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SILENT ENIM LEGES INTER ARMA - la legge sugli assembramenti affonda le sue radici... (Zenone di Elea -Dicembre 2021)

Dottor ARNALDO COBELLI

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La LEGGE DI PUBBLICA SICUREZZA

ANNOTATA

ATTI PARLAMENTARI — RAFFRONTI, RICHIAMI AL CODICE PENALE, CIVILE, DI COMMERCIO E LEGGI AFFINI — REGOLAMENTI — DECRETI — CIRCOLARI ED ISTRUZIONI MINISTERIALI - GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA B GIUDIZIARIA

ROMA

STAMPERIA REALE

DOMENICO RIPAMONTI

1893

(se vuoi, scarica il testo in formato ODT o PDF)
A SUA ECCELLENZA
ULISSE PAPA
CUI PER L’ANIMO INTEGRO
E LA CULTA MENTE
Il COLLEGIO DI CHIARI
DIEDE SEGGIO IN PARLAMENTO
E LA PARTE LIBERALE
ALTO UFFICIO
NEL GOVERNO DELLA NAZIONE
QUESTO STUDIO
MODESTAMENTE INTITOLA
A TESTIMONIANZA D’OSSEQUIO E STIMA
L'AUTORE

Offrire, in poche pagine e ad un prezzo relativamente mite, agli studiosi, la legge di 1. S. commentata articolo per articolo, e particolarmente illustrata (con la guida de maggiori interpreti) nelle parti che presentano qualche difficoltà; unire i più importanti decreti, i regolamenti e le circolari che ad essa si riferiscono; arricchirla di tutta la giurisprudenza anche nei suoi ultimi giudicati: ecco (intento del£ autore.

Se l’abbia raggiunto, sia giudice benigno il cortese lettore.

Roma, id luglio 1893.

TITOLO I

Disposizioni relative all’ordine pubblico ed alla incolumità pubblica

CAPO I

Delle riunioni pubbliche e degli assembramenti in luoghi pubblici

Art. 1 (Legge). — I promotori di una riunione pubblica devono darne avviso, almeno ventiquattro ore prima, all’autorità locale di pubblica sicurezza

Il contravventore è punito con l’ammenda di lire cento.

Il Governo, ih caso di contravvenzione, può impedire che la riunione abbia effetto.

Queste disposizioni non si applicano alle riunioni elettorali.


L’art. 32 del nostro Statuto così si esprime:

«È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz’armi, uniformandosi alle leggi che possano regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa pubblica.

«Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici od aperti al pubblico i quali rimangono interamente soggetti alle leggi di polizia. »

Ecco adunque come il diritto sancito dalla carta costituzionale di Carlo Alberto, viene moderato e regolato dall’art. 1 della legge di pubblica sicurezza, uniformandosi al quale il promotore di una riunione pubblica, deve, ventiquattro ore prima, darne avviso alla autorità locale di pubblica sicurezza.


Art. 1 (Reg.). — L’avviso per le riunioni pubbliche, di cui è parola nell’art. 1 della legge, deve essere dato per iscritto, colla indicazione del giorno, ora e luogo della riunione, dell’oggetto della medesima e colla firma dei promotori.

Dell’avviso sarà rilasciata ricevuta coll'indicazione dell’ora in cui fu dato.


Una deroga alla regola dell’avviso preventivo è stabilita per le riunioni elettorali sia politiche, sia amministrative, perché, durante il periodo elettorale, il legislatore ha creduto bene di lasciare al popolo piena facoltà di riunirsi per istabilire l’indirizzo della lotta, senza che l’autorità di P. S. possa intervenire, a meno che l’ordine pubblico turbato, non ne richieda l’intervento.

L’articolo stabilisce pure la pena per coloro i quali trasgredissero al precetto in esso stabilito che è fissata in lire cento di ammenda.

Dalla natura e quantità della pena ivi stabilita, sorgono, fra le altre, due conseguenze le quali trovano la loro base nello art. 10 del codice penale. La prima di esse è che l’azione penale per questa contravvenzione si prescriverà in sei mesi (art. 91, n. 6, cod. pen.), e la pena in 18 mesi (art. 95, n. 5 stesso codice); la seconda che alla pena stabilita in questo articolo può sostituirsi la riprensione giudiziale (cod. pen., art. 26).

— La legge non determina il numero delle persone necessarie a costituire la riunione o l’assembramento di cui all’art. 1 e 3 legge di P. S., onde questo giuridicamente esiste anche quando le persone riunitesi non siano in numero maggiore di sei o sette. — (Cass. di Roma, 3 maggio 1892; Cass. unica).

— L’ammenda comminata dall’art. 1 della legge di P. S., è pena fissa, non graduale. — (Cass. di Roma, febbraio 1892; Cass. unica).

— Anche una conferenza, che sia l’effetto di una determinazione improvvisa, e ad ascoltare la quale si riuniscano più persone pubblicamente, rientra nel disposto dell’art. 1 della legge di P. S.

Rettamente il conferenziere è ritenuto il promotore della riunione, onde ha l’obbligo di avvertirne ventiquattro ore prima l’autorità. — (Cass. di Roma, 27 gennaio 1893; Man. Astengo).


Art. 2 (Legge). — Qualora in occasione di riunioni o di assembramenti in luogo pubblico o aperto al pubblico, avvengano manifestazioni o grida sediziose che costituiscano delitti contro i poteri dello Stato o contro i capi dei Governi esteri ed i loro rappresentanti, ovvero avvengano altri delitti preveduti dal codice penale, le riunioni o gli assembramenti potranno essere sciolti e i colpevoli saranno denunziati all’autorità giudiziaria.


Anzi tutto è pregio dell'opera registrare la differenza grande che esiste fra i vocaboli riunioni ed assembramenti.

Il legislatore nostro così la definì:

«La riunione è il raccogliersi di persone dietro prestabilito concerto espressamente allo scopo di discutere, prendere una qualche risoluzione, fare atto insomma di volontà collettiva: la riunione è ciò che con una parola inglese dicesi meeting. L'assembramento invece è la congregazione di più persone, per lo più fortuita, in essa spicca il carattere della collettività: è più che altro il materiale agglomeramento di singoli individui. »

È quasi superfluo perciò far notare che trattandosi di fatto predisposto, si richiede l'avviso preventivo; non così invece per l'assembramento, cosa affatto accidentale e che non può essere anteriormente portata a conoscenza dell'autorità.

Passando ora ad esaminare l'articolo, da esso si desume che, dato il regolare avviso, le riunioni diventano legali; ed esse, come gli assembramenti, non potranno venire sciolte se non verificandosi uno di que' fatti che, qualificati delitti dal codice penale, sono dal medesimo contemplati negli art. 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 135, 246, 247.

Tutte queste norme disciplinano il diritto di riunione allorquando si eserciti in luogo pubblico od aperto al pubblico.

Per luoghi pubblici si intendono quelle località aperte a tutte l'ore per tutti, senza restrizioni di sorta (vie, piazze, ecc.): per luoghi aperti al pubblico quelli nei quali l'accesso è parimenti permesso ad ognuno, ma sotto determinate condizioni di tempo e modo (chiese, scuole, alberghi, teatri e simili).

A questo punto giova ricordare che la Cassazione di Torino, con sentenza 5 aprile 1882 ritenne luoghi aperti al pubblico, le carrozze dei treni ferroviari.

L’autorità di P. S. assisterà col ministero de' suoi funzionari ed agenti alle riunioni pubbliche per tutelare l’ordine (art. 2, Reg.), e per l’eventuale applicazione delle disposizioni di cui è parola negli articoli successivi, e potrà procedere allo scioglimento di esse denunziando poi i colpevoli all’autorità giudiziaria.

L’articolo quindi in disamina dice che tanto le riunioni, quanto gli assembramenti potranno, nei casi accennati, essere sciolti. E colla parola potranno il legislatore nostro ha voluto lasciare al funzionario un potere discrezionale di procedere allo scioglimento o meno, secondo le circostanze. Così qualora si verificasse un solo grido sedizioso, isolato, una manifestazione unica, basterà la denunzia del colpevole all’autorità giudiziaria.

La Corte di cassazione di Firenze, con sentenza 21 gennaio 1879, comprese nella parola manifestazione, lo spiegamento in pubblico di bandiere aventi la dicitura: Circolo repubblicano.,

Il reato di manifestazioni sediziose (così ebbe a ritenere la Corte di cassazione romana con sentenza 20 agosto 1892, Riv. Unica di Giur. e Dott., anno IV), e di eccitamento all’odio fra le classi sociali, può commettersi anche mediante il canto di versi che pure non siano stati incriminati al momento della loro pubblicazione.


Art. 3 (Legge). — Le grida e manifestazioni sediziose emesse nelle riunioni o negli assembramenti di che all’articolo precedente, ove non costituiscano delitti contemplati dal codice penale, sono punite coll’arresto estensibile fino a tre mesi.


L’articolo terzo, contempla il caso in cui le grida e manifestazioni sediziose emesse nelle riunioni od assembramenti, non raggiungano tutti gli estremi per costituire delitti contro i poteri dello Stato, contro i capi dei Governi esteri ed i loro rappresentanti o quelli previsti dal codice penale (vedi art. precedente).

Nel qual caso, trattandosi sempre di grida o manifestazioni numerose, si procede pure allo scioglimento, punendo i colpevoli coll’arresto estensibile fino a tre mesi.

L’arresto, pel vigente codice penale, si estende da un giorno a due anni, e si sconta negli stabilimenti destinati all'uopo con segregazione e con obbligo al lavoro.

Può farsi anche scontare in una sezione speciale del carcere giudiziario. — (Art. 21, cod. pen.).

La contravvenzione di cui all'art. 3 legge di P. S. sussiste non solo per avere emesso le grida e le manifestazioni sediziose, ma anche per aver preso parte all'assembramento, indipendentemente dalla ricerca se tutti o alcuni degli assembrati soltanto abbiano emesse le grida e le manifestazioni sediziose. — (Cass. diBoma, 3 maggio 1892, Cass u.).


Art. 4 (Legge). — Qualora nei casi preveduti dagli articoli precedenti, occorra di sciogliere una riunione pubblica od un assembramento in luogo pubblico od aperto al pubblico, le persone riunite od assembrate saranno invitate a sciogliersi dagli ufficiali di pubblica sicurezza, e, in loro assenza, dagli ufficiali o bassi ufficiali dei reali carabinieri.


In queste circostanze, il funzionario di P. S. deve (art. 3 Reg.) cingere la sciarpa tricolore; ed in sua assenza gli ufficiali e bassi ufficiali dei RR. carabinieri devono essere in divisa.

L’invito di scioglimento tanto delle adunanze, quanto degli assembramenti, è sempre dato in nome della legge; può essere unico o ripetuto, ciò dipendendo dalla volontà dell’agente di P. S., al quale anche è concessa dalla legge facoltà di rivolgersi prima alla presidenza del comizio per fare quegli uffici onde non si abbiano a verificare disordini spiacevoli, compromettenti l’ordine e la pubblica tranquillità.


Art. 5 (Legge). — Ove l’invito rimanga senza effetto, si ordinerà lo scioglimento con tre distinte formali intimazioni preceduta ognuna da uno squillo di tromba.


Come l’invito a sciogliersi, la intimazione che accompagna ognuno dei tre squilli di tromba deve pure farsi in nome della legge.

Né queste possono essere di numero minore di quello prescritto dallo articolo, a meno che una rivolta od una ribellione degli assembrati o radunati, ciò renda impossibile.

Non influisce che i tre squilli di tromba siano stati battuti in diverse località, quando gli assembrati abbiano potuto egualmente intenderli, ed udire del pari l’ufficiale di P. S. che li invitava a sciogliersi, senzaché vi abbiano ottemperato. — (Cass. di Tarino, 10 gennaio 1883: Giur. pen. tor.).

— Chiunque faccia parte di un assembramento, alle tre intimazioni, legittimamente fatte dall'autorità di P. S., deve ritirarsi per non incorrere nelle pene stabilite dalla legge. — (Cass. di Tarino, 10 luglio 1883; Giur. pen. tot.).


Art. 6 (Legge). — Ove rimangano senza effetto anche le tre intimazioni, la riunione o l'assembramento saranno sciolti con la forza, e le persone che si rifiutassero di obbedire saranno arrestate.

La forza potrà essere usata eziandio se, per rivolta od opposizione, non si potesse fare alcuna intimazione.

Le persone arrestate saranno deferite all'autorità giudiziaria e punite a termini dell’art. 434 del codice penale.

Art. 4 (Reg.). — Nel caso di scioglimento di una riunione o di un assembramento, a termini dell’art. 6 della legge, non si potrà adoperare la forza prima che il funzionario di P. S. o l’ufficiale o sott’ufficiale dei carabinieri, preposti al servizio, ne abbiano dato l’ordine.

Art. 434 (Cod. pen.). — Chiunque trasgredisce a un’ordine legalmente dato dall'autorità competente, ovvero non osserva un provvedimento legalmente dato dalla medesima per ragione di giustizia o di pubblica sicurezza, è punito con l’arresto sino ad un mese o con l’ammenda da lire 20 a trecento.


CAPO II

Delle cerimonie religiose fuori dei templi e delle processioni ecclesiastiche e civili

Art. 7 (Legge). — Chi promuove o dirige cerimonie religiose, o altro atto di culto fuori dei luoghi a ciò destinati, ovvero processioni ecclesiastiche o civili nelle pubbliche vie, deve darne avviso, almeno tre giorni prima, all’autorità locale di pubblica sicurezza.

Il contravventore è punito con l’ammenda sino a lire cento.


Come le riunioni e gli assembramenti in luogo pubblico, così le processioni ecclesiastiche e civili, vanno soggette alle prescrizioni di legge relative all'avviso preventivo, non di 24 ore, ma di tre giorni almeno: viene dato all’autorità locale di P. S. per iscritto ed in carta libera, come ha stabilito colle sue istruzioni di massima il Ministero dell'interno. Sarà poi firmato dai promotori ed indicato il giorno e l’ora in cui tali processioni avranno luogo, nonché l’itinerario da seguirsi.

Di questo avviso verrà rilasciata ricevuta coll’indicazione dell’ora in cui fu dato. — (Art. 5 reg).

Contro i trasgressori la legge commina la pena dell'ammenda fino a lire cento.

Per l’art. 7 della legge di P. S., non è necessario che l’avviso per compiere processioni religiose sia dato volta per volta, bastando un avviso complessivo per tutte le processioni da compiere nel corso dell’anno. — (Cass. di Roma, 5 settembre 1891, Man. Astengo).

Non esiste alcuna legge che vieti in regola generale le processioni fuori di chiesa. Neppure esiste legge che attribuisca ai prefetti la facoltà di interporre un simile divieto. Le processioni di qualunque natura non sono che riunioni di persone le quali, perché pacifiche e non armate, sono espressamente autorizzate dall’art. 32 dello statuto. — (Cass. di Torino, 13 giugno 1877, Man. dei funzionarti di P. S.).

Le processioni religiose non possono essere vietate mediante un provvedimento generale del prefetto della provincia, ma solo nei casi di vera ed attuale necessità dell’ordine pubblico. — (Cass. di Torino, 26 settembre 1885, Man. Astengo).

— L’avviso da darsi all’autorità di P. S. per una processione religiosa fuori del tempio deve essere scritto, per cui vi è contravvenzione se dato soltanto verbalmente. — (Cass. di Roma, 24 giugno 1890, Man. Astengo).

Il sacerdote non è obbligato a dare avviso preventivo all’autorità di P. S. per procedere alla benedizione delle case in occasione della Pasqua. — (Art. 7, 8, 9 legge di P. S., 5, 6 reg. 438 cod. pen., Cass. di Roma, 24 giugno 1890, Cass. u.).


Art. 8 (Legge). — l'autorità locale di pubblica sicurezza può vietare, per ragioni d’ordine e di sanità pubblica, le processioni e gli altri atti di cui all’articolo precedente, dandone avviso ai promotori almeno ventiquattr’ore prima.

Alle processioni sono del resto applicabili le disposizioni del capo precedente.

Il contravventore al divieto è punito a termini del codice penale.


Mentre all'articolo primo parlandosi di riunioni ed assembramenti la legge non parla della facoltà di vietarli — facoltà del resto sottintesa — per le processioni invece un siffatto diritto viene tassativamente espresso quando può soffrirne la sanità o l’ordine pubblico.

Tale divieto, prescrive l'articolo in esame, deve essere dato ai promotori almeno 24 ore prima (art. 6 reg.); termine questo da non potersi abbreviare in considerazione degli inconvenienti e maggiori disordini che ne potrebbero derivare.

I contravventori a queste disposizioni saranno puniti a sensi dell’articolo 437 cod. pen., il quale dice: «Chiunque contro il legale divieto dell’autorità competente promuove o dirige cerimonie religiose fuori dei luoghi destinati al culto, ovvero processioni religiose, civili nelle piazze o vie pubbliche, è punito con l’ammenda fino a lire cento; e se il fatto produca tumulto con l'arresto fino ad un mese e con l’ammenda da lire 50 a lire 300».

Nel caso poi si verificassero grida sediziose o delitti contro i poteri dello Stato (art. 2 L), sono applicabili le disposizioni relative alle riunioni pubbliche.

Perché si abbia la contravvenzione al divieto, prefettizio fa d’uopo che consti, e dalla sentenza si rilevi, che questo fu realmente portato a cognizione del parroco che eseguì la processione. — (Cass. di Firenze, 30 agosto 1879, Man. Astengo).

Né i ministri, né i prefetti possono vietare per modo di regola le processioni religiose, ma solo possono limitarsi a proibire che una processione venga eseguita quando vi sia pericolo di disordini. — (Cass. di Firenze, 9 giugno 1880, Man. 1882).

Non essendo da alcuna legge vietate le processioni fuori di chiesa, i prefetti non possono proibirle con disposizioni generali e permanenti. — (Cass. di Palermo, 13 gennaio 1883, Man.).


Art. 9 (Legge). — Le disposizioni di questo capo non si applicano agli accompagnamenti del viatico e ai trasporti funebri, salve le prescrizioni delle leggi e dei regolamenti di sanità pubblica e di polizia locale.

L’articolo ultimo di questo capo esonera dall’obbligo del preventivo avviso l'accompagnamento del viatico e i trasporti funebri, i quali però possono essere vietati in evenienza di epidemie, quando cioè la salute pubblica richieda delle cautele.

Tanto il prefetto, quanto il sindaco hanno facoltà di proibire in tempi di contagio, per motivi di igiene, ogni agglomeramento di persone e così anche le processioni religiose. — (Cass. di Torino, 29 gennaio 1885, Man.).


CAPO III

Delle raccolte di armi e delle passeggiate in forma militare

Art. 10 (Legge). — Oltre i casi previsti dal codice penale, sono proibite le raccolte di armi da guerra o di parte di esse, di munizioni, uniformi militari o di altri oggetti destinati all’armamento o all’equipaggiamento di truppa.

Il contravventore è punito, ove il fatto non costituisca reato più grave, coll’arresto fino ad un anno, e con l’ammenda da lire 50 a mille.


Poco disforme al disposto (art. 30) della legge precedente, è Particelo in esame; senonché della abrogata, la parte concernente gli arruolamenti d'ingaggi e le accolte d'uomini opportunamente è passata per la vigente legge nel codice penale all’art. 452.

L’art. 10 è stato dal legislatore dettato per allontanare, togliere il pericolo che i cittadini possono far raccolta di armi da guerra, di munizioni, uniformi militari destinati alParmamento ed equipaggiamento di truppa, e creare così un pericolo per la sicurezza interna od esterna dello Stato.

Esclusivamente al Ministro dell’interno è riservato di dare licenza per le accennate raccolte, per aprire arruolamenti, introdurre armi e munizioni nello Stato; come altresì per tenere ammassi d’armi in casa a termini dell’art. 468 del codice penale. — (Art. 7, reg.).

Per Part. 8 del regolamento sono: armi da guerra, ai sensi degli art. 10 della legge e 7 di questo regolamento, le armi d’ogni specie, da punta, da taglio e da fuoco adottate per P armamento delle truppe.

«Sono munizioni da guerra, ai sensi degli articoli medesimi, le palle, le bombe, la polvere, le capsule ed ogni altra materia destinata al caricamento delle armi da fuoco.

Fanno parte dell’equipaggiamento gli zaini, gli oggetti di attendamento, gli affusti d’artiglieria e simili».

Si è da alcuni domandato se le raccolte d’armi per istudi archeologici siano sottoposte allo stesso trattamento, disciplinate dalle stesse regole delle armi da guerra.

Senza tema d’errare si può rispondere che tali collezioni' non avendo un’importanza bellica, non sono contemplate da questa legge, ma per poterle fare, si richiede la licenza dell’autorità politica del circondario. — (Art. 11, reg).

Quale sia poi il numero e la quantità delle armi, delle uniformi militari, delle munizioni ecc., perché possa verificarsi la raccolta prevista e colpita dall’art. 10, non è specificato dalla legge; ma il giudizio in proposito è rimesso al saggio consiglio del magistrato che terrà calcolo delle persone detentrici e delle circostanze di tempo o luogo in cui il fatto si verifichi.


Art. 11 (Legge). — Salvi gli ordinamenti militari, non possono farsi, senza il permesso del prefetto, passeggiate in forma militare con armi.

Il contravventore è punito coll’arresto sino a tre mesi.


Escluso il fatto che si tratti di ordinamenti militari, non possono farsi passeggiate in forma militare con armi, senza il permesso del prefetto.

Tale permesso s’intende subordinato alla licenza di porto d’armi in chi vi partecipa, salve le eccezioni contemplate dagli art. 18, 19, 20, 21, 22 del regolamento.


Art. 10 (Reg.). — È parificata ad una passeggiata militare con armi la comparsa di corpi od associazioni in plotoni armati a feste, funzioni o trattenimenti pubblici.


CAPO IV

Delle armi

Art. 12 (Legge). — L’autorità di pubblica sicurezza del circondario può dare licenza di fare raccolta di armi proprie a fine di commercio o di industria.

La stessa autorità può dare licenza di fabbricare e introdurre nello Stato armi insidiose, non che di smerciare, ed esporre in vendita le dette armi e le armi proprie.


Mentre l’art. 455 del codice penale abrogato rendeva chiara la divisione delle armi proprie ed improprie, il vigente ne ha lasciata la definizione alla dottrina.

Nella cerchia delle armi proprie sono comprese le armi insidiose specificate tassativamente all’art. 470 codice penale, e tutti quegli strumenti da punta e da taglio, i quali, fuori di un uso professionale, hanno la stessa destinazione offensiva delle armi la cui prima ragione d’essere è l’offesa o la difesa.

Chiamansi armi improprie «ogni altro istrumento atto ad offendere» qualora si portino in modo da intimidire (art. 155, n. 3, cod. pen.); sono oggetti insomma che acquistano il nome e la qualità di armi in una data azione per l’uso che se,ne fa.

Il concetto quindi dell’arma impropria per sé (Cogliolo, Trattato di dir, pen,), è assai lato nel codice penale italiano in quanto vi comprende ogni strumento atto ad offendere, cioè bastoni, sedie, sassi, contro i precetti che voleva fissare lo stesso progetto Zanardelli sull'arma impropria, riducendola nel suo significato a comprendervi quegli oggetti soltanto che hanno veramente apparenza d'armi, esclusi i bastoni, le pietre, ecc.

Arrogi ancora che gli istrumenti indicati nell'art. 23 del regolamento, debbansi ritenere armi proprie quando siano usati per commettere lesione personale.

Sarebbe infatti futile obbiezione, scrive un egregio commentatore (1) quella che si volesse dedurre dalla circostanza che nella legge sulla P. S. tali oggetti sono chiamati strumenti e non armi; ogni arma è uno strumento di offesa, e lo stesso codice penale comprende le armi sotto il nome generico di strumenti, dicendo nel n. 2 dell'art. 155: «le armi precedentemente indicate e qualsiasi strumento atto ad offendere».

Ciò premesso, l'art. 12 della legge dice che la licenza per fare raccolta di armi proprie a fine di commercio, industria, o di fabbricare, introdurre nello Stato armi insidiose, di smerciare ed esporre in vendita dette armi e le armi proprie, può solo concederla l'autorità di P. S.


Art. 11 (Reg.). — La licenza ai privati di far raccolte di armi artistiche, rare o antiche, non escluse le insidiose, sarà accordata dall’autorità politica del circondario.

In caso di cambiamenti sostanziali della raccolta d’armi o del luogo di deposito la domanda deve essere rinnovata.

Art. 12. — Le armi proprie, delle quali è ammessa la introduzione nello Stato, non saranno consegnate dall’ufficio di dogana al destinatario se questi non faccia constare del preventivo avviso dato al prefetto, a termini dell’art. 13 della legge, e della licenza, se trattasi d’armi insidiose, a termini dell’art. 12.

Art. 13. — Chi vuol andare in giro con campionario d’armi, deve chiedere la licenza al prefetto della provincia dalla quale muove, ed in appresso presentarla alla vidimazione dei prefetti delle provincie che intende percorrere.

Nella licenza saranno indicate la quantità e la qualità delle armi e delle munizioni relative.

Né le une né le altre potranno eccedere le proporzioni necessarie per servire ad uso di campionario.


— La Cassazione di Roma, con sentenza 26 gennaio 1891, ritenne i coltelli acuminati a lama fissa o fissabile, siano essi da cucina o da macellaio, da fodero oppure no, armi insidiose. — (Monit. dei Tribunali).

— Perché un arma possa dirsi propria nel senso della legge, è necessario che la principale sua destinazione sia l’offesa o la difesa. Tali sono le armi da guerra, le armi insidiose e le altre armi cui si riferisce la legge 30 giugno 1889 sulla P. S. agli art. 12 e seg. ed il relativo regolamento 8 novembre detto anno, art. 8 e seg., e per cui la fabbricazione, introduzione nello Stato, per il cui smercio e porto sono necessarie speciali licenze dell'autorità. — (Cass. di Roma, 31 maggio 1890, Mon. dei Tribunali).

— La circostanza che si tratti di armi artistiche od antiche non vale a togliere la punibilità della loro esposizione in vendita. — Cass. di Roma, 4 settembre 1891, Mon. dei Tribunali).

— A termini dell’art. 155, n. 2 cod. pen. anche le pietre sono comprese fra le armi improprie. — (Cass. di Roma, 10 febbraio 1893, Man. Astengo).


Art. 13 (Legge). — Non si possono stabilire fabbriche di armi proprie, né importarne dall’estero una quantità eccedente il proprio uso, senza darne preventivo avviso al prefetto della provincia.


Il contravventore a tali disposizioni è punito a sensi dell’art. 460 del codice penale.

Non possono però chiamarsi fabbriche d’armi, quindi sono escluse dalle prescrizioni del presente articolo, le botteghe dei così detti armieri che nei piccoli comuni rassettano e ripuliscono fucili da caccia o simili armi.

La tassa per la licenza speciale di fabbricare ecc., è quella stabilita dal n. 49 della tabella annessa in fondo al volume nell’allegato alla legge 19 luglio 1880, n. 5536 — concessioni governative.


Art. 14 (Legge). — Il commerciante o fabbricante d’armi proprie non può trasportarle fuori del suo opificio o negozio, senza preventivo avviso all’autorità locale di P. S.


L'inadempimento di un simile precetto, fa sorgere la contravvenzione punita coll’ammenda sino a lire cento (art. 20, legge).

Se si tratti poi di trasporto d’armi per uso campione(art. 13, reg.) vige ancora la circolare emanata, sotto l’impero della passata legge, il 29 febbraio 1887, n. 10100 (1).

Le nostre leggi non prevedono il trasporto di armi ad uso di campioni che suol farsi da commessi viaggiatori delle fabbriche d’armi, e nessuna istruzione di massima è stata impartita al riguardo, onde avviene che questa materia non sia trattata da per tutto uniformemente, e che qualche prefetto adotti dei provvedimenti che poi non sono accettati o riconosciuti dai suoi colleghi delle altre provincie nelle quali si reca il commesso viaggiatore col campionario.

A togliere la possibilità di provvedimenti sconcordanti, che potrebbero generare equivoci ed inconvenienti, il sottoscritto stima necessario dichiarare le condizioni alle quali si dovrà d’ora innanzi assoggettare il permesso di trasportare armi ad uso di campioni.

Chi intende trasportare armi da un luogo all’altro ad uso di campioni ed al bisogno portarle indosso per presentarle agli acquirenti o committenti, dovrà anzitutto ottenere la licenza di porto d’arma ai sensi dell’art. 31 della legge di P. S.

Dovrà poscia, per analogia a quanto è prescritto dal citato articolo e dall’art. 28 del regolamento 18 maggio 1865, n. 2336, per chi tiene od importa armi in quantità eccedenti il proprio uso, dare avviso preventivo al prefetto della provincia, dalla quale vuole incominciare il giro, della sua intenzione di trasferirsi di luogo in luogo con un campionario d’armi e relative munizioni.

Il prefetto gli rilascerà un certificato dell’eseguito avviso, nel quale verrà dichiarato il numero e la specie delle armi e la quantità delle munizioni di cui il campionario può essere composto, curandosi che il numero di quelle e la quantità di queste non eccedano le proporzioni strettamente necessarie per lo scopo al quale vien fatto il trasporto.

Eguale avviso il viaggiatore dovrà poi dare di mano in mano ai prefetti delle provincie in cui si reca col campionario, ritirandone sempre un certificato contenente la dichiarazione suaccennata relativa alla specie ed al numero delle armi, ed alla quantità delle munizioni.

I signori prefetti sono pregati di attenersi rigorosamente alle presenti disposizioni, e di portarle a conoscenza delle autorità da loro dipendenti per la loro necessaria sorveglianza.


Art. 15 (Legge). — Non possono portarsi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, armi lunghe da fuoco, senza la licenza dell’autorità di pubblica sicurezza del circondario.


Perché si verifichi la contravvenzione al porto d’armi, è richiesto dalla legge che l’arma sia portata fuori della propria abitazione o appartenenze di essa, senza licenza dell’autorità di P. S. del circondario: tale contravvenzione è prevista e punita a sensi degli articoli 564, 465 cod. pen.

Le domande per ottenere il permesso di porto d’armi, debbono essere sempre in iscritto, su carta bollata da cent. 50; ed è in opposizione alla legge la consuetudine di rilasciare le nuove licenze sulla sola presentazione del permesso scaduto non accompagnato dalla domanda in carta da bollo. — (Note ministeriali, 18 febbraio e 22 marzo 1870).

Per l’art. 20 del regolamento 29 marzo 1888 sulla prostituzione, è poi severamente vietato accedere nei postriboli con armi di qualunque specie.

Si è già accennato nel commento al precedente articolo 11, in quali casi ed a quali persone non sia di bisogno la licenza per portare armi; senonché alcuni, male interpretando il concetto della legge, hanno creduto di poter comprendere in questa eccezione anche i pretori, i sindaci, le guardie campestri e i commessi daziari; ciò che invece non si può assolutamente ammettere. Questa classe di persone per poter portare delle armi deve, come ogni altro cittadino, ottenere il permesso pagando la relativa tassa.

Solo agli agenti ferroviari, incaricati della sorveglianza dei magazzini, edifici, linee ferroviarie, il Ministero con decreto 18 agosto 1887, ha stabilito che i prefetti possano accordare gratuitamente il porto d’armi.


Art. 15 (Reg.). — La domanda della licenza di portar armi deve essere accompagnata dai certificati necessari a provare che il richiedente non si trovi nelle condizioni enumerate nell’art. 17 della legge e dalla quietanza di pagamento della relativa tassa rilasciata dal ricevitore del registro, nonché dalla prescritta marca da bollo.

Art. 1S. — I funzionari dell’amministrazione di pubblica sicurezza non hanno bisogno di licenza per portare le armi, di cui è parola negli art. 15 e 16 della legge.

Art. 19. — Non hanno bisogno della licenza per portare le armi, di cui sono muniti a termini dei ' rispettivi regolamenti, gli agenti della forza pubblica.

Art. 20. — Non hanno bisogno della licenza i componenti delle società di tiro a segno riconosciute per portare l’arma di tiro nei giorni stabiliti per le esercitazioni sociali. Basta che siano muniti di una carta di riconoscimento rilasciata dal presidente della società e vidimata dall’autorità locale di pubblica. sicurezza, salva sempre a questa la facoltà di ritirarla per ragioni riconosciute d’ordine pubblico.

Questa disposizione si applica eziandio al caso nel quale una società di tiro a segno intervenga in corpo, coll’autorizzazione del prefetto a termini dell’art. 11 della legge, ad una festa o cerimonia pubblica.

Art. 21. — Non hanno bisogno della licenza gli insegnanti ed alunni degli istituti d’istruzione, riconosciuti a termini degli ordinamenti relativi, che escono in corpo per le esercitazioni indette dalla rispettiva direzione, o per altre pubbliche funzioni.

Art. 22. — Non hanno bisogno della licenza i corpi di pompieri o vigili municipali, istituiti in forza di regolamenti debitamente approvati per portare l’arma che i municipi somministrano loro come guardia d’onore in occasione di feste o funzioni pubbliche.


— L’uscire di casa ed anco a pochi passi, con arma da fuoco al solo provato effetto di scaricarla esclude non solo la intenzione di contravvenire alla legge, ma anche il fatto della delazione della medesima, dalla legge colpita. — (Cass. di Torino, 16 aprile 1879, Mon. Trib.).

— Non è necessario che per il reato di porto d’armi senza permesso esista un verbale di sorpresa in flagranza, potendo esso, come ogni altro reato, accertarsi con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge. — (Cass. di Roma, 8 luglio 1885, Foro).

— Non costituisce contravvenzione alla legge penale chi asporta un fucile per prestare, d’ordine del sindaco, servizio armato al cordone sanitario. — (Cass. di Torino, 10 febbraio 1886, Man.).

— La semplice esportazione, senza licenza, di un fucile smontato non costituisce reato. — (Cass. di Palermo, 6 ottobre 1886, Circolo giuridico).

— A costituire il reato di porto d’arma non basta il fatto materiale scompagnato dalla intenzione di trasgredire alla legge. Non è quindi colpevole di un tale reato colui che avendo fatto acquistare un fucile, lo va a riprendere per portarlo a casa propria. — (Cass. di Torino, 9 febbraio 1887, Mon. dei Trib.).

— Neppure in un fondo rustico munito di siepe si può portare l’arma lunga da fuoco senza permesso.

Anche con la prova testimoniale si può supplire alla mancanza del sequestro dell’arma per stabilire l'ingenere del reato di porto d’arma senza permesso. — (Cass. di Roma, 11 febbraio 1887, Corte Suprema).

— Il reato di porto d’arma esiste pel solo fatto materiale della esportazione senza licenza fuori della propria abitazione; né vale ad escluderlo la circostanza che l’arma si esportava momentaneamente e per conto altrui. — (Cass. di Roma, 11 maggio 1889, Legge).

— L’esportazione senza licenza di armi insidiose, quand’anche fatta per semplice curiosità, costituisce il reato di cui all’art. 4=61 cod. pen.

Quando la legge prescrive la licenza per un determinato atto, non basta l’averla domandata per escludere la punibilità. — (Cass. di Roma, 27 aprile 1890, Mon. dei Trib., 1891).

— Non risponde di contravvenzione per porto d’arma senza licenza, o per caccia, chi, vedendo un volatile che gli danneggia un seminato dipendente dalla sua abitazione, corre in casa, prende un fucile, e lo spara contro l’animale danneggiatore. — (Cass. di Roma, 3 giugno 1890, Man. Astengo).

— Sotto la dizione appartenenza all’abitazione non può comprendersi giuridicamente e filologicamente se non ciò che alla abitazione è strettamente annesso, per modo che faccia colla medesima un sol tutto; è quindi erroneo considerare come appartenenza dell’abitazione, il terreno aperto che lo circonda. Risponde, perciò, di contravvenzione chi porta, senza licenza, arma da fuoco in terreno aperto, sebbene questo si trovi in prossimità della sua abitazione. — (Cass. di Roma, 31 maggio 1890, Giurispr. pen.).

— Il portatore di un fucile carico, che ha da passare, sia pure necessariamente in luogo ove siavi concorso di gente, deve scaricarlo prima di passarvi, a pena d’incorrere nella contravvenzione prevista dall’art. 466 del cod. pen. — (Cass. di Roma, 5 novembre, 1890, Giur. pen., 1891).

— Al reato di porto abusivo d’arma da fuoco sono applicabili due pene: cioè quella comminata dal codice penale nella prima parte dell’art. 464, e l’altra portata dalla legge sulle concessioni governative; art. 78, 464 cod. pp. e 2 legge sulle concessioni governative. — (Cass. di Roma, 20 maggio 1890, Cass. unica).

— Al fatto di porto d’arma lunga da fuoco senza licenza sono applicabili due pene, cioè quella comminata dal Cod. pen. nella l(a) parte dell’art. 464, e l’altra portata dalla legge sulle concessioni governative (art. 78 cod. pen.; art. 2 legge conc. gov.).

Quindi non si può per tale reato sostituire alle pene comminate la riprensione giudiziale; art. 26, cod. pen. — (Cass. Roma, 6 marzo 1890, Cass. unica, 1891).

— Gli agenti daziari, i quali forniti di patente dai sindaci, provvedono nello interesse dello appaltatore alla riscossione del dazio di consumo nei comuni, non hanno diritto di portare le armi senza la prescritta licenza, non essendo, essi compresi nel numero di coloro che tassativamente ne sono dispensati dal reg. 8 novembre 1889 per la esecuzione della legge di P. S. — (Nota del Ministero dell'interno, marzo 1890 alla prefettura di Caltanissetta).

— In tema di porto d’armi senza licenza, né la momentaneità della delazione, né il motivo della medesima possono in alcun modo escludere la responsabilità del contravventore, quando il fatto della contravvenzione è volontario. — (Cass. di Roma, 8 gennaio 1890, La Legge).

— Il servo, in quegli atti di buona fede che sono privi di ogni malizia e nei quali agisce come istrumento inconscio della volontà del padrone, va esente da responsabilità penale.

Non risponde perciò di porto d’arma senza licenza il servo che, per comando del suo padrone, porta pubblicamente ed in piena buona fede, un fucile scarico in un determinato luogo. — (Pretura di Bologna, 26 giugno 1890, Giurispr. pen.).

— Il divieto portato dall’art. 20 del regolamento sulla prostituzione, di accedere con armi alle case di tolleranza, non comprende quelle armi o strumenti il cui porto per sé stesso non costituisca reato almeno secondo gli art. 19 della legge e 23 del regolamento di P. S. (nella specie, coltello per le ordinarie esigenze della vita, e di lama non eccedente 10 centimetri). — (Cass. di Roma, 20 marzo 1891, Man. Astengo).

— Ai vigilatoli daziari non è data facoltà di portare armi senza licenza per lo esercizio del loro ufficio, perché essi non sono equiparati agli agenti della forza pubblica, e non sono perciò compresi nelle eccezioni portate dagli art. 16 e 22 del regolamento 8 novembre 1889, approvato per la esecuzione della legge di P. S. — (Cass. di Roma, 3 settembre 1891, Man. Astengo).

— L'arma portata senza permesso è confiscata, quantunque non appartenga al portatore. — (Cass. di Roma, 18 marzo 1891, Man. Astengo).

— A differenza de' delitti, nelle contravvenzioni non si richiede che lo agente abbia voluto il fatto contrario alla legge, oggetto del reato; basta aver commessa Fazione od omissione, che ha determinata la contravvenzione la quale non può essere esclusa se non dalla prova di una volontà contraria. Se pertanto, ad ora inoltrata della notte, e non mentre recavasi ad esercitare un atto dell'arte sua di barbiere, ma andando a divertirsi con amici, taluno asporti forbici, rasoi senza giustificato motivo, la contravvenzione esiste senz’ altro. — (Cass. di Roma, 25 novembre 1891, Man. Astengo, 1892).

— Il fucile, portato dal cacciatore senza licenza, è confiscabile quantunque appartenga ad altri, e sia stato sequestrato nelle mani del proprietario che era munito di regolare porto d’armi. — (Cass. di Roma, 2 giugno 1892, Man. Astengo).

— Licenza domandata non vuol dire licenza ottenuta, epperò risponde di porto d’arma proibita chi la porta prima di aver ottenuta la licenza o la rafferma di quella anteriore già scaduta. — (Cass. di Roma, 9 giugno 1892).

— E giurisprudenza costante della Corte suprema che le guardie daziarie, sopratutto quando sono al servizio di privati appaltatori, debbono, per poter cacciare, munirsi della licenza del porto d’arma lunga da fuoco. — (Cass. di Roma, 29 aprile 1892).

— Quali siano a considerare per appartenenze della casa di abitazione, ai fini della contravvenzione di cui al Far t. 468 cod. pen., è lasciato all’apprezzamento del magistrato di merito, incensurabile in Cassazione. (Art. 464 cod. pen.). — (Cass. di Roma, 8 luglio 1892).

— Gli agenti della pubblica forza — nel caso guardie forestali — non possono esportare senza licenza un’arma diversa da quella prescritta dai rispettivi regolamenti — ad esempio un fucile da caccia carico a minuto piombo. — Nè vale a giustificare la contravvenzione da essi incorsa, un ordine illegale ed arbitrario, dato dai loro superiori diretti, di vestire in borghese e di portare tale arma per aver guasta la propria. — (Pretore di Vallo di Lucania, 22 maggio 1893, Man. Astengo).

Art. 16 (Legge). — Il prefetto della provincia, nei termini e alle condizioni degli articoli seguenti, può concedere la licenza di portare la rivoltella o la pistola di qualunque misura, o il bastone animato, purché la lama non abbia lunghezza inferiore a sessantacinque centimetri.

Il permesso speciale di che sopra, è sottoposto al pagamento della tassa stabilita per la licenza delle armi da fuoco.


La ragione di questa disposizione si ritrova nel grave e grande abuso che, per lo passato, si faceva della rivolta e della pistola, e le frequenti disgrazie a cui tale porto, inclusivamente permesso a tutti i detentori di licenza da caccia, aveva dato luogo (1).


Art. 14 (Reg.). — Le licenze per il porto dell’arma lunga da fuoco, per il porto della rivoltella o pistola e per il porto del bastone animato sono fatte sui modelli annessi negli all. A, B e ’C.

La licenza alle guardie particolari per la custodia delle proprietà dei comuni, dei corpi morali e dei privati è fatta sul modello annesso in all. D.


Art. 17 (Legge). — La licenza di portare armi non può essere accordata a chi abbia subito condanna a pena restrittiva della libertà personale per tempo superiore a tre anni, e, qualora la pena avesse importato l’interdizione, non abbia ottenuta la riabilitazione a termini dell’art. 834 del cod. di pi-oc. pen., né a chi è ammonito o sottoposto alla sorveglianza speciale della pubblica sicurezza.

Può rifiutarsi a chi fu condannato a pena minore di tre anni e non può provare la sua buona condotta.

Al minore non emancipato non può essere accordato il porto d’armi.

È però in facoltà del prefetto di accordar la licenza per l’arma lunga da fuoco al minore che presenti il consenso scritto del padre o del tutore, ed abbia compiuto il 16° anno.


Per regola generale ogni persona di maggiore età od emancipata, qualora non si trovi nel novero di quelle accennate dal presente articolo, ha diritto alla licenza di portare armi da fuoco: per la pistola, rivoltella e bastone animato si applica invece l'articolo precedente e Kart. 16 del regolamento che prescrive nel richiedente la dimostrazione di un plausibile motivo d'andarne armato.

Il prefetto avrà però facoltà di accordare la licenza per l'arma lunga da fuoco al minore che abbia compiuto il sedicesimo anno di età, qualora presenti il consenso scritto del padre o del tutore, e risulti inscritto in una società di tiro a segno (1).


Art. 15. (Reg.). — La domanda della licenza di portar armi deve essere accompagnata dai certificati necessari a provare che il richiedente non si trovi nelle condizioni enumerate nell’art. 17 della legge e dalla quietanza di pagamento della relativa tassa rilasciata dal ricevitore del registro, nonché dalla prescritta marca da bollo.

Art. 16. — La concessione delle licenze di portare la rivoltella o pistola o il bastone animato, di cui è parola nell’art. 16 della legge, è subordinata, oltre che alle condizioni enunciate all’art. 17, alla dimostrazione di un plausibile motivo di andarne armati.


Art. 18 (Legge). — La licenza ha la durata di un anno. Sarà revocata anche prima della scadenza, per cattiva condotta o per l’abuso dell’arma,

Verificandosi in qualche provincia o comune condizioni anormali di pubblica sicurezza, il ministro dell’interno può revocare in tutto o in parte, con pubblico manifesto, le licenze di portare armi.


L'anno è computabile, non dal giorno della consegna della licenza, ma da quello della sua data; e la revoca, prima della scadenza, sarà fatta da quella autorità competente a rilasciarla.

Una forte controversia ha mantenuta divisa per molto tempo la giurisprudenza, se cioè scaduto Tanno della licenza e inoltrata già la domanda per la rinnovazione coll'unita ricevuta del pagamento della tassa relativa, chi viene trovato armato contravvenga alla legge sul porto d'armi.

Costantemente decisero per l'affermativa le Cassazioni di Roma e di Torino, per la negativa quelle di Napoli e di Palermo.

I recenti giudicati della Suprema Corte di Roma, unica in materia penale, hanno troncato ogni conflitto ed ora si ritiene massima indiscutibile di giurisprudenza che non basta domandare la licenza per poter portare delle armi, ma bisogna averla ottenuta.


Art. 17 (Reg.). — 11 manifesto col quale, a termini dell’art. 18 della legge, si revocano in tutto od in parte le licenze di porto d’armi in un comune, è emesso dal prefetto d’ordine del ministro dell’interno.


— Per portare armi da fuoco non basta domandare la licenza, ma devesi la licenza effettivamente ottenere. — (Cass. di Roma, 20 febbraio 1890, Man. Astengo).

— Non si può portare armi da fuoco con permesso scaduto, quantunque se ne sia in tempo utile domandata la rinnovazione col pagamento della relativa tassa. — (Cass. di Roma, 10 luglio 1890, Man. Astengo).

— L'aver domandata la licenza del porto d'armi non equivale al conseguimento della medesima; perciò finché la licenza non sia effettivamente data o rinnovata dall'autorità di P. S., chi porta armi fuori della sua abitazione o delle appartenenze della medesima, incorre nelle sanzioni della legge penale. (Art. 464 cod. pen.), e nemmeno può pretendere di essere esonerato dal pagamento della pena pecuniaria stabilita dalla legge sulle concessioni governative. — Art. 4 legge 13 settembre 1864 e art. 2 legge 19 luglio 1880. — (Cass. di Roma, 16 luglio 1891).

— Incorre nella contravvenzione all'art. 464 del codice penale chiunque nel momento in cui, andando a caccia ed essendo sorpreso col fucile, non sia ancora munito della relativa licenza; senza che valga ad eliminare la contravvenzione il fatto di avere pagata la debita tassa e di avere nel giorno stesso della contravvenzione, contestatagli alle ore 7 del mattino, ottenuta la licenza, che senza dubbio a quell’ora non poteva essere stata rilasciata, ma dovette esserlo più tardi, quando cioè l'ufficio di P. S. fu aperto. Art. citato e legge sulle concessioni governative 19 luglio 1880. — (Cass. di Roma, 14 dicembre 1891, Foro pen., 1892).


Art. 19 (Legge). — Senza un giustificato motivo non possono portarsi fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, strumenti da taglio o da punta atti ad offendere, come saranno specificati nel regolamento.

Art. 23 (Reg.). — Sono tra gli strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, di cui’ è parola nell’art. 19 della legge, i coltelli d’ogni specie, non compresi nelle armi insidiose, con una lama eccedente in lunghezza 10 centimetri, le forbici eccedenti la medesima lunghezza, i rasoi, i punteruoli, i trincetti, le lesine, le scuri, le roncole, i potaiuoli e simili.


Il contravventore alle presenti disposizioni di legge, è punito a sensi del seguente articolo, ultima parte.

— Costituisce un criterio di fatto indiscutibile in Cassazione quello mercé cui il magistrato di merito ritiene il porto di una ronca in tempo di notte sulla pubblica. via non giustificato dal comando del padrone di eseguire una data commissione, per la quale quell'istrumento era necessario. — (Cass. di Roma, 22 aprile 1892, Man. Astengo).


Art. 20 (Legge). — Il contravventore alle disposizioni degli articoli 12, 13, 15 e 16 è punito a termini degli articoli 460, 461, 462, 463, 464, 465 e 468 del codice penale.

Il contravventore alle disposizioni dell'articolo 14 è punito coll’ammenda sino a cento lire.

Il contravventore alle disposizioni dell’articolo 19 è punito coll’arresto sino a tre mesi, estensile a sei, ove la contravvenzione sia commessa di notte o in adunanze e concorsi di gente per pubbliche solennità, fiere, feste, processioni o mercati.


Non essendo il capo IV della legge di P. S. se non un complemento alle disposizioni del Codice penale, è giusto che nell'applicazione delle pene si riporti ad esso, eccezione fatta per le contravvenzioni previste agli art. 14 e 19 riferentesi a casi speciali e della cui poca importanza il codice citato non ha creduto dover trattare.


CAPO V

Della prevenzione d'infortuni e disastri

Art. 21 (légge). — Senza licenza dell'autorità di pubblica sicurezza del circondario e l’osservanza delle prescrizioni a cui verrà vincolata, non possono tenersi in casa né trasportarsi, per conto proprio o di privati, polveri da sparo od altre materie esplodenti in quantità superiore a cinque chilogrammi.

Per la dinamite ed altre materie a base di nitroglicerina la licenza è necessaria per qualsiasi quantità.

Il contravventore è punito con l’ammenda sino a lire trecento, o con l’arresto sino ad un mese.

(Circolare del Ministero delle finanze ai Prefetti in data 30 aprile 1890).

Nell’interesse della pubblica incolumità, la nuova legge del 30 giugno 1889, n. 6144 (testo unico), conferisce all’autorità di P. S. del circondario la facoltà di rilasciare le licenze per la vendita della polvere da sparo, che prima erano emesse dalle Intendenze di finanza.

Pertanto, d’accordo col Ministero dell’interno, si danno le seguenti istruzioni.

Le licenze per la vendita della polvere da sparo dovranno d’ora in avanti essere rilasciate dalla detta autorità di P. S., mentre la riscossione della tassa di lire 10 continuerà a farsi dagli uffizi finanziari di cui agli articoli 24 e 73 del regolamento 7 settembre 1887, n. 4948. Però gli uffici finanziari eseguiranno la riscossione solo dopo di averne ricevuto l’ordine dall'autorità di P. S., la quale renderà avvertiti gl'interessati, a mezzo dei Sindaci, di effettuare il pagamento.

L’autorità di P. S. apporrà sulla licenza ed annullerà col timbro d’ufficio la marca da bollo di lire 1 che insieme con la bolletta di pagamento della tassa le dovrà essere spedita dall’interessato, giusta il citato articolo 73 del regolamento. Là bolletta di pagamento della tassa dovrà essere contrapposta alla matrice della licenza.

La licenza dovrà contenere le seguenti indicazioni:

a) il cognome, nome e paternità della persona a favore della quale è rilasciata;

b) il comune o frazione di comune e la via ove è situato il magazzino o l’esercizio destinato alla vendita della polvere, nonché il numero d’anagrafe;

c) la data ed il numero della bolletta di pagamento della tassa di lire 10, nonché l’ufficio finanziario che l'ha emessa;

d) il tempo per il quale la licenza è valevole, che sarà dal giorno in cui è rilasciata fino al termine dell’anno solare cui si riferisce.

Nella licenza saranno inoltre riportate le condizioni che l’autorità di P. S. credesse d’imporre nell’interesse della pubblica incolumità, e sarà posta l’avvertenza che la detta licenza vale soltanto per la per' sona e per il locale in essa indicati, e che l’intestatario ha l’obbligo di presentarla agli agenti governativi ad ogni loro richiesta.

