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LO TROVATORE

Giornale del Popolo - ANNO VI Aprile 1871 Dicembre 1871 (3)


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GLI ARTIFIZII

UN ALTRO!...

PALERMO E IL QUESTORE ALBANESE

UN'ULTIMA DISTRUZIONE

PARTE AFFICIALE

UN'ULTIMA DISTRUZIONE

Sella in galera!

Chi scuoterà l'Italia?

UN INDOVINELLO

PARTE AFFICIALE

SEQUESTRO

UN'ALTRA IMMORALITÀ

LE CAREZZE!

I LUNARI DEI RIVOLUZIONARI

RECLAMO ALLA LUNA

UN'ALTRA CATASTROFE PER LA RIVOLUZIONE

MENTITE SEMPRE!

I PROFESSORI DELL'UNIVERSITÀ ROMANA E IL GIURAMENTO

CINQUE NUOVE TASSE!

IL SEQUESTRO

LA NUOVA TASSA PROPOSTA DALLA GIUNTA

UN ALTRO VITUPERO

IL DISCORSO DELLA CORONA

L'AVVENIRE

QUADRO SINOTTICO DELL'ITALIA ECONOMICA

I ZAMPOGNARI

MONTECITORIO

L'ITALIA

POVERA ITALIA!

TUTTO PER FORZA!

PERCHÉ QUESTO SILENZIO?


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ANNO VI N. ° 111 Martedì 19 Settembre 1871

LO TROVATORE

GIORNALE DEL POPOLO

GLI ARTIFIZII

Quando si à interesse di mistificare qualcuno onde non sappia il vero delle cose che lo riguardano, si pone in opera l'artifizio, e mentre gli si dà ad intendere di un verso, si agisce segretamente d'un altro perfettamente opposto al primo. Così avviene oggi tra i potentati europei e l'Italia.

La vecchia diplomazia tutta intenta a preparare il gran colpo contro la rivoluzione, apparentemente finge non accorgersi punto di ciò che la rivoluzione à fatto, e di quello che fa: o tutto al più si limita a dare al Gabinetto Lanza qualche benevolo ed ufficioso Consiglio. Da questo indifferentismo diplomatico, gli unitari d'Italia tirano il proprio oroscopo, ed a voce alta gridano: Niuno pensa d'inquietar l'Italia, l'Europa tosto o tardi riconoscerà la presa di Roma, e perciò l'Unita d'Italia avrà il suo battesimo diplomatico, senza restrizioni o riserve.

È presto detto tutto ciò, resta a vedersi se la cosa va così. Noi dalla lettura degli stessi giornali rivoluzionari abbiamo ragione di credere che no, ed i fatti diplomatici sinora svolti sotto gli occhi nostri, ci danno ragione. Noi non ci facciamo imporre dagli articoli ispirati o pagati, siano pure quelli del Debats, del Times, dello Standard, della Presse, poiché sappiamo per pruova qual fede anno quei giornali organi rivoluzionari, e come le loro colonne sono sempre aperte per ricevere certi comunicati e certi articoli tipi d'incoerenze, di ridicola gravità, di spropositi e perciò non ce ne commuoviamo né punto e né poco. Si è detto che l'Italia sia entrata terza nel convegno di Gastein, quandoché invece si sa che da Gastein son partite serie ammonizioni per l'Italia. Si è detto che i due Imperatori non ànno affatto parlato della questione romana, quando è conosciuto che sulla medesima la diplomazia Europea à già deciso, e non ancora si è dato esecuzione alle diplomatiche decisioni, poiché se ne stanno facendo i preparativi. Lasciate che i governi si formino una maggioranza Cattolica nelle Camere, e poi vedrei e se la rivoluzione sarà sconfitta... Si è detto che tra la Francia e l'Italia non vi è alcuno disappunto, ed invece lo stesso giornale officiale del Governo francese ponendo in rilievo la doppiezza della diplomazia italiana giunge a chiamarla imbrogtiona, conchiudendo che l'Italia per quanti sforzi faccia giammai giungerà a risolvere la questione romana, che il solo Papa potrebbe facilmente sciogliere accettando e riconoscendo i fatti compiuti dalla rivoluzione. Ma il Papa questo non lo farà poiché glielo vietano la sua coscienza ed i suoi doveri, quindi la questione romana resterà insoluta, e l'Italia urterà come un fragile bicchiere di vetro contro un masso tli granito. Ciò posto, tutto quello che da noi si vede, si sente, si legge sui giornali liberaleschi non è che un artifizio.

Volete persuadetene? Eccoci. La rivoluzione italiana per mandare a compimento il suo programma cosa le resta a farei La bagattella di altre tre o quattro guerre. Deve guerreggiare l'Austria pel Trentino ed il Tirolo; l'Inghilterra per riprendersi Malta, la Francia per ripigliarsi Nizza e Savoja e la Corsica, la Svizzera per ottenere i cantoni italiani che fanno parte della Confederazione Svizzera. Ora queste non sono guerre come quella dei 1860: di quelle Commedie non ve ne saranno più; poiché il compositore di esse è caduto a Sédan, dunque in considerazione di questo programma della rivoluzione, l'Italia non potrà mai avere alleati, a perciò dall'Europa diplomatica é ritenuta come un permanente pericolo per la pace generale. Pericolo presente, innegabile, certo, non già perché l'Italia avesse in se la forza e la potenza di tenere in timore l'Europa civile, ma perché essa Italia fatta centro e sostegno della setta, questa così viene ad avere a suo libito, un governo, un gran paese, esercito, finanze, diplomazia. Epperó oltre della quistione politica, ve n'è un'altra per l'Italia ed è la quistione religiosa. L'Italia spogliando il Papa del potere temporale à costernate tutte le coscienze cattoliche, e queste indignate reclamano e protestano ai propri governi. Quindi in ogni Stato vi è un numero stragrande di scontenti, che vedendo i loro voti trascurati, ben possono alla prima occasione attaccare i governi verso cui ànno reclamato, che i governi ci penseranno bene di far divulgare un vasto fuoco nella casa propria, e dar modo allo scoppio di una lotta civile che sarebbe la totale rovina di tutti i governi. Ma ci si dirà, laddove i governi volessero incoraggiare la reazione, non avrebbero similmente in casa propria la guerra civile? Forse la rivoluzione si lascerebbe abbattere senza combattere? Sì, è vero questo, ma non è men vero che i governi appoggiando la reazione avrebbero con loro eserciti e popoli, quandoché proteggendo la rivoluzione, sarebbero abbandonati dai popoli e forse degli eserciti puranche. Questi non sono sogni ma fatti, poiché oggi la rivoluzione con i suoi spropositi, abusi e brutalità à talmente disgustati i popoli, che tutti ad alta voce ripetono, «leve finire. Il popolo, 0 lettori, è positivo; esso non corre alla fantasmagoria che come un inesperto fanciullo, ma però non tralascia mai di far dei paragoni, i quali non sono che riempio dei tempi felici. Che cale al popolo l'utopia dei matti, che gli vende lucciole per lanterne, quando con una esattezza innegabile vi prova che egli invece di guadagnarvi, vi à perduto con la rivoluzione? Voi gli potrete dire, se tu soffri i figli tuoi godranno... Ma intanto togliti tu in pace lagrime e miseria e compra a prezzo di questi un lieto avvenire per la nascente generazione... Savi consigli. Ma se il popolo vi risponde, quando io non era sovrano e né libero, come dicono i miei nemici, io aveva vantaggi reali e positivi? Come gli rispondereste? tacendo? Ma chi tace, accetta. Parlando la menzogna? Ma questa si scopre da sè...

Dunque tutto è artifizio poiché l'Europa è decisa a distruggere la rivoluzione, carezzandola. Ed ecco dimostrata la politica d'oggi non essere che un artifizio!!

LO TROVATORE. 

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Gnaz. Ve saluto nsoleto, comme state?

Ann. Oh viato chi te vede, da qua forgia de conciatrebete sì asciuto?

Caf. Gnaziè, tu t'àje fatto li denare?

Tra». E già ll'amice mo non s'arrecordano cchiù.

Gnaz. Chiano, chiano, vuje tutte avite ragione, ma io manco aggio tuorto.

Ann Neh, neh, allora avarrà tuorto la lanterna de lo Muoio...

Gnaz. Io non aggio tuorto, pecché se aggio mancato è stato che sò stato a Roma.

Ann. E tu sulamente llà potive ì pe te fà assolvere li scarrafune che tiene ncoppa a la coscienza...

Caf. Ah... ah... ah... vi comme è coriosa moglierema voleva fà confessà a Gnaziello...

D. Crisc. Sarebbe una sciocchezza... Gnaziello è un uomo ora, e capisce che queste macagne dei preti non si usano più.

Trov. Nò me scusate le mmacagne songo ll'arte veste pe fà perdere la fede a le gente, ma nò li conziglie de li prievete li quale ve diceno non fà lo male che è peccato...

Gnaz.. Basta, io ccà non sò benuto pe sentì la predeca, parlammo d'autro.

Ann. Ched'è te facessero veni la freva chelle pparole?

Gnaz. Ma non me vanno a lo genio.

Caf. T'avotano Io stommaco non è bero?

D. Crisc. Parliamo d'altro E così Gnaziello, che ci dici di buono?

Gnaz. Sapite la lettera de chillo beli' ommo de Zi-Peppe nuosto?

Ann Parlanno co crianza de la faccia, nosta e de chi nce sente?

D. Crisc. Sì, quella con cui à detto che l'Internazionale

è un associazione benemerita?

