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LA SCUOLA PEDAGOGICA MODERNA NAPOLETANA

E IL SECONDO CONGRESSO PEDAGOGICO NAZIONALE

DISCORSO INAUGURALE

DI

G. NISIO

Presidente dell'Associazione fra gl'Insegnanti delle Scuole Normali   

NAPOLI

TIPOGRAFIA ANGELO TRANI

Via Medina, 25 1901

1901

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AVVERTENZA

Questo discorso fu consegnato sin dal 29 Luglio passato al Comitato ordinatore del secondo Congresso Pedagogico Nazionale in Napoli; affinché con le conclusioni de’ relatori intorno ai temi fosse pubblicato per le stampe innanzi la radunanza generale fissata per il 31 Agosto. Intanto, differitosi a tempo più propizio il Congresso, si è creduto di non tralasciarne altresì la stampa. Esso contiene un importante documento dello sviluppo storico del pensiero pedagogico moderno napoletano ed un ricco tesoro di ammaestramenti accumulato dall’esperienza e dalla meditazione di un secolo e mezzo intorno al problema pedagogico che agita al presente la coscienza e l'opinione pubblica italiana, quello della Scuola educatrice. E può stare da sè.

Signori,

Dopo Torino, Napoli conveniva fosse la sede della radunanza del Congresso pedagogico nazionale.

Colà fu la culla della presente Scuola italiana.

E commemorandosi ivi, con una mostra scolastica nazionale, il fausto avvenimento della recuperata libertà politica, gli Educatori italiani, da ogni parte là convenuti, ai ricordi degli Spiriti Grandi che primi fecero la Scuola ministra di virtù patriotiche, ed alla vista de’ progressi reali di essa, si sentirono rinfocati il cuore di più caldo amor di patria e riconfermata la fede nella efficacia educatrice del loro apostolato civile.

Qua è la fonte viva e perenne della prima dottrina pedagogica moderna italiana. E gli stessi Educatori vi troveranno lume e norma allo studio dell'importante problema della Scuola educatrice, del quale l’ora presente richiede loro una soluzione pratica ed opportuna.

E non dico ciò per artificio rettorico o ad allettamento di vanità regionale; ma di piena coscienza: e sono qui a darvene le prove.

Se voi mi sarete larghi della vostra cortese attenzione, io spero di dimostrarvi: che a Napoli spetta il vanto di aver fondata, prima che altra parte d’Italia, una scuola di pedagogia moderna; e che una serie non interrotta di eletti ingegni, da un secolo e mezzo in qua, con singolare concordia d’intenti e grande sapere, si sono studiati di risolvere, e in teorica ed in pratica, le questioni pedagogiche che al presente formano l’obbietto delle vostre discussioni.

Verso la fine della prima metà del secolo XVIII, mentre la nuova monarchia, che aveva restituita la indipendenza al Regno delle Due Sicilie, prometteva di volere risarcire i danni delle passate dominazioni straniere e migliorare la sorte infelice del popolo, una pleiade di grandi scrittori, veri filantropi illuminati, risplendeva nel cielo di Napoli. E questi per aiutare i generosi sforzi del Sovrano riformatore, rivolsero il loro ingegno e la loro dottrina ad esaminare i vizi ed i mali degli ordinamenti politici, economici, civili e sociali del Regno e cercarne i rimedii ed i miglioramenti.

Non ultimo tra quella nobile schiera, l’Abate Genovesi, dedicò la sua vita alla riforma degli studi e de’ metodi degli insegnamenti delle scuole secondarie classiche.

Quantunque prete lamentava che nell’istruire la gioventù era trascurato l'insegnamento della lingua e della letteratura italiana, e che nelle lezioni scientifiche della Università si usasse ancora la lingua latina, la quale impediva la diffusione de’ lumi tra il popolo, oppresso dal doppio giogo dell; ignoranza e della superstizione. E chiamato nel 1754 alla cattedra di Economia civile, fondata esclusivamente per lui nella Università di Napoli, per mezzo di queste lezioni, fatte in lingua italiana, seppe suscitare nella gioventù napoletana, accorrentevi con vivo interesse ed in grandissimo numero, una nuova vita intellettuale.

Non si peritò di proclamare l'Italia la grande patria comune degl’italiani, di ricordare le due gloriose epoche del suo incivilimento per incitare gli animi a prepararne una terza e, come gliene si porgesse il destro, di levare a cielo i pregi della lingua e della letteratura nazionale. Nè si rimase nelle sue acclamate lezioni sull’Economia di censurare i cattivi sistemi di educazione e d’istruzione in voga al suo tempo, di toccare de’ principii fondamentali della Scienza pedagogica e di accennare le proprie idee sul migliore ordinamento dell’istruzione pubblica e sui metodi didattici più razionali.

La educazione, seguendo Aristotile, egli voleva di dritto pubblico perché l’uomo in società è ipotecato a tutto il corpo e con ciò all’impero del corpo; e che quella mirasse a fare delle buone teste e de’ corpi robusti. Perciò stabiliva che il bene educare spettasse alla legge, che è la balia comune, e che lo sviluppo della ragione negli uomini dovesse procedere di pari passo con lo sviluppo del corpo, che n’è lo strumento. Lasciar venire il corpo sano, robusto e ben fatto, egli diceva, è, senza saperlo, fare delle buone teste.

E condannava il sistema educativo del suo tempo che faceva il contrario. Il corpo si sviluppa pian piano sino ai venti anni; è dunque da aiutarlo con gli esercizi corporei: noi l'opprimiamo con i troppi studi letterari e con la vita sedentaria. La ragione non è in niuno perfetta che dopo i venti anni, e noi la vogliamo far grande ne’ dieci. Affermava che l'educazione de' fanciulli fassi più per gli occhi che per le orecchie; e consigliava ai maestri di coltivar più l'ingegno de’ loro alunni che la memoria.

E questi principii, frutto della sua lunga esperienza didascalica e delle sue meditazioni sulla scienza dell'educazione, il Genovesi ebbe campo di mettere in pratica, quando nel 1767, espulsi dal Regno i Padri Gesuiti, fu egli invitato dalla Corte a compilare un disegno di riordinamento degli studi pubblici per colmare il vuoto lasciato nell'istruzione del popolo dalla soppressione di quell'Ordine.

Ma di questo vasto piano di studi pubblici non fu messa in atto che piccolissima parte, e lo stesso scritto del Genovesi, sventuratamente, andò pure smarrito. La pietà del suo devoto discepolo, G. M. Galanti, riuscì a raccoglierne c salvarne alcuni brani. E da questi si apprende che la scuola primaria e gratuita del popolo dovesse formare la base dell'intero edifizio scolastico; che la scuola secondaria avesse a dare alla lingua ed alla letteratura italiana egual posto che alla latina e greca, e che accanto agl’insegnamenti filologici e scientifici vi avessero luogo pure i così detti pratici e professionali. Ma non si rileva pienamente l'organismo amministrativo e pedagogico di questo nuovo piano della istruzione pubblica concepito dal Genovesi.

A questo proposito il Racioppi scrive: «Era concetto del Genovesi, che l'insegnamento elementare e gratuito al popolo (dovere sino allora ignorato, e cura negletta delle pubbliche potestà) fosse messo siccome a fondamento di tutto l'edifizio; che l'insegnamento secondario compiuto fosse anello a congiungere gli studi superiori dell'Università, e fosse, per molti rispetti, complemento agii studi dell'Università stessa; la quale, come accade alle corporazioni uffiziali e non uffiziali che siano e che sono le ultime a riformarsi, stagnava o ingombra di un superfluo invecchiato o mancante del necessario. Era un complesso d7 insegnamento classico e d'insegnamento tecnico, cura speciale dell'età nostra, quando egli voleva congiunti agli studi, che dirò filologici e di geografia e di storia universale, gli studi di matematica, di trigonometria applicata, di fisica sperimentale e di meccanica, di architettura e di agricoltura».

«Queste egli diceva scienze delle cose: e diceva studi di parole e di pedanteria quelli che ancora insegnavano i frati dei suoi tempi: per i quali era come se non esistessero né matematica, né meccanica, né storia civile o della natura, né fisica, oltre alla peripatetica» (Vita del Genovesi).

Quegli che compendiò, verso la fine del secolo XVIII, tutto il pensiero pedagogico napoletano, fu il cavaliere Gaetano Filangieri.

Di lui, già famoso in Europa ed in America per la celebre Opera «La Scienza della Legislazione« il Goethe, che nel suo viaggio in Italia avevano visitato in Napoli, lasciò scritto questo simpatico ritratto: Il Filangieri appartiene a quella schiera di giovani stimabilissimi, i quali hanno di mira la felicità dell'uomo ed una lodevole libertà. Nel suo aspetto si può riconoscere il soldato,, il cavaliere e l'uomo di mondo: questo contegno però è mitigato dall'espressione di un delicato sentimento morale, che si spande su tutta la persona, trasparendo con grazia dalla parola e da tutto l'esser suo (Viaggio in Italia).

E veramente egli fu si profondamente compreso della nobile e filantropica missione di scrittore civile, che a quella pospose onori, agi, salute, tutto. All'età di appena diciannove anni, mentre si agitava la quistione di sostituire al sistema di educazione de’ Padri Gesuiti, espulsi, un altro migliore, egli meditava un opera di pedagogia. Ma la meditazione sopra tale argomento condusse la vastissima mente di lui ad estendere le sue investigazioni sopra la riforma di tutta la legislazione; e la materia raccolta intorno all'educazione in genere divenne di poi la sostanza del quarto libro della sua grande ed immortale Opera.

Questo libro quarto, che discorre «Delle leggi che riguardano l'educazione, i costumi e l'istruzione pubblica» ha formato come il centro di tutto lo sviluppo posteriore del pensiero pedagogico napoletano, così nell'ordine delle idee come in quello dei fatti.

Esso non è un trattato teorico della Scienza dell'Educazione; ma conformandosi alla natura pratica della grande Opera di cui era una parte, contiene un disegno compiuto di legislazione scolastica non limitata al solo Regno di Napoli ed al secolo XVIII, bensì universale e perenne.

Prima di tutto il Filangieri stabilisce alcuni principii generali che servono di norma al suo piano di educazione pubblica.

Attribuisce allo Stato, tra gli altri doveri, quello principale dell'educazione pubblica, e viene divisando le varie parti dell'uffizio di esso nel mantenerla, governarla e dirigerla.