L’autorità di P. S. farà consegnare la licenza all’interessato col mezzo del Sindaco, e ne darà contemporaneamente avviso all'Intendenza di finanza, che a sua volta ne avvertirà l’Ispettore del Circolo.


La detenzione ed il trasporto di polveri da sparo e di altre materie esplodenti in quantità superiore ai 5 chilogrammi, potendo riuscire di grave pericolo alla incolumità pubblica, vengono regolati dalle disposizioni, dell'articolo in esame modificato in parte dal l'art. 9 della legge 14 luglio 1891, n. 682, così concepito:

«Chiunque intenda esercitare un opificio per la fabbricazione della polvere da sparo o di altri prodotti esplodenti, oppure voglia aprirne uno smercio, dovrà farne la dichiarazione al Sindaco.

Il Sindaco, udito l’avviso della Giunta municipale, trasmetterà al Prefetto, con rapporto motivato, la dichiarazione.

«Il Prefetto provvederà sulla domanda a termini della legge di P. S. del 30 giugno 1889, n. 6144, testo unico, e del relativo regolamento approvato. con regio decreto 8 novembre 1889, n 6517».

Pel trasporto è quindi competente a rilasciarne la licenza l’autorità circondariale di P. S., pei depositi, la concessione spetta al Prefetto.


Art. 24 (Reg.). — Non possono introdursi nel Regno materie esplosive senza l’autorizzazione del ministro dell’interno, e l’osservanza delle condizioni e cautele che prescriverà.

Art. 25. — La licenza di tenere in casa polveri da sparo od altre materie esplosive, in quantità superiore a 5 chilogrammi, deve vincolarsi alla condizione che la casa sia interamente isolata e fuori del centro abitato e che non sia abitata, o lo sia solo dalla famiglia del richiedente.

Art. 26. — Nelle botteghe di rivendita di materie esplosive:

a) non si possono detenere esplodenti a base di nitro-glicerina, di picrati, di fulminati, ecc., o di composizione sconosciuta o non bene determinata;

b) negli spacci esistenti entro l’abitato l’autorità di P. S. del circondario non può concedere la licenza di tenere una quantità maggiore di cinque chilogrammi di polveri piriche ordinarie, se dotte polveri siano sciolte in casse, sacchi o barili, o chiuse in cartocci o scatole di cartone e simili. Può invece autorizzarne il deposito sino alla quantità di 25 chilogrammi a sensi dello articolo 21 della legge 30 giugno 1889, n. 6144, qualora siano chiuse perfettamente in scatole metalliche o in altri recipienti egualmente atti a preservarle, a condizione però che siano custodite in locali appartati non destinati ad uso di abitazione e possibilmente suddivise in partite fra i varii ambienti dell’esercizio;

c) negli spacci isolati lontani dai centri di popolazione e non abitati, può l’autorità di P. S. del circonciario concedere licenza di tenere polvere pirica ordinaria in quantità non maggiore di 20 chilogrammi, se conservata sciolta nei modi indicati nella prima parte del precedente comma, e sino a 50 chilogrammi se condizionata in scatole metalliche od in altri recipienti;

d) negli esercizi di rivendita posti entro l’abitato, potrà essere autorizzato dall’autorità di P. S. del circondario il deposito delle cartucce cariche fino a 25 chilogrammi in peso netto di materia esplodente, e negli spacci in località isolate sino alla quantità di chilogrammi 50;

e) nessun limite di quantità è stabilito per la detenzione anche in locali di vendita non isolati di capsule, cartucce vuote con capsule e miccie, fatto obbligo però ai rivenditori, qualora nell’esercizio conservino polveri piriche od altri esplodenti, di custodire le capsule, cartucce vuote e miccie in locali e ripostigli separati (1).


Art. 27. — La licenza di trasporto di polveri da sparo ed altre materie esplosive sulle vie ordinarie potrà vincolarsi alle condizioni che sia fatto coll’accompagnamento di uno o più agenti di pubblica sicurezza, a spese del richiedente; che non si transiti per vie abitate o che il transito si faccia a tarda notte, al passo e senza fermata; e a quelle altre che si crederanno necessarie a difesa della pubblica incolumità.

Art. 2S. — Le disposizioni degli articoli 25 e 26 si applicano alla detenzione ed al trasporto di dinamite, e d’altre materie, di forza esplosiva eguale o maggiore, senza riguardo alla quantità.


— È deposito di polvere vietato anche quello tenuto in casa propria, sibbene la polvere sia in piccola quantità e provenga da polverificio autorizzato.

La fabbricazione della polvere non si può cominciare in un luogo e perfezionare in quello dove la fabbrica è stata permessa. — (Cass. di Roma, 25 aprile 1888, Foro pen.).

— E punita colla multa di lire 1000, non colla multa da una a cinque volte la tassa defraudata, la fabbricazione senza licenza di polvere destinata a fuochi pirotecnici, ma che poteva anche servire a caricare armi, sibbene non asciutta. —(Cass. di Roma, 4 febbraio 1889, Man. Astengo).

— La licenza per lo smercio della polvere pirica dura per Fanno in corso e non per un’anno intero a partire dalla sua data. — (Cass. di Roma, 30 maggio 1890, Giur. pen., 1891).

— Si possono vendere liberamente senza licenza le capsule semplici per le armi da fuoco, ma non quelle che abbiano il fulminante, ossia quel composto che serve ad imprimere la forza viva al proiettile, come, ad esempio, le capsule per i fucili Flobert. — (Cass. di Roma, 12 gennaio 1891, Giur. pen.).

— Il trasporto di polvere pirica senza licenza, costituisce una contravvenzione tanto a carico di chi lo ordina, quanto a carico di chi lo eseguisce materialmente. — (Cass. Roma, 16 maggio 1891, Man. Astengo).

— Ritenuta la contravvenzione alFart. 21 della legge di P. S. per deposito di polvere pirica in quantità superiore ai 5 chi!, senza il permesso dell’autorità, deve pronunciarsi la confisca della polvere stessa. — (Cass. di Roma, 9 novembre 1892, Man. Astengo).


Art. 22 (Legge). — L’impianto di polverifici, di fabbriche di fuochi artificiali e di altri opifici, nei quali si lavorano polveri od altre materie esplosive, è soggetto alla licenza del prefetto, che non potrà accordarla senza le necessarie garanzie per la vita delle persone e per le proprietà.

L’impianto degli opifici e la lavorazione delle materie di cui nel presente articolo, senza licenza sono puniti a termini dell’art. 462 del Codice penale.

Art. 29 (Reg.). —Le garanzie per la vita delle persone e per la proprietà che il prefetto deve imporre, a termini dell’art. 22 della legge, per accordare la licenza dell’impianto di polverifici ed opifici simili, sono principalmente:

1° Che gli edifici di fabbricazione e di deposito di polvere e materie esplosive siano a conveniente distanza dall’abitato, strade pubbliche, fiumi e canali navigabili, opifici industriali, case coloniche, cimiteri, chiese aperte al culto, e dai luoghi nei quali sogliono tenersi riunioni di persone per feste, fiere, esercizi od altre occasioni;

2° Che l’opificio sia cinto di muro o fitte siepi od altri ripari equivalenti;

3° Che il magazzino di deposito delle materie fabbricate sia a conveniente distanza dagli edifici di lavorazione;

4’ Che vi siano edifici separati e a conveniente distanza l’uno dall’altro per le singole lavorazioni;

5° Che non si lavori di notte e col lume;

6° Che la polvere fabbricata sia entro 48 ore trasportata nei magazzini di deposito.

Art. 30. — Il concorso delle condizioni indicate ai numeri 1, 2, 3 e 4 e delle altre che il prefetto per circostanze speciali ritenesse necessarie, sarà verificato da una commissione tecnica, a spese del fabbricatore.

Art. 31. — Qualora il fabbricatore non adempia alle condizioni impostegli dal prefetto, oppure per mancanza di precauzioni o per aver sforzato la produzione oltre la misura consentita dai mezzi di fabbricazione, abbia dato occasione allo scoppio del polverificio o ad altro infortunio, potrà essere privato, con, ordinanza del prefetto, della licenza, salva ogni responsabilità penale e civile.

Art. 32. —Le fabbriche e lavorazioni di fuochi artificiali non possono impiantarsi che in edifici isolati ed a conveniente distanza dall’abitato.


— Contravviene alla legge di P. S. quegli che fabbric a, senza,permesso, fuochi artificiali, quantunque non fabbrichi la materia prima. — (Cass. Firenze, 12 novembre 1879, Gazz. dei trib.).

— Soggetto alla licenza del prefetto deve essere l'impianto delle fabbriche di fuochi artificiali; la sorpresa della lavorazione è uno dei mezzi di prova di codesto impianto, ma non è il solo mezzo. — (Cass. Roma, 23 agosto 1892, Cass. unica).

— Per contravvenire agli art. 22 della legge di P. S. e 462 cod. pen., basta il semplice impianto di una fabbrica di fuochi artificiali, senza la licenza del prefetto; la lavorazione dei fuochi artificiali è solo una prova dell’impianto della fabbrica, la quale prova si può desumere anche da altri mezzi. — (Cass. Roma, 23 agosto 1892, Man. Astengo).


Art. 23 (Legge). — La licenza dell'impianto di polverifici e di altri opifici nei quali si lavorano materie esplosive, è inoltre vincolata all’assicurazione della vita degli operai.


Una nuova disposizione, che non trova riscontro nella legge abrogata, inspirata ai più alti sensi di giustizia, di umanità e di amor vero per la classe operaia, si è questa di assicurare la vita delle persone addette ai polverifici nei casi, pur troppo non infrequenti, di infortuni e disgrazie.

La seguente circolare del Ministero dell’interno ai prefetti, in data 11 aprile 1890, si riferisce a questo importantissimo argomento:

«La legge di pubblica sicurezza 30 giugno 1889 e relativo regolamento 8 novembre 1888 determinano specificatamente quali siano le norme alle quali deve essere vincolata la licenza per l’impianto ed apertura degli opifici, destinati alla fabbricazione di materie esplosive.

«Il Ministero, preoccupato sempre dei gravi disastri che successero in addietro in quegli opifici, e che possono ripetersi per l’avvenire, deve raccomandare vivamente ai signori prefetti, ai quali incombe l’obbligo dell’applicazione della legge, di usare la più accurata diligenza e scrupolosa attenzione, perché le cautele e le garanzie all’uopo stabilite siano osservate.

«Talune di quelle disposizioni sono intese alla tutela della proprietà ed alla incolumità delle persone, e le altre provvedono a che le disastrose conseguenze degli scoppii dei polverifici siano meno gravi per gli operai disgraziati che ne rimasero vittime.

«Le prime sono contenute negli articoli 29, 30, 31 del regolamento, e per le medesime non occorrono spiegazioni essendo sufficientemente specificate in quegli articoli, e solo è necessario vigilare che le garanzie e condizioni prescritte siano sempre mantenute, non escluso naturalmente il divieto di lavorare di notte e col lume.

Le altre che riflettono l’assicurazione della vita degli operai, richiedono di essere prese in attento esame, perché la loro esecuzione possa corrispondere allo scopo proposto dal legislatore.

«Come prescrive l’art. 33 del regolamento l’assicurazione deve risultare contratta colla Cassa Nazionale di assicurazione per gl’infortuni sul lavoro, istituita colla legge 8 luglio 183, o con una società privata legalmente riconosciuta.

«Da questa legge e dal relativo regolamento 29 dicembre 1888, n. 5838, si rilevano le norme che regolano l’assicurazione stessa e gli istituti coi quali può essere stipulato il contratto. Riguardo all’ammontare dell’assicurazione, i signori prefetti dovranno riportarsi alla tariffa, unita al citato regolamento, non lasciandolo però all’arbitrio dei fabbricatori, ma fissando loro quella misura fra quelle indicate nella tabella, che secondo il grado di rischio possa in modo adequato raggiungere lo scopo di alleviare le conseguenze dei disastri a danno degli operai.

«Inoltre il Ministero, tenuto presente il fine che si è prefisso il legislatore, deve dichiarare che il vincolo della assicurazione della vita riguarda solo gli operai che lavorano in quegli opifici, e non già i proprietari o gli esercenti dei medesimi.

«Infine perché le disposizioni della legge e del regolamento sulla pubblica sicurezza corrispondano all’intento voluto, è necessario che siano applicate rigorosamente, non solo quando trattasi d’impianto di nuovi polverifici, ma siano anche estese a quelli già esistenti e pei quali venne accordata la licenza sotto l’impero della cessata legge.

«E siccome importa al Ministero di essere assicurato che tutte le condizioni e garanzie determinate con le suddette disposizioni sono state osservate, così i signori prefetti dovranno nel termine più breve rimettere una tabella consimile al modulo unito, debitamente riempita delle richieste notizie, relativamente a tutti gli opifici destinati alla fabbricazione di materie esplosive esistenti in codesta provincia. »


Art. 23 (Reg.). — In esecuzione dell’art. 23 della legge, il fabbricatore di polvere e di materie esplosive dovrà provare di avere stipulato l’assicurazione individuale o collettiva degli operai addetti al polverificio, tanto pel caso di morte che pel caso d’invalidità temporanea o permanente avvenute per infortunio sul lavoro.

L’assicurazione dovrà risultare contratta colla Cassa nazionale d’assicurazione per gli infortuni degli operai sul lavoro istituita colla legge degli 8 luglio 1883, o con una società privata legalmente riconosciuta ed esercente il medesimo ramo di assicurazione.

L’assicurazione è fatta a spese del fabbricatore.

Art. 24 (Legge). — Senza la licenza dell’autorità locale di pubblica sicurezza e la osservanza delle prescrizioni a cui verrà vincolata, non possono spararsi armi da fuoco, mortaretti, né lanciarsi razzi, accendersi fuochi di artificio, innalzarsi areostati con fiamme, o in generale farsi esplosioni o accensioni pericolose od incomode negli abitati e nelle loro vicinanze, né contro o lungo le vie pubbliche.

Il contravventore è punito a termini del codice penale.


Per evitare le mille disgrazie ed i gravi danni derivanti dallo sparo di armi e mortaretti, dall’accensione di fuochi d’artificio, ecc., il legislatore, molto assennatamente, ha creduto bene di vietarli se non vi sia la licenza dell’autorità locale di P. S., autorità che per l’art. 467 cod. pen. non era chiaramente specificata.


Art. 467 (Cod. pen). — Chiunque clandestinamente o contro il divieto della legge o dell’autorità competente, tiene in casa o in altro luogo un ammasso d’armi in numero non minore di venti, ovvero uno o più pezzi d’artiglieria, o altre consimili macchine, ovvero materie esplodenti o infiammabili, pericolose per la loro qualità o quantità, è punito con l’arresto non inferiore ai tre mesi; e, se le armi siano insidiose, all’arresto può essere aggiunta la sottoposizione alla vigilanza speciale dell’autorità di pubbùca sicurezza.

Art. 34 (Reg.). — La licenza per gli spari, le esplosioni ed accensioni di cui è parola nell’art. 24 della legge, deve vincolarsi alla condizione che le relative operazioni si compiano in luogo riparato o così discosto dalla folla da rendere impossibile un infortunio, ed alla prescrizione che vi assistano agenti della forza pubblica per impedire ogni danno.


In relazione a questo articolo del regolamento, la giurisprudenza costantemente ritiene che non contravvenga all’art. 467 cod. pen., chi spara un’arma da fuoco ad una distanza di 100 metri dall’abitato.


Art. 25 (Legge). — Non si può dar fuoco nei campi e nei boschi alle stoppie fuori dei tempi e dei modi fissati nei regolamenti locali o ad una distanza minore di quella in essi stabilita.

Il contravventore è punito a norma dei regolamenti stessi.

In difetto di regolamenti non si potrà dare fuoco nei campi e nei boschi alle stoppie prima del 15 agosto, né ad una distanza minore di cento metri dalle case, dagli edifizi, dai boschi, dalle piantagioni, dalle siepi, dai mucchi di biada, di paglia, di fieno, di foraggi o da qualsiasi altro deposito di materia combustibile.

Il contravventore è punito a termini dell’art. 483 del codice penale.


Colla seconda parte dell’articolo in disamina, molto a proposito, si son voluti proteggere l’agricoltura e la proprietà contro il pericolo degli incendi, non essendo logico che ove mancano i regolamenti locali, la legge non intervenga a provvedere.


Art. 483 (Cod. pen.). — Chiunque, anche per negligenza o imperizia, fa sorgere in qualsiasi modo il pericolo di danni alle persone o di gravi danni alle cose è punito con l’ammenda sino a lire duecento o con l’arresto sino a venti giorni.

Se il fatto costituisca in pari tempo infrazione ai regolamenti in materia di arti, commerci o industrie, e la legge non disponga altrimenti, la pena è dell’arresto da sei a trenta giorni e della sospensione dall’esercizio della professione o dell’arte sino ad un mese.


— L’accusa di incendio colposo (art. 311 cod. pen.) contiene in sé anche quella della contravvenzione all’art. 25 della legge di P. S.; non commette quindi eccesso di potere il magistrato che, data l’accusa di incendio a sensi dell’art. 311 cod. pen., condanna invece per reato di cui all’art. 25 della legge di P. S. — (Cass. di Roma, 23 novembre 1891, Mon, dei trib.)


Art. 26 (Legge). — E punito con la stessa pena chi dopo avere acceso il fuoco nei tempi e nei modi ed alla distanza di cui nel precedente articolo, non prende le cautele necessarie a difesa delle altrui proprietà, o non assiste personalmente e col numero occorrente di persone, finché il fuoco sia spento.


In questo caso, come nel caso dell’articolo precedente, la pena inflitta, non toglie la responsabilità civile di cui i contravventori possono essere chiamati a rispondere.

È chiaro quindi che la legge vuol punire la negligenza e l’imprudenza per tema di danni possibili; che se il danno si fosse verificato, quantunque involontario, si ha il reato d’incendio (art. 311 cod. pen).


Art. 27 (Legge). — Nessuna caldaia a vapore per qualsiasi uso, che sia nuova, od abbia subito un restauro, potrà esser messa in opera senza un certificato che la dichiari sicura. A questo scopo la caldaia sarà sottoposta ad una visita e ad una prova.

La visita, e, in caso di bisogno, la prova dovranno rinnovarsi ad intervalli periodici non maggiori di quattro anni.

Le prove e le visite saranno ordinate dal prefetto o dal sottoprefetto ed eseguite da un perito scelto da essi fra coloro che hanno ottenuto la laurea d’ingegnere o il diploma di macchinista in una delle scuole del regno a ciò autorizzate.

La retribuzione del perito sarà a carico degli utenti.


I numerosi infortuni che da un capo all’altro della penisola continuamente si avevano a deplorare per lo scoppio di caldaie, accompagnato quasi sempre da vittime, indussero il legislatore ad indagarne le cause, riferentesi per lo più o al cattivo stato delle caldaie stesse, o all’imperizia di chi vi era addetto.

Così ebbe origine, così fu posto nella legge l’art. 27 il quale racchiude in sé tutte le garanzie possibili per allontanare il pericolo.

Il decreto e le modificazioni in esecuzione delle disposizioni della legge di P. S. riportate sotto l’articolo successivo, provano all’evidenza l’importanza dell’argomento.


Art. 28 (Legge). — Una caldaia di macchina a vapore non può esser posta e mantenuta in azione senza la continua assistenza di persona riconosciuta idonea, nel modo che sarà determinato dal regolamento.


REGOLAMENTO

per l’esercizio e la sorveglianza delle caldaie a vapore
— Definizioni.

Art. 1. Agli effetti degli art. 27 e 28 della legge 23 dicembre 1888, n. 5888, sono considerati caldaie a vapore tutti i recipienti che servono a trasformare i liquidi in vapore ad una pressione più elevata di quella dell’atmosfera.

Art. 2. E considerata come nuova la caldaia fissa che, sebbene provata anteriormente, forma oggetto di nuovo impianto, e così pure, qualunque caldaia fissa, semifissa o locomobile, rimessa in servizio dopo un periodo di inattività di oltre due anni.

Art. 3. S’intende per restauro agli effetti di legge qualsiasi riparazione di una parte essenziale o principale della caldaia.

— Periti.

Art. 4. I periti, incaricati delle visite e prove a termini di legge, saranno scelti dai prefetti e sottoprefetti fra le persone reputate idonee a quest’ufficio', che abbiano ottenuta la laurea d’ingegnere o il diploma di macchinista in una delle scuole del Regno, a ciò autorizzate.

— Domanda di prova preventiva.

Art. 5. Le prove delle caldaie nuove o restaurate sono ordinate dal prefetto o sotto-prefetto, in seguito a domanda del proprietario della caldaia.

Art. 6. La domanda deve contenere:

1° la designazione del luogo dove deve seguire la prova;

2° l’indicazione del genere d’industria e dell’uso al quale la caldaia è destinata;

3° l’indicazione della massima pressione di lavoro;

ed essere accompagnata da un deposito in denaro equivalente alla retribuzione dovuta al perito.

Art. 7. Registrata la domanda, la prefettura o la sotto prefettura invita uno dei periti, di cui all'articolo 4, a recarsi sul luogo entro il più breve termine possibile, per procedere alla prova nel modo prescritto.

IV. — Costruzione delle caldaie e loro accessori.

Art. S. Perché una caldaia a vapore possa essere dichiarata sicura, occorre, oltre all’esito positivo della prova, che risponda alle condizioni dei seguenti articoli (9-20).

A) Costruzione delle caldaie.

Art. 9. Non è ammesso l’impiego delle ghisa e delle lamiere d’ottone per le parti esposte al fuoco, fatta eccezione pei tubi d’ottone di diametro inferiore a 10 centimetri.

È tollerato l’uso della ghisa per le cupole di presa del vapore, le teste dei bollitori, i coperchi di passo d’uomo e degli orifizi di spurgo, i collettori di fango, gli economizzatori, ed altre parti di apparecchi consimili, quando però non siano circondati dalla muratura né toccati dal fuoco, e il loro diametro non superi i 70 centimetri.

B) Valvole di sicurezza.

Art. 10. Ogni caldaia a vapore deve esser munita di almeno due valvole di sicurezza aventi diametro ed alzata sufficienti per potere, alla pressione normale di lavoro, dar sfogo, ciascuna per proprio conto, a tutto il vapore che può essere prodotto.

Art. 11. Nelle caldaie a vapore fisse e semifisse, le valvole devono essere caricate con un peso applicato o direttamente od all’estremità di una leva. Il peso e le lunghezze dei bracci di leva, determinati all’atto della prova, non potranno, per nessun motivo, venire aumentati dall’utente né dal personale da lui dipendente.

Art. 12. Nelle caldaie locomobili può farsi il caricamento delle valvole con molle agenti direttamente o con bilancio a molla applicate alla estremità di leve. In tal caso però le molle dovranno avere tale sensibilità da permettere, ciascuna per proprio conto, lo sfogo di tutto il vapore prodotto, quando la pressione ordinaria aumenti di 15 (un quinto). La corsa della bilancia a molla, determinata all'atto della prova, sarà resa invariabile mediante apposito congegno.

C) Manometro.

Art. 13. Ogni caldaia a vapore deve essere munita di un buon manometro, graduato in chilogrammi, sul quale sarà indicato con segno facilmente visibile la pressione massima effettiva che il vapore non deve oltrepassare.

Art. 14. Ogni caldaia deve pure essere munita di apposita appendice per l’applicazione di un manometro campione. Tale appendice sarà terminata da un disco anulare di 40 mm. di diametro e di 5 mm. di spessore.

D) Alimentazione.

Art. 15. Ogni caldaia a vapore deve essere provveduta di un apparecchio d’alimentazione capace di fornire abbondantemente l’acqua necessaria, ed essere munita di una valvola automatica di ritenuta collocata al punto d’attacco del tubo d’alimentazione sulla caldaia.

Art. 16. Per parecchie caldaie comunicanti potranno bastare due apparecchi di alimentazione, purché siano fra loro indipendenti.

E) Indicatori di livello.

kit. 17. Ogni caldaia a vapore deve avere non meno di due apparecchi indicatori del livello dell’acqua, dei quali uno a tubo di vetro, posti ciascuno in comunicazione diretta con l’interno della caldaia e indipendenti l’uno. dall’altro.

L’indicazione a tubo di vetro deve essere collocato in guisa che ne siano facili la pulitura e il ricambio.

Art. 1S. Gli apparecchi di livello devono portare un segno ben visibile indicante il livello minimo che l’acqua può avere nella caldaia.

Art. 19. Per le caldaie fisse questo livello minimo deve stare 8 centimetri più alto della linea superiore dei condotti del fumo.

Per le caldaie locomobili, nella determinazione del livello minimo si deve tener conto delle eventuali oscillazioni, e badare a che i condotti del fumo non abbiano mai a rimanere scoperti dall’acqua.

Art. 20. Le disposizioni dell’articolo precedente non sono applicabili a quei condotti pei quali non è da temere l’arroventamento della parte in contatto col vapore.

VI — Prova a freddo.

Art. 21. La prova a freddo ha luogo prima che la caldaia sia messa in opera o chiusa da muratura o altrimenti rivestita, e consiste nel sottoporre la caldaia stessa a pressione idraulica, previa chiusura di tutte le aperture.

Per le locomobili la prova è consentita col rivestimento.

Art. 22. La prova idraulica si eseguisce al doppio della pressione effettiva di lavoro per le caldaie nelle quali detta pressione è inferiore a 5 atmosfere; per le caldaie lavoranti a pressione maggiore la prova idraulica si fa ad una pressione che superi di 5 atmosfere quella normale.

La pressione deve mantenersi per tutto il tempo necessario all’esame della caldaia in ogni sua parte.

La pressione di un’atmosfera si calcola in ragione di un chilogramma per centimetro quadrato.

VI — Bollo di prova.

Art. 23. Quando la caldaia ha subito felicemente la prova, senza presentare cioè deformazioni permanenti o fughe, si applica un bollo indicante in atmosfere la pressione effettiva che il vapore non deve oltrepassare.

Il bollo porta inoltre, segnato mediante punzone, la data della prova e il numero di protocollo fornito dalla prefettura o sottoprefettura e riportato sul verbale o certificato di prova.

Art. 24. Il bollo, conforme al modello che verrà stabilito dal Ministero di agricoltura, industria e commercio, deve essere collocato in guisa da rimanere sempre visibile allorché la caldaia è messa a sito.

VII — Certificato di prova.

Art. 25. Dopo la prova, viene trascritto sopra apposito libretto un certificato comprovante l’esito della prova subita dalla caldaia.

Tale certificato deve contenere il nome del costruttore, l’anno e il numero di fabbricazione, il nomee cognome dell’utente, la descrizione della caldaia e dei suoi accessori, coll’indicazione dei pesi e dei bracci di leva delle valvole.

Art. 26. Una copia del certificato è conservata negli atti della prefettura o sotto prefettura.

Art. 27. H libretto di cui all’articolo 25 dev’essere conforme al modello che sarà stabilito dal Ministero di agricoltura, industria e commercio, e contenere dei fogli in bianco per la registrazione delle visite e prove successive. Esso dovrà conservarsi sempre visibile nel locale della caldaia ed essere dato in consegna a chi ha responsabilità della condotta della caldaia stessa.

VIII — Visite periodiche e riprove.

Art. 2S. Le visite periodiche sono esterne od interne.

La visita esterna consiste nello esame accurato del modo di funzionare della caldaia e dei suoi accessori.

Una prima visita esterna si deve fare per ogni caldaia nuova dopo la prova idraulica.

Le visite successive saranno fatte ad intervalli non maggiori di due anni ed ordinate, con o senza preavviso, dal prefetto o sotto-prefetto.

Art. 29. La visita interna ha per iscopo di verificare lo stato delle pareti della caldaia e della chiodatura, la presenza e natura dei depositi, lo stato dei condotti del fumo e delle tubature, è degli altri accessori che non si possono visitare durante il funzionamento della caldaia.

La prima visita interna avrà luogo entro quattro anni dalla prima prova a freddo; le successive saranno fatte ad intervalli non maggiori di quattro anni ed ordinate, con preavviso all’utente, dal prefetto o sotto-prefetto.

Art. 30. In occasione della visita interna potrà essere, su dichiarazione espressa del perito, riconosciuta necessaria ed eseguita una nuova prova idraulica.

Si procederà in ogni caso ad una riprova quando non la si sia eseguita nella precedente visita interna.

Art. 31. Il risultato di ciascheduna visita sia interna, sia esterna, e delle riprove sarà, a cura del perito, registrato sul libretto di cui all’art. 25 e trasmesso contemporaneamente in copia alla prefettura e sotto prefettura.

Sul libretto si noteranno altresì tutte le riparazioni o modificazioni arrecate alla caldaia e le osservazioni che il perito riterrà opportune.

IX — Retribuzioni.

Art. 32. Le retribuzioni dovute al perito per le prove e visite sono stabilite come appresso:

Per la prova di una caldaia nuova o restaurata L. 30 »

Per ogni visita esterna » 5 »

Per ogni visita interna, con o senza prova idraulica » 25 »

Per le caldaie aventi meno di 3 m. q. di superficie di riscaldamento, le retribuzioni per la prova e la visita interna saranno diminuite di 5 lire, e per le caldaie aventi più di 50 m. q. di superficie saranno accresciute di lire 10.

Art. 33. Nelle retribuzioni sopraddette sono comprese le spese per punzoni e stampati di cui il perito dovrà provvedersi.

Spetta al proprietario l’acquisto del libretto matricolare e del bollo di prova da applicarsi alla caldaia.

Art. 34. Quando il perito abbia da recarsi per le prove e visite fuori di residenza, gli competeranno inoltre le spese effettive di viaggio consistenti in un biglietto di prima classe pel percorso su ferrovie, e in un’indennità chilometrica di 35 centesimi a chilometro pel percorso su strade ordinarie.

Queste spese saranno sostenute dal proprietario della caldaia.

Art. 35. La mano d’opera e il materiale, come pompe e quant’altro possa occorrere per la prova o la visita, saranno forniti dal proprietario della caldaia. Al perito spetta provvedersi del manometro campione.

Quando trattisi di visita interna il proprietario dovrà, d’accordo col perito, far trovare pel giorno fissato la caldaia fredda e pulita dalle incrostazioni e dalla fuliggine.

X — Associazione fra utenti di caldaie.

Art. 36. Le visite e le prove delle caldaie appartenenti ad associazioni fra proprietari di caldaie a vapore non potranno essere eseguite che dagli agenti tecnici delle associazioni stesse, salvo il disposto dell’articolo seguente.

Art. 37. Per ottenere il trattamento di favore di cui all’articolo precedente, tali associazioni dovranno sottoporre i loro statuti e regolamenti all'approvazione del Ministero di agricoltura, industria e commercio, e dimostrare che i loro agenti tecnici posseggono i requisiti voluti dall’art. 4 per l’abilitazione all’ufficio di perito.

XI — Personale.

Art. 3S. Nessuna caldaia a vapore può essere posta $ e mantenuta in azione senza la continua assistenza, di persona che presenti i seguenti requisiti:

1. Avere l’età minima di 18 anni compiuti;

2. Essere di riconosciuta moralità;

3. Possedere un certificato di capacità alle funzioni di conduttore di caldaie a vapore.

Art. 39. Il certificato di capacità può essere rilasciato:

1. Dalle scuole industriali o d’arti e mestieri a ciò autorizzate dal Ministero di agricoltura, industria e commercio;

2. Dalle scuole di macchinisti e fuochisti della regia marina e delle strade ferrate;

3. Dalle associazioni fra proprietari di caldaie a vapore di cui all’art. 37;

4. In seguito ad esami che si daranno nelle epoche e nei luoghi che saranno stabiliti volta per volta dal Ministero di agricoltura, industria e commercio.

Art. 40. Sarà considerato come certificato di capai cità agli effetti dell’art. 38 quello che dimostri avere l’aspirante servito come macchinista o, per non meno di sei mesi, come fuochista nella regia marina, nella marina mercantile o nelle ferrovie, o per non meno di due anni come macchinista o fuochista nelle compagnie speciali del Genio militare o nelle officine degli stabilimenti militari.

Art. 41. Spetta ai periti, in occasione delle visite di che agli art. 28 e 29, di accertarsi che il personale addetto al servizio delle caldaie a vapore possegga i requisiti voluti dall’art. 3S. Del risultato di tale accertamento sarà fatta menzione così nel libretto matricolare, come nel rapporto alla prefettura o sotto prefettura.

XII — Elenco degli utenti.

Art. 42. Le prefetture e sotto prefetture terranno, distintamente per ogni comune, un elenco alfabetico di tutti gli utenti di caldaie a vapore, esistenti nel rispettivo circondario, col numero delle caldaie possedute da ogni utente.

Sarà tenuto conto con annotazione speciale, delle caldaie inscritte presso le associazioni che si troveranno nelle condizioni dell’art. 37.

Art. 43. Questo elenco sarà tenuto al corrente delle variazioni avvenute e servirà sia per ordinare le visite periodiche a termini di legge, sia per redigere annualmente uno stato delle caldaie in esercizio.

A tal uopo in principio d’anno ogni utente di caldaie farà la dichiarazione alla prefettura o sotto prefettura del numero delle caldaie che tiene in esercizio.

XIII — Penalità.

Art. 44. A termini dell’art. 138 della legge 23 dicembre 1888, n. 5888, l’inosservanza delle disposizioni di che agli art. 9-20 del presente regolamento, la omissione della dichiarazione di che al precedente art. 43, o della denunzia di che al seguente art. 45, sono punite con l’ammenda sino a L. 50 o con l’arresto sino a giorni 10.

XIV — Disposizioni transitorie.

Art. 45. Entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente regolamento, gli utenti di caldaie a vapore dovranno denunziare al prefetto o al sotto prefetto il numero e la destinazione delle caldaie da essi adoperate.

Art. 46. Entro un anno dalla scadenza dei tre mesi anzidetti, tutte le caldaie a vapore in esercizio, salvo quelle appartenenti alle ferrovie, alla marina ed agli stabilimenti militari, dovranno essere assoggettate alla prova ed alla visita prescritta dal presente regolamento.

Art. 47. Per gli effetti dell’articolo precedente, saranno tenute valide le prove idrauliche fatte precedentemente, in conformità dell’ordinanza 11 febbraio 1854, nelle provincie della Lombardia e del Veneto. Tale circostanza dovrà però risultare dai documenti da presentarsi dallo utente unitamente alla denunzia prescritta nell’art. 45. Per le caldaie qui contemplate, verrà per la prima volta eseguita soltanto la visita esterna; in tale occasione, il certificato di prova, da trascriversi sul libretto matricolare, si desumerà dall’antico verbale, e verrà applicato alla caldaia il bollo di che all’art. 23.

Art. 48. Le disposizioni vigenti sulle caldaie a vapore delle ferrovie, della marina e degli stabilimenti militari saranno coordinate colle disposizioni della legge 23 dicembre 1888 e del presente regolamento.

(Regio decreto 3 aprile 1890, N. 6793, ai sindaci).

Regio Decreto in data 12 giugno 1892, n. 292, che modifica alcuni articoli del Regolamento 3 aprile 1890 sulle caldaie a vapore.

Visto l’art. 27 della legge 23 dicembre 1888, numero 5888, sulla pubblica sicurezza;

Visti gli art. 4, 32, 34 e 35 del regolamento approvato con regio decreto 3 aprile 1890, n. 6793 (serie 3(8, per l’esercizio e la sorveglianza delle caldaie a vapore;

Udito il consiglio di Stato;.

Sulla proposta del Nostro ministro segretario di Stato per l’agricoltura, industria e commercio;

Abbiamo decretato è decretiamo:

Sono approvate le seguenti aggiunte e modificazioni ai citati articoli del regolamento 3 aprile 1890 sulle caldaie a vapore.

a) Scelta dei periti (art. 4 del regolamento).

Art. 1. — Sotto il nome di macchinisti che possono essere scelti dai prefetti e sottoprefetti all’ufficio di perito visitatore delle caldaie a vapore s’intendono:

1° Coloro che hanno conseguito la patente di macchinista in primo, della marina mercantile;

2° Coloro che hanno raggiunto il grado di macchinista di l(a) classe nella regia marina;

3° Coloro che hanno conseguito il diploma professionale di perito meccanico in una delle sezioni speciali degli istituti tecnici a ciò autorizzati, o il certificato d’idoneità nell’applicazione industriale della meccanica presso il regio museo industriale italiano, dimostrino con documenti di aver compiuto un tirocinio di almeno quattro anni nel governo e nella costruzione o riparazione delle caldaie a vapore presso uno stabilimento meccanico o industriale.

Art. 2. — Sotto il nome di laurea d’ingegnere agli effetti della scelta per l’ufficio di perito, non si può comprendere quella per il conseguimento della quale non sia richiesto di aver frequentato il corso di macchine a vapore della scuola di applicazione e di aver subito l’esame relativo.

Art. 3. — Potrà essere considerato equivalente al requisito voluto dalla legge per l’ufficio di perito, quello di avere esercitato precedentemente e con soddisfazione dell’autorità politica il detto ufficio, in virtù dell’ordinanza 14 febbraio 1854, già in vigore nel Lombardo-Veneto, o in virtù del capo VI del regolamento di polizia punitiva toscano.

b) Retribuzioni ai periti.

Art. 4 (da sostituirsi al 32 del regolamento). — Le retribuzioni dovute al perito per le prove e visite sono stabilite come appresso:

«Per la prova, compresa la visita interna, di una caldaia fissa o semifissa, nuova o restaurata L. 25

Per ogni visita periodica interna, con o senza riprova » 20

«Per la prova e visita interna di una locomobile » 15

«Per ogni visita esterna » 5

«Per le caldaie aventi meno ecc. (come nell’articolo 32).

«Art. 5 (da sostituirsi al 34). — Quando il perito, ecc. (invariato).

«Quando il perito sia obbligato a pernottare fuori di residenza, egli avrà diritto ad una indennità di pernottazione di lire 5.

«Queste spese saranno sostenute dal proprietario della caldaia. Esse saranno computate una volta sola, e ripartite fra i vari utenti quando il perito siasi, con una sola gita, recato fuori di residenza a visitare più caldaie esistenti in uno stesso comune.

«Art. 6 (da sostituirsi al 35). — La mano d’opera, ecc. (invariato).

«Il perito che, su richiesta del proprietario della caldaia, provvederà la pompa, avrà diritto ad una indennità speciale di lire due per ogni caldaia che abbia subito la prova o la visita periodica interna, oltre al rimborso delle spese di trasporto.

«Le spese di trasporto saranno ripartite fra i vari utenti nel caso previsto dall’articolo precedente, 2° alinea.

«Quando trattasi, ecc. (invariato).

«Ordiniamo, ecc. — Dato a Roma, addì 12 giugno 1892. »


Art. 29 (Legge). — Il contravventore alle disposizioni dei due articoli precedenti è punito con l’ammenda sino a lire trecento o coll’arresto sino ad un mese.


I contravventori ai due articoli precedenti sono puniti con rammenda che può estendersi fino a lire 300 e con l’arresto fino ad un mese.


Art. 30 (Legge). — Non possono disporsi, nei campi, nei boschi o in altri luoghi aperti, tagliole, schioppi od altri strumenti da caccia che siano pericolosi alle persone.

Il contravventore è punito coll’ammenda sino a lire i duecento; in caso di recidiva nella tesa degli schioppi potrà infliggersi la pena dell’arresto da uno a tre mesi.


L’articolo in esame vieta che si dispongano nei campi, boschi ed in altri luoghi aperti schioppi, tagliole, ecc., affine di evitare e il pericolo. a chi dovesse per di là passare, e la distruzione degli animali. Tale disposizione, tolta dal regolamento di polizia punitiva già vigente nelle provincie di Toscana, riguarda solamente i luoghi aperti, ché nei chiusi, il proprietario può disporre ogni cosa a suo piacimento.

— L’art. 30 della legge di P. S., proibisce la tesa nei campi, nei boschi ed in altri luoghi aperti, di tutti gli ordigni o strumenti e che comunque destinati alla caccia degli animali, possono riuscire pericolosi alle persone senza distinzione se tali ordigni o strumenti siano disposti per acchiappare animali piccoli o grossi. — (Cass. di Roma, 23 aprile 1891, Man. Astengo).


Art. 31 (Legge). — L’autorità locale di pubblica sicurezza, di accordo con l’autorità municipale, può prescrivere che nelle ore di notte non si lasci aperto nelle case più di un accesso sulla pubblica via; che tale accesso sia illuminato fino a una data ora e nelle altre resti chiuso, se manca di custode.

Il contravventore è punito coll’ammenda sino a lire cinquanta.


Quest’ultimo articolo come tutti gli altri di questo capo, ha lo scopo di prevenire infortuni e disgrazie, punendo il contravventore alle sue disposizioni coll’ammenda fino a lire 50.

— Non può censurarsi l’ordinanza prefettizia che in esplicazione del disposto dell’art. 31 legge di P. S., riferisce il divieto espressamente ai proprietari. — (Cass. di Roma, 3 ottobre 1891, Cass. u.).

— Non può censurarsi in Cassazione, come violatrice dell’art. 31, legge di P. S., una sentenza la quale in base ad apprezzamenti di fatto, giudica che responsabile della contravvenzione non può dirsi il proprietario della casa che ha fatto tutto ciò che doveva fare per evitarla. — (Cass. di Roma, 1° aprile 1892, Cass. u.).

— Anche un viale, che serva ad accedere dalle abitazioni alla pubblica via e viceversa, può essere ritenuto come un accesso che riesca sulla pubblica via. Onde contravviene all’art. 31, legge di P. S., chi non lo tenga illuminato fino all'ora in cui è prescritto nell'ordinanza municipale. — (Cass. di Roma, 1° aprile 1892, Cass. u.).

— È conforme alla lettera ed allo spirito dell'art. 31 della legge di P. S., la ordinanza dell'autorità politica che impone ai proprietari di case l'obbligo di non lasciarvi aperto nelle ore di notte più di un accesso sulla pubblica via e di provvedere per la illuminazione dell'accesso stesso.

Il proprietario è responsabile della contravvenzione anche quando non abiti nella casa la cui porta fu trovata aperta, e l'accesso non illuminato contrariamente alle disposizioni dell'ordinanza. — (Cass. di Roma, 7 ottobre 1891, Man. Astengo).


CAPO VI

Dalle industrie insalubri e pericolose

Art. 32 (Legge). — Non possono stabilirsi manifatture, fabbriche o depositi insalubri o pericolosi, fuorché nelle località e condizioni determinate dai regolamenti locali.

In mancanza di regolamenti, la Giunta municipale provvederà sulla domanda degli interessati.

Gli interessati possono ricorrere al prefetto che provvede, sentito il consiglio provinciale sanitario o l’ingegnere sanitario della provincia, secondo i casi.


Benché la legge parli di fabbriche o depositi insalubri o pericolosi, la materia disciplinata da questo articolo dovrebbe riferirsi ai pericolosi soltanto trattando degli insalubri l'art. 38 (1) della legge sulla sanità pubblica, 22 dicembre 188S.

«È compito infatti di questa (scrive l’egregio deputato G. Curcio nel suo commentario) fissare il sistema necessario ad ovviare malanni igienici con mezzi preventivi senza attendere che i danni siansi verificati per ripararvi; anche sul riflesso delle disastrose conseguenze economiche che nel sistema opposto arreca la chiusura di una fabbrica e la soppressione di una industria per la quale si Impieghino ingenti capitali, e del dissesto. in cui per la sua sospensione vengono repentinamente a trovarsi numerose famiglie di operai».

Dalle industrie pericolose poi vennero sottratte le più temibili, cioè le fabbriche e depositi di polveri piriche, trattate in altro capo, lasciando a questo un ben ristretto campo e limitato.

— Le fabbriche di fiammiferi non rientrano sotto le disposizioni del capo V° della legge di P. S., ma sotto quelle del capo VI(0) titolo 1°. Il decreto del prefetto che sul ricorso dell’interessato ammette il mantenimento di un opificio, prescrivendo però parecchie opere, non costituisce un provvedimento definitivo che dia luogo a ricorso alla IV Sezione, perché contro di esso è aperto il ricorso in via gerarchica. — (Decisione della IV Sezione del Consiglio di Stato, 9 luglio 1890, Man. Astengo).


Art. 33 (Legge). — Il prefetto, sentito il parere del Consiglio sanitario o dell’ingegnere sanitario della provincia, può, anche in mancanza di ricorso, annullare la deliberazione della Giunta, che egli ritenesse contraria agli interessi della sanità o della sicurezza pubblica.

Contro la decisione del prefetto è ammesso il ricorso al ministro dell’interno, che provvede, sentito il parere del Consiglio superiore di sanità o dell’ufficio degl’ingegneri sanitari, secondo i casi.

Art. 35 (Reg.). — Qualora per l’esecuzione degli articoli 32, 33 e 34 della legge occorra una visita sopra luogo, le spese sono a carico della parte richiedente o ricorrente.

Le visite saranno fatte da uno o tre ingegneri o periti d’incarico della Giunta, del prefetto o del Ministero, secondo la rispettiva competenza.

Art. 34 (Legge). — Qualora trattisi di stabilimento esistente, gli interessati, che lo credessero insalubre o pericoloso, possono chiederne alla Giunta la soppressione; sulla domanda si provvederà secondo le norme degli articoli precedenti.


Le autorità non possono essere onniveggenti e provvedere ad ogni bisogno.

Questo articolo assennatamente consente ai vicini interessati di un industria o stabilimento insalubre e pericoloso di chiederne alla locale Giunta comunale la soppressione; e sulla domanda sarà proceduto a norma delle disposizioni di legge.

È bene però qui osservare che Varreste non è comminato dalla legge sanitaria, né rammenda è estensibile al di là delle lire cento.


Art. 35 (Legge). — Chi stabilisce manifatture, fabbriche o depositi insalubri o pericolosi, contro le disposizioni dei regolamenti o contro i definitivi provvedimenti delle autorità competenti, è punito con l’ammenda sino a lire trecento o con l’arresto sino ad un mese.


Di regola generale sarà applicata rammenda, riservandosi l’arresto nei casi più gravi e nella recidiva.


Art. 36 (Legge). — L’esercizio di professioni o mestieri rumorosi od incomodi deve sospendersi nelle ore determinate dai regolamenti locali o dalle ordinanze municipali.

Il contravventore è punito a termini dell’art. 457 del codice penale.


A norma dell’art. 36 l’autorità municipale, per mezzo di regolamenti locali o di ordinanze, ha facoltà di far sospendere ad ore determinate l’esercizio di professioni o mestieri rumorosi ed incomodi, che, precipuamente, se notturno, disturba la quiete dei vicini i quali, nella maggior parte, dopo un lavoro assiduo di tutta la giornata, hanno sacrosanto diritto e bisogno di rinfrancare col riposo le forze.

Il contravventore è punito, a sensi dell’art. 457 cod. pen., così concepito: «Chiunque, mediante schiamazzi o clamori, abuso di campane o di altri strumenti, ovvero esercitando professioni o mestieri rumorosi contro le disposizioni della legge o dei regolamenti, disturba le occupazioni o il riposo dei cittadini o i ritrovi pubblici, è punito con l’ammenda fino a lire 30, che si può estendere a lire 50 in caso di recidiva nello stesso reato».

— I forni destinati alla cottura del pane, non possono ritenersi incomodi se non quando il fumo che da essi ne deriva, non essendo condotto ad una sufficiente altezza, si sparga nelle vie ed entri nelle abitazioni per modo da impedire ai vicini la sicura libertà dei loro atti. — (Parere del consiglio di Stato, 14 febbraio 1871).

— L’esercizio notturno di una fabbrica che disturba la quiete degli abitanti di una casa attigua, costituisce una contravvenzione alla legge di P. S. tanto nel caso in cui la casa preesistesse, quanto in quello in cui fosse stata costrutta dopo l’impianto della fabbrica. — (Cass. di Torino, 20 dicembre 1884, Giur. pen.).

— Contravviene alla legge di P. S. il conduttore di un mulino che, coll’esercizio del medesimo, ad ora indebite di notte disturba la quiete pubblica. — (Cass. di Torino, 25 novembre 1885, Giur. pen.).

— Il reato di disturbo della pubblica quiete si verifica, non solo quando il rumore notturno disturba l’universalità dei cittadini, ma anche quando il rumore prodotto da macchine locali disturba gli abitanti di una casa. — (Cose. di Torino» 28 aprile 1886, Annali).

— Le facoltà che le leggi di P. S. conferiscono all’autorità amministrativa d’imporre, per la tutela della pubblica quiete, limitazioni all’esercizio dei mestieri incomodi e rumorosi, non precludono al privato cittadino il reclamo all’autorità giudiziaria se il detto esercizio costituisce lesione di un suo diritto.

Contro lo strepito prodotto dall’esercizio delle piccole industrie necessarie ai comodi delle città quali son quelle del fabbro-ferraio, del calderaio, ecc. può esser luogo ad azione giudiziaria allora soltanto ch’esso sia portato ad un grado assolutamente eccessivo ed insopportabile pel vicino. — (Corte d'appello di Perugia, 10 febbraio 1890,. Legge).

— La dizione ordinanze municipali, di cui nell’art. 36 della nuova legge di P. S. si riferisce alle ordinanze emesse dal sindaco quale ufficiale del Governo, e non a quelle della Giunta municipale che nella materia non ha ingerenza. — (Parere del Consiglio di Stato, 13 marzo 1891, Man. Astengo).


TITOLO II

Disposizioni relative agli spettacoli, esercizi pubblici, agenzie, tipografie, affissioni, mestieri girovaghi, operai e domestici

CAPO I

Degli spettacoli e trattenimenti pubblici


Art. 37 (Legge). — Nessuno può dare rappresentazioni pubbliche neppure temporaneamente, senza licenza dell’autorità locale di pubblica sicurezza, né esercitare mestiere di pubblico trattenimento, né esporre alla pubblica vista rarità, persone, animali, gabinetti ottici od altri oggetti di curiosità.

La licenza è valida soltanto pel comune in cui fu rilasciata.


Col prescrivere l’obbligo della licenza nei casi dall’articolo accennati, la legge molto opportunamente ha avuto di mira la tutela della sicurezza delle persone, della moralità, dell’ordine e della tranquillità.

Trattandosi di esercizi ginnastici, dovranno prendersi tutte le possibili precauzioni onde evitare delle disgrazie. In relazione a ciò il Ministero dell’interno in data 21 aprile 1880 emanava la seguente circolare:

«Parecchi disgraziati accidenti avvenuti a brevi intervalli ed anche recentemente in rappresentazioni di spettacoli ginnastici ed equestri, mi hanno persuaso che talune autorità di P. S. sono troppo corrive a permettere esercizi soverchiamente azzardosi, senza curarsi di prescrivere almeno speciali cautele per evitare funeste conseguenze.

«Debbo perciò richiamare la particolare attenzione dei SS. prefetti sopra questo argomento del quale anche la stampa ebbe soventi volte a preoccuparsi e pregarli vivamente di dare subito ordini severi e precisi ai dipendenti funzionari di pubblica sicurezza.

«Essi non dovranno permettere giuochi evidentemente troppo pericolosi, se non sieno sempre circondati dalle maggiori garanzie e per il pubblico e per gli artisti e quando trattisi di esercizi ginnastici a grandi altezze in luoghi chiusi, vorranno prima assicurarsi che sia stata posta al di sotto una fortissima rete adatta a rendere innocue o a menomare le conseguenze di una possibile caduta.

«Colle istruzioni che i SS. prefetti si compiaceranno impartire nel senso suindicato, confido si riuscirà ad impedire quei gravi infortuni che troppo spesso accadono, mentre non dubito che le autorità di P. S. alle quali è particolarmente affidata la sorveglianza dei pubblici spettacoli, si adopereranno col più grande impegno pel buon andamento di questo importante servizio».


Art. 36 (Reg.). — L’autorità locale di pubblica sicurezza, nel concedere le licenze di cui è parola nell’art. 37 della legge, deve vietare che si espongano oggetti offensivi del buon costume o che possano destare spavento o ribrezzo; deve curare che non si abusi dell’altrui credulità e che sia esclusa ogni possibilità di pericolo per gli spettatori specialmente nella esposizione di animali feroci.