Gnaz. Gnorsì, e isso se nc'è scritto...

Trov. Chesto sulo mancava pe fà canoscere che ommo è Garibalde...

Gnaz. Pecché che le volito dicere?

Ann. Niente, pecché mo nce vò lo fatto, nfaccia a lo ttinto non ce vò cchiù tentura.

D. Crisc. Sentite, ma la lettera di Garibaldi dice, facendo le debite correzioni all'Internazionale.

Trov. D. Criscè, quanno na cosa è mala sempe tale è, e non c' è correziene da fà...

Gnaz. Ma chi l'à ditto che è male?

Ann. Ma de che se tratta?

Caf. Nientemeno che Garibalde à ditto che ànno dato a ffuoco Parige, chille che pensano de dà a ffuoco a Roma.

Ann. Che bell'ommo e cchisto era chillo che quanno venette a Napole faceva lo Santocchio jenno a Piedegrotta, parlava de umanità, de fratellanza? Che mbroglione, che frabutto... Vi comme se stà facenno a canoscere neh?

Gnaz. Garibalde àve ragione, pecché se non se leva ffraceto non se pò fà niente de buono...

Caf. Lo ffraceto vò dicere che s'ànno da paise co lo ffierro e lo ffuoco?

D. Crisc. Questo no.

Trov. Chesto è chello che se vò fà.

Ann. Lo ddiceno lloro, ma Dio da coppa pure nce stà, e co na votata d'uocchio li pò fà addeventà cennere.

Gnaz. Va buono ne parlarrammo.

D. Crisc Andiamocene. Addio.

Ann. Jatevenne che ve stà astipata na marenna, che n'avarrate propeto piacere... Caf. Che ve ne pare, neh Si Tò?

Trov. Songo ll'urdeme sfuorze de la morte. Santa notte.

ANNO VI N. ° 113 Sabato 23 Settembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

UN ALTRO!...

Copia — Il Giudice Istruttore presso il Tribunale Civile e Correzionale di Napoli. Visto il N. 112 anno 6. del giornale il Trovatore. Letta la requisitoria del Procuratore del Re di questo Tribunale del tenor seguente. 11 P. M. Vista la nota di pari data del Procurator Generale presso la Corte di Appello richiedente il sequestro del N. 112 del giornale il Trovatore pubblicato oggi stesso. Visto il giornale medesimo è specialmente l'articolo intitolato Un anno!... che comincia egli è indubitato che non vi à supplizio, e finisce coraggio e speranza; articolo che abbiasi qui come trascritto. Poiché in detto articolo si offende il rispetto dovuto alle leggi e si fanno voti per la distruzione dell'ordine Monarchico costituzionale reati preveduti dagli articoli 23 e 21 legge sulla stampa 1. decembre 1860. Visto gli art. 48 e 67 legge anzidetta. Chiede. Si devenga al sequestro degli esemplari del giornale incriminato e s'inizi il relativo procedimento contro chi e come per legge. Napoli 21 settembre 1871 G. Pappalepore. Ritenute le avanti scritte considerazioni del P. M. Visti gli art. 67 e seguenti detta legge. Ordina procedersi al sequestro degli esemplari del N. 112 del giornale il Trovatoti pubblicatosi oggi stesso;e ne affida la esecuzione al signor Questore di questa Città e Circondario. Napoli 21 settembre 1871 G. Morabito C. d'Amato.

Un altro sequestro!... Buona questa, finalmente si è capito che il Trovatore è l'ombra di Banco, e che ogni sua parola è una mina... Bravo! dategli su, poiché così avrete salvata la pa... pancia pei maccheroni... Ma questa volta però il povero Trovatore à pagato il peccato di un altro. l'articolo incriminato non è suo, poiché egli sa, che non sappiamo per quale ragione, o la sappiamo purtroppo, l'onorevole Fisco sta con la nevralgia, e perciò, guai chi vi capita, precisamente il Trovatore, quindi facendo di necessità virtù a versato il giulebbe nel suo calamajo, e così scrive per le ragazze, per le nonne, e pei nonni... Ora gli venne in testa di ricopiare un articolo della Frusta, giornale romano,che non à voluto sinora insegnarsi a fare il giornalista secondum Dina, Comin, Lazzaro e compagnia autevorilissima, cioè mistificare, ingannare, tradire... Non fosse stato mai quello articolo! per il Fisco è stato un voto, anzi un fatto, e cadutogli qual masso sul fiscale tavolo, l'à fatto trasalir dalla paura, e quindi... sequestro al Trovatore, che in questo caso non à fatto che ripetere... Ora dunque, giovedì mattina quando io figlio di mio padre stava aspettando come l'uovo pasquale le carte monete, importo dei numeri del Trovatore venduto, quanto mi veggo presentare il proto con due palmi e quarto di muso allungato, e mi dice: Un altro sequestro! Ora dunque son conciato per le feste... invece d'introitar danaro, ho introitato ricevi dal questurino che si prese l'incommodo di sequestrare per le banche dei rivenditori il Trovatoti; onde alla mia famiglia per parecchi giorni quando cercherà del pane, le porrò innanzi un pacco di quei ricevi, e dirò: mangiate questo, ve lo manda in dono il Fisco, quel Fisco che si à messo in testa di amoreggiar con noi...

Dunque a voi, o signora Frusta, noi ci rivolgiamo, voi che malgrado le busse fiscali volete sempre più menare il vostro frustino, sia dalla parte del mozzone, che dal manico... Ma, cara lei, vi pare mo che il vostro frustino potrà correggere i muli e gli asini, o fare arrossire chi non sa che sia rossore? Sogno, cara Frusta, sogno!...

Sentite, certi ricordi non è lecito si facessero... precisamente oggi che i delicatissimi nervi dei nervosi sono di una squisitissima sensibilità... Imprudente che siete... perdinci voi non volete comprendere l'altezza (non sappiamo di quanti metri cubi ) dei vigenti tempi... peggio per voi. Sentite un nostro consiglio. Lasciate di scoppiettar la vostra frusta, come noi lasceremo la nostra lanternella... poiché in opposto potremmo far venire la terzana ai colerici Fischi... e poi chi fischierebbe più? Chi proverebbe i pericoli della patria, racchiusi negli articoli della Frusta e del Trovatore? Chi? Mio Dionoi tremiamo al solo pensarlo... un patatrac della liberalesca cuccagna, non sarebbe una sventura pubblica per tutti i mangioni e buzzurri?...

No, no, noi Trovatore, non vogliamo far male. Noi... avvece del lanternino d'ora in avanti accenderemo un lanternone, e certe cose, che sinora ci siamo contentati a lasciarle in fondo della vecchia nostra sporta; oh sì, le mostreremo, le faremo sapere al colto pubblico, ed all'inclita, affinché ciascuno avesse il proprio compenso...

Farete altrettanto voi, signora Frusta?

Lo crediamo bene. Ed ora aspettiamo ciò che diranno i giurati f Viva per cento e cento volte la libertà che come l'Araba Fenice:

Che vi sia ciascun lo dice

Dove sia nessun lo sa!!!

LO TROVATORE.

ANNO VI N. ° 115 Sabato 28 Settembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

PALERMO E IL QUESTORE ALBANESE

Custodem quis custodit?

Soventi volte ci è occorso di richiamare l'attenzione del Governo sopra questa misera Italia, e scongiurarlo ad aver previdenza; che vedevamo dove si sarebbe andato a cadere, quando dal volere di un Prefetto, di un Questore, di un applicato qualunque, ed anche di un semplice questurino dipendeva la tranquillità di un paese: ricordevoli di quell'antichissimo dettato, che una piccola scintilla suole occasionare un grandissimo incendio. Ma le nostre parole, ed era giusto, furono sprecate al vento, messe in non curanza, e la consorteria ci diede sulla voce. Tacemmo non già perché il buon dritto non ci assisteva, ma per evitar di attaccar briga con uomini, la cui volontà è al di sopra delle leggi. Il tempo à chiarito i nostri concetti, ed à dimostrato che quei pensieri frano veri. Si sono svelate le latebre ed il tenebre che li preoccupava. Il mandato di cattura, che l'autorità giudiziaria li Palermo à dovuto spedire contro di quel Questore Albanese, e la di costui fuga, suonano un alto rimprovero agli uomini del partito, che ànno abbrancato il potere.

In Napoli il diverbio tra la milizia cittadina con la Questura ed altrove altri fatti rivelano a chiare note, che si cammina sul fuoco. Da banda il colore politico, diciamo che questa veste non deve coprire proterve tendenze; sfrenate passioni e lascivi affetti; che in allora la società si scioglie. Ecco la spaventevole voragine in cui siamo precipitati, e che ci sta d'innanzi, per opera degli inesperti che regolano i destini di una grande Nazione, che un dì formava l'invidia del mondo!

Nella rivoluzione si distrugge ogni cosa, ed essa non si contenta di non rimetterle al loro posto, ma addenta e divora le istesse sue produzioni. In questo caos, ove non vi è puntello da reggersi e da potersi soffermare; ma che si è obblijgato di camminare sempre innanzi, fino a giungere all'abisso; abbiamo il convincimento ch'è impossibile di potervici restare per molto tempo. La situazione diventa talmente tesa, che ogni cosa può riuscire fatale.