E torna a grandissima lode del nostro Autore l'avere non solo affermata in astratto la funzione educativa dello Stato, ma regolatane Fazione pratica per rispetto ai varii istituti ne’ quali si effettuirebbe la educazione pubblica, quando presso le altre nazioni più civili le scuole di qualunque grado conservavano ancora carattere privato o confessionale, quantunque, in Prussia ed in Austria, i Monarchi liberali avessero solennemente dichiarato, che serbavano a sè la direzione suprema e la vigilanza generale di esse scuole.

Non è solo questo il merito del Filangieri. Nel suo piano di educazione pubblica si trovano espressi concetti pedagogici, che di lunga mano precorrevano l'età sua.

Ammiratore del Locke e del Rousseau, seppe allontanarsi da loro, statuendo pubblica la educazione e generale ed estesa a tutti i cittadini. Sono notevoli per il tempo di lui le ragioni tratte dal principio della uguaglianza civile, dalla concordia sociale e dalla reciproca solidarietà delle classi de’ cittadini per dimostrare la sua affermazione. Ecco le sue parole: «A misura che i vincoli che uniscono i cittadini tra loro si moltiplicano, il corpo sociale acquista maggior vigore, e meno esposta a pericolo è la sua libertà. Avviciniamo dunque gli uomini sino dall'infanzia. L'abito del convivere in un/ età nella quale le cause della discordia son poche, deboli e momentanee, fortificherà la sociale unione ed avvezzerà i cittadini a considerarsi tutti come membri di uno stesso corpo, figli di una stessa madre e individui di una sola famiglia; la disuguaglianza delle condizioni e delle fortune perderà una gran parte de’ suoi tristi effetti; e la voce potente della natura che intima e ricorda agli uomini la loro uguaglianza troverà le orecchie de’ cittadini disposte e preparate ad ascoltarla... Abituandosi i fanciulli a conoscere il bisogno che essi hanno de' loro simili per i loro giochi e per i loro piaceri, si avvezzeranno anche a mettere la loro parte nella riconoscenza e nelle attenzioni; e queste continue permute de’ buoni uffizi non lascieranno di produrre nelle loro anime tenere l'amore della società e la pratica cognizione della reciproca dipendenza del genere umano: essi si avvezzeranno a conoscere la necessità di sottoporre la loro volontà a quella degli altri, ad abbonire l'ostinazione ed i trasporti dell'ira ed a circoscrivere ne' giusti confini il naturale istinto per la libertà» (Libro IV, Capo 2°, pag. 15 e 16).

Ma questa educazione universale il Filangieri non la voleva uniforme.

«La educazione pubblica per essere universale non ha bisogno di uniformità. Essa richiede che tutti gl'individui della società possano partecipare all'educazione della legge, ma ciascheduno secondo le sue circostanze e la sua destinazione. Essa richiede che il colono sia istituito per essere cittadino e colono e non per essere magistrato o duce. Essa richiede che l'artigiano possa ricevere nella sua infanzia quella istituzione che è atta ad allontanarlo dal vizio, a condurlo alla virtù, all'amore della patria, al rispetto delle leggi ed a facilitargli i progressi nella sua vita, e non già quella che si richiede per dirigere la patria ed amministrare il governo. L'educazione pubblica finalmente per essere universale richiede che tutte le classi, tutti gli ordini dello Stato vi abbiano parte, ma non richiede che tutti questi ordini, tutte questi classi vi abbiano la stessa parte (Idem Cap. 3°, pag. 17).

Raffermati questi principii generali, il Filangieri discende ai particolari del suo piano di educazione pubblica. E questo primieramente divide in tre parti.

La prima riguarda la educazione, fìsica, la seconda la educazione morale e la terza la educazione scientifica o istruttiva. Le prime due specie di educazione, e nella sostanza e nella estensione e nel metodo, sono comuni a tutti gli ordini di scuole e di cittadini, salvo le modificazioni richieste dalle particolari condizioni e dalla destinazione sociale di questi.

Convinto il nostro Autore che per via dell'educazione l'uomo può migliorare il suo corpo insieme con lo spirito, espone particolarmente le norme igieniche intorno all'alimentazione, alle vesti, alla respirazione, alla nettezza ed alla occupazione mentale, dirette a fare sviluppare sano il corpo; tutti gli esercizii muscolari atti a farlo crescere robusto, agile, snello; ed i giochi, le abitudini d'indurimento fisico alle sofferenze e ai disagi e le esercitazioni militari, intesi a rendere allo spirito del giovinetto la padronanza di sè contro le impressioni esteriori, a combattere la mollezza e la sensualità e a coltivare il sentimento del dovere e l'energia della volontà; cioè a dire a formarne il carattere.

Ammiratore delle discipline educative de' Greci e de' Romani e seguace di Locke e di Rousseau consacra molte pagine, piene di savie osservazioni e di utili consigli, alla educazione fisica, che al suo tempo era molto e generalmente trascurata.

Nè meno rilevante parte egli concede alla educazione morale. La quale, secondo lui, ha per oggetto di far penetrare nell'animo dell’educando l’idea de’ doveri individuali e sociali, della propria dignità e della personalità autonoma e di svilupparne le attitudini pratiche in conformità della destinazione della sua vita e degl’interessi della società di cui è membro. E vuole che essa venga data, non per occasione, ma con ordine, con gradazione e continuità durante tutto il tempo della educazione.

Con grande sapienza viene particolarmente indicando le varie forme di lezioni e di conversazioni ed il metodo intuitivo e sperimentale, mediante i quali non solo i concetti morali sieno resi accessibili alle menti de’ giovanetti, ma tutto l’insegnamento diventi concreto; ossia che s’ispiri alla vita reale, agl’incidenti che cadono sotto gli occhi degli alunni, alle tendenze della classe a cui essi appartengono ed alla loro destinazione sociale. Alla pura istruzione della mente aggiunge lo sviluppo de’ sentimenti, la pratica de’ doveri e l’esercizio del giudizio morale sulle azioni umane, sia facendo agli stessi giovinetti esaminare il valore morale de’ fatti degli uomini antichi e moderni, sia chiamandoli giudici de’ meriti e de’ demeriti dei loro compagni, quando a questi si avesse ad attribuire un premio o ad infliggere un castigo.

La base della dottrina morale che egli raccomanda è nella ragione naturale e non nella fede religiosa; ed il programma particolare da lui formulato comprende i principii così della giustizia e della virtù umana come della giustizia e della virtù sociale. Meritano di essere meditate anche ora le riflessioni che egli fa sull’educazione de’ sentimenti, sull’efficacia morale degli esempi, sui castighi, sui premi, sulle letture individuali e sulle cure per formare intorno agli alunni un sano atmosfera morale.

La terza parte del suo piano, la educazione scientifica, è dal nostro Autore distinta in due specie: l'una che è ordinata in prò di coloro che hanno a servire la società con le braccia, e l’altra di coloro che hanno a servirla con l’ingegno.

La prima, che comprende il maggior numero dei cittadini, corrisponde alla presente educazione popolare. E l’ordinamento amministrativo e pedagogico di essa proclama principii che presso di noi sono ancora un’aspirazione e una speranza. E tale piano di educazione usciva alla luce sei anni prima che la Costituente francese facesse la legge con cui si dichiarava doversi creare in Francia un’educazione comune a tutti e sostituiva all'uopo una Commissione.

Il Filangieri nel suddetto piano stabilisce, che la educazione pubblica popolare debba essere:

a) Una istituzione dello Stato, tutta a carico di esso per la spesa e sotto la sua direzione immediata; la quale si avesse a praticare per mezzo di una magistratura speciale, da esso eletta indipendente da ogni altra autorità locale, e diramantesi dal centro ai capiluoghi e da questi a qualunque piccolo Municipio del Regno per curare unicamente la educazione popolare in conformità della legge.

b) Gratuita del tutto; essendo gli alunni esenti da tasse, da spesa di libri e di materiale scolastico, forniti non della sola colazione, ma dell’intero cibo, degli abiti e di tutto il mantenimento lungi dalla casa paterna.

c) Obbligatoria a tutti i figliuoli delle famiglie dedite al lavoro, ma senza la sanzione. Egli a tale proposito osserva: «Siccome tutte le spese pel mantenimento e per l'educazione de’ fanciulli di questa prima classe andranno a conto del governo, non ci vuol molto a vedere che il numero de’ padri che rinunzieranno a questo vantaggio sarà molto ristretto. La sicurezza di avere il figlio educato ed istruito, ed il vantaggio di non dover pensare alla sua sussistenza sono due sproni bastantemente forti per togliere dalle domestiche mura ed inviare all'educazione del magistrato e della legge tutti i fanciulli di questa classe, senza costringere la paterna libertà. Inimica della violenza, la legge deve, sempre che può, invitare gli uomini a concorrere ai suoi disegni e non forzarli. Il suo impero è sempre più forte e più augusto, quando l'esercita sulla volontà di chi agisce e non sull’azione». (Capo Vili, pag. 26).

d) Laica affatto e per la natura dell’insegnamento e per la persona dell’insegnante.

Ecco le sue parole: «La destinazione degl’individui di questa prima classe è di servire la società con le loro braccia. Gl’interessi della società sono di trovare in essi tanti cittadini laboriosi ed industriosi in tempo di pace e tanti difensori intrepidi in tempo di guerra; buoni coniugi e migliori padri; istruiti de’ loro doveri, come de’ loro diritti; dominati da quelle passioni che alla virtù conducono; penetrati.(dal rispetto per le leggi e dall’idea della propria dignità» (pag. 53).

Ed appresso: «Se mi si opporrà che la cura dell’istruzione morale e religiosa dovrebbe essere affidata ai ministri dell’altare, piuttosto che al magistrato educatore, io risponderò, che, siccome ninna religione proibisce ai padri d'istruire ne' suoi dogmi i figli, molto meno potrà proibirlo al magistrato che dalla pubblica autorità viene scelto per farne le veci; dirò che, finché non si combinino perfettamente gl'interessi del sacerdozio con quelli della società e dell'impero, è sempre pericoloso il metterlo a parte della pubblica educazione» (pag. 79).

Della durata di tredici anni, pratica e integralmente compiuta, secondo il concetto della pedagogia moderna.

Questo concetto è con precisione espresso nella seguente formula dell'illustre professor De Dominicis: «Nella Scuola popolare vanno distinti tre gradi: l'elementarità; la cultura educativa, necessaria all'uomo civile e al cittadino; la professionalità esplicativa della personalità economica degli alunni» (Annata pedagogica 1899-1900).