Art. 38 (Legge). — Senza licenza dell’autorità locale di pubblica sicurezza e l’osservanza delle prescrizioni alle quali il concessionario sarà vincolato, non possono eseguirsi corse di cavalli per pubblico spettacolo.


Questa disposizione, che nella legge anteriore non trova riscontro, fu molto opportunamente introdotta dal legislatore in. considerazione delle tante sventure verificatesi in occasione delle corse di cavalli.


Art. 37 (Reg). — Nel concedere la licenza per corse di cavalli si prescriverà che qualora gli spettatori non siano posti al sicuro da ripari materiali, gli agenti della forza pubblica siano incaricati di tenere sgombro lo spazio destinato alla corsa.


Art. 39 (Legge). — Non possono darsi in luogo, pubblico od aperto al pubblico rappresentazioni, accademie, feste da ballo, né altro qualsiasi spettacolo o trattenimento senza la licenza dell’autorità locale di pubblica sicurezza.


Non solo nei luoghi pubblici non si possono dare accademie, feste da ballo, ecc., ma eziandio in quelli aperti al pubblico.

Le licenze per feste da ballo aperte al pubblico, in. quei comuni dove non esiste un delegato di P. S., vengono date dal sindaco. — (Nota ministeriale, 14 giugno 1863) il quale tosto ne deve informare l’autorità di P. S. per la sorveglianza.

— In massima non sono ammissibili feste da ballo negli esercizi pubblici. Tuttavia l’autorità di pubblica sicurezza può in via eccezionale e per speciali circostanze permettere, sotto determinate condizioni, qualche festa da ballo nei sopra accennati stabilimenti. (Nota del ministero dell’interno, 23 febbraio 1882).

— Per chiusura notturna dei pubblici esercizi nelle ore stabilite, s’intende la chiusura assoluta in modo che più nessuna persona estranea alla famiglia dell’esercente vi rimanga o vi penetri ancora per porte particolari.

Cade perciò in contravvenzione l’esercente che nell’ora stabilita di notte allontana gli avventori dall’esercizio, ne chiude le porte esterne e poi per altre porte particolari accoglie gl’invitati ad un festino nell’esercizio stesso. — (Cass. di Torino, 10 marzo 1887, Man.).

— Un breve ballo, improvvisato in un esercizio pubblico mentre alcuni musici, ivi accidentalmente capitati, si divertono a suonare, non costituisce una contravvenzione, cui il titolare, non consenziente dell’esercizio, debba rispondere penalmente. — (Cass. Torino, 16 maggio 1888, Man.).

— Per feste da ballo debbono intendersi quelle che d’ordinario sono preparate, organizzate e precedute da avvisi od inviti, e che richiamano il concorso di molta gente là dove si danno, sia teatro, sia altro luogo aperto al pubblico.

Quindi non contravviene alla legge di P. S. l’oste che permette nella sua osteria un ballo improvvisato. — (Cass. di Roma, 30 gennaio 1890, Cass. Unica).

— La contravvenzione per pubblico ballo senza licenza deve contestarsi tanto a chi organizza e fa le spese del pubblico divertimento, che al proprietario dell’esercizio. — (Cass. di Roma, 22 luglio 1890, Il dir. ita!.).

— Per feste da ballo devono intendersi quelle che d’ordinario sono preparate, organizzate e precedute da avvisi o inviti e che ' richiamano il concorso di molta gente, là dove si danno, sia teatro,) sia altro luogo aperto al pubblico. Quindi non contravviene alla legge di P. S. il caffettiere che permette nel suo esercizio un ballo improvvisato. — (Cass. di Roma, 13 settembre 1890, Man. Astengo).

— Per la contravvenzione al divieto di dare balli pubblici senza licenza, non occorre che questi siano a pagamento, o per invito.

(Cass. di Roma, 1° dicembre 1891, Man. Astengo).

— E vietato dare in luogo pubblico o aperto al pubblico senza preventiva licenza dell’autorità locale di P. S., feste da ballo; ma tale disposizione non si estende a quei balli, che, sia pure in luogo pubblico, sono sollazzi improvvisati di gente allegra. — (Cass. di Roma, 8 aprile 1892, Man. Astengo).


Art. 40 (Legge). — Le opere, i drammi, le rappresentazioni coreografiche e le altre produzioni teatrali non possono darsi o declamarsi in pubblico, senza essere state prima comunicate al prefetto della provincia.

Il prefetto potrà proibire la rappresentazione o la declamazione per ragioni di morale, o di ordine pubblico, con ordinanza motivata, contro la quale l’interessato potrà ricorrere al ministro dell’interno che deciderà definitivamente.


La legge non richiede il permesso del prefetto per le esecuzioni teatrali, sibbene però vuole che a lui siano precedentemente comunicate.

Dopo 48 ore dalla comunicazione si intendono permesse, qualora in detto termine l’autorità in parola, con ordinanza motivata, non vi abbia posto il veto.

In questi casi il potere discrezionale intorno alle esigenze dell’ordine pubblico e della morale, è tutto nelle mani del prefetto: esso ne è il primo giudice.

Interpretando però egli giustamente lo spirito della legge, non deve esigere — così scrivono gli egregi Astengo e Sandri nel pregevole commento che nei teatri si rappresentino soltanto azioni eminentemente morali, giacché ciò sarebbe un eccesso; ma deve però impedire che alla morale si faccia offesa coll’eccesso inverso: deve insomma garantire la quiete e la tranquillità e render sicuri che se in teatro non si troverà il panegirico quaresimalista, non vi si troverà neppure una licenza che vada al di là del tollerabile».


Art. 38 (Reg — Il termine entro il quale il prefetto può proibirò una produzione teatrale, è di 48 ore dalla comunicazione fattagli secondo il disposto della prima parte dell’articolo 40 della legge, salva sempre la facoltà preveduta nel successivo art. 41.

Art. 41 (Legge). — L’autorità locale di pubblica sicurezza, può sospendere la rappresentazione o declamazione già incominciata di qualunque produzione, che per circostanze locali dia luogo a disordini.

Della sospensione dovrà dare subito avviso al prefetto.


Il presente articolo per la sua chiarezza non ha bisogno alcuno di schiarimenti o commento, senonché non è altro se non una quasi completa ripetizione di quanto è sancito nel successivo art. 44.


Art. 42 (Legge). — L’autorità di pubblica sicurezza non può accordare la licenza per l’apertura di un teatro o di altro locale di pubblico spettacolo prima di aver fatto verificare, per mezzo di una ispezione tecnica, la solidità e sicurezza dell’edificio e la esistenza di uscite sufficienti a sgombrarlo prontamente in caso d’incendio.

Le spese dell’ispezione sono a carico di chi domanda la licenza d’apertura del teatro.


Previdenze simili riguardo alla solidità e sicurezza dei teatri sono più che giustificabili e necessarie, specialmente dinnanzi ai luttuosi avvenimenti i quali non a guari hanno empito migliaia di persone di spavento.


Art. 40 (Reg.). — Per l’applicazione dell’art. 42 della legge vi sarà in ogni comune, che abbia uno o più teatri o locali destinati ad uso di teatro, una commissione di vigilanza.

» La commissione è nominata e presieduta dal prefetto nel capoluogo della provincia, dal sotto prefetto nel capo luogo del circondario, dal sindaco negli altri comuni. Ne faranno parte un ingegnere od altra persona tecnica e, possibilmente, un funzionario di pubblica sicurezza.


Art. 41. — Il progetto di un nuovo teatro o di,a sostanziale rinnovazione di un teatro esistente deve essere presentato al prefetto per la sua approvazione.

Il prefetto deciderà, sentita la commissione di vigilanza della quale è parola nell’articolo precedente.


«Art. 42. — Tutte le uscite del teatro dovranno essere, durante la rappresentazione, intieramente libere da impedimenti e aperte, oppure chiuse in modo che ognuno possa aprirle senza difficoltà.

Art. 43 (Legge). — l'autorità di pubblica sicurezza deve assistere per mezzo dei suoi funzionari od agenti ad ogni rappresentazione, dal principio alla fine, per vigilare nell’interesse dell’ordine e della sicurezza pubblica. Essa ha diritto, a spese del concessionario, ad un palco, o, in mancanza di palchi, ad un posto distinto, dal quale possa attendere facilmente alle sue funzioni.

Art. 43 (Reg) — Hanno ingresso libero ai teatri e locali di pubblico spettacolo gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza che vi sono destinati in servizio.

Art. 44. — Il prefetto e il sotto prefetto hanno diritto ad un palco.

Il palco da assegnarsi, a termini dell’art. 43 della legge, all’autorità di pubblica sicurezza è anche a disposizione dell’ufficiale dei carabinieri di servizio. In mancanza di palchi ha diritto egli pure ad un posto distinto.

Art. 45. — Il funzionario e gli agenti di pubblica -sicurezza, incaricati del servizio di sorveglianza del teatro, devono verificare ripetutamente, durante la rappresentazione, la rigorosa osservanza della disposizione del precedente art. 42.

Art. 44. (Legge). — In caso di tumulti o di gravi disordini o di gravi pericoli per l’incolumità pubblica, i funzionari, di cui all’articolo precedente, faranno sospendere o cessare lo spettacolo, intimando lo sgombero del locale ove occorra.

Qualora il disordine avvenga per colpa di chi dà o fa dare lo spettacolo, potranno far restituire agli spettatori il prezzo d’ingresso.


Verificandosi tumulti o disordini gravi il funzionario provvederà, a seconda dei casi, o per la momentanea sospensione, o cessazione addirittura dello spettacolo intimando anche lo sgombero del locale.

Molto a proposito aggiunge poi Particelo nella sua seconda parte, che se il disordine avvenga per colpa di chi dà o fa dare lo spettacolo, potrà il pubblico funzionario obbligare l'impresario od il capo della compagnia a restituire agli spettatori il prezzo d'ingresso.


Art. 45 (Legge). — Non possono sospendersi o variarsi gli spettacoli già incominciati, senza il consenso del funzionario di pubblica sicurezza che vi assiste.


In questa contingenza della sospensione o variazione dello spettacolo già incominciato, il funzionario, innanzi di dare il proprio assenso, deve giudiziosamente accertarsi della necessità di un provvedimento simile, in considerazione delle gravi conseguenze che ne potrebbero derivare e delle quali ne sarebbe responsabile.


Art. 46 (Legge). — I prefetti provvederanno con regolamenti, da tenersi costantemente affissi in luogo visibile, al servizio d’ordine e di sicurezza dei teatri.


In ogni teatro, tali regolamenti prefettizi devono costantemente tenersi affissi in luoghi visibili, perché ognuno possa prenderne conoscenza.


Art. 47 (Legge). — Il contravventore alle disposizioni degli articoli precedenti, è punito a termine del codice penale.

Art. 447 (Cod. pen.). — Chiunque apre o tiene aperti luoghi di pubblico spettacolo o ritrovo, senza avere osservato le prescrizioni stabilite dall'autorità a tutela dell’incolumità pubblica, è punito con l’arresto sino ad un mese e con l’ammenda; e, in caso di recidiva nello stesso reato, l’ammenda non può essere inferiore a lire trecento.

Art. 448 (Cod. pen.). — Chiunque, senza licenza dell’autorità, dà spettacoli o trattenimenti di qualsiasi natura in luogo pubblico o aperto al pubblico, è punito con l’ammenda da lire dieci a cento; e, se il fatto sia commesso contro il divieto dell’autorità, con l’arresto sino a quindici giorni e con l’ammenda da lire cinquanta a trecento.

Art. 48 (Legge). — È vietato di produrre fanciulli e fanciulle di età inferiore agli anni 14 in pubblici spettacoli di giuochi di forza, di ginnastica e di equitazione.

Il contravventore è punito con l’arresto fino a sei mesi e con la multa fino a lire cinquecento.


Una disposizione tanto importante, era reclamata dalla giustizia, dalla filantropia, dalla coscienza generale; un siffatto disposto aveva ragione di essere nelle leggi di un popolo per progresso e civiltà tanto innanzi come il nostro.

Era una usanza barbara, intollerabile, quella di produrre tanti teneri bambini nel circo, inconsapevoli del pericolo al quale si esponevano per l'ingordigia di genitori o padroni inumani; ed il nostro legislatore vi ha posto un proficuo rimedio sanzionando che non si possano produrre fanciulli e fanciulle di età inferiore agli anni 14 in pubblici spettacoli di giuochi di forza, di ginnastica, di equitazione, sotto pena degli arresti fino a sei mesi e della multa estensibile a lire cinquecento.


Art. 46 (Reg.) — Alla domanda della licenza per pubblici spettacoli di giuochi di forza, di ginnastica e di equitazione si uniranno i certificati di nascita dei minorenni che vi si producono.

Art. 49 (Legge). — Non è permesso di comparire mascherato in luogo pubblico od aperto al pubblico, se non nelle epoche e in conformità delle prescrizioni stabilite dall’autorità locale di pubblica sicurezza con apposito manifesto.

Il contravventore sarà invitato a togliere la maschera e, in caso d’inobbedienza, potrà essere arrestato e condannato all’ammenda sino a lire cinquanta.


L’autorità politica ha la libertà piena di vincolare questo permesso con tutte quelle prescrizioni che ravviserà più acconcie a tutela della morale, nell’interesse dell’ordine pubblico.

Il contravventore al disposto dell’articolo in esame, sarà invitato a togliere la maschera e, nel caso d’inobbedienza, potrà essere arrestato e condannato all’ammenda fino a lire cinquanta. Il contravventore poi alle prescrizioni contenute nei manifesti dell’autorità, sarà punito, in forza del successivo art. 140, con l’ammenda sino a lire cinquanta o coll’arresto estensibile fino a dieci giorni.

— Può il prefetto, con apposita ordinanza, proibire le maschere o travestimenti in qualunque modo riprovevoli per indebite allusioni.

Chi, per dileggiare i sacerdoti cattolici, si presenta mascherato, travestito da prete in pubblico ballo, e canta sacre preghiere, fa indebita allusione e contravviene all’ordinanza prefettizia che ciò proibisce. — (Cass. di Torino, 30 marzo 1888, Man. Astengo, 1889).


CAPO II

Degli esercizi pubblici

Art. 50 (Legge). — Non possono aprirsi senza licenza dell’autorità di pubblica sicurezza del circondario, alberghi locande, trattorie, osterie, caffè, né altri esercizi in cui si vendano al minuto o si consumino vino, birra, liquori od altre bevande, né sale pubbliche per bigliardi o per altri giuochi leciti, né stabilimenti di bagni.


Le disposizioni dettate dall’articolo in disamina e successivi, se ledono in parte la teoria dell’assoluta libertà di commercio, pure sono reclamate dal bisogno indiscutibile di tutelare la sicurezza delle persone e gli averi loro.

È perciò indispensabile che gli esercenti tali industrie possano offrire sufficienti garanzie di sicurezza e di onestà da rassicurare i forestieri e viaggiatori costrettivi a fermarsi.

Contro il divieto opposto dall’autorità di pubblica sicurezza è ammesso il ricorso alla Giunta provinciale amministrativa, giusta il disposto dell’art. 2, n. 1, della legge 1° maggio 1890.


Art. 54. (Reg.) — Gli esercenti hanno l’obbligo di tenere acceso un lume alla porta principale dello stabilimento dall’imbrunire sino alla chiusura dell’esercizio.

Art. 60. — Nella dichiarazione di chi affitta camere o appartamenti mobiliati, di cui è parola nell’art. 60 della legge, saranno indicate la via e la casa in cui trovansi le camere e gli appartamenti d’affittarsi.

Art. 61. — Il registro che gli albergatori o locandieri e tutti coloro che danno alloggio a fine di lucro, devono tenere, indicherà il nome e cognome del viaggiatore o inquilino, la paternità, il domicilio, l’età, la professione, la data dell’arrivo e della partenza, la provenienza.

Il registro è in carta da bollo conformemente al prescritto delle leggi, e dev’essere vidimato ad ogni pagina dall’autorità locale di pubblica sicurezza. A semplice richiesta dovrà essere esibito agli ufficiali od agenti di pubblica sicurezza.

Le medesime indicazioni saranno inserite nell’elenco, che ai termini dell’art. 61 della legge, deve essere presentato all’ufficio locale di pubblica sicurezza

Art. 62. — Occorre la licenza di cui è parola nell’art. 50 della legge, per i luoghi di stallaggio che servono anche al ricovero dei carrettieri, vetturali, mulattieri e simili.


— Per l’art. 49 del regol. di P. S., il proprietario o fìttaiuolo che voglia vendere il vino delle proprie terre, e a questo solo scopo apra temporaneamente le sue cantine, non deve chiedere la licenza, ma basta che ne faccia dichiarazione all’autorità locale di P. S. Nè la circostanza che il proprietario abbia acconciato il vino con altro da taglio che aveva comperato, fa venir meno la condizione che si tratti di vino prodotto nelle proprie terre e l’altra della temporaneità dello smercio, non impone l’obbligo di ottenere la licenza. — (Cass. di Roma, 19 luglio 1892, Cass. u.).

— L’obbligo imposto dalla legge di P. S. di tenere di sera una lanterna accesa alle porte delle osterie od altri stabilimenti in cui si venda vino al minuto, ha luogo anche per gli esercizi che siano precipuamente addetti ad uso di pasticceria e che nel contempo attendano, sia pure in modo accessorio, alla vendita o smercio di vino al minuto. — (Cass. di Firenze, 30 aprile 1881, Man. Astengo Sandri).

— L’esercente è bensì obbligato di tenere nella notte la lanterna accesa alla porta principale del suo negozio, ma non è passibile di pena se la lanterna venga spenta dal vento e, pochi minuti dopo lo spegnimento, sia dichiarato in contravvenzione. — (Cass. di Tonno, 9 febbraio 1887, Man. Astengo Sandri).

— La semplice apertura di una taverna od osteria senza il prescritto permesso, costituisce contravvenzione alla legge di P. S., e, per l’esistenza del reato non occorrono ripetuti atti di esercizio. — (Cass. di Torino, 14 novembre 1888, Legge).

— Se nei locali di una società cooperativa convengono nelle ore di notte i soci colle loro famiglie, se vi si consuma vino e liquori, se vi si cucinano e si consumano a pagamento generi alimentari e vi si fa del baccano, quei locali debbono considerarsi come una osteria, per la quale è necessaria la preventiva licenza dell’autorità politica. — (Cass. di Roma, 30 gennaio 1891, Man. Astengo).

— Chi assume l’esercizio di un caffè, sia pure in rappresentanza del diritti del precedente esercente e per cura e disposizione del curatore del fallimento di costui, non può mai giovarsi della licenza del caffè, già tenuta dal proprietario fallito, ma deve ottenere la licenza in proprio nome. — (Cass. di Roma, 30 agosto 1892, Man. Astengo) ’

— Quanti sono gli esercizi indicati nell’art. 50 legge P. S., altrettante licenze occorrono per le loro aperture ed altrettante tasse sono dovute. Perciò chi ha licenza di apertura di un’osteria, caffè e simili, non può tenere in essi esercizio di giuochi leciti, se non è per questo munito anche di apposita licenza. — (Cass. di Roma, 4 febbraio 1893, Man. Astengo).


Art. 51 (Legge). — La domanda è presentata al sindaco il quale, sentito il parere della Giunta municipale, la trasmette all’autorità di pubblica sicurezza del circondario.


Secondo i precetti di quest’articolo, la domanda, stesa in carta da bollo da cent. 50, colle indicazioni volute dal regolamento (art. 47), deve essere presentata al sindaco, il quale, sentito il parere della Giunta, la trasmette per l’approvazione o meno all’autorità politica del circondario.

Qualora la persona richiedente non si trovi nel novero di quelle contemplate nell’art. 53 regol., detta licenza, pure redatta su carta da bollo da cent. 50, verrà, in via generale, concessa.

Trattandosi invece di stabilimenti balneari in riva al mare, il richiedente dovrà preventivamente munirsi del permesso dell’autorità marittima, come prescrive l’art. 157 del codice per la marina mercantile, ed esibirlo, insieme alla domanda, al capo del comune.

— Chi ha ottenuto di potere aprire un pubblico stabilimento non può, senza un legittimo motivo, rifiutarsi di servire qualunque persona del pubblico. E così gli albergatori non potranno rifiutarsi di dare alloggio ai passeggeri che si presentano; in caso di rifiuto, l’autorità deve sospendere il pubblico esercizio. — (Nota ministeriale, 4 gennaio 1866).


Art. 52 (Legge). — Quando trattisi di osterie, bettole od altri esercizi nei quali si smercino al minuto e si consumino vino, birra o altre bevande alcooliche, la Giunta dichiarerà nel suo parere se, in vista del numero degli esistenti, non convenga negare l’apertura di nuovi esercizi.


Essendo le osterie e le bettole causa precipua di ogni eccesso di alcoolismo, era necessario che il legislatore vi ponesse qualche riparo. Ecco perciò la ragione della disposizione dell’art. 52, il quale lascia al giudizio retto ed illuminato della Giunta locale il decidere se, in vista del numero già esistente, sia il caso o meno di permettere l’apertura di nuovi esercizi.


Art. 58 (Reg.). — È vietato agli esercenti pubblici di mescere vino e liquori, da consumarsi sul luogo, a persone che si trovano in manifesto stato d’ubbriachezza e ad adolescenti.


— Il tenere aperto al pubblico un esercizio per vendita di vino e liquori, equivale per gli effetti della legge alla vendita effettiva di tali generi. — (Cass. di Torino, 3 marzo 1886, Giur. pen. tor.).


Art. 53 (Legge). — Non può essere accordata licenza per esercizi pubblici alle persone che non possono validamente obbligarsi a termini del codice civile p del codice di commercio.

La licenza può essere ricusata a chi fu condannato a pena restrittiva della libertà personale per tempo maggiore di tre anni per qualsiasi delitto.

A chi fu condannato a pena anche minore per resistenza o violenza all’autorità per giuochi di azzardo o per delitto contro il buon costume o contro la sanità pubblica, sarà ricusata la licenza per un tempo eguale alla durata della pena espiata, e in ogni caso per un tempo non minore di un mese.

La licenza non si accorda a chi ha riportato la pena della interdizione sino a che non abbia ottenuta la riabilitazione.

Non è accordata neppure a chi è sottoposto alla vigilanza speciale della pubblica sicurezza o è ammonito, o non può provare la sua buona condotta.

La licenza sarà revocata, quando l’esercente venga a trovarsi in alcuna delle condizioni sopra indicate.


La licenza non è concessa, dice l’articolo, a chi non può validamente obbligarsi a termini del codice civile e del codice di commercio.


Art. 134 (Cod. cw.). — La moglie non può donare, alienare beni immobili, sottoporli ad ipoteca, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali, costituirsi sicurtà, né transigere o stare in giudizio relativamente a tali atti, senza l’autorizzazione del marito.

Il marito può con atto pubblico dare alla moglie l’autorizzazione in genere per tutti o per alcuni dei detti atti, salvo a lui il diritto di rivocarla.

Art. 311. — Il minore che abbia compiuto gli anni diciotto, potrà essere emancipato dal genitore che eserciti la patria podestà, e in mancanza dal consiglio di famiglia.

L’emancipazione si effettuerà mediante dichiarazione fatta davanti il pretore dal genitore, o mediante deliberazione del consiglio di famiglia.

Art. 317 (Cod. civ.) — L’emancipazione conferisce al minore la capacità di fare da sé solo tutti gli atti che non eccedano la semplice amministrazione.

Art. 318. — Il minore emancipato può, con l'assistenza del curatore, riscuotere i capitali sotto condizione di idoneo impiego, e stare in giudizio, sia come attore, sia come convenuto.

Art. 323. — La maggiore età è fissata agli anni ventuno compiti.

Il maggiore d’età è capace di tutti gli atti della vita civile, salve le eccezioni stabilite da disposizioni speciali.


Art. 324 — H maggiore di età ed il minore emancipato, il quale si trovi in condizione di abituale infermità di mente che lo renda incapace di provvedere ai proprii interessi, deve essere interdetto.

Art. 329. — L’interdetto è in istato di tutela.

Le disposizioni relative alla tutela dei minori sono comuni alla tutela degli interdetti.

Art. 339. — L’infermo di mente il cui stato non sia talmente grave da far luogo all’interdizione, e il prodigo potranno dal tribunale essere dichiarati inabili a stare in giudizio, fare transazioni, prendere a prestito, ricevere capitali, rilasciare liberazioni, alienare od ipotecare i suoi beni, né fare altro atto che ecceda la semplice amministrazione, senza l’assistenza di un curatore da nominarsi dal consiglio di famiglia o di tutela.

L’inabilitazione può essere promossa da coloro che hanno diritto di promuovere l’interdizione.

Art. 9 (Cod. di comm.). — I minori emancipati maschi o femmine, per potere esercitare il commercio ed essere reputati maggiori quanto alle obbligazioni da essi contratte per atti di commercio, devono sei sere autorizzati dal genitore con atto davanti al pretore, o dal consiglio di famiglia o di tutela con dei liberazione omologata dal tribunale civile, secondo; le disposizioni dell’art. 319 del codice civile.

Gli atti di emancipazione e d’autorizzazione devono e essere presentati alla cancelleria del tribunale di comti mercio nella cui giurisdizione il minore intende di stabilire la sua residenza, per essere, a cura del cancelliere, trascritti nel registro a ciò destinato ed affissi nella sala del tribunale, nella sala del comune e e nei locali della corte più vicina.

Il cancelliere deve conservare la prova delle eseguite affissioni.

Prima della trascrizione e delle affissioni suddette, il a minore non può imprendere l’esercizio del commercio.

Art. 10. (Cod. di comm.). — La disposizione dell'articolo precedente è applicabile ai minori emancipati, i anche non commercianti, rispetto ai fatti che la legge i reputa atti di commercio.

Art. 11. — I minori commercianti possono ipotecare ed alienare i loro beni immobili.

Art. 13. — La moglie non può essere commerciante senza il consenso espresso o tacito del marito.

Si presume il consenso del marito, quando l’esercizio del commercio sia pubblico e notorio, salvo che i il marito ne abbia fatto divieto espresso con dichiarazione pubblicata nei modi stabiliti nell’art. 9.

Nei casi indicati nei numeri 1° e 2° dell'articolo 135 del codice civile, l’autorizzazione del marito; non è necessaria alla moglie di età maggiore, ma nei casi indicati nell’art. 136 del codice medesimo è richiesta l’autorizzazione del tribunale.

La moglie che vende soltanto le merci del traffico del marito, non è solo per ciò, commerciante.

Art. 14. — La moglie commerciante può, senz’altra autorizzazione, stare in giudizio e contrarre obbligazioni per tutto ciò che concerne il suo commercio.

Se la moglie è in comunione di beni col marito, secondo le disposizioni del codice civile, essa obbliga eziandio il marito ristrettamente agli utili della comunione.

Essa può senza autorizzazione, dare a pegno mobili ed ipotecare od alienare i suoi beni immobili. Tuttavia i beni dotali non possono essere ipotecati né alienati, fuorché nei casi e nelle forme determinate nel codice civile.

La moglie, sebbene commerciante, non può contrarre società commerciale assumendo responsabilità illimitata senza un’autorizzazione speciale del marito o del tribunale.

Art. 15 (Cod. di comm. — L’autorizzazione per esercitare il commercio dato al minore dal genitore o dal consiglio di famiglia o di tutela; ed il consenso dato per tale oggetto dal marito alla moglie, possono in ogni tempo essere rivocati. L’atto di rivocazione dev'essere pubblicato nei modi stabiliti nell’articolo 9.

Tuttavia la rivocazione avvenuta dopo che il minore o la moglie abbia già impreso l’esercizio del commercio non ha effetto, se non sia approvata dal tribunale civile, sentito a porte chiuse il minore o la moglie.

La rivocazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, neppure per le operazioni in corso.


Per il capoverso dell’articolo in esame, la licenza può essere negata a chi fu condannato alla pena restrittiva della libertà personale per un tempo maggiore di tre anni, esclusi, ben s’intende, i casi di cui parla il periodo seguente (resistenza o violenza alla autorità, giuochi d’azzardo, ecc.), nei quali detta licenza sarà sempre ricusata per un tempo non minore di un mese.

E qui, naturale, sorge la domanda intorno all’epoca da cui deve cominciare a decorrere il periodo di tempo durante il quale la licenza non può essere concessa. Se, cioè, dal giorno in cui si è fatta la domanda, o da quello dell’espiata pena.

Da quest’ultimo non v’ha dubbio, devesi rispondere, in considerazione se non fosse altro dello spirito veramente giusto e liberale che informa tutti i precetti della presente legge.

La licenza, ancora è sempre negata a coloro i quali riportarono la pena della interdizione senza essere stati riabilitati, e sottoposti alla vigilanza speciale di P. S., agli ammoniti ed a tutti coloro che non possono provare la buona condotta.

All’esercente poi che durante il tempo della concessione, verrà a trovarsi in una delle condizioni su esposte, gli sarà tosto revocata la licenza.


Art. 54 (Legge). — La licenza è personale e dura! fino al 31 dicembre di ciascun anno.

Non si può cedere la licenza ad altri, ma si può condurre l’esercizio col mezzo di interposta persona, purché essa non si trovi nel novero di quelle di cui! all’articolo precedente.

La stessa licenza può servire per due o più esercizi.


Essendo la licenza personale, non può essere ceduta ad altri, ma i si può condurre l’esercizio per mezzo di interposta persona. Deve ‘ questa essere munita dell’assenso dell’autorità di P. S. e trovarsi nelle condizioni dalla legge richieste come per ottenere la licenza: in proprio nome.


Art. 51 (Reg). — Chi voglia condurre l’esercizio col mezzo d’interposta persona, deve esibire all’autorità di pubblica sicurezza del circondario i certificati necessari a provare che la persona medesima non si trova in alcuna delle condizioni indicate all’art. 53 della legge.

Art. 52. — Perché una licenza possa servire per due o più esercizi, a termini dell’art. 51 della legge, occorre che i varii esercizi siano in essa indicati e che si paghino per ognuno le relative tasse.

Il concessionario presenterà per gli esercizi, ai quali non può assistere personalmente, altre persone che non si trovino in alcuna delle condizioni indicate all’art. 53 della legge.

Art. 53. — È necessario l’assenso dell’autorità locale di pubblica sicurezza per il trasferimento di un esercizio pubblico da una ad altra casa dello stesso comune.


— Si verifica la contravvenzione di esercizio di una osteria per interposta persona nel caso in cui il titolare abbandona lo stabilimento e si reca ad esercitare altrove altra industria, lasciando la amministrazione della osteria stessa alla propria moglie.

Questa in tal caso commette la contravvenzione di esercizio di osteria senza permesso. — (Cass. di Torino, 1° agosto 1887, Man. Astengo, Sandri).

— Il trasloco di un esercizio, quando sia da un comune all’altro, richiede che l’esercente si munisca di una nuova licenza. Ciò perché essendo tali esercizi soggetti ad una tassa a favore dei comuni, non potrebbero esserne questi privati, come non si potrebbe togliere alla giunta municipale il diritto di esprimere il suo avviso sulla convenienza dell’apertura di tale esercizio. — (Cass. di Firenze, 25 febbraio 1885).

— Si verifica il reato di esercizio per interposta persona di un pubblico stabilimento, quando l’esercizio sia fatto valere stabilmente da altra persona, e non quando sia fatto valere momentaneamente da un socio del titolare. — (Cass. di Roma, 14 febbraio 1889).

— La licenza per condurre un esercizio pubblico è affatto personale, e quindi l’esercente non può declinare la responsabilità delle contravvenzioni che la legge pone a carico dei concessionari! della licenza medesima. — (Cass. di Roma, 6 ottobre 1890, Man. Astengo).

— Per condurre l’esercizio per mezzo d’interposta persona non basta che il nome di tale persona sia notificato all’autorità di pubblica sicurezza, ma occorra avere dalla stessa riportata analoga autorizzazione e licenza. — (Cass. di Roma, 11 gennaio 1892, Cassazione Unica).

— Ove il giudice di merito escluda che l’esercente non attendesse quasi mai all’esercizio del suo negozio e che egli si fosse fatto rappresentare da altra persona nell’esercizio, la quale invece ritenne che funzionava da semplice cameriera, non è il caso d’invocare gli art. 54 e 62 legge di P. S., per essersi l’esercente fatto rappresentare da interposta persona senza licenza, e per avere quest’ultima condotto l’esercizio, senza averne ottenuta licenza. — (Cass. di Roma, 12 agosto 1892, Cassazione Unica)

— Per condurre l’esercizio per mezzo di interposta persona non basta che il nome di tale persona sia notificato all’autorità di P. S., ma occorre avere dalla stessa riportata analoga autorizzazione e licenza. — (Cass. di Roma, 11 gennaio 1892, Man. Astengo).


Art. 55 (Legge). — La chiusura dell’esercizio per lo spazio di oltre otto giorni, senza averne avvisata l’autorità locale di pubblica sicurezza, importa rinunzia alla licenza, che sarà ritirata.


Il tenere chiuso l’esercizio per oltre otto giorni consecutivi, senza darne avviso all’autorità, equivale alla spontanea rinunzia dell’esercizio stesso, e senz’altro la licenza viene revocata.


Art. 56 (Legge). — L’orario, così per l’apertura come per la chiusura degli esercizi indicati nell’articolo 50, è fissato dall’autorità di pubblica sicurezza del circondario, d’accordo con la giunta municipale.

In tutte le sale di bigliardo e di giuoco sarà esposta una tabella, vidimata dall’autorità di pubblica sicurezza del circondario, nella quale saranno indicati i giuochi proibiti.


L’orario tanto per l’apertura, quanto per la chiusura dei pubblici esercizi viene fissato dall’autorità di P. S. del circondario d’accordo con la giunta municipale: in caso di dissenzione fra le due autorità dal prefetto.

La seconda parte dell’articolo si riferisce al giuoco. Prescrive che l’esposta tabella debba contenere l’enumerazione di tutti i giuochi proibiti o d’azzardo. Tali sono tutti quelli nei quali la vincita o la perdita dipende esclusivamente o quasi dal caso e nessuna parte vi ha l’abilità del giuocatore.

Il giuoco della morra fu da un recente giudicato della cassazione di Roma ritenuto un giuoco d’azzardo, non forse con troppa ragione, inquantoché in esso la vincita generalmente dipende dalla valentia, e non dal caso.

Le lotterie pubbliche e le tombole di beneficenza fanno un’eccezione, né si devono ritenere giuochi d’azzardo.


Art. 57 (Reg.). — L’orario di chiusura e d’apertura degli esercizi pubblici, in caso di disaccordo tra l’autorità di pubblica sicurezza del circondario e la giunta municipale, è fissato dal prefetto.

Art. 59. — La tabella di cui è parola nell’art. 56 della legge, conterrà l’enumerazione di tutti i giuochi d’azzardo conosciuti in paese e la dichiarazione che sono proibiti tutti i giuochi di azzardo di qualsiasi specie.


— Anche nelle case private è vietato il giuoco di azzardo quando si ammettono o indistintamente le persone, o anche solo quelli che si presentano a nome e per opera degli interessati.

La pena si applica anche a coloro che prestano o cedono la casa per il giuoco. — (Cass. di Roma, 11 luglio 1887, Foro. Ital.).

— La tardiva chiusura dell’esercizio costituisce una contravvenzione a carico del titolare a cui fu rilasciata la licenza d’apertura dell’esercizio, e non a carico del cessionario dell’esercizio medesimo non ancora riconosciuto dall’autorità politica. — (Cass. di Torino, 29 dicembre 1888, Man.).

— L’art. 39 della legge di P. S. vieta la cessione del pubblico esercizio o il farlo valere per interposta persona; ma non vieta all’esercente di allontanarsi per breve tempo dall’esercizio pei suoi bisogni, lasciando altri ad accudirvi. — (Cass. di Roma, 21 settembre 1888, Man.).

— Per la esistenza della contravvenzione per mancata chiusura di esercizio, basta la constatazione del fatto materiale, perché l’esercente debba risponderne, a meno che non provi che il fatto avvenne contro la sua volontà. — (Cass. di Roma, 6 ottobre 1890, Man. Astengo).

— Non risponde di tardiva chiusura l’esercente che non ha potuto chiudere a tempo debito il proprio esercizio, perché molesti avventori non volevano allontanarsi. — (Cass. di Roma, 20 ottobre 1890, Man. Astengo).

— Un esercente locanda, caffè, osteria o bettola non resta scagionato in giudizio dall’imputazione di abusiva protrazione d’orario pel fatto che le persone che si volevano rinchiudere nel suo esercizio, trascorso l’orario di chiusura, si trovassero invece in locali già adibiti all’esercizio stesso, ma da tempo sublocati a terzi, quando il subaffitto sia avvenuto senza preavviso e consenso dell’autorità di P. S.

L’autorità di P. S. essendo tenuta per l’art. 14 della legge ad invigilare sui locali dell’esercizio e di alloggio dell’esercente in comunicazione con quello, deve essere prevenuta delle modificazioni che in detti locali si verificassero dopo la concessione della licenza. — (Cass. di Torino, 27 febbraio 1889).

— L’obbligo di tenere la tabella nella quale siano indicati i giuochi proibiti non si estende a tutti gli esercizii indicati nell’articolo 50 legge P. S. se non quando in detti esercizii vi siano sale di giuoco. — (Cass. di Roma, 5 febbraio 1892, Man. Astengo).

— Non incorre nella contravvenzione di cui agli art. 56 e 62 legge P. S. e 450 C. P., il caffettiere che alla mezzanotte, ora fino alla quale ha ottenuto il permesso di tenere aperto l’esercizio, invita i presenti ad andarsene e spegne i lumi della stanza prospiciente sulla pubblica strada per chiudere. Né a ritenerlo colpevole della contravvenzione in parola vale il fatto di essersi alcuni degli avventori presenti, anziché uscire, ritirati in una stanza adiacente alla cucina ed adibita ad uso di abitazione, trattenendovisi per continuare una conversazione accademica senza giuocare o dare alcun utile all’esercente, come non vale la circostanza di avere egli lasciata aperta la porta di strada che era quella per la quale si accedeva anche alla casa, se con apprezzamento di fatto li incensurabile in cassazione siasi accertato che questa non fu lasciata aperta per richiamare avventori. — (Cass. di Roma, 2 febbraio 1892, Foro Penale).


Art. 57 (Legge). — Gli ufficiali di pubblica siculi: rezza possono accedere in qualunque ora ai locali dell’esercizio pubblico ed a quelli che sono in comunicazione con esso.


La sorveglianza dei pubblici esercizii spetta agli ufficiali di P. S. p i quali possono accedervi a qualunque ora con facoltà di visitare gli altri locali in mediata comunicazione con essi, imperocché questi diventano parte integrante dell’esercizio stesso.

L’uso di questa facoltà è ristretta ai soli funzionarli di P. S. con «esclusione anche di tutti gli ufficiali di polizia giudiziaria.

Né si può dire con ciò che esista una manifesta violazione ai, diritti sanciti dallo statuto, poiché qualora l’esercente voglia rendere inviolabile il proprio alloggio, non ha che chiuderlo interamente, togliendo così ogni comunicazione diretta con l’esercizio.


Art. 58 (Legge). — L’autorità di pubblica sicurezza del circondario può sospendere un esercizio nel quale siano seguiti tumulti o gravi disordini o che e sia abituale ritrovo di persone pregiudicate.

Questa disposizione è applicata anche alle così dette cameracce o bettole di campagna.

Spetta al prefetto di determinare la durata della sospensione.


Allorché in un esercizio pubblico avvengano tumulti, gravi disordini o vi sia abituale ritrovo di persone pregiudicate, l’autorità di P. S. ha la facoltà di poterne disporre la sospensione, la cui durata verrà determinata dal prefetto.

Per la legge 20 marzo 1865 la sospensione non poteva protrarsi oltre un anno: il silenzio della vigente in proposito, lascia a ragione credere che tale limite sia ancora il massimo da infliggersi nei mentovati casi.

La lettera stessa e lo spirito della legge inducono a ritenere che mentre è ammesso il ricorso alla giunta provinciale amministrativa contro il decreto d’apertura, uguale ricorso non sia ammesso contro il provvedimento di sospensione. La lettera, perché l’art. $ n. 1 della legge 1° maggio 1890 richiama solo gli art. 50, 51, 52, 67 e 68 della legge di P. S.; lo spirito, perché simile provvedimento trovando la sua ragione in una suprema necessità di ordine pubblico, è bene che non sia soggetto ad alcun sindacato.


Art. 59 (Legge). — In occasione di fiere, feste, mercati o di altre riunioni straordinarie di persone, l’autorità locale di P. S. può concedere licenze temporanee di pubblico esercizio, durante il tempo dello straordinario concorso, a chi provi la sua buona condotta.

A questi esercizi sono applicabili le disposizioni degli art. 56 e 57.


L’autorità locale di P. S., oltre alle licenze permanenti, ne può concedere di temporanee in occasione di feste, fiere, mercati, ecc., a chi provi buona condotta.

A questi esercizi sono applicabili le stesse norme e discipline che regolano tutti gli altri.

Ma essendo questa concessione una pura facoltà dell’autorità di P. S., può ritenersi che contro il non uso di essa mal si potrebbe avanzare reclamo alla Giunta provinciale amministrativa.

A quest’obbligo della licenza temporanea sono sottoposti anche gli esercenti muniti di regolare licenza, qualora volessero recarsi ad esercitare in luoghi e circostanze di festa. — (Cass. di Torino, 7 gennaio 1882, Man.)

Art. 60 (Legge). — Non si può esercitare l’industria di affittar camere o appartamenti mobiliati o altrimenti dare alloggio per mercede, senza preventiva dichiarazione dell’autorità locale di P. S.

L’autorità di P. S. del circondario, di sua iniziativa o sul rapporto dell’autorità locale, potrà vietare tale esercizio, se il dichiarante si trovi nel novero delle persone di cui all’art. 53.


Chi affitta camere, appartamenti mobiliati, o dà alloggio per mercede, non può esercitare la sua industria so non è riconosciuto idoneo dalla autorità di P. S. del luogo, vale a dire se non consta persona onesta e morale.


Art. 60 (Reg). — Nella dichiarazione di chi affitta camere o appartamenti mobiliati, di cui è parola nell’art. 60 della legge, saranno indicate la via e la casa in cui trovansi le camere e gli appartamenti da affittarsi.


— Non occorre l’abitualità del fatto perché debba rispondere di contravvenzione agli art. 451 cod. pen. e 60 legge P. S. chi affitta camere mobiliate senza preventiva dichiarazione. — (Cass. di Roma, 13 agosto 1891, Man. Astengo, 1892).


Art. 61 (Legge). — Gli albergatori, i locandieri e coloro che dànno alloggio per mercede, devono tenere un registro delle persone alloggiate e notificarne giornalmente all’autorità locale di P. S. l’arrivo e la partenza, nei modi che saranno stabiliti dal regolamento.


Le persone mentovate nell’articolo, devono tenere un registro sul quale saranno segnati tutti gli individui alloggiati, notificandone giornalmente all’autorità di P. S. l’arrivo, la partenza e la provenienza.

Questa disposizione, che a tutta prima non parrebbe avere grande importanza, è efficacissima e rende utili servigi alla P. S. specialmente nelle ricerche.


Art. 61 (Reg). — Il registro che gli albergatori o locandieri e tutti coloro che danno alloggio a fine di lucro, devono tenere, indicherà il nome e cognome del viaggiatore o inquilino, la paternità, il domicilio, ' l’età, la professione, la data dell’arrivo e della partenza, la provenienza.

Il registro è in carta da bollo conformemente al prescritto delle leggi, e dev’essere vidimato ad ogni pagina dall’autorità locale di pubblica sicurezza. A semplice richiesta dovrà essere esibito agli ufficiali od agenti di pubblica sicurezza.

Le medesime indicazioni saranno inserite nell'elenco, che ai termini dell’art. 61 della legge deve essere presentato all’ufficio locale di pubblica sicurezza.


— Gli albergatori o locandieri non sono obbligati di fare alcuna notificazione all’autorità di P. S. quando non arrivano, né partano viaggiatori dal loro esercizio. — (Corte di Cass, di Roma, 3 aprile 1891, Man. Astengo).


Art. 62 (Legge). — H contravventore alle disposizioni di questo capo è punito a termini del codice penale.

Art. 449. (Cod. pen.) — Chiunque apre agenzie di affari o stabilimenti o esercizi pubblici, per i quali sia necessaria una licenza dell’autorità, senza averla prima ottenuta, è punito con l'ammenda sino a lire trecento; alla quale, in caso di recidiva nello stesso reato, si aggiunge l’arresto sino ad un mese.

Se la licenza sia stata negata, la pena è dell’ammenda sino a lire cinquecento; alla quale, in caso di recidiva nello stesso reato, si aggiunge l’arresto sino a tre mesi.

Art. 450. — Il proprietario o conduttore di un’agenzia o di uno degli stabilimenti o esercizi! indicati nell’articolo precedente, il quale non osserva le prescrizioni stabilite dalla legge o dall’autorità, è punito con l’ammenda sino a lire 50; alla quale, in caso di recidiva nello stesso reato, si aggiungono l’arresto sino a quindici giorni e la sospensione dall’esercizio, della professione o dell'arte sino ad un mese.

Art. 451 (Cod. pen.). — Chiunque per mercede alloggia o riceve in convitto o in cura alcuno, senza osservare quanto sia legalmente prescritto intorno all’obbligo di registrazioni, di dichiarazioni o denunzie all’autorità, è punito con l’ammenda sino a lire 50; e, in caso di recidiva nello stesso reato, da lire 20 a 200.

Se l’industria sia esercitata contro il divieto dell’autorità, la pena è dell’ammenda sino a lire 100; e in caso di recidiva nello stesso reato, da lire 50 a lire 500.


— Commette contravvenzione chi lacera, prima di un'ora di notte, uno stampato affisso al pubblico per concessione dell'autorità politica, sebbene l'affissione non siasi eseguita nel luogo designato dall'autorità competente. — (Cass. di Roma, 10 febbraio 1890, Man. Astengo).


CAPO III

Delle tipografie e delle arti affini

Art. 63 (Legge). — Non possono esercitarsi le arti tipografica, litografica od altra simile senza preventiva dichiarazione all’autorità locale di P. S. con la indicazione del luogo dell’esercizio e del nome del proprietario o di chi lo rappresenta.

Dovrà pure dichiararsi ogni cambiamento di località o di persona.


Il presente articolo rende più completo e chiaro il 442 del codice penale così concepito:

«Chiunque esercita l’arte tipografica, litografica o altra arte di riproduzione in molteplici esemplari con mezzi meccanici o chimici, senza osservare le prescrizioni della legge, è punito con l’ammenda da lire cento a lire millecinquecento. »

La dichiarazione di chi vuole esercitare l’arte tipografica, litografica od altra di simil genere, deve preventivamente esser fatta all’autorità locale di P. S. seguendo date norme.

L’obbligo della dichiarazione spetta soltanto ai conduttori delle stamperie, litografie, ecc. e non, come alcuni hanno voluto interpretare, agli operai di tali stabilimenti.

Fu poi domandato se fra i detti stabilimenti si intendessero compresi anche i fotografici; ed il ministro Depretis nel suo progetto del 1882, per togliere ogni discussione o dubbio, comprese tassativamente anche questi ultimi «perché, diceva, anche l’arte fotografica servendo alla riproduzione delle figure e disegni, vi è logicamente assimilata».

Unica eccezione al tassativo obbligo della dichiarazione è stabilita per la tipografia al servizio del Sommo Pontefice, rimanendo per questo caso in vigore il regio decreto 19 ottobre 1870.


Art. 64 (Legge). — Oltre a quanto è disposto dal codice penale, non possono esporsi alla pubblica vista figure o disegni offensivi della morale, del buon costume, della pubblica decenza e dei privati cittadini.

Se chi li ha esposti, rifiuta di toglierli, saranno levati dagli ufficiali od agenti di pubblica sicurezza e trasmessi all'autorità giudiziaria per il procedimento.

Il contravventore è punito coll'ammenda sino a lire cinquanta.


Il bisogno, la necessità di una legge che tutelasse la moralità, la decenza, il buon costume, basi fondamentali di ogni civile progresso, erano altamente sentiti di fronte alle centuplicate esposizioni di figure ed incisioni recanti offesa al pudore od a privati cittadini.

La stampa onesta alta avea levata la voce in proposito, ed il legislatore nostro tenendo conto di tali esigenze, elevandole anzi a legge, coll’art. 339 del codice penale, statuì pene severe contro chiunque offenda il pudore per mezzo di scritture, disegni e d’altri oggetti osceni sotto qualunque forma divulgati, esposti al pubblico od offerti in vendita, e coll’art. 393 stesso codice comminò la reclusione da uno a cinque anni e la multa non inferiore alle lire i mille a chiunque con scritti o disegni divulgati od esposti al pubblico attribuisca ad una data persona un fatto determinato e diretto ad esporla al disprezzo od all’odio pubblico.

I disposti dell’articolo in esame sono un vero e proprio compie. i mento a quelli del codice, giacché possono esservi dei disegni o stampe che, pur non rivestendo il carattere di reato a sensi degli ì art. 339 e 393 su mentovati, costituiscono un’offesa alla decenza r ed al buon costume.

La contravvenzione in questi casi non è costituita dal solo fatto della esposizione al pubblico, ma dal rifiuto all’invito degli ufficiali di P. S. di togliere quelle stampe proibite.

— Il reato di offesa al buon costume a mezzo della stampa sussiste integralmente anche quando la offesa non sia tanto manifesta,

(Cass. di Torino, 5 giugno 1889, Giur. pen,),

— La diffamazione commessa col mezzo di un giornale non è i reato di stampa, e quindi si applica la prescrizione stabilita dal codice comune, non quella di tre mesi, stabilita dalla legge sulla stampa. — (Cass, di Roma, 2 luglio 1890, Man.),


Art. 6 5 (Legge). — Salvo quanto dispone la legge. sulla stampa pei giornali periodici, nessuno stampato o manoscritto può essere affisso o distribuito in luogo pubblico od aperto al pubblico, senza la licenza dell’autorità locale di pubblica sicurezza.

Sono esclusi da questa prescrizione gli stampati e; manoscritti delle autorità e pubbliche amministrazioni e quelli relativi a materie elettorali, ad affari commerciali ed a vendite o locazioni.

Le affissioni devono farsi nei luoghi designati dall’autorità competente.


L’affissione e la distribuzione in luogo pubblico od aperto al pubblico di stampati o manoscritti, possono in certi casi, in date circostanze, arrecare turbamento, esser causa di gravi disordini.

La legge, pertanto, in considerazione di ciò, prescrive coll'articolo 65 che tutte le affissioni o distribuzioni, salve eccezioni, sono vietate senza aver ottenuto il preventivo permesso dall’autorità locale di P. S.

— È necessaria la licenza dell'autorità di P. S. per affiggere manifesti non solo nei luoghi pubblici propriamente detti, come le piazze e le vie, ma anche negli esercizi e stabilimenti aperti al pubblico come caffè, trattorie e simili negozi. — (Cass. di Roma, 16 giugno 1880, Foro pen.).

— L’affissione di uno stampato senza licenza costituisce una contravvenzione tanto a carico di chi ha dato l’ordine dell'affissione, come a carico di chi la esegui. — (Cass. di Torino 28 novembre 1886, Foro pen.).

— Non si può dire che sia un manifesto relativo ad affare commerciale quello che contiene un artificio di speculatori per eccitare il popolino ad inconsulta emigrazione. Per l’affissione del medesimo occorre pertanto il permesso della autorità di P. S. — (Cass. di Roma 9 ottobre 1891, Foro pen.).

— La previa licenza dell’autorità di pubblica sicurezza all’affissione o distribuzione dello stampato o manoscritto è dall'art. 65 della legge sulla pubblica sicurezza prescritta in riguardo allo stampato o manoscritto da affiggersi o distribuirsi, e non alla persona del distributore.

Per la distribuzione dei giornali periodici non è necessaria la previa licenza dell’autorità di pubblica sicurezza; basta la consegna di copia al ministero pubblico, come è prescritto dalla legge sulla stampa. — (Cass. di Roma, 4 febbraio 1891, Man. Astengo).

— L’art. 65 della legge sulla pubblica sicurezza vieta l’affissione di manoscritti o stampati fatti senza licenza dell’autorità, e l’art. 445 del cod. pen. punisce non solo chi affigge, ma anche chi fa affiggere tali manoscritti o stampati; epperò malamente si pretende che il primo, e non già il secondo debba munirsi della necessaria licenza. — (Cass. di Roma, 4 febbraio 1892, Foro pen.).

— Il divieto stabilito nell’art. 65 della legge di pubblica sicurezza di distribuire in luogo pubblico, senza licenza dell’autorità, gli stampati nello stesso articolo non eccettuati, si applica non solo alla distribuzione gratuita, ma anche alla vendita.

Né vien meno la contravvenzione per essere la vendita fatta da un venditore ambulante di stampati e giornali munito della licenza prescritta dall’art. 72 della stessa legge di pubblica sicurezza. — (Cass. di Roma, 9 luglio 1892, Man. Astengo).


Art. 66 (Legge). — Il contravventore alle disposizioni degli articoli 63 e. 65 è punito a termini del Codice penale.

Art. 442 (Cod. pen). — Chiunque esercita l’arte tipografica, litografica o altra arte di riproduzione in molteplici esemplari con mezzi meccanici o chimici, senza osservare le prescrizioni della legge, è punito con l’ammenda da lire cento a millecinquecento.

Art. 443. — Chiunque smercia o distribuisce in luogo pubblico o aperto al pubblico stampati, disegni o manoscritti senza licenza dell’autorità, quando tale licenza sia richiesta dalla legge, è punito con rammenda sino a lire cinquanta.

Se si tratti di stampati o disegni dei quali l’autorità abbia ordinato il sequestro, la pena è dell’arresto sino ad un mese e dell’ammenda da lire cinquanta a cinquecento.

Art. 444. — Chiunque, nello smerciare o distribuire stampati, disegni o manoscritti, in luogo pubblico o aperto al pubblico, annunzia o grida notizie per le quali possa essere turbata la tranquillità pubblica o delle persone, è punito con l’ammenda sino a lire duecento; e, se le notizie siano false o supposte, con l’ammenda da lire cento a trecento o con l’arresto sino ad un mese.

Art. 445. — Chiunque, senza licenza dell’autorità, ovvero fuori dei luoghi nei quali l’affissione è permessa, affigge o fa affiggere stampati, o manoscritti, è punito con l’ammenda sino a lire cinquanta,

Art. 446 — Chiunque stacca, lacera o altrimenti rende inservibili gli stampati, disegni o manoscritti fatti affiggere dall’autorità, è punito con l’ammenda sino a lire cento; e, se lo faccia in dispregio dell’autorità con l’arresto sino a quindici giorni.

Se trattasi di stampati, disegni o manoscritti fatti affiggere dai privati nei luoghi e modi consentiti dalla legge o dall’autorità, e il fatto sia commesso prima del giorno successivo a quello in cui avvenne l’affissione, la pena è dell’ammenda sino a lire cinquanta.

CAPO IV

Delle agenzie pubbliche

Art. 67 (Legge). — Non possono aprirsi od esercitarsi agenzie di prestiti sopra pegno, senza la licenza dell’autorità di pubblica sicurezza del circondario.

La licenza può essere vincolata a speciali prescrizioni nello interesse pubblico, ed al deposito di una cauzione nella misura e nella forma che saranno determinate, sentita la Camera di commercio.


Contro la disonestà e le frodi di alcuni agenti di prestiti sopra pegno a danno di tanti disgraziati stretti dalla necessità, provvidamente vi pose un argine la vigente legge col prescrivere l'obbligo della licenza ogni qualvolta si tratti dell'apertura di agenzie di pegno; licenza che può essere vincolata a speciali prescrizioni nell'interesse pubblico ed al deposito di una competente cauzione.


Art. 63 (Reg). — La domanda della licenza di aprire ed esercitare un’agenzia di prestiti sopra pegno sarà accompagnata dal certificato penale, dal certificato di buona condotta del richiedente e, agli effetti della concessione della licenza, da una dichiarazione della competente autorità attestante la sua capacità di obbligarsi.

Saranno indicate nella domanda la via e la casa ove vuoisi aprire l’agenzia,, e la misura degli interessi ohe l’agente intende di applicare sui prestiti sopra pegno.

Art. 64. — La cauzione dell’agente sta a rispondere, oltreché di tutte le sue obbligazioni inerenti all’esercizió, anche della osservanza delle condizioni indicate nell’atto di licenza.

Art. 65. — l'autorità di pubblica sicurezza del circondario ordinerà lo svincolo e la restituzione della cauzione, quando, cessate le operazioni di agenzia, l’agente proverà di non avere affari pendenti per effetto delle medesime, ed in ogni caso non mai prima di tre mesi dalla cessazione di esse.

Art. 66. (Reg.) — Le agenzie non possono impegnare gli effetti, ricevuti in pegno, presso i monti i di pietà né fare altre operazioni di soppegno.

Art. 67. — Gli oggetti ricevuti in pegno devono essere assicurati contro l’incendio per una somma complessiva fissata di anno in anno dall'autorità di pubblica sicurezza del circondario, sentita la camera ' di commercio.

Art. 6S. — Per esercitare un’agenzia a mezzo d’interposta persona è richiesto il consenso scritto dell’autorità di pubblica sicurezza del circondario.

Art. 70. — È vietato agli agenti di accettare pegni da persone d’età minore o in istato di ebrietà, e da persone evidentemente o notoriamente prive di discernimento.

Art. 71. — L’agente è tenuto a comunicare giornalmente in carta libera all’autorità di pubblica sicurezza una nota delle operazioni di pegno fatte nella giornata.

Art. 72. — Qualora vi sia fondata ragione a credere che un oggetto presentato per un’operazione di pegno sia di provenienza furtiva, l'agente è tenuto a darne avviso all'autorità di pubblica sicurezza senza indugio.


— Il rigattiere non può fare abitualmente prestiti sopra pegno (1) senza farne la dichiarazione all'autorità politica locale. — (Cass. di Roma 21 novembre 1887, Legge).

— Per esercitare privatamente un ufficio d'affari non occorre la G preventiva dichiarazione all'autorità di P. S.

— Non costituisce perciò contravvenzione alla L. di P. S. chi si adopera in servizio di privati che ne lo richiedono, a redigere note ipotecarie, e si incarica di quanto occorra di fare per le operazioni, presso l'ufficio delle ipoteche. — (Cass. di Palermo, 9 settembre 1889,. Man. Astengo).

— Non è sottoposto all'obbligo della licenza chi nella propria abitazione fa prestiti sopra pegni, senza stabilire a tale scopo un pubblico ufficio. — (Cass. di Poni a 10 dicembre 1889, Cass. Unica).

— Per le agenzie di prestiti sopra pegni occorre la previa permissione anche quando non si manifestino con avvisi, insegne, uffici pubblici ed altri segni esteriori. — (Cass. di Roma 18 luglio 1890, Cass. Unica).

— La nuova L. di P. S. a differenza dell'antica, esige la permissione dell'autorità politica per fare abitualmente operazioni di pegno, anche senza l'apertura di un ufficio pubblico. — (Cass. di Roma, 18 luglio 1890, Man. Astengo).

— Compie operazioni di prestiti sopra pegni e deve perciò munirsi del permesso prescritto dall'art. 67 della L. di P. S., chi riceve oggetti, sui quali fa delle anticipazioni, e poi li dà in pegno al Monte di £ietà, trattenendo presso di sé le relative polizze come pegno ed in garanzia delle somme da lui anticipate.

Chi fa operazioni di prestiti sopra pegni senza licenza va soggetto a due pene, a quella portata dal codice penale e a quella stabilita dalla legge sulle concessioni governative. — (Cass. di Roma 24 giugno 1891, Man. Astengo).

— L'autorità di P. S. nell'interesse pubblico, dovendo sorvegliare a termini di legge le agenzie di prestiti sopra pegni, ha facoltà di limitare il tasso degli interessi richiesti da tali agenzie ed è conveniente di lasciare di volta in volta giudice la detta autorità del limite a cui possa essere spinto tale tasso, non trascurando per maggior precauzione che sia sentita la Camera di commercio intorno al massimo interesse di tolleranza. La vendita poi dei pegni non riscattati, dovendo i prestiti fatti sopra pegni considerarsi come atti di commercio, deve effettuarsi colle norme più spiccie e meno costose del codice di commercio. — (Cass. di Roma, 8 aprile 1892, Man. Astengo).


Art. 68 (Legge). — La licenza è personale e dura un anno. Alla concessione ed alla revoca della licenza si applicano le disposizioni dell’art. 53.

Art. 69 (Reg.) — La rinnovazione annuale della licenza si fa mediante la vidimazione della licenza originale.

Art. 69 (Legge). — Non possono aprirsi od esercitarsi altre agenzie pubbliche od uffici pubblici d’affari senza presentiva dichiarazione all’autorità di pubblica sicurezza del circondario, che potrà vietarne l’esercizio a chi non risulti di buona condotta.


Mentre per le agenzie di prestiti sopra pegni occorre la licenza (art. 67), per tutte le altre agenzie od uffici pubblici d'affari è sufficiente la dichiarazione all'autorità di P. S. del circondario, la quale potrà concedere o vietarne l'esercizio, a seconda della condotta dello interessato.


Art. 73 (Reg) — Alla dichiarazione per l’apertura od esercizio di altra agenzia pubblica o ufficio pubblico di affari saranno unite le indicazioni della natura degli affari, a cui si vuol attendere, della tariffa delle operazioni, della via e casa ove si vuol aprire l’esercizio.


— Non è soggetto alla licenza prescritta dalla legge di P. S. un un ufficio od agenzia di trasporti, commissioni e rappresentanze, essendo tali operazioni regolate dal codice di commercio. — (Cass. di Torino, 19 maggio 1886, Giurist).

— Per l'esistenza del reato previsto dalla legge di P. S., occorre che colui che si intromette nelle operazioni di emigrazione ciò faccia a scopo di lucro. — (Cass. di Roma, 15 gennaio 1890, Man. Astengo).


Art. 70 (Legge). — Gli esercenti le pubbliche agenzie, accennate negli articoli precedenti, sono obbligati ad avere un registro giornale degli affari nel modo che sarà determinato dal regolamento, ed a tenere permanentemente affissa all’agenzia, in luogo visibile, la tabella delle operazioni delle quali si incaricano, con la tariffa delle relative mercedi.

Tali esercenti non possono fare operazioni diverse da quelle indicate in detta tabella, né ricevere mercede maggiore di quella indicata nella tariffa.


Tanto le agenzie mentovate all'art 67, quanto quelle di cui parla l'articolo 69, devono avere un registro giornale degli affari e tenere costantemente affissa nell’agenzia la tabella delle operazioni che si compiono colla indicazione della tariffa e delle mercedi richieste per ogni operazione.


Art. 74 (Reg.). — Il registro che le agenzie di prestiti sopra pegno devono tenere, a termini dell’art. 70 della legge, è a madre e figlia, stampato e deve contenere: a) il nome e cognome e domicilio di chi dà il pegno; b) la data dell’operazione; c) la descrizione esatta degli oggetti ricevuti in pegno; d) il valore approssimativo; e) l’importo e la durata del prestito; f) l’interesse da corrispondersi; g) la data della pignorazione; h) la data della vendita del pegno; Z) la somma ricavatane.

La figlia o cartella che si rilascia all'interessato, porterà la firma dell’agente e sarà la riproduzione esatta delle annotazioni della madre dalla lettera a alla lettera g inclusivamente.

Art. 75. — Il registro delle altre agenzie pubbliche o uffici pubblici di affari indicherà di seguito e senza spazi in bianco il nome e cognome e domicilio del committente, la data e la natura della commissione, il premio pattuito, esatto o dovuto e l’esito dell’operazione.

Art. 76. — I registri indicati nei due articoli precedenti sono bollati e vidimati in ogni pagina dall’autorità di pubblica sicurezza del circondario e debbono esibirsi ai funzionari di pubblica sicurezza, a loro richiesta.

Art. 71 (Legge). — H contravventore alle disposizioni degli art. 67, 69 e 70 è punito a termini del codice penale.

Vedi gli art. 449, 450, cod. pen., precedentemente citati.


CAPO V

Dei mestieri girovaghi e di alcune classi di rivenditori

Art. 72 Legge). — Non può esercitarsi il mestiere ambulante di venditore o distributore di merci, fiammiferi, paste, dolci, liquori, stampati o disegni, di cenciaiuolo, saltimbanco, ciarlatano, cantante, suonatore, sensale od intromettitore; né il mestiere di guida, servitore di piazza, facchino, cocchiere, barcaiuolo o lustrascarpe, senza previa iscrizione in apposito registro presso l’autorità locale di pubblica sicurezza, la quale ne rilascerà certificato.

La iscrizione dovrà rinnovarsi ogni anno.


Tale disposizione della legge di fronte ai mestieri girovaghi, mette la P. S in grado di poter sorvegliare a che l'esercizio di certe professioni non serva a nascondere l’ozio ed il vagabondaggio.

Enumera Particelo tra le persone cui compete l’obbligo di farsi inscrivere presso l'autorità di P. S. coloro che esercitano il mestiere di guida, principalmente nei luoghi solitarii ed alpestri. Il parere necessario al rilascio del certificato d'inscrizione per detto mestiere sarà a preferenza domandato alle direzioni o presidenze dei Club Alpini, come quelle che hanno speciale competenza in materia. — (Circolare 16 maggio 1890).

Con istruzioni di massima poi il Ministero dell'interno ha stabilito che ai barcaiuoli addetti al trasporto dei passeggieri nei porti o spiaggie dello Stato non sia applicabile l'art. 72 legge P. S. essendo una tale materia regolata dal codice della marina mercantile.

Le disposizioni dell'articolo in esame rimangono però sempre in vigore per barcaiuoli non soggetti alla giurisdizione marittima, come quelli dei fiumi, laghi, ecc.


Art. 77 (Reg. '). — La disposizione dell’art. 72 della legge non è applicabile alle bande musicali di associazioni ancorché si prestino a suonare per mercede in occasione di feste, anniversari, inaugurazioni ed altre solennità.

Queste bande però non possono suonare sulle vie o piazze pubbliche, se non previo avviso all’autorità di pubblica sicurezza la quale potrà vietarlo per riconosciute ragioni d’ordine pubblico.

Art. 78 (Reg.). — Il certificato d’iscrizione per il mestiere di guida non sarà rilasciato che a persone non pregiudicate, e riconosciute atte, sul parere di corpi o persone competenti, ad esercitarlo utilmente.

Art. 79. — E vietato agli albergatori od esercenti pubblici di suggerire, raccomandare o presentare ai viaggiatori, come guida alpina, una persona che non sia inscritta e riconosciuta atta, a termini del precedente articolo.


— Cade in contravvenzione chi senza permesso eserciti il mestiere di suonatore ambulante, sia che lo eserciti nelle vie pubbliche e nelle piazze, sia che lo vada esercitando nei cortili delle case col consenso dei proprietari. — (Cass. di Torino, 8 novembre 1893, Giuris.).

Per suonare nelle vie o piazze non occorre la licenza dell'autorità di P. S., che alle vere bande musicali, i cui componenti, a norma di legge, siano inscritti in apposito registro presso l'autorità di P. S. — (Cass. di Roma, 14 agosto 1891, Cass. u.).

L'art. 72 è applicabile anche ai venditori di giornali. — (Circolare del Ministero degli interni, 9 aprile 1890, n. 12000-7-123350).

Non può considerarsi come facchino e quindi non ha l'obbligo di inscriversi in apposito registro presso l'autorità di P. S. colui che non eserciti abitualmente il mestiere di facchino, ma solo qualche volta durante l'anno, e fuori delle sue ordinarie occupazioni adibisca a tali mansioni. — (Cass. di Roma, 8 febbraio 1893, Man. Astengo).


Art. 73 (Legge). — La iscrizione potrà essere ricusata ai minori di anni 18, quando siano idonei ad altri mestieri, ed alle persone pregiudicate o pericolose.


L'autorità di P. S. ha facoltà di ricusare l'inscrizione ai minori degli anni 18 idonei ad altri mestieri, ed alle persone pregiudicate e pericolose: nel primo caso per non educare la gioventù, col pretesto della vendita di stampe, fiammiferi ed altro, all'ozio ed al vagabondaggio, nel secondo nell’interesse della sicurezza nonché dell’ordine pubblico.


Art. 7 (Legge). — Gli stranieri non possono esercitare alcuno dei mestieri indicati nell’art. 72 senza permesso dell’autorità di pubblica sicurezza del circondario.

Per gl’italiani non regnicoli si applica l’art. 72.

In occasione di feste, fiere, mercati od altre pubbliche riunioni, il permesso a stranieri può essere accordato dall’autorità locale di pubblica sicurezza.


Oltre al certificato di inscrizione, gli stranieri i quali vogliono esercitare in Italia alcuni dei mestieri indicati nell’art. 72, devono anche essere muniti di permesso.

L’autorità competente a rilasciarlo è quella di P. S. del circondario che potrà essere sostituita dalla locale in casi di fiere, feste, mercati, ecc.


Art. 75 (Legge). — Il certificato d’iscrizione ed il permesso di cui alla prima parte dell’articolo precedente, sono validi per un anno; potranno essere ritirati in caso di abuso, o per ragione d’ordine pubblico.


Come per gli italiani, siano regnicoli o no, l’iscrizione sui registri presso l’autorità di P. S. deve rinnovarsi ogni anno, così per gli stranieri, detto certificato d’iscrizione ed il permesso non sono validi che per un anno, durante il quale possono essere anche ritirati in caso di abuso o per ragione di ordine pubblico.


Art. 76 (Legge). — Il contravventore alle disposizioni degli art. 72 e 74, è punito con l'ammenda sino a lire cinquanta.

Chi esercita uno dei mestieri indicati nell’art. 72, malgrado il rifiuto dell’autorità competente, sarà punito coll'ammenda sino a lire cento.

Nella stessa ammenda sino a lire cento incorre l’esercente che, sulla richiesta degli ufficiali o agenti di P. S., non esibisce il certificato o il permesso di cui negli articoli precedenti.


I contravventori alle diverse disposizioni degli articoli precedenti di questo capo V, sono puniti a seconda delle presenti sanzioni penali.


Art. 7 7 (Legge). — Non può farsi commercio di cose preziose o di cose usate, senza dichiarazione preventiva all’autorità locale di pubblica sicurezza.

L’esercente deve tenere un registro giornale delle operazioni di compra e vendita nella forma prescritta dal regolamento, ed esibirlo all’autorità di pubblica sicurezza ad ogni richiesta.

L’esercente che avrà comperate cose preziose, non non può alterarle od alienarle se non dieci giorni dopo la compera.

Le disposizioni del precedente alinea non si applicano agli oggetti comperati presso i fondachieri o fabbricanti, ovvero all’asta pubblica.

Il contravventore è punito a termini del codice penale.


L’articolo in esame richiede in chi vuol esercitare il commercio di cose preziose o di cose usate, la preventiva dichiarazione all’autorità e l’obbedienza a certe prescrizioni: di tenere cioè un registro giornale di tutte le operazioni di compra e vendita nelle forme prescritte (art. 80, reg.) e di non poter alienare od alterare le cose preziose che dopo dieci giorni dalla compra.

Quest’ultima ingiunzione, di cui non vi era traccia nella legge abrogata, è di grande importanza per la scoperta dei furti e loro autori.


Art. 80 (Reg.). — Il registro giornale di chi fa commercio di cose preziose o di cose usate, a termini dell’art. 77 della legge, indicherà di seguito e senza spazi in bianco il nome, cognome e domicilio dei venditori e dei compratori, la data dell’operazione, la specie della merce ed il prezzo pattuito.

Si applicano a questo registro le disposizioni del precedente art. 76.


Il contravventore è punito a norma del codice penale.


Art. 495 (Cod. pen.). — Chiunque, attendendo al commercio o ad operazioni di pegno di cose preziose o di cose usate, non osserva le prescrizioni stabilite dalla legge o dai regolamenti rispetto a tale commercio o a tali operazioni, è punito con l'ammenda sino a lire trecento; alla quale, in caso di recidiva nello stesso reato, si aggiungono l'arresto sino ad mese e la sospensione dall’esercizio della professione o dell’arte.

Capo IV

Degli operai e domestici e dei direttori di stabilimenti.

Art. 78 (Legge). — L’autorità locale di pubblica sicurezza rilascerà agli operai e domestici, a loro richiesta od a richiesta del rispettivo direttore di stabilimento, capo officina, impresario o padrone, un libretto secondo il modello che sarà determinato nel regolamento.

Gli operai e domestici possono esigere che il rispettivo direttore, capo officina, impresario o padrone dichiari sul libretto, in occasione di licenziamento o in fine d’anno, il servizio prestato, la durata del medesimo e la condotta tenuta.


«Non è affatto obbligatorio per, l'operaio avere il libretto; se vuole lo prende; se non lo vuole non lo prende: ma gli servirà come documento della sua idoneità. Quando l'operaio o il domestico sente il bisogno di giustificare chi esso sia, qual sia la sua condotta, d’onde venga, quando si debba presentare ad una autorità o ad un capo-fabbrica, esso presenta il libretto dal quale gli è reso un gran servigio, quello di fornirgli il mezzo facile di farsi riconoscere. » (Curcio, relatore).

Questo per l’art. 78.


Art. 81 (Regi). — Il libretto degli operai e domestici di cui è parola nell’art. 78 della legge, è tascabile e legato in pelle.

Nella prima pagina sono indicati l'ufficio che lo rilascia, la data, il nome, cognome, paternità, domicilio, età, stato civile, professione o mestiere e segni personali del titolare; vi saranno la sua firma o il segno di croce, se illetterato, la firma del funzionario che lo rilascia e il bollo d’ufficio.

Le pagine saranno numerate e firmate dal funzionario medesimo.

Il libretto si rilascia al solo prezzo di costo.

Art. 7 9 (Legge). — I direttori di stabilimenti, i capi officina, gli impresari, i proprietari di cave e miniere e gli esercenti delle medesime devono trasmettere all'autorità locale di pubblica sicurezza la nota degli operai che tengono a lavoro, col nome, cognome, età e comune di origine, e, nei primi cinque giorni di ogni mese, le variazioni sopravvenute.

Il contravventore è punito coll'ammenda sino a lire cinquanta.


L’articolo in esame rende alla S. P. un importante servizio, quello cioè di far ritrovare un individuo appena se ne faccia ricerca.

l'autorità non avrà altra che interpellare il capo dello stabilimento il quale colla scorta dell’elenco di tutti i propri operai, potrà dare in proposi gli schiarimenti possibili.

In osservanza di una circolare del Ministero dell’interno in data 14 settembre 1872, fra le persone a cui compete l'obbligo di trasmettere all’autorità locale di P. S. la nota degli operai addetti al lavoro, sono espressamente compresi gli agricoltori, fìttabili e proprietari che assumono braccianti anche in servizio temporaneo pei lavori di campagna.



TITOLO III

Disposizioni relative alle classi pericolose della società

CAPO I

Dei mendicanti


Art. 80 (Legge). — Nei comuni ove esiste un ricovero di mendicità è proibito di mendicare per le pubbliche vie e in ogni altro luogo aperto al pubblico.


La contravvenzione è punita ai termini del codice penale.

In tesi ordinaria e generale la questua in luoghi pubblici od aperti al pubblico è severamente punita nei comuni ove esista un ricovero di mendicità.

Il contravventore è punito a norma del codice penale.


Art. 453 (Cod. pen.). — Chiunque essendo abile al lavoro, è colto a mendicare, è punito con l'arfesto sino a cinque giorni; e, in caso di recidiva nello stesso reato, con l’arresto sino ad un mese.

Le stesse pene si applicano a chi, essendo inabile al lavoro, sia colto a mendicare senza aver adempiuto le prescrizioni stabilite dalla legge.

La contravvenzione non è esclusa dal fatto che il colpevole mendichi col pretesto o con la simulazione di rendere servizi alle persone o di smerciare oggetti.

Art. 454. — Chiunque mendica in modo minaccioso, vessatorio o ripugnante per circostanze di tempo, di luogo, di mezzo o di persona, è punito con l’arresto sino ad un mese; e, in caso di recidiva nello stesso reato da uno a sei mesi.

Art. 456 (Cod. pen.). — Chiunque permette che una persona minore dei quattordici anni, soggetta alla sua podestà o affidata alla sua custodia o vigilanza, vada a mendicare o che altri se ne valga per mendicare, è punito con l’arresto sino a due mesi e con l’ammenda sino a lire trecento; e, in caso di recidiva nello stesso reato, l’arresto è da due a quattro mesi.


Art. 81 (Legge). — Qualora non esista nel comune un ricovero di mendicità, ovvero quello esistente sia insufficiente, si applicheranno le pene stabilite dal codice penale a chiunque, non avendo fatto constatare dall’autorità di sicurezza pubblica locale di essere inabile a qualsiasi lavoro, è colf) a mendicare nei luoghi indicati nel precedente articolo.

Gli individui riconosciuti dall'autorità locale di pubblica sicurezza inabili a qualsiasi lavoro, privi di mezzi di sussistenza e di congiunti tenuti per legge alla somministrazione degli alimenti sono, quando non vi si provveda altrimenti, a cura dell’autorità medesima inviati in un ricovero di mendicità od in altro istituto equivalente di altro comune.

Al mantenimento degli individui inabili al lavoro concorreranno, in proporzione dei loro averi, la congregazione di carità del rispettivo comune di origine, le opere pie elemosiniere ivi esistenti e le altre opere pie e le confraternite, per quanto le rendite degli enti medesimi non sieno destinate a scopo di speciale beneficenza o a spese strettamente necessarie al culto della chiesa o del tempio.

Mancando, o essendo insufficiente il concorso degli enti sopraindicati, la spesa totale o parziale sarà a carico del comune di origine; e ove il medesimo non possa provvedervi, senza imporre nuovi o maggiori tributi, sarà a carico dello Stato.

L’ente obbligato alla spesa avrà diritto di far constatare nuovamente se l’individuo che deve essere mantenuto sia nelle condizioni sopra stabilite.


Là dove un tale ricovero manchi, salve eccezioni, o per dirla colle parole della legge quando non vi si provveda altrimenti» è pure vietata la questua, ma l'individuo inabile a qualsiasi lavoro, privo di mezzi di sussistenza e di congiunti per legge tenuti alla somministrazione degli alimenti, vien collocato a cura dell'autorità politica in un ricovero di mendicità od in altro istituto equivalente.

Degna di considerazione è poi la frase su citata «quando non vi si provveda altrimenti», imperocché mentre la legge severamente proibisce e punisce di mendicare, pure non può esimersi dal disporre che l'autorità di P. S. del circondario (art. 84) nella sua giurisdizione possa permettere questue e collette per scopo filantropico, nella qual formola generica devesi ritenere compresa anche l'elemosina.

Che se ciò non fosse sufficiente per togliere ogni dubbio sulla interpretazione dell'articolo in esame, in modo più evidente ed indiscutibile ancora vengono in aiuto le disposizioni dell'art. 453 cod. pen. precedentemente riportato, le quali certo devono porsi in armonia colla legge di P. S., ed alle quali questa si riferisce per le pene da infliggersi ai contravventori.

Da tutto ciò si desume che non va soggetto a pena il mendicante inabile al lavoro qualora abbia adempiute alle prescrizioni di legge, ché anzi gli può essere concesso di mendicare o per mancanza di lavoro, o per deficienza di ricoveri, o per altre circostanze.

— Gli articoli 81 e seguenti della legge 30 giugno 1889, n. 6144, non conferiscono in via normale le facoltà d'imporre in modo permanente ad un pio istituto oneri diversi da quelli che gl'incombono per le tavole proprie di fondazione, eccettuati i casi di urgenza e di calamità eccezionali pubbliche e private, nei quali l'autorità politica ha diritto e il dovere di prendere quei provvedimenti che occorrono a salvare resistenza di chicchessia — andando in diversa opinione si pervertirebbero presto gli ordinamenti di molte opere pie e se ne pregiudicherebbero le amministrazioni. In conseguenza è da riputarsi non operativo di effetti (salvi casi eccezionali come sopra indicati) il provvedimento del prefetto circa il ricovero in un pio istituto di bambini di sesso e di età diversi da quelli voluti, per. l’ammissione, dalle regole statutarie). — (Parere del consiglio di Stato, 20 febbraio 1891).

La madre, vivente il padre, non risponde della contravvenzione d prevista dall'art. 456 cod. pen., perché i suoi figli, minori degli anni 14, vadano a mendicare. — (Cass. di Roma, 19 febbraio 1891, Man. Astengo).

— Contro le decisioni della giunta prov. relative alla dichiarazione dell’obbligo di un comune di sottostare alla spesa di ricovero di un indigente, ordinato dal prefetto, non è ammesso ricorso; il quale può solo essere esaminato come denuncia per gli effetti degli articoli 255 della legge comunale e 117 del regolamento 10 giugno 1889.

Se fra la notificazione della decisione del prefetto, ed il ricorso alla giunta prov. sono interceduti più di 20 giorni, il ricorso stesso non è più ammissibile per decorrenza di termini, e la giunta deve astenersi dal pronunziare in merito.

La designazione del comune di origine spetta all’autorità di P. S., la indicazione invece degli enti a cui fa carico il rimborso della spesa di ricovero e la ripartizione fra essi, spetta all’intendenza di finanza.

Ove dal comune interessato si eccepisca che il ricoverato ha dei 3 parenti obbligati per legge al suo mantenimento, forniti dei mezzi occorrenti, la giunta prov. amm. deve accertare se questa eccezione abbia fondamento.

Per stabilire il comune di origine di una persona devesi aver ria guardo alla circoscrizione territoriale attuale, e quindi se la frazione di origine ora è distaccata dall’antico comune, devesi considerare come comune di origine quel comune al quale la frazione stessa è ora aggregata, a meno che esista una dichiarazione fatta a tempo debito dal ricoverato di voler conservare l'antica cittadinanza. — (Parere del Cons. di Stato, 24 luglio 1891).

— L’obbligo dei ricoveri dì mendicità ed istituti equivalenti sancito dalla vigente legge di P. S. di obbligare i poveri assegnati all’autorità di P. S., si estende al loro mantenimento insieme agli altri enti che alla evenienza devono concorrere alla spesa.

È regolare il reparto della spesa fatta, non già tenendo conto dei sopravanzi, ma delle rendite del ricovero, dedotti gli oneri patrimoniali e le imposte. — (Parere del Cons. di Stato, 29 settembre 1892, Man. Astengo).


Art. 82 (Legge). — Con decreto reale saranno stabilite le norme e i casi, secondo i quali gli enti suddetti dovranno concorrere e rispettivamente sostituirsi nell’obbligo summenzionato, il modo per accertare che l’individuo da mantenersi sia nelle condizioni contemplate nel precedente articolo e tutte le altre disposizioni all’uopo occorrenti.

Il suddetto decreto reale sarà presentato al Parlamento per esser convertito in legge.


Il miglior commento a quest'articolo si è di riportare qui sotto i decreti ai quali l'art. 82 si riferisce.

REGIO DECRETO n. 6535 (serie 3), che stabilisce le norme per l’applicazione dell’art. 82 della legge 30 giugno 1889 sulla pubblica sicurezza.

«Visto l'art. 82 della legge 30 giugno 1889, n. 6144, sulla pubblica sicurezza;

«Udito il parere del consiglio di Stato;

«Sentito il consiglio dei ministri;

«Sulla proposta del Nostro ministro segretario di Stato per gli affari dell'interno;

«In virtù dell'autorità a Noi delegata;

«Abbiamo decretato e decretiamo:

«Art. 1. — La dichiarazione richiesta dal primo comma dell'art. 81 della legge 30 giugno 1889, n. 6144, sarà fatta con ordinanza dell'autorità locale di pubblica sicurezza di ufficio o sulla richiesta della persona inabile a qualsiasi lavoro proficuo o dei suoi congiunti tenuti a somministrarle gli alimenti.

«Art. 2. — Sono considerate come inabili a qualsiasi lavoro proficuo le persone dell'uno e dell'altro sesso, le quali per infermità cronica o per insanabili difetti fisici o intellettuali non possono procacciarsi il modo di sussistenza.

«La legge ritiene come inabili i fanciulli che non hanno compiuto i nove anni.

«Art. 3. — All'effetto di constatare la inabilità a qualsiasi lavoro proficuo l'autorità di pubblica sicurezza provvederà a che la persona che la deduce, sia visitata dall'ufficiale sanitario comunale.

«Questi nel termine di giorni cinque da quello nel quale sarà stato invitato a far la visita, trasmetterà all'autorità stessa la sua relazione, indicando le ragioni del suo giudizio.

«Se l'ufficiale sanitario richieda per compiere il suo ufficio un tempo maggiore, il termine suddetto sarà a sua richiesta prorogato.

«Art. 4. — Dovrà inoltre l'autorità di pubblica sicurezza constatare che l’inabile al lavoro e le persone che secondo il codice civile sono tenute a somministrargli gli alimenti, non sono iscritte nei ruoli dei contribuenti delle tasse erariali e delle tasse comunali.

«A tale effetto l'autorità stessa si procurerà i certificati della agenzia delle imposte e dell'esattoria dei comuni di origine, di domicilio e di dimora abituale dell'inabile e delle persone sopra indicate.

«Art. 5. — Verificato nei modi stabiliti dagli articoli precedenti il concorso delle condizioni richieste dall'art. 81 della legge, l'autorità di pubblica sicurezza rilascierà l'ordinanza di che nell'art. 1 del presente decreto, e provvederà all'invio del mendico in un ricovero di mendicità o in altro istituto equivalente.

«L'autorità di pubblica sicurezza dovrà trasmettere copia dell'ordinanza al Sindaco del comune di origine del mendico, indicando il ricovero o l'istituto equivalente al quale è stato inviato.

«Art. 6. — All'invio di che nel precedente articolo, non si procederà quando una o più persone assumano, con atto regolare da presentarsi all'autorità di pubblica sicurezza, l'obbligo di provvedere alla sussistenza dell'individuo riconosciuto inabile a qualsiasi lavoro proficuo, prestando cauzione per l'adempimento di tale obbligazione.

«Se l'individuo a favore del quale è stata assunta l’obbligazione, è colto a mendicare, sarà proceduto contro di esso ai termini del codice penale, ed, espiata la pena, sarà inviato in un ricovero di mendicità o in altro istituto equivalente. E la persona o le persone che si sono assunte l’obbligazione di provvedere alla sua sussistenza, incorreranno nella perdita della cauzione a favore dell'istituto ed a sgravio degli enti obbligati al mantenimento del ricoverato.

«Art. 7. — Quando per qualsiasi causa vengano a mancare o una o ambedue le condizioni nel concorso delle quali venne emessa l'ordinanza di che all'art. 5, in seguito ad una nuova ordinanza dell'autorità di pubblica sicurezza si procederà al rilascio del ricoverato, sotto la comminazione delle pene stabilite dal codice penale, ove sia colto a mendicare.

«Art. S. — Per richiedere ai termini dell’art. 81 della legge, che sia nuovamente verificato se il mendico si trovi nelle condizioni stabilite da essa, gli enti obbligati al mantenimento potranno domandare all'autorità di pubblica sicurezza la revoca dell'ordinanza, producendo i documenti sui quali si fonda la loro istanza.

«Se l’autorità di pubblica sicurezza non accoglie l'istanza gli enti suddetti entro venti giorni, a contare da quello in cui sarà ad essi comunicata la risoluzione, avranno diritto di proporne reclamo alla Giunta provinciale amministrativa.

«Il decreto della Giunta è inappellabile e fa stato fino a che per fatti nuovi non siensi cambiate le condizioni nelle quali è stato pronunziato.

«Art. 9. — La disposizione dell’art. 83 della legge si applica anco nel caso in cui il mendico o i congiunti di lui possano provvedere solo parzialmente alla spesa di mantenimento.

«Art. 10. — Per gli effetti della legge si considerano come istituti equivalenti ai ricoveri di mendicità:

«a) gli ospedali e le case ove si accolgono gl’invalidi;

«b) in generale ogni altro istituto che non abbia per fine la educazione ovvero la cura dei malati e le cui rendite non sieno affette a scopo di speciale beneficenza.

I minori di anni nove potranno anco essere ricoverati:

«a) se maschi, in case o istituti di educazione o di correzione;

«b) se femmine, in case o istituti che abbiano per iscopo di educarle o sottrarle al pericolo di traviamento.

«Art. 11. — I ricoveri di mendicità e gli istituti equivalenti stabiliranno nel bilancio preventivo di ogni anno la spesa di mantenimento di ogni mendico.

«Questa sarà ragguagliata in ragione del costo effettivo.

«Per determinarlo si terrà conto:

«a) della spesa occorrente per l’alloggio, il vitto e la cura di ogni ricoverato;

«b) della quota proporzionale delle spese generali di amministrazione, d’imposte, di oneri e di mantenimento ordinario dell’edifizio;

«c) delle spese di riparazioni straordinarie, quando ne sorga la necessità.

«Art. 12. — Gli enti ai quali, secondo la legge, fa carico il mantenimento del mendico, potranno presentare reclamo contro la de' terminazione del costo effettivo di ogni mendico fatta dai ricoveri di mendicità o istituti equivalenti.

«Il reclamo sarà proposto alla Giunta provinciale amministrativa entro un mese dal giorno della pubblicazione del bilancio preventivo.

«Il decreto della Giunta sul reclamo non è suscettibile di ricorso per ciò che spetta all’estimazione.

«Potrà però ricorrersi dal medesimo al Consiglio di Stato, sede contenziosa, per incompetenza e per violazione di legge entro 30 giorni dalla notificazione.

«Art. 13. — Gli amministratori dei ricoveri di mendicità ed istituti equivalenti trasmetteranno ogni mese l’elenco dei mendici che sono stati loro inviati dall’autorità di pubblica sicurezza, al comune di origine di ogni mendico e all'intendente di finanza della provincia, indicando le giornate di presenza di ogni ricoverato.

«Art. 14. — Gli avanzi che si verificheranno in seguito all’approvazione per parte dell’autorità tutoria dei bilanci consuntivi dei ricoveri di mendicità o istituti equivalenti, saranno destinati secondo le norme seguenti:

«a) se il ricovero o l’istituto ha per i suoi statuti carattere di s opera pia comunale, a beneficio dei mendici del comune;

«b) se il ricovero o l’istituto per i suoi statuti ha carattere di opera pia provinciale, a beneficio dei mendici della provincia.

«Art. 15. — Non saranno considerati come avanzi gli aumenti che si verificassero per donazione ed elargizione di qualsiasi natura nel patrimonio degli enti ai quali per legge fa carico il mantenimento dei mendici.

«Art. 16. — Ove le rendite dei ricoveri di mendicità e degli istituti equivalenti, e gli avanzi di che nell’art. 14, non bastino a cuoprire la spesa di mantenimento dei mendici, dovranno provvedervi gli enti indicati nella legge in proporzione dei loro averi, salvo gli effetti dell’art. 82 della medesima, secondo gli articoli seguenti.

«Art. 17. — Se le rendite di alcuno di tali enti destinate genericamente a sussidi in danaro, vitto ed alloggio in favore dei poveri del comune di origine del mendico, sieno sufficienti a provvedere al rimborso totale o parziale della spesa di mantenimento del mendico suddetto nel ricovero di mendicità od istituto equivalente, quando questo non possa in tutto od in parte sostenerla, gli altri enti rimarranno esonerati dall’obbligo di cui all’art. 81 della legge.

«Art. 18. — Quando nessuno di tali enti abbia rendite destinate genericamente al mantenimento dei poveri o sieno insufficienti al bisogno, a questo scopo dovranno essere devolute proporzionalmente da ciascuno, e sino a concorrenza delle esigenze del servizio, tutte le rendite non destinate a scopo di speciale beneficenza o a spese obbligatorie per le tavole di fondazione, e tutte le altre che potranno essere invertite a questo fine, a sensi della legge sulle opere pie e coll’osservanza delle forme da essa prescritte.

«Art. 19. — Per determinare l’onere cui saranno soggette le confraternite, si terrà conto della denunzia dei loro redditi per gli effetti della tassa di manomorta, in ordine alla legge del 13 settembre 1874, n. 2078, e al regolamento del 25 settembre 1874, numero 2129.

«Le rendite delle confraternite, salvo le disposizioni degli artica coli precedenti e salve le detrazioni enumerate nell’articolo seguente, b. saranno intieramente affette al fine di che nell’art. 81 della legge.

«Art. 20. — Saranno detratte dalle rendite delle confraternite:

«a) le spese per le imposte e per il mantenimento ordinario degli edifizii, non che quelle per le riparazioni straordinarie dei d medesimi;

«b) quelle per il mantenimento degli arredi necessari per il d servizio religioso della chiesa o del tempio;

«c) quelle strettamente necessarie per gli uffici religiosi nei giorni festivi e per l’adempimento degli oneri assunti dalle confraternite verso gli associati.

«Art. 21. — Quando le confraternite non abbiano fatto la denunzia per le tasse di manomorta, vi provvederanno di ufficio i ricevitori del registro, osservate le norme della legge e del regolamento di che nell’art. 19.

«Art. 22. — Alle confraternite che sieno state riconosciute come opere pie, saranno applicate le disposizioni degli art. 18 e seguenti per quella parte delle loro rendite che non sia affetta a scopo di r speciale beneficenza.

«Art. 23. — Mancando o essendo insufficiente il concorso degli enti sopra indicati, la spesa totale o parziale di mantenimento sarà t a carico dei comuni di origine.

«Art. 24. — I ricoveri di mendicità e gli altri istituti equivalenti avranno diritto a conseguire il rimborso della spesa totale o n parziale di mantenimento di ogni mendico, in ragione del loro credito, dallo Stato, salvo in questo la rivalsa contro gli enti di che nella legge e nel presente decreto.

«Il rimborso si eseguirà trimestre per trimestre.

«Art. 25. — Alla fine di ogni anno l’intendente di finanza della provincia determinerà l’ammontare della spesa di mantenimento dei mendici che lo Stato abbia anticipato al ricovero di mendicità o all’istituto equivalente.

«Con deliberazione motivata dichiarerà quali sono gli enti cui fa carico il rimborso secondo le norme stabilite negli articoli precedenti, e la quota che grava ciascuno degli enti stessi.

«La deliberazione sarà comunicata a tutti gli enti interessati.

«Art. 26. — Dalle deliberazioni dell’Intendente avranno diritto di reclamare gli enti a carico dei quali il rimborso è stato stabilito.

«Il reclamo sarà presentato entro venti giorni alla giunta provinciale amministrativa.

«Dalla decisione di questa è ammesso il ricorso al consiglio di Stato in sede contenziosa.

«Art. 27. — Delle disposizioni contenute in atti fra i vivi e in atti di ultima volontà, quando queste sieno pubblicate, a favore di poveri di un determinato comune, dovranno i notari che ricevono o autenticano gli atti stessi, e i ricevitori del registro ai quali sono per gli effetti della tassa sottoposti, dar comunicazione in carta libera al sindaco del comune medesimo.

«Art. 28. — I funzionari di pubblica sicurezza, gli amministratori dei ricoveri di mendicità o di altri istituti equivalenti, i sindaci, i presidenti delle congregazioni di carità, gli amministratori delle opere pie e confraternite, i notari e ricevitori del registro che contravvengano alle disposizioni del presente decreto, saranno puniti in proprio coll’ammenda di lire 20 a lire 300.

«Art. 29. — Il presente decreto sarà presentato nella prossima sessione legislativa al Parlamento per essere convertito in legge.

«Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella Raccolta Ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare».

Dato a Monza, addì 19 novembre 1889.

UMBERTO

Crispi.

REGIO DECRETO n. 6594 (serie 3a), che dà facoltà ai prefetti e sottoprefetti di compilare
in ogni provincia un elenco delle Confraternite ed altre congeneri istituzioni.

«Visti gli art. 81 e 82 della legge 30 giugno 1889, n. 6144 sulla pubblica sicurezza;

«Sentito il Consiglio dei ministri;

«Sulla proposta del Nostro ministro segretario di Stato per gli affari dell’interno, presidente del Consiglio dei ministri;

«In virtù dell’autorità a Noi delegata, abbiamo decretato e decretiamo:

«Art. 1. — In ogni provincia, a cura dei prefetti e sotto prefetti sarà compilato, entro un mese dalla data del presente decreto, un elenco delle confraternite ed altre congeneri istituzioni, sotto qualunque denominazione, le quali possono, secorido l’art. 81 della legge di pubblica sicurezza, esser chiamate a concorrere in proporzione dei loro averi al mantenimento degl’individui inabili al lavoro.

«Art. 2. — I rettori, gli amministratori, i patroni, i rappresentanti in genere delle preaccennate istituzioni e i sindaci delle comunità nelle quali hanno sede, sono obbligati, nel termine che sarà loro prefisso, a denunziarne l’esistenza al prefetto o al sotto-prefetto, a fornire le notizie e ad esibire gli atti di cui saranno richiesti.

«Art. 3. — Col ministero di un regio commissario, sarà formato entro il termine da fissarsi nel decreto di nomina, per ogni singola confraternita:

«a) un inventario di tutti i beni mobilie d immobili, diritti, crediti, oneri ed obbligazioni corredato delle copie autentiche degli atti e documenti relativi;

«b) uno stato della rendita reale presunta;

«c) uno stato delle rendite disponibili a senso dell’art. 81 della precitata legge di pubblica sicurezza, fatte le detrazioni di cui è parola nell’art. 20 del regio decreto 19 novembre 1889, n. 6535.

«Art. 4. — I rappresentanti dell’ente potranno domandare la rettificazione delle operazioni del regio commissario alla giunta provinciale amministrativa, la quale deciderà sui reclami inappellabilmente.

«Art. 5. — Gli atti compilati dal regio commissario saranno depositati presso l’intendenza di finanza della provincia, alla quale dovranno in appresso notificarsi anno per anno entro il giorno 15 dicembre, le variazioni avvenute nell’asse patrimoniale e nelle rendite, affinché possa aversene ragione l’anno susseguente nella determinazione della quota proporzionale di concorso di cui all’articolo 81 della legge succitata.

«Art. 6. — Se i risultati delle operazioni del regio commissario facessero presumere erronea od inesatta la denunzia dei redditi per la tassa di manomorta, della quale deve tenersi conto per determinare l’onere a cui saranno soggette le confraternite a termini dell’art. 19 del regio decreto 19 novembre 1889, potrà procedersi ad una nuova liquidazione della tassa, nei modi prescritti dalla legge 13 settembre 1874, n. 2078 e dal relativo regolamento del 25 settembre 1874, n. 2129.

«Art. 7. — Tutti gli atti delle confraternite ed altre istituzioni congeneri (non soggette alla legge 3 agosto 1862 sull’amministrazione delle opere pie e contemplate dall’art. 81 della legge sulla pubblica sicurezza) che non abbiano data certa anteriore al presente decreto e che importino, sotto qualunque aspetto, diminuzione di patrimonio o di rendita, saranno revocabili, siccome fatti in frode delle ragioni dello Stato e degli altri enti chiamati a concorso della legge.

«Art. 8. — Per le contravvenzioni al presente decreto è applicabile Part. 28 del precedente decreto 19 novembre 1889, n. 6535.

«Art. 9. — Il presente decreto andrà in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione; e sarà presentato al Parlamento per essere convertito in legge.

«Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, ecc.

Dato a Roma, addì 12 gennaio 1890.

UMBERTO

Crispi.


Art. 83 (Legge). — I congiunti di un mendicante inabile al lavoro e privo di mezzi di sussistenza, che risultano provveduti di mezzi e legalmente tenuti alla somministrazione degli alimenti, saranno denunziati al procuratore del Re, affinché sia proceduto a termini del codice civile onde vengano obbligati a provvederlo degli alimenti stessi.


Le persone a cui compete tale obbligo, sono il marito in rapporto della moglie, e reciprocamente il padre, la madre, i figli, le figlie, i fratelli, le sorelle, il suocero, la nuora, la suocera, il genero.


Art. 132 (Cod. civ.). — Il marito ha il dovere di proteggere la moglie, di tenerla presso di sé e somministrarle tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sue sostanze,

La moglie deve contribuire al mantenimento del marito, se questo non ha mezzi sufficienti.

Art. 137. — La nullità derivante dal difetto di autorizzazione non può essere opposta che dal marito, dalla moglie e dai suoi eredi od aventi causa.

Art. 138. — Il matrimonio impone ad ambidue i coniugi di mantenere, educare ed istruire la prole.

Questa obbligazione spetta al padre ed alla madre in proporzione delle loro sostanze, computati nel contributo della madre i frutti della dote.

Quando essi non abbiano mezzi sufficienti, tale obbligazione spetterà agli altri ascendenti in ordine di prossimità.

Art. 140. (Cod. civ.) — La reciproca obbligazione degli alimenti ha pure luogo tra suocero, suocera, genero e nuora.

Questa obbligazione cessa:

° Quando la suocera o la nuora sia passata a seconde nozze;

° Quando il coniuge da cui derivava l’affinità ed i figli nati dalla sua unione coll’altro coniuge ed i loro discendenti siano morti.

Art. 141. — Alla somministrazione degli alimenti strettamente necessari hanno diritto anche i fratelli e le sorelle, quando per un difetto di corpo o di mente, o per qualsivoglia altra causa non imputabile a loro colpa, non se li possano procacciare.

Art. 142. — L’obbligo degli alimenti cade in primo luogo sopra il coniuge, in secondo luogo sopra i discendenti, in terzo luogo sopra gli ascendenti, in quarto luogo sopra il genero e la nuora, in quinto luogo sopra il suocero e la suocera, in ultimo sopra i fratelli e le sorelle.

Fra i discendenti la gradazione è regolata dall’ordine con cui essi sarebbero chiamati alla successione legittima della persona che ha diritto degli alimenti.

Art. 143. — Gli alimenti debbono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle sostanze di chi deve somministrarli.

Art. 144. — Se dopo l’assegnazione degli alimenti, sopravviene una mutazione nella condizione di chi li somministra o di chi li riceve, l’autorità giudiziaria provvederà per la cessazione, la riduzione, o l’aumento, secondo le circostanze.

Art. 145. — Chi deve somministrare gli alimenti, ha la scelta di soddisfare a tale obbligazione o mediante una pensione alimentaria, o col ricevere o mantenere nella propria casa colui che ha diritto agli alimenti.

L’autorità giudiziaria però, potrà, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione degli alimenti.

In caso di urgente necessità, l’autorità giudiziaria può eziandio porre temporaneamente L’obbligazione degli elementi a carico d’un solo fra quelli che vi sono obbligati, od obbligati in sussidio, salvo il regresso verso gli altri.

Art. 146. — L’obbligazione di somministrare gli alimenti cessa colla morte dell’obbligato, quantunque il medesimo li somministrasse in esecuzione di sentenza.

Art. 186. — Il genitore è tenuto a mantenere, istruire ed avviare ad una professione o ad un’arte il figlio naturale riconosciuto, ed a somministrargli anche successivamente gli alimenti in caso di bisogno, se il figlio non ha coniuge o discendenti in condizione di somministrarglieli.

Eguale obbligazione ha il genitore verso i discendenti legittimi del figlio naturale premorto, quando la loro madre o gli ascendenti materni non siano in grado di provvedervi.

Art. 187. — Il figlio naturale deve gli alimenti al genitore, quando questi non abbia ascendenti o discendenti legittimi o coniuge che siano in grado di somministrarglieli.

Art. 211. — Il padre e la madre adottivi hanno debito di continuare, occorrendo, l’educazione dello adottato, e di fornigli i sussidi e gli alimenti di cui avesse bisogno.

L’obbligazione degli alimenti, in caso di bisogno, è reciproca tra l’adottante e l’adottato.

Essa però nell'adottante precede quella dei genitori legittimi o naturali, e nell’adottato concorre con quella dei figli legittimi o naturali dell’adottante.

Art. 84 (Legge). — L'autorità di pubblica sicurezza del circondario potrà permettere, nel territorio di sua giurisdizione, questue o collette per iscopo filantropico, scientifico o di beneficenza o per sollievo di pubblici infortuni, fissandone le norme e la durata.

Ogni altra questua o colletta, comprese le questue religiose fuori dei luoghi destinati al culto, è punita coll’arresto fino ad un mese.


Come già si disse, l’art. 84 fa eccezione al disposto dei precedenti per la facoltà concessa all’autorità di P. S. del circondario di concedere nella propria giurisdizione ed in dati casi delle questue o collette.

Art. 4 regolamento 5 febbraio 1891, annesso alla legge 17 luglio 1890 sulle opere pie:

«Il diritto di sorveglianza attribuito all’autorità politica dall’ultimo comma del citato art. 2 della legge, comprende la facoltà di procedere ad ispezione od esame degli atti compiuti dalle istituzioni o comitati, di revocarli od annullarli, secondo i casi, nelle forme prescritte dall’art. 52, lett. c, della legge e di far quanto altro risultasse necessario od opportuno per impedire che si abusi della pubblica fiducia.

«A questo fine gli amministratori o rappresentanti dei comitati o delle istituzioni suddette debbono comunicare al prefetto della provincia copia dell’atto di loro costituzione ed il programma delle operazioni che si propongono di compiere indicando il periodo di tempo nel quale intendono darvi esecuzione.

«Le collette o questue pubbliche promosse dai detti comitati sono sottoposte alle norme sancite dall’art. 84 della legge 30 giugno 1889, n. 6144, sulla pubblica sicurezza. »

—. Si verifica la contravvenzione per questua nel concorso delle circostanze «della domanda da parte di chi la fa, di una liberalità da parte di chi la dà e dell’assenza di qualsiasi servigio rimuneratorio da parte del questuante che la riceve. »

L’art. 80 della legge di P. S., e gli art. 453 e seg. del nuovo codice penale comprendono il vero e proprio accattonaggio, cioè, il fatto isolato di colui che, essendo o fingendosi nell'inopia, richiede all’altrui pietà i mezzi per il soddisfacimento degli urgenti attuali bisogni.

L’art. 84 della stessa legge di P. S. contempla, invece, le questue e le collette, cioè quelle raccolte di sussidii che eccitano su larga scala la carità per soddisfazione di meno urgenti, ma più generali e più importanti bisogni.

La domanda, fatta dal parroco ai parrocchiani, di sussidi fuori dell’occasione di alcun servizio religioso, onde supplire ai redditi certi del beneficio, scarsi ai suoi bisogni, ha carattere di questua, ai sensi dell’art. 84 legge P. S.

L’antica consuetudine di far collette, non esclude la punibilità stabilita dalla attuale legge di P. S. per le questue e collette.

Per la punibilità delle questue o collette non occorre né la sorpresa in flagrante, né la pubblicità del luogo, come occorre per l’accattonaggio.

La confisca di cui nella prima parte dell’art. 36 cod. pen. può essere ordinata solo in caso di delitto, e non del pari in caso di contravvenzione. — (Trib. di Verona, 5 maggio 1891, Giur. penale).

— La legge di pubblica sicurezza colpisce le questue e le collette fatte in luogo pubblico, vale a dire che si manifestano con segni pubblici e con pubbliche esteriorità, e che, oltre al fare una sinistra impressione importano seco un pericolo di frode, di minaccia alla proprietà ed alla buona fede altrui, e non già quelle che sono, da persone massimamente rispettabili, eseguite in modo strettamente privato.

Laonde non cadono in contravvenzione coloro che, in guisa affatto privata, si recano all’abitazione di amici o conoscenti per potere, fra le pareti domestiche, colle oblazioni di essi, raggiungere un comune intento, un fine sociale, religioso, civile o commerciale.

Chi raccoglie oblazioni senza domandarle non commette il reato di questua o di illecita colletta.

L’invito fatto con banda musicale e con offerta di un componimento poetico, a diverse persone a voler concorrere col loro obolo per provvedere ai mezzi di festeggiare il santo patronale, non costituisce né questua, né colletta proibita dalla legge. — (Pretura urbana di Torino, 30 luglio 1890, Giuris. penale).

— La parola questua indica propriamente l’atto di chi chiede l’elemosina e non di chi riceve le offerte di coloro cui piace beneficarlo; implica necessariamente l’atto di chi cerca (quaerit) un obolo od un’offerta, di chi accatta un soldo od un pane indistintamente appo di chi sia disposto, o non, a beneficarlo; implica che, comunque l’atto del questuante possa agire sull’altrui volontà nel deciderla ad un’offerta meno spontanea, implica la tenacia nel domandarla, e come tale si risolve in una disgustosa molestia per i cittadini e copre non di rado la diretta e personale speculazione dei questuanti.

Le collette, che comunemente si fanno per feste, siano pur esse religiose, istituite dalla consuetudine, non rivestono il carattere di questua proibita dalla legge. —(Pretura di Cigliano, 12 maggio 1881, Giuris. pen.),

Ogni questua o colletta religiosa fuori dai luoghi destinati al culto è vietata anche se autorizzata dalla consuetudine. — (Cass, di Roma, 20 giugno 1890, Cassazioni Unica).

— Incorre nella violazione dell’art. 84 della legge sulla P. S. chi chiede o riceve liberalità a scopo religioso in luogo non destinato al culto, anche dando in corrispettivo delle immagini sacre. — (Cass. di Roma, 9 luglio 1891, Foro pen.).

Chi, in seguito a pubblicazione fatta dal parroco in chiesa, che esso, nominato dal parroco stesso, farà colletta per una funzione religiosa, si presenta a tale scopo alla porta dei contadini, commette il reato di questua illecita. In tal caso la semplice presentazione alla porta dei contadini equivale a domanda o a richiesta di elemosina. — (Cass. di Roma, 26 ottobre 1891, Man. Astengo1892).

Le questue o collette permesse a termine dell'art. 84 della legge di P. S., devono essere in ogni caso autorizzate.

Assume ill carattere di questua religiosa il recarsi alle case dei contadini a raccogliere grano, equivalendo tale fatto ad esplicita domanda o richiesta di elemosina.

Pur ammettendo che non siano vietate le questue puramente private, non può considerarsi tale quella di un raccoglitore, il cui nome od incarico sieno stati resi noti pubblicamente dal parroco. — (Cass. di Roma, 27 ottobre 1891, Man. Astengo).

Non sono comprese nel divieto dell’art. 84 1. di P S., le questue impropriamente così chiamate, e che tendono a conseguire la rimunerazione di servigi prestati.

In ispecie non vi sono comprese le questue esercitate giusta la consuetudine dai campanari, e che costituiscono il corrispettivo dell’opera. — (Cass. di Roma, 26 febbraio 1892).

— Per l’art. 84 1. di P. S., è vietata la questua fatta da un frate laico per conto suo o del suo convento, ogni qualvolta non sia intervenuto il permesso dell’autorità di P. S. — (Cass. di Roma, 1° marzo 1893. Man. Ast.).

CAPO II

Dei viandanti, dei liberati dal carcere e degli stranieri da espellere dal Regno

Art. 85 (Legge). — Chi, fuori del proprio comune, desta ragionevoli sospetti con la sua condotta e, alla richiesta degli ufficiali od agenti di pubblica sicurezza, non può o non vuol dare contezza di sé con qualche mezzo degno di fede, è condotto dinanzi all’autorità locale di pubblica sicurezza. Questa, qualora trovi fondati i sospetti, può farlo rimpatriare con foglio di via obbligatorio o anche, secondo le circostanze, per traduzione.


Ogni cittadino che si trovi fuori della ordinaria residenza, ha l’obbligo di dare contezza di sé alla P. S. quante volte per la sua condotta dia luogo a fondati sospetti.

È questo un valido mezzo dalla legge fornito all’autorità di P. S. onde avere esatte notizie delle persone sospette e poterle così, se innocue, proteggere, se colpevoli, affidare alla giustizia punitiva.


Art. 84 (Reg). — 11 rimpatrio obbligatorio, a termini dell’art. 85 della legge, è fatto se il rimpatriando è privo di mezzi, a spese dello Stato.

L’autorità di pubblica sicurezza non può disporre il rimpatrio obbligatorio a spese dello Stato se non per motivi d’ordine, di sicurezza o di moralità.

Il foglio di via obbligatorio è fatto sul modello annesso in all. G.


Art. 86 (Legge). — Il ministro dell’interno e, per sua delegazione, le autorità dipendenti possono per motivi di pubblica sicurezza o in casi eccezionali di pubbliche e private sventure, accordare i mezzi di viaggio gratuito agli indigenti a fine di rimpatrio, secondo le norme stabilite dal regolamento.


Per motivi di P. S. ed in casi eccezionali di pubbliche e private sventure, è concessa facoltà al ministro dell’interno, che delega a tale proposito le autorità dipendenti, di concedere i mezzi gratuiti di viaggio.

L’articolo del regolamento sotto riportato e riferentesi a questo in esame, statuisce le norme secondo le quali, sia per ragioni di P. S. ché il bisogno è incentivo forte al delitto, sia per ragioni di umanità, vengono anticipati i mezzi gratuiti di viaggio ai liberati dal carcere, agli stranieri, ai convalescenti usciti dagli spedali, e ad altri disgraziati bisognosi.


Art. 85 (Reg). — Il viaggio gratuito per gli indigenti non può essere accordato in massima che a fin di rimpatrio.

Fuori dei casi accennati nell’articolo precedente e quando non trattisi d’indigenti provenienti dall’estero con trasporto pagato dai regi consoli o da società di beneficenza o dimessi dagli spedali, l’autorità di pubblica sicurezza dovrà chiedere l’autorizzazione del Ministero dell’interno.

Il foglio di via per il viaggio gratuito è fatto sul modello annesso in all. L.


Art. 87 (Legge). — I cancellieri delle preture, dei tribunali e delle corti di appello trasmetteranno ogni quindici giorni, l’estratto delle sentenze, pronunziate in materia penale dai rispettivi magistrati e divenute esecutive, all’autorità di pubblica sicurezza di circondario del domicilio o dell’ultima dimora del condannato.


Un precetto simile giova grandemente alla autorità di P. S. cui incombe il grave compito di prevenire i reati. Può essa in tal modo formarsi un giusto concetto della natura, dell’indole e delle tendenze di una data specie di persone.


Art. 88 (Legge). — Le direzioni delle carceri giudiziarie e delle case penali segnaleranno per iscritto, quindici giorni prima, la liberazione di ogni condannato all’ufficio di pubblica sicurezza del circondario, che ne informerà, nei tre giorni successivi, quello del circondario al quale il liberando è diretto.


La dizione di questo articolo non lascia alcun dubbio che le direzioni carcerarie devono dare quindici giorni prima della liberazione di ogni condannato, il preavviso all'autorità di P. S. del circondario.

Dicendo quindi la legge ogni condannato, è d'uopo intendersi per qualunque pena anche inferiore ai quindici giorni.

In questi casi, si domanda, come sarà possibile ottemperare alla prescrizione della legge?

A troncare ogni discussione in proposito, il Ministero dell'interno emanò una circolare (24 aprile 1890) che fra l'altro, dice:

«Le nozioni dovranno darsi, come è detto nell'art. 88, quindici giorni innanzi alla liberazione del condannato, e naturalmente, nel primo giorno dell'ingresso del detenuto in carcere quando questi si presenta ad espiare una pena inferiore ai quindici giorni, e nello stesso giorno dell'uscita quando la condanna pronunciata è già espiata col carcere preventivo. »


Art. 89 (Legge). — I condannati ad una pena non minore di anni tre o a pena maggiore di sei mesi per delitto contro la proprietà o per contravvenzione alla ammonizione, e i condannati alla vigilanza speciale della pubblica sicurezza devono, appena usciti dal carcere, presentarsi all’ufficio di pubblica sicurezza locale, che li provvederà del foglio di via obbligatorio, ove sia necessario.

Qualora trattisi di pregiudicati pericolosi, potranno essere tradotti in arresto innanzi all’autorità suddetta.


I contravventori ai suddetti obblighi saranno puniti a sensi del susseguente art. 93, vale a dire colla pena dell'arresto estensibile fino ad un mese.

Incorreranno inoltre nella stessa pena coloro che non seguiranno l'itinerario tracciato nel foglio di via o non si presenteranno nel termine prescritto all'autorità di P. S. del luogo d'arrivo.


Art. 86 (Reg). — Qualora sia da far rimpatriare un liberato dal carcere, condannato alla sorveglianza speciale dell’autorità di pubblica sicurezza, e vi sia fondata ragione a temere che possa rendersi latitante, il Ministero dell’interno potrà ordinare il suo rimpatrio per traduzione.


Art. 90 (Legge). — Gli stranieri condannati per delitto potranno, dopo liberati dal carcere, essere espulsi dal Regno e condotti alla frontiera.

Il ministro dell’interno, per motivi d’ordine pubblico, potrà ordinare che lo straniero di passaggio o residente nel Regno sia espulso e condotto alla frontiera. Questa disposizione non è applicabile agli italiani non regnicoli.


Allorquando uno straniero si renda colpevole di qualche misfatto, o non rispetti le leggi del paese, o ne turbi in qualche modo la sicurezza, si fa luogo, a seconda dei casi, o alla sua estradizione od alla espulsione.

Si verifica l’estradizione quando lo straniero, dovendo in patria rispondere di delitti, l’autorità estera ne chiede la consegna per dar corso alla giustizia.

Si ha invece la espulsione allorquando quello o per motivi di ordine e sicurezza pubblica o perché, condannato, ha espiata la pena viene sfrattato dal Regno, al quale non potrà farvi ritorno senza una speciale autorizzazione del Ministero dell’interno (art. successivo).

Relativamente poi alla estradizione si noti che essa non può sempre essere concessa e per ogni specie di delitto, come sancisce esplicitamente l’art. 9 del vigente codice penale.


Art. 87 (Reg). — Nel caso preveduto all’art. 90 della legge il prefetto della provincia nella quale ha luogo la liberazione di uno straniero condannato per delitto, emetterà il decreto di espulsione che sottoporrà al ministro dell’interno.

Qualora il prefetto credesse conveniente di non ordinare la espulsione o si trattasse di stranieri compromessi verso il proprio Stato per affari politici, per renitenza alla leva, per diserzione, o per reati per i quali vi fosse domanda di estradizione, ne riferirà al ministro dell’interno.


Art. 88 (Reg.) — In caso di arresto o di spontanea presentazione di uno straniero, l’ufficio di pubblica sicurezza, interrogatolo sull’essere suo, sulla sua provenienza e sui motivi del suo espatrio, ne riferirà subito, anche ove occorra rimetterlo all’autorità giudiziaria per qualche reato, al ministro dell’interno.


Art. 91 (Legge). — Lo straniero espulso non può rientrare nel Regno senza una speciale autorizzazione del ministro dell’interno.

In caso di contravvenzione, sarà punito coll’arresto sino a sei mesi.

Scontata la pena, lo straniero sarà nuovamente espulso.

Art. 89 (Reg — Nel decreto di espulsione saranno ricordate le disposizioni dell’art. 91 della legge.


Art. 92 (Legge). — I prefetti delle provincie di confine possono, per motivi d’ordine pubblico, allontanare dai comuni di frontiera, in casi d’urgenza e riferendone al Ministero, gli stranieri di cui all’articolo 90, e respingere dalla frontiera gli stranieri che non sappiano dar contezza di sé o siano sprovveduti i di mezzi.


Oltre ai mezzi accennati nei precedenti articoli, per liberarsi dagli stranieri pericolosi la legge ne concede altri assai provvidi ed opportuni.

Competono questi ai soli prefetti di confine che possono per motivi di ordine pubblico ed in casi di urgenza impedire agli stranieri di entrare nel Regno, riferendone tosto al ministro dell’interno; e respingere gli stranieri dalla frontiera allorquando non sappiano dare contezza di sé e siano sprovveduti di mezzi.

Fra le persone a cui deve essere impedito l’accesso nel regno sono da ritenersi compresi gli zingari, quelle bande cioè di individui che sotto pretesto di spiegar sogni od esercitare un mestiere vivono di questua, di truffa e di furti.


Circolare, n. 12100-14 in data 23 maggio 1879

ai signori prefetti del Regno,

«Il Ministero è informato che numerose famiglie di zingari appartenenti ad estranee nazionalità si aggirano negli Stati confinanti coll’Italia e sono intenzionati di introdursi nel Regno per esercitarvi le molteplici, ma sempre illecite, loro industrie.

«Sono già conosciuti da V. S. i motivi pei quali il Ministero non può permettere l’entrata nel Regno di quei vagabondi, epperò nel portare quanto precede a di lei notizia, la prega di dare di urgenza le necessarie disposizioni affinché siano esattamente osservate le prescrizioni di cui alla circolare ministeriale del 16 agosto 1872, n. 12100-14, facendo respingere al confine tutti gli zingari che associati in comitiva od isolati, tentassero di entrare nel Regno.

«Ad ottenere tale risultato questo Ministero fa calcolo sulle energiche istruzioni, che la S. V. vorrà dare a tutti i dipendenti funzionari ed agenti di P. S. ed anche sul concorso degli ufficiali e guardie del corpo doganale, i quali si presteranno con zelo in questo importante servizio avendo il Ministero delle finanze (direzione generale delle gabelle) con sua nota 18 gennaio ultimo, cortesemente dichiarato di aver dati gli ordini occorrenti a tutte le intendenze di finanza delle provincie di confine.

«V. S. avrà quindi cura di prendere gli opportuni accordi con codesto sig. intendente di finanza; e vorrà di volta in volta notificare al Ministero gli impediti tentativi di passaggio della frontiera dei detti zingari esteri».


Circolare n. 12100-14 in data 8 giugno 1879
ai signori prefetti delle provincie littoranee.

«Il Ministero ha dovuto parecchie volte, ed anche di recente insistere presso i signori prefetti delle provincie di frontiera perché, in applicazione delle norme sul proposito vigenti, venisse assolutamente impedita l’entrata nel Regno alle comitive di zingari stranieri, ancorché fossero muniti di regolari passaporti. Malgrado ciò non di rado avviene, che si accettano nel Regno grosse comitive di zingari, per le quali il governo deve, con gravi disturbi e gravissime spese, provvedere al rimpatrio.

«E tali comitive, come si ebbe nella maggior parte dei casi a constatare, giunsero in Italia imbarcandosi all'estero in qualche bastimento, solitamente di bandiera italiana che le sbarcò come passeggieri in uno dei porti della penisola.

«Occorre quindi impedire che simili fatti si ripetano, epperò il Ministero prega V. S. di fare avvertite le società di navigazione ed in genere gli armatori di bastimenti che servono al trasporto di passeggieri che è loro vietato di imbarcare dall'estero per l’Italia comitive di zingari stranieri, qualunque sia il loro numero e la loro posizione, diffidandoli che non sarebbe permesso lo sbarco delle medesime, restando a loro carico le spese del trasporto ad un altro porto non italiano.

«In pari tempo la S. V. vorrà dare le necessarie istruzioni e prendere gli opportuni concerti con la capitaneria di porto, appunto per impedire lo sbarco degli zingari e riferire di volta in volta, verificandosi il caso di un impedito tentativo di sbarco.


Art. 90 (Reg.). — Occorrendo di far rimpatriare uno straniero, a carico del quale non si abbiano gli estremi per la espulsione, l’autorità di P. S. ne renderà avvertito il rispettivo console per i suoi provvedimenti o, trattandosi di cittadino di uno Stato limitrofo, lo manderà al confine con foglio di via obbligatorio.

Art. 93 (Legge). — Coloro che si fanno rimpatriare con foglio di via obbligatorio non possono allontanarsi dall’itinerario loro tracciato.

Ove se ne allontanino, saranno tradotti innanzi al magistrato del luogo in cui sono trovati.

Alla contravvenzione prevista in questo articolo si applica la pena dell’arresto fino ad un mese.

Scontata la pena, si faranno proseguire per traduzione nell’itinerario loro tracciato.

La stessa pena si applica a coloro che non si presentano nel termine prescritto, all’autorità di P. S., indicata nel foglio di via, ed a quelli che contravvengono alla disposizione dell’art. 89.


Questo articolo che costituisce l’ultima parte del capo, sancisce le pene ai contravventori delle disposizioni precedenti contemplandone i diversi casi.


CAPO III

Dell’ammonizione

Art. 94 (Legge). — Il capo dell’ufficio di pubblica sicurezza della provincia o del circondario, con rapporto scritto, motivato e documentato, denunzierà al presidente del tribunale, per l’ammonizione, gli oziosi, e i vagabondi abituali, validi al lavoro e non provveduti dei mezzi di sussistenza e diffamati per delitti, di cui agli articoli seguenti.


Innanzi tutto sembra prezzo dell’opera dire due parole intorno a questo importantissimo istituto della ammonizione cui il legislatore nostro, non ostante le molte critiche ed i numerosi, valenti avversari, non intese ancora l’opportunità di sopprimere dalle vigenti leggi.

Si disse dagli oppositori che l’ammonizione, quantunque abbia l’apparenza di un mezzo preventivo, non è che una pena, ed una gravissima pena la quale, invece di effetti salutari, deve maggiormente condurre al delitto per le difficoltà in cui pone la persona colpita, per il pregiudizio sociale, di trovare lavoro, nonché un onesto appoggio.

Ma come si potrà osservare e constatare più innanzi, la conservazione di un tale istituto, come il carcere preventivo, è una dura necessità imposta dallo stato reale della società.

«Nessuno più di me (diceva l’on. Crispi nella sua relazione) affretta coi voti il tempo nel quale il rispetto per la persona e per la proprietà abbia preso radici così salde e così generali, che non sia mestieri guardare alcuno con sospettosa trepidazione, e lo Stato possa senza danno limitare la sua azione, salvo una vigilanza materiale e generica, alla punizione del reato commesso: ma sino a

quell’epoca io intendo che non si possano prudentemente negare all’autorità di P. S. i mezzi di tenersi costantemente sotto gli occhi quelle persone dalle quali, per i loro precedenti, non sono da attendersi che attentati contro la incolumità delle persone e la sicurezza dei beni altrui, e di porle in condizione di non poter delinquere, o, almeno, non senza essere prontamente scoperte. E questo è l’ufficio dell’ammonizione.

«Io ammetto quindi come istituto temporaneo e transitorio, l’istituto dell’ammonizione, ma unicamente a condizione che non si fondi principalmente sul sospetto: che si circondi delle garanzie necessarie per escludere, in quanto è moralmente e materialmente possibile, l’arbitrio; che se come in tutto ciò che è umano, non si può rendere al tutto impossibile l’errore, si dia il mezzo di ripararlo; ed infine che, pur conservandole l’indole di provvedimento amministrativo, abbia per la sostanza e per le forme i caratteri di provvedimento giudiziario».

Ciò premesso, venendo all’esame dell’articolo, questo stabilisce che la proposta per l’ammonizione degli oziosi e vagabondi abituali, validi al lavoro e non provveduti di mezzi di sussistenza, nonché dei diffamati per delitti, viene fatta dal capo dell’ufficio di P. S. della provincia o circondario con rapporto scritto, motivato e documentato al presidente del tribunale.

Si è sottratto, e con ragione, al pretore un tale onere, poiché gli era spesso causa di attacchi e pressioni d’ogni maniera, per affidarlo al presidente del tribunale, magistrato inamovibile, più indipendente ed elevato per grado ed esperienza.

— L’ammonizione per sospetto di reati contro le persone e le proprietà non può più avere efficacia secondo la nuova legge di P. S., e quindi l’ammonito ha diritto di farla revocare. — (Corte d’appello di Lucca, 15 maggio 1890, Man. Astengo).

— Secondo l’attuale legge di P. S., per essere sottoposto all’ammonizione basta che l’ammonendo venga denunziato come dedito ai reati di sangue (art. 94, 95 legge P. S., 1890; 105, 106 legge P. S., 1865).

Il ferimento preveduto nell’art. 372 ultima parte, è delitto, non contravvenzione.

L’ammonito che se ne rende colpevole, incorre nella contravvenzione all’ordinanza di ammonizione, per non avere rispettato le persone, anche se la parte offesa, desistendo dalla querela, rende impossibile il procedimento penale e la condanna (art. 372 codice penale, 104, 110 legge P. S., 1890).

Un ammonito, a termini della vecchia legge di P. S. non cessa, sopravvenuta la nuova legge, di esserlo anche nella ipotesi che, a sensi di quest’ultima, non potesse’ essere ammonito (art. 2 cod. pen., art. 134 legge P. S., 1890). — (Cass. di Roma,26 gennaio 1892, Man. Astengo).


Art. 95 (Legge). — Si avrà per diffamato colui che è designato dalla pubblica voce come abitualmente colpevole dei delitti di omicidio, di lesione personale, di minaccia, violenza o resistenza alla pubblica autorità e sia stato per tali titoli colpito da più sentenze di condanna, o sottoposto a giudizio ancorché sia questo finito con sentenza assolutoria per non, provata reità, ovvero sia incorso in procedimenti nei quali sia stata pronunziata sentenza od ordinanza di non farsi luogo a procedimento penale per insufficienza di prove.


Perché un individuo possa ritenersi per diffamato fa d’uopo che, non solo la pubblica voce lo designi come abitualmente colpevole di alcuno dei reati accennati nell’articolo in esame, ma sia stato anche per tali titoli, o colpito da sentenze di condanna, o quanto meno sottoposto a giudizio..

Infatti il solo sospetto, come per la passata legge, la voce pubblica che si eleva contro una persona, non suffragata di alcuna prova di fatto, non bastano per rendere applicabile un provvedimento così grave e che porta seco tanta svariata serie di restrizioni e vincoli. »


Art. 91 (Reg). — La ordinanza di non farsi luogo a procedimento penale per insufficienza di prove concorre a stabilire la diffamazione, a termini dell’articolo 95 della legge, solo nel caso che sia stata emessa in camera di consiglio.


— È insindacabile il convincimento del magistrato, che, in base all’art. 95 della legge di P. S. e tenute presenti le risultanze del certificato di penalità, affermi taluno doversi ritenere per diffamato agli effetti degli art. 206 e 182 del codice di procedura penale.

Le disposizioni transitorie della nuova legge di P. S. riferendosi unicamente all'ammonizione, non possono essere estese oltre i limiti della legge stessa e tenute presenti per interpretare l'efficacia delle condanne riportate o dei procedimenti anteriormente subiti in ordine agli effetti della dichiarazione di diffamato ai sensi dell'art. 95 della legge sulla P. S., che impedisce la concessione della libertà ‘ provvisoria (art. 206 e 182 cod. proc. pen.).

L'essere stato, non ostante i procedimenti penali subiti, insignito di varie cariche onorifiche e la natura affatto causale del delitto imputato, non valgono a mutare le condizioni di fatto, per le quali il diffamato nei termini dell'art. 95 della legge di P. S., è vietata la concessione della libertà provvisoria secondo gli art. 206 e 182 del codice di procedura penale. — (Cass. di Roma, 25 gennaio 1892, Foro Penale).


Art. 96 (Legge). — Si avrà anche come diffamato chi è designato dalla voce pubblica come abitualmente colpevole di delitti d’incendio, di associazione per delinquere, di furto, rapina, estorsione e ricatto, truffa, appropriazione indebita e ricettazione, o di favoreggiamento di tali delitti, e per questi titoli abbia subito condanne o sia incorso nei procedimenti indicati nell’articolo precedente.


L'art. 96 completa la classificazione di coloro che si avranno in conto di diffamati.

Anche in questi casi, oltre le condanne subite ed i procedimenti in corso, fa d'uopo che siano designati come abitualmente colpevoli dei reati accennati nell'articolo precedente dalla voce pubblica; a formare la quale non poco vi influirà il modo di comportarsi e la condotta in genere.

Non può una persona ritenersi diffamata, epperciò meritevole di essere ammonita, se non sia stata colpita da più sentenze di condanna per i reati in via tassativa indicati dagli art. 95 e 96 legge P. S., oppure sottoposta a processare nelle quali sia stata pronunziata sentenza od ordinanza di non luogo a procedimento penale per insufficienza di prove, e venga insieme dalla voce pubblica designata come abitualmente colpevole dei reati stessi.

Il provvedimento all'ammonizione non si può applicare perché serva di mezzo all’autorità politica per facilitare l’esercizio di una sorveglianza speciale. — (Trib. pen. di Padova, 15 giugno 1890, Man. Astengo).


Art. 97 (Legge). — Il presidente del tribunale verificherà sommariamente per mezzo di testimonianze o di altre informazioni le cose esposte nella denunzia e, non più tardi di cinque giorni dopo averla ricevuta, chiamerà innanzi a sé l’imputato con mandato di comparizione in cui saranno enunciate l’imputazione con l’esposizione succinta dei fatti sui quali si fonda, e la facoltà di presentare le prove a discarico.


Come emergerà dai successivi articoli, non essendo l’ammonizione in merito soggetta a gravame alcuno, fu assennatamente concesso al presidente del tribunale od al giudice da lui delegato (art. 106), di assumere informazioni sulla sussistenza o meno delle cose denunziate dal capo dell’ufficio della S. P. per mezzo di testimoni od in qualunque altro modo reputato utile e proficuo.

A ragione esige poi la legge che l’individuo chiamato per l’ammonizione non sia colto alla sprovvista. Perciò, nel mandato di comparizione emesso non più tardi di cinque giorni dal comunicato della S. P., verrà all’animonendo notificata l’imputazione contenente in succinto la esposizione dei fatti su cui si fonda, acciocché egli possa prepararsi alla difesa, e, ove lo creda utile, presentare le prove a discolpa.


Art. 98 (Legge). — H termine a comparire non sarà minore di giorni cinque né maggiore di dieci da quello della notificazione, eseguita colle norme del codice di procedura penale.

Qualora l’imputato non si presenti nel giorno e nell’ora indicati nel mandato di comparizione e non giustifichi la sua assenza, il presidente rilascierà contro il medesimo mandato di cattura.


Per la notificazione del mandato di comparizione si seguiranno le norme del codice di procedura penale in quanto siano applicabili ed in armonia al disposto della legge di P. S.


Art. 188 (Cod. proc. pen.). — Il mandato di comparizione dovrà enunciare il nome e cognome dell’imputato, il soprannome, se ne ha, il nome del di lui padre, l’età, la professione, la residenza o il domicilio o la dimora, se sono noti, e, in difetto, dovrà indicare i connotati propri a farlo conoscere.

Il mandato di comparizione indicherà inoltre il luogo, il giorno e l’ora in cui l’imputato dovrà comparire per essere sentito.

Il termine per comparire non sarà minore di giorni tre, oltre ad un giorno per ogni tre miriametri di distanza.

Il mandato sarà datato e sottoscritto dal giudice e dal cancelliere, e munito del sigillo del tribunale ove si fa l’istruzione.

Art. 189. — Il mandato di comparizione sarà notificato all'imputato in persona; quando non si possa notificare alla persona, si notificherà alla sua residenza; se questa non sia conosciuta, sarà notificato: al suo domicilio, o, in difetto di domicilio fisso, alla sua dimora.

Se l’usciere trova l’imputato, gli consegnerà copia del mandato, se non lo trova, la consegnerà nella residenza, nel domicilio o nella dimora come sopra, ad uno dei suoi congiunti o domestici: egli indicherà sulla copia la persona a cui l’avrà consegnata ed il giorno della notificazione; e sottoscriverà la relazione che ne sarà distesa.

Se l’usciere non trova alcuna delle persone sopra indicate, consegnerà la copia del mandato al pretore od al sindaco del luogo, od a chi ne fa le veci, il quale avrà cura, ove sia possibile, di farla pervenire all'imputato.

Art. 190. — Eseguita la notificazione, l’usciere ne stenderà relazione in conformità dell’art. 165; e se non abbia trovato l’imputato, presenterà la relazione al pretore od al sindaco del luogo, od a chi ne fa le veci, il quale dovrà apporvi il suo «visto».

Art. 191. (Cod. proc. pen.) — Se il mandato di comparizione è stato rilasciato contro un imputato che non abbia residenza, né domicilio, né dimora certa nello Stato, o che ne sia assente, o non vi abbia mai abitato, la notificazione si farà, mediante affissione di una copia alla porta del tribunale ove si fa l’istruzione.

Art. 99 (Legge). — Il presidente spiegherà all’imputato le ragioni e lo scopo della denunzia e lo inviterà a giustificarsi.

Facendone l’imputato formale richiesta, dovrà essergli accordata l’assistenza di un difensore.


Nel progetto dalla Camera approvato, si disponeva che l’ammonizione dovesse infliggersi in pubblica udienza; senonché il Senato fu di contrario avviso, e la pubblicità delle udienze venne eliminata.

Ammettendola, cosi nella relazione del presidente del Consiglio, sarebbe stato forse necessario farvi assistere anche il Ministero pubblico, perocché non converrebbe che, nella solennità di un giudizio, il presidente si trovasse solo di fronte alF ammonendo ed al suo difensore; con che si verrebbe a denaturare l’indole dell’istituto dell’ammonizione, imprestandole un carattere che non ha e non può avere.

«Del resto vi hanno ragioni dalle quali apparisce evidente la inopportunità di far palesi colla pubblicità di un giudizio, denunzie che spesso possono non essere fondate e che non essendo sufficienti a giustificare una pronunzia di ammonizione, non è dicevole siano divulgate con danno manifesto di colui che n’è oggetto. »


Art. 100 (Legge). — Se l’imputato ammette i fatti esposti nella denunzia o li nega senza addurre testimonianze od altre giustificazioni, il presidente pronunzia la sua ordinanza.


In questi due casi si ha una procedura assai breve e spiccia, ed il presidente, o chi per esso, pronunzia tosto la sua ordinanza.


Art. 101 (Legge). — Se l’imputato impugna la denunzia e presenta le prove a difesa, il presidente, assunte le testimonianze ed esaminati i documenti esibiti, lo chiama nel modo stabilito dall’art. 97 a comparire nuovamente innanzi a lui entro un termine non maggiore di dieci giorni da quello della prima comparizione, e, uditolo, pronunzia la sua ordinanza.


Nella fattispecie invece la procedura riesce naturalmente più lunga, inquantoché, esaminate le prove a difesa, l’ammonendo deve essere richiamato con mandato di comparizione per sentire l’ordinanza del magistrato.


Art. 102 (Legge). — L’ordinanza, sia che pronunci l’ammonizione, sia che dichiari non esservi luogo, sarà, entro ventiquattro ore, comunicata all’autorità di pubblica sicurezza.

Art. 93 (Reg.). — In ogni ufficio di pubblica sicurezza, così provinciale e circondariale come nelle sezioni di questura, sono tenuti un registro nominativo ed i fascicoli riguardanti i singoli ammoniti, sorvegliati speciali e altri pregiudicati che hanno domicilio nella rispettiva circoscrizione, nelle forme che saranno stabilite con istruzioni ministeriali.

In ogni fascicolo individuale sarà tenuta una cartella biografica in cui sono riassunti tutti i precedenti, le imputazioni e le condanne del pregiudicato.

Dei pregiudicati, minori degli anni 18, dei quali è parola negli art. 113 e seg. della legge, è tenuto un registro nominativo separato.


Art. 103 (Legge). — Se si tratti di ozioso o di vagabondo, il presidente gli prescriverà, nell’ordinanza d’ammonizione, di darsi in un conveniente termine, al lavoro; di fissare stabilmente la propria dimora, di farla conoscere, nel termine stesso, all’autorità locale di pubblica sicurezza e di non abbandonarla senza preventivo avviso all’autorità medesima.


L’ordinanza di ammonizione impone dei vincoli, delle restrizioni tassative. L’ozioso ed il vagabondo, oltre alle prescrizioni segnate dall’articolo presente, altre gliene vengono per l’art. 105, comuni queste eziandio alle persone diffamate.


Art. 94 (Reg.). — L’ammonito che vorrà cambiare dimora, dovrà darne avviso, a termini degli art. 103 e 104 della legge, all’autorità locale di pubblica sicurezza, indicandone i motivi.

L’autorità locale rilascerà all’ammonito una carta di riconoscimento e, quando lo creda opportuno, un foglio di via obbligatorio sotto l’osservanza delle disposizioni dell’art. 93 della legge. Contemporaneamente segnalerà il cambiamento di dimora all’autorità di pubblica sicurezza della provincia e a quella del luogo al quale l’ammonito è diretto.

Art. 104 (Legge). — Se si tratta di persona diffamata a termine degli art. 95 e 96, il presidente le prescriverà, nell’ordinanza d’ammonizione, di vivere onestamente; di rispettare le persone e le proprietà; di non dar ragioni a sospetti e di non abbandonare il luogo di sua dimora, senza preventivo avviso all’autorità di pubblica sicurezza.


Puranco per la persona diffamata, oltre ai precetti ed obblighi sopra accennati, altri ne contiene l’articolo successivo.

— L’ammonito, cui fu imposto di non cambiare il domicilio senza la preventiva partecipazione all’autorità di P. S., ritornato dal servizio militare, al quale fu chiamato, deve denunziare il nuovo suo domicilio, a pena d'incorrere nella contravvenzione all'ammonizione.

La contravvenzione all’ammonizione, per cambiamento di domicilio, senza partecipazione all'autorità di P. S. sussiste quantunque l'ammonito, come capo di famiglia, abbia, nella sua scheda d'anagrafe trasmessa alla questura, indicato il nuovo domicilio coi membri componenti la famiglia. — (Cass, di Roma, 19 luglio 1890, Man, Astengo).


Art. 105 (Legge). — Il presidente prescriverà inoltre all’ammonito, a qualunque categoria appartenga, di non associarsi a persone pregiudicate; di non ritirarsi la sera più tardi, e di non uscire al mattino più presto di una data ora; di non portare armi e di non trattenersi abitualmente nelle osterie, bettole o case di prostituzione.


Le prescrizioni qui segnate sono comuni tanto agli oziosi e vagabondi, quanto ai diffamati.

Il codice del 1859 conteneva molte altre disposizioni riguardo agli ammoniti, disposizioni che sono scomparse nel codice di Zanardelli. In esso si parla solamente di persone soggette alla sorveglianza speciale di P. S., ed in queste si comprendono anche gli ammoniti quando siano stati condannati per contravvenzione all'ammonizione.

Senonché oltre alle accennate, altre restrizioni ancora a carico degli ammoniti si trovano nella legge in disamina, e qua e là sparse nei vigenti codici nostri.

Per l'art. 17 della legge di P. S. l'ammonito non può ottenere la licenza di portare armi; per l'art. 53 non gli sarà accordato il permesso di aprire esercizi pubblici; per l'art. 60, gli potrà esser negata la licenza di affittare camere mobigliate.

Così per la legge comunale e provinciale gli ammoniti (art. 30) non sono né elettori, né eleggibili, e questa incapacità termina un anno dopo cessati gli effetti della ammonizione.

L'art. 87 della legge elettorale politica dichiara incapace di esercitare il diritto di elettore e di eleggibile colui che fu condannato per reato di oziosità, vagabondaggio e mendicità. Anche in questo caso tale incompatibilità cesserà un anno dopo espiata la pena.

La legge 8 giugno 1874, sull'ordinamento dei giurati, modificata dal regio decreto 1 dicembre 1889 per l'attuazione del codice penale, dichiara che non possono essere assunti all'ufficio di giurato, gli oziosi, i vagabondi e i mendicanti.

In considerazione poi che gli ammoniti sono individui di notoria cattiva condotta, per l'art. 269 del codice civile, sono esclusi dagli uffici di tutori, protutori, curatori e dal far parte del consiglio di famiglia.

Da ultimo, per l'articolo 206 codice procedura penale, gli ammoniti non possono in verun caso esser posti in libertà provvisoria; e per l'art. 182 stesso codice rendendosi rei di certi delitti, in luogo del mandato di comparizione per questi individui potrà essere emesso il mandato di cattura.


Art. 106 (Legge). —Il presidente, potrà delegare le attribuzioni conferitegli da questa legge a uno o più giudici del tribunale.


Questo articolo che non si trovava nel progetto, venne aggiunto dal Senato in considerazione delle gravi occupazioni e molteplici cui va soggetto il presidente, specialmente in certi tribunali.


Art. 107 (Legge) — Contro l’ordinanza del presidente o del giudice delegato è ammesso reclamo soltanto per motivi d’incompetenza o inosservanza delle disposizioni contenute nel titolo terzo, capo terzo, della presente legge.

Il reclamo sarà presentato, nel termine di cinque giorni dalla pronuncia del provvedimento, con dichiarazione motivata alla cancelleria del tribunale, e sarà giudicato da un consigliere di appello delegato dal primo presidente, osservati i termini e le forme di che negli articoli 98, 99, 100 e 101 della presente legge.

Se il reclamo non è stato proposto regolarmente od è infondato, il consigliere di appello delegato ordinerà l’esecuzione del provvedimento di primo grado e la sua pronunzia non sarà suscettiva di altro rimedio.

Ove poi il reclamo sia regolare e fondato nei suoi motivi, il consigliere di appello delegato annullerà il procedimento e pronuncierà in merito;

Anche questa pronuncia non sarà soggetta ad altro rimedio.

Il reclamo sospende gli effetti dell’ammonizione, a meno che il presidente del tribunale o il giudice delegato non abbia, per gravi motivi, dichiarato la sua ordinanza eseguibile non ostante gravame.


Sotto l’impero della passata legge di P. S. si era continuamente dubitato se contro l’ordinanza. di ammonizione si potesse ricorrere in Cassazione, e la giurisprudenza d’allora in proposito aveva deciso in modi diversi ed opposti.

Ora la controversia è decisa.

L’ordinanza del presidente del tribunale o del giudice delegato, non è sindacabile intorno all’apprezzamento o valutazione dei fatti, ma invece può essere cassata se furono violate le norme della competenza, o non osservate le forme prescritte dalla legge; perciò J contro le ordinanze presidenziali è aperto l’adito al solo ricorso J per annullamento, ossia per cassazione.

Per tale bisogna fu preferita la corte d’appello, per non ingombrare la corte di cassazione di tutta la numerosa sequela dei ricorsi contro le ordinanze di ammonizione, ed accordato ad esse un sol grado di giurisdizione con termini ristretti, per economia di tempo ed in relazione alla importanza loro.


Art. 92 (Reg.). — La cancelleria del tribunale nel giorno dopo la scadenza del termine stabilito nell’art. 107 della legge, ed, in caso di ricorso, nel giorno seguente a quello in cui le fu comunicato il rigetto del medesimo, trasmetterà una copia autentica dell’ordinanza di ammonizione all’ufficio circondariale di pubblica sicurezza da cui fu fatta la proposta.

Questo ufficio darà comunicazione della ordinanza medesima all’ufficio provinciale di pubblica sicurezza, al comando locale dell’arma dei reali carabinieri ed al sindaco del comune.


— Contro le ordinanze di ammonizione non si dà ricorso in cassazione. — (Cass. di Roma, 17 gennaio 1891, Man. Astengo).

— L’ammonizione essendo un provvedimento politico-amministrativo, non è soggetta ai rimedi cui sono soggette le sentenze, e quindi nemmeno al ricorso in cassazione,

È soltanto nel caso che si tratti di giudicare una contravvenzione al monito che l’autorità giudiziaria può e deve occuparsi della forma e del merito dell’ammonizione stessa, per decidere se o meno abbia forza legale di produrre la pena. — (Cass. di Roma, 28 aprile 1887, Man. Astengo, 1889).

— È nullo il decreto di ammonizione, se il magistrato non ha assunto personalmente le informazioni e si è, invece, riferito alle informazioni generiche, che gli sono pervenute da quella stessa autorità dalla quale gli pervennero la denunzia e la domanda stessa. — (Cass. di Firenze, 7 marzo 1888, Man. Astengo, 1889).

— La corte di cassazione non può occuparsi dei ricorsi contro la pronuncia del consigliere d’appello delegato dal presidente che provvede sui reclami avverso la ordinanza di ammonizione. — (Cass. di Roma, 10 aprile 1893, Man. Astengo)


Art. 108 (Legge). — L’ammonizione cessa di pien diritto allo scadere del biennio dal giorno dell’ordinanza, se nel frattempo l’ammonito non abbia riportato condanna per delitto o per contravvenzione alla ammonizione.

Nel caso di condanna per tali titoli, il biennio decorre dal giorno del compimento della pena.


Scorso il biennio, dice chiaramente l’art. in esamex senza che l’ammonito abbia riportato condanna per delitti, o per contravvenzione all’ammonizione, questa cessa di pien diritto, senza bisogno di domanda o di nuovo provvedimento del presidente del tribunale.

Deve quindi ritenersi che una semplice condanna per contravvenzione non interrompa il trascorrere del biennio.

In caso di nuova condanna il biennio ricomincia a decorrere dal giorno del compimento della pena.


Art. 109 (Legge). — Il presidente o il giudice delegato, sulla domanda dell’ammonito, inteso il capo dell’ufficio di pubblica sicurezza, o sulla proposta di quest’ultimo, può revocare la ammonizione quando siano cessate le cause, per le quali fu inflitta.


Questo articolo, mentre conferma il precedentemente detto, sancisce un principio di alta giustizia, quello appunto che cessata la causa per la quale fu inflitta l'ammonizione, questa potrà essere revocata anche se non è ancora decorso il prescritto biennio sopra istanza dell'ammonito o del capo ufficio di P. S.


Art. 110 (Legge). — Il contravventore alle prescrizioni dell’ordinanza di ammonizione è punito coll’arresto sino ad un anno, estensibile a due in caso di recidiva e con la vigilanza speciale dell’autorità di pubblica sicurezza.

Contro la sentenza è ammesso il ricorso in appello o in cassazione, così da parte del pubblico ministero come da quella dell’imputato, secondo le norme ordinarie del codice di procedura penale.


Chi contravviene alle prescrizioni della ordinanza di ammonizione, viene punito come sopra è detto, e la competenza del giudizio è devoluta (art. 11 cod. di procedura penale) al pretore.

Relativamente poi alla recidiva la quale porta un aumento di pena non indifferente, è da reputarsi, come scrive l'egregio avvocato Puca, che «non sia applicabile se non trattandosi dello stesso reato, cioè di un'altra contravvenzione all'ammonizione, ciò sia per il principio della recidività specifica, sia perché trattandosi di contravvenzione a legge speciale, non potrebbe rendere più grave la condizione del contravventore, ritenendolo recidivo, la circostanza di avere egli riportate altre condanne per reati previsti dal codice penale, e quindi di altra natura.

— Al contravventore all'ammonizione inflitta a sensi degli articoli 105 e 106 della legge di P. S., va applicata oltre la pena del carcere, quella della sorveglianza speciale di P. S. — (Cass. di Torino 29 ottobre 1887).

L’imputato di contravvenzione all’ammonizione per aver continuato a dai sospetti sul suo conto, ha diritto di provare che egli dopo l’ammonizione, non diede più luogo a sospetti.

Viola i diritti della difesa, con eccesso di potere, il tribunale d’appello che respinge a priori tal prova, dicendola inconcludente ed inetta ad escludere i sospetti. — Cass. di Torino, 9 febbraio 1888, Legge).

— Non contravviene all’ammonizione, chi avendo obbligo di non allontanarsi dal Comune senza darne avviso all'autorità di P. S., cambia di abitazione, pure restando nel Comune, ed ometta di comunicare il fatto all’autorità. — (Cass. di Roma, 8 agosto 1890, Man. Astengo).

— La remissione non arresta l’azione penale per lesione personale, anche d’azione privata, quando sia commessa da un ammonito cui fu ingiunto di rispettare le persone. — (Cass. di. Roma, 6 novembre 1890, Man. Astengo).

— La pena della vigilanza della P. S. è dal legislatore comminata alla contravvenzione all’ammonizione in genere. — (Cass. di Roma, 15 dicembre 1890, Cass. Unica).

— Non si accorda la libertà provvisoria ai detenuti per contravvenzione all’ammonizione come diffamati per i delitti di cui negli articoli 95 e 96 della legge di P. S. — (Cass. di Roma, 4 maggio 1891, Man. Astengo).

— Il già ammonito dal Pretore che, sotto l’imperio della nuova legge di P. S., si assenta dalla sua abitazione, ossia dal Comune in cui risiede, sia anche per ragione di lavoro, senza darne avviso all’autorità di P. S., incorre nella contravvenzione all’ammonizione.

(Cass. di Roma, 19 novembre 1891, Foro pen.).

— Un ammonito in flagranza di contravvenzione all'ordinanza di ammonizione può essere arrestato, ed in nessun caso può essere posto in libertà provvisoria. — (Art. 182, n. 1, proc. pen. 95 e 96 legge di P. S. — (Cass. di Roma, 23 maggio 1892, Man. Astengo).

— Il divieto fatto all’ammonito di associarsi a persone pregiudicate, se non può colpire il fatto casuale e momentaneo, non può nemmeno interpretarsi come la proibizione di costituire una vera e propria società.

Quel divieto tende ad evitare od almeno a difficultare il contatto fra individui pregiudicati, i quali potendo porre in comune le loro tendenze delittuose e la esperienza del maleficio, costituirebbero un pericolo per la società. — (Cass. di Roma, 16 novembre 1892, Man. Astengo).


Art. 111 (Legge). — L’ufficiale pubblico che, per giovare o per nuocere a un individuo denunziato per l’ammonizione, rilascia un certificato non conforme alla verità, è punito, ove il fatto non costituisca reato più grave, coll’arresto da uno a cinque mesi e con l'ammenda da lire trecento a millecinquecento.


Per evitare favori o soprusi da parte dei pubblici ufficiali di P. S., la legge ragionevolmente ha stabilito pene severe contro di essi qualora usino dell’ammonizione per fini propri e particolari.

Se poi si trattasse di falso, subentra in allora il Codice penale colle sanzioni degli art. 287 e 290.


Art. 112 (Legge). — Ai testimoni citati per deporre in un processo d’ammonizione, sono applicabili le disposizioni dell’art. 179 del codice di procedura penale.

Art. 179 (Cod. proc. pen.). — Se il testimone citato e comparso ricusi di deporre sopra i fatti di cui viene interrogato, il giudice lo avverte delle pene stabilite nell’art. 210 del codice penale.

Se l’avvertimento rimanga inefficace, il giudice stende verbale, e può procedere contro di esso ai termini di legge.

Se dai risultamenti dell’istruzione la deposizione di un testimonio apparisca falsa, o se un testimone nella sua deposizione occulti la verità sopra un fatto di cui consta dall’istruzione avere egli conoscenza, il giudice lo avverte di nuovo delle pene stabilite nell’art. 214 del cod. pen.; e, se l’avvertimento rimanga inefficace, ultimato il processo in cui il testimone siasi reso colpevole di falsità o di reticenza, procede contro di esso nei modi di legge.


Art. 113 (Legge). — Ove l’ozioso, il vagabondo o il diffamato, a termini degli articoli 95 e 96, sia minore di 18 anni, il presidente o il giudice delegato, sul rapporto del capo dell'ufficio provinciale o circondariale di pubblica sicurezza, ordina che sia consegnato al padre, all’ascendente o al tutore, con la intimazione di provvedere all’educazione e di invigilare la condotta di lui sotto comminatoria della multa sino a lire mille.

In caso di persistente trascuranza potrà essere pronunziata la perdita dei diritti di patria potestà e di tutela.


Tanto il codice civile (libro I, titolo VIII), quanto quello penale (libro II, Titolo VIII, capo I, III, IV), prevedono i casi in cui i genitori, o domandino l’ausiglio della autorità per frenare le malvagie passioni dei minori, o essi medesimi manchino ai proprii doveri. Però e l’un codice e l’altro colle sanzioni loro, non giungono a poter trarre quei disgraziati dalle mani di coloro che ne abusano, per ricoverarli in luoghi di educazione.

A ciò molto opportunamente provvede la legge di P. S.

L’articolo presente dice che l’ozioso, il vagabondo, il diffamato a termini degli articoli 95 e 96, minore degli anni 18, non avendo ancora la piena responsabilità. delle proprie azioni, non deve essere sottoposto all’ammonizione, ma consegnato invece al padre, ascendente o tutore i quali hanno l’obbligo, sotto comminatoria di pena, di invigilare la sua condotta.

In caso di persistente trascuranza potrà essere pronunciata la perdita dei diritti di patria potestà e di tutela.


Art. 95 (Reg.) — L’autorità competente ad assegnare ai pregiudicati minori di anni 18 l'istituto d’emenda, a determinare la retta o la parte della retta a cui sono tenuti i parenti o i pregiudicati stessi ed a fare al presidente del tribunale la proposta per la liberazione di essi dall’istituto, a termini dei citati articoli 113 e seguenti della legge, è la direzione generale delle carceri.


Art. 114 (Legge). — Se il minore dei 18 anni è privo di genitori, ascendenti o tutori, o se questi non possono provvedere alla sua educazione e sorveglianza, il presidente o il giudice delegato ordina il di lui ricovero presso qualche famiglia onesta che consenta ad accettarlo, ovvero in un istituto di educazione correzionale, finché abbia appreso una professione, un’arte od un mestiere; ma non oltre il termine della minore età.

I genitori o gli ascendenti sono tenuti al pagamento della retta o di quella parte di essa che verrà di volta in volta determinata.


E’ contemplato qui il caso in cui il minore degli anni 18 sia privo di genitori, ascendenti e tutori, ovvero questi non possano provvedere alla sua educazione e sorveglianza.

In allora il presidente del tribunale o chi per esso, ordinano il ricovero del minore presso qualche onesta famiglia o in un istituto di educazione correzionale dove sarà trattenuto sino alla maggiore età.

Nell’ipotesi poi che o i genitori, o gli ascendenti siano in condizioni finanziarie appena discrete, saranno tenuti al pagamento della retta o di quella parte che verrà di volta in volta stabilita.


Art. 115 (Legge). — In nessun caso i genitori, ascendenti o tutori possono ottenere, senza il consenso dell’autorità competente, la restituzione del minore ricoverato in un istituto di educazione correzionale secondo l’articolo precedente, prima del termine ivi fissato.


La presente disposizione di legge non si può dire priva di importanza, sia perché guarentisce la sicurezza pubblica, sia perché opportunamente tutela l’interesse privato del minore.

Non di rado infatti avviene che il malo esempio trascini sulla china del delitto giovani di esemplare condotta; la qual cosa si ripeterà assai più di frequente trattandosi di persone di precedenti censurabili, quando poi l’incentivo a mal fare venga provocato o favorito da chi più di ogni altro dovrebbe avversarlo.

In considerazione di ciò il legislatore ha sancito che tanto i genitori, quanto gli ascendenti o tutori non possono ottenere, senza il consenso dell’autorità competente, la restituzione del minore ricoverato prima della maggiore età.


Art. 116 (Legge). — Le disposizioni dei tre precedenti articoli si applicano anche nel caso che il minore dei 18 anni eserciti abitualmente la mendicità o il meretricio.


Una delle gravi lacune della legge abrogata vien fatta coll’articolo 16, statuendo che le disposizioni riferibili ai minorenni oziosi, vagabondi e diffamati siano applicabili anche ai minori esercitanti abitualmente la mendicità o il meretricio che per l’addietro furono causa di gravi inconvenienti.


CAPO IV

Dei condannati alla vigilanza speciale della pubblica sicurezza

Art. 117 (Legge). — Il condannato alla vigilanza speciale dell’autorità di pubblica sicurezza deve uniformarsi, per la durata della pena, alle prescrizioni dell’autorità competente.

Le prescrizioni sono trascritte sopra una carta di permanenza che gli è consegnata, redigendone verbale.


La vigilanza speciale dell’autorità di P. S., al pari della ammonizione ha per iscopo di provvedere alla tutela della proprietà e delle persone; tanto l’una, quanto l’altra sono restrittive, non privative della libertà individuale, colla differenza però che quella, sia pur complementare o sussidiaria, è una pena vera e propria, mentre questa è un provvedimento essenzialmente politico.

Salva l’eccezione in cui la durata è di dieci anni (art. 32 e 59 cod. pen.), la sorveglianza speciale non può applicarsi in misura minore di un anno, né maggiore di tre (art. 28 cod. pen.), ed il tempo passato in carcere per contravvenzione a detta sorveglianza, non può computarsi in conto della durata della medesima.

Questo istituto, non nuovo nelle nostre leggi, assunse maggiore importanza ora che il cod. pen. (art. 16) ha introdotto il sistema della liberazione condizionale per i condannati i quali nel carcere tengono tale una condotta da far presumere un ravvedimento. Quando non si tratti di liberazione condizionale, la pena della vigilanza colpisce il già condannato nel momento in cui ha fine la sua punizione, nei casi tassativamente previsti dal cod. pen. agli urt. 28, 90, 156, 248, 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 412.

E importante da. ultimo notarsi chela vigilanza speciale di P. S., non si applica mai a chi all’epoca della condanna non ha compiti gli anni 18 (art. 54 e 55 cod. pen.).


Art. 96 (Reg. — La carta di permanenza di cui è parola nell’art. 117 della legge, avrà la forma di un libretto tascabile e sarà legata in pelle.

Art. 118 (Legge). — Al condannato alla vigilanza può esser prescritto:

1.° di darsi a stabile lavoro e di farlo constare nel termine che sarà prefisso;

2.° di non abbandonare l’abitazione scelta, senza preventivo avviso all’ufficio locale di pubblica sicurezza;

3.° di non ritirarsi alla sera più tardi e di non uscire al mattino più presto di una data ora;

4.° di non ritenere né portare armi proprie. od altri istrumenti atti ad offendere;

5.° di non frequentare. postriboli, né osterie od altri esercizi pubblici;

6.° di non frequentare pubbliche riunioni, spettacoli o trattenimenti pubblici;

7.° di non associarsi ai pregiudicati;

8.° di tenere buona condotta e di non dar luogo a sospetti;

9.° di presentarsi all’autorità, locale di pubblica sicurezza nei giorni che saranno indicati, e ad ogni chiamata della medesima;

10.°di portar sempre in dosso la carta di permanenza e di esibirla ad ogni richiesta degli ufficiali, od agenti di pubblica sicurezza.


Ai vincoli sopra tassativamente prescritti al vigilato speciale, devesi aggiungere l'altro, contemplato dal cod. pen. all'art. 28, che dà facoltà all'autorità di P. S. di vietargli di stabilire la sua residenza in luoghi determinati durante il tempo della vigilanza.


Art. 97 (Reg.). — H cambiamento della dimora di una persona sottoposta alla sorveglianza speciale della pubblica sicurezza si fa con foglio di via obbligatorio, sotto l'osservanza delle disposizioni dell’art. 93 della legge.

Art. 98. — L’autorità di pubblica sicurezza potrà vietare, a termini dell'art. 28 del codice penale, al condannato alla vigilanza speciale la residenza in luoghi determinati, a fine di tenerlo lontano, durante il tempo della vigilanza, dal luogo del commesso reato, dai danneggiati e dai-loro congiunti, dai suoi complici e soci, dai testimoni che hanno deposto a suo carico e in generale da quelle località nelle quali può essere di serio pericolo alla sicurezza altrui od all’ordine pubblico.

Art. 119 (Legge). — L’autorità di pubblica sicurezza, nel fare al condannato alla vigilanza tali prescrizioni, avrà riguardo ai precedenti di lui, non che al mestiere o professione che esercita, a fine di non rendergli difficile di occuparsi onestamente.

Potrà limitarle, se il condannato tiene buona condotta o sia accolto da una società di patronato riconosciuta.


L’autorità di P. S., se il condannato tiene buona condotta, o sia accolto da una società di patronato riconosciuta, potrà limitare gli effetti della vigilanza, quando però i medesimi non siano stati determinati nella sentenza di condanna (art. 42 cod. pen.).


Art. 99 (Reg.). — Nel prescrivere al condannato che ha ottenuto la libertà condizionale, a termini dell’art. 16 cod. pen., le condizioni di cui è parola nel successivo art. 17, l’autorità di pubblica sicurezza si atterrà a quanto è determinato nel decreto di ammissione.

Art. 100. — In caso d’inadempimento delle condizioni a lui imposte, l’autorità di pubblica sicurezza ne riferirà al procuratore generale presso la Corte d’appello agli effetti dell’art. 17 del cod. pen. indicando quale condizione non abbia osservato e come sia avvenuta la inosservanza.

Art. 120 (Legge). —Il contravventore alle prescrizioni della vigilanza speciale dell’autorità di pubblica sicurezza è arrestato e punito a termine del codice penale dal magistrato del luogo dove fu commesso il reato.

Art. 234 (Cod. pen.). — Fuori dei casi preveduti in altre disposizioni del presente codice, il condannato che trasgredisce agli obblighi derivanti dalla condanna è punito:

1.° Se trattisi della interdizione dai pubblici uffici o della sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte, con la detenzione sino ad un anno o con la multa da lire 100 a 3000, ferma la durata della pena a cui è stato condannato.

2.° Se trattisi della vigilanza speciale dell’autorità di pubblica sicurezza, con la reclusione da un mese ad un anno, rimanendo sospeso il corso della vigilanza durante il tempo della carcerazione preventiva e della reclusione.


— Il condannato alla sorveglianza della polizia che non si ritira all’ora prescrittagli dalla P. S., contravviene alla sorveglianza, senza che serva a scusarlo l'allegato prolungamento del lavoro medesimo. — (Corte d'Appello di Torino, 14 dicembre 1880, Giur, pen, torinese)

( )— Non cade in contravvenzione colui che sottoposto alla sorveglianza speciale, trascorsa l’ora per il suo ritiro, viene trovato a pochi passi dalla propria abitazione. — (Corte d'appello di Bologna, (6 agosto 1883, Legge),

— La competenza a conoscere delle contravvenzioni alla vigilanza speciale dell’autorità di P. S. risiede nel tribunale penale e non del pretore. — (Cass, di Roma, 12 giugno 1890, Giur, pen,)

— La pena della sorveglianza speciale cui taluno fu condannato, non si computa come espiata col tempo passato al domicilio coatto.

Il domicilio coatto è una misura preventiva e di buon governo, la sorveglianza speciale invece è una pena necessaria sancita dal cod. pen., che non può andare confusa, nò essere assorbita dal domicilio coatto. — (Cass, di Firenze, 23 settembre 1892, Man. Astengo).


Art. 121 (Legge). — L’autorità di pubblica sicurezza, qualora abbia fondati sospetti di reato, potrà procèdere a perquisizioni personali e domiciliari contro le persone sottoposte alla vigilanza speciale. Potrà anche farle arrestare, deferendole all’autorità giudiziaria del luogo, qualora il sospetto risulti fondato.


Se il vigilato speciale, colla sua condotta, susciti fondati sospetti, potrà l’autorità di P. S. procedere alla personale e domiciliare perquisizione, ed anche arrestarlo, deferendolo tosto all’autorità giudiziaria.


Art. 122 (Legge). — Il condannato alla vigilanza speciale non può trasferire la propria dimora in altro comune, senza il consenso dell’autorità di pubblica sicurezza del circondario.

Il contravventore è punito a termini dell’art. 120.

Art. 97 (Reg.) — Il cambiamento della dimora di una persona sottoposta alla sorveglianza speciale della pubblica sicurezza si fa con foglio di via obbligatorio, sotto l’osservanza delle disposizioni dell’art. 93 della legge.


— Cade in contravvenzione il sorvegliato che avendo ricevuto il foglio di via per recarsi in un determinato luogo, muta l’itinerario. (Corte d'appello di Ancona 10 maggio 1886).


CAPO V

Del domicilio coatto

Art. 123 (Legge). — Possono assegnarsi al domicilio coatto, qualora siano pericolosi alla sicurezza pubblica, gli ammoniti e i condannati alla vigilanza speciale della pubblica sicurezza che incorrano con distinte sentenze:

1° in due condanne per contravvenzione alla ammonizione o alla vigilanza speciale;

2° in due condanne per delitto contro le persone e le proprietà;

3° in due condanne per violenza o resistenza all’autorità;

4° in una condanna per contravvenzione all’ammonizione o alla vigilanza speciale ed in una per delitto delle specie indicate ai numeri 2 e 3.


Il domicilio coatto è una delle misure più severe sancite dalla legge di P. S. Esso viene assegnato agli ammoniti e vigilati speciali i quali, come recidivi, si mostrano incorreggibili e perciò assai pericolosi alla società.

È pregio dell’opera riportare qui sotto alcuni brani della relazione Crispi al Senato che, oltre a fornire un preciso concetto sull’istituto in esame, confuta molto sapientemente e risponde alle più forti obbiezione degli avversari:

Il concetto che mi ha guidato nella riforma dell'istituto dell’ammonizione, ha indirizzato i miei passi anche nella sistemazione del domicilio coatto. Vi sono delle persone che, o insofferenti della severa sorveglianza alla quale sono state sottoposte con l'ammonizione, rompono ripetutamente i freni di quest’ultima; o indurite al mal fare, in onta ad ogni sorveglianza, si danno ripetutamente a nuove e gravi violazioni della legge penale. E se date tali persone, la pubblica sicurezza nel comune si trova compromessa; se reati succedono a reati senza che si riesca a mettere assieme le prove necessarie per consegnarne alla giustizia gli esecutori, sia perché si sanno deviare astutamente le indagini della polizia giudiziaria, sia perché con la intimidazione si riducono al silenzio i danneggiati ed i testimoni; e se si forma la convinzione che le persone stesse e non altre sono gli agenti segreti di tali reati, il loro allontanamento forzoso dal teatro della delinquenza è una necessità di fatto, alla quale di buona o mala voglia bisogna venire. Ma anche nel promuovere e nel risolvere questo provvedimento il sospetto deve avere la più piccola parte, l’arbitrio nessuna.

«Si appunta il domicilio coatto di non avere raggiunto lo scopo per il quale era stato istituito. Io credo che questa osservazione sia in gran parte sbagliata. Lo scopo essenziale del domicilio coatto è di allontanare, per un termine più o meno lungo, da un comune nel quale la sicurezza pubblica versa in condizioni anormali, un certo numero di pregiudicati che si ha ragione di ritenere esecutori dei reati che si vanno succedendo, ma non si ha il mezzo di mandare innanzi alla giustizia punitiva perché mancano le prove specifiche della loro reità. E a questo scopo il domicilio coatto non può naturalmente venir meno. Potrei anzi citare non uno, ma molti territori nei quali la sicurezza pubblica è tornata, come per incanto, appena ne furono allontanati pochi temuti pregiudicati. Il domicilio coatto ha inoltre lo scopo di avviare i pregiudicati ad una migliore condotta. Ed è sotto questo punto di vista che è ritenuto una istituzione sbagliata. E si dice che la vita d’ozio che i coatti trascinano nelle isole e la continua convivenza con persone di male affare finiscono per renderli peggiori. Questa della redenzione dei delinquenti è una questione di dubbia soluzione persino per gli stabilimenti carcerarii che sono organizzati su di un piede ben diverso, che sono dotati di ben altri mezzi che le colonie dei coatti.

«Io ho aperto di recente una inchiesta per sapere che cosa fosse dei coatti dopo il loro proscioglimento. Ed ho potuto stabilire che di 998 coatti, prosciolti definitivamente e condizionatamente nel triennio 1883-86, ricaddero in reati di una certa gravità 87, in reati di minor conto e più specialmente in contravvenzioni 254, e che si dovettero inviare alla colonia per cattiva condotta 114. Ed avendo constatato che a domicilio coatto generalmente non si mandano che pregiudicati, i quali del reato si sono fatto un abito, ho dovuto conchiudere non essere intieramente esatto che le colonie non abbiano altro risultato che di sprofondare nella perversità i coatti per restituirli alla società peggiori di prima. Ma è vero che sotto il rapporto del lavoro le colonie lasciano molto e qualcuna tutto a desiderare. Trovano nelle isole sufficiente occupazione gli operai agricoli che però non costituiscono che una piccolissima parte della popolazione delle colonie; ma per gli altri le occasioni di lavoro sono scarse. Di codesta quistione del lavoro dei coatti io mi sono già occupato seriamente e continuo ad occuparmi. La soluzione di essa sta forse nella soppressione delle colonie e nella dispersione dei coatti fra i comuni delle isole e del continente, nei quali, insieme ai mezzi di una sicura sorveglianza, vi sia la maggiore possibilità di stabile occupazione. Quest'ultima condizione dovrebbe essere agevolata col destinare ogni coatto ad un comune in cui fioriscono industrie identiche od affini a quella nella quale egli è cresciuto, e col riservare il maggior contingente a quei comuni nei quali si avverte scarsezza di braccia. Con questo sistema e sopprimendo inesorabilmente il sussidio ai coatti che non siano inabili al lavoro, se la classe agiata, gl'industrianti ed i professionisti prestassero una mano sollecita e cordiale a quest'opera di rigenerazione, si potrebbe far molto di bene. Comunque sia, nulla sarà omesso per uno studio profondo e maturo della grave questione.

«Riserbando l'applicazione del provvedimento del domicilio coatto a Commissioni speciali, io non intendo né posso intendere naturalmente di esimere il Ministro dall'obbligo imprescindibile, in quei casi straordinari ed urgenti che impegnano la sua responsabilità costituzionale, di provvedere di sua iniziativa onde la salute pubblica non abbia a patire grave o irreparabile detrimento».

Circolare, n. 11500-4 in data 27 gennaio 1890 del Ministero dell’interno ai signori prefetti del Regno,

«Per l'attuazione delle vigenti disposizioni sul domicilio coatto il Ministero stabilisce le seguenti norme:

«1. Emessa dalla commissione provinciale l'ordinanza di assegnazione a domicilio coatto, la medesima sarà trasmessa al Ministero per la designazione del luogo unitamente a una copia della cartella biografica del pregiudicato o del foglietto statistico secondo che si tratta di individuo maggiore dei 21 anni compiuti, o di età a questa inferiore;

«2. Tale trasmissione sarà fatta con lettera speciale per ogni individuo;

«3. Nella stessa forma sarà trasmesso al Ministero il ricorso contro l’ordinanza d’assegnazione che venisse prodotta alla commissione d’appello.

«4. Il prefetto ricevuto il provvedimento del Ministero che designa il luogo di domicilio del coatto, richiederà l’arma dei reali carabinieri per la traduzione di lui alla coattiva dimora;

«5. Il direttore della colonia o l’autorità locale di P. S. avvertirà il coatto degli obblighi che gli sono imposti, e lo munirà della carta di permanenza redigendone processo verbale;

«6. Il periodo del domicilio coatto decorre dal giorno in cui l’individuo fu arrestato per essere posto in traduzione per la sua destinazione, e i prefetti dovranno darne avviso tanto al Ministero quanto anche al prefetto della provincia nella quale è il luogo assegnato al coatto.

«Nel periodo stabilito pel domicilio coatto non si computa il tempo in cui il coatto si è trovato in carcere per espiazione di pena inflittagli per reati commessi sia prima dell'assegnazione a domicilio coatto, sia durante la decorrenza del medesimo.

«7. Ogni qualvolta occorre mettere un coatto a disposizione dell’autorità giudiziaria per rispondere di reati commessi, o per essere sentito come testimonio, il direttore della colonia o l’ufficiale di P. S. ne ordinerà la traduzione a mezzo della forza pubblica, e contemporaneamente richiederà il procuratore del Re che ad espletata giustizia o prestata la testimonianza, lo faccia ritradurre al luogo del domicilio obbligatorio;

«8. I coatti prosciolti condizionatamente saranno provvisti di un foglio di via obbligatorio per restituirsi in patria, previo avviso al prefetto della provincia cui appartengono.

«Il Ministero trasmette infine in relazione a quanto prescrive l’articolo 105 del regolamento 8 novembre 1889 per l'esecuzione della legge di P. S.

«a) il modulo del registro nominativo che deve essere tenuto da ogni direttore di colonia;

«b) il modulo della cartella biografica speciale pei coatti da conservarsi nei fascicoli individuali e che segue il coatto nel caso di passaggio da una colonia all’altra e di ritorno in patria;

«c) il modulo della carta di permanenza di cui i coatti debbono essere muniti;

«d) il modulo del foglietto statistico che i prefetti debbono inviare al Ministero, in sostituzione della cartella biografica, di cui è cenno all’articolo 93 del regolamento di P. S. quando chieggono la destinazione a domicilio coatto di minori dei 21 anni compiuti.

«La somministrazione degli stampati conformi ai moduli sopra indicati verrà fatta ai signori prefetti, in seguito a loro richiesta dall’economato generale presso il Ministero di agricoltura, industria e commercio.

«I signori prefetti vorranno dare comunicazione della presente alle dipendenti autorità di P. S. per la parte che rispettivamente le riguarda e accusarne ricevimento al Ministero. »


Art. 124 (Legge). — Il domicilio coatto dura da 1 a 5 anni e si sconta in una colonia o in altro comune del Regno.


Di colonie di coatti havvene a Favignana, Lipari, Pantelleria, Tremiti, Ustica, ecc.

Con risultati soddisfacenti, trovasi poi in corso l’assegnazione di coatti ad alcuni comuni del continente e delle isole, dove senza dubbio riesce loro più facile trovare lavoro che nelle colonie.

Di coatti se ne trovano alcuni già nelle provincie di Sassari, Foggia e Lucca.

Tale assegnazione, di cui è anche cenno nella relazione Crispi all’articolo precedente citata, ha tolto un altro valido argomento agli avversari per combattere l’istituto in disamina.

Sostenevano questi, e non forse del tutto a torto, che non era cosa prudente e saggia riunire tutti questi pregiudicati in una o più isole dove finiscono a perfezionarsi nel vizio e nel delitto.

Ora invece per il mentovato provvedimento, questa gente viene sparsa in diversi comuni della terra ferma e delle isole, ed ogni relazione pericolosa resta in tal modo fra di loro troncata.


Art. 125 (Legge). —L’assegnazione a domicilio coatto e la sua durata sono pronunciate da una commissione provinciale composta del prefetto, del presidente del tribunale, o di un giudice da lui delegato, del procuratore del Re, del capo dell’ufficio provinciale di pubblica sicurezza e dell’ufficiale dei reali carabinieri, comandante l’arma nella provincia.

La commissione è convocata e presieduta dal prefetto.


Tanto l’assegnazione a domicilio coatto, quanto la sua durata sono pronunziate dalla commissione provinciale, le cui deliberazioni non saranno valide se non prese in seduta plenaria di tutti i componenti o chi per essi.


Art. 101 (Regi). — Per la validità delle deliberazioni della commissione provinciale di cui è parola nell’art. 125, e della commissione centrale di cui è parola nell’art. 127 della legge, occorre la presenza di tutti i componenti, rappresentati, al bisogno, dai funzionari che li sostituiscono in ufficio.

I componenti della commissione centrale, che non ne fanno parte di diritto per ragione d’ufficio, sono nominati o confermati annualmente dal ministro dell’interno, che provvederà a surrogarli in caso d’impedimento.


Art. 126 (Legge). — Le ordinanze della commissione sono trasmesse al Ministero dell’interno per la designazione del luogo di domicilio e per la traduzione del coatto.


La designazione poi del luogo in cui il coatto deve dimorare ed il modo di sua traduzione in detto luogo sarà, senza eccezione, fissato dal ministro dell’interno.


Art. 127 (Legge). — Contro l’ordinanza d’assegnazione è ammesso il ricorso ad una commissione d’appello che risiede presso il Ministero dell’interno ed è composta del sottosegretario di Stato per l’interno che la convoca e la presiede, di due membri del Parlamento, di un consigliere di Stato, di un consigliere di corte d’appello, di un sostituto procuratore generale, del direttore generale della pubblica sicurezza, del direttore generale delle carceri e del direttore capo di divisione della polizia giudiziaria ed amministrativa.

L’appello non sospende l’esecuzione dell’ordinanza della commissione provinciale.

Anche le deliberazioni della commissione di appello sono comunicate al Ministero per la esecuzione.


Perché poi l'interesse del coatto sia nel modo più ampio tutelato in omaggio dell'alto principio della giustizia a cui devono ispirarsi tutte le leggi, contro la ordinanza della commissione provinciale, è ammesso il ricorso ad una seconda commissione detta d'appello, che risiede presso il Ministero dell'interno, convocata e presieduta da quel sotto-segretario di Stato. Anche in questo caso le deliberazioni, sotto pena di nullità, devono essere prese in adunanza completa di tutti i membri.


Art. 128 (Legge). — L’ufficiale di pubblica sicurezza del luogo assegnato ad un coatto deve adoperarsi presso l’autorità municipale e presso i privati a procurargli lavoro, quando non riesca a trovarlo da sé.

In mancanza di lavoro e qualora un coatto si trovi senza mezzi di sussistenza e, senza sua colpa, nella impossibilità di guadagnarseli, il Ministero dell’interno provvederà al suo alloggio e vitto per il tempo strettamente necessario e nella misura determinata dal regolamento.

Art. 102 (Reg.). — Ogni coatto valido è obbligato al lavoro.

La mercede è devoluta per intiero a suo beneficio.

Art. 103 (Reg). — Nel caso previsto al capoverso dell’art. 128 della legge, sarà provveduto momentaneamente all’alloggio ed al vitto del coatto secondo gli ordinamenti carcerari.

Non cessa però l’obbligo del direttore della colonia o dell’ufficio di pubblica sicurezza del luogo assegnato al coatto di tenerlo occupato nel modo che sarà possibile.

Art. 104. — Le infrazioni di disciplina dei coatti, tra le quali è compreso il rifiuto di lavorare, sono represse dal direttore della colonia o dall’ufficiale di pubblica sicurezza del luogo, a norma dell’art. 223 e seguenti del regolamento per le carceri giudiziarie approvato col regio decreto 27 gennaio 1861.

Art. 129 (Legge). — Qualora il coatto tenga buona condotta, il ministro dell’interno può liberarlo condizionatamente, prima del termine stabilito dall'ordinanza di assegnazione.


Per vieppiù stimolare, indurre le persone di cui tratta questo capo a ricondursi sulla buona via e a correggersi, molto a proposito il legislatore ha dettato il presente articolo. Per esso il coatto che tiene buona condotta, può condizionatamente essere liberato prima del termine stabilito dall’ordinanza di assegnazione; durante il quale periodo «il Ministero dell'interno con istruzione di massima stabilì che, sebbene le nuove disposizioni della legge di P. S. non ne facciano cenno, pure esso è d’avviso che il domiciliato coatto condizionatamente liberato debba essere, al pari di tutti gli altri condannati dal codice penale, soggetto durante il periodo della liberazione condizionale alla vigilanza speciale della P. S. come lo era sotto l'impero delle disposizioni del regolamento 17 febbraio 1881» (1).

Per quanto la interpretazione ministeriale possa sembrare in contraddizione ai principi generali di diritto annuncianti che la legge debba essere intesa per analogia più favorevole all’imputato, e possa sembrare altresì che il potere esecutivo venga ad arrogarsifacoltà dalla legge concessa alla autorità giudiziaria nella applicazione della vigilanza speciale; pure è da ritenersi che Farticolo in disamina esplicitamente dichiara essere la condizione del coatto prosciolto condizionatamente assimilata a quella del liberato condizionale (art. 16, 17 cod. pen., art. 4 regio decreto 1 dicembre 1889 per l’attuazione del codice), e quindi è giusto venga trattato alla stregua medesima.

Tale concetto viene maggiormente esplicato dal seguente articolo 132 ult. parte, dal quale appare chiaro che il coatto non è un vigilato speciale con tutti gli obblighi e doveri ad esso imposti dalla legge generale.

Unica questione possibile è se il coatto, condizionatamente liberato, il quale si rende contravventore alla sorveglianza, perda soltanto il beneficio della liberazione, oppure debba sottostare alle pene stabilite dal cod. pen.

Tenendo presente l'indole puramente amministrativa di detta vigilanza, è chiaro che al contravventore non si potrà infliggere altra pena che la perdita della condizionata libertà.


Art. 106 (Regi). — H proscioglimento condizionato di cui è parola nell’articolo 129 della legge, sarà ordinato sulla proposta del prefetto della provincia nella quale è situata la colonia, e sentito il prefetto di quella in cui il coatto riprenderà l'ordinario domicilio.

Art. 130 (Legge). — Se il coatto prosciolto condizionatamente tiene cattiva condotta, il ministro dell’interno potrà rinviarlo a domicilio coatto sino al compimento del termine, non computato il tempo passato in libertà condizionata o in espiazione di pena.


La cattiva condotta del coatto condizionalmente prosciolto, apporta la perdita del beneficio della liberazione: egli ritorna al suo domicilio forzato pel tempo stato assegnato, non potendosi allo stesso computare il tempo passato in libertà condizionata.


Art. 131 (Legge). — Il coatto non può allontanarsi dalla colonia o dal comune assegnatogli.

In caso di contravvenzione, il coatto sarà dall’autorità giudiziaria locale punito coll’arresto da uno a sei mesi, e il tempo trascorso in carcere non sarà computato in quello che rimarrebbe di domicilio coatto.


L’articolo in esame sancisce la pena per i domiciliati coatti che non ottemperino all’obbligo loro imposto di non allontanarsi dalla colonia o dal comune loro assegnato, aggiungendo, come nell’articolo precedente, che il tempo trascorso in carcere, non sarà computato in quello che rimarrebbe di domicilio coatto.


Art. 132 (Legge). — Il direttore della colonia ha pei coatti le attribuzioni dalla legge affidate all’autorità locale di pubblica sicurezza pei sottoposti alla vigilanza speciale.

Sono applicabili ai coatti le disposizioni contenute nei precedenti articoli 117, 118, 119, 120 e 121.


Al domiciliato coatto sono applicabili tutte le disposizioni prescritte dalla legge per i sottoposti alla vigilanza speciale della P. S.


Art. 105 (Regi). — Il direttore della colonia dovrà tenere un registro nominativo ed i fascicoli ris guardanti i singoli coatti.

Nel registro nominativo sono notati il nome e cognome del coatto, la data del decreto di assegnazione, la durata del domicilio coatto, la data dalla quale incomincia e la data nella quale deve finire.

Ogni fascicolo individuale conterrà una cartella biografica nella quale si annoteranno, oltre le condanne ed i pregiudizi incorsi prima dell’assegnazione, anche le condanne, pregiudizi e infrazioni disciplinari di ogni singolo coatto durante la sua dimora alla colonia.

Art. 107. — Decorso il periodo del domicilio coatto—il direttore della colonia farà rimpatriare il coatto con foglio di via obbligatorio, previo avviso al prefetto che ne avvertirà il Ministero dell’interno ed il prefetto della provincia nella quale il coatto ha domicilio,

Art. 108 (Reg). — Il ritardo del direttore della colonia a liberare, a compiuto periodo, un coatto, è punito con pene disciplinari salve le sanzioni del codice penale.

TITOLO IV

Disposizioni transitorie e finali


Art. 133 (Legge). — Le denuncio per l’ammonizione, non risolute al momento della pubblicazione della presente legge, si considerano come non fatte. Potranno essere rinnovate.

Art. 134 (Legge). — Chi si trova sotto ammonizione da due anni, nel giorno della pubblicazione della presente legge, ove non si verifichi il caso preveduto all’art. 108, ne è di diritto prosciolto.

Chi si trova sotto ammonizione da meno di due anni, continuerà a restarvi fino al termine del biennio. Potrà però giovarsi della disposizione dell’art. 109 relativa alla revoca dell’ammonizione.

Art.135 (Legge). — Alle contravvenzioni della presente legge, per le quali non sia stabilita una pena o non provveda il codice penale, è applicata l'ammenda sino a lire cinquanta o l’arresto sino a dieci giorni.

Art. 136 (Legge). — Contro i provvedimenti presi dall’autorità di pubblica sicurezza in base alla presente legge è ammesso il ricorso in via gerarchica.

Art. 137 (Legge). — Dal giorno dell’attuazione della presente legge sono abrogati i titoli II, III e IV della legge di pubblica. sicurezza 20 marzo 1865, allegato B, modificata con la legge 6 luglio 1871 e il regolamento di polizia punitiva per la Toscana dei 20 giugno 1853. Cessano inoltre di aver vigore in tutto il Regno le disposizioni di leggi e regolamenti relativi alle materie contemplate in questa legge, in quanto siano contrarie alla medesima.

Nulla viene innovato alle disposizioni contenute nel regio decreto 19 ottobre 1870, n. 5961, e nella legge 13 maggio 1871, n. 214.

Art. 138 (Legge). — Il ministro dell’interno è autorizzato a pubblicare per decreto reale il regolamento per l’esecuzione della presente legge, e gli altri regolamenti che fossero richiesti per l’esecuzione di disposizioni speciali di essa, con facoltà di comminare l’ammenda sino a lire cinquanta o l’arresto sino a giorni 10 per le contravvenzioni alle disposizioni medesime.

Art. 139 (Legge). — E pure autorizzato a pubblicare con le stesse penali sanzioni il regolamento relativo al meretricio nell’interesse dell’ordine pubblico, della salute pubblica e del buon costume.

Questo regolamento non potrà essere modificato se non per legge, dopo trascorso un anno dalla sua pubblicazione.

Art. 140 (Legge). — Le stesse pene dell’ammenda sino a lire cinquanta o dell’arresto sino a dieci giorni sono applicate per le contravvenzioni alle ordinanze ed ai decreti emessi, in conformità alle leggi, dai prefetti, sottoprefetti, questori e sindaci, nonché per le contravvenzioni ai regolamenti comunali, legalmente approvati, di qualsivoglia specie.

Art.141 (Legge). — È istituito in ogni ufficio di sezione delle città sedi di questura un registro d’anagrafe statistica nei modi e con le forme che si determineranno col regolamento.

Art. 109 (Reg — Nei comuni ove sia istituito il servizio di anagrafe statistica, di cui è parola nell’art. 141 della legge, chiunque per qualsiasi titolo si trovi investito della proprietà o della amministrazione di case, dovrà entro un mese dalla pubblicazione del presente regolamento dichiarare all’ufficio di pubblica, sicurezza a quali persone abbia affittato o, a qualsiasi titolo, concesso l’uso dei locali dello stabile.

Notificherà successivamente tutti i cambiamenti che sopraggiungessero, indicando il capo di famiglia che esce e quello che entra, nel termine di giorni cinque dall’avvenuto cambiamento.

Lo stesso obbligo spetta a coloro che prendendo in affitto a loro nome appartamenti o locali, li subaffittano ad altri.

Art. 110. — Entro gli stessi termini ogni capo di famiglia deve pure indicarne tutti i componenti e successivamente notificare i cambiamenti che accadono nella composizione di essa, specificando il nome, cognome e le altre qualifiche delle persone che entrano a farne parte e di quelle che ne escono.

Quando il capo di famiglia subaffittasse ad altri una parte del suo appartamento, dovrà indicare il nome e cognome delle persone cui subaffitta e i cambiamenti successivi.

Art. 111. — Sono pure obbligati alla denuncia delle persone che accolgono nei loro stabilimenti o che ne escono, coloro che sono preposti alla direzione di convitti od ospizi d’ogni genere, sì pubblici che privati.

Art. 112. — Chi ha l’obbligo delle dichiarazioni, di cui sopra, sarà anche tenuto a fornire sulle medesime tutti gli schiarimenti che gli saranno domandati dall’ufficio di pubblica sicurezza.

Art. 113. — Le dichiarazioni di cui è parola negli articoli precedenti, debbono farsi direttamente all’ufficio di pubblica sicurezza locale, sopra stampati che saranno forniti dall’ufficio stesso.

Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale( )delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addì 30 giugno 1889.

UMBERTO

Crispi.

Visto: Il Guardasigilli Zanardelli.

REGIO DECRETO 8 NOVEMBRE 1889, N. 6517

che approva il regolamento per la esecuzione della legge 30 giugno 1889, n. 6144, serie 3a, sulla P. S.

Visto l’art. 138 della legge 30 giugno 1889, n. 6144 (serie 3(a, sulla pubblica sicurezza;

Visto il parere del consiglio di Stato dei 24 settembre 1889;

Sentito il consiglio dei ministri;

Sulla proposta del presidente del consiglio dei ministri, ministro segretario di Stato per gli affari dell’interno;

Abbiamo decretato e decretiamo:

Art. 1. — E approvato l’unito regolamento per l’esecuzione della legge 30 giugno 1889 sulla pubblica sicurezza, che sarà visto e sottoscritto d’ordine Nostro dal ministro dell’interno.

Art. 2. — La legge 30 giugno 1889 sulla pubblica sicurezza ed il presente regolamento entreranno in vigore a termini dell’art. 142 della legge 23 dicembre 1888, n. 5888, contemporaneamente al codice penale, approvato con Nostro decreto in data 30 giugno anno corrente.

Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Monza, addì 8 novembre 1889.

UMBERTO

F. Crispi.

REGOLAMENTO

per l’esecuzione della legge sulla pubblica sicurezza

TITOLO I

Disposizioni relative all’ordine pubblico ed alla incolumità pubblica

Art. 1. — L’avviso per le riunioni pubbliche, di cui è parola nell’art. 1 della legge, deve essere dato per iscritto, colla indicazione del giorno, ora e luogo della riunione, dell’oggetto della medesima e colla firma dei promotori.

Dell’avviso sarà rilasciata ricevuta coll'indicazione dell’ora in cui fu dato.

Art. 2. — L’autorità di pubblica sicurezza assisterà, col ministero dei suoi funzionari ed agenti, alle riunioni pubbliche per tutelare l’ordine e per la eventuale applicazione degli articoli 2, 4, 5 e 6 della legge.

Art. 3. — Quando occorra di sciogliere una riunione od un assembramento, il funzionario di pubblica sicurezza incaricato del servizio dovrà mettersi ad armacollo la sciarpa tricolore. L’ufficiale o sotto ufficiale dei carabinieri dovrà essere in divisa.

L’invito a sciogliersi e le intimazioni dovranno farsi in nome della legge.

Art. 4. — Nel caso di scioglimento di una riunione o di un assembramento, a termini dell’art. 6 della legge, non si potrà adoperare la forza prima che il funzionario di P. S. o l’ufficiale o sottufficiale dei carabinieri, preposti al servizio, ne abbiano dato l’ordine.

Art. 5. — L’avviso di cui è parola nell’art. 7 della legge, dovrà essere dato per iscritto, colla firma dei promotori e colla indicazione del giorno ed ora in cui avranno luogo la processione religiosa o civile o gli altri atti e cerimonie ivi contemplati, dell’itinerario della processione e della località in cui le predette funzioni si compiranno.

Anco di questo avviso sarà rilasciata ricevuta coll’indicazione dell’ora in cui fu dato.

Art. 6. — L’autorità di pubblica sicurezza potrà, per riconosciute ragioni d’ordine pubblico, prescrivere alle processioni religiose o civili, condizioni di tempo, di modo e d’itinerario, notificandole ai promotori almeno 24 ore prima.

Art. 7. — L’autorità competente, a termini dell’art. 452 del codice penale, a dare licenza per aprire arruolamenti, è il ministro dell’interno.

Al ministro stesso è riservato di dare licenza per le raccolte di armi da guerra o parti di esse, di munizioni, uniformi militari o di altri oggetti destinati all'armamento o all’equipaggiamento di truppa, e per la introduzione delle armi, munizioni ed oggetti anzi indicati nello Stato; come altresì per tenere ammassi d’armi in casa, a termini dell’art. 468 del codice penale.

Art. S. — Sono armi da guerra, ai sensi dell’articolo 10 della legge e 7 di questo regolamento, le armi d’ogni specie, da punta, da taglio e da fuoco, adottate per l’armamento delle truppe.

Sono munizioni da guerra, ai sensi degli articoli medesimi, le palle, le bombe, la polvere, le capsule ed ogni altra materia destinata al caricamento delle armi da fuoco.

Fanno parte dell’equipaggiamento di zaini, gli oggetti di attendamento, gli affusti d’artiglieria e simili.

Art. 9. — Il permesso per una passeggiata militare con armi, dato dal prefetto a termini dell’articolo 11 della legge, s’intende subordinato alla licenza del porto d’armi in chi vi partecipa, salve le eccezioni contemplate in appresso.

Art. 10 — È parificata ad una passeggiata militare con armi la comparsa di corpi od associazioni in plotoni armati a feste, funzioni o trattenimenti pubblici.

Art. 11 — La licenza ai privati di far raccolte di armi artistiche, rare o antiche, non escluse le insidiose, sarà accordata dall’autorità politica del circondario.

In caso di cambiamenti sostanziali della raccolta d’armi o del luogo di deposito la domanda deve essere rinnovata.

Art. 12. — Le armi proprie, delle quali è ammessa la introduzione nello Stato, non saranno consegnate dall’ufficio di dogana al destinatario se questi non faccia constare del preventivo avviso dato al prefetto,, a termini dell’art. 13 della legge, e della licenza, se trattasi d’armi insidiose, a termini dell’art. 12.

Art. 13. — Chi vuol andare in giro con campionario d’armi, deve chiedere là licenza al prefetto della provincia dalla quale muove, ed in appresso presentarla alla vidimazione dei prefetti delle provincie che intende percorrere.

Nella licenza saranno indicate la quantità e la qualità delle armi e delle munizioni relative. Né le une né le altre potranno eccedere le proporzioni necessarie per servire ad uso di campionario.

Art. 14. — Le licenze per il porto dell’arma lunga da fuoco, per il porto della rivoltella o pistola e per il porto del bastone animato sono fatte sui modelli annessi negli alleg. A, B e C.

La licenza alle guardie particolari per la custodia delle proprietà dei comuni, dei corpi morali e dei privati è fatta sul modello annesso in alleg. D.

Art. 15. — La domanda della licenza di portar armi deve essere accompagnata dai certificati necessari a provare che il richiedente non si trovi nelle condizioni enumerate nell’art. 17 della legge e dalla quietanza di pagamento della relativa tassa rilasciata dal ricevitore del registro, nonché dalla prescritta marca da bollo.

Art. 16. — La concessione delle licenze di portare la rivoltella o pistola, o il bastone animato, di cui è parola nell’art. 16 della legge, è subordinata, oltre che alle condizioni enunciate all’art. 17, alla dimostrazione di un plausibile motivo di andarne armati.

Art. 17. — H manifesto col quale, a termini dell’art. 18 della legge, si revocano in tutto od in parte le licenze di porto d’armi in un comune, è emesso dal prefetto d’ordine del ministro dell’interno.

Art. 18. — I funzionari dell’amministrazione di pubblica sicurezza non hanno bisogno di licenza per portare le armi, di cui è parola negli art. 15 e 16 della legge.

Art. 19. — Non hanno bisogno della licenza per portare le armi, di cui sono muniti a termini dei rispettivi regolamenti, gli agenti della forza pubblica.

Art. 20. — Non hanno bisogno della licenza i componenti delle società di tiro a segno riconosciute per portare l’arma di tiro nei giorni stabiliti per le esercitazioni sociali. Basta che siano muniti di una carta di riconoscimento rilasciata dal presidente della società e vidimata dall’autorità locale di pubblica sicurezza, salva sempre a questa la facoltà di ritirarla per ragioni riconosciute d’ordine pubblico.

Questa disposizione si applica eziandio al caso nel quale una società di tiro a segno intervenga in corpo, coll’autorizzazione del prefetto a termini dell’art. 11 della legge, ad una festa o cerimonia pubblica.

Art. 21. — Non hanno bisogno della licenza gli insegnanti ed alunni degli istituti d’istruzione, riconosciuti a termini degli ordinamenti relativi, che escono in corpo per le esercitazioni indette dalla rispettiva direzione, o per altre pubbliche funzioni. ’

Art. 22. — Non hanno bisogno della licenza i corpi di pompieri o vigili municipali, istituiti in forza di regolamenti debitamente approvati, per portare l’arma che i municipi somministrano loro come guardia d’onore in occasione di feste o funzioni pubbliche.

Art. 23. — Sono tra gli strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, di cui è parola nell’art. 19 della legge, i coltelli d’ogni specie, non compresi nelle armi insidiose, con una lama eccedente in lunghezza 10 centimetri, le forbici eccedenti la lunghezza medesima, i rasoi, i punteruoli, i trincetti, le lesine, le scuri, le roncole, i potaiuoli e simili.

Art. 24. — Non possono introdursi nel Regno materie esplosive senza l’autorizzazione del ministro dell’interno, e l’osservanza delle condizioni e cautele che prescriverà.

Art. 25. — La licenza di tenere in casa polveri da sparo od altre materie esplosive, in quantità superiore a 5 chilogrammi, deve vincolarsi alla condizione che la casa sia interamente isolata e fuori del centro abitato e che non sia abitata, o lo sia solo dalla famiglia del richiedente.

Art. 26. — Nelle botteghe di rivendita di materie esplosive:

a) non si possono detenere esplodenti a base di nitro-glicerina, di picrati, di fulminati, ecc., o di composizione sconosciuta o non bene determinata;

b) negli spacci esistenti entro l’abitato l’autorità di P. S. del circondario non può concedere la licenza di tenere una quantità maggiore di cinque chilogrammi di polveri piriche ordinarie, se dette polveri siano sciolte in casse, sacchi o barili, o chiuse in cartocci o scatole di cartone e simili. Può invece autorizzarne il deposito sino alla quantità di 25 chilogrammi a sensi dello articolo 21 della legge 30 giugno 1889, n. 6144, qualora siano chiuse perfettamente in scatole metalliche o in altri recipienti egualmente atti a preservarle, a condizione però che siano custodite in locali appartati non destinati ad uso di abitazione e possibilmente suddivise in partite fra i varii ambienti dell’esercizio;

c) negli spacci isolati lontani dai centri di popolazione e non abitati, può l’autorità di P. S. del circondario concedere licenza di tenere polvere pirica ordinaria in quantità non maggiore di 20 chilogrammi, se conservata sciolta nei modi indicati nella prima parte del precedente comma, e sino a 50 chilogrammi se condizionata in scatole metalliche od in altri recipienti;

d) negli esercizi di rivendita posti entrò l’abitato, potrà essere autorizzato dall’autorità di P. S. del circondario il deposito delle cartucce cariche fino a 25 chilogrammi in peso netto di materia esplodente, e negli spacci in località isolate sino alla quantità di chilogrammi 50;

e) nessun limite di quantità è stabilito per la detenzione anche in locali di vendita non isolati di capsule, cartucce vuote con capsule e miccie, fatto obbligo però ai rivenditori, qualora nell’esercizio conservino polveri piriche od altri esplodenti, di custodire le capsule, cartucce vuote e micce in locali e ripostigli separati.

Art. 27. — La licenza di trasporto di polveri da sparo ed altre materie esplosive sulle vie ordinarie potrà vincolarsi alle condizioni che sia fatto coll’accompagnamento di uno o più agenti di pubblica sicurezza, a spese del richiedente; che non si transiti per vie abitate o che il transito si faccia a tarda notte, al passo e senza fermata; e a quelle altre che si crederanno necessarie a difesa della pubblica incolumità.

Art. 28. — Le disposizioni degli articoli 25 e 26 si applicano alla detenzione ed al trasporto di dinamite, e d’altre materie, di forza esplosiva eguale o maggiore, senza riguardo alla quantità.

Art. 29. — Le garanzie per la vita delle persone e per la proprietà che il prefetto deve imporre, a termini dell’art. 22 della legge, per accordare la licenza dell’impianto di polverifici ed opifici simili, sono principalmente:

1° Che gli edifici di fabbricazione e di deposito di polvere e materie esplosive siano a conveniente distanza dall’abitato, strade pubbliche, fiumi e canali navigabili, opifici industriali, case coloniche, cimiteri, chiese aperte al culto, e dai luoghi nei quali sogliono tenersi riunioni di persone per feste, fiere, esercizi od altre occasioni;

2° Che l’opificio sia cinto di muro o fitte siepi od altri ripari equivalenti;

3° Che il magazzino di deposito delle materie fabbricate sia a conveniente distanza dagli edifici di lavorazione;

4° Che vi siano edifici separati e a conveniente distanza l’uno dall’altro per le singole lavorazioni;

5° Che non si lavori di notte e col lume;

6° Che la polvere fabbricata sia entro 48 ore trasportata nei magazzini di deposito.

Art. 30. — Il concorso delle condizioni indicate ai numeri 1, 2, 3 e 4 e delle altre che il prefetto per circostanze speciali ritenesse necessarie, sarà verificato da una commissione tecnica, a spese del fabbricatore.

Art. 31. — Qualora il fabbricatore non adempia alle condizioni impostegli dal prefetto, oppure per mancanza di precauzioni o per aver sforzato la produzione oltre la misura consentita dai mezzi di fabbricazione, abbia dato occasione allo scoppio del polverificio o ad altro infortunio, potrà essere privato, con ordinanza del prefetto, della licenza, salva ogni responsabilità penale e civile.

Art. 32. — Le fabbriche e lavorazioni di fuochi artificiali non possono impiantarsi che in edifici isolati ed a conveniente distanza dall’abitato.

Art. 33 — In esecuzione dell’art. 23 della legge, il fabbricatore di polvere e di materie esplosive dovrà provare di avere stipulato l’assicurazione individuale o collettiva degli operai addetti al polverificio, tanto pel caso di morte che pel caso d’invalidità temporanea o permanente avvenute per infortunio sul lavoro.

L’assicurazione dovrà risultare contratta colla Cassa nazionale d’assicurazione per gli infortuni degli operai sul lavoro istituita colla legge degli 8 luglio 1883, o con una società privata legalmente riconosciuta ed esercente il medesimo ramo di assicurazione.

L’assicurazione è fatta a spese del fabbricatore.

Art. 34. — La licenza per gli spari, le esplosioni ed accensioni di cui è parola nell’art. 24 della legge, deve vincolarsi alla condizione che le relative operazioni si compiano in luogo riparato o così discosto dalla folla da rendere impossibile un infortunio, ed alla prescrizione che vi assistano agenti della forza pubblica per impedire ogni danno.

Art. 35. — Qualora per l’esecuzione degli articoli 32, 33 e 34 della legge occorra una visita sopra luogo, le spese sono a carico della parte richiedente o ricorrente.

Le visite saranno fatte da uno o tre ingegneri o periti d’incarico della Giunta, del prefetto o del Ministero, secondo la rispettiva competenza.

TITOLO II

Disposizioni relative agli spettacoli, esercizi pubblici, agenzie, mestieri girovaghi ed operai

Art. 36. — L’autorità locale di pubblica sicurezza, nel concedere le licenze di cui è parola nell’art. 37 della legge, deve vietare che si espongano oggetti offensivi del buon costume o che possano destare spavento o ribrezzo; deve curare che non si abusi dell’altrui credulità e che sia esclusa ogni possibilità di pericolo per gli spettatori specialmente nella esposizione di animali feroci.

Art. 37. — Nel concedere la licenza per corse di cavalli si prescriverà che qualora gli spettatori non siano posti al sicuro da ripari materiali, gli agenti della forza pubblica siano incaricati di tenere sgombro lo spazio destinato alla corsa.

Art. 38. — Il termine entro il quale il prefetto può proibirò una produzione teatrale, è di 48 ore dalla comunicazione fattagli secondo il disposto della prima parte dell’articolo 40 della legge, salva sempre la facoltà preveduta nel successivo art. 41.

Art. 39. — L’autorità locale di pubblica sicurezza non può dar licenza di feste pubbliche da ballo in uno degli esercizi di cui è parola nell’art. 50 della legge, senza l’assenso dell’autorità politica del circondario.

Art. 40. — Per l’applicazione dell’art. 42 della legge vi sarà in ogni comune, che abbia uno o più teatri o locali destinati ad uso di teatro, una commissione di vigilanza.

La commissione è nominata e presieduta dal prefetto nel capoluogo della provincia, dal sotto prefetto nel capo luogo del circondario, dal sindaco negli altri comuni. Ne faranno parte un ingegnere od altra persona tecnica e, possibilmente, un funzionario di pubblica sicurezza.

Art. 41. — Il progetto di un nuovo teatro o di sostanziale rinnovazione di un teatro esistente deve essere presentato al prefetto per la sua approvazione.

Il prefetto deciderà, sentita la commissione di vigilanza della quale è parola nell’articolo precedente.

Art. 42. — Tutte le uscite del teatro dovranno essere, durante la rappresentazione, intieramente libere da impedimenti e aperte, oppure chiuse in modo che ognuno possa aprirle senza difficoltà.

Art. 43. — Hanno ingresso libero ai teatri e locali di pubblico spettacolo gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza che vi sono destinati in servizio.

Art. 44. — Il prefetto e il sotto prefetto hanno diritto ad un palco.

Il palco da assegnarsi, a termini dell’art. 43 della legge, all’autorità di pubblica sicurezza è anche a disposizione dell'ufficiale dei carabinieri di servizio. In mancanza di palchi ha diritto egli pure ad un posto distinto.

Art. 45. — Il funzionario e gli agenti di pubblica sicurezza, incaricati del servizio di sorveglianza del teatro, devono verificare ripetutamente, durante la rappresentazione, la rigorosa osservanza della disposizione del precedente art. 42.

Art. 46. — Alla domanda della licenza per pubblici spettacoli di giuochi di forza, di ginnastica e di equitazione si uniranno i certificati di nascita dei minorenni che vi si producono.

Art. 47. — La domanda per la licenza di uno degli esercizi pubblici indicati all’art. 50 della legge, dev’essere corredata dei certificati necessari a provare che il richiedente non si trova in alcuna delle condizioni enumerate al successivo art. 53.

Nella domanda si indicheranno la specie e la insegna dell’esercizio, la via e la casa in cui si vuole aprire.

Art. 48. — La licenza potrà essere rifiutata qualora la località e la casa non possano essere convenientemente sorvegliate.

Art. 49. — La licenza non è necessaria al proprietario o fittaiuolo per la vendita temporanea al minuto, congiunta al consumo in sua casa, del vino ricavato dalle proprie terre. Dovrà però esserne fatta dichiarazione all’autorità locale di pubblica sicurezza.

Art. 50. — La licenza è fatta sul modello annesso al presente regolamento in allegato E.

La rinnovazione annuale della licenza si eseguirà colla vidimazione della licenza originale.

Art. 51. — Chi voglia condurre l’esercizio col mezzo d’interposta persona, deve esibire all'autorità di pubblica sicurezza del circondario i certificati necessari a provare che la persona medesima non si trova in alcuna delle condizioni indicate all’art. 53 della, legge.

Art. 52. — Perché una licenza possa servire per due o più esercizi, a termini dell’art. 51 della legge, occorre che i varii esercizi siano in essa indicati e che si paghino per ognuno le relative tasse.

Il concessionario presenterà per gli esercizi, ai quali non può assistere personalmente, altre persone che non si trovino in alcuna delle condizioni indicate all’art. 53 della legge.

Art. 53. — È necessario l’assenso dell’autorità locale di pubblica sicurezza per il trasferimento di un esercizio pubblico da una ad altra casa dello stesso comune.

Art. 54. — Gli esercenti hanno l’obbligo di tenere acceso un lume alla porta principale dello stabilimento dall’imbrunire sino alla chiusura dell’esercizio.

Art. 55. — Colla chiusura dei pubblici esercizi all’ora stabilita deve cessare ogni servizio e somministrazione agli avventori ed effettuarsi lo sgombro del locale.

Art. 56. — Alle vendite accennate al precedente art. 49 si applicano le disposizioni degli art. 56 e 57 della legge, e 54 e 55 di questo regolamento.

Art. 57. — L’orario di chiusura e d’apertura degli esercizi pubblici, in caso di disaccordo tra l’autorità di pubblica sicurezza del circondario e la giunta municipale, è fissato dal prefetto.

Art. 58. — E vietato agli esercenti pubblici di mescere vino e liquori, da consumarsi sul luogo, a persone che si trovano in manifesto stato d’ubbriachezza e ad adolescenti.

Art. 59. — La tabella di cui è parola nell’art. 56 della legge, conterrà l’enumerazione di tutti i giuochi d’azzardo conosciuti in paese e la dichiarazione che sono proibiti tutti i giuochi di azzardo di qualsiasi specie.

Art. 60. — Nella dichiarazione di chi affitta camere o appartamenti mobiliati, di cui è parola nell’art. 60 della legge, saranno indicate la via e la casa in cui trovansi le camere e gli appartamenti d’affittarsi.

Art. 61. — Il registro che gli albergatori o locandieri e tutti coloro che danno alloggio a fine di lucro, devono tenere, indicherà il nome e cognome del viaggiatore o inquilino, la paternità, il domicilio, l’età, la professione, la data dell’arrivo e della partenza, la provenienza.

Il registro è in carta da bollo conformemente al prescritto delle leggi, e dev’essere vidimato ad ogni pagina dall’autorità locale di pubblica sicurezza. A semplice richiesta dovrà essere esibito agli ufficiali od agenti di pubblica sicurezza.

Le medesime indicazioni saranno inserite nell'elenco, che ai termini dell’art. 61 della legge, deve essere presentato all’ufficio locale di pubblica sicurezza

Art. 62. — Occorre la licenza di cui è parola nell’art. 50 della legge, per i luoghi di stallaggio che servono anche al ricovero dei carrettieri, vetturali, mulattieri e simili.

Art. 63. — La domanda della licenza di aprire ed esercitare un’agenzia di prestiti sopra pegno sarà accompagnata dal certificato penale, dal certificato di buona condotta del richiedente e, agli effetti della concessione della licenza, da una dichiarazione della competente autorità attestante la sua capacità di obbligarsi.

Saranno indicate nella domanda la via e la casa ove vuoisi aprire l’agenzia, e la misura degli interessi che l’agente intende di applicare sui prestiti sopra pegno.

Art. 64. — La cauzione dell’agente sta a rispondere, oltreché di tutte le sue obbligazioni inerenti all’esercizio, anche della osservanza delle condizioni indicate nell’atto di licenza.

Art. 65. — l'autorità di pubblica sicurezza del circondario ordinerà lo svincolo e la restituzione della cauzione, quando, cessate le operazioni di agenzia, l’agente proverà di non avere affari pendenti per effetto delle medesime, ed in ogni caso non mai prima di tre mesi dalla cessazione di esse.

Art. 66. — Le agenzie non possono impegnare gli effetti, ricevuti in pegno, presso i monti di pietà né fare altre operazioni di soppegno.

Art. 67. — Gli oggetti ricevuti in pegno devono essere assicurati contro l’incendio per una somma complessiva fissata di anno in anno dall'autorità di pubblica sicurezza del circondario, sentita la camera di commercio.

Art. 68. — Per esercitare un’agenzia a mezzo d’interposta persona è richiesto il consenso scritto dell’autorità di pubblica sicurezza del circondario.

Art. 69. — La rinnovazione annuale della licenza si fa mediante la vidimazione della licenza originale.

Art. 70. — E vietato agli agenti di accettare pegni da persone d’età minore o in istato di ebrietà, e da persone evidentemente o notoriamente prive di discernimento.

Art. 71. — L’agente è tenuto a comunicare giornalmente in carta libera all’autorità di pubblica sicurezza una nota delle operazioni di pegno fatte nella giornata.

Art. 72. — Qualora vi sia fondata ragione a credere che un oggetto presentato per un’operazione di pegno sia di provenienza furtiva, l'agente è tenuto a darne avviso all'autorità di pubblica sicurezza senza indugio.

Art. 73 — Alla dichiarazione per l’apertura ed esercizio di altra agenzia pubblica o ufficio pubblico di affari saranno unite le indicazioni della natura degli affari, a cui si vuol attendere, della tariffa delle operazioni, della via e casa ove si vuol aprire l’esercizio.

Art. 74. — Il registro che le agenzie di prestiti sopra pegno devono tenere, a termini dell'articolo 70 della legge, è a madre e figlia, stampato e deve contenere:

a) il nome e cognome e domicilio di chi dà il pegno;

b) la data dell’operazione; c) la descrizione esatta degli oggetti ricevuti in pegno;

d) il loro valore approssimativo;

e) l’importo e la durata del prestito;

f) l’interesse da corrispondersi;

g) la data della pignorazione;

h) la data della vendita del pegno;

i) la somma ricavatane.

La figlia o cartella che si rilascia all'interessato, porterà la firma dell’agente e sarà la riproduzione esatta delle annotazioni della madre dalla lettera a alla lettera g inclusivamente.

Art. 75. — Il registro delle altre agenzie pubbliche o uffici pubblici di affari indicherà di seguito e senza spazi in bianco il nome e cognome e domicilio del committente, la data e la natura della commissione, il premio pattuito, esatto o dovuto e l’esito dell’operazione.

Art. 76. — I registri indicati nei due articoli precedenti sono bollati e vidimati in ogni pagina dall’autorità di pubblica sicurezza del circondario e debbono esibirsi ai funzionari di pubblica sicurezza, a loro richiesta.

Art. 77 — La disposizione dell’art. 72 della legge non è applicabile alle bande musicali di associazioni ancorché si prestino a suonare per mercede in occasione di feste, anniversari, inaugurazioni ed altre solennità.

Queste bande però non possono suonare sulle vie o piazze pubbliche, se non previo avviso all’autorità di pubblica sicurezza la quale potrà vietarlo per riconosciute ragioni d’ordine pubblico.

Art. 78 — Il certificato d’iscrizione per il mestiere di guida non sarà rilasciato che a persone non pregiudicate, e riconosciute atte, sul parere di corpi e persone competenti, ad esercitarlo utilmente.

Art. 79. — È vietato agli albergatori od esercenti pubblici di suggerire, raccomandare o presentare ai viaggiatori, come guida alpina, una persona che non sia inscritta e riconosciuta atta, a termini del precedente articolo.

Art. 80. — Il registro giornale di chi fa commercio di cose preziose o di cose usate, a termini dell’art. 77 della legge, indicherà di seguito e senza spazi in bianco il nome, cognome e domicilio dei venditori e dei compratori, la data dell’operazione, la specie della merce ed il prezzo pattuito.

Si applicano a questo registro le disposizioni del precedente art. 76.

Art. 81. — Il libretto degli operai e domestici di cui è parola nell’art. 78 della legge, è tascabile e legato in pelle.

Nella prima pagina sono indicati l'ufficio che lo rilascia, la data, il nome, cognome, paternità, domicilio, età, stato civile, professione o mestiere e segni personali del titolare; vi saranno la sua firma o il segno di croce, se illetterato, la firma del funzionario che lo rilascia e il bollo d’ufficio.

Le pagine saranno numerate e firmate dal funzionario medesimo.

Il libretto si rilascia al solo prezzo di costo.


TITOLO III

Disposizioni relative alle classi pericolose alla società

Art. 82. — Chi domanda di fare una questua o colletta, a termini dell’art. 84 della legge, deve indicare le persone che avranno l’incarico di eseguirla.

L’autorità di pubblica sicurezza del circondario, ove nulla osti, rilascerà alle medesime una carta di riconoscimento.

In nessun caso le questue o collette possono farsi per mezzo di persone d’età minore o in tempo di notte per le vie pubbliche.

Art. 83. — Il passaporto per l’interno è fatto sul modello annesso in all. F.

Non può essere accordato, senza autorizzazione del prefetto, agli ammoniti ed ai condannati alla speciale sorveglianza dell’autorità di pubblica sicurezza.

Art. 84. — Il rimpatrio obbligatorio, a termini dell’art. 85 della legge, è fatto, se il rimpatriando è privo di mezzi, a spese dello Stato.

L’autorità di pubblica sicurezza non può disporre il rimpatrio obbligatorio a spese dello Stato se non per motivi d’ordine, di sicurezza o di moralità.

Il foglio di via obbligatorio è fatto sul modello annesso in all. G.

Art. 85 — Il viaggio gratuito per gli indigenti non può essere accordato in massima che a fin di rimpatrio.

Fuori dei casi accennati nell’articolo precedente e quando non trattisi d’indigenti provenienti dall’estero con trasporto pagato dai regi consoli o da società di beneficenza o dimessi dagli spedali, l’autorità di pubblica sicurezza dovrà chiedere l’autorizzazione del Ministero dell’interno.

Il foglio di via per il viaggio gratuito è fatto sul modello annesso in all. L..

Art. 86. — Qualora sia da far rimpatriare un liberato dal carcere, condannato alla sorveglianza speciale dell’autorità di pubblica sicurezza, e vi sia fondata ragione a temere che possa rendersi latitante, il Ministero dell’interno potrà ordinare il suo rimpatrio per traduzione.

Art. 87. — Nel caso preveduto all’art. 90 della legge il prefetto della provincia nella quale ha luogo la liberazione di uno straniero condannato per delitto emetterà il decreto di espulsione che sottoporrà al ministro dell’interno.

Qualora il prefetto credesse conveniente di non ordinare la espulsione o si trattasse di stranieri compromessi verso il proprio Stato per affari politici, per renitenza alla leva, per diserzione, o per reati per i quali vi fosse domanda di estradizione, ne riferirà al ministro dell’interno.

Art. 88. — In caso di arresto o di spontanea presentazione di uno straniero, l’ufficio di pubblica sicurezza, interrogatolo sull’essere suo, sulla sua provenienza e sui motivi del suo espatrio, ne riferirà subito, anche ove occorra rimetterlo all’autorità giudiziaria per qualche reato, al ministro dell’interno.

Art. 89. — Nel decreto di espulsione saranno ricordate le disposizioni dell’art. 91 della legge.

Art. 90. — Occorrendo di far rimpatriare uno straniero, a carico del quale non si abbiano gli estremi per la espulsione, l’autorità di P. S. ne renderà avvertito il rispettivo console per i suoi provvedimenti o, trattandosi di cittadino di uno Stato limitrofo, lo manderà al confine con foglio di via obbligatorio.

Art. 91. — La ordinanza di non farsi luogo a procedimento penale per insufficienza di prove concorre a stabilire la diffamazione, a termini dell’articolo 95 della legge, solo nel caso che sia stata emessa in camera di consiglio.

Art. 92. — La cancelleria del tribunale nel giorno dopo la scadenza del termine stabilito nell'articolo 107 della legge, ed, in caso di ricorso, nel giorno seguente a quello in cui le fu comunicato il rigetto del medesimo, trasmetterà una copia autentica dell’ordinanza di ammonizione all’ufficio circondariale di pubblica sicurezza da cui fu fatta la proposta.

Questo ufficio darà comunicazione della ordinanza medesima all’ufficio provinciale di pubblica sicurezza, al comando locale dell’arma dei reali carabinieri ed ' al sindaco del comune.

Art. 93. — In ogni ufficio di pubblica sicurezza così provinciale e circondariale come nelle sezioni di questura, sono tenuti un registro nominativo ed i fascicoli riguardanti i singoli ammoniti, sorvegliati speciali e altri pregiudicati che hanno domicilio nella rispettiva circoscrizione, nelle forme che saranno stabilite con istruzioni ministeriali.

In ogni fascicolo individuale sarà tenuta una cartella biografica in cui sono riassunti tutti i precedenti, le imputazioni e le condanne del pregiudicato.

Dei pregiudicati, minori degli anni 18, dei quali è parola negli art. 113 e seg. della legge, è tenuto un registro nominativo separato.

Art. 94. — L’ammonito che vorrà cambiare dimora dovrà darne avviso, a termini degli art. 103 e 104 della legge, all’autorità locale di pubblica sicurezza, indicandone i 'motivi.

L’autorità locale rilascerà all’ammonito una carta di riconoscimento e, quando lo creda opportuno, un foglio di via obbligatorio sotto l’osservanza delle disposizioni dell’art. 93 della legge. Contemporaneamente segnalerà il cambiamento di dimora all’autorità di pubblica sicurezza della provincia e a quella del luogo al quale l’ammonito è diretto.

Art. 95. — L’autorità competente ad assegnare ai pregiudicati minori di anni 18 l'istituto d’emenda, a determinare la retta o la parte della retta a cui sono tenuti i parenti o i pregiudicati stessi ed a fare al presidente del tribunale la proposta per la liberazione di essi dall’istituto, a termini dei citati articoli 113 e seguenti della legge, è la direzione generale delle carceri.

Art. 96. — La carta di permanenza di cui è parola nell’art. 117 della legge, avrà la forma di un libretto tascabile e sarà legata in pelle.

Art. 97. — Il cambiamento della dimora di una persona sottoposta alla sorveglianza speciale della pubblica sicurezza si fa con foglio di via obbligatoria, sotto l’osservanza delle disposizioni dell’art. 93 della legge.

Art. 98. — L’autorità di pubblica sicurezza potrà vietare, a termini dell'art. 28 del codice penale, al condannato alla vigilanza speciale la residenza in luoghi determinati, a fine di tenerlo lontano, durante il tempo della vigilanza, dal luogo del commesso reato, dai danneggiati e dai loro congiunti, dai suoi complici e soci, dai testimoni che hanno deposto a suo carico e in generale da quelle località nelle quali può essere di serio pericolo alla sicurezza altrui od all’ordine pubblico.

Art. 99. — Nel prescrivere al condannato che ha ottenuto la libertà condizionale, a termini nell’articolo 16 del cod. pen., le condizioni di cui è parola nel successivo art. 17, l’autorità di pubblica sicurezza si atterrà a quanto è determinato nel decreto di ammissione.

Art. 100. — In caso d’inadempimento delle condizioni a lui imposte, l’autorità di pubblica sicurezza ne riferirà al procuratore generale presso la Corte d’appello agli effetti dell’art. 17 del cod. pen. indicando quale condizione non abbia osservato e come sia avvenuta la inosservanza.

Art. 101. — Per la validità delle deliberazioni della commissione provinciale di cui è parola nell’articolo 125, e della commissione centrale di cui è parola nell’art. 127 della legge, occorre la presenza di tutti i componenti, rappresentati, al bisogno, dai funzionari che li sostituiscono in ufficio.

I componenti della commissione centrale, che non ne fanno parte di diritto per ragione d’ufficio, sono nominati o confermati annualmente dal ministro dell’interno, che provvederà a surrogarli in caso d’impedimento.

Art. 102. — Ogni coatto valido è obbligato al lavoro.

La mercede è devoluta per intiero a suo beneficio.

Art. 103 — Nel caso previsto al capo verso dell’articolo 128 della legge, sarà provveduto momentaneamente all’alloggio ed al vitto del coatto secondo gli ordinamenti carcerari.

Non cessa però l’obbligo del direttore della colonia o dell’ufficio di pubblica sicurezza del luogo assegnato al coatto di tenerlo occupato nel modo che sarà possibile.

Art. 104. — Le infrazioni di disciplina dei coatti, tra le quali è compreso il rifiuto di lavorare, sono represse dal direttore della colonia o dall’ufficiale di pubblica sicurezza del luogo, a norma dell’art. 223 e seguenti del regolamento per le carceri giudiziarie approvato col regio decreto 27 gennaio 1861.

Art. 105. — Il direttore della colonia dovrà tenere un registro nominativo ed i fascicoli risguardanti i singoli coatti.

Nel registro nominativo sono notati il nome e cognome del coatto, la data del decreto di assegnazione, la durata del domicilio coatto, la data dalla quale incomincia e la data nella quale deve finire.

Ogni fascicolo individuale conterrà una cartella biografica nella quale si annoteranno, oltre le condanne ed i pregiudizi incorsi prima dell’assegnazione, anche le condanne, pregiudizi e infrazioni disciplinari di ogni singolo coatto durante la sua dimora alla colonia.

Art. 106. — Il proscioglimento condizionato di cui è parola nell’articolo 129 della legge, sarà ordinato sulla proposta del prefetto della provincia nella quale è situata la colonia, e sentito il prefetto di quella in cui il coatto riprenderà l'ordinario domicilio.

Art. 107. — Decorso il periodo del domicilio coatto, il direttore della colonia farà rimpatriare il coatto con foglio di via obbligatorio, previo avviso al prefetto che ne avvertirà il Ministero dell’interno ed il prefetto della provincia nella quale il coatto ha domicilio.

Art. 108 — Il ritardo del direttore della colonia a liberare, a compiuto periodo, un coatto, è punito con pene disciplinari salve le sanzioni del codice penale.


TITOLO IV

Disposizioni relative al servizio di anagrafe statistica

Art. 109. — Nei comuni ove sia istituito il servizio di anagrafe statistica, di cui è parola nell’articolo 141 della legge, chiunque per qualsiasi titolo si trovi investito della proprietà o della amministrazione di case, dovrà entro un mese dalla pubblicazione del presente regolamento dichiarare all'ufficio di pubblica sicurezza a quali persone abbia affittato o, a qualsiasi titolo, concesso l’uso dei locali dello stabile.

Notificherà successivamente tutti i cambiamenti che sopraggiungessero, indicando il capo di famiglia che esce e quello che entra, nel termine di giorni cinque dall’avvenuto cambiamento.

Lo stesso obbligo spetta a coloro che prendendo in affitto a loro nome appartamenti o locali, li subaffittino ad altri.

Art. 110. — Entro gli stessi termini ogni capo di famiglia deve pure indicarne tutti i componenti e successivamente notificare i cambiamenti che accadono nella composizione di essa, specificando il nome, cognome e le altre qualifiche delle persone che entrano a farne parte e di quelle che ne escono.

Quando il capo di famiglia subaffittasse ad altri una parte del suo appartamento, dovrà indicare il nome e cognome delle persone cui subaffitta e i cambiamenti successivi.

Art. 111. — Sono pure obbligati alla denuncia delle persone che accolgono nei loro stabilimenti o che ne escono, coloro che sono preposti alla direzione di convitti od ospizi d’ogni genere, sì pubblici che privati.

Art. 112. — Chi ha l’obbligo delle dichiarazioni, di cui sopra, sarà anche tenuto a fornire sulle medesime tutti gli schiarimenti che gli saranno domandati dall’ufficio di pubblica sicurezza.

Art. 113. — Le dichiarazioni di cui è parola negli articoli precedenti, debbono farsi direttamente all’ufficio di pubblica sicurezza locale, sopra stampati che saranno forniti dall’ufficio stesso.

TITOLO V

Disposizioni generali

Art. 114. — Tutte le licenze, permessi, rinnovazioni, vidimazioni ed atti d’assenso, preveduti nella legge e richiesti per la sua esecuzione, devono rilasciarsi per iscritto, osservata la legge sul bollo.

Art. 115. — Le contravvenzioni alle disposizioni del presente regolamento sono punite, a termini dell’art. 138 della legge, coll’ammenda sino a lire cinquanta o coll’arresto sino a dieci giorni.

Visto d'ordine di S. M.

Il ministro dell’interno

F. CRISPI.


ALLEGATI

ALLEGATI - Dottor Arnaldo Cobelli - La legge di Pubblica Sicurezza
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LEGGE 21 DICEMBRE 1890, N. 7321 (Serie 3)

che regola il servizio e le attribuzioni degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza

Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato;

Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:

CAPO I

Degli uffici e degli ufficiali di pubblica sicurezza

Art. 1. — Il servizio di pubblica sicurezza dipende dal ministro dell'interno, e subordinatamente dai prefetti e dai sottoprefetti, ed è eseguito sotto la loro direzione dagli ufficiali e dagli agenti di pubblica sicurezza..

Art. 2. — Sono ufficiali di pubblica sicurezza i questori, gli ispettori, i vice ispettori e i delegati.

Gli ufficiali di pubblica sicurezza, eccettuati i questori, sono ufficiali di polizia giudiziaria.

Art. 3. — Nelle città capoluogo di provincia è stabilito, alla dipendenza del prefetto, un ufficio provinciale di pubblica sicurezza.

Nelle città capoluogo di circondario è stabilito, alla dipendenza del sottoprefetto, un ufficio circondariale di pubblica sicurezza.

Il ministro dell’interno può stabilire uffici distaccati di pubblica sicurezza in altri comuni secondo il bisogno.

Art. 4. — Nelle città capoluogo di provincia, con una popolazione superiore a 100 mila abitanti, all’ufficio provinciale potrà essere preposto un questore.

Il questore nel circondario di sua residenza ha tutte le attribuzioni di pubblica sicurezza spettanti al sottoprefetto e può avere alla sua dipendenza uffici di sezione.

Nelle altre città capoluogo di provincia, all’ufficio è preposto un ispettore.

Art. 5. — Gli uffici provinciali e circondariali di pubblica sicurezza fanno parte degli uffici di prefettura e sottoprefettura.

Le spese di affitto per i locali degli uffici provinciali e circondariali di pubblica sicurezza sono a carico della provincia.

Art. 6. — Nei comuni ove non sia un ufficiale di pubblica sicurezza, il sindaco, o chi ne fa le veci, ne esercita le funzioni sotto la direzione e la dipendenza del prefetto, del sottoprefetto o del questore.

Art. 7. — In caso di urgenza i prefetti, i sottoprefetti e i questori possono ordinare la esecuzione delle loro ordinanze anco fuori della rispettiva circoscrizione, per mezzo di qualsiasi ufficiale o agente di pubblica sicurezza da essi dipendente, purché ne diano preventivo o contemporaneo avviso all'autorità politica della circoscrizione in cui il servizio deve essere eseguito.

Art. 8. — Sono stabiliti con decreto reale la pianta organica e gli stipendi degli ufficiali di pubblica sicurezza.

Le nomine e le promozioni sono fatte dal Re su proposta del ministro dell'interno (1).

Art. 9. — Per essere ammesso al concorso per la nomina ad ufficiale nell’amministrazione di pubblica sicurezza, occorre provare:

a) di essere cittadino italiano;

b) di avere compiuto gli anni 20 e di non aver superato i 30;

c) di avere soddisfatto all’obbligo della leva, ovvero far risultare di aver chiesta l’iscrizione sulla lista di leva, qualora la classe a cui appartiene non fosse ancora chiamata;

d) di aver sempre tenuto regolare condotta e di non aver subito condanne per delitti;

e) di essere dotato di costituzione robusta e di essere esente da difetti o da imperfezioni fisiche;

f) di avere conseguito:

per gli aspiranti al posto di vice ispettori la laurea in giurisprudenza in una università del Regno;

per gli aspiranti al posto di delegato, la licenza di liceo o di istituto tecnico, oppure il certificato di avere compiuto in uno dei collegi od accademie militari i corsi prescritti per la promozione ad ufficiale o ad un grado equivalente nell’esercito o nell’armata. Solo nel caso in cui manchino gli aspiranti forniti di tali requisiti, potrà il Ministero ammettere al concorso anche quelli che abbiano conseguito soltanto la licenza di ginnasio o di scuola tecnica.

Superato l'esame di concorso, e fatti, qualora il Ministero creda che debbano aver luogo, il tirocinio e l’esame pratico, gli aspiranti potranno conseguire la nomina al posto effettivo retribuito con stipendio.

Con regolamento, da approvarsi con decreto reale, saranno stabilite le norme per gli esami e per il tirocinio, nonché quelle per le promozioni e per la disciplina degli ufficiali di pubblica sicurezza.

L’esame pratico e il tirocinio sono sempre richiesti quando siano ammessi al concorso ai posti di delegato gli aspiranti con la licenza di ginnasio o di scuola tecnica.

Art. 10. — Un consiglio di amministrazione e disciplina, sedente presso il Ministero dell’interno, è chiamato a dare parere sulle ammissioni, sulle promozioni e sulle punizioni degli ufficiali di pubblica sicurezza, nei casi determinati dalla presente legge.

Il consiglio è composto del sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno, che lo presiede, del direttore generale della pubblica sicurezza del Regno, di un consigliere della corte dei conti, di un consigliere della corte di appello di Roma, di un sostituto procuratore generale presso la stessa corte e di due capi di divisione del Ministero dell’interno scelti dal ministro.

Art. 11. (2) — Possono essere ammessi nel personale degli ufficiali di pubblica sicurezza; ove abbiano i requisiti che saranno stabiliti nel regolamento, e previo parere del consiglio di amministrazione e di disciplina, gli ufficiali ed i marescialli dell'arma dei reali carabinieri, gli ufficiali degli altri corpi dell’esercito e dell’armata e i graduati delle guardie di città.

Art. 12. Senza pregiudizio dell’azione penale, e indipendentemente dall’esito della medesima, le punizioni disciplinari si applicano all’ufficiale di pubblica sicurezza che:

1.° rifiuti od ometta volontariamente di compiere o non compia con diligenza i suoi doveri di servizio;

2.° riceva sotto qualunque forma, denominazione o pretesto, per sé o per altri, in danaro o in altra utilità, per eseguire, omettere o ritardare un atto di servizio, una retribuzione-che non gli è dovuta o ne accetti la promessa;

3.° rilasci certificati non conformi al vero sulla condotta, sui precedenti, sulle condizioni economiche e sulle qualità morali di taluno, ovvero alteri la verità nel rilascio di passaporti, fogli di via, licenze, certificati od altri documenti.

4.° conceda, fuori dei casi previsti dalle leggi e dai regolamenti, licenze, passaporti, fogli di via, certificati od altri documenti, massime a persone sconosciute e senza l’osservanza delle cautele necessarie;

5.° accetti e ritenga indebitamente pagamenti di tasse e bolli per licenze, passaporti ed altri documenti, o domandi o riceva, per sé o per altri qualsivoglia prestazione od utilità per la concessione o per la consegna dei medesimi ovvero ne accetti la promessa;

6.° conceda richieste per trasporti gratuiti o la relativa indennità a persone non indigenti o fuori dei casi previsti dalla legge o dai regolamenti, o senza le condizioni nei medesimi stabilite;

7.° rechi offesa all’altrui libertà personale;

8.° comprometta con fatti gravi la propria reputazione o il decoro dell’ufficio.

Art. 13. — Le punizioni disciplinari sono le seguenti:

La censura;

La sospensione dall’ufficio e dallo stipendio;

La rivocazione dall’impiego;

La destituzione.

La censura e la sospensione sono pronunziate dal prefetto, il quale deve riferirne immediatamente al ministro dell’interno.

La sospensione oltre un mese, la revocazione dall’impiego e la destituzione sono pronunziate dal ministro sentito il parere del consiglio di amministrazione e di disciplina.

La sospensione non può eccedere il termine di tre mesi, a meno che il funzionario non siavi incorso per effetto di un procedimento penale: nel qual caso cessa con questo.

Nessuna punizione disciplinare può essere inflitta, se prima l’ufficiale non sia stato chiamato a discolparsi.

Art. 14. — Nell’atto dell’ammissione in servizio gli ufficiali di pubblica sicurezza prestano giuramento innanzi al prefetto.

Art. 15. — Gli ufficiali di pubblica sicurezza si considerano permanentemente in funzione e sono

esenti dal servizio di giurato e da qualunque altro servizio obbligatorio estraneo alle loro funzioni.

Art. 16. — Gli ufficiali di pubblica sicurezza che avranno raggiunto l’età di anni 60 e compiuti 25 anni di servizio, possono essere collocati a riposo di ufficio.

CAPO II

Degli agenti di pubblica sicurezza

Art. 17. — Sono agenti di pubblica sicurezza in servizio permanente i carabinieri reali e le guardie, di città.

Art. 18. — Sono pure agenti di pubblica sicurezza le guardie di finanza e forestali, le guardie carcerarie nonché le guardie campestri, daziarie, boschive ed altre dei comuni, costituite in forza di regolamenti, deliberati ed approvati nelle forme di legge e riconosciute dal prefetto.

Art. 19. — Le guardie di città hanno il servizio esecutivo della polizia amministrativa e della giudiziaria.

Qualora per gravi motivi d’ordine pubblico il ministro dell’interno creda di sopprimere o di non permettere l’istituzione di guardie municipali in uno o più comuni, la polizia municipale sarà pure affidata alle guardie di città con quelle norme che saranno stabilite in un decreto reale.

I sindaci, previa deliberazione del consiglio comunale, potranno chiedere che la polizia municipale sia data alle guardie di città. In questo caso sarà provveduto con decreto reale.

Art. 20. (1) — Le guardie di città sono nominate dal prefetto, previa deliberazione di un consiglio d’arruolamento composto del prefetto, presidente, del procuratore del Re, del capo dell’ufficio locale di pubblica sicurezza, del comandante dei carabinieri nella provincia e di un ufficiale di pubblica sicurezza, come segretario, con l’assistenza di un medico militare.

Nelle deliberazioni in caso di parità prevale il voto del presidente.

Verificandosi le condizioni di che al 2° e 3° capoverso dell’art. 19, farà parte del consiglio di arruolamento anche il sindaco.

Art. 21. — In Roma avrà sede, alla dipendenza del Ministero dell'interno, una scuola per l’istruzione delle guardie di città, con le norme da stabilirsi mediante speciale regolamento.

La scuola avrà pure una sezione di allievi guardie.

Art. 22. — Le promozioni nel corpo delle guardie di città sono fatte per decreto ministeriale, secondo le norme da stabilirsi con regolamento.

Art. 23. — Saranno pure con regolamento determinate la durata della ferma di servizio, la disciplina, la divisa e l’armamento delle guardie di città.

Art. 24. — Le guardie di città saranno reclutate a preferenza fra i carabinieri, i soldati di prima categoria in congedo illimitato, e gl'inscritti di seconda categoria che abbiano già avuto l’istruzione militare, il servizio sarà calcolato come prestato sotto le bandiere; e finché restano nel corpo saranno dispensate dal rispondere all’appello ove fossero chiamate sotto le armi le classi alle quali esse appartengono.

Art. 25. (1) — Le infrazioni alla disciplina e le mancanze al servizio delle guardie di città sono punite nei casi e nei modi stabiliti dal regolamento:

1° con l’ammonizione;

2° con la sospensione della paga fino a tre mesi;

3° con l’arresto in camera di disciplina fino ad un mese;

4° con la retrocessione dal grado;

5° con il licenziamento;

6° con l’espulsione dal corpo.

Art. 26. — In ogni capoluogo di provincia ha sede un consiglio di disciplina composto del prefetto, presidente, del procuratore del Re, del capo dell’ufficio locale di pubblica sicurezza, del comandante dei carabinieri nella provincia e di un ufficiale di pubblica sicurezza come segretario.

In caso di parità prevale il voto del presidente.

Verificandosi le condizioni di che al 2° e 3° capoverso dell’art. 19, farà parte del consiglio di disciplina anche il sindaco.

Art. 27. (2) — Sono sottoposte alle deliberazioni del consiglio di disciplina tutte le infrazioni e mancanze alle quali sono applicabili le pene di che ai nn. 3, 4, 5 e 6 dell’art. 25. H consiglio pronunzia sentito l’imputato nelle sue discolpe, e le deliberazioni sono sottoposte all’approvazione del Ministero dell'interno.

Le pene dell'ammonizione e della sospensione dalla paga sono inflitte dal prefetto.

Art. 28. (1) — Sono punite con l’arresto in camera di disciplina da 30 a 60 giorni, che potrà essere seguito dalla espulsione dal corpo e dalla perdita dei diritti alla paga non ancora scaduta, al fondo di massa ed altri diritti inerenti alla condizione di guardia, la diserzione o l’abbandono del servizio e, ove non costituisca un reato preveduto dal codice penale, la grave insubordinazione al superiore.

Art. 29. —: Con decreto reale saranno stabiliti la pianta organica delle guardie di città per ogni comune in cui sieno istituite, i gradi e le paghe delle guardie stesse.

Nei casi previsti nel 2° e 3° capoverso dell’art. 19, prima che sia emanato il decreto reale di che sopra, dovrà esser sentito il consiglio comunale.

Art. 30. — Nei casi contemplati nel 2° e 3° capoverso dell’art. 19, il comune contribuisce al mantenimento delle guardie di città, pagando allo Stato la media della somma spesa nell’ultimo triennio per le paghe ed indennità delle guardie municipali.

Sono a carico del comune le spese per le caserme e per l’accasermamento.

Art. 31. (2) — Le guardie di città sono dirette e comandate nel servizio, sotto la dipendenza dell’autorità politica, dagli ufficiali di pubblica sicurezza.

Art. 32. — Nei comuni dove il servizio di polizia municipale è affidato alle guardie di città, il sindaco darà all’ufficio di pubblica sicurezza le occorrenti istruzioni, nella forma che sarà determinata dal regolamento, per l’esercizio e la sorveglianza della polizia municipale.

Un ufficiale di pubblica sicurezza sarà a disposizione del sindaco per riceverne gli ordini e le istruzioni.

Il prefetto, d’accordo col sindaco, determinerà quante guardie siano da mettersi a permanente disposizione del municipio per la esecuzione dei provvedimenti straordinari relativi all’igiene, all’edilizia e alla polizia locale.

Art. 33. — Nei limiti della pianta stabilita per ogni comune ai termini dell’art. 29, il Ministero dell’interno è autorizzato a nominare quel numero di agenti d’investigazione che reputerà necessario per il servizio di scoperta dei reati e per la ricerca dei delinquenti.

Art. 34. — Le guardie di città e i loro graduati, in occasione di collocamento a riposo, liquideranno la pensione in ragione di un quarto della paga per 15 anni di servizio, di un tèrzo per 20, della metà per 25 e di quattro quinti per 30 anni o più di servizio.

I diritti a pensione delle guardie e delle loro famiglie, per malattie, ferite o morte a causa di servizio, saranno liquidati con le norme e nelle misure stabilite per l’esercito (3).


CAPO III

Attribuzioni degli ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza

Art. 35. — Gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza vegliano al mantenimento dell'ordine pubblico, alla incolumità e alla tutela delle persone e delle proprietà, e, in genere, alla prevenzione dei reati; raccolgono le prove di questi e procedono alla, scoperta, e in ordine alle disposizioni della legge all’arresto dei delinquenti; curano l’osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle provincie e dei comuni, come pure delle ordinanze delle pubbliche autorità; prestano soccorso in caso di pubblici e privati infortuni.

Art. 36. — Gli ufficiali di pubblica sicurezza prestano la loro opera a richiesta delle parti per comporre privati dissidi.

Qualora lo credano necessario possono distendere verbale delle seguite conciliazioni e dei patti relativi. Questi verbali, firmati da loro, dalle parti e da due testimoni, potranno essere prodotti e faranno fede in giudizio, avendo valore di scritture private riconosciute. Se le parti non possono sottoscrivere, se ne farà menzione.

Art. 37. — Gli agenti di pubblica sicurezza debbono informare prontamente, per iscritto, gli ufficiali di pubblica sicurezza nella cui circoscrizione si trovano, di ogni reato e di ogni avvenimento importante che accada nei luoghi dove prestano servizio.

Nei casi urgenti le informazioni potranno essere date verbalmente, tenuto fermo l’obbligo di riferirle successivamente per iscritto, con ispeciale rapporto, ed anche osservate le prescrizioni del codice di procedura penale.

Art. 38. — Gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza dovranno distender verbale o fare rapporto di quanto hanno eseguito o potuto osservare in servizio.

Art. 39. — Gli ufficiali di pubblica sicurezza daranno gli ordini e faranno le intimazioni in nome della legge; in questi casi dovranno porsi ad armacollo la sciarpa tricolore.

Art. 40. — Gli ufficiali incaricati della esecuzione dei servizi di pubblica sicurezza potranno richiedere la forza armata, quando siano insufficienti o non disponibili i reali carabinieri e gli agenti di pubblica sicurezza.

Art. 41. — La forza armata rimane sotto il comando dei suoi capi militari che nella esecuzione del servizio per cui furono richiesti sono a disposizione degli ufficiali di pubblica sicurezza ai quali ne spetta per intero la responsabilità.

Art. 42. — La forza armata quando interviene sul luogo di un reato è specialmente incaricata, salvo i soccorsi che siano necessari, di impedire che sino all’arrivo dell’autorità competente venga alterato lo stato delle cose.

Art. 43. — Procedendosi ad un arresto, la persona arrestata è presentata all’autorità che ha emesso il mandato di cattura, ovvero all’ufficio di pubblica sicurezza.

Riconosciuta la regolarità dell’arresto, l’arrestato dovrà, entro 24 ore, esser rimesso all’autorità giudiziaria.


CAPO IV

Disposizioni generali e transitorie

Art. 44. — Il ministro dell'interno, di accordo con. gli altri ministri competenti, può con suo decreto attribuire la qualità di agente di pubblica sicurezza alle guardie telegrafiche e di strade ferrate ed ai cantonieri, purché posseggano i requisiti determinati dal regolamento e prestino giuramento innanzi al pretore; come pure ad altri agenti destinati dal Governo all’esecuzione ed all’osservanza di speciali leggi e regolamenti dello Stato.

Art. 45. — I comuni, i corpi morali e i privati possono destinare guardie particolari alla custodia delle loro proprietà.

Le guardie particolari devono possedere i requisiti determinati dal regolamento, essere approvate dal prefetto e prestare giuramento innanzi al pretore.

I loro verbali, nei limiti del servizio cui sono destinate, faranno fede in giudizio sino a prova contraria.

Art. 46. — Ove la sicurezza pubblica sia gravemente minacciata o turbata in una o più località del Regno e siano insufficienti al bisogno i reali carabinieri in servizio attivo e le guardie di città, il Ministero della guerra, sulla richiesta di quello dell'interno, potrà, valendosi della facoltà stabilita dall’articolo 121 del testo unico della legge 17 agosto 1882 sul reclutamento dell’esercito, chiamare sotto le armi, per la durata dello straordinario bisogno, quel numero di carabinieri in congedo illimitato, che si crederà necessario. La spesa relativa sarà a carico del bilancio del Ministero dell'interno (1).

Art. 47. — Nulla è innovato nell’organamento, nelle attribuzioni e nella disciplina dell’arma dei reali carabinieri.

Art. 48. — Gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza non possono esercitare qualsiasi altro ufficio pubblico, professione, arte o mestiere, né possono assumere le qualità di amministratori, consiglieri di amministrazione, commissari di vigilanza od altro ufficio nelle società costituite a fine di lucro.

Art. 49. — Le guardie di pubblica sicurezza a piedi entreranno nel corpo delle guardie di città mantenendo gli obblighi di ferma a cui sono vincolate.

Nei casi previsti dall’art. 19 le guardie municipali che abbiano i requisiti necessari saranno ammesse nel corpo delle guardie di città.

Art. 50. — I comandanti delle guardie di pubblica sicurezza e delle guardie municipali che avranno i requisiti determinati dal regolamento, potranno, sentito il parere del consiglio di amministrazione e disciplina, essere ammessi nel personale degli ufficiali di pubblica sicurezza.

Art. 51. — Nei casi previsti nel 2° e 3° capoverso dell’art. 19 le guardie municipali che siano state ammesse nel corpo delle guardie di città e abbiano diritto a pensione a carico del comune, liquideranno in occasione del loro collocamento a riposo la pensione ai termini della presente legge.

La pensione sarà ripartita a carico dello Stato e del comune in ragione della somma totale delle paghe che l’interessato avrà percepito come guardia municipale e come guardia di città.

Art. 52. — Sino all’attuazione delle disposizioni contenute nell’art. 272 della legge provinciale e comunale del 10 febbraio 1889 continuerà ad essere a carico dei comuni la metà della spesa per la retribuzione delle guardie di città.

Sono a carico del rispettivo comune per il tempo sopra indicato le spese per le caserme e per l’accasermamento delle guardie di città.

Le disposizioni del presente articolo si applicano indipendentemente dal contributo stabilito nell’art. 30 della presente legge (1).

Art. 53. — Alla fine d’ogni anno e per il tempo stabilito nell’articolo precedente il prefetto comunicherà a ciascun comune lo stato delle giornate di presenza delle guardie che siano state effettivamente retribuite dallo Stato pel servizio prestato nel territorio del comune stesso. Ove questo numero sia nel suo complesso inferiore di oltre un decimo a quello delle guardie che a norma dell’art. 29 sia stato assegnato al comune, si farà luogo a vantaggio di questo ad una riduzione proporzionale della quota del suo contributo.

Art. 54. — Per un triennio dalla pubblicazione della presente legge, con decreto reale, in seguito a parere del consiglio di amministrazione e di disciplina di che all’art. 10, potranno essere collocati a riposo d’ufficio con diritto al minimo della pensione quegli ufficiali di pubblica sicurezza, i quali dopo venti anni di servizio per la avanzata età, per le condizioni di salute o per difetto delle qualità necessarie, siano riconosciuti non più atti a prestare utilmente servizio nell’amministrazione della pubblica sicurezza sebbene non si trovino nelle condizioni stabilite dall’art. 1, lettera A, della legge 14 aprile 1864, n. 1731.

Nel computo degli anni di servizio saranno calcolate, in conformità delle vigenti leggi, le campagne di guerra (1).

Art. 55. — Il servizio d’anagrafe istituito ai termini dell’art. 141 della legge 30 giugno 1889, n. 6144, serie 3(a), negli uffici di questura, potrà istituirsi anche presso gli altri uffici di pubblica sicurezza.

Art. 56. — Il ministro dell’interno è autorizzato a pubblicare con decreto reale, sentito il consiglio di Stato, i regolamenti necessari per la esecuzione della presente legge o delle singole parti di essa.

Art. 57. — Sono abrogate le disposizioni contenute nel titolo I della legge 20 marzo 1865, allegato sulla sicurezza pubblica, la legge 19 giugno 1887, n. 4576, sulle guardie di pubblica sicurezza, e ogni altra disposizione contraria alla presente legge.

Ordiniamo ecc.

Data a Roma, addì 21 dicembre 1890.

UMBERTO

F. Crispi.


REGIO DECRETO 5 FEBBRAIO 1891, N. 67

che approva il regolamento sul personale di pubblica sicurezza
per l’esecuzione della legge 21 dicembre 1890, numero 7321 (serie 3(a)).


Visto l’art. 56 della legge 21 dicembre 1890, numero 7321 (serie 3(a, sul personale dell’amministrazione di pubblica. sicurezza;

Sentito il consiglio di Stato;

Udito il consiglio dei ministri;

Sulla proposta del Nostro presidente del consiglio dei ministri, ministro segretario di Stato per gli affari dell’interno;

Abbiamo decretato e decretiamo:

Articolo unico.

È approvato l’annesso regolamento sul personale di pubblica sicurezza, che sarà, d’ordine Nostro, vidimato dal presidente del consiglio dei ministri, ministro dell’interno.

Ordiniamo, ecc.

UMBERTO

F. Crispi.


REGOLAMENTO

PER L’ESECUZIONE DELLA LEGGE 21 DICEMBRE 1890, N. 7321 (Serie 3)
SUL PERSONALE DI PUBBLICA SICUREZZA


CAPO I

Degli ufficiali e degli uffici di pubblica sicurezza


Art. 1. — Gli ufficiali di pubblica sicurezza si distinguono in due categorie.

Appartengono alla prima i questori, gli ispettori e i vice ispettori.

Appartengono alla seconda i delegati.

Art. 2. — La distinzione degli ufficiali di pubblica sicurezza in due categorie non reca alcuna variazione nelle attribuzioni loro demandate a' termini delle vigenti leggi, sia come ufficiali di pubblica sicurezza, sia come ufficiali di polizia giudiziaria.

Art. 3. — La gerarchia è determinata dal grado, nello stesso grado dalla classe; a parità di grado e di classe dall’anzianità.

A parità di classe, i vice ispettori precedono i delegati.

Art. 4. — I gradi, le classi e gli stipendi di ciascuna categoria ed il corrispondente numero di ufficiali sono stabiliti dai ruoli organici.

Art. 5. (1) — Potrà essere ammesso il passaggio dall’amministrazione provinciale a quella di pubblica sicurezza e da questa alla prima, quando gli interessi di servizio lo consentano mediante cambio vicendevole tra due ufficiali di grado e classe eguali, che abbiano i titoli e i requisiti necessari; tra i quali la laurea in giurisprudenza per la prima categoria, il diploma di ragioniere per passare nella seconda categoria dell’amministrazione provinciale, la licenza ginnasiale o di scuola tecnica per passare nella terza categoria [dell’amministrazione provinciale, e nella seconda categoria dell’amministrazione di pubblica sicurezza. E necessario però il parere favorevole della commissione centrale del personale dell’amministrazione provinciale e quello pure favorevole del consiglio di amministrazione e disciplina, di cui all’articolo 10 della legge. Per le nomine a questore, o per il passaggio da questore a consigliere delegato, ferme stando tutte le altre sopra espresse condizioni, si potrà prescindere dal cambio.

Art. 6. (2) — In caso di passaggio dall’una all’altra delle due amministrazioni suddette, ciascuno conserverà la propria anzianità, soltanto però fino ad occupare il posto lasciato vacante dal funzionario, col quale segue il cambio.

Art. 7. — Potranno essere nominati ufficiali in più del numero determinato per ciascun grado e per ciascuna classe, purché si abbiano altrettante vacanze nei gradi e nelle classi superiori.

Potranno anche nominarsi reggenti con stipendio minore di quello assegnato normalmente.

Art. 8. — I delegati che conseguono la laurea in giurisprudenza, possono, a parità di classe e di stipendio, essere ascritti alla prima categoria, conservando la loro anzianità.

Per i delegati però di quarta classe tale passaggio non potrà aver luogo che all’atto della loro promozione alla terza classe, a meno che si assoggettino agli esami di concorso alla prima categoria, nel qual caso essi, vincendo il concorso, potranno essere nominati vice ispettori, secondo la graduatoria dei punti ottenuti nell’esame.

I delegati di quarta classe, che trovinsi in questo caso in attesa della nomina a vice ispettori, conserveranno il grado e lo stipendio di cui sono provveduti.

Art. 9. — L’ufficio provinciale di pubblica sicurezza dipende dal prefetto, il quale compie tutte le funzioni che gli sono attribuite dalle leggi sulla materia, mantiene la disciplina nell’ufficio, e in caso di urgenza destina temporaneamente, ufficiali di pubblica sicurezza in alcuni punti della provincia, riferendone al Ministero.

Il prefetto, può inoltre, secondo le esigenze del servizio, estendere la giurisdizione dei delegati distaccati ad altri comuni vicini a quello di loro residenza.

Art. 10. — l'ufficio circondariale di pubblica sicurezza dipende dal sottoprefetto, il quale compie le incombenze che gli sono commesse dalle leggi sulla materia e fa eseguire gli ordini del prefetto.

Art. 11. — Nelle città in cui, a mente dell’art. 4 della legge, all'ufficio provinciale di pubblica sicurezza è preposto un questore, questi è autorità di pubblica sicurezza del primo circondario.

Egli esercita quindi, per autorità propria, tutte le attribuzioni di pubblica sicurezza che negli altri circondari spettano ai sottoprefetti.

Il questore coadiuva inoltre il prefetto nell’esercizio delle funzioni che sono al medesimo attribuite in materia di pubblica sicurezza.

Art. 12. — Ogni ufficio di pubblica sicurezza è ripartito come appresso:

Divisione 1(a) — Affari riservati, personale e relativa contabilità.

Divisione 2(a) — Polizia giudiziaria.

Divisione 3(a) — Polizia amministrativa.

Archivio — Protocollo generale, copisteria, spedizione.

Art. 13. — Il prefetto può suddividere in sezioni le materie attribuite a ciascuna divisione nel modo più vantaggioso alla spedizione degli affari.

Negli uffici circondariali si osserverà possibilmente un metodo uniforme.

Art. 14. — Nelle città capoluogo di provincia, sedi di questura, sono, alla dipendenza del questore, istituiti uffici di sezione.

Il numero delle sezioni di ciascuna città sarà stabilito con decreto ministeriale.

Art. 15. (0 — La rappresentanza del questore, nei casi di sua assenza od impedimento, spetta, di regola, all'ispettore più anziano.

È in facoltà del Ministero di derogare, nell’interesse del servizio, a tale disposizione, delegando la rappresentanza del questore ad altro ispettore.

Art. 16. — Le spese di affitto e di mobilia degli uffici provinciali di pubblica sicurezza e relative sezioni e degli uffici circondariali sono a carico della provincia.

Le spese di affitto e di mobilia dei locali degli uffici distaccati di pubblica sicurezza, di cui all’ultimo capoverso dell’art. 3 della legge, sono a carico dello Stato.

Le spese di ufficio sono determinate per decreto reale.


CAPO II

Nomina degli ufficiali di pubblica sicurezza


Art. 17. — I concorsi, di cui all’art. 9 della legge, saranno banditi ogni qualvolta se ne verificherà il bisogno, per un determinato numero di posti di alunni di prima e seconda categoria.

Questo numero non potrà eccedere il 10 per cento degli ufficiali stabiliti dal ruolo organico.

Art. 18. — Allorché il Ministero notificherà l’apertura del concorso, le relative domande per l’ammissione, corredate dai prescritti documenti, saranno dirette al Ministero dell'interno per mezzo del prefetto della provincia di domicilio degli aspiranti.

Art. 19. — Gli esami avranno luogo in Roma innanzi ad una commissione composta da un consigliere di Stato, che la presiede, da un consigliere della corte dei conti, da un sostituto procuratore generale,, da un professore di belle lettere e da un capo di divisione, ovvero da un ispettore generale del Ministero dell’interno, designati di volta in volta dal ministro.

Un impiegato della direzione generale di pubblica sicurezza eserciterà le funzioni di segretario.

Art. 20. (1) — Gli esami verseranno sulle materie contenute in un programma vistato dal ministro dell’interno e saranno scritti e orali.

Le prove scritte si daranno in quattro giorni e non potranno durare più di otto ore al giorno.

La prova orale, alla quale saranno ammessi soltanto quei candidati che avranno superato la prova scritta, non potrà protrarsi oltre un’ora per -ciascun candidato.

Art. 21. (2) — Il Ministero potrà ordinare che i lavori in iscritto si eseguiscano sotto la sorveglianza di speciali commissioni in quei capoluoghi di provincia che verranno da esso di volta in volta stabiliti.

Le commissioni si comporranno di un consigliere e di un segretario di prefettura, designati dal prefetto, e di un sostituto procuratore del Re designato dal procuratore del Re. — Avrà le funzioni di segretario un ufficiale di pubblica sicurezza scelto dal prefetto.

Il Ministero potrà, dove e quando lo creda opportuno, aggiungere alla commissione un funzionario dell’amministrazione centrale. La commissione sarà presieduta dal funzionario di rango superiore, ai termini del regio decreto 19 aprile 1868, n. 4349.

Art. 22. — Ciascun membro della commissione, di cui all’art. 19 del presente regolamento, disporrà di 10 punti per gli esami scritti e di altrettanti per gli orali.

Il candidato, per essere approvato, dovrà riportare almeno 26 punti nella prova scritta ed altrettanti nell’orale.

Art. 23. — Gli aspiranti che dichiareranno di essere pratici della telegrafia elettrica e di volerne dar prova, sosterranno il corrispondente esame innanzi ad una commissione di due ufficiali telegrafici governativi, nei modi che saranno indicati dal Ministero.

L’esame verserà sulla pratica trasmissione e ricezione dei dispacci. Ogni membro di detta commissione disporrà di 3 punti.

Per l’approvazione occorreranno non meno di 4 punti, i quali saranno aggiunti agli altri ottenuti per gli esami scritti ed orali, nel solo caso che il candidato li abbia superati a tenore dell’articolo precedente.

Questo esame è facoltativo.

Art. 24 (1). — I temi saranno preparati dalla commissione, di cui all’art. 19, chiusi in quattro pieghi suggellati, che saranno conservati dal presidente della commissione centrale se le prove scritte seguiranno a Roma, e dai prefetti se tali prove seguiranno in provincia.

Non più tardi delle dieci antimeridiane di ciascun giorno, il presidente fa procedere all’appello nominale dei concorrenti ed assegna a ciascuno possibilmente uno scrittoio separato, od almeno fa collocare i candidati in modo che non possano comunicare fra di loro. Indi apre la busta del tema senza romperne i suggelli, e dopo avere fatto constatare la integrità loro.

Art. 25 (2). — Non è permesso ai candidati di parlare fra loro, o di scambiarsi qualsiasi comunicazione scritta, o da mettersi in qualunque modo in relazione con altri, salvo cogli incaricati della sorveglianza e Coi membri della commissione. Non devono portare appunti manoscritti, né libri, né pubblicazioni di qualsiasi specie e neppure carta da scrivere. Possono soltanto consultare, nei testi che la commissione porrà a loro disposizione, le leggi e i decreti dello Stato.

Gli esami scritti saranno regolati in modo che i nomi dei concorrenti non siano conosciuti da alcuno se non dopo che tutti i temi furono esaminati e classificati; è quindi vietato ai candidati di sottoscrivere il proprio tema o di apporvi segni od indicazioni dirette a farsi conoscere.

Ogni infrazione a tali prescrizioni trarrà seco la la esclusione immediata. dell’esame, la quale dovrà essere ordinata seduta stante dalla commissione.

Art. 26. — La commissione è responsabile della osservanza delle prescrizioni contenute nell’articolo precedente e deve provvedere in proposito.

All’uopo, uno almeno dei suoi membri dovrà costantemente trovarsi nella sala degli esami.

Art. 27. — A mano a mano che i candidati compiono il lavoro, o al più tardi allo spirare del tempo assegnato, devono sottoscriverlo e consegnarlo a quel membro della commissione che è incaricato di riceverlo.

Il lavoro è chiuso e suggellato col timbro di ufficio in un piego, sul quale il candidato e il membro della commissione devono apporre la loro firma, indicando l’ora in cui il lavoro venne consegnato.

I lavori saranno, a mezzo del prefetto, inviati al Ministero.

Art. 28. — La commissione di cui all’art. 19 del presente regolamento, terminato l’esame, classifica i candidati secondo l’ordine di merito e trasmette al Ministero una relazione sulle operazioni compiute e sul risultato finale degli esami.

Se qualcuno dei candidati abbia dato prova d'ingegno e d’istruzione non comuni, lo designerà al Ministero.

Art. 29. — Gli aspiranti che negli esami avranno ottenuto l’idoneità, e che non saranno immediatamente ammessi a posto retribuito, secondo le facoltà accordate al Ministero dall’art. 9 della legge 21 dicembre 1890, saranno nominati alunni sino a concorrenza del numero di posti pel quale fu aperto il concorso e saranno classificati secondo l’ordine di merito, tenuto conto delle risultanze del seguente articolo 30. A parità di voti sarà preferito quello di maggiore età.

Art. 30. — Gli aspiranti dichiarati idonei, che per mancanza di posti non avranno potuto ottenere la nomina di alunno, potranno ripresentarsi a concorsi successivi.

Quelli che non saranno stati dichiarati idonei potranno presentarsi al solo concorso immediatamente successivo..

Qualora nemmeno in questo riescano approvati, non potranno più essere ammessi agli ulteriori concorsi.

Art. 31. — Gli alunni dovranno fare un tirocinio di sei mesi almeno in un ufficio provinciale o circondariale di pubblica sicurezza sia per acquistare le necessarie cognizioni pratiche del servizio di pubblica sicurezza, sia per dar campo di riconoscere se siano forniti dei requisiti necessarii per tale servizio.

Art. 32. — L’alunnato è gratuito; ma il Ministero potrà accordare una indennità mensile non maggiore di lire cento a quegli alunni che fossero destinati fuori della loro ordinaria dimora.

La relativa spesa sarà prelevata sulle economie che si verificheranno nel bilancio del Ministero dell’interno sul capitolo stipendi del personale dell’amministrazione di pubblica sicurezza.

Art. 33. — Terminato il tirocinio di cui all’art. 31, i prefetti rilasceranno a ciascun alunno un certificato nel quale sarà esplicitamente dichiarato se ha dimostrato di possedere i requisiti necessari ad un buon funzionario di pubblica sicurezza.

Art. 34. — Gli alunni che avranno ottenuto tale dichiarazione saranno chiamati a dare un saggio pratico di idoneità.

Tale saggio consterà di due temi scritti, e dovrà servire a mostrare se l’alunno abbia acquistato sufficiente pratica per l’esercizio delle funzioni che è chiamato a disimpegnare.

I temi saranno preparati da una commissione centrale composta da un sostituto procuratore generale, da un direttore capo divisione o da un ispettore generale del Ministero dell’in terno e da un questore, la quale sarà pure incaricata di esaminare gli elaborati degli alunni.

Per lo svolgimento dei temi gli alunni verranno riuniti in gruppi presso quelle prefetture che saranno di volta in volta designate dal Ministero.

Uscendo fuori della provincia di loro residenza, avranno diritto alla indennità di missione secondo le disposizioni vigenti, dal giorno che precede gli esami fino a quello susseguente.

Art. 35. — Ottenuta l’idoneità, gli alunni avranno diritto, secondo la graduatoria di ammissione, alla nomina ai posti retribuiti vacanti ed a quelli che man mano si renderanno vacanti nell’ultima classe della categoria a cui appartengono.

Art. 36. — A quelli che non risultassero idonei potrà essere prorogato l’esperimento per un tempo non maggiore di sei mesi. Non superando questa seconda prova, saranno definitivamente licenziati.

Se però nel primo tirocinio godettero l’indennità (1 )di cui è parola nel precedente art. 32, non potranno riceverla anche durante il secondo esperimento.

Art. 37. — Durante tanto il primo quanto il secondo; esperimento, l’alunno che terrà cattiva condotta o si dimostrerà negligente o privo di attitudine, verrà, sopra proposta del prefetto licenziato.

Art. 38 (1) — Gli ufficiali dell’arma dei reali caraLinieri i quali abbiano, in tale qualità, prestato servizio per non meno di cinque anni, abbiano età non superiore a 45 anni, non siano stati puniti in seguito a deliberazione del consiglio di disciplina, siano in:

possesso di sufficiente istruzione, siano dotati di ca-. pacità e di attitudine ai posti cui aspirano ed abbiano j buona condotta, potranno, sentito il consiglio di amministrazione e disciplina, di cui all’art. 10 della legge, essere nominati ufficiali di pubblica sicurezza.!

Art. 39. (2) — Potranno essere nominati ufficiali di 4 pubblica sicurezza anche i marescialli dei reali carabinieri ed i marescialli delle guardie di città, previo esame pratico da compiersi presso le prefetture, secondo le norme che saranno dal Ministero stabilite e purché abbiano un servizio di quindici anni prestato nel rispettivo corpo ed una età non superiore ai cinquant’anni, e siano dal consiglio di amministrazione e disciplina riconosciuti in possesso degli altri requisiti indicati nel precedente articolo.

Ai marescialli delle guardie di città sarà conservata l’anzianità.

Art. 40. — L’assegnazione ai diversi gradi ed alle ' diverse classi della carriera sarà fatta in seguito alla conforme deliberazione del consiglio di amministrazione e di disciplina in ragione dei titoli e delle attitudini rispettive dei candidati e tenuto conto del grado e dello stipendio di cui erano provvisti.


CAPO III

Consiglio di amministrazione e di disciplina


Art. 41. — I consiglieri della corte dei conti e di appello, il sostituto procuratore generale e i due capi di divisione, che a mente dell’art. 10 della legge, debbono far parte del consiglio di amministrazione e di disciplina, sono nominati dal ministro in principio d’ogni anno.

Art. 42. — In mancanza del sotto segretario di Stato, il consiglio è presieduto dal direttore generale della pubblica sicurezza.

Art. 43. — Per la validità delle deliberazioni si richiede l’intervento di due terzi almeno dei membri; a parità di voti è preponderante quello del presidente.

Art. 44. — Le funzioni di segretario sono esercitate da un impiegato della direzione generale di pubblica sicurezza scelto dal presidente.

Art. 45. — Di ogni adunanza è compilato verbale sottoscritto dal presidente e dal segretario. Copia del verbale è inviata al ministro per le sue determinazioni.

CAPO IV

Ruoli di anzianità e stati matricolari


Art. 46. — Il Ministero dell'interno pubblicherà il ruolo degli ufficiali di pubblica sicurezza distinti nell’ordine di grado, di classe e di anzianità e ne invierà un sufficiente numero di esemplari a tutte le prefetture, affinché gli interessati ne abbiano conoscenza.

In caso di reclami sull’anzianità, deciderà il ministro, sentito il consiglio d’amministrazione e di disciplina, salvo il ricorso in sede amministrativa o in sede contenziosa, giusta la legge vigente sul consiglio di Stato.

Art. 47. — L’anzianità è determinata dalla data del decreto di nomina ad un grado o ad una classe e a parità di tali date, da quella del decreto di nomina al grado od alla classe inferiore.

In caso di parità nelle date di tutti i decreti di nomina e di promozione, precederà quegli che ebbe maggior numero di punti negli ultimi esami subiti, ed in caso di parità anche in questi, il più anziano d’età.

Art. 48. — Chi ottiene la nomina effettiva ad un grado o ad una classe, precede chi ne ebbe la reggenza.

I reggenti che ottengono con la medesima data la nomina effettiva allo stesso grado o classe, conservano l’ordine di anzianità che avevano nel grado o nella classe precedente, senza riguardo alla data della loro nomina a reggenti.

Art. 49. — Nel computo dell’anzianità sarà detratto:

1° il tempo durante il quale l’ufficiale fu sospeso dalle funzioni, qualora nel decreto di sospensione ciò sia stato espressamente stabilito.

Ove poi il decreto di sospensione sia revocato, l’ufficiale riacquisterà l’anzianità perduta, senza che ciò possa dargli alcun diritto per promozione mancatagli in conseguenza della sospensione.

2° il tempo passato in aspettativa per motivi di famiglia.

Art. 50. — Non danno titolo a preferenza gl’impieghi conferiti, ma non accettati, salvo che ciò sia avvenuto per avere l’ufficiale sostenuto nell’amministrazione pubblica un ufficio od incarico diverso.

Art. 51. — In ogni prefettura si terranno gli stati matricolari degli ufficiali di pubblica sicurezza della rispettiva provincia, in conformità delle istruzioni ministeriali.


CAPO V

Promozioni

Art. 52. — Le promozioni hanno luogo per anzianità e per merito. — Possono conferirsi anche promozioni straordinarie per meriti speciali ed eccezionali.

Art. 53. — Le promozioni al grado di questore sono fatte a scelta del ministro fra gl’ispettori delle due classi del primo grado e senza riguardo all’anzianità.

Art. 54. — Le promozioni di classe dei questori si fanno per anzianità.

Art. 55. — Le promozioni degli ispettori si fanno in ragione di due terzi per merito e di un terzo per anzianità.

Art. 56. — Le promozioni al grado d’ispettore, salvo il caso di cui al seguente art. 67, saranno conferite in ragione di quattro posti per esame, e di un posto per titoli.

Art. 57. — L’esame viene dato dinanzi ad una commissione centrale composta nel modo indicato dal precedente art. 19 e con le norme e secondo il programma indicati dal Ministero.

L’esame non potrà esser dato più di due volte.

Art. 58. (1) — Saranno ammessi a questo esame i vice ispettori e delegati di l(a) classe. Nel caso in cui non sia sufficiente il numero degli aspiranti potrà il Ministero ammettere anche i vice ispettori e delegati di 2(a) classe.

La posizione giuridica dei funzionari, agli effetti dell’ammissione all’esame di promozione e della graduatoria finale, sarà quella che ciascuno di essi avrà il giorno precedente a quello in cui comincieranno gli esami. f

Art. 59. — Essi, quando non risiedano a Roma, avranno diritto alla indennità di missione a norma del regio decreto 14 settembre 1862, n. 840, dal giorno in cui furono invitati a trovarsi in Roma, fino al giorno successivo a quello in cui avranno dato gli esami.

Art. 60 (2). — Saranno collocati nella graduatoria prima tutti i funzionari di l(a) classe che avranno superato l’esame e poi quelli di 2(a) classe, gli uni e gli altri secondo i punti riportati; a parità di punti si terrà conto dell’anzianità.

Le promozioni saranno fatte secondo la graduatoria. Però malgrado la conseguita idoneità, non potranno ottenere la nomina ad ispettore, senza il parere favorevole del consiglio di amministrazione e disciplina, quei funzionari che nel frattempo fossero stati colpiti da punizione disciplinare superiore alla censura.

Art. 61. — Saranno esclusi dall’ammissione agli esami quegli impiegati i quali, a giudizio del consiglio di amministrazione e disciplina, se ne siano resi immeritevoli per ragione di condotta o di disciplina.

Art. 62 (3). — La promozione per titoli, giusta l’articolo 56, è riservata a quei vice ispettori e delegati che da tre anni almeno siano stati promossi alla l(a )classe per merito e che per essersi singolarmente distinti tanto nei servizi direttivi quanto in quelli esecutivi e per la prova data della loro attitudine al posto d’ispettore risultino, per deliberazione del consiglio di amministrazione e disciplina, degni di essere dispensati dagli esami. Il funzionario che non abbia superato la prova dell’esame per il posto d’ispettore non potrà essere promosso per titoli, se non dopo che siano stati nominati ispettori tutti quelli che nello stesso concorso riportarono l’idoneità.

Art. 63. — Le promozioni di vice ispettori e dei delegati saranno conferite in ragione di due terzi per merito e di un terzo per anzianità.

Art. 64. — Sono considerati come titoli alle promozioni di merito non solo i servizi resi per la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, con operazioni direttive ed esecutive, ma anche quelli resi all’amministrazione con lavori straordinari d’ufficio e con altri nei quali siasi dato prova di lodevole capacità, di molta intelligenza, istruzione e perspicacia.

Art. 65. — L’anzianità non dà diritto a promozione, se non quando sia accompagnata da idoneità, diligenza e buona condotta e previo parere del consiglio d’amministrazione e disciplina.

L'esclusione dalla promozione per anzianità sarà pronunziata dal ministro dell’interno, sentito il prefetto dal quale l’impiegato dipende ed il voto motivato dal Consiglio di amministrazione e disciplina.

Questa esclusione è temporanea e dura fino a quando l'ufficiale che ne è colpito, non avrà dato prove convincenti d’essersi emendato.

I motivi della preterizione saranno comunicati all’interessato per mezzo del prefetto.

Art. 66 (1). — I reclami degli ufficiali preteriti nelle promozioni di merito o in quelle di anzianità, saranno presentati al consiglio colle nuove informazioni che dovranno essere assunte. Il consiglio deciderà se il reclamo debba essere respinto; ovvero se il ricorrente abbia acquistato titoli per la promozione nell’intervallo corso dalla precedente deliberazione; ovvero infine se la precedente sua deliberazione debba essere modificata, nel qual caso l’anzianità del ricorrente sarà quella che gli sarebbe spettata se avesse ottenuta la promozione quando fu preterito.

Art. 67 (2). — Ogni ufficiale di pubblica sicurezza, eccetto i questori e gl’ispettori di prima classe del primo grado, il quale siasi esposto ed abbia effettivamente corso grave pericolo di vita per arrestare malfattori, o per tutelare l’ordine pubblico, o anche per salvare la vita di cittadini, o infine si sia distinto in modo affatto speciale e straordinario, sia nel dirigere, sia nell’eseguire qualche operazione di servizio d’importanza assolutamente eccezionale, tanto in sé stessa quanto per l’impressione prodotta nella pubblica opinione, potrà ottenere una promozione straordinaria tanto di classe quando di grado, anche se non ha sostenuto la prova dell’esame di cui all’art. 57, purché abbia tutti gli altri requisiti di capacità, istruzione e condotta, nonché di attitudine al posto cui dovrebbe essere promosso. Nell’ultimo caso fra quelli preveduti in quest’articolo la promozione non potrà essere deliberata se non dopo terminato, almeno in prima istanza, il giudizio relativo.

Art. 68. — Tali requisiti e meriti di entità eccezionale, precisa e ben determinata, dovranno essere riconosciuti da un’apposita commissione provinciale che sarà convocata di volta in volta per disposizione del Ministero. Essa sarà presieduta dal prefetto e composta del presidente del tribunale civile e penale, del procuratore del Re, del giudice istruttore presso lo stesso tribunale e del capo dell’ufficio provinciale di pubblica sicurezza.

Sulla deliberazione della commissione provinciale, dovrà essere inteso il parere del consiglio di amministrazione e disciplina.

La deliberazione della commissione provinciale e il parere del consiglio di consiglio di disciplina, saranno motivati.

Art. 69 (1). — Salve le disposizioni speciali per la promozione ai gradi di questore e di ispettore e per le promozioni straordinarie di cui agli art. 67 e 68, tutte le altre promozioni non potranno aver luogo che dal grado o dalla classe immediatamente inferiori e sempreché siano trascorsi due anni dall'ultima promozione.


CAPO VI

Traslocamenti

Art. 70. — Le domande e le proposte di traslocamento per motivi di salute, debbono essere appoggiate a certificati medici; quelle per motivi di famiglia devono essere corredate da giustificazioni che dimostrino il fondamento e l’importanza degli addotti motivi.

Art. 71 (2). — L’ufficiale che, trasferito da una residenza all’altra, non avrà assunto servizio nel termine prescrittogli, o non avrà ottenuto in tempo la necessaria proroga dal Ministero, incorrerà nella misura disciplinare della sospensione e potrà anche essere dichiarato dimissionario.

Nè le domande di congedo, né quelle di aspettativa, benché presentate, ma non ancora assecondate, possono esimere l’ufficiale traslocato, sia dall’obbligo di assumere il servizio nella nuova residenza entro il termine assegnatogli, sia dalle conseguenti misure disciplinari.


CAPO VII

Dispensa dal servizio, dimissione, riammissione

Art. 72. — L’ufficiale riconosciuto inabile al servizio può essere dispensato.

La dispensa potrà essere decretata anche quando si renda necessaria nell’interesse del servizio.

Nell’uno e nell’altro caso dovrà essere prima sentito il parere del consiglio di amministrazione e disciplina.

Art. 73. — L’ufficiale dispensato o dimesso volontariamente dal servizio, potrà essere riammesso nell’amministrazione previo parere dell’anzidetto consiglio.

La riammissione non potrà mai aver luogo in un grado o in una classe superiore a quella alla quale apparteneva l’ufficiale prima della sua dispensa o dimissione.

Art. 74. — L’ufficiale riammesso sarà inscritto nella classe a cui apparteneva, detraendo dal computo della sua anzianità il tempo passato fuori di servizio.

Art. 75. — L’ufficiale che ha presentato le dimissioni è tenuto a proseguire nello adempimento degli obblighi del suo ufficio, finché non gliene sia partecipata l’accettazione.


CAPO VIII

Punizioni


Art. 76. — Le discolpe che è chiamato a dare l’ufficiale a senso dell'art. 13 della legge, saranno sempre consegnate in apposito processo verbale.

Art. 77. — Il prefetto nell'infliggere la censura all’ufficiale di pubblica sicurezza deve riferirne al Ministero inviandogli il verbale e le giustificazioni di cui al precedente articolo.

Art. 78. — Nei casi prescritti dalla legge la sospensione è pronunziata dal prefetto, dopo sentite

Le giustificazioni dell’ufficiale, le quali, unitamente al decreto, saranno trasmesse al Ministero.

Art. 79 (1). — Si fa luogo alla censura pei seguenti motivi: negligenza, mancanza in servizio, assenza qualunque non giustificata, recidività nei debiti.

Sono anche passibili di censura quegli impiegati che, all’infuori della via gerarchica, si saranno procurate raccomandazioni per ottenere promozioni, trasferimenti, revoche di trasferimenti od altro qualsiasi provvedimento.

Art. 80. — Danno luogo alla sospensione le seguenti cause:

Recidività nei fatti che motivarono una precedente censura

Assenza non giustificata dall’ufficio per oltre due giorni;

Occupazioni incompatibili con lo stato di impiegato;

Insubordinazione o eccitamento alla insubordinazione;

Cattiva condotta morale;

Debiti indecorosi contratti con inferiori o dipendenti, con persone sospette o pregiudicate o da vigilarsi dalla polizia, o con esercenti pubblici, o con altre persone conosciute pér ragioni d’ufficio o che al medesimo ricorsero;

Offese al decoro dell’amministrazione;

Danno recato agli interessi dello Stato od a quello dei privati per trascuranza dei doveri d’ufficio o per mancanza di riservatezza;

Inosservanza del segreto d’ufficio;

Uso dell’impiego per fini personali.

Art. 81 (2). — Secondo la natura e la gravità delle imputazioni, potrà inoltre essere soggetto alla sospensione l’ufficiale il quale, in seguito a provvedimenti dell’autorità giudiziaria, trovasi sottoposto a procedimento penale per l’imputazione di qualche delitto.

La sospensione in questo caso cessa col finire del giudizio.

Quando l’imputato sia assolto la sospensione sarà revocata, salvo i casi regolati dall’art. 87.

Art. 82. — L’ufficiale può essere revocato, sentito il consiglio di amministrazione e disciplina, quando si verifichi alcuna delle seguenti cause:

Recidività nei fatti che diedero luogo alla sospensione oltre un mese;

Omissione volontaria dei propri doveri;

Mancanza contro l’onore.

Il decreto sarà motivato e ne sarà data comunicazione all’interessato.

Art. 83. — Danno luogo alla destituzione, sentito il consiglio d’amministrazione e disciplina, salvo che già ricadanp sotto meno rigorosa sanzione giusta i precedenti articoli, le mancanze contemplate nei numeri 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8 dell'articolo 12 della legge.

Art. 84. — l'ufficiale di pubblica sicurezza incorre di diritto nella destituzione per qualsiasi condanna che porti seco per legge o la destituzione o l’interdizione perpetua dai pubblici uffici o la vigilanza speciale dell’autorità di pubblica sicurezza.

Art. 85. — L’ufficiale sottoposto a mandato di cattura potrà essere dispensato immediatamente dal servizio, qualora la gravità delle imputazioni, che hanno motivato il processo, sia tale da richiedere nello interesse del decoro dell’amministrazione che egli non faccia più parte della medesima.

All’esito finale del processo, e sentito il consiglio d’amministrazione e disciplina, il decreto di dispensa potrà essere revocato, ovvero convertito in decreto di revoca o di destituzione dell’ufficiale, a' termini dei precedenti articoli 82 e 83.

Art. 86 (1). — Se viene pronunziata sentenza di condanna, appena sia passata in giudicato, cessa qualunque assegno a titolo d’alimenti e il consiglio di disciplina pronunzierà se sia il caso di revocare o di destituire l’ufficiale condannato, secondo il disposto degli art. 82 e 83, o di mantenere soltanto la sospensione senza stipendio per tutto il tempo della pena.

Quando per la natura dell’imputazione il Ministero non abbia creduto di dover sospendere l’imputato, e sia questi stato condannato, il consiglio di amministrazione delibererà se e quale provvedimento debba essere preso.

Art. 87. — Nei casi di procedimento penale per l’imputazione di qualche delitto, l’ufficiale sarà sottoposto al giudizio del consiglio d’amministrazione e disciplina anche quando non sia stato condannato, se l’ordinanza o la sentenza, colla quale finì il giudizio penale, avrà dichiarato insufficienti gli indizi o le prove della reità, od il fatto imputato non costituisca un reato a termini di legge, o perché l'azione penale sia prescritta, o in altro modo estinta.

L’ufficiale sarà sottoposto al giudizio del consiglio predetto anche nel caso in cui non si possa procedere per mancanza d’istanza privata.

Art. 88. — La sospensione porta sempre la perdita dello stipendio per tutto il tempo della sua durata, ma non dispensa dal servizio se non quando ciò sia espresso nel decreto che la infligge.

La sospensione porta anche la perdita dell’anzianità, quando ciò sia espressamente stabilito nel relativo decreto.

Il Ministero ha facoltà di assegnare, secondo i casi, all’impiegato sospeso, od alla sua famiglia a titolo di alimenti, una parte dello stipendio, non superiore però alla metà del medesimo.

Art. 89. — Durante la sospensione, l’ufficiale non può essere promosso né ottenere il passaggio ad altra amministrazione..

Art. 90. — l'ufficiale revocato, o destituito, non può essere riammesso in servizio.

L’ufficiale revocato però, a differenza del destituito, conserva i diritti alla pensione o alla indennità, che secondo la legge gli può spettare.

Art. 91. — La destituzione con perdita del diritto acquisito alla pensione, deve essere preceduta dal parere della commissione istituita con l’art. 32 della legge 14 giugno 1864 sulle pensioni civili.

Art. 92. — Le punizioni si annotano negli stati matricolari.



CAPO IX

Attribuzioni

Art. 93. — I verbali, di cui all’art. 36 della legge, devono essere stesi su carta da bollo.

Art. 94. — Le richieste degli ufficiali di pubblica sicurezza all’arma dei reali carabinieri devono farsi per iscritto nel modo seguente:

Si designa

1° il grado dell’ufficiale richiedente;

2° la richiesta;

3° il comandante a cui è diretta la richiesta;

4° l’oggetto della richiesta;

5° la data e la firma.

Qualora, per l’urgenza, non fosse possibile la immediata estensione della richiesta in iscritto, può la medesima anche èssere verbale, coll’obbligo a chi la fa di ridurla in iscritto al più presto possibile.

La richiesta è indirizzata al comandante dei carabinieri reali del luogo in cui occorra sia eseguita.

Art. 95. — Qualunque difetto di forma nelle richieste, di cui all’articolo precedente, non dà la facoltà ai carabinieri di rifiutarsi all’esecuzione delle medesime; essi hanno però il diritto di reclamare in seguito e di richiedere la riforma della richiesta.

Art. 96. — Se il comandante l'arma dei carabinieri reali, per ragione di altri urgenti servizi, si trovi nella impossibilità di aderire a tempo debito, in tutto od in parte, alla richiesta, deve prontamente riferirne all’ufficiale da cui la richiesta è partita.

Art. 97. — La richiesta per il concorso della truppa, a senso dell’art. 40 della legge, dev’esser fatta dall’ufficiale di pubblica sicurezza secondo le norme stabilite nel regio decreto 22 novembre 1886 pel servizio territoriale (Libro sesto — Truppe in servizio di pubblica sicurezza).

Art. 98. — La sciarpa tricolore, di cui è parola nell’art. 39 della legge, è della larghezza di 12 centimetri circa. Per i questori e per gli ispettori è di seta ed ha, alle due estremità, fiocchi in argento, per i vice ispettori e delegati è in lana, coi fiocchi pure di lana.

I questori fanno uso della sciarpa tricolore, cingendola al fianco.


CAPO X

Personale di basso servizio


Art. 99. — Ad ogni questura è addetto un determinato numero di uscieri..

All’occorrenza, negli uffici di pubblica sicurezza possono essere destinati anche commessi diurnisti.

Art. 100. — Alle nomine del personale del basso servizio si provvede con decreto ministeriale.

Ferme rimanendo le disposizioni del regolamento, approvato con regio decreto del 26 giugno 1884, n. 2517 (serie 3(a, per la concessione degli impieghi ai sotto ufficiali del regio esercito e della regia marina, i posti disponibili d’uscieri saranno a preferenza concessi agli agenti che contano più di 15 anni di servizio, o che pure si fossero in qualunque tempo resi inabili al servizio attivo per ferite o malattie riportate in servizio o per cause di servizio.

I commessi diurnisti sono scelti a preferenza fra gli agenti collocati a riposo, o che altrimenti non appartengono più al corpo, sebbene non si trovino nelle condizioni di cui al secondo capoverso del presente articolo, e sempreché non siano stati licenziati od espulsi per cattiva condotta.

Art. 101. — La classe, gli stipendi ed il numero degli uscieri risultano dai ruoli organici allegati al bilancio del Ministero dell’interno.

Art. 102. — Le promozioni degli uscieri hanno luogo per anzianità, purché risulti che abbiano serbata regolare condotta e dato prove di diligenza ed attitudine al servizio.

Art. 103. — La retribuzione dei commessi diurnisti non potrà essere maggiore di lire sessanta al mese e sarà pagata colle economie che a vantaggio dello Stato si verificheranno sul capitolo delle paghe degli agenti di pubblica sicurezza nel bilancio del Ministero dell'interno.

Art. 104. — Alle mancanze del personale di basso servizio si applicano le punizioni stabilite per gli ufficiali di pubblica sicurezza.


CAPO XI

Disposizioni generali e transitorie


Art. 105. — I requisiti necessari perché possa essere attribuita la qualità di agente di pubblica sicurezza, a norma dell’art. 44 della legge, sono:

1° essere maggiore d’età;

2° saper leggere e scrivere;

3° non essere stato mai condannato per delitti contro le persone, portanti pene restrittive della libertà personale oltre un anno o per reati d’associazione a delinquere, di furto, di ricettazione dolosa di oggetti furtivi, truffa, appropriazione indebita, abusi di fiducia e frodi di ogni altra specie e sotto qualunque altro titolo del codice penale, per qualunque specie di falso, falsa testimonianza o calunnia, per eccitamento all’odio fra le varie classi sociali, nonché per reati contro il buon costume, salvi i casi di riabilitazione a termini di legge;

4° avere condotta incensurata..

Art. 106. — Le guardie particolari, di cui all'articolo 45 della legge, devono provare di avere i requisiti seguenti:

1° essere maggiore d’età ed avere adempiuto agli obblighi della leva.

2° saper leggere e scrivere;

3° non essere stati condannati per delitti portanti pene restrittive della libertà personale oltre un anno o per reati contro la proprietà, qualunque sia la pena;

4° essere persone oneste e dabbene.

Art. 107. — Le guardie particolari riceveranno dal prefetto un decreto di approvazione, nel quale saranno indicate le proprietà della cui custodia sono incaricate.

A tergo del decreto dovranno essere stampati gli articoli relativi alle infrazioni e contravvenzioni pel cui accertamento le guardie sono specialmente preposte.

Art. 108. — I prefetti possono revocare i decreti di nomina delle guardie particolari, qualora venga a mancare taluno dei requisiti prescritti.

Art. 109. — H pretore, dopo la prestazione del giuramento prescritto dal citato art. 45 della legge, stende in calce al decreto del prefetto una dichiarazione sottoscritta del tenore seguente:

«Il pretore di………....... dichiara che N. N.

«ha prestato addì…………. il giuramento».

Art. 110. — Le guardie suddette possono vestire quella divisa uniforme che, sulla domanda dei particolari, sia stata dal prefetto approvata. La divisa deve essere però dissimile da quella dell’esercito e e di ogni altro corpo armato in servizio dello Stato, delle provincie e dei comuni

Art. 111. — Per portare armi, le guardie particolari dovranno munirsi della prescritta licenza, a termini della legge di pubblica sicurezza.

Art. 112. — I comandanti delle guardie di pubblica sicurezza e delle guardie municipali, per essere ammessi nel personale degli ufficiali di pubblica sicurezza a termini dell'art. 50 della legge, devono avere i seguenti requisiti:

1° età non superiore ai 60 anni;

2° non essere stati puniti in seguito a deliberazione del consiglio di disciplina;

3° essere dotati di coltura, attitudine e capacità sufficienti pel posto cui aspirano;

4° essere di buona condotta.

Art. 113. — Pel servizio di anagrafe, di cui all’articolo 55 della legge, sono applicabili le disposizioni portate dagli art. 109, 110, 111, 112 e 113 del regolamento approvato con regio decreto 8 novembre 1889, n. 6517 (serie 3(a.))

Art. 114. Sono abrogati il regolamento approvato con regio decreto 18 maggio 1865 per la esecuzione della legge sulla sicurezza pubblica, il regio decreto

10 novembre 1884, n. 2758 (serie 3(a ed il regio decreto 28 aprile 1889, n. 6060 ed ogni altra vigente disposizione contraria alle presenti.

V. d'ordine di S. M.

Il presidente del consiglio dei ministri, ministro dell'interno.

F. CRISPI.


INDICE ALFABETICO - ANALITICO

AFFISSIONI (permesso di), 64, L.

AGENZIE PUBBLICHE Licenza dell'autorità di P. S.; prescrizioni,

67-71, L.; 63-76, R.

ALLOGGIO PER MERCEDE Obbligo agli albergatori, locandieri, di tenere registro delle persone alloggiate e notificazione alle autorità di P. S., 61, L.; 61, R.

AMMONIZIONE Norme per pronunziarla, obbligo degli ammoniti, 94-115, L.; 91-108, R.

ANAGRAFE STATISTICA, 141, L.; 109-113, R.

ARMI Licenza di raccogliere, fabbricare e introdurre), 12, L. (Raccolta di...) 10, L.; 7-8-12, R.

ARRUOLAMENTI, 7, R.

ASSEMBRAMENTI in luoghi pubblici, 1-6, L.

Avviso per riunioni pubbliche, 1, R.

BANDE musicali: permesso, 77, R.

BASTONE ANIMATO (Licenza di portare il), 16, L.

CALDAIE A VAPORE nuove o ristaurate; certificato per messa in opera, 27, L.; obbligo per assistenza di persona idonea, 28, L.

CAMERE MOBIGLIATE: dichiarazione alla autorità di P. S. locale, 60, L.; 60, R.

CAMPI E BOSCHI (Fuoco dei); distanza, art. 25, L.

CASE; divieto di tenere aperti più accessi sulla pubblica via nelle ore notturne; obbligo d'illuminazione, 31, L.

CENCIAJUOLI. V. Mestieri girovaghi.

CERIMONIE RELIGIOSE (Permesso delle), 7-9, L.

CONDANNATI A VIGILANZA SPECIALE; obbligo alle prescrizioni, 117 a

122, L.

CONTRAVVENZIONE AL PORTO D'ARMI, 20, L.

CORSE DI CAVALLI; permesso dell'autorità, 38, L.

DIRETTORI DI STABILIMENTI, obbligo di scrivere su libretto

di servizio prestato e la condotta tenuta dagli operai licenziati; trasmettere all'autorità di P. S. nota delle persone che tengono il lavoro e le variazioni sopravvenute in ogni mese, 78, 79, L.

DISEGNI OFFENSIVI della morale: divieti di esporli in pubblico, 64, L.

DIVIETO di disporre in luoghi aperti armi pericolose, 30, L.

DOMESTICI. – V. Operai e domestici, 78, 79, L.

DOMICILIO COATTO; durata della condanna, specie; assegnazione del domicilio, 123-132, L.

ESERCIZI PUBBLICI; licenza; domanda; divieto d'apertura; chiusura dell'esercizio, 50-62, L.; 47, 58, 62, R.

FABBRICHE D'ARMI, 13, L.

FESTE DA BALLO (Licenza per), 39, L.; 39, R.

FIAMMIFERI (Rivenditori di), 72, L.

FIERE, FESTE, MERCATI; licenze temporanee di esercizi pubblici, 59, L.

FUOCHI ARTIFICIALI, 22, L.; 32, R.

GIORNALI, stampati; obbligo di licenza dell'autorità, prima dell'affissione o distribuzione, 65, L. Giuochi di azzardo, 56, L.; 59, R.

GUIDA; certificato per esercitare il mestiere di..., 78, 79, L.

INDUSTRIE INSALUBRI E PERICOLOSE; località e condizioni per l'impianto delle stesse, 32-36, L.

LIBERTÀ DAL CARCERE, 80, L.

LICENZA per andare in giro col campionario di armi, 13, 114, R.

LICENZA per porto d'armi, 17, 18, L.; 14, 22, 114, R.

LICENZA ai privati per raccolta d'armi, 11, 114, R.

MASCHERE; divieto di comparire mascherato; epoche e preiscrizioni, 49, L.

MATERIE esplodenti, 24-35, R.

MENDICANTI; permessi di questua; ricoveri di mendicità, 80-84, L.

MESTIERI GIROVAGHI; rivenditori, obbligo d'iscrizione, rinnovazione, 72-76, L.

OGGETTI PREZIOSI (Commercio di), 77, L.; 80, R.

OPERAI E DOMESTICI, 78, 79, L.; 81, R.

OSTERIE E BETTOLE. V. Esercizi pubblici.

OZIOSI E VAGABONDI, 94-115, L.

PALCHI (Obbligo dei), o posto distinto nei teatri ai funzionarî di P. S., 43, L.

PASSAPORTO, 83, R.

PASSEGGIATA in forma militare, 11, L., 9, 10, R.

PENA, 115, R.

PISTOLA (Licenza di portare la), 16, L.

POLVERI da sparo, 21, L.; 25-27, R.

POLVERIFICI, licenza per l'impianto, 22-24, L.

PROCESSIONI ECCLESIASTICHE E CIVILI, 7-9, L.; 5, 6, R.

QUESTURA, 84, L., 82, R.

RAPPRESENTAZIONI COREOGRAFICHE; opere, drammi, commedie, declamazioni: obbligo della comunicazione preventiva, 40, L.

RIMPATRIO, 84-86, R.

RIUNIONI PUBBLICHE, 1-6, L.; 2-4, R.

RIVOLTELLA (Licenza di portare la), 16.

SPETTACOLI e trattenimenti pubblici, licenze dell'autorità locale, 37-49, sospensione; restituzione del prezzo d'ingresso, 44, L.; 36, 37, 41, R.

STRANIERI: espulsione dal Regno, 85-93, L.; 87, 90, R.

STRUMENTI da taglio, 19, L.; 23, R.

TEATRO (Licenza d'apertura), ispezione tecnica, solidità, uscite, 42, L., 38, 40-45.

TIPOGRAFIE ED ARTI AFFINI, obbligo di dichiarazione all'autorità di P. S. per l'apertura di esercizio, 63.

VIANDANTI, disposizioni, 85-93.



NOTE


(1)Impallomeni, Il Codice Penale illustrato.

(1)

(1)Sottoposto al Consiglio di Stato il quesito se i prefetti possano delegare ai questori ed ai sotto-prefetti la facoltà di concedere la licenza di portare la rivoltella, la pistola di qualunque misura, o il bastone animato, quel Consesso, nell’adunanza del 3 corrente mese, ha considerato che di fronte al preciso disposto dell’art. 16 della legge di P. S. è manifesto essere stata intenzione del legislatore, affidando esclusivamente al diretto rappresentante del potere esecutivo nella provincia l’esrcizio di una facoltà che importa grave responsabilità, di volerlo circondare di questa particolare guarentigia.

Che ciò è tanto vero che allorquando invece si è trattato della concessione della licenza per la detenzione delle armi lunghe da fuoco il legislatore, coll’art 15 della stessa legge, ne ha espressamente attribuito il potere all’autorità di P. S. in genere, in vista, evidentemente, dei pericoli tanto minori che corre la incolumità sociale dal porto di simili armi.

Che inoltre negli articoli successivi nessuna altra disposizione si incontra per la quale la facoltà che è accordata dall’art. 16 si possa ritenere estesa ad altre autorità o che almeno possa loro essere dal prefetto stesso delegata.

Per tali motivi il Consiglio di Stato ha emesso il parere che i prefetti non possono delegare ai questori ed ai sotto-prefetti là facoltà di cui all’art. 16 della legge di P. S.

Il Ministero ha adottato tale parere, e lo porta a notizia dei signori prefetti per loro norma. — (Circolare del Ministero dell'interno, n. 10100, 10 gennaio 1890, ai prefetti).

(1)Si lamenta spesso che rimangano vittime di funesti accidenti dei giovani, i quali, quantunque muniti di regolare licenza per caccia, si dedicano a questo esercizio senza essere sufficientemente esperti nel maneggio delle armi.

Ad evitare, per quanto è dato, che si ripetano fatti così dolorosi, il Ministero trova opportuno di ricordare ai signori prefetti, che la legge sulla pubblica sicurezza rimette alla loro prudenza il rilasciare o negare i porti d’armi ai minorenni, e però li invita ad adottare la massima di non rilasciarli, se non a quelli che sono iscritti nelle società di tiro a segno e che presentano un certificato delle medesime, da cui risulta che i richiedenti sono esperti nel maneggio delle armi da fuoco. — (Circolare del Ministero dell’interno, n. 10100-188402, in data 13 novembre 1890, ai prefetti).

(1) Così modificato con regio decreto 2 marzo 1893.

(1)Le manifatture e fabbriche che spandono esalazioni insalubri e possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti saranno indicate in un elenco diviso in due classi.

La prima classe comprenderà quelle che dovranno essere isolate nelle campagne e lontane dalle abitazioni: la seconda quelle che esigono speciali cautele per la incolumità del vicinato.

Quest'elenco, compilato dal consiglio superiore di sanità, sentito il ministro d’agricoltura, industria e commercio, sarà approvato dal ministro dell’interno e servirà di norma per l’esecuzione della presente legge.

Le stesse regole indicate per la formazione del primo elenco saranno seguite per inscrivervi le fabbriche o manifatture che posteriormente siano riconosciute insalubri.

Una industria o manifattura la quale sia inscritta nella prima classe potrà essere permessa nell’abitato, quante volte l’industriale che la esercita provi che per l’introduzione di nuovi metodi o di speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato.

Chiunquevorrà attivare una fabbrica o manifattura compresa nel sopra indicato elenco, dovrà entro 15 giorni, darne avviso al prefetto.

I contravventori saranno puniti con pena pecuniaria di lire 100.

(1)Curcio, Comentario alla legge di P. S.

(1)R. dee 2 luglio 1890, ora abrogato e sostituito da altro, 19 luglio 1891, n. 447:

«A decorrere dal 1° luglio 1891, la pianta organica del personale di l(a)e 2(a)categoria e degli uscieri dell’amministrazione della P. S., è stabilita come dall’annessa tabella, vista d’ordine Nostro dal ministro proponente».

(2)Questo articolo è stato modificato colla legge 31 marzo 1892, n. 173:

«Possono essere ammessi nel personale degli ufficiali di pubblica sicurezza, ove abbiano i requisiti che saranno stabiliti nel regolamento e previo il parere del consiglio di amministrazione e disciplina, gli ufficiali ed i marescialli dei reali carabinieri ed i graduati delle guardie di città.

«Possono essere ammessi nel medesimo personale gli ufficiali degli altri corpi dell’esercito e dell’armata, purché non oltrepassino l’età di anni 45 ed abbiano superato gli esami di concorso prescritti dall’art. 9 della legge.

«Sono titoli di preferenza per gli ufficiali dell’esercito e dell’armata, a parità di voti negli esami di concorso, i maggiori servizi! militari prestati. »

(1)Questo articolo è stato modificato colla legge 31 marzo 1892, n. 173:

«L’arruolamento delle guardie di città è riservato al ministro dell’interno, il quale, a mezzo delle prefetture, raccoglierà le domande degli aspiranti, e dopo aver accertata la regolarità dei documenti comprovanti il concorso dei requisiti voluti dal regolamento, provvederà alla nomina».

(1) Questo articolo è stato modificato colla legge 31 marzo 1892 n. 173:

«Le infrazioni alla disciplina e le mancanze al servizio delle guardie di città, sono punite nei casi e nei modi stabiliti dal regolamento:

«1 ° Con l'ammonizione;

«2º Con la sospensione della paga sino a tre mesi;

«3º Con l'arresto in camera di disciplina fino a 60 giorni;

«4º Con la retrocessione dal grado;

«5º Con il licenziamento;

«6 Con l'espulsione dal corpo;

«7° Con la incorporazione nelle compagnie di disciplina ».

(2) Questo articolo è stato modificato colla legge 31 marzo 1892, n. 173: regolamento:

«1 ° Con l'ammonizione;

«2º Con la sospensione della paga sino a tre mesi;

«3º Con l'arresto in camera di disciplina fino a 60 giorni;

«4º Con la retrocessione dal grado;

«5º Con il licenziamento;

«6 Con l'espulsione dal corpo;

«7° Con la incorporazione nelle compagnie di disciplina ».

«Sono sottoposte alle deliberazioni del consiglio di disciplina tutte le infrazioni e mancanze alle quali sono applicabili le pene di che ai numeri 4, 5, 6, e 7 dell'art. 23.

«Il consiglio pronunzia, sentito l’imputato nelle sue discolpe, e le deliberazioni sono sottoposte all’approvazione del ministro dell'interno.

«Le pene di cui ai numeri 1, 2 e 3 del citato art. 25 saranno inflitte, secondo le prescrizioni del regolamento, dall’ufficiale comandante, dall'ispettore provinciale, dal questore, dal sottoprefetto, dal prefetto e dal ministro dell’interno».

(1) Questo articolo è stato modificato colla legge 31 marzo 1892, n. 173.

«È punita secondo il codice penale militare e dai tribunali militari:

«1º La diserzione qualificata, cioè con asportazione d'arma da fuoco, dal corpo;

«2° L'insubordinazione ai superiori, accompagnata da minaccie o vie di fatto.

«Sono superiori i graduati del corpo e gli ufficiali di pubblica sicurezza.

(2)Questo articolo è stato modificato colla legge 31 marzo 1892, n. 173:

«Le guardie di città sono comandate e dirette nel servizio, sotto la dipendenza dell’autorità politica, dagli ufficiali di pubblica sicurezza.

«Al comando delle guardie nelle città, sedi di questura, sarà dal ministro dell’interno designato un ufficiale di pubblica sicurezza, il quale dovrà in servizio vestire la divisa che sarà stabilita dal regolamento».

(3)Vedi gli art. 6 e 7 del testo unico delle leggi sulle pensioni militari, approvato con regio decreto 22 aprile 1888, n. 5378.

(1)Art. 131 della legge 17 agosto 1882, n. 956 (testo unico) sul reclutamento del l’esercito:

«I militari dell'esercito permanente e della milizia mobile in congedo illimitato, sì di i che di 2(a)categoria, possono con decreto reale essere chiamati sotto le armi in totalità ovvero in parte, per classi, per categoria, per arma o per corpo o per distretto militare, tanto per l’istruzione loro, quanto per rassegne o per eventualità quando il Governo lo giudichi opportuno.

«Dovranno però ogni anno essere chiamati sotto le armi, per un periodo non maggiore di un mese, i militari ascritti alla l(a)categoria di una o più classi che si trovano in congedo illimitato od almeno quelli di essa che sono ascritti all’arma di fanteria ed all’artiglieria da campagna.

«Dovranno anche ogni anno essere chiamati per ricevere l’istruzione i militari della 1 parte di 2(a)categoria di una classe per un periodo di tempo da due a sei mesi, ripartibili in uno o più anni ed i militari della 2 parte della stessa 2 categoria, per una durata non minore di quella istruzione che sarà sarà data ai militari di 3(a)categoria.

«Sono dispensati dalle chiamate di cui sopra i militari di l(a)e di 2(a)categoria che trovansi in attività di servizio nelle guardie di finanza, nelle guardie di pubblica sicurezza o nelle guardie carcerarie».

(1) Art. 272 della legge comunale e provinciale 10 febbraio 1889, n. 5924:

«Cessano di far parte delle spese poste a carico dei comuni e delle provincie dal 1° gennaio 1893:

«a) le spese pel mobilio destinato all’uso degli uffizi di prefettura e sotto prefettura, dei prefetti e sotto prefetti;

«b) le spese ordinate dal regio decreto 6 dicembre 1865, n. 2628, sull’ordinamento giudiziario;

«c) le spese ordinate dalla legge 23 dicembre 1875, n. 2839, per le indennità di alloggio ai pretori;

«d) le spese ordinate dalla legge 20 marzo 1865, allegato B, sulla pubblica sicurezza, relative al personale e casermaggio delle guardie di pubblica sicurezza, come pure le spese relative alle guardie di pubblica sicurezza a cavallo, poste a carico dei comuni di Sicilia;

«e) le spese di casermaggio dei reali carabinieri;

«f) le spese relative alla ispezione delle scuole elementari;

«g) le spese delle pensioni agli allievi ed alle allieve delle scuole normali attualmente a carico della provincia in forza dell’art. 202, n. 13».

(1)Art 1, lett. A, della legge 14 aprile 1864, n. 1731, sulle pensioni civili: Hanno diritto di essere collocati a riposo e di conseguire pernioni: a)Gl'impiegati che hanno compiuti 40 anni di servizio, ovvero 65 anni di età con 25 anni di servizio».

(1)Modificato con R. D. 8 giugno 1893, n. 339.

(2)Modificato con R. D. 8 giugno 1893, n. 339.

(1)Modificati con R. D. 8 giugno 1893, n. 339.

(2)Modificati con R. D. 8 giugno 1893, n. 339.

(1)Modificati con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(2)Modificati con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(1)Modificati con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(2)Modificati con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(1)Modificato con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(2)Modificato con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(3)Modificato con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(1)Modificato con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(2)Modificato con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(1)Modificato con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(2)Modificato con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(1)Modificato con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(2)Modificato con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.

(1)Modificato con regio decreto 8 giugno 1893, n. 339.











Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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