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“Un precipitare di tristi ed inetti, ed un levarsi di altri inetti e tristi, e le durate persecuzioni erette a criterio sovrano del meritare le cariche dello Stato, e l'idea nobilissima del martirio politico abbassata alla stregua di una tariffa di merito e di ricompense.”

Questa la sintesi che Giuseppe Vacca della situazione napoletana. Oltremodo interessante oggi la lettura di questo suo scritto, nel quale si vede quanto fosse veramente arduo a Napoli la quadratura del cerchio. Contrastare lo strapotere degli esuli rimpatriati, salvaguardare la parte migliore di un esercito che si era svenduto al nemico e si era anche opposto strenuamente, evitare che le epurazioni politiche tagliassero fuori dalla amministrazione gli impiegati meritevoli, battere il brigantaggio.

Zenone di Elea – 15 Gennaio 2015

LA SITUAZIONE DELLE PROVINCIE NAPOLITANE

E IL RIORDINAMENTO DEL GOVERNO LOCALE

ALCUNE CONSIDERAZIONI DI GIUSEPPE VACCA

Vice-Presidente del Senato del Regno
Procuratore Centrale presso la Corte Suprena di Giustizia
DI NAPOLI

TORINO

TIPOGRAFIA G. FAVALE E COMP.

1861

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Denique, it quoduis simplex dumtaxat et unum

HORAT Dè arte poetica.

I.

Occorrono tali situazioni così nella vita dell'individuo, come nella vita delle nazioni, che voglionsi definir nettamente, guardandole in viso, perché se ne faccia la debita considerazione. Tale a noi pare la situazione in cui versano di presente le Provincie napolitane. Non è di certo agevole impresa lo astrarre codesta situazione, e ritrarne i lineamenti caratteristici: l'è un poligono a mille facce, che ciascuno si ostinerà a guardare da un lato solo, e stimerà pertanto di aver colto il vero, dove di esso non sono che le apparenze ingannevoli.

E come volete difatti che i criteri del vero e del retto possano dar norma ai giudizi nell'atto che ci vien per le mani una società profondamente logora e travagliata da mali antichi, e da piaghe recenti; da inoculate corruttele, e da passioni distemperate, da una lotta di parti politiche che si combattono a oltranza? Le quali cose meco stesso considerando, io venni in sulle prime ad una conclusione disperante: la fatalità del male. Se non ché il disperare parvemi codardia, e ripigliato animo mi deliberai a tentar la prova.

Farò pertanto di studiare con animo schietto, ed alieno da ogni amor di parte (del che chiamo in testimonio la mia coscienza e Dio) le condizioni della mia terra natia, ch'è parte più viva del cuore e degli affetti miei.

II.

Due motori principali della rivoluzione Napolitana: l'idea Nazionale 

come negazione del principio dinastico; la moralità nel Governo.

Quali furono i sommi motori della nostra rivoluzione politica e dinastica? Due più spiccanti ci vengono osservati: l'idea nazionale come negazione del principio dinastico, e la moralità desiderata nel Governo.

L'Idea Nazionale, comeché a taluno potesse apparire oscura e mal definita appresso i popoli dell'Italia meridionale, pure nella sostanza era già di lunga mano travasata nella popolare coscienza. Gioberti non errò estimando 1 idea nazionale viva e potente tra le Napolitane popolazioni, più che noi fosse in altre regioni d'Italia (1). Che se codesta idea ne' suoi esplicamenti si chiarì poi languida, inerte e poco o nulla operativa, questo vuolsi ripetere da un cumulo di cagioni la cui responsabilità non pesa di certo sugli omeri di quei popoli. L'onnipotenza della signoria assoluta ed antinazionale varrebbe di per sè la più irrecusabile giustificazione.... ma, lode a Dio, ci vengono incontro a conforto della sentenza del Gioberti gli esempi vivi e recenti. Non era forse cagione di maraviglia al mondo il contemplare quel mirabile ed unanime concorso di plaudenti all'idea nazionale simboleggiata dalla Croce di Savoia? Non era codesta la magica potenza che rendea possibili gli ardimenti e i trionfi del maraviglioso eroe del popolo? E chi pensasse o affermasse che le Napolitane genti ebbero a subire l'onta e le necessità d’una conquista, mentirebbe stranamente quel desso. La Dinastia cadde, perché i principii di vita non erano più in quel corpo cadavere, perché intorno al trono non era che un deserto ed un abisso.

Rivoluzione di abbandono fu proprio la nostra a parità di condizioni (siccome affermammo testé

(1) Gioberti — Del rinnovamento civile d'Italia.

alla Tribuna parlamentare) della rivoluzione inglese che precipitava dal trono l'ultimo degli Stuardi.

Ora, propiziata dalla Provvidenza, la grande Idea nazionale viene di già a maturanza; ella è passata nell'ordine dei fatti e con tutta l'autorità di una consacrazione nazionale.

Ma non basta. Affermare un gran fatto politico sarebbe poco, ove non si venisse a renderlo efficace, sostanziale, e durabile: nel che il senno prudente e la costanza dei propositi avranno a confortare l'opera dei generosi istinti. Ed ecco il nuovo compito, del primo ben più arduo e grave. Trattasi, a dir breve, di ordinare un Governo onesto ed educatore di pubblica moralità, nel che sta il fondamento precipuo d'ogni futuro bene, di ogni migliore ordinamento di politica libertà. E nondimeno, ci è grave il dirlo, tutto quel che intervenne appo noi dagli esordi della rivoluzione insino ad ora contraffà apertamente a codesto scopo santissimo.

III.

Della burocrazia, origini, uffizi e limiti di essa.

E ripigliando le cose da più alti principii ci accadrà ricordare che la burocrazia fu una sinistra creazione di reggimenti assoluti; è una labe antica codesta che ài venne istillando nella società europea

dalla dispotica signoria: la quale entrata nel funesto sistema di centralità politica e amministrativa, intendea ad assorbire tutti i poteri sociali, ad annullare ogni manifestazione della vita libera, a disciplinare tutte le forze vive del civile consorzio, e farne strumento d'imperio assoluto e d'obbedienza servile. Sanno tutti come il concetto burocratico andasse a genio al I Napoleone, operatore di grandi cose, ma scarso di fede nella potenza della vita libera. E di poi mutate le sorti, quel gran segreto di signorìa assoluta ebbe ad imitatori i Principi studiosi di stringere i freni, rintuzzando le aspirazioni di libertà. Tenete d'occhio pel converso la libera Inghilterra, è colei vi apparirà quell'ammirevole congegno del reggiamento civile, mercé cui la giustizia, l'amministrazione ridotta alla più semplice espressione procede tranquilla, serena e schiettamente onesta: le franchigie municipali rappresentarlo il solido fulcro della libertà politica, ed il fondamento vero del governò d'iniziativa individua (il self-government). Togliete questo, e voi non avrete che vane lustre ed ingannevoli simulacri di libertà. Montesquieu ebbe a dire con ottimo senno non essere possibile la libertà politica in Europa al cospetto degli eserciti stanziali: si avrebbe ad aggiungere a compimento della proposizione non essere possibile la libertà in compagnia della gretta burocrazia soverchiante e parassita.

Nè vuolsi poi passar sotto silenzio il lato economico della questione.

Non è qui luogo a rinverdire la questione si vivamente dibattuta tra gli scrittori di cose economiche intorno alla capitale differenza tra lavoro produttivo, e lavoro improduttivo, taluno ricusando al pubblico funzionario ogni pregio ed utilità propria al lavoro produttivo; la quale sentenza non però venne con trionfali argomentazioni combattuta dai propugnatori di più sane dottrine economiche (1). Senonché rendendo omaggio al principio vero che il magistrato, l'amministratore, il funzionario pubblico spendano l'opera loro in un ordine di fatti sociali da fruttare utilità irrecusabili alla civil convivenza, non si avrebbe d'altro canto a dimenticare che la misura invariabile di cosiffatti servigi stia proprio nelle esigenze del pubblico interesse» Che se cotal criterio smarriscasi, ne seguiranno conseguenze ben deplorevoli: lo sperpero cioè dell'azienda pubblica a benefìzio di una classe privilegiata, che alla inesorabile legge del lavoro tenterà sottrarsi poltrendo e lucrando a carico dello Stato, il che vuol dire a spese del lavoro produttivo e delle classi faticanti. Codesto reo costume non va tollerato da un Governo provvido e saggio; anzi convien che sia per tutt'i modi combattuto,

(1) Il Say, riabilitando il lavoro, e i servigi utili del funzionario pubblico, combatté vittoriosamente la dottrina contraria di Adamo Smith e di Ricardo: Court d'Economie Politique Pratique, Chap. V. E con le opinioni del Say consuonano quelle di Pellegrino Rossi: Court d'Economie Politique, Lecon VIII.

ed eradicato; imperocché insinuati que' mali abiti negli animi, ne uscirà pervertita e guasta tutta l’attività sociale, e l'operosità individua: spenta man mano la efficacia degli stimoli al lavoro, e allo sforzo individuale, si verrà ingenerando in ciascuno quella perniciosa tendenza ad invocare la tutela e il favore governativo in ogni manifestazione di operosità individuale, in ogni accidente della vita sociale; laonde a vece di una società virile, operante e conscia della dignità propria, ne vedremo sorgere una servile, ossequente al Potere e mollemente desidiosa.

IV.

Della burocrazia Napoletana e delle sue ultime fasi; pervertimento 

e scompiglio dell'amministrazione e della giustizia.

Giammai gli addotti riflessi trovarono più opportuno riscontro quanto nelle presenti contingenze dei popoli della bassa Italia, e giammai gli scaltrimenti della politica usufruttuarono tanto gli aiuti e i conforti della burocrazia quanto adoprato avesse la politica Borbonica. È il fato codesto di ogni Governo che ponga sè in contrasto aperto cogl'interessi e le aspirazioni della società: posciaché gli vengon meno i morali sussidii della confidenza e della opinione pubblica, verrà costretto a cercargli nella forza bruta e nel satellizio compro.

E tal fu del Governo nostro. Esercito e burocrazia furono i puntelli immutabili d’un «sterna di Governo che raffigurava la negazione d'ogni principio buono ed onesto. Gittiamo un velo su quella lugubre storia di nefandigie e di sventure che dilaniarono miseramente la patria nostra infelice. E sia lode al verdetto che profferivane il Congresso di Parigi, interprete fedelissimo dei bisogni veri e stringenti di quelle afflitte popolazioni: buona e retta giustizia, buona ed onesta amministrazione. Una politica cieca e beffarda irrise a quei voti; e la espiazione non era tarda. Mutate di poi per nuovi casi di fortuna le condizioni politiche del paese, aspetta vasi, e con ansia angosciosa, lo appagamento di quei lunghi voti: ma 1 aspettare fu indarno: ed è proprio in questo ohe gli uomini si chiarirono tutti toinbri degli eventi, e tutti (se togli poche onorevoli eccezioni) cupidissimi di private utilità più che della carità di patria.

Che vale il dissimularlo? Le son cose che si ripetono con senso di ben profonda mestizia: e noi vorremmo in verità che la parte liberale cui ci rechiamo a gloria di appartenere, respingesse da sè fieramente il sodalizio turpe dei mestatori, dei procaccianti, dei bassi istrioni di libertà; dei quali fu colpa in verità lo aver falsato, e contaminato il principio sì puro e sì nobile quanto il principio della libertà; imperocché codesta generazione di uomini si diè a credere stoltamente che il trionfo della rivoluzione si riducesse

al trionfo di una parte politica prevalente; la quale fatta padrona del campo avrebbesi recato nelle mani i monopoli degli offici pubblici, siccome premio della vittoria: né ci sarà mestieri denunziare alla opinione pubblica l'invereconda pretensione.

E nondimeno nell'atto che le coscienze oneste si costernavano dello scandalo, le cose procedevano per quel verso, né si osava farvi contrasto, anzi ti accadea vedere taluni degli uomini al potere piaggiare con vituperosa condiscendenza quegl'incivili istinti, e per troppo studio della popolarità d’un giorno, fallire a quella austerità di doveri imposta all'uomo pubblico nel conferimento degli offici e del potere. Ed ecco il mal seme della più parte dei mali che si hanno a lamentar colaggiù. Una riforma e un rinnovamento di quei logori ordigni del caduto regime era nei voti di tutti gli onesti: e che cosa ebbesi a simulacro di una riforma? Un precipitare di tristi ed inetti, ed un levarsi di altri inetti e tristi, e le durate persecuzioni erette a criterio sovrano del meritare le cariche dello Stato, e l'idea nobilissima del martirio politico abbassata alla stregua di una tariffa di merito e di ricompense. Alle ambizioni irrefrenate non fu più confine né pudore: ogni dì nuova messe a rispigolare, mercé la cacciata degli uomini dell'antico regime: l'era un grido di guerra che levavasi contro i Borbonici, sotto specie di pubblicò prò, ma nella sostanza a solo sfogo di private cupidigie.

Dapprima si pose la mano addosso ai grandi ribaldi, cui la coscienza pubblica segnalava: ma le proscrizioni non aveano posa, e talun caso ci facea risovvenire di quel terribile motto di Tacito: et cui inimicus deerat, per amicos oppressus. Non era forse codesto un correre a ingenerose rappresaglie contro il partito vinto, e confondere in una riprovazione comune gli eccessi di due cause cosi profondamente dissimili? Gli abusi e le esagerazioni del sistema fruttarono mali infiniti al paese, e all'azienda pubblica; imperocché non bastando i già troppi uffizi pubblici a disfamare gl'ingordi appetiti, si venne al creare cariche senza fine, aggravando ogni di di novelli oneri l'erario già tanto spossato: e quel che veramente fu cagione di scandalo, egli era il mal vezzo di venire allargando ogni di l'esercito burocratico, travalicando i limiti dell'organico di ciascun dicastero; il che significava procedere a ritroso del novello ordinamento politico, perciocché ognun vede che il sistema informante i nuovi ordini, e che muove dal duplice principio dell'accentramento politico, e della decentralizzazione amministrativa, debba per logica conseguenza condurre al progressivo assottigliamento della burocrazia: se nò, ci sarebbe a chiedere davvero dove stanno i beni, e gli acquisti sensibili della grande trasformazione politica. E di vero scendendo dall'altezza del nazionale concetto alla estimazione delle pratiche utilità e sostanziali, chi vorrà mettere in forse

che tra'  molti beni di che ci sarà largo il reggimento novello, avremo a porre questo del governo a buon mercato?

Egli è ben noto che questo elemento economico spiegò anch'esso la sua influenza nel bilancio dei beni e dei mali che verrebbero fuora dai radicali mutamenti: unicità di lista civile, unicità di ministero: semplicità di amministrazione e conseguente menomazione di spese, la mercé del discentramento amministrativo. Or tutto quello che gli arbitri governativi operarono insino ad ora in Napoli non è che l'antitesi di codesti principii. Non è a dire poi che sinistra influenza vada dispiegando sul senso morale delle popolazioni codesto sciupio sconsiderato degli uffizi pubblici e della sostanza pubblica: ed è un chiedersi l'un l'altro: che cosa adunque ci tornò di utile da una rivoluzione politica e dinastica? E a chi mai profittò ella? Non certo alle classi faticanti e produttrici, non certo a quelle gran maggioranza che non vive della pecunia dello Stato, né dallo Stato va mercando favori, privilegi e potere. E perché almeno non avvisare alla emendazione dell'amministrazione e della giustizia purgandole delle antiche corruttele, e surrogandovi elementi buoni ed onesti? Ma no: questo non si è voluto, perché i benefizii della vittoria popolare vennero confiscati da una mano di audaci e di procaccianti, i quali bassamente si diedero ad una vergognosa pirateria di cariche, di favori e di denaro.

Ecco la logica del buon senso popolare!

E cotali lamentanze e rimpianti rinfocolavano le ire, e i rancori, metteano il disgusto dei nuovi ordini, dei quali non si avvertivano che i mali, ed ultimamente si traducevano in fatti materiali che pigliavan sembianze di reazioni politiche..... È costume il ripetere che codesti fatti di reazione scoppianti qua e là ritraggano tutti il carattere unico dell'avversione al principio nuovo, del tenace affetto all'antico; ma questo concetto è falsissimo: e a dimostrarlo ci basterà riportare il pensiero a que' vergini entusiasmi, a quella mirabile unanimità che acclamò al general Garibaldi liberatore, che accolse festante il magnanimo Re Eletto: e perché dunque la mala contentezza e gli umori discordi erompono di presente turbando quella felice concordia? Questo accade (lo affermiamo con secura coscienza) perché la protervia dei partiti ha renduto vano e impossibile insino ad ora il Programma largamente nazionale onde il Re Eletto inaugurava la sua presenza in Napoli: ai partiti non piacque la parola d’obblio e di perdonanza: non piacque il patriotico appello a tutte le opinioni oneste, a tutte le forze vive della Società, e non seppero intendere gli stolti che i soli governi veramente nazionali acquistano condizioni di vita e di stabilità negli accidenti dell'avvenire, doveché non tocca che vita incerta e precaria ai governi, di fazione che vuol dire di minoranza: della qual sentenza se gli esempi non fossero infiniti, non ci basterebbe forse l'esempio solenne del Governo e della dinastia espulsa?

V.

Dei principii dirigenti di una buona riforma

della giustizia  e dell'amministrazione.

In tanta mole di scompigli e di rovine egli è or mai tempo che la luce si faccia, e che chiarite le cagioni dei mali, vengasi senza più all'adozione dei rimedi e delle provvisioni che appariranno più efficaci ed opportune. E in quanto tocca codesto si momentoso argomento, la riforma cioè dell'amministrazione e della magistratura, ci è avviso che i principii direttivi avrebbero a ridursi ai seguenti:

1. Rifare da capo, chiamando a sindacato severo tutta l'opera de'  governi che vennero su, dalla data del 25 giugno in sino ad ora: senonché l'opera rinnovatrice vuolsi pronta, efficace e definitiva. Imperocché tra'  molti errori da rimproverare a quei poteri mobilissimi che si succedevano con tanta rapidità di corso, il gravissimo degli errori fu questo, di lasciare incerta e perigliante la situazione di tutti i pubblici funzionari, ai quali, si tenne sempre sospesa sul capo la spada di Damocle. Dimenticavano eglino quel sagace dettato di esperienza politica del Machiavelli: essere debito e interesse di uno Stato nuovo recider d'un tratto gli elementi ostili e gli inemendabili avversari del nuovo, ma rassicurando non però tutti il dì appresso, perché uno Stato perdurante di minaccia renderà tutti inconciliabili col nuovo regime, e prontissimi a procacciarne la perdita.

2. Nel far le sorti agli uomini del caduto regime, i criteri da seguire ci paiono questi: a quei tali che per trista fama aveano sollevato contro di loro la universale coscienza, né giustizia morale, né buona politica potrebbero venire in soccorso: le grandi riparazioni erano diritto imprescrittibile della moralità offesa: senonché dove s'incontri, rispetto a taluno di quei sciagurati, la condizione del bisogno e dei mancanti sussidii di vita alle famiglie e a'  figliuoli loro innocenti, la divien codesta questione di umanità, e sarebbe offesa al senso morale, nonché alla nobiltà del principio e della fede nostra, il condannare agli stenti della miseria anche i tristi in compagnia degl' innocenti.

Troverete in secondo luogo tra'  molti colpiti dalle proscrizioni, tai nomi da meritare una riparazione, perciocché caddero eglino sotto gli assalti delle passioni incandescenti, e della calunnia che menti le apparenze del civismo: troverete in quei tali qualità non ordinarie d'intelletto, non che morale specchiata; solo dal lato politico richiameranno eglino il rimprovero fatto a Burro da Tacito: Burrhus moerens et laudans (1); ma (in nome di Dio) non vogliate chiedere agli uomini l'eroismo della virtù; e poiché ci toccò traversare tanta tristizia di tempi, s'abbia pur la lealtà di confessare che i caratteri, qual più qual meno, non ressero alla prova,

(1) Tacito, Annal. Lib. XIV.

e che gli uomini veramente fieri e solleciti della dignità loro non furono né sono ora che rara eccezione.

Concludendo noi diremo che i funzionari dell'antico regime vanno spartiti io triplice categoria: taluno di trista fama rispettato, e conservato ancora con offesa della pubblica moralità non sarà da tollerare nelle pubbliche funzioni: tal' altro dei caduti che apparirà commendabile per doti d’intelletto e di animo, l'interesse pubblico chiede che venga richiamato ad offici alieni dall'ordine politico: e a tutti poi i tolti di carica vuolsi far salvo il diritto alla pensione di giustizia. A tal proposito mi sia lecito dichiarare che a me che scrivo queste carte occorse, non ha guarì, dover pronunciare un avviso intorno a codesto quesito di massima: se cioè al funzionario tolto d'officio per vie economiche, e senza forme di processo, fosse lecito di rapire il diritto alla pensione di giustizia: ed il mio avviso recisamente negativo ebbi a confortarlo con un parere del Consiglio di Stato del 1814 che piacemi qui recare a testimonio dei buoni principii (1).

(1) Il Consiglio di Stato:

Udito il parere delle doe sezioni riunite di legislazione e di finanza.

È d'avviso: 1 che la destituzione da un impiego civile economicamente ordinata non tolga il diritto alla pensione di ritiro che possa per altre cause spettare al destituito inopie gato; 2 Che debba essa operare l'effetto indicato allor solamente che sia auto provato giuridicamente vero e imputabile il fatto imputato;

3. Altra categoria da chiamar seria attenzione sarà quella dei nuovi venuti, quei cioè che salirono agli offici pubblici per le condizioni dei tempi nuovi. Riguardo ai quali l'interesse pubblico domanda che vadano sceverati i buoni dai tristi; rispetto ai primi se vi avverrete nella capacità e nella intelligenza, converrà che vi si dia un pregio e un valor doppio dell'ordinario, perché vi si congiugne la guarentigia preziosa della fede politica: ma che conto terrete di quei tali che spogli d’ogni merito, d'ogni attitudine, d’ogni garentia vennero su per sola prepotenza di partito, o per codarde concessioni degli uomini del potere? Anche costoro (duole il dirlo) andranno trattati con riguardosa prudenza, e con espedienti di transazione: lè un onere per lo Stato cui non ci è da sottrarsi (salvo a farne ammenda per l'avvenire ), senonché si avrà pure il diritto e il dovere di provvedere alla loro sorte proporzionando le cariche alle capacità e alle attitudini: imperocché noi consideriamo degna della più alta riprensione quella tendenza comunissima nei dispensatori delle cariche dello Stato ad immolare sempre l’interesse pubblico ai rispetti individuali.

3° Che in questo caso ancora la famiglia del reo possa non per altre considerazioni, che per quelle della sola pietà, esser degna di un cari tate voi soccorso limitato a ciò a cui avrebbe essa potuto aver diritto, e se, invece della destituzione, fosse in quel momento avvenuta la morte del destituito.

Napoli, 12 luglio 1814.

4. Ci ha un criterio in fatto di scelta di pubblici funzionari, che apparisce, di certo il men fallevole ed è proprio quello degli esami pubblici. Pare incredibile che i reggitori della cosa pubblica in questo ultimo periodo abbiano affatto pretermesso codesta norma, né avessero compreso che seguendola, due beni se ne procacciavano; il primo nelle cresciute garantie della bontà delle scelte; ed il secondo stava nel disanimare le petulanze degl'inetti, ed ignudi di merito. E però noi vorremmo vedere consecrata codesta massima, salvo le eccezioni consigliate da speciali condizioni che dessero malleveria dei requisiti dei postulanti.

5. Dei modi moltiplici onde l’unificazione potrebbe vedersi ridotta ad atto e rinfrancata da sostanziali presidii, non è alcuno che a noi si appalesi più efficace ed operativo quanto il sistema di promiscuità. Imperocché a noi viventi in quell'estrema parte della Penisola, divisi dall'Italiana famiglia come dal muro di Tartaria e per tanto corso di tempo e per tanti accorgimenti di politica ombrosa, a noi rimarrà pertanto una somma di ostacoli maggiori a vincere perché l'assimilazione si compia.

E pertanto noi tenghiamo che il più efficace veicolo di unificazione s'abbia a cercare proprio nel sistema di promiscuità. E difatti ponete un rimando, e uno scambio quotidiano d'uomini italiani, travasati di luogo in luogo,

e tratti pertanto in una nuova orbita di relazioni, d'interessi e di affetti che si vengon medesimando, e questo solo varrà a sgombrare tante strane ubbie, tante ingiustissime diffidenze, cementando potentemente i vincoli fratellevoli della stima e dell'amore scambievole: né ometteremo di notare che quest'ordinamento abbiasi ad armonizzare con un complesso di mezzi materiali di unificazione: rapidità di comunicazioni mercé un sistema compiuto di ferrovie; connubii tra le industrie e i commerci delle varie parti d'Italia, sicché la società nuova apparisca alla società antica fonte di acquisti e di beni materiali, anziché di mali e di scapiti. Nè questo è tutto: la promiscuità sarà tal cosa da dischiudere una grande scuola educativa da giovare a tutti; imperocché in questa diseguale distribuzione di qualità, di attitudini, e d'instituti civili, nulla ci sembra sì conducente a conciliare i contrarii, e ad accomunare le singole prerogative, quanto la forza degli esempi vivi e l'intreccio delle peculiari abitudini.

Chi vorrebbe ricusare a mo' d'esempio a questo vecchio Piemonte il primato della virtù militare; né questo solo, ma altresì la compostezza, la serietà e il rispetto alla legge, la virtù del sagrifizio, e il profondissimo sentimento patriottico? E chi d'altro canto vorrebbe contendere il primato d'ingegno e la potenza della immaginativa ai conterranei

di Gianbattista Vico, di S. Tommaso d’Aquino, di Torquato Tasso e di Bellini? (1)

VI.

Dell'armata borbonica e dell'esercito meridionale dei volontarii.

A compiere il quadro rimane a dire alcun che dell'armata di terra e di mare. Argomento non lieto egli è questo, e però noi ci terremo a taluna generale avvertenza, la quale per avventura non s'avrà altro pregio che la schiettezza dell'animo in tanto conflitto d'opinioni.

E quanto all'armata di terra noi non potremmo per amor di verità dipartirci dai giudizi severi che oramai la coscienza universale pronunciava intorno all'esercito napolitano. Comprendiamo bene la forza e la logica

(1) Perché meglio si chiariscano gl'intendimenti dell'autore rispetto alla sorte della nostra burocrazia come sta, sarà da avvertire alle seguenti norme da non trasandarsi:!. rispettare temporaneamente lo tlatu quo, ma entro i limiti stretti dell'organico d'ogni branca dell'amministrazione, e salvo ad eliminare la notoria incapacità, la notoria improbità; 2. creare, ed aprire nuove fonti, e nuovo campo d'azione al lavoro intellettivo, e all'attività individuale; senza i quali compensi e correttivi egli è certo che la riforma si renderebbe impossibile, ed esiziale a mille esistenze ed a mille interessi intangibili.

 di codesto artifiziale sentimento di onor militare; e sappiamo eziandio essere in esso la vita e il nerbo d'ogni esercito; senonché ci ha pure un confine che non è lecito travalicare senza violare doveri di ordine più elevato, i doveri del cittadino, i doveri di patria carità! e questo interviene in quei tali incontri nei quali l'interesse individuo del Capo dello Stato venga in contrasto flagrante coli' interesse collettivo della Società tutta quanta: codesta limitazione, e codesto diritto di discussione non andrà a garbo per avventura ai propugnatori della teorica del soldato-macchina, pe' quali  è dogma che l'obbedienza non si discute giammai; ma che monta? Sta contro il povero sofisma il responso concorde della ragione dei tempi.

Ciò premesso, l'armata borbonica infelicemente dimenticò 1 più santi doveri e verso il paese e verso l'Italia. A noi non basta l'animo di rinfrescare quelle colpe; e ci è ben grave il non trovare che parole severe nel giudicare l'esercito che è pur viva parte di noi e del paese. Portiamo fiducia solo che l'armata, non inconscia delle presenti vergogne, non aneli che al dì della riscossa, in cui saprà ben redimere le colpe men sue che della fortuna, mostrandosi erede di quelle glorie militari che diedero tanto splendore di fama ai prodi di Barcellona, di Danzica, della Beresina, ai valorosi della ritirata di Lombardia, ai combattenti di Goito e di Curtatone.

Ma i giudizi sinistri intorno all'armata collettivamente considerata nulla tolgono, anzi aggiungono pregio alle onorevoli eccezioni che (infamarono l'esercito nell'individuo. Avemmo a quei dì di angosciose aspettazioni esempi non pochi di uffiziali, dei corpi scientifici segnatamente, i quali, anteponendo l'affetto alla patria italiana a'  calcoli dell'interesse o della codarda prudenza, si ritrassero onoratamente dal servizio militare rientrando nelle file dell'opposizione e della parte liberale ed italiana: ve ne ebbe taluno a cui fu data facoltà di combattere ai fianchi dei volontari del general Garibaldi, e combatterono da valorosi: e noi trepidi in quell'ora suprema delle sorti della patria nostra, campato il pericolo nella fazione del Volturno, ebbimo caro di salutare tra quei valorosi un Gaeta, un Locascio, un Ferrara, i quali animosamente seguirono la via dell'onore segnata loro dai prodi ed egregi seguaci del Garibaldi, Giacomo Longo ed Orsini. Ed ecco adunque una prima coorte di generosi che sarebbe supremamente ingiusto dimenticare, o parificare al rimanente dell'armata; sono pochi, ma il paese gli ha cari: rappresentanti di un principio, aiutatori efficaci di quel generale abbandono che mandò giù la dinastia, cotali uomini chiamano a sè rispetti speciali, né la di loro, sorte potrebbe andar misurata alla stregua comune delle regole militari.

E poiché sentiamo il debito di dichiarare aperto il nostro pensiero in sì grave bisogna, diremo che nulla ci pare

da lamentar tanto, quanto codesta deplorevole antitesi tra eserciti e difensori d'Italia che stanno di fronte e con fiero cipiglio si osteggiano. Funestissima gara la è questa della quale avrà grandemente a rallegrarsi l'Austria e gl'inimici tutti d'Italia: e nondimeno tra i forti e i generosi egli è così facile stimarsi, ed intendersi! Chi oserebbe contendere del primato di gloria tra'  prodi di Como, e gli eroi di S. Martino, tra'  soldati della libertà di Calatafimi e i gloriosi vincitori di Castelfidardo, tra'  disperati combattenti del Volturno e gli strenui oppugnatori di Gaeta?.... e vorremmo pur chiedere a quanti generosi serbano un culto per quel grande italiano, Giuseppe Garibaldi, che cosa sentisse di queste misere gare quell'anima di tèmpra antica, allorquando mandava quelle nobili parole a'  suoi compagni d'arme: «accogliete i valorosi soldati di Vittorio Emmanuele con amplesso fraterno!» Dunque stima ed affetto, per affetto e stimare chi 'altrimenti sentisse, chi si attentasse a guardare con sogghigno beffardo un'assisa diversa sotto la quale pur batte la fibra del difensore d'Italia, quel tale di certo meriterebbe nota di poco affetto alla gran patria comune. I tempi corrono incerti e pieni di grandi speranze, come di grandi pericoli; stolto chi non vede quanto cammino ci rimanga a percorrere e di quanti bronchi e spine cosparso... e che? Vorremo noi dunque dividerci, astiarci ed ostèggiarci al cospetto di tanta bufera che ci minaccia la vecchia Europa,

e la vasta cospirazione dei partiti vinti?... ed ora suprema necessità apparisce quest'una, riordinare un esercito di tal nerbo e potenza dà bastare e alla difesa nazionale e all'opera compitrice della patria indipendenza, come prima il quadrante segnerà l'ora fatale.

Ricomporre un esercito italiano sappiamo bene essere arduo problema, la cui soluzione tecnica vuoisi commessa ad uomini esperti e speciali, dei quali lode al Cielo qui non è penuria: senonché ci ha pure, e un lato politico e un lato estetico in codesto problema: e intorno a ciò noi ci faremo a recare la nostra libera sentenza. Adunque noi tenghiamo che la gran base piramidale di codesto esercito italiano non potrebbe fornirla che l'esercito piemontese, perciocché ad esso appartenga la tradizione delle glorie guerresche, l'in crollabile forza della disciplina, il sentimento del valor militare giammai smentito, l'affetto e il culto alla gloriosa Casa di Savoia, e la fiducia rifermata dalle grandi prove; ma nelle supreme battaglie della nazionale indipendenza l'elemento popolare chi oserebbe disdegnarlo o estimarlo poco? È tale afflato di vita e di alti spiriti codesto da farne pure il gran caso e la debita estimazione. É però io mi penso che sia pur debito tenerlo d'occhio, e con assidua cura educarlo, apparecchiarlo a'  dl delle prove, trovare sovrattutto le vie del cuore, onorando i nobili istinti e le aspirazioni patriottiche.

Consento non però esser mestieri che gli elementi rei vadano separati dai buoni, che quell'eletta di generosi vada ripurgata dal mal seme che vi si è cacciato dentro per sola colpa de'  tempi straordinari, da non patire severità di scelta; consento altresì che nulla offenderebbe tanto le giuste e legittime suscettività dell'esercito piemontese che fu e sarà sempre presidio e forza di questa patria italiana, quanto il voler rispettato nell'esercito dei volontari quell'assurdo sciupìo di gradi militari conferiti di subito, e senza prove né garentìe: non rimangono adunque che i pochi, ma quei pochi trattateli pure come la storia trattò i trecento delle Termopili.

Le quali considerazioni vorremmo eziandio applicate agli avanzi dell'esercito borbonico. Avrete colà molta borra da mandar via: fatelo, e soddisfarete facendolo a un voto antico, il ripurgare l'armata napolitana di quel brutto lezzo che ci si era versato a piene mani dal caduto regime; senonché eliminando i tristi, o gl'inutili, avvertite bene a garantir loro i sussidi di vita: la è questione codesta di umanità, e di buona politica, e quel Governo che si ostinasse a respingere codesti uomini negando ad essi l'onesto sostentamento, gli avrebbe ridotti alla triste necessità di cospirare e mettersi in guerra aperta col regime che gli uccide.

Serbate d'altro canto i debiti rispetti ad una parte elettissima e da pregiare assai;

quella in ispecie rappresentata dai Corpi scientifici: imperocché è a sapere che le antiche tradizioni della nostra militare educazione si serbarono intatte e buone nella Corruttela de'  tempi, come altresì i nostri stabilimenti militari e marittimi riscossero sempre l’ammirazione di quanti esperti uomini vennero d'oltremonti a studiarli.

A dir breve, i nostri uffiziali fregiati di buona fama e di militare perizia, vogliono essere tenuti in pregio, aprendosi loro le fila dell'armata italiana, pon già a titolo di tolleranza, ma bensì con quella reciprocala di stima che stringe i comuni legami, e all'amor proprio non reca offesa.

VII.

Della marina napolitana.

Della marina diremo più sobriamente: imperocché è tanta la luce e la pienezza degli argomenti e della universale coscienza intorno alla nobile attitudine assunta dal Corpo della marina navigante ai dì delle grandi prove, da non lasciare perplesso il giudizio unanime della pubblica opinione. Gli uffiziali della marina napolitana (se togli quella pàrte indettata al Governo per legami di favoritismo) si mostrarono, i più, di animo patriottico ed italiano. Tratti in guerra fratricida e illiberale, eglino (la più parte almeno) rifuggirono dall'esagerazione dello zelo, perché la coscienza onesta condannava l'opera immane:

parecchi di cotali uffiziali si elessero più tardi il più nobile partito consigliato dalla dignità, dall'austerità dei militari doveri: si ritrassero chiedendo le loro dimissioni: chiamati i generosi a. prestare il giuramento costituzionale, ma con formola insidiosa ed incostituzionale, adoprarono onestissimamente ricusandosi a quel tal giuramento violatore dello Statuto. Gli uffiziali di marina ebbero ad affrontare dipoi la più ardua e decisiva delle prove: tratta vasi, nell'istante supremo della dipartita di Re Francesco, di sapere se il naviglio napolitano avrebbe seguito la fortuna del re fuggente, ovvero rimarrebbe patrimonio nazionale, né andrebbe rapito al paese e all'Italia: a chi la benemerenza dello aver salvato la flotta dagli artigli dell'Austria? A quegli egregi uffiziali preposti al comando dei legni da guerra, il cui patriottismo rifiutò con disdegno gli ordini e le blandizie del Re, protestando che il naviglio si appartenesse al paese e all'Italia.

Ecco i fatti: e pertanto se gli uffiziali della marina adoprarono nobilmente e patriotticamente; se egli è vero altresì che codesta marina si è presentata a'  nuovi consorzi italiani con tutta la potenza di un'antica creazione confortata da grandi stabilimenti, arsenali, cantieri, opifìci, elementi e strumenti di tanti progressi ed incrementi futuri; tutto questo considerato, giustizia vuole, e il buon senno politico raccomanda, che le due marine sorelle si stringano in felice connubio

come da pari a pari, preparando siffattamente la grandezza dei nuovi destini, e ravvivando l'eredità delle glorie di Andrea. Doria, di Mocenigo, di Francesco Morosini e del grand'emulo di Nelson, il napolitano Caracciolo.

Non sapremmo da ultimo passar sotto silenzio un piccolo gruppo degli uffiziali dell'armata percossi dalle proscrizioni del 1820; il numero di essi è ben. magro e rappresentano eglino tutta una storia di persecuzioni e di stenti. Invocarono fiduciosi dal Re leale il benefizio medesimo largito dal magnanimo Carlo Alberto coi decreti del 1848.

Or bene, ai giusti è santi richiami si è risposto con una provvidenza, che mal soddisfa alle legittime aspettazioni. Rispettiamo gl'infortunii nobilmente sopportati per una nobile causa, e mostriamo che le riparazioni non si reclamano indarno dai Governi equi ed onesti (1).

VIII.

Delle condizioni di ordine e di sicurezza pubblica.

Evvi da ultimo un altr'ordine di fatti, e di suprema importanza, da metterlo in cima delle più vive

(1) Le cose dianzi esposte avevamo già scritte, e mandate à stampa, allora quando ci venne notizia di talune recentissime provvisioni del Governo del Re, toccanti l'armata di terra e di mare delle Provincie Napolitane, non che l'esercito dei volontari: le quali provvisioni vengono convertendo felicemente i voti in realità. Stimiamo pertanto debito di giustizia darne lode al Ministero.

«Hletìtudini del governo. Intendiamo accennare alle guarentigie mancate affatto della pubblica sicurezza. Abbiamo nella gran metropoli di Napoli la protervia dei tristi lasciata pressoché senza freni; imperocché da un canto l'armamento generale delle masse, frutto della rivoluzione, non è stato punto ricondotto alle condizioni normali, e questo non già per difetto di provvisioni e di ordinanze, ma bensì per poco zelo e solerzia degli agenti della pubblica sicurezza: d'altro canto l'azione punitiva della giustizia svigorita ed incerta ha condotto alla impunità di fatto de'  reati, donde la smisurata audacia dei ribaldi e degli uomini di mal affare. Peggio nelle provincie, nelle quali cadeste perturbazioni assumono un aspetto ben più grave e sinistro: perciocché non è solo il tenzonare dei partiti che stanno di fronte, ma vi si mesce altresì la violenza armata del brigantaggio. Ci ha tale delle nostre provincie (le Calabrie a mo'd'esempio), in cui codesto brigantaggio è male cronico, e quasi direbbesi inemendabile: senonché per lo innanzi in presenza d’una forza pubblica solida e vigorosa il brigantaggio, se per un istante levava il capo, era vinto il dì appresso, né potea rendersi giammai un pericolo serio.

Ben altre sono le condizioni attuali: la forza pubblica fa difetto, e si mostra qua e là per accidente; la Guardia Nazionale ha meritato bene di certo; e diremo anzi che nei gravi frangenti ch'ebbe a traversare non men la capitale che le provincie,

la Guardia Nazionale sempre vigile, pronta, operosa non perdonò a sforzi né a fatiche, né mai disdisse la sua fede invitta alla libertà e all'Italia. E non di meno rendendo noi codesto omaggio sentito alla nostra Milizia Cittadina, non sapremmo dissimulare che il compito di essa mal soddisfa alle gravi esigenze dell'ordine pubblico, segnatamente nelle Provincie: il che vuolsi ripetere da più cagioni che accenneremo di volo per amor di brevità: vizi d organamento — difetto di disciplina — armamento scarso — scelta raramente buona dei capi — mancata sorveglianza da canto degli uomini preposti al reggimento delle provincie. Per le quali cagioni la Guardia Nazionale nelle provincie convien che venga efficacemente rinfrancata e sostenuta dalla presenza permanente di una mano di truppa regolare nei principali centri, perché abbiasi la tutela confortevole e seria dell'ordine, e della sicurezza pubblica. Ed è tal bisogno codesto che non patisce dimore, avvegnaché questo difetto di sicurezza abbiasi a reputare la scaturigine massima di tutti i mali che si lamentano; né basterà il provvedere alla ristaurazione dell'ordine materiale. Vuolsi sovrattutto che l'autorità morale della legge e del magistrato vada presto risollevata dallo invilimento in che cadde: o l'impero della legge o quello della violenza e della forza bruta (1).

(1) È nota la bella sentenza di Bacone: In societate civili aut lex aut vis vulet.

E noi tenghiam fermo che se a quest'alta necessità non si provvederà presto e virilmente, indarno si avrà a sperare la efficacia pratica dei nuovi ordini da recare in atto il principio politico dell'unificazione. Non sarebbe forse empirico e strano quel tal metodo curativo che scambiasse la terapeutica con l'igiene? Riordinate in pria (risponderebbe la filosofia medica) la perturbata dinamica della vita, e di poi avviserete a'  mezzi da ristorare e corroborare la sanità. Decreti, ordinanze, regolamenti, provvisioni d'ogni maniera col soprassello del nuovo aggiunto all'antico, la è merce codesta che in verità ci sovrabbonda; ma il fatto sta che tutto questo giugne in mal punto, giugno incompreso, e ridotto al nulla dalla forza. d'inerzia e dal mal talento: e gli assennati son costretti a ripetere ad ogni pie' sospinto il motto di Tacito: Phirimae leges, corruptissimi mores. Vuolsi, a dir breve, che il potere riassuma coscienza piena di sé; che non esiti né dietreggi di fronte a qualunque atto risoluto ed ardito imposto dalla salute pubblica; che tenga pur l'occhio alla formola della sapienza romana nell'accidente dei grandi pericoli ed in nomo della difesa sociale (ove questa imperiosamente il chiedesse) provochi un bill d'indennità dalla Nazionale Rappresentanza, non che dalla pubblica opinione (1).

(1) Vogliamo qui recare le gravi parole che Sallustio pone sol labbro di Marco Porzio Catone. Nam coetera tum persequare, ubi facta sunl; hoc nisi provideris ne accidat, ubi evenit, frustra judicia implores: capta urbet nihil fit ret?qui victis. Sallustii Catilina L. II �\ E Tacito sentenziava cosi: Habel aliquid ex iniquo omne magnum exemptum, qnod publica utilitate rependitur.

IX.

Del riordinamento del Governo di Luogotenenza.

Che cosa avremo a dire dell'ultima crisi ministeriale, non che del riordinamento del Governo di Luogotenenza? Diremo con fermissimo convincimento esserci paruto questo l'ottimo degli spedienti da avvisare alle stringenti necessità.

E primamente non sarà a dubitare che la entra tura delle meridionali provincie nel consorzio italiano creasse la necessità di ritemprare il Ministero con 1 elemento indigeno delle provincie nuove: al che il Ministero intese con nobile annegazione e la scelta meriterà di certo il plauso degli assennati e dei non cupidi di portafogli. Uomini onorandi ebbero seggio nel Ministero, e certo tutti gli astii e le invidie dei partiti politici non oserebbero porre in forse la specchiata probità, l'integrità di vita, e le qualità d'intelletto dei nuovi uomini assunti al Ministero.

Era di poi da provvedere al migliore assetto del Governo locale: ed in questo la prova dei fatti chiariva ad evidenza i vizi intrinseci del sistema; e di vero ponete un Potere centrale, su cui risieda intera e indeminuta la responsabilità costituzionale, intantoché esso si ecclissa, e si tien fuora dall'azione sul Governo locale: ponete un de legato del Potere centrale, in figura sia di Luogotenente, sia di Segretario di Stato,

il quale improntendo una responsabilità nominale, all'atto si fa pedissequo dell'indirizzo comunicato al Governo dal Consiglio che gli sta intorno: e da ultimo considerate codesto Consiglio di Luogotenenza rappresentato dà uomini sciolti d’ogni responsabilità legale, ma nel fatto con piena balìa del bene e del male: e quel che è peggio ridotti a vita precaria, incerta e tale da rendergli più accessibili alle pressioni dei partiti politici, ed alle oblique influenze. Or chi non vede quanto male avvisato e vizioso si appalesi codesto congegno governamentale: il quale non potea essere che scaturigine di arbitrii, d'incertezze e di disordini d'ogni maniera...? Era pertanto incalzante bisogno venire alla instaurazione del Governo locale su nuove basi: a questo il Governo del Re ha provveduto, e con ottimo senno.... movendo dall'idea semplice e inoppugnabile che la'  indivisibilità del Potere, esecutivo non sarebbe punto concepibile senza l'unicità del Potere ministeriale, sicché ogni concetto di dualità ministeriale peccherebbe di assurdo; érà debito quindi del Potere centrale rivendicare a sè l'azione direttiva sul Potere delegato e locale. Quanto poi alla funzione dell'elemento e del Potere locale la miglior combinazione sarà quella che senza incagliare né porre inciampi di sorta al corso celere e sciolto de'  negozi pubblici, costringa non però tra giusti limiti lo esplicamento pratico di esso Potere; locché, tanto dai sottrarlo alle tentazioni degli arbitrii; e dei soprusi.

A dir breve la è una questione di dinamica politica: il problema a sciogliere ci pare questo: trovare il momento statico tra le due forze centripeta e centrifuga, sicché dalla ponderata contemperanza di esse ne venga fuora la fermezza del principio unitario, e lo esplicamento libero della vita locale. Diremo anzi che codesta formola compendia in sé tutta l'economia del novello ordinamento politico: sarà opera degnissima del senno italiano recare ad atto codesta formola rendendola possibile e pratica... Ma quest'uno sappiasi bene, che indarno si chiederebbe al Governo sapienza di consiglio, operosità e vigore di atti, se il sentimento del buono e del retto non si ridesti nell'universale, e se negli animi non ritorni la calma, la temperanza, la modestia civile e il culto delle virtù patriottiche.

X.

Che cosa vogliono i Partiti ed i Municipali.

Ci è grave la severità del giudizio, ma il dissimularlo ci parrebbe colpa. Noi assistiamo ad uno spettacolo miserando e vituperoso davvero, riportando il pensiero a quelle nobili regioni dell'estrema Italia. Era pur sorridente lo esordio del gran moto italiano colaggiù: l'idea unionista per felice intuito del senso retto era entrata di subito e maravigliosamente negli animi e nei consentimenti delle moltitudini:

l'intemerato vessillo della Casa di Savoia raccoglieva intorno a sè le simpatie, le adesioni e gli affetti di tutta quanta la cittadinanza, dalle alte cime della società sino alle infime classi del popolo che soffre e spera. Chi ci ha turbato quel bel sereno, quelle felici armonie? Chi ci ha ricacciato tra le furie delle civili discordie e delle maledette gare municipali? Fu colpa di tutti e su di tutti si aggrava una responsabilità terribile. Fu colpa delle sette e dei partiti la cui protervia insana non seppe ad altro rivolgersi che all'opera di una vasta demolizione: faceano le viste di accettare un principio, ma senza fede né coscienza pura, e con animo parato a scalzarlo e sostituirvi le loro matte utopie. Fu cagione eziandio di mali e di vergogne infinite l'impudore e le cupidità sfrenate del partito vincente, il quale (salvo la pace dei non pochi caratteri nobili) arrogava a sè il monopolio degli ufficii pubblici, siccome prezzo d'una conquista. Fu colpa di taluni uomini venuti al potere in quel rapido avvicendarsi di governi, i quali uomini, cupidi stoltamente d'una popolarità plateare e fallace, si diedero a piaggiare tutti gl'istinti rei, tutte le passioni intemperate, tutte le ambizioni dei mestatori, e così pervertivano il senso morale e il pudore della virtù. Fu errore da ultimo dei reggitori della cosa pubblica i quali nell’onestà inattaccabile della coscienza e delle intenzioni loro non meditarono né fecero giusta stima dell'immensità dell'opera che venia lor per le mani, né dei conflitti, delle resistenze e delle repugnanze che ad ogni piè sospinto si avrebbero ad incontrare;

né pertanto dei molti rispetti da serbare alla tradizione, all'elemento storico, agli abiti antichi, al pregiudizio e alle invincibili borie nazionali: sicché tutto questo tenendo in non cale gl'iniziatori dell'opera unificatrice si consigliarono di andar difilato dirittamente alla meta, e senza destreggiamenti, né soste nel transito dall'antico al nuovo: le quali improntitudini furon cagione di ben gravi conseguenze; perciocché vennero ingenerando quella stoltissima e falsa credenza che il Piemonte agognasse ad imporre e dettar leggi, apprestando siffattamente un pretesto ed un' arme a'  partiti avversi, i quali furbescamente si diedero ad usufruttuare codesta popolare ubbìa (1). È oramai tempo nonpertanto che i veli si lascino cadere e gl'inganni e le fraudi si pongano a luce di sole.

(1) Tra gli avvisamenti del Machiavelli non vuolsi dimenticar questo che ci è paruto opportunissimo. «Colui che desidera o che vuole riformare uno stato d'una città, a volere che sia accetto, o poterlo con soddisfazione di tutti mantenere, è necessitato a ritenere l'ombra al manco de'  modi antichi,acciò che ai popoli non paia aver mutato ordine ancora che in fatto gli ordini nuovi fossero al tutto alieni dai passati, perché 1 universale degli uomini si pasce così di quel che pare come di quel che è, anzi molte volte si muovono più per le cose che paiono, che per quelle che sono. » Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio, lib. 1, cap. XXV.

E Tacito va notando tra gli accorgimenti della politica di Augusto il rispetto a nomi e alle forme antiche: eadem magistratuum vocabula. Anr. al. lib. 1.

Sappiano adunque i troppo creduli, ovvero quei tali adusati a sospettar tutto, e a discredere a tutto, che codesto vano rumore non è che artifiziale fantasmagoria.

I popoli Subalpini e il Re Galantuomo, gli uomini di Stato, e in cima di loro l'illustre statista Camillo di Cavour, al cui nome l'Europa s'inchina riverente, non han mestieri di apologia, né io che vo dettando queste povere carte, ebbi mai costume di bruciare incensi ai potenti; senonché l'amore del vero, l'affetto vivissimo al mio loco natio, e innanzi tutto il disdegno profondo che mi mette nell'animo la ingratitudine politica queste cagioni mi muovono a sburgiardare la inverecondia dei partiti che vilmente mentiscono e calunniano. E chi siete voi che vi arrogate il diritto di giudicare dal tripode tal Governo che meritò il suffragio e il plauso dell'Europa civile? Voi parlate di egemonia prepotente e invaditrice di questo nobil Piemonte? stolta menzogna la è questa: il Piemonte (chi noi sa?), solitario in questo lembo di terra libera, e sfidato a morte da tanta potenza di eserciti e di nemici suoi e d'Italia, pur non rimise da'  suoi virili propositi; tenne alto il vessillo del nazionale riscatto, ed alla voce di quel magnanimo che avea fermo nell'animo di cimentar Vita e trono per fare l'Italia, il Piemonte prodigò sangue è tesori a redenzione della patria comune: ed ora che i Cieli propiziarono l'arduo intraprèndimento, ben sa il Piemonte che la personalità sua si assorbe nell'Italia nuova che sorge....

E noi tribolati ed oppressi dalla Borbonica tirannide, noi che invocammo con desiderio infinito il braccio e la spada liberatrice della Gasa li Savoia, oseremmo noi, anche un solo tra noi, disconoscere il benefizio é mordere la mano che ci venne aiutatrice?

Agevol cosa è ii censurare gli atti del Potere: e sta bene;, sol che la censura è la libera stampa non si faccia pettegola, irosa, e propagatrice di scaldali e di vilipendi, conciossiaché il reo costume non torni al postutto che a comun vitupero degl'individui non pure, ma si del paese e della patria fama (1).

(1) Gli scandali della stampa napolitana propagati da taluni diarìi hanno travalicato ogni misura, ed ogni termine di pudore. Nomi onorandi, cari al paese, alla scienza, all'Italia, I veggono da quella stampa invereconda assaliti con ogni maniera di Vituperi: si pongon gli onesti nella triste necessità d'invocare il presidio delle leggi repressive: ma sarti forse code sto il sindacato libero, leale, ed onesto della pubblica opinione? sarà codesto il ministerio civile della stampa, che la innalza all'uffizio d'un quarto potere nei reggimenti costituzionali, questa non è in sostanza che la più turpe contaminazione della dignità della stampa, e della dignità del paese. Come avrà dunque a giudicare l'Europa civile un paese, nel quale la voce della opinione pubblica artifiziale e mendace non si levarsi che per gittare l'onta ed il fango su tutti i nomi e tutte le riputazioni, tutte le illustrazioni? né trova mai tona riputazione da rispettare, una virtù da lodare!

Diremo poi a quella generazione di uomini ohe perfidamente si travagliano a metter lo screzio tra il Governo che fu libera emanazione del voto nazionale, e i popoli che lo acclamarono, che quel mendace municipalismo da inretire gli stolti non ingannerà porto i pensanti: la fraude è manifesta. È la lega codesta de'  tristi e degli inetti: questi inconsci cooperatori: quelli strumenti e complici di tutti i partiti Vinti: Borbonici, Mazziniani, Clericali, Austriacanti, e tal'altra risibile superfetazione, vaga d'un pretendente straniero. Ma i biechi disegni e i malvagi consigli balzan fuora a tratti luminosissimi. Sappiamo bene quel che si vuole: si vuol suscitare un vesto incendio di guerra civile: che se a questo si pervenisse, se tutto andasse sossopra tra le furie, e i saturnali della Demagogia, ecco allora venir fuora un Quos ego... () dell'Europa conservatrice; ed a nome dell'ordir» europeo sa Iddio che cosa toccherebbe a quei popoli tribolati della meridionale Italia! L'animo rifugge atterrito in verità dalle tristi divinazioni:

(1) «Tantane vos generis tennit fiducia vestri?

«Jam coelum terramque, meo sine nomine venti,

«Miscere, et tantas audetis tollero moles?

«Quos ego. Sed moles prestat componere fluctus.

Virgil., Aeneid. I. 1.

L'Europa conservatrice tratterebbe l'Italia come il Nettuno di Virgilio trattava i sommovitori imprudenti delle tempeste.

ma questo, la Dio mercé, non sarà; perché ci è conforto il retto senso e la costanza di propositi della gran maggioranza; perché ci affida la civile prudenza del Governo del Re d'Italia; perché infine tutti quanti siam noi, antichi amatori d'Italia, devoti al trionfo dell'Idea che fu il sogno più caro de'  nostri giovani anni, noi tutti nell'ora suprema faremo il nostro dovere e salveremo l'Italia.




















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