E nel piano di educazione pubblica popolare statuito dal Filangieri gli alunni, durante i tredici anni di educazione obbligatoria, percorrerebbero appunto questi tre gradi.

L'istruzione letteraria fornirebbe loro i primi elementi della cultura, cioè il leggere, lo scrivere ed il fare i conti. Impartiti per via del metodo normale, indicato dal nostro Autore, non consisterebbero in pure cognizioni strumentali, ed oltre a ciò verrebbero fecondati ed allargati per mezzo della lettura privata di libri acconci, ordinata per tutto il corso dell'educazione ad utile esercizio di autodidattica.

L'insegnamento morale e civico, che accompagnerebbe l'educando dal settimo al diciottesimo anno, mirerebbe a formare in esso la personalità etica concreta, sociale e politica, suggellata con solenne giuramento nella festa pubblica della sua emancipazione scolastica.

L'apprendimento e l'esercizio dell'arte, scelta secondo la naturale vocazione, perfezionato da opportune cognizioni scientifiche applicate e dallo studio del disegno e dallo sviluppo di corrispondenti abilità manuali, compirebbe nell'alunno la personalità economica e professionale. Al termine della sua educazione esso si troverebbe di avere in sua balia il mezzo di procurarsi la felicità sua servendo alla comune utilità sociale.

Or il descritto piano di educazione popolare ad essere recato in atto avrebbe avuto bisogno di gravissima spesa.

Ed il Filangieri che non era un utopista e che proseguendo radicali riforme non perdeva di vista il reale e la possibilità e la facilità dell'esecuzione di esse, non trascurò la ricerca dei mezzi sufficienti all’uopo.

Nel libro della legislazione economica aveva dimostrato la istituzione delle milizie perpetue nociva all’aumento della popolazione e della produzione; e in questo libro sull’educazione ne propose la soppressione, affinché i grandi tesori ad essa impiegati si devolvessero in beneficio dell’educazione pubblica popolare. Ma, poiché egli era un filantropo illuminato e non un anarchico, in luogo delle milizie perpetue sostituì un men dispendioso ordinamento militare; in cui tutti i cittadini, rinvigoriti il corpo per la ginnastica, addestrati negli esercizi militari ed animati dalla coscienza del dovere verso la patria formerebbero la vera nazione armata, baluardo validissimo della libertà e dell’indipendenza della nazione.

Altrettanto ardito e sapiente innovatore fu il nostro Autore nel piano di educazione dell’altra categoria di educandi, che è detta ora istruzione secondaria.

Anche questa volle pubblica, lungi dalla famiglia, diretta e dipendente dallo Stato, ma non gratuita come la popolare, e pagata dai giovanetti che se ne giovassero. I collegi, come furono chiamati gl’istituti educativi dei giovanetti nati per servire alla patria con l’ingegno, egli divisò non a tipo unico ed uniforme, ma di vario ordinamento secondo le diverse professioni liberali e gli uffici pubblici ai quali i giovani si potessero avviare. Sino i giovani destinati a divenire dipoi, ministri di una religione dovevano essere costretti a ricevere negl’istituti diretti dallo Stato la istruzione secondaria comune a tutti i cittadini.

Tralasciando la parte amministrativa e disciplinare di questi collegi, m’indugierò alquanto sul programma d’insegnamento secondario, che, salvo poche modificazioni, egli stabilisce a tutti comune, come minimo di cultura generale di ogni persona civile. In questo si pare tutta la originalità del pensiero pedagogico del Filangieri.

Egli che nella prima età aveva patito lo strazio e il danno di affaticare la niente, appena imparato il leggere e lo scrivere, intorno alla grammatica latina scritta in latino barbaro, volle risparmiare alle future generazioni tale tortura; e ripudiando il tradizionale sistema degli studi classici, divisi in corso di grammatica, di umanità, di rettorica e di filosofia, ne cercò un altro più consentaneo a ragione ed ai principii della pedagogia, sorta di opposizione a quella de’ P. Gesuiti.

Studioso, di Montaigne ed ammiratore dell’Emilio di Rousseau, pensò che nell’ordinare la istruzione la natura avesse ad essere guida e maestra e che quella dovesse conformarsi alle leggi costanti onde l’uomo è da natura regolato nello sviluppo della mente e nell’acquisto delle conoscenze. Ed avendo osservato che la vita intellettuale deifi uomo incomincia dalle sensazioni per salire a grado a grado all’astrazione più alta, e che questo sviluppo della mente procede di pari passo con quello del corpo, concepì un programma didattico in cui la distribuzione de’ vari insegnamenti e la loro successione corrispondesse perfettamente a queste due leggi. L’intero corso di educazione secondaria, della durata di quattordici anni, lo divise in tre periodi: L’uno di avviamento e di preparazione agli studi classici; l’altro d’insegnamenti letterari, e antichi e moderni; il terzo d’insegnamenti scientifici generali, accompagnati da qualche applicazione speciale e pratica secondo lo scopo finale del collegio.

Il primo periodo di preparazione agli studi secondari, dura quattro anni e corrisponde al nostro corso elementare.

Il suo programma comprende: Lettura, scrittura e calcolo; Lingua materna ed un’altra vivente da insegnarsi amendue praticamente e per l'uso del parlarle; Insegnamento descrittivo della storia naturale, fondato sulla osservazione e sulla realtà intuitiva; Esercizio educativo de’ sensi ed esperimenti per correggerne gli errori; è) Disegno degli oggetti naturali osservati e già descritti a voce; Nozioni intuitive sopra i più appariscenti fenomeni cosmologici; Un corso di sperimenti chimici.

Base di tutti questi insegnamenti sarebbe la prima facoltà della mente, che il nostro Autore chiama percezione, e fine di essi di sviluppare e educare convenientemente questa facoltà. Se non che per la consonanza naturale e l’armonia che esiste tra le varie attività della mente, esercitandosi la percezione, le altre non rimangono inerti e senza progressivo sviluppo.

Principio del metodo insegnativo, adottato a questo primo periodo d’istruzione elementare, è questo: «Essere impossibile insinuare nella mente del fanciullo un concetto astratto innanzi ad un concreto, e questo innanzi ad una immagine sensibile».

Mentre il grande Pestalozzi faceva in Svizzera i primi non felici esperimenti della filantropica opera sua, il Filangieri, in Italia, sull’esempio dell’Emilio, indicava particolarmente gli esercizi e gli esperimenti con i quali i suddetti insegnamenti potessero rendersi accessibili alle tenere menti dei ragazzi. Senza che egli avesse creata la voce intuizione, ne ideò il concetto e ne praticò l'arte.

Mercé così sapiente preparazione, gli alunni, nello spazio di quattro anni, non solo acquisterebbero gran copia d’idee chiare e precise con le voci e le locuzioni corrispondenti e l'abitudine di osservare, comparare, sperimentare, ma ancora conseguirebbero un graduale sviluppo di attenzione, di riflessione, di memoria, di analisi e sintesi.

Con siffatte disposizioni della mente essi senza difficoltà e senza noia entrerebbero nel secondo periodo, che è il principio dell'insegnamento più severo, detto secondario.

Nello stabilire il piano degli studi della scuola secondaria il Filangieri si trovava di fronte alle due opposte correnti pedagogiche, la scientifica e la umanista, che allora si sforzavano di prevalere in quella. Ed egli con singolare senno e moderazione seppe tenersi lontano dai due partiti estremi.

Da un lato rigettò la dottrina pedagogica del Diderot, dottissimo fautore della educazione secondaria scientifica, il quale aveva escluso da essa come inutile fi insegnamento delle lingue classiche. Egli per contrario in questo riconosceva uno strumento di ginnastica intellettuale per i giovanetti, una sorgente di nobile educazione morale e politica ed un esercizio efficace del buon gusto letterario.

Dall'altro lato si discosto dagli eccessivi favoreggiatori dello studio delle lingue classiche, i quali ponevano queste come unica e sola base di cultura. Chè ad esse egli assegnò, pur non isdegnando la compagnia delle scienze positive e sperimentali, una parte rilevante; ma con questa riserva, che lo studio del latino avesse ad essere di obbligo a tutti, e quello del greco ai soli alunni di più eletto ingegno e che ne dimostrassero attitudine.

Circa il tempo più opportuno a siffatto insegnamento, egli, contro il parere di coloro che lo volevano indugiato sino all'anno diciannovesimo o vigesimo, ne fissò il cominciamento al primo anno di questo secondo periodo, quando negli alunni la memoria si fosse, come abbiamo veduto sopra, abbastanza sviluppata.

Seguendo la norma stabilita, che gl'insegnamenti debbano corrispondere al grado di sviluppo della mente degli alunni, il Filangieri pospone lo studio delle scienze a quello delle lingue e letterature antiche c moderne. E tutto il programma didattico dell'educazione secondaria egli ha ordinato in guisa, che ne’ primi quattro anni gli alunni diano opera studiosa alle materie letterarie, con l'aiuto della memoria e dell'immaginazione; e ne’ seguenti anni, quando la ragione in loro è sviluppata, alle materie scientifiche.

Per amor di brevità non descriverò l'insegnamento della storia, nel quale egli richiede l'esposizione cronologica e sincrona de' fatti umani, né quello della geografia che deve servire d’ illustrazione e compimento agli avvenimenti storici. Ma farò qualche cenno del metodo che il Filangieri consiglia nell’insegnamento della lingua latina.

Intento comune a tutti i pedagogisti a lui precedenti, pietosi amici della fanciullezza, era stato la ricerca di una via meno aspra, più dilettevole, meno faticosa e più breve per condurre gli alunni all'apprendimento della lingua latina. E il Filangieri pur mirando allo stesso intento, si diparte dalle vie da loro additate, e ne tenta un’ altra meglio conducente alla meta.

Non accettando il metodo del Comenio, che per via di un manuale di nomenclatura latina, combinata con l’insegnamento oggettivo, tentava di rendere più agevole lo studio e la pratica della lingua latina, né il consiglio di Locke, che credeva doversi insegnare il latino come le lingue viventi, per mezzo dell’uso del parlare, egli pose a fondamento di questo studio la lettura immediata e l’interpetrazione delle opere de’ classici latini. Ma per iniziare i ragazzi a questa lettura era loro necessaria una conoscenza rudimentale degli elementi della morfologia latina. E a conseguire ciò egli giudicava inutile anzi nocivo un insegnamento sistematico di grammatica latina, neppure di quella meno noiosa e scritta in lingua materna, che per tenerezza verso la fanciullezza avevano composta i Sapienti di Porto Reale in Francia.

Che bisogno era, per insegnare le flessioni regolari de’ nomi, de’ verbi e de’ pronomi latini, di martoriare la fanciullezza a far mandare a memoria definizioni generali, regole astratte e distinzioni minuziose, cose affatto inintelligibili a quell’età? La grammatica generale il Filangieri non l’aveva in dispregio, anzi la credeva una conoscenza utile ed essenziale in un piano di studi di cultura generale; ma la riserbo a tempo più opportuno, al tempo dello sviluppo della ragione.

Per fare apprendere agli alunni le flessioni delle parole variabili della lingua latina egli propone uno esercizio preliminare di tre mesi, non già aggravando la memoria con lo studio materiale di tutti i paradigmi delle varie declinazioni e coniugazioni, ma adoperando l'analisi e la riflessione sugli elementi costitutivi delle parole per fare intendere la natura de’ suffissi, e la osservazione e il paragone tra la lingua materna e la latina per far conoscere il loro ufficio nello esprimere i rapporti logici delle parole nella proposizione.

È noto che questo modo intuitivo di far apprendere le nozioni elementari della morfologia, non solo non è superiore allo stato della intelligenza degl'alunni che hanno compiuto il corso elementare, ma desta in loro interesse e diletto, e rende più facile e più tenace il ritenere le varie flessioni di cui si è prima inteso il significato e di poi se n'è replicato Auso negli esempi gradatamente ripetuti.

In pochi mesi di siffatto esercizio i giovanetti sarebbero condotti a tale da saper leggere, e, con l’aiuto degl’insegnanti, interpetrare brani facili di opere di autori latini.

A questo effetto, il nostro Autore raccomanda che sì scelgano brani di opere di cui la materia non sia ignota agli alunni, già preparati mediante lo studio della storia e della geografia antica e le letture private accortamente a ciò ordinate.

E superata la prima difficoltà dell'interpretazione del brano, egli consiglia all'Insegnante esercizi graduali non solo per applicare le cognizioni morfologiche prima imparate, e per richiamare l'attenzione, secondo le occasioni, sulle forme irregolari incontratevi e farle ritenere a mente, ma anche per cominciare lo studio della proprietà delle parole, esaminandone la derivazione e la composizione.

Infine propone la lettura più scorrevole e intera dell'opera scelta, alternandone la interpretazione libera, fatta a voce, con la traduzione, fedele e per esattezza di concetti e per proprietà di parole e per colorito di stile, eseguita per iscritto accuratamente.

Ma l'opera dell'insegnante egli vuole che non debba limitarsi all'esame grammaticale e stilistico de' classici, ma anche, e sopra tutto, all'esame de' sentimenti morali e patriotici da loro significati nelle loro opere, dovendosi rivolgere la lettura di queste allo scopo finale, che è la educazione morale e politica della gioventù.

Dopo tre anni di questa lettura diligente delle opere, in prosa e in poesia, degli scrittori classici latini, gli alunni, arricchiti di pensieri e di sentimenti, sarebbero in grado di dare ordine ai loro concepimenti. E nel quarto anno, in cui la loro immaginazione si è venuta coltivando e sviluppando dietro modelli così perfetti lasciati dagli scrittori antichi e moderni, il Filangieri vuole che si dia opera allo studio dell’arte difficilissima del dire. Anche qui egli rifiuta l’uso della rettorica, come aveva fatto quello della grammatica.

Questa arte desidera che si apprenda non per precetti astratti e per regole arbitrarie, ma per via dell’esperienza. La quale è doppia: l’una che esamina i modelli classici di ogni specie di componimenti e con acconce osservazioni ne deriva le norme del comporre, i criteri per rettamente giudicare e per formare il gusto letterario; e l'altra, che conduce la immaginazione riscaldata e vivace a creare, prima secondo l’esempio de’ classici e dipoi di propria invenzione.

Lo stesso metodo propone per il greco.

Ora, dopo quattro anni di tale studio continuo e intenso, e della sostanza e della forma delle opere classiche degli autori e antichi e moderni, nella mente degli alunni, già abituata a grado a grado all’astrazione, la ragione sarebbe fatta matura e capace di affrontare le difficoltà dell’insegnamento scientivo. A questo il Filangieri consacra l’ultimo periodo dell’educazione, il quale dura per sei anni. Egli per condiscendere alle tendenze de’ suoi tempi, in cui le varie scienze matematiche, naturali e sociali progredite disputavano il campo della scuola agl’insegnamenti letterari, fu indotto a concedere loro larga parte nel suo piano di studi. Ma collocando l'una accanto all’altra le materie affini, le ripartì ne’ seguenti gruppi: Ai primi due anni assegnò la geometria elementare e, come allora dicevasi, la trascendentale, con l'aritmetica e l’algebra e con la logica formale derivata dai principii fondamentali della geometria.

Ne’ due anni seguenti, le scienze fisico-matematiche, la fisica sperimentale e le principali teorie dell’economia rurale.

Nel quinto anno, principii del diritto di natura e delle genti, la logica inventiva con la grammatica filosofica.

Nel sesto anno finalmente, studio delle patrie leggi e de’ principii dell’ordine pubblico e della prosperità sociale.

La metafisica non aveva un posto speciale nell’orario delle lezioni; ma contenendo, come scienza universale, i principii fondamentali delle altre scienze, nella trattazione di queste troverebbe la parte che ad essa si appartiene.

Questo programma didattico nelle linee generali doveva essere comune a tutti i collegi, ma in alcune particolarità e nelle scienze applicate variava secondo la speciale destinazione sociale degli alunni.

Non la finirei più se volessi toccare del metodo particolare, che il nostro Autore consiglia per ogni insegnamento, e delle istruzioni preliminari che egli viene accennando sia per apprestare ai giovani le nozioni concrete che sono la base de' concetti astratti scientifici, sia per suscitare in loro l’interesse particolare che rende l’apprendimento di ciascuna scienza uno studio dilettevole ed attivo.

E chiudo questo lungo esame dell’opera del Filangieri con alcune considerazioni generali, che sarebbe utile non dimenticare nelle condizioni presenti del nostro insegnamento secondario.

Prima di tutto per lui la istruzione secondaria ha carattere formativo e non informativo, e valore ed importanza non in ragione della copia delle cognizioni somministrate ai giovani, ma per gli effetti educativi che queste abbiano prodotti, sviluppando le varie attività della loro mente.

In secondo luogo i molteplici e numerosi insegnamenti a cui le esigenze scientifiche del suo tempo richiedevano posto nel piano degli studi, non sono stati presentati in una volta e simultaneamente all’attenzione degli alunni, ma in ordine successivo ed in corrispondenza della graduale evoluzione della mente.

Finalmente questi insegnamenti sono stati raccolti, secondo la loro affinità, in tanti gruppi, in cui fosse impunto di concentrazione, che attirasse e facesse convergere a sè le forze della mente degli alunni.

Presso di noi si è operato altrimenti; e forse questa è la non ultima causa del decadimento de’ buoni studi e del carattere morale della gioventù italiana.

Il IV libro del Filangieri, pubblicato per la stampa nel 1785, rimase senza effetto pratico immediato al suo tempo, tra per la malattia che lui giovanissimo condusse a morte dopo tre anni, e per il turbine della rivoluzione, scoppiato poco di poi, il quale mise a soqquadro il Regno e vi arrestò il pacifico movimento riformatore iniziato dai Principi. Ma esso fu la sorgente vivace del pensiero pedagogico napoletano posteriore.

Appena cessati gli orrori della rivoluzione ed occupato il trono delle due Sicilie dai Napoleonidi, si sentì urgente il bisogno di un efficace ordinamento di educazione pubblica, che fosse esteso a tutte le province, il cui popolo era stato lasciato nella ignoranza e nella selvatichezza dal passato governo.

Interprete eloquente di questo generale sentimento de' liberali napoletani si fece Matteo Galdi per mezzo del suo libro: «Pensieri sull'Istruzione Pubblica» (Napoli 1809). Infiammato il cuore di santo amor di patria e arricchita la mente di dottrine moderne, raccolte durante tre lustri di esilio in cui peregrinò per le nazioni civili d'Europa, egli presentò un piano completo d'istruzione pubblica al nuovo Sovrano, desideroso di riparare ai mali che travagliavano il popolo napoletano.

Questo nuovo disegno di ordinamento dell'Istruzione Pubblica è manifestamente tracciato su quello del Filangieri, con questa differenza che alcune idee di lui troppo universali furono adattate alle condizioni speciali del Regno ed altre modificate alquanto, combinate con quelle divulgate dalla Rivoluzione Francese.

Di questo libro, ispirato da quello del Filangieri, esaminerò brevemente alcune parti, che in qualche modo si riferiscono ai temi proposti all'esame del nostro Congresso.

La istruzione primaria, come quella che accomuna tutte le classi dei cittadini e forma l’unità morale e sociale del popolo, il Galdi vuole che sia la principale cura dello Stato, e quindi governativa, pubblica, obbligatoria e comune a tutti, e nobili e plebei, e ricchi e poveri, diffusa per tutte le parti del Regno ed eguale. La divide in due gradi. Il primo è stabilito in tutti i luoghi ove è una popolazione raccolta da tre a cinquemila abitanti. Ivi insegnerebbero due istitutori e due istitutrici normali, presentati dagl'ispettori Scolastici governativi provinciali e confermati dal Direttore generale dell'Istruzione pubblica. Il programma didattico comune comprenderebbe, per i maschi, il leggere, lo scrivere, le prime quattro operazioni dell'aritmetica con l'applicazione ai rotti e ai decimali, il catechismo religioso e morale e le prime nozioni di agricoltura; e per le donne, gli stessi insegnamenti, ma invece delle nozioni di agricoltura, le prime nozioni dell'economia domestica ed i lavori utili alla vita casalinga.

Tutti i fanciulli di ambo i sessi, da sei a dieci anni, avrebbero 1' obbligo di frequentare tali scuole, almeno quattro volte la settimana, e dai dieci ai dodici anni tre volte.

Uno o due giorni della settimana, quelli delle ferie, sarebbero destinati agli esercizi, conducenti allo sviluppo delle forze fisiche, e più confacenti ai fanciulli ed alle fanciulle, con la danza per i due sessi.

Un inno sacro e nazionale, cantato a coro, sarebbe il termine di questi esercizi. Si raccomandava il bagno ed il nuoto, ove se n'avesse l'opportunità.

Piccoli premii ed incoraggiamenti, accordati a proposito ed in certe memorabili circostanze, sarebbero d’incentivo a far amare la vita attiva e laboriosa e a destare il sentimento d’onore e di utile emulazione tra gli alunni.

Il secondo grado di scuole primarie avrebbe sede nei luoghi da sei a diecimila abitanti, ed accoglierebbe giovanetti e giovanette, promossi dalle scuole di primo grado, i quali le frequenterebbero dai dodici ai sedici anni. V’insegnerebbero due istitutori e due istitutrici.

L’uno degl’istitutori ammaestrerebbe gli alunni nella grammatica italiana, nei rudimenti della lingua latina, della storia patria e della geografia.

L’altro nell’aritmetica pratica, ne’ principii di geometria teorica e pratica e di storia naturale, applicata all’agricoltura.

Delle due istitutrici, l’una v’insegnerebbe la lingua italiana, l'aritmetica ed una scelta di novelle storiche e morali; e l’altra 1’economia domestica e quei lavori muliebri e industriali, che in ogni congiuntura potrebbero procacciare alle donne i mezzi della vita.

In tutte queste scuole delibino e dell’altro grado egli impone gli stessi libri di testo, i quali composti dalle persone più esperte e dotte della materia, ed approvati dall’autorità suprema, sarebbero stampati a cura e spesa del Governo, affinché si fossero venduti a modico prezzo.

Questa istruzione, in amendue i gradi, sarebbe gratuita e tutta a carico dello Stato. Il quale a questo effetto adoprerebbe i fondi della Cassa della Pubblica Istruzione, istituita già dal passato governo, impinguandola e delle rendite delle varie fondazioni d’ istruzione pubblica, e del prodotto di una tassa scolastica proporzionale e progressiva da imporsi a tutti i cittadini, principiandosi da quelli che godessero la rendita di 25 ducati annui.

Per gli alunni di ambedue i sessi, i quali uscendo dalla scuola di primo grado nell’età di dodici anni non aspirassero ad avanzare negli studi, sarebbero fondate scuole di arti e mestieri. Ciascuna di esse dovrebbe servire a cinque municipii di sei a dieci mila abitanti. Quella per i maschi insegnerebbe l’arte di fabbricare gli strumenti dell’agricoltura e l'arte di muratore, di calzolaio e di sarto. Cinque maestri, scelti tra i più onesti e valenti capimastri, insegnerebbero la pratica di queste arti con le relative nozioni di meccanica. La scuola per le donne insegnerebbe l'arte di filare e di tessere, i lavori ad ago e la manifattura de’ pizzi.

Cinque maestre, scelte tra le più abili in tali arti, reggerebbero questa scuola.

Tutti gli alunni, maschi e femmine, del secondo grado distruzione primaria sarebbero chiamati, anche essi, agli esercizi di ginnastica, i quali a quelli del grado inferiore, aggiungerebbero, per i maschi, la lotta, il tiro a segno e le elementari evoluzioni militari; e per le donne, una più estesa pratica della danza e più esatta nozione di musica, quando esse avessero disposizioni naturali a queste arti belle.

A coronamento di questo bene concepito ordinamento distruzione primaria si creerebbero in ogni capoluogo di provincia due Convitti Normali, ove a spese del Governo sarebbero educati sessanta giovanetti e sessanta donzelle, scelti ogni anno tra gli alunni e le alunne che nell'intero corso, di primo e secondo grado, si fossero segnalati per ingegno e per qualità morali. Da questi Convitti, che costituirebbero tante scuole normali di primo ordine, uscirebbero tutti gl'istitutori e le istitutrici da impiegare nelle suddette scuole primarie. Tale felice istituzione era un vero progresso per rispetto al sistema pedagogico del Filangieri, che non si era punto occupato della conveniente formazione degli educatori del popolo.

Tralascio di parlare delle riforme che il Galdi propone per 1; istruzione secondaria e la superiore e per tutte le altre istituzioni speciali, dirette a diffondere i lumi nel Regno. Dico solo che in esse si rivela una dottrina vasta e positiva del tutto moderna, una particolare conoscenza ed esperienza pedagogica, una fede illimitata nella virtù educatrice della scuola, un alto amor di patria ed un generoso proposito di sollevare le miserie del popolo napoletano, correggendo i difetti della sua natura e coltivandone i buoni istinti.

Più fortunato del Filangieri il Galdi trovò nel Murat il Monarca riformatore, il quale lo scelse a Direttore generale dell'Istruzione  pubblica e istituì una Commissione di quattro uomini autorevoli e dotti, deputata a studiare, in conformità delle proposte accennate nel suddetto libro, un piano generale di riordinamento dell'Istruzione pubblica. La relazione scritta da Vincenzo Coco e presentata nel 1811, ispirata dalle dottrine pedagogiche del Filangieri e del Galdi e rispecchiante la robusta e vasta mente dell’autore, è un grande monumento di sapienza pedagogica. In essa si trovano risoluti, secondo i principii della Scienza positiva dell'educazione, i più importanti de’ problemi, i quali noi stiamo ancora discutendo.

Sebbene una parte soltanto delle riforme proposte dalla detta Commissione fosse stata sancita nel R. Decreto organico di Gioacchino Murat del dì 29 novembre 1811, pure questo decreto segna un notevole progresso nella storia dell'istruzione pubblica del Regno. Ed il Gfalcli stesso ebbe la consolazione di attestare con dati statistici il salutare effetto educativo da esso prodotto sulle popolazioni del napoletano nella relazione particolare, che egli in qualità di Direttore generale, ebbe a presentare, verso Fanno 1814, al Ministro dell'Interno.

Se non che ristoratosi, dopo breve tempo, il Governo dei Borboni nel Regno, la reazione politica dominò lo Stato; e non potendosi distruggere con un tratto di penna l'ordinamento scolastico che si era attuato in quasi tutte le province, si cercò di alterarne lo spirito. Le scuole primarie furono abbandonate in balìa de' Vescovi, e dichiarati maestri nati di esse i parroci od altri preti coadiutori, fossero o no esperti della non facile arte d'istruire i fanciulli, Gli altri ordini di scuole furono riformate con questo intento, che la gioventù alimentasse e conservasse i suoi sentimenti per la nostra Cattolica Religione, conosca ed esegua i doveri che legano i cittadini allo Stato e che corra e profitti nella lodevole carriera delle lettere e della scienza.

In questo tempo la filantropia inglese, voltasi all'educazione de' fanciulli poveri, trovò il metodo dell'insegnamento mutuo, che fu detto di Bell e Lancaster dal nome de' due benefattori della fanciullezza che lo perfezionarono. Questo metodo dall'Inghilterra si divulgò negli altri Stati civili. E Napoli, corriva a novità, l'accettò come per esperimento in alcune scuole. Qui si accese vivace disputa tra i fautori del Metodo Normale, che dominava nelle scuole primarie del Regno, e quelli del nuovo Metodo di mutuo insegnamento, di cui si contavano le maraviglie. Fra i contendenti entrò arbitro il Cavaliere Luca De Samuele Cagnazzi col suo «Saggio sopra i Principali Metodi d'istruire i fanciulli» — stampato la prima volta in Napoli il 1818. Mente aperta alle correnti delle nuove idee, ricca di dottrina antica e moderna, educata al metodo sperimentale, una quistione di abbiccì elevò alla dignità di un problema di metodica di alta importanza. Seguace del Genovesi, la cui cattedra di Economia Civile egli occupava, e del Filangieri, le cui dottrine pedagogiche fondate sull'osservazione psicologica e sull'esperienza, ed il cui metodo naturale e intuitivo nell'istruire i fanciulli gli erano stati di guida mentre dirigeva le scuole di Altamura, trattò l'argomento con vasta erudizione e con profonda conoscenza di metodica speciale.

Quel saggio, pubblicato circa trenta anni, prima che Domenico Berti scrivesse in Piemonte il suo libro «Del Metodo applicato all'insegnamento elementare», è una fedele esposizione storica e critica de' metodi principali usati per istruire i fanciulli, principiando dagli antichi Greci e Romani e terminando ad Errico Pestalozzi, che allora in Yverdon era all’apogeo della sua gloria. Alla chiarezza grandissima ed esattezza con cui sono riassunti i sistemi diversi d'insegnamento primario si aggiunge singolare penetrazione di mente, acutezza di critica e larghezza di criterii, desunti dalla esperienza, e individuale e storica, dallo studio della psicologia positiva, dall’osservazione dell’indole de' fanciulli, dalla sapienza tradizionale e dalla propria meditazione. È un libro, piccolo di mole, ma denso di pensieri, che portò una ricca contribuzione di nuove idee positive alla Scienza della Metodica.

Il trionfo della rivoluzione del 1820 nel Regno delle Due Sicilie risuscitò il problema della educazione pubblica. I liberali saviamente pensavano, che la libertà, conquistata con la spada, non avrebbe gittato salde radici nella coscienza del popolo, finché questo, per mezzo di una istruzione veramente educativa, non avesse acquistata conoscenza teorica e pratica de' suoi doveri e de' suoi nuovi diritti politici e sociali. E a questo effetto il dotto e chiarissimo letterato Marco Gatti Salentino scrisse e presentò al Parlamento Napoletano il suo libro—Della Riforma dell’Istruzione Pubblica nel Regno delle Due Sicilie (Napoli 1820). Esso è un compiuto programma di riforma non solo dell'Amministrazione dell'Istruzione Pubblica, ma anche dell'ordinamento pedagogico de' varii rami dell'insegnamento. Ispirato alle dottrine del Filangieri, del Galdi e del Coco, questo libro è ammirevole per analisi demolitrice e per sintesi ricostruttrice, per sapienza pratica ed esperienza della scuola, per generoso amor di patria, e per fiducia nella virtù dell'educazione.

Non è ora il tempo di fare un esame particolare di tutto il libro; ma ne toccherò qualche punto che ha più stretta attinenza con i lavori del nostro Congresso.

Il Gatti stabilì innanzi tutto che l'istruzione avesse ad essere pubblica; perché questa forma tra tutti i membri della cittadinanza uniformità di sentimenti, d’ idee, di consuetudini, che sono la base della pace e della prosperità della patria.

Per conseguire questo scopo credette necessaria una perfetta unità nella direzione dell’istruzione pubblica.

«Se per natura la nazione è una, uno l'interesse di promuovere nelle rispettive classi la coltura e di portarle tutte proporzionalmente al punto medesimo di armonia e di ordine sociale, è chiaro una deve essere la macchina diretta a questo fine e subordinata allo stesso principio motore, comunque siano diversi i gradi d'impulsione, secondo i fini parziali e 1' indole diversa della classe».

Discendendo alle varie specie di scuole propose che le primarie, sottratte alla dipendenza e vigilanza de' Vescovi e di mano ai parroci e preti, fossero sottoposte alla direzione del Governo: gT insegnanti di esse, scelti tra i dichiarati idonei, e proposti dai Decurionati, fossero approvati dalla Commissione centrale d'istruzione pubblica; durante Fanno scolastico essi fossero sorvegliati da uno de' Decurioni e dall'ispettore scolastico governativo distrettuale, il quale ogni bimestre manderebbe alla predetta Commissione una relazione particolare sulle visite eseguite.

Queste scuole primarie, mantenuto dal Governo, voleva fossero in ogni città ed in ogni villaggio, e frequentate da tutti i ragazzi dell'uno e 1' altro sesso dai sei ai nove anni. A tale proposito egli nota: «Le scuole primarie debbono essere il primo oggetto delle cure del Governo, come quelle che preparano alla società i cittadini di tutte le classi e fissano il carattere ed il costume di tutta la nazione. Imperocché egli sarebbe un inganno il limitare l'influenza di queste al semplice far apprendere ai fanciulli ed alle fanciulle il leggere, lo scrivere ed il computare con i principi generali delle arti e dei mestieri. Questo bene, che certamente è grandissimo, non è il solo né il più importante».

«Ve n'ha un altro più interessante certamente, quello che riguarda la morale pubblica e privata; lo sviluppare ne' cuori ancor teneri i sentimenti nobili di virtù, di beneficenza, di onore; il risvegliare l'emulazione bene intesa; l'avvezzare la mente alla concentrazione ed al ritiro ed abituare la persona all'ordine, alla decenza, alla pulizia. Queste abitudini lodevolissime, che radicate una volta non sapranno mai più abbandonare l'individuo, sono le più efficaci, acciocché una nazione, per carattere intollerante e dissipata, facile all'inerzia ed alla voluttà, sia rigenerata, ed acquisti una dose maggiore di energia e di attività».

Oltre a ciò voleva che nelle scuole primarie, come nelle secondarie e superiori, unita agli altri insegnamenti fosse la dichiarazione della Costituzione, sviluppata secondo il grado dell'intelligenza degli alunni;

affinché i giovanetti apprendessero di buon'ora i loro diritti ed i loro doveri, ed informati dello spirito nazionale sapessero corrispondervi coi lumi e con le virtù necessarie».

Circa l’educazione della mente accettò dal Filangieri il metodo didattico naturale e sperimentale, fondato sulla osservazione psicologica de’ fanciulli.

«L’uomo dai primi momenti della sua esistenza è solo occupato di se medesimo; tutto si slancia sulle cose che lo circondano; queste cerca di sapere, di esaminare, di trarre a suo vantaggio: onde in rigore non fa, a suo riguardo, che sentire, mentre, in rapporto a ciò che è fuori di sè, sente, indaga e calcola. Osserviamo di più, che, oltre di questo bisogno di vedere, toccare tutte le cose, sente il ragazzo l’altro di fare da sò ciò che gli altri fanno, di contraffare i caratteri e le maniere altrui, di descrivere e di ritrarre gli oggetti che ha tra mani».

«La prima cosa adunque, dice il signor Condillac, è di fare i fanciulli analisti, invitandoli a considerare le cose che hanno maggior rapporto con i loro bisogni e con l’età loro, di metterli nelle circostanze onde si formino idee precise ed esatte, di avvezzarli di buon’ora al metodo rigoroso dell’osservazione. L’analisi de’ propri sensi e l'applicazione di questi ad oggetti eh e muovono naturalmente la curiosità, al tempo stesso che è istruttiva, è ancora oltremodo piacevole. E siccome tutte le nostre cognizioni primitive partono da queste due sorgenti, così la enciclopedia elementare propria per i fanciulli deve incominciare da queste, diffondersi per gli oggetti che ne hanno rapporto, distendersi per gli usi principali che di quelli ha fatto l'uomo, come ha saputo modificarli e combinarli diversamente, e così venire al pratico delle arti e de’ mestieri».

A norma de’ predetti principi formulò il seguente programma didattico degl’insegnamenti di tutto il corso elementario: «Nozioni intuitive di cosmografia, di geografia fisica e di storia naturale. — Educazione de’ sensi. — Osservazione degli oggetti reali; carte particolari, mappa generale. — Disegno diretto a ritrarre le figure degli animali, degli alberi, e di altre cose particolari del luogo. — Leggere, scrivere, computare. — Osservando gli oggetti se ne insegnerebbero i vocaboli, si farebbero scrivere e calcolare, esercitando la memoria e l'intelletto. —Lingua materna insegnata prima per l'uso, e poi con brevi e semplicissime regole. — Lingua francese, insegnata con lo stesso metodo. — Lettura di libri corrispondenti all'insegnamento e concernenti i diritti e doveri dell'uomo e del cittadino. —Componimenti intorno agli oggetti osservati ed alle materie che si vengono studiando. — Visita ai Musei, agli Orti botanici, agli Opifizi; giochi e passeggiate ginnastiche—».

Dopo di avere pensato all'ordinamento pedagogico, il Gatti volge la sua considerazione all'orario delle lezioni ed alla condizione economica degl’insegnanti, che per la loro parte contribuiscono al buon effetto della scuola. Esamina il primo con criteri derivati dalla fisiologia e dall'igiene della mente. E consiglia la minor durata di ogni lezione, brevi riposi tra l'una e l'altra di esse e nel periodo pomeridiano dell'orario scolastico esclusione di qualunque studio che richieda sforzo di attenzione. Fa poi giuste ed utili riflessioni intorno all’azione perniciosa che può esercitare sulla disciplina scolastica e sul profitto degli alunni la mancanza di stipendi convenienti, e di speranze di meglio, che ammorza negl'insegnanti la buona volontà e lo zelo nell'adempiere il proprio dovere. E si attagliano ai presenti insegnanti primari nostri le seguenti parole di lui: «Mancando un compenso adeguato presente, la speranza che si possa migliorare poi e la promessa di onorato riposo, naturalmente la massa de' membri animatori della gran macchina della istruzione deve rimanere torpida e languente».

Alle scuole primarie, nel disegno di riforma del Gatti, succedono le Scuole pratiche di Agricoltura e le Scuole secondarie, non classiche, ma reali, o speciali o professionali.

Le prime egli vorrebbe moltiplicate il più che fosse possibile, essendo il popolo delle province napoletane singolarmente agricolo. Esse dovrebbero propalare i processi migliori di agricoltura, le utili pratiche sperimentali atte a migliorare le industrie agricole e le nuove macchine agrarie suggerite dalle Società Economiche, portandole alla conoscenza pratica de' contadini.

Le seconde sarebbero state una creazione nuova in Italia per rispetto al tempo in cui visse l'Autore: delle quali hanno dimostrato la utilità soltanto al presente i progressi delle industrie.

Siffatte Scuole secondarie avrebbero sede ne' capiluoghi de' Circondari del Regno, accoglierebbero gli alunni promossi dalle Scuole primarie i quali intendessero darsi alle arti meccaniche che richiedono una cultura superiore, o alla mercatura, ovvero alle arti belle; pittura, scultura, musica, secondo le particolari condizioni de’ luoghi. Il programma didattico avrebbe una parte teorica ed un'altra pratica.

La prima comprenderebbe: — Lingua italiana e lingua francese, ma senza il latino; storia e geografìa fisica e commerciale; economia; morale; matematiche; scienze naturali; disegno e calligrafia: e la seconda, il lavoro meccanico che costituirebbe l’esercizio pratico o l'apprendimento della tecnica dell’arte scelta, secondo la propria vocazione, da ciascuno alunno.

Sono degne della Scienza positiva dell’educazione le considerazioni che il Gatti fa intorno alla importanza ed efficacia educativa del lavoro manuale. Egli crede che la pratica di questo combatterebbe il pregiudizio ancora vigente ai suoi tempi, di tenere in dispregio l’uso delle arti e de lavori meccanici, rinvigorirebbe il corpo per mezzo de’ varii movimenti de’ muscoli, gioverebbe e all’individuo ed alla società sotto il riguardo del costume pubblico e privato e formerebbe ne’ giovanetti il gusto per il bello, perfezionerebbe l’arte di sentire, aguzzerebbe il discernimento e renderebbe pronto e sicuro il giudizio in fatto di proporzione, di regolarità;, di precisione.

Le cose sopra accennate bastano a dimostrare, come il Gatti sia stato il continuatore del pensiero pedagogico del Filangieri,' di cui accettò i principi] generali del naturalismo, del psicologismo e dell’esperienza, fecondandoli con nuove osservazioni e più estese applicazioni. E non è mestieri che io prenda in esame il suo disegno di riforma della Scuola secondaria classica e dell'Università per venire alla stessa conclusione.

Sventuratamente la riforma dell’istruzione pubblica fu tronca per l’invasione delle armi austriache nel Regno, le quali, soppressa la Costituzione, puntellarono il dominio dell’oscurantismo clericale nella istruzione e del dispotismo poliziesco nel governo della cosa pubblica.

Se non che dopo il 1831, avendo il giovane monarca, assunto al trono, suscitato ne’ liberali napoletani la speranza di riforme civili negli ordinamenti amministrativi, il pensiero pedagogico, dopo di avere esulato dalle scuole pubbliche, si rifugiò presso le private, che in Napoli per l’ammansita ferocia della polizia erano venute crescendo di numero e di prosperità. Esso fu personificato in uomini generosi, i quali compresero che la patria, più che di libri e di teoriche sull’istruzione pubblica, aveva bisogno di educatori virtuosi; e si dedicarono nobilmente a questa santa missione.

«Sopra tutti, a quel tempo, emerse per altezza d'intenti e per virtù rare di cuore il Marchese Basilio Puoti, in cui la nobiltà della mente fu pari a quella del casato. Deplorando egli che negli scrittori napoletani contemporanei, ricchi di dottrine, era bastardume e improprietà di lingua e trascuratezza e falsità di stile, fermò nell'animo di ripigliare l'opera dell'Abate Genovesi, adoperandosi per richiamare in onore il culto della lingua nazionale. E nel mettere in pratica il suo generoso proposito, dotto come era delle lingue e delle istituzioni educative antiche, volle seguire l'esempio lasciato da' Sapienti della Grecia nell'istituire la gioventù liberalmente. Prese a raccogliere nella casa paterna amici letterati e giovani eletti, i quali non si vergognavano di rifare la loro istruzione letteraria mal fatta; e con essi, senza apparato scolastico o pompa dottrinale, si leggeva e si commentava in comune un tratto di scrittore classico italiano del trecento o del cinquecento; e ciascuno era chiamato a fare osservazioni sulla purità e proprietà delle parole e de' costrutti e raffronti con le locuzioni barbare o scorrette, più generalmente in uso presso i nostri scrittori. Era un' accademia di lingua italiana, da cui era sbandita ogni aria di superiorità, e dove in forma di conversazione amichevole e di un dialogo vivo e naturale si discuteva e si giudicava in comune, non come tra discepolo e maestro ma come tra compagni e collaboratori.

Come siasi a mano a mano allargata questa geniale radunanza di uomini colti, che sotto la sapiente guida del Marchese venivano a purgarsi delle macchie della loro lingua, e come abbia preso un ordinamento più regolare per la natura degli esercizi di traduzione dal latino, di composizione e di critica letteraria, altri ha particolarmente riferito. A me basta qui notare, che 1' opera del Marchese Puoti sortì pieno effetto educativo. Dalla sua scuola uscirono scrittori valorosi, che, conservando la propria individualità spontanea, usarono la lingua italiana classica con purgatezza e proprietà severa, non senza facilità e naturalezza: e per suo mezzo si divulgò generalmente lo studio della lingua nazionale ed insieme il sentimento dell'unità della patria. Il desiderio di dare ai propri concetti la veste prettamente italiana, a mano a mano venne raffermando negli animi il concetto nazionale e rinfocolando 1' amore per la patria comune, l'Italia.

Discepolo del Marchese Puoti fu Francesco de Sanctis, il quale, pur ritraendo dal venerato Maestro le virtù simpatiche e generose di educatore ed imitando l'ordinamento interno della scuola, specialmente per ciò che riguarda la cooperazione de' discepoli nel fatto dell’insegnamento, si separò da lui per accomodare meglio l'insegnamento letterario alle nuove tendenze morali e intellettuali dei tempi.

Egli allargò i confini che il Puoti aveva segnati allo sviluppo della letteratura italiana, e mettendo questa in contatto con le correnti letterarie contemporanee dell'Europa, venne educando nei giovani il sentimento dell’Umanità a perfezionamento di quello della Patria. Temperò il rigore dell'autorità dei classici in fatto di lingua, ammettendo le ragioni dell’uso, che nelle lingue viventi è arbitro supremo, e surrogando all’ubbidienza assoluta l’ossequio ragionevole. E con la sua critica fondata sulla impressione viva presente e sulla osservazione psicologica e storica, e ribelle ad ogni autorità arbitraria, alle forme tradizionali ed alle regole convenzionali, formò ne’ giovani la spontaneità individuale, l'autonoma della coscienza, la libertà nel giudicare e l’avversione ad ogni oppressione politica e civile.

L’uno compì e coronò l’opera dell’altro nell’ediicazione elei giovani: ed amendue indirettamente contribuirono al miglioramento educativo e didattico delle Scuole Pubbliche. I professori formati alla loro scuola, erano preferiti nelle cattedre de’ Collegi non ancora ceduti alle congregazioni religiose e de’ Seminarii ed istituti privati; e quelli recavano con sé il nuovo spirito educatore dei loro maestri e ne fecero larga propaganda.

Più fedele seguace delle dottrine pedagogiche del Filangieri fu il Dottor Giacinto de Pamphilis, fondatore in Napoli di un istituto privato per i figliuoli delle famiglie agiate, che a pagamento venivano in esso educati ed istruiti dalla più tenera età sino a quella dell’Università. Composto tale Istituto di un pensionato interno e di un corso completo di studi primari e secondari, porgeva in realtà l’esempio di uno de’ Collegi di cui il Filangieri aveva dato l’idea nel suo piano di educazione, ed offriva al Direttore il campo di sperimentare i concetti di lui e sulla educazione fisica e morale e sulla educazione intellettuale. Dottore in medicina il de Pamphilis e mente filosofica, portò nell'esame dei problemi pedagogici il metodo delle scienze sperimentali e l’aiuto delle cognizioni di fisiologia: e vi aggiunse il suo favore per l’istruzione detta progressiva.

«Egli pensava, che lo scopo principale della bene intesa istituzione fosse lo svolgimento sempre costante e progressivo dell'umana intelligenza, e che il vero metodo d'istruire consistesse nel sapere proporzionare i suoi dati alla diversa età ed attitudine del discente e nell'accordare il suo processo al segreto procedimento della natura. Avendo egli concepito l'uomo come attività sostanzialmente intellettiva, l'insegnamento fondava sulla cooperazione attiva del discepolo, il quale imparando dovesse insieme creare le sue cognizioni, e facendo profitto in una disciplina acquistasse attitudine a più profittare. Onde egli diceva: «Il fanciullo, a mio avviso, non bastache apprenda da altri ciò che non sa, se nell'atto stesso di apprenderlo non venga istituito in modo da fare che vi ponga l'opera sua al proprio insegnamento; opera che mentre lo addestra ed invoglia al poco ed al più facile, lo faccia, senza bisogno di altra guida, capace un giorno a fare il molto ed il più difficile con certezza di pieno successo ne' rami progressivi». (Nisio—Delfi istruzione pubblica c privata in Napoli, pag. 46).

Il programma didattico in cui allo studio delle parole è aggiunto quello delle cose reali e in cui predomina il metodo intuitivo e sperimentale e la mente dell'alunno è fatta spontaneamente cooperatrice con l'azione del maestro, corrisponde nelle linee principali a quello tracciato dal Filangieri nel suo piano di educazione.

Intorno a questi grandi educatori era un' altra numerosa schiera, che cercavano tutte le vie per soddisfare ai desiderii delle famiglie, le quali, anche a loro maggior dispendio, preferivano le scuole private alle pubbliche. Fu una vera gloria di Napoli questo insegnamento privato, che dal 1831 sino al 1848 venne grandemente prosperando; e si deve all'opera benefica di esso se in Napoli la cultura letteraria e scientifica non sia decaduta affatto.

Ma, falliti i moti fortunosi del 1848, esso fu con ogni sevizia poliziesca perseguitato e disperso dalla reazione politica, che più feroce che mai tenne dietro a quelli; ed in Napoli il pensiero pedagogico fu costretto ad eclissarsi.

Finalmente l'annessione delle province napoletane, ricostituendo l'unità d; Italia, chiuse per sempre in Napoli il continuo alternarsi della rivoluzione e della reazione politica, il quale per lo passato aveva impedito ed arrestato il progressivo incremento della istruzione pubblica.

Per necessità superiore di governo nel riordinarsi in queste province la istruzione pubblica si pose da banda la gloriosa tradizione pedagogica napoletana, e si estesero ad esse le istituzioni scolastiche del Piemonte. Queste, cinte dell’aureola di aver preparato il risorgimento italiano, si presentavano tutte bell’e formate, con programmi didattici ordinati, con libri di testo, manuali, materiale scolastico, guide, adattati ai varii insegnamenti e con uomini esperti e provetti nell’arte d’interpretarli e metterli in pratica.

Era naturale che quell'ordinamento scolastico fosse da noi accolto con favore e con riconoscenza, quantunque non fosse conforme all’ideale che i nostri pedagogisti concordemente avevano vagheggiato nel passato.

Diventato generale e pressante, con la libertà politica, il bisogno della istruzione pubblica e della educazione popolare, anche il pensiero pedagogico tradizionale si rifece vivo in Napoli. Ne fu rappresentante operoso e geniale Alfonso della Valle, Marchese di Casanova, anima candida e poetica in cui il più generoso amor di Patria era sposato con quello purissimo della Religione, Segretario generale dell’Associazione degli Asili d’ infanzia, nella quale era iscritto il fiore della cittadinanza napoletana, egli ci pose mente, cuore, vita, per render perfetta la filantropica istituzione. Ma come i fanciulli uscivano dagli asili, egli osservò che essi non trovavano nella scuola elementare, così come era stata ordinata pedagogicamente presso di noi, la continuazione e lo svolgimento dell’opera educativa iniziata in questi. A sopperire ai difetti della scuola instituì il patronato dei Signori, i quali furono larghi di paterna assistenza, e nella scuola e nelle officine e nei ricreatorii, ai ragazzi che erano usciti dagli Asili: ma l’effetto, non rispose al desiderio. Il patronato non poteva correggere il difetto sostanziale della scuola elementare, che precedeva di tempo ma non di fatto agli Asili, comprendendo essa la sola istruzione generale e non l’educazione pratica dei fanciulli. Ed allora il Casanova, avendo l'animo volto sempre al meglio, concepì e recò ad effetto, a beneficio dei fanciulli usciti dagli Asili, una nuova istituzione educativa, che, secondo la frase espressiva di lui, era insieme scuola e bottega, ed anche, in parte, famiglia. E chi non iscorge che il concetto di questa Opera del Casanova è ispirato, salvo alcune modificazioni accessorie, dal piano di educazione popolare disegnato dal Filangieri? Quella, come questo, mira a mettere in atto la educazione popolare pratica completa, quale la desidera la pedagogia moderna.

In essa Opera la scuola primaria è coordinata all’Asilo sia per il metodo dell’insegnamento sia per il modo materno della disciplina; la bottega è collocata allato alla scuola, e la istruzione è alternata con l'apprendimento dell’arte. L’insegnamento è di due maniere; l'una di coltura generale comune a tutti i cittadini italiani, ma con preponderanza delle cognizioni oggettive, dell'osservazione e dell'esperimento; e l’altra speciale, diretta a sviluppare le attitudini industriali, per mezzo del disegno geometrico e di ornato, della modellatura in creta e del lavoro manuale, preparatorio all’esercizio dell’arte. L’orario giornaliero è non meno lungo di sette ore, igienicamente distribuito, non eccettuato il giovedì e la domenica, in cui gli alunni sono istruiti nella ginnastica, nel canto corale e nel catechismo. Nelle vacanze estive questi non cessano di venire a scuola; i più piccoli per rinfrescare le cognizioni apprese, ed i più grandi per continuare la pratica dell’arte a cui furono addetti. Il corso intero dell’educazione è protratto sino all’età di quindici anni, quando gli alunni siano bene ammaestrati nella propria arte da poter guadagnare la giornata lavorando. L’opera dell’insegnamento è circondata e fecondata da altre istituzioni educative. La biblioteca circolante desta e coltiva il gusto della lettura in coloro che hanno terminato il corso elementare degli studi. La cassa di risparmio, in cui gli alunni depongono i centesimi risparmiati o i soldi guadagnati, insinua in loro il sentimento dell'economia e della previdenza, che è la fonte delle altre virtù dell’operaio.

L’ufficio de’ soci visitatori, tenuto dai gentiluomini che per turno assistono gli alunni e nelle ricreazioni e nella colazione e nel tirocinio di bottega, è mezzo per abituare i ragazzi a modi gentili e garbati e per fare loro acquistare il sentimento della propria dignità e della riconoscenza verso la classe signorile. Per tal guisa si offre il modo di mettere in pratica il dovere di solidarietà tra i cittadini, il quale è la base della educazione popolare. E questo l’ideale della scuola educativa popolare moderna.

Dopo l'Opera del Casanova anche nel campo delle idee penetrò il pensiero pedagogico napoletano. Il professore Edoardo Fusco se ne fece propalatore dalla cattedra di Antropologia e di Pedagogia della Università di Napoli. Questi, avendo sperimentato, in qualità d’ispettore generale governativo dell’istruzione, come la scuola, quale era di fatto, mal rispondeva all’indole del popolo meridionale ed ai nuovi bisogni della vita reale, tentò clic la si venisse a mano a mano riformando ne’ varii suoi ordini. Ma avendo trovato insuperabile resistenza in coloro che soprassedevano al governo dell’istruzione pubblica, troppo tenaci conservatori del passato, pensò di mutar via.

Quello che gli era stato impedito di fare come membro del potere esecutivo, credette di poterlo come professore mediante l'aiuto della opinione pubblica illuminata. Rinunziato l'ufficio d’ispettore generale, occupò la suddetta cattedra. Egli, che nel tempo dell’esilio aveva dimorato ed insegnato in Inghilterra, aveva seguito il progresso che ivi avevano fatto le dottrine pedagogiche.

E nelle lezioni che venne dettando dalla cattedra dell’Università di Napoli professò i principii della Scienza positiva inglese.

Per meglio divulgare le nuove pratiche di metodica e disporre gli animi alle riforme scolastiche più urgenti, fondò un giornale pedagogico intitolato: II Progresso educativo. In esso propugnò la necessità di sanzionare per legge l’obbligo dell’istruzione elementare, di surrogare nell’insegnamento primario l’osservazione alla memoria, le cose alle parole, il metodo analitico al sintetico e la educazione fattiva alla pura letteraria. Alle teoriche aggiunse la pratica, offrendo ai maestri esempi di lezioni. oggettive, regolate da questi nuovi principii.

Nell’istruzione secondaria fu fautore delle cognizioni reali accanto alla grammaticali, dell’accrescimento dello studio delle scienze naturali e sperimentali, dell’introduzione delle lingue moderne, dell’abolizione di alcuni esami sperimentati soverchi, e di alcune prove scritte, giudicate inutili.

Ora queste riforme se non discendono direttamente dallo studio che il Fusco abbia fatto del IV libro del Filangieri, pure collimano in buona parte con le dottrine pedagogiche e di metodica in esso contenute.

Al professor Fusco nella cattedra di Pedagogia nell’Università di Napoli succedette Andrea Angiulli con un più ricco patrimonio di scienza positiva attinta direttamente alle sorgenti vive del pensiero scientifico europeo.

Egli il primo in Italia aveva professato, che la costituzione scientifica della pedagogia dipende dai progressi recenti della biologia e della sociologia e trae i suoi ultimi fondamenti dalla dottrina dell’evoluzione cosmica. Mediante gli argomenti dedotti da queste scienze egli confermò le verità pedagogiche presupposte dal Filangieri nel disegnare il suo piano di educazione pubblica.

Se primo ammise, per sola forza d'intuito, certi postulati che gli furono di norma nella soluzione pratica del problema pedagogico, l'altro, movendo dalla ragione scientifica, li dimostrò veri con la maggiore evidenza e severità logica.

Per amendue l'educazione del popolo è un fatto di utilità generale; tocca l'esistenza di tutto l'organismo sociale; e però è un dovere nazionale, e cade nelle appartenenze e ne' diritti dello Stato.

L’educazione nazionale attua la condizione indispensabile alla libertà e al benessere di tutti; è un principio di ordine, e non può essere abbandonato all'arbitrio degli individui o di una classe.

Lo Stato è considerato come l'educatore della società, come un istituto di educazione sociale.

Lo Stato ha il diritto non solo di proclamare l'obbligo della istruzione, ma anche di stabilire il contenuto, la natura e il grado dell'istruzione da inchiedere a tutti.

Circa la distribuzione degl'insegnamenti ed il loro metodo, esso deve curare che questi corrispondano all'ordine dell’evoluzione ed al modo di attività delle facoltà.

La meta dell’istruzione nazionale è di fare entrare tutte le classi della società nelle correnti dell'incivilimento, di rendere tutti i cittadini fattori del progresso nazionale, di fornire tutti gl'individui de' mezzi più indispensabili a migliorare la propria esistenza, nel seno della natura, della famiglia e della società.

La educazione intellettuale per sé sola, astrattamente considerata, non basterebbe a generare una perfezione morale; alla coltura dell'intelligenza devesi accoppiare, in tutti i gradi dell'istruzione, la disciplina degli affetti e delle azioni per aversi il sistema compiuto della educazione umana.

La istruzione obbligatoria e generale ne' suoi fondamenti deve essere laica, ed anche coloro che si avviano a divenire, più tardi, ministri di una Confessione religiosa devono ricevere la prima istruzione laica.

La educazione morale ha per base la ragione e non la fede. Essa derivando i precetti morali dalle leggi ineluttabili della vita umana li mette di accordo con le convinzioni della coscienza autonoma, e promuove l'operare per convincimento anziché per cieca; obbedienza, e comprendendo i principii della morale e della costituzione civile e politica si studia di rendere l'uomo capace di conformare le proprie azioni alle attinenze della vita civile e politica.

Nella scuola laica non sr insegna nessun catechismo religioso. La credenza esce dalle facoltà dello Stato, e rientra nell'ordine dei fatti privati.

Ma se si esclude dalla scuola l'insegnamento dogmatico di una religione particolare, non si vuole perciò trascurare il sentimento religioso generale, il quale scaturisce da una fonte naturale, dal sentimento della dipendenza dell'uomo verso una forza naturale, una potenza che gli sovrasta. E sollevando a grado a grado la mente degli alunni alla concezione della legge sovrana detti ordine cosmico ed alla conoscenza del fondo primitivo ed originario dette religioni, il sentimento naturale religioso s’inalza ad una maggiore altezza intellettuale.

La religione è un fatto del libero convincimento e lo Stato ha il dovere di lasciare alla libertà di ognuno di accogliere quella rappresentazione religiosa che meglio si conforma atta natura detta propria coscienza.

Lo Stato non può lasciare aperta la via a propagare netta scuola opinioni contrarie atte basi della propria esistenza, e deve impedire che una Chiesa assuma un titolo ed una competenza speciale per rispetto all’educazione, si attribuisca l'ufficio dello Stato e detti intera società.

Circa i metodi d'insegnamento si accorda con la teoria del Filangieri. Cito al proposito il seguente brano.

«Lo sviluppo mentale dell'individuo deve cominciare, come quello della razza, dalle rappresentazioni concrete e sensibili più vicine al dominio dell'immaginazione. La nozione scientifica che rampolla dai fatti dell'esperienza è più facile e più accessibile atta mente.

Non adduco altri squarci delle opere dell'Angiulli per dimostrare, come egli movendo da altro principio e procedendo con altro metodo sia divenuto alle stesse conseguenze del Filangieri. Il che è l'argomento più evidente della verità di queste.

Nella via aperta dall'Angiulli entrarono altri valorosi professori nativi delle province napoletane e la percorsero con onore. Di loro non farò alcun cenno particolare, e perché uno professò la Scienza dell'educazione nell'Università di Bologna, ove fu rapito da morte acerba, e perché gli altri tre insegnanti o in questa Università o in altra del Regno italiano; sono tutti viventi. A questi gloriosi rappresentanti della Scuola pedagogica napoletana, fo voti che essi vivano lungamente a maggiore incremento della Scienza dell’educazione ed a lode di queste province, che hanno dato loro la vita.

Signori, sotto gli auspici de' sapienti pensatori, su mentovati, il nostro Congresso non può fallire a glorioso porto. Essi, mediante le loro meditazioni e gli esperimenti intorno agli stessi problemi pedagogici, che voi avete per le mani, hanno accumulato qui un ricco tesoro di sapienza, che sarà di grande aiuto all'opera vostra. Seguendo il loro esempio, voi saprete, nelle vostre deliberazioni, pigliar consiglio dallo stato reale delle nostre Scuole, dalla esperienza e dai legittimi desiderii che sopra di esse ha manifestati apertamente T opinione pubblica italiana. Vi ricordate, o Signori? Quando, è già un anno, un esecrando misfatto atterrì la coscienza nazionale, unanime fu il grido: La Scuola bisogna renderla educatrice! E voi ora siete in questo luogo a discutere questo problema pedagogico di capitale importanza sociale. Mai, come ora, l'opinione pubblica non è stata meglio disposta a tale trattazione. E voi corrisponderete all’aspettazione generale.

Voi con parsimonia di parole e con maturità di proposte pratiche indicherete, come la nostra Scuola popolare, ancora in embrione, possa venire compiuta e perfezionata, e come la Scuola secondaria, nella sua duplice natura, possa essere riformata sì che soddisfi ai nuovi bisogni scientifici, economici e sociali della nostra Patria. L’ufficio vostro qui è massimamente questo: di apprestare alle questioni pedagogiche in esame la soluzione più opportuna e più facile ad attuare, e intorno ad essa attirare l'attenzione pubblica e promuovere una corrente di idee favorevoli. Confido che voi adempirete il vostro dovere con senno e diligenza; e P attuale Congresso conseguirà il suo fine. E a bene sperare mi conforta il ricordo dell’altro Congresso, che in questo stesso luogo fu radunato, trenta anni or sono. Esso fu benemerito della Scuola primaria, perché preparò il rinnovamento dell’educazione infantile, dissipando ogni dubbio sull’utilità e facilità di applicare agli Asili d’infanzia il sistema froebeliano de’ Giardini. E il nostro Congresso lo sarà parimente, se riescirà a spianare la via per infondere nell’una e nell’altra qualità di Scuole una maggiore virtù educatrice, che ora non hanno.





















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