuna istruzione a ciò relativa: il quale invece divertivasi a dar buon parole all'ambasciatore Francese, e a nascondergli l’oggetto della sua missione. I confidenziali colloqui di Niccolò con Sir Hamilton Seymour, attualmente da tutti conosciuti, avevano rivelato all’Inghilterra i più segreti pensieri dell'Autocrate. Nel mentre che a Costantinopoli e a Parigi non si tenea proposito che dei Luoghi-Santi, a Pietroburgo. si dichiarava apertamente alla gran Brettagna (di cui ricercavasi con tutte le arti l'alleanza) che si voleva finirla col malatoche, come si diceva allora, era morente sulle rive del Bosforo. Qui si proponeva la divisione delle spoglie dell'Impero Ottomano, là si protestava di voler rispettata l’integrità di questa monarchia. Della Francia non faceasi motto né calcolo, come se non valesse la pena di occuparsene. Ma l’Inghilterra indignata rifiutò di associarsi a questo vero progetto di pirateria. Niccolò profondamente ferito e irritalo di veder respinte le sue ambiziose insinuazioni a Londra, sperava di farle accettare a quella Francia medesima che aveva spregiata. Scrisse al gabinetto di Parigi, lo lusingò, lo accarezzò, accusò l’Inghilterra di mala fede e di ambizione, e propose all'Imperatore Napoleone di trattare gli affari di Oriente senza dipender affatto dalla conferenza di Vienna, ed escludendo in ispecial modo la gran Brettagna. In una parola, il Gabinetto di Pietroburgo offriva alla Francia quell'alleanza che precedentemente e senza alcun risultato avea offerto all’Inghilterra, e credendo di raggiunger meglio lo scopo, impiegava contro il Gabinetto di Londra anche la calunnia.

(44)Quanta verità fosse in questi paterni sensi, il dicano i seguenti fatti. Nel 1848 la Russia credè necessario di occupare la Moldavia e la Valacchia. Allora la Porta Ottomana, quantunque avesse tutt'altra opinione, pure si vide obbligata a prender parte all'occupazione nello scopo di non lasciare intieramente queste due provincie in mano dei Russi. Ma la condotta di queste due armate offerse un singolare contrasto. Il commissario russo, appena stanziato in quel povero paese, vi mise all'ordine del giorno ogni sorta di persecuzioni e d'innumerevoli proscrizioni. Fuad-EfTeudi al contrario dichiarava che il suo Governo in quest'occupazione militare non cercava pretesti di alcuna vendetta, energicamente protestando che la presenza delle sue truppe nei Principati non doveva convertirsi in flagello, ma in beneficio di quegli abitanti. Per il che le requisizioni di derrate per il mantenimento dell'armata turca furono scrupolosamente pagate, e non si ristette dallo adoperare ogni più acconcio mezzo perché i prezzi non si elevassero a segno tale da occasionare gravi perdite e sacrificii economici a quelle popolazioni. I Russi invece manomettevano, immiserivano il paese, e nulla pagavano. Le loro escursioni su quel territorio, diceva il Console generale d’Inghilterra sig. Cunningham, «potevan bene assomigliarsi ai guasti di una invasione di cavallette». I governi locali dovevano far le spese agli invasori; e in difetto di ogni risorsa pecuniaria furono costretti di prestare enormi. somme ai Russi, cioè a quel nemico istesso che loro imponeva il gravissimo insopportabile peso di quest'invasione. Il denaro prestato non potè essere rimborsato dagli abitanti, perché lo stremo della miseria rendeva impossibile ogni diretta contribuzione; e non aveano ancora estinto quel debito, quando l’occupazione dei Principati operata dai Russi nel 1853, venne ad accrescere la dolorosa serie di nuove e più tremende sventure private e pubbliche, di cui quei popoli erano stati, vittime nel 1848.



La guerra di Crimea (1853-1856) - Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito

1853
LETTRES SUR LA RUSSIE, LA FINLANDE ET LA POLOGNE PAR X. MARMIER
1855
CONDIZIONI INTIME E MISTERIOSE DELLA RUSSIA TRATTE DA DOCUMENTI AUTENTICI
1855
IL VERO AMICO DEL POPOLO - Domenico Venturini - 1855 (Gennaio-Giugno)
1855
IL VERO AMICO DEL POPOLO - Domenico Venturini - 1855 (Giugno-Dicembre)
1855
Sunto di geografia della Crimea e degli stati limitrofi illustrata da quattro carte diligentemente incise
1856
Discussioni alla Camera dei Deputati  del Regno di Sardegna - Trattato di pace - Parigi 30 marzo 1856
1856
La questione italiana al Congresso di Parigi nell’anno 1856
1856
La questione d’oriente - cause - andamento diplomatico - conchiusione della pace - protocolli e trattati
1856
Il trattato di pace di Parigi 30 marzo 1856 e le convenzioni annesse - seconda edizione
1871
La Russia e il trattato di Parigi del 1856 - Pensieri del cav. Pietro Esperson
1881
Il congresso di Parigi (1856) - Conferenza dell'on. comm. Giuseppe Massari
1882
Le guerre dell’indipendenza italiana dal 1848 al 1870 di Carlo Mariani
1891
Nicolas I et Napoléon III - Les préliminaires de la guerre de Crimée (1852-1854) d’après les papiers inédits de M. Thouvenel
1896
La spedizione sarda in Crimea nel 1855-56 narrazione di Cristoforo Manfredi compilata colla scorta dei documenti
2014
In Crimea nacque l’ITALIELLA. L’inizio dei misteri d’Italia passa per l’oriente di Zenone di Elea


vai su






Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










vai su





Ai sensi della legge n.62 del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità  del materiale e del Webm@ster.