Lungi dall'ascoltarsi le voci della stampa onesta, gli uomini al potere si sono arrovellati tra loro innalzando una fallale diga. Essi si sono circondati solamente dei soci del martirio, e vonno ridurre il Governo interamente ad un partito! €osa ne sarebbe del paese se per un istante questa Mafia, questa Camorra addivenisse intollerante pel braccio forte dei petrolieri ascritti all'Interazionale? Ricordiamo i primi momenti del settembre 1860. Gli affiliati alle sette non dormono, essi vedono tranquillamente li scioperi, e vi soffiano sopra. Questi partigiani pretendono che bisogna esser loro grati, perché ànno organizzato una tale opposizione, che accresce e prolunga i nostri disastri. Ecco una triste certezza! Questi uomini della consorteria per l'ambizione, e per la libidine del comando tengono dal loro lato gli amici del disordine ed i malfattori. Essi dopo di aver dilapidati i patrimoni pubblici e privati, hanno contaminato la pace domestica, il santuario delle famiglie con un impasto di finti maneggi e d'impudenti intelligenze. Questi arruffatori dei popoli hanno col massimo scandalo falsata la pubblica opinione predicando per virtù il vizio: e siccome i male intenzionati si alzano di buon mattino, cosi la società è precipitata nelle loro braccia. Di questa corruzione politica ecco gli acerbi frutti che si sono raccolti!

Che se il dritto della forza fu l'espressione della consorteria personificata in Palermo nel Questore Albanese, questi dovè cosiffattamente eccedere e degenerare da mettere nel nulla le più sacrosante leggi, e farsi lecito di deriderle e calpestarle. Questo marchio indelebile di vassallaggio imposto dai padri della patria. Questo predomtnio di tristizia, questa inqualificata resistenza per anni, questo baldo dispregio, questo gavazzare superbo e lussureggiante han distrutto' ogni senso di gerarchia di obbedienza, di legalità, ed han, messo in non cale la voce medesima del Governo. Per l'Albanese le forme costituzionali eran lettera morta: la Guardia cittadina una larva: tutto era stato derogato dal più ributtante dispotismo col nome di libertà; e questa sedicente libertà di cui si faceva scherno suonava la libertà è per noi! Se ciò fa spavento, se questo quadro non è molto rassicurante, ma è vero; dunque bisogna richiamare in vita quella forza morale di cui si son perdute le tracce, che costituisce e rappresenta i veri Governi. Vi bisognano uomini di una tempera forte, amanti del paese che li vide nascere e della sua vera prosperità!

Tristo è il suggerimento di quelli che vonno lasciare al tempo il modo di ristabilire ogni cosa. No! No! le mille volte no. Questo è insoffribile, bisogna ingoiare la bevanda fino alla feccia: dopo la passione viene la risurrezione. Quando un'operazione è necessaria vuolsi il coraggio di vederne gli apparecchi e sopportarla, a fine di evitare che il male si aumenti, e che non vi siano più rimedi. È impossibile che si possa vivere minacciato da tante pressure e da tante perverse bufere senza sicurezza, quando coloro che sono i sacerdoti della giustizia la svillaneggiano. Quando si è oppressi da strabocchevoli balzelli con la promessa di veder sempre pagati i nostri debiti, ma le piaghe lungi dal cicatrizzarsi sono inasprite e cauterizzate. In allora come fare per giungere ad un felice risultato? La risposta è molto semplice. Che i tre grandi elementi riuniti che sono incaricati di rappresentare il paese abbiano in mente di lealmente e sinceramente occuparsi del suo benessere; ed in allora ne saranno mutate le sorti, e si faranno scomparire le tracce di tanti dolori. Ma infino a quando i rivoluzionari, sotto qualsiasi nome siano conosciuti, d'Internazionali o altro; siederanno al potere, essi non faranno altro che distruggere.., distruggere sempre; finiranno col distruggere anche il Governo da essi. sceltoli.

CHIACCHIARIATA     DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

D. Crisc. Ora non avrete più ragione a lagnarvi voi altri cattolici, poiché i vecchi cattolici di Baviera anno deciso che l'infallibilità del Papa non si deve ammettere...

Ann. Ebbiva li viecchie tabaccune... ino pure li viecchie se friccechejano... eh, ma quanno la formicola mette le scelle signo che bò mori...

Caf. Si Tò, ma chi sò sti viecchie cattuolece?

Trov. Songo tanta settarie li quale pe ngannà cchiù meglio a li stupete se fegneno d'essere vere cattuolece e uommene da bene, e facennose abbedè tutte divòte, cercano de acquistà simpatia mmiezo a lo popolo, e quanno ll'ànno acquistata, nsegnarle chello che dice la revoluzione, zzoè che lo Papa non è nfallibele quanno parla comme a capo de la Cchiesia, e perzò chello che dice nquanto a rreligione e morale non simmo obbrecate a lo ccredere...

D. Crisc. E forse non dicono bene? Ma fatemi un piacere il Papa è un uomo come me e voi, o è un Dio?

Trov. Lo Papa è n'ommo comme a tutte ll'autre, ma rappresenta nterra Dio stesso... Onne quanno parla de Fede e de morale s'à da credere ed obbedì comme se parlasse Dio.

D. Crisc, Ma questo era una volta, quando tutto era ignoranza, poiché i Papi ed i Re sono stati sempre gli oppressori dei popoli.

Trov. Ve compatisco che parlate accossì... io pure me credeva che essenno vuje n'ommo alletterato non avarrissevo ditto ste boscie.

D. Crisc. Perché sono un letterato, conosco la verità.

Ann. Ma comme Vuje non sapite comme D. Criscenzo canosce lo vino buono, e no piatto de sciuliarielle... Vi che t'à fatto la libertà!

Trov. Ma ve volite persuadè che doppo che facite 1 arte de lo diavolo non ne cacciarrate maje niente...

Caf. Fora de li sische e quacche autra cosa?

D. Crisc. Ma noi non ci stancheremo, perché quando il popolo si sarà istruito delle verità della scienza e comprenderà le imposture dei preti, oh assicuratevi che tutto finirà.

Ann. Pe mo, mìo sìgnò, nuje nce simmo mparate che li strafalarie, li mbrogliune e li scassachiesie non anno fatto maje niente de buono, che da quanno avettemo la inala sorte de fà la canoscenzia de tanta llustrisseme revotate tutta la scajenza è benuta ncuollo a nnuje, che mo stammo a sseje a sseje e non c'è chi mena lo mierco, e avisa che benarrà appriesso.

D. Crisc Voi mi sembrate una cantastorie...

Ann. Lo rettorio sperammo che bene a chi dico io, ma pure sarria poco,...

Caf. E li viecchie cattuolece, neh Si Tò, teneno ncapo a lloro che distruggiarranno la Chiesia Cattoleca? Ma |allora pecché se fanno chiammà cattuolece?

lì. Crisc. Perché tali sono, anzi veri cattolici.

Trov. Comme a li Farisieje, povere pazze, va trova qua spitale li sta aspettanno...

Ann. Ma, Si Tò, faciteme capace, la revotazione a lo 1860 se facette contro a lo governo che nce frase mo la Cchiesia faciteme cani?

D. Crisc. Perché la Chiesa romana sostiene i dritti dei Re contro dei popoli...

Trac. La Cchiesia romana non difenne nisciuno, zoè chello che dice la 1 evoluzione; la Chiesa romana defenne la verità e la justizia, e niente cchiù... e pecchesto li Rri e li govierne o vonno o nò bonno ànno da essere pe forza favorevole a la Chiesia e a lo Papa...

D. Crisc. Sono belle chiacchiere queste.

Trai'. Nò, sò fatte, e fatte vere.

Caf. Lo bedarrate a quatto autre juorne...

Ann. Quanno se farrà la corza senza sfizio, oh che scugnata de nuce nce vo essere!

Trac. E che scotolata de pera spatune. Santa notte.

ANNO VI N. ° 117 Martedì 3 Ottobre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

UN'ULTIMA DISTRUZIONE

Ella è una verità disgraziatamente troppo sperimentata, terribilmente vera, come luttuosissima, che da undici anni la mania della distruzione à invaso gli animi, e domina costantemente il pensiero di coloro che un dì bugiardamente asserirono voler essi far della Italia un Eden, ed a queste antiche Provincie con un'opera feconda di bene far dimenticare la mala signoria, come fu da loro detta, dei tempi passati. Ma, oh come i fatti smentirono, o tuttavia smentiscono quelle pompose promesse! Noi in circa undici anni abbiamo visto annientato quanto il genio nazionale, la sapienza e la pazienza di tanti secoli avevan saputo ben fare... Tralasciamo di ricordare quello che si eia, e ciò che si è, ma ci fermiamo solo a far noto al popolo come per un basso intrigo di stranieri speculatori, fra non molto l'ultimo ricordo di nostra passata grandezza sarà distrutto, poiché Napoli perderà il suo Arsenale. Ieri l'altro ci perveniva nelle mani un secondo opuscolo scritto da un operaio il quale con una lucidezza positiva, e profonda analisi tratta la vitale questione svolgendone le considerazioni, vuoi dal lato Politico, che Economico, Commerciale e Municipale; e noi servendoci delle erudite parole dello autore del detto Opuscolo, ci facciamo ad aggiungere ad esse anche le nostre, per debito verso la numerosissima classe operaja del nostro paese, cotanto ingannata, malignata e tradita, ed alla quale non si fa che a larghi sorsi propinare il veleno della corruzione, mentre le si strappa crudelmente il pane dell'anima con isvellere dal suo cuore ogni sentimento di Religione, ed il pane del corpo con distruggere tutte le fonti del lavoro, riposte nei grandi opifici, e nelle grandi manifatture... Seguiremo ancor noi quindi l'opuscolista operajo, nella analisi che ne à fatto.

Dal lato Politico, egli dice, che l'Italia per la sua posizione topografica, con un estesissimo littorale, e congiunta dal lato li terra con la Francia solo da una catena di monti (le Alpi) non potrà mai esser sicura di mantenere la sua indipendenza, se questa non verrà sorretta da una potente Marina da guerra. Se dei cannoni postati su quei monti potranno tenere al coperto il paese dal lato di terra, dal lato di mare si può essere assaliti da tutti i punti con navi nemiche, e 10 sole corazzate ché correrebbero i lidi d'Italia, paralizzerebbero l'azione guerriera di ben formidabile esercito. E la ragione è chiarissima, aggiungiamo noi. Ponete per poco una guerra con la Francia. L'Italia tosto manderebbe i suoi Corpi d esercito sulle frontiere nizzarde e savoine, i passi delle Alpi sarebbero guarniti di armati, ivi l'invasore troverebbe un formidabile apparecchio. Ma se mentre un corpo nemico facesse le viste di valicare le Alpi, richiamando colà il grosso dello esercito italiano, un altro corpo da sbarco coadjuvato da poderosa flotta ponesse piede a terra a Napoli, a Civitavecchia, a Taranto, o ad altro punto adatto, diteci che ne sarebbe dell'Italia? Non verrebbe essa divisa immediatamente in due? Il corpo di esercito che si troverebbe ai valichi Alpini quello che di meglio potrebbe fare sarebbe di rinculare nelle fortezze piemontesi, ed ivi battersi non mai per iscacciare l'invasore, che sarebbe impossibile, ma per salvare l'onore delle armi. Uno stato che à un littorale di migliaja di chilometri tutto scoverto dall'estrema Sicilia a Venezia senza una numerosa e buona Marina, è come un sontuoso palazzo le cui entrate sono senza porte... S'entra per ogni dove, e come e quando piace... Arrogi, che sul li, do abbiamo dello grandi città interessantissime per la loro vastità, per il loro commercio, per la loro popolazione, per le loro risorse, per le loro comunicazioni. Ora queste grandi città chi potrebbe in caso di guerra con una potenza anche. di second'ordine marittima garentire da un bombardamento,, da un colpo di mano? Ed anche senza giungere agli estremi di un bombardamento, non sarebbe esso immediatamente chiuso ogni commercio, e tagliata ogni comunicazione per via di mare tra le città marittime? Ed un nemico che sul bei principio della guerra corresse libero col suo naviglo da Venezia alla Sicilia, non potrebbe essere incerto della vittoria. Ci si oppone dicendo che gli sbarchi sarebbero difficilissimi per le torpedini lungo i littorali affondate e l'ostilità delle popolazioni. Non è serio tutto ciò. Poiché le torpedini potrai» far paura ai Pollion di Persano, ma non a marini provetti e coraggiosi che non fanno consistere la loro bravura passeggiando tronfi e pettoruti sulla tolda di un bastimento... In quanto poi alle ostilità delle popolazioni ci taciamo, poiché il Fisco ci potrebbe fare una delle solite sue carezze...

Tutto sommato dunque noi ripetiamo con l'Opuscolista, una marina da guerra potente è indispensabile per l'Italia. Una Marina senza Arsenali non può sussistere.

Vediamo dunque, dice lo scrittore, quali sono gli Arsenali di cui disponiamo. Dessi sono tre, Venezia, Spezia, Napoli. Quello di Venezia, si per i bassi fondi, che per la mancanza delle macchine, utensili ed altro non è affatto proprio alle riparazioni di navi corazzate, e perciò buono solo per qualche legno leggiero, di modo che per ridurre l'Arsenale di Venezia a vero Arsenale ci vorrebbe molto oro, e lungo tempo.

L'Arsenale della Spezia sinora non è che un'opera incompleta, inadatta, informe, non capace pei grandi bisogni di una marina da guerra, benché siansi spesi ben 75 milioni, lavorandovi quasi da undici anni. Ivi, dal fabbricato agli attrezzi ed al personale tutto è ancora imperfetto, e basta notare che tutti i bastimenti che àn d'uopo di grandi e significanti riparazioni vengono a farle nell'Arsenale di Napoli. Ebbene, seguita l'Opuscolista, distruggere oggi il solo Arsenale utile che à l'Italia, qual è quello di Napoli, vale distruggere tutto il naviglio da guerra, il quale potrebbe venir venduto, come un dì propose il Sella, non potendo più né mantenerlo, né ripararlo, distruggendo altresì, machine, materiali e quanto per una flotta abbisogna, precisamente nel caso di guerra.

Premesso ciò, e sfidiamo i nostri avversari a confutarcelo, e guardata la situazione generale dell'Europa, e quella particolare dell'Italia, domandiamo se sia un atto politico quello di distruggere l'Arsenale di Napoli? Ma che? È ornai risaputo che a costo di qualunque sventura, Napoli deve essere trattata da paesucolo al disotto del subborgo di Mola di Gaeta, e basta che si distrugge tutto ciò che di Napoli ricorda la passata grandezza poco monta di quello che avverrà...

Si, eh? Ebbene fate, o signori, fate pure: poiché non saremo noi Napoletani che potremo impedire la rovina. Voi agite con premeditazione, con odio e gelosia, fate il vostro comodo, però il dimani è ignoto...

Ed ora passiamo ad esaminar la questione dal lato Economico.

(continua)

LO TROVATORE

PARTE AFFICIALE

Nuje Don Criscienzo eccetera, pe grazia de la miseria Direttore de la sfasulazione, Duca de li Stracquachiazze, de li Pierdetiempo e de l'Oziuse; Gran Prencepe ereditario de Crape, Anacrape e Grott'Azzurra: Gran Cordone de li Portelappascere: Cran Croce de Corriate, ecc.

Visto ca lo mpiegato de la portolania ncarrecato de fà lo contrapilo dinto a li vorzille nuoste, co la scusa d'asigere la tassa ncoppa a le mmoste e a le betrine, se presentaje poche juorne arreto a IP ufficio nuosto;

Considerato ca sto mio signore doppo d'ave cercato la meglio a denare, sentenno ca eramo faglie a cchisto palo, le s'attaccaje lo sistema nervoso, e dicette ca si non le se pavava llà pe llà la tassa ncoppa a la mosta isso sarria venuto de notte co na scalella e, novello Sansone, mmece de pigliarse le pporte de la torre de Gaza s'avarria pezzecato la mosta addò nce stà scritto Libraria;

Consideranno ca (dato e non concesso) a st'accellentissemo scauzacane le prodesse ll'articolo 16 de lo codece incevile e bolesse passà da lo ditto a lo fatto;

Avimmo risoluto de decretà e decretammo:

Art. 1, A lo sopralodato sauzommaro all'annommenammo benemereto de Patria (addò se pescano li ciefare).

Art. 2. Venenno de notte co la scala ncuollo (secunno ll'usanza de li mariuole), sarrà ricevuto comme mmereta, devacannole ncuollo n'arciulo d'asprinia che sta astipato sotto a lo lietto e no recepiente de Palermo a quatto recchie.

Art. 2. No paro de decoraziune de avrunzo al valor m... ariuncielle, coronarranno ll'opera.

Ogge li tante de lo mese de li cavaliere d'industria.

Lo Menistro

Don Chiuppillo

 Firmato

Don Criscienzo.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Caf. Vuje sapite na cosa neh? Annevinate quanto se stà spennenno a lo palazzo de Montecitorio a Roma?

Ann. Ched'è a Roma nce stà lo palazzo de le cecorie? e. mo nce sarrà pure la casa de li purchiacchielle, cerefuoglie e lattuchelle, ah... ah... ah... ah... Luì l'àje ditta propio grossa... lo palazzo de le ccecorie...

D. Crisc. Non è il palazzo delle cicorie, ma di Montecitorio.

Trov. Basta, sentimmo che boliveve dicere, Si Luì?

Caf. È benuto n'amico mio libraro de llà, (ve dico che è libraro, onne non credere che avesse potuto dì na buscia) 1 e m' à ditto che pe mettere la ncartata a na sala solamente de chillo palazzo, annevinate che carta sò ghiute ad accatta?

D. Crisc. Diavolo!

Ann. (Che te piglia pe la noce de lo cuollo, a te e a lloro)

Trov. E che carta? la meglio che nce stà...

Caf. La meglio? Na carta de 60 franche lo rollo...

Ann. Luì, Luì... stasera staje de genio a dì vongole? E addò stà sta carta de 60 franche lo rollo?

D. Crisc. E che tutte le carte forse le conosciamo noi?

Ann. Ma comme, le ccanoscimmo nuje... pecche mo a bia de carte nce stanno levanno le ppelle da cuollo...

Trov. Sissanta franche lo rollo, io non ll'aggio ntiso maje... e quanto se n'è ghiuto?

Caf. Na bavattella, 8milia e 500 lire pe na sola sala...

Ann. E allora ll'avarriano potuto commeglià de seta, e ffuorze costava cchiù poco... Ma pecche tutto sto sfarzo?

D. Crisc. Va benissimo così, e per bacco, si tratta che là per la prima volta andrà ad aprirsi il Parlamento italiano: dovevansi perciò fare delle cose grandiose e degne della prima rappresentanza del paese.

Trov. Chesto non è lusso, non è decorazione, non è gusto ma è marioligio, pecché addò maje s'è ntiso na carta che costa 60 franche lo rollo? E doppo che nce fosse stata, pecché jettà li denare de chesta sciorta de manera, mentre se stà a ghiuorno a ghiuorno pe fallì, e se scortecano li popole a bia de tasse e tasse, le quale levano lo ppane da vocca a nnuje? E cchesto se chiamma sapienzia de governo, aonestà, cevertà, progresso? pe fà che pò? p' aparà de carta na sala? Fuorze che co lo lusso e l'apparato s'addemosta a li forastiere che ll'Italia è ricca e forte? Anze a lo ccontrario, pecché quanno no mercante stà pe fallì, pe non fà trai nsospetto de la fallenza soja, allora fà cchiù sfarze... D. Criscè, se vede propio che simmo capitate mmano a pazze, abrieje, e... non boglio parlà

D. Crisc. Mi dispiace che siete voi Si Tore, e parlate in questo modo... Sapete che un grande regno deve serbare la propria dignità in tutto, e là si tratta che vi debbono andare i deputati...

Ann. Maramé. E chi sò sti deputate? fossero li patrune de lo munno? Pare che mo nce l'avimmo scordato che belle mobele e galantuommene songo, neh D. Criscè? Non c'è che ddice justo lo mutto: lo Signore te libera da ricche mpezzentute,, e da pezziente resagliute... Quatto sfelenzeche nfi a mo (sarvannone quaccheduno) va trova sotto a qua cemmenera affommecata stevano, mo sò asciute tutte Prencepe ncoppa a le spalle noste... perzò alluccano viva la malapasca che se li batte... Che ve pare neh!

Caf. Hanno avuto lo cocco bello e monnato, e...

D. Crisc. Queste sono calunnie...

Trov. Sò fatte... Neh, D. Criscè, non ve ricordate lo furto che facettero da poco fà a Puortece ano patre coscritto, che sulo de gioje ll'arrobbajeno 20 mila lire... Onne se de gioje teneva chesto, considerale lo riesto... mentre che a lo 1860 steva dinto a la sonnambola... e pò s'àve lo coraggio de parla de ll'uommene ch'ànno governato pe lo ppassato, li quale so muorte tutte povere mparagone de chello ch'avarriano avuto da tenè?

Ann. Si Tò, ll'ànno arrobbato? benfatto; no mariuolo che arrobba a n'autro guadagna le ndurgenzie... Vi che scumma de genteluomene...

D. Crisc. Ma infine tante chiacchiere perché avete saputo che si è speso quel denaro per una sala a Montecitorio?

Trov. Nò se fanno le pparole pecché ogne centesemo che se spenne, è n'onza de sango che se caccia a nnuje, capite? è na zappata che se dà ntra li piede a lo governo, e accossì, chi potarrà sarvà l'edeficio da no capetummolo?

D. Crisc. Vi ho capito; addio.

Caf. L'è ghiuto ntra li diente...

Ann. A sti strafalarie la verità le ntorza ncanna Oh, quanto dice buono dice lo mutto: a lo zelluso non le leva la coppola, ca le scommoglia la zella!

Trov. Se vede che tirano nnanze a la jornata, e tutta la sapienzia e lo patriottisemo stà a ghienchere la sacca, facenno spese che manco lo gran turco le ffarria... Povera Italia mmano a chi si ncappata... Ma benfatto, faciste lo peccato? e fà la penetenzia mo!!! Santa notte.

ANNO VI N. ° 118 Giovedì 5 ottobre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

UN'ULTIMA DISTRUZIONE

(Continuazione e fine )

Consideriamo ora la quistione dal lato economico, guidati da quanto egregiamente dice l'opuscolista. Esso scrive che un Arsenale non sorge per incanto, che per costruirlo e metterlo nelle condizioni in cui trovasi questo di Napoli, abbisognano almeno 30 anni e moltissimi milioni, che alla Spezia si lavora da 11 anni, si sono consumati 70 milioni, ed intanto quell'Arsenale non è ancora nel caso di funzionare bene e dare quei prodotti che dovrebbe per una Marina da guerra, sicché per vederlo finito chi sa quanti altri anni dovranno passare, e quanti altri milioni ingojerà...

Sono o non sono verità ineluttabili queste? Sono o non sono fatti palpitanti e che non si possono porre in dubbio, o niegare se non dai maligni e falsi italiani, dai ciarlatani e barattieri, da quelli che dalle sventure della patria àn fatto una loro sinecura per gavazzar nelle ricchezze, quandoché prima erano cenciosi e luridi? Innanzi alla inesorabile logica dei fatti, l'edificio della menzogna cade da se... Ora quanti milioni ci vorrebbero per creare un nuovo Arsenale che rispondesse a tutti i bisogni di una flotta? E poi, perché voler distruggere prima di edificare? Noi non sappiamo se coloro che stringono oggi in pugno le sorti dello Stato siane più matti che maligni, giacché voler distruggere l'unico Arsenale che si à in un paese di cosi immenso litorale, significa che o anno perduto il cervello, o vogliono la distruzione di quanto essi medesimi àn fatto. Poniamo che si potesse fare il miracolo di far sorgere prestissimamente l'Arsenale di Taranto, certo esso non si potrà edificare senza spendervi milioni, e milioni, poiché colà sono bassi fondi fangosi, e fan bisogno tali opere che solo esse ingojerebbero tanti milioni, per quanto l'Italia non potrebbe mai averne. Ma sia tutto concesso. Ci dicano i nostri Ministri e loro adepti. Ove si prenderebbero sì ingenti somme?

Vi sono forse nelle casse dello Stato? Vi è forse qualche risorsa nel paese? vi è qualche talismano magico che converte in oro le pietre? Ma che vogliamo burlarci tra noi? Se oggi le casse dello Stato sono vuotissime, passateci la parola, se si è ad un pelo del fallimento, se si è giunti a vendere a rotta di collo, per avere le somme necessarie per vivere alla giornata, se si à tanta carta moneta gettata in mezzo al popolo, se il popolo è tanto gravato da balzelli, che bisogna mandare i soldati dello esercito (non sappiamo con quanta dignità ) armati di fucile per esigere le tasse? Se ornai il malcontento si fa rapidamente strada in tutte le classi, appunto perché ogni cittadino si vede oberato di tante e sì svariate tasse, insufficienti a soddisfare se il commercio è morto, e quelli che ancora commerciano sono le combriccole dei fortunati i quali dividono con altolocati e protettori?. Ma infine sarebbe forse per voi, o Ministri una preconcetta idea di distruggere? Ed allora perché si ciurma e si sbraita contro i clericali e borbonici, quando che siete voi, o falsi patrioti e farabutti che spingete l'Italia al dies trae? Non state voi oggi lavorando per questo? In opposto come potreste commettere tante enormezze e birbantaggini?

Diteci in fede vostra, cosa si è fatto di buono e di utile pél paese e pel popolo in undici anni di potere assoluto e dispotico? Sì, assoluto e dispotico; poiché Statuto, Parlamento, Costituzione sono nomi vani e servono per aver libera la mano a dispotizzare... Questi sono fatti!... negateli se li potete... Novelli Erostrati, voi non avete altra idea fissa che la distruzione. Ignobili plebei, o spiantati nobilucci, non avete fatto che levarvi le grinze dalla pancia, formarvi favolose fortune, e dall'alto dei vostri sgabelli di oi o grondante il sangue del popolo, avete detto: Noi siamo, noi vogliamo... Volete distruggere? ma siate almeno logici nella stessa pravità e malizia vostra. Non fate oltre ai tanti altri epiteti chiamarci crassi ignoranti, giacché vendendovi alla giudaica speculatrice Società il nostro Arsenale, introitereste 10 milioni per spenderne cento a Taranto...

Ma no, voi non spenderete neppure un centesimo a Taranto, poiché Taranto è macchiato dal peccato di origine come Napoli... Esso appartiene alle provincie meridionali, a quelle Provincie che oggi vi fanno essere quello che siete...

Ma ritorniamo al nostro argomento. Dal lato economico quindi è assodato che la distruzione dell'Arsenale di Napoli non reca nessun vantaggio, se non si volesse guardare però, che siccome l'Arsenale nostro non è secondo ad altri per i suoi prodotti, tanto che nell'ultima Esposizione Marittima Internazionale à preso il primo posto, l'invidia e la malvagità Subalpina ed estera non volessero togliere al paese quest'ultimo avanzo di tempi più leggiadri e men feroci...

Veniamo ora a riguardare la quistione dal lato commerciale... E qui ripeteremo con l'Opuscolista, che essa è tanto assurda, per quanto non si dovrebbe neppure discuterla... Ma tanto ci siamo, e ne diremo una parola.

È assioma che in commercio il primo guadagno sta nel meglio saper calcolare i vantaggi di tempo, e di meno spesa. Ora noi facciamo osservare, associandoci in ciò all'opuscolista, che la merce proveniente dall'Oriente sul centro di Europa fa mestieri che faccia maggior tragitto per mare che costa meno, che per terra con l'aumento di un terzo e più di spesato. Ora (come dice lo scrittore, e noi abbiamo osservato) per mare Suez dista da Trieste 2480 kilometri, da Venezia 2300, da Brindisi 1780, da Napoli per lo stretto di Messina 2055, da Genova 2047 e da Marsiglia 2835; dunque per la ragione di sopra detta conviene più ai commercianti portare la loro merce a Marsiglia che a Napoli, tutto al più potrebbero in Napoli venire dei passaggieri, e per questi vi bisognano buone locande, e non dei Doks... Quindi i famosi magazzini generali che si vogliono costruire distruggendo l'Arsenale a che uso potrebbero servire? forse per quando dai nostri sapientissimi governanti si aprirà il commercio con gli abitanti della luna, o per quando nel tempo del Natale arriva in Napoli il capitone... E poi notate, magna sapienza! concesso che, anche potessero venere le dette merci in Napoli, e per questo volete fare i magazzini generali ove è sito l'Arsenale, luogo inutile per la sua ristrettezza, per la situazione nel centro della città e sotto la Reggia, e per la sua lontananza dalla ferrovia? quandoché senza distruggere l'Arsenale vi sarebbero i Granili, i quale presentano tutte le qualità per trasformarsi con tenuissima spesa in magazzini generali... E giustamente osserva l'opuscolista che non vale l'asserire che il commercio manca di porto in Napoli poiché commercio non ve n è più e non sono i porti che creano il commercio, ma viceversa...

Chiunque si ricorda alcuni tempi che furono sarà del nostro avviso. Ed ora eccoci alla considerazione, come questione Municipale. Sapete quanti operai lavorano nell'Arsenale di Napoli e nel Cantiere di Castellammare? 3000 e più, quindi altrettante famiglie che vivono con il prodotto delle fatiche di essi, e facendo esclusione del numeroso personale delle Industrie private, di Ammiragliato, Corpo di Equipaggio, alti e bassi impiegati e via via, voi avrete certo 3000 operai sul lastrico... Ma la società si obbliga d'impiegarli tutti. A far che? E se gl'interessi della società andranno male, credete voi che voglia sprecare i suoi capitali per dare a mangiare ai vostri operai, onde liberar voi Municipio, ed il Governo dal seriissimo pericolo che sarebbero 3000 operai digiuni e seguito di loro famiglie? Vi sarebbero le bajonette... Sì, neh? Ma il vostro Cavour disse, che un governo che si appoggia sulla forza delle bojonette non à ragione di essere... Non vogliamo dire di più...

Riepilogando. Noi associandoci in tutto quanto scrive l'autore dell'opuscolo, e facendoci interpetri della voce degli operai del nostro Arsenale, diciamo al Governo: prima di distruggere edificate. Volete fare l'Arsenale a Taranto. Fatelo pure e presto, solo così voi non verrete a pregiudicare il paese nella sua difesa, il popolo nei suoi interessi e 3000 operai nella loro sussistenza. Fatelo e subito... Ma fintanto che in Taranto non sarà edificato, in Napoli restar deve l'Arsenale, si per riguardo politico che economico, commerciale e municipale. E qui facciamo punto, pronti a tornare alla carica, finché questa idea insana ed iniqua di distruggere il nostro Arsenale non venga totalmente abbandonata!

LO TROVATORE.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, è possibele maje che sto Munecipio nuosto non à da essere buono a niente?

D. Crisc. E perché, Si Tore?

Trov. Comme pecché? Vuje mo mme faci te lo scemo...

Ann. A utele vuosto...

D. Crisc. Ma voi parlate senza nominativo, spiegatevi.

Trov. De lo fatto de ll'Arzenale che pe ntrico de lo signore Curti e autre buone crestiane se vò levà da Napole non ne sapite niente?

D. Crisc. Sì, ne so qualche cosa, ma poi non è un affare cattivo, perché si tratta che il nostro Arsenale non è sufficiente per una grande marina da guerra, perciò si farà a Taranto, e intanto col denaro che si avrà dalla vendita dell'Arsenale attuale si otterrebbero due vantaggi, il primo di fare con quello l'Arsenale nuovo, e l'altro che noi avremmo in Napoli i magazzini generali per il nuovo commercio che ci sarà...

Caf. E allora mme pare che lo judigio sarria chillo de fà primma l'Arzenale nuovo e pò vennerse chisto viecchio.

D. Crisc Oh questo porterebbe troppo a lungo.

Ann. Seh! e mo sapite che ve dico, io tengo na casa la quale è peccerella pe me, me ne voglio fà una cchiù granne e che faccio? derrupo primma la casa addò stongo la quale o grossa o piccerella me fà stà a lo ccopierto, e pò me fraveco chella nova; ntanto ntra sto tiempo o aggio da stà a case a pesone, o aggio da ì a la locanna de la luna. Che ve pare? Sarria na pazza, o nò?

D. Crisc Ma qui è il caso di avere nello istesso tempo i magazzini, ed il nuovo Arsenale.

Trov. Niente de tutto chesto, se tratta de distruggere l'Arzenale, senza avè né chillo e né chisto, se tratta de pigliarese tutto lo mmateriale e portaresello fora, se tratta de caccià lo ppane da vocca a 13 milia perzune e pò se ne veneno e diceno chesto e chello...

Ann. Ma sti figlie de ntrocchia, sti bacamunne ncrovattate s'ànno schiaffato ncapo che nuje Napolitane avimmo da essere trattate comme a scupole de piatte? E chi songo lloro che beneno dinto a la casa nosta a pigliarese chello che tenimmo?

D. Crisc. Qui nessuno si prende nulla, ma tutto si fa pel vantaggio del popolo, l'utile degli operai, e la ricchezza del paese.

Caf. Vantaggio de lo popolo co levarle no ramo de nnustria e de ricchezza, ll'utele de ll'operaje co Ile caccià lo ppane da vocca? Allora mo se nne vene uno ve leva la sciammeria, ve dà na mazzata ncapo e doppo che v'à fatto chesto pò se nne vene e ve dice: ll'aggio fatto pe utele tujo, pecché io te farraggio n'autra sciammeria nova, e lo sango che t'è asciuto da la capo t'à alleggeruto liberamente da na malatia... Che ragionamiento!

D. Crisc. Voi confondete i termini..

Ann. Autro che Tremmola e Bientotene... Nce vorria Austeniello adderittura...

Trov. Ma a chesto nce corpa lo Munecipio... pecché se mmece de chiacchiarune, de mbrogliune, de gente che pensa sulo a ffà ll'utele sujo, avarriamo avute perzone addotte, da bene, oh quanta cose non sarriano soccedute...

D. Crisc. Ma infine cosa vorreste?

Trov. Lo Munecipio si tene annore nfaccia e bò avè la fiducia de lo popolo s'à da protestà contro a la camorra che bò levà l'Arzenale, à da dichiara che tanno se leva l'Arzenale da Napole quanno è fatto chillo de Taranto, che isso non pò permettere che 13 milia perzune restassero mmiezo a la via; nzomma à da appojà li deritte de lo popolo e le ragiune de ll'operaje.

D. Crisc. Quando però tutto questo sia nelle vedute generali dello Stato.

Trov. D. Criscè, ccà non c'è né state e né bierno, se tratta de mbruoglio, de camorra, onne o se mpedesce, o si no avisa che sarrà... D. Criscè, mo simmo arreddutte co le spalle a lo muro, tasse, miseria, e pe ghionta manco no povero scasato se pò abbuscà no piezzo de pane... Ma che stammo ramano a li turche o ll'abbrieje? e cchesta era la civertà e lo progresso?!

D. Crisc Va bene, si vedrà. Addio;

Caf. E che s'à da vedè che nce vorria na trobbeja...

Trov. Studiano la notte pe lo juorno pe se fà nemmice. Dio ll'à levate li lume... povere a lloro. Santa notte.

ANNO VI N. ° 119 Giovedì 5 ottobre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

Sella in galera!

Finalmente... tanto tuonò che piovve!... Eh! si sa,: fanne una oggi, un'altra domani; ruba oggi, assassina domani il povero popolo, che fin ora dormiva la grossa, come il baco, da seta, alla fin fine una volta doveva esser quella, e il ladro, e l'assassino avea da rimanere accalappiato. nei cosiddetti pollici della benemerita arma... per sedere svergognato e confuso (se i malfattori per avventura si vergognano e. si confondono) sull'infame banco dei rei, per quindi ereditare la livrea infamante del galeotto. Dalli, picchia, e mena, il merlo finalmente è cascato pel la rete... Eh già! un po' alla volta l'ha a finir tutta a questo modo quella schifosa novena di imbroglioni che pretendono di governare, e che poi in fondo non sanno far altro che ridurre alla miseria, la più deplorabile e vergognosa, quel branco di pecore matte che volgarmente dicesi popolo e che oggi come ogni per essere stato troppo credulone alle sballonate di quella pretta canaglia in guanti a burro e in giubba a coda di rondine non si trova neppur più camicia di dosso, quindi senza tasche e per conseguenza senza il becco d'un quattrino!...

Ma intanto il primo norcino della mamma Italia, se s'ha da credere a'  giornaloni, l'ha veduto arrivare il su' giusto Dio!... Ah ah!... Sella baron coll'effe, da qui avanti la sarà finita la cuccagna immoralissima de'  Contatori messi starei per dire anche al respiro!... Il gran sabato gli è venuto finalmente anche per te, Ministro uncinato, affamato, spiantato, spudorato, pietrificato... Fra poco, Ministro di bronzo, tu sarai... e perché no?... sissignore!... arrestato, giudicato, condannato, deportato a vita... per non dir decollato che sarebbe più spicciativa!...

Oh! carta cauta e villan dorme! Se egli è vero quello che la ci dà a bere la Gazzettona il Italia nel suo numero 271, e tu sta  fresco più di Pino, Ministro duro, di pietra, di porfido, di macigno, finanziere senza credito, Sella azzeccagarbugli, che tun se' altro. Nientemeno! E' t'accusano d'aver violalo il domicilio che è inviolabile, detto tale fin dalla legge dello Statuto; anzi non t'accusano, tu' se' già 'dichiarato reo di violazione domiciliare dai benemeriti tribunali toscani, e, come si legge sempre nella pagnottesca Gazzetta, vari senatori e deputati, fra cui un consigliere e un presidente di Cassazione, fanno voti ardentissimi al Parlamento perché tu sia messo in istato d'accusa, anche in omaggio al principio detta responsabilità ministeriale!... Alla larga, mio bel Quintino. Eh qui non se ne scappa bisogna andare in catorbia, bisogna sfilarsi la giubba di panno fine, e indossare la camicia del forzato! Oh povero mineralista biellese. Addio pranzi, addio cene, addio ribotte, addio passeggiate a Roma e altrove in ferrovia senza spendere mai un centesimo; balli, cocchi, festini, rinfreschi, belle donne... tutto, tutto addio, addio!... Il popolo finalmente ha aperto gli occhi; oggi a te, domani ai tuoi colleghi che sono altrettanti Padri rifinitori della nostra patria!... Giù la boria, ciarlatani da piazza, giù la boria! L'ultima vostr'ora è vicina. Dinanzi allo smunto fantasma della Fame e della più. schifosa Miseria, il popolo non rispetta titoli, non ha riguardo a ciondoli, non si cura di croci, anzi sarebbe pronto a servirsi di queste per rinnovare in pieno secolo decimonono lo spettacolo che fece tremare la terra, oscurare il sole!...

Che il popolo sta zitto e gonfia sono su per giù 13 anni, e in questo lasso di tempo abbastanza lungo, nulla, ma proprio nulla, venne fatto a suo vantaggio, e non si pensò che a tradirlo coi paroloni che sogliono empire la bocca lasciando il vuoto... nelle mani!

Oggi questo popolo, bersagliato financo nelle sue più sante convinzioni, non ha più pane; ò stanco dei vostri indegni tranelli, delle vostre pur troppo malignamente raffinate trappolerie; oggi questo popolo si è svegliato dal lungo sonno ed ha osato strapparvi dal volto la maschera! Vi ha riconosciuti per rivoluzionari, traditori per giunta dello Statuto, pervertitori ignoranti d'una Monarchia per antenati rispettata ed illustre, e vi condanna oggi alla pena della galera per tutta la vostra vita, a somiglianza dei più feroci banditi, cominciando dal tingitore di pannilani che può saper di finanza presso a poco quanto il mio bracino può intendersi di teologia.

Il Sella, se ha saputo far qualche cosa, non ha fatto che accrescere i chiodi che serrano gli anelli onde si compone la pesante catena che tiene schiava ed avvilita la bella Italia; questo inetto ministro ha ribadito quelli (cioè i chiodi) che conficcarono i suoi degnissimi antecessori, ma che seppero svignarsela a tempo, ed oggi ben gli incoglie la petizione che a Savona, secondo scrive il Cittadino e riferisce la Gazzetta moderata del Pancrazi, si sta compilando al Parlamento, in base alle sentenze dei tribunali toscani.

L'inviolabilità del domicilio è guarentita dallo Statuto e fuori il reo!!!...

(Dalla Vespa di Firenze, N. 76, 30 settembre)

ANNO VI N. ° 121 Giovedì 12 ottobre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Ann. Si Tò, v'aggio da di no fatto che ve voglio fà ridere.

Trov. Sì, jate dicenno.

D. Crisc. Ho piacere di sentire anche io.

Ann Sapite na cosa? Lo Mulecipio sa annato a chiammà tutte li locanniere e le llucannere de Napole, e l'à addimmannato a ogneduno quanta cammere avevano pe locanna. Avennole ditto chesto, allora l'à dato tanta piezze de carta pedono pe quanta cammere avevano pe locanna, nfaccia a ste cartuscelle nce steva scritto tanta liette e no cchiù ànno da stà a ogne cammera, e pò l'à ditto: guè, ste coarto l'azzeccarrate nfaccia a le bussole una pe parte.

D. Crisc. Questo è stato uh espediente buonissimo, poiché l'ingordigia di alcuni locandieri faceva sì, che in una sola camera delle volte mettevano tanta letti da non potersi neppure spogliare i poveri passaggieri...

Trov. Sicuramente, mparticolare lo locanne de vascia mano.

Caf. Ma vuje avite da sentì lo riesto mo, e pò parlate... Nnarè, dice...

Ann. Ogne piezzo de carta de chille lo Mulecipio s'à fatto dà 45 cienteseme... Vedite che speculazione...

D. Crisc. No, io dico che à fatto bene; l'azienda comunale à bisogno, e poi una sola volta àn pagato certamente.

Ann E buje li boliveve fà pavà ogne ghiuorno? mme dispiace che avenno sta l'anime non v'ànno fatto porzì a buje no capo de rrobba...

Caf. Sentite pò che diceva la Siè Carmela che tene quatto locanne a la parte de Vascio Puorto. Io, diceva essa a nnuje, non me lagno che lo Munecipio ave fatto chesto, ma me lagno che se vonno che nuje smenuessemo lo nummero de li liette, e perzò lo lucro, avarriano da smenui pure le ttasse che nce fanno pavà...

Trov. Chesto è ghiusto pò. Pecche quanno vuje m' ava! sciate la renneta, mm'avite pure d'avascià li pise che mme facite pavà ncoppa a chella renneta.

D. Crisc. Io non comprendo, come vorreste dire?

Caf. Mo ve spieco io. Vuje mm'avite puosto la tassa a tenore de chello che io m'abolisco facenno la locanna, na vota che l'abbuscheto non è cchiù chillo, pecche vuje rame projebite de te né tanta liette comme a primma, mme volite o nò avascià le ttasse?

D. Crisc. Oh questo sarebbe curioso. Vi pare che il governo ed il Municipio debbono entrare in queste considerazioni?

Ann. E che bolite che le gente vanno ad arrobbà pe ghienchere la vorza a lo Governo e a lo Municipio..,

Trov. Ve dico che nce ànne da trasi ntra sta considerazione. Comme è, io primma m'abbuscava 5 lire pe cammera, e buje m'avite puosto la tassa ncoppa a 5 lire; mo me n'abbusco doje, e vuje ve volite piglia la tassa pe cinco? Chisto è n'arruobbo, scusate...

D. Crisc. Vale per quello che si ànno lucrato prima.

Ann. Vale pe la malapasca che se le batte; allora io pecche primma aggio avuto lo canzo de m' abbuscà diece carrine, se nne veneno stespate ncuorpo de Mulecipio e diceno, guè, pava tanta tasse pecchè tu primma t'àje abbuscato chiste denare... e non è na camorra, no marioligio chisto? Allora se jessero a mettere fora a la via nova che sarria meglio.

Caf. E pó, D. Criscè, sapite quanta tasse pavano li locanniere?

D. Crisc. Io non lo so.

Caf. Ve lo ddico io, pavano la recchezza mobele, la tassa a la polezia; ncoppa a le mmoste, ncoppa a ll'esercizio, e pò lo pesone de casa corresponnente a lo guadagno.

D. Crisc. Ebbene, che vorreste dire?

Caf. Voglio dì che da lo lucro à d'asci tutto chesto, capite?

D. Crisc. Si comprende.

Ann. E quanno se comprenne, allora mme volite fà avascià ste tasse, o nò? Si nò che succede, che li prezze de li liette s'aumentano, e li povere passaggiere pavano la scialata.

Trov. Io trovo che è ghiusto chesto che diceno li locanniere, ma se fossemo a tiempe de justizia e non d'abuse...

D. Crisc. Voi avete torto. Addio.

Trov. E buje avite ragione, pecche fenile panno e fuorfece mmano a buje.. Stateve buono.

ANNO VI N. ° 122 Sabato 14 Ottobre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Caf. Si Tò, ma chesta che manera è, simmo o non simmo nuje cchiù crestiane vattiate, stammo o nò a Napole cchiù, lenimmo o non tenimmo autoretà munecepale?

Trov. Che v'aggio da dicere, spiatelo a D. Criscenzo.

Ann. Seh, nfaccia a ll'acquajuolo, se ll'acqua è fredda...

D. Crisc. Ma che cosa volete dire?

Caf. Voglio dì che non sulo avimmo da pavà tasse ncoppa a tasse a lo Governo e a lo Munecipio, ma quanto simmo spogliate de juorno mmiezo a le bie, e stammo magnanno porcaria mmece de magnà...

L. Crisc. Perché?

Ann. Facite le nsemprece, neh D. Criscè? Comme non sapite che lo ppane è sagliuto n'autro sordo a ruotolo, e stammo ancora a state, considera sto vierno, e pe ghionta pò, no pane puzzolente e chiummuso che t'accide? Ma ve pare a buje mo che se pò avè cchiù pacienzia de chesta che stammo avenno nuje? È possibele che sta sbriognata de camorra à da essere a. tutte le pparte? Vi comme stammo belle combinate, lo governo che te fà la varva co no rasulo arrozzuto, e senza sapone, lo Munecipio che te fà lo contrapilo co no cortei laccio, e li venneture che te levano la pelle co na serrecchia... se ve pare chesta na bona cosa, e buje dicitelo...

D. Crisc. Ma cara mia. il Municipio non può veder tutto, né saper tutto, né riparare a tutto...

Trov. Nò, vuje sbagliate, pecché quanno lo Munecipio sarria formato da uommene aoneste e amante de lo prossemo potarria vedè tutto, sape tutto e arreparà a tutto capite? Qua vennetore nfi a mo avite visto che se l'è rebazzato la poteca? Qua atto de justizia à fatto ancora lo Munecipio contro a talee quale camorriste de chiazza che fanno saglì li genere a piacere lloro, e benneno chello che bonno lloro? D. Criscè, quanno ascettero li sorde lesto li venneture vennettero a sorde chello che bennevano a grana, ma lo piso mperò restaje a rrotola, e non fuje portato a chilo, capite?

Caf. Ma manco fosse niente, se s'avesse lo ghiusto e lo buono... Che mmece t'arrobbano e lo danno a magnà lo fraceto... Simmo arreddutte che pavammo lo ppane a no carrino a lo ruotolo, magnanno no pane puzzolente, e che Dio lo ssape chello che fà ncuorpo... E chisto è lo Munecipio de 1 russe de chille ch'ànno ditto che lloro avarriano saputo fa lo bene de Io popolo... busciarde!

Ann. Hanno fatto lo bene lloro, pecché sò sagliute chine de diebete ncoppa S. Giacomo e mo và li bidè và?

D. Crisc. Comprendo che parlate così per il dolore, ma pazienza, tutto si accomoderà. Addio.

Ann. Tanno s'acconciarrà sta valanza, quanno sarrà fernuta sta baraonna, o ve sarrà benuta na morte de subeto a tutte quante site paté, figlie e sfrattiglie.

Trov. Aggiate pacienzia ancora. Sperammo che Io Signore nce mettesse la mano soja, e tutto fernarrà. Santa notte.

 

ANNO VI N. ° 123 Martedì 17 ottobre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Ann Si Tò, nce starnino facenno scuorno...

Trac. Pecché?

Ann Pecché la varca cammina e la fava se coce... Nuje nce pascimmo de speranza, e cchiste fanno li fatte lloro.

D. Crisc. Meno male che avete compresa questa verità... Cara mia, lo dico a voi ed a tutti gli amici, mettetevi l'animo in pace, e pensate ai fatti vostri, capite?

Caf. Nuje avimmo penzato sempe pe li fatte nuoste, nce penzammo e nce penzarrammo, onne pecchesto nce simmo regolate de chesta manera.

Ann. Si Tò, vuje non dicite niente a D. Criscenzo?

Trov. Che ll'aggio da dì, mme pare, co lo permesso sujo, che non saccio chi fosse che non à penzato e non penza a li fatte suoje... D. Criscè, comme state n'arrere!

D. Crisc. E perché? forse m'inganno? Non è vero che oggi l'Europa tutta vuole che al passato non si pensi più? Non stiamo noi in ottime relazioni con tutte le potenze?

Ann. D. Criscè, chiano chiano, pecché ve potisseve strafocà... chiacchiariate cchiù sodo... Vi comme se nne và de capo!...

Trov. D. Criscè, a tutto chesto che buje mo avite ditto, io ve risponno co na sola parola. D. Crisc. Dite, dite pure?

Trov. Ve dico che sò tutte boscie... e buje ve date coraggio justo pe non fà abbedè a lo pprubbeco la paura che tenite ncuorpo... D. Criscè, è nnutele che ve sonnate la notte pe parla lo juorno, pecche chello che nce pare non ce vò l'acchiare...

Ann. D. Criscè, avisa se vèdarraggio sta sciammeria nova che tenite ncuollo rumano a lo Sio Aniello lo saponaro!

D. Crisc. Vana speranza, cara mia!

Caf. Sentite, unnece anne fà nuje pure dicevamo nfaccia a buje quanno nce parlavevo de chesto che succedette, è suonno, e mo? perzò chi sa! lo munno è a rota.

Trov. E maje comme a mo sta avotanno de na mala manera...

Ann. Uh povere fratielle consoprine nuoste, e coni me farranno pe se mettere a lo ssicuro la panza pe la polenta?... Chesto succede quanno uno non se contenta de lo ppropio, e non se anno voluto e né se vonno arrecordà che la rrobba de ll'autre dice posa ca pesa... E mo D. Criscenzo mio pare che s'abbicina lo tiempo che lo tavernaro vò là li cunte, vuje menarrate coppa, e isso ve risponnarrà a mazze!

D. Crisc. Ciarle e menzogne. Addio.

Caf. Mo vedimmo chi sò li busciarde...

Trov. Le chiacchiere stanno a niente, mo se fanno fatte. Santa notte.

ANNO VI N. ° 124 Giovedì 19 ottobre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

Chi scuoterà l'Italia?

La risposta non può esser dubbia; l'Italia nata rachitica è stata allevata con linfatico latte, e per cui è affetta da cronico malore. Ma a prescindere da questo, l'Italia à due terribili nemici contro di sè, il fallimento e la questione romana; l'uno potrebbe benissimo servire all'altro, poiché non sarebbe improbabile il caso che tutti e due questi nemici dessero da fare all'Italia contemporaneamente. Da quanto abbiamo letto in un articolo di fondo del giornale il Tempo (ultra rivoluzionario) ed in altri articoli di vari giornali liberaleschi, se non si provvederà a tempo, la bancarotta non si farà aspettare oltre il prossimo anno 1871. Poiché al dire del giornale ministeriale l' Opinione, il disavanzo per l'anno 1872, sarebbe di 180 milioni.

Confortante notizia per noi poveri contribuenti! E dire che il famoso Ministro Sella allorquando presentò l'ultima proposta delle nuove tasse, disse che pel 1871 non sarebbe rimasto che un disavanzo di soli 30 milioni, che egli il celebre Ministro avrebbe coperto riordinando il metodo delle percezioni, e realizzando lo incasso degli arretrati. Arrogi che nel disavanzo dei 30 milioni pel 1871 erano inclusi i 40 milioni per la nuova Capitale. Intanto ora sen viene l'Opinione e ci regala la lieta novella che avremo 180 milioni di disavanzo, oltre i 183 milioni che si dovrebbero aumentare sul bilancio della guerra per l'armamento delle frontiere e coste del regno, sicché concesso che la cifra detta dall'Opinione sia esatta, e non al disotto del vero (come noi crediamo) si à già un disavanzo di trecento sessantre milioni pel 1872.

Aggiungete a questa spaventevole cifra l'enorme interesse che l'Italia paga per i debiti contratti, la quasi totale vendita dei beni ecclesiastici e demaniali, un terzo almeno d'imposte erariali inesigibile, gl' impegni del governo verso le società ferroviarie, ed altri piccoli amminicoletti, la poca ricerca dei nostri valori sui mercati esteri, la niente fiducia nello stato presente, la mancanza di credito presso gli esteri, le ingenti spese che il governo deve fare onde tenersi amico il partito degli speculatori stranieri, affinché tratto tratto essi con qualche articoletto a sugo, spezzassero una lancia In favore dell'Italia inferma, e poi diteci se non àn ragiona gli stessi giornali brecciajuoli, di gridare l'allarmi come le oche del Campidoglio... Affé! Chi lo avrebbe detto che l'Italia nel 1871 dopo di aver coronato l'edilìzio con il cannone di Cadorna, ed il grimaldello di Sella si saria trovata proprio al lumicino, tantoché la bancarotta non può mancare? Ma si porranno nuove tasse. Sì, sentite come vi risponde la stessa stampa liberalesca. Le nuove tasse sono impossibili, il popolo non può pagarle, l'Italia ne à fatti già troppi sacrifizi... E con ciò? Il fallimento ci è sopra...

Noi abbiam detto puranche che un altro nemico à l'Italia ed è la questione romana; e benché i settembristi ci dicono che essa questione più non esiste, noi perché non siamo né poeti, né menestrelli, lor rispondiamo con la parola dei giornali più seri d'Europa, che essa esiste, e che non ancora si è messa sul tavolo diplomatico per discuterla. Ce ne appelliamo al Ministro degli Esteri sig. Venosta.

Infatti, è già trascorso un anno che l'Italia si è impossessata di Roma proclamando decaduto il potere temporale dei Pontefici, eppure non una sola potenza à ritirato il proprio rappresentante dalla Corte Pontificia, né una sola potenza à ancora ordinato al suo Ministro presso il Governo d'Italia di trasportare la sua sede in Roma. Anzi ogni giorno più noi vediamo accentuarsi contro l'Italia la diplomazia, la quale oggi non fa che serbare nudamente rapporti diplomatici con l'Italia a solo scopo dello interesse internazionale e per meglio vegliare da vicino lo andamento delle cose interne d'Italia. In una parola la diplomazia oggi, comeché non ancora arrivato il tempo dell'azione spiccata e definitiva, per non crearsi imbarazzi inutili, serba con l'Italia quel contegno medesimo di due litiganti in pendenza di un giudizio.

E i Ministri d'Italia per altrettanto operano come quegli che campano alia giornata, niente di serio, di provvido,. di utile, ma a fascio mandando ogni cosa: l'unica obbiettiva loro è quella di far denaro per come più si può e dove si può. Ora stando così le cose, e sicuri che fra pochi mesi o qualche anno sia dopo una guerra europea, sia dopo un Congresso, sia in qualunque altro modo l'Italia sarà chiamata a combattere, ci dicano di grazia i parolai politici come si farà per tener fronte ad una guerra quando che il nerbo della guerra ci manca che è il denaro? E se si vorrà provvedere a questo, è mestieri tormentare i cittadini, al Ira sorgente funestissima di mali? Non abbiamo dunque noi ragione di dire che l'Italia à due nemici di fronte che la trarranno a rovina? Ma chi à messa l'Italia in questa penosa alternativa? Il Papa no, poiché i suoi salutari consigli non vennero ascoltati, da chi avea il sacro dovere di tutelare gli interessi e la grandezza del paese, che anzi perché quei consigli non furono accolti di troviamo in sì grave condizione politico-finanziaria, giacché la buona politica fa la buona finanza. I clericali; i legittimisti molto meno, poiché questi inconsultamente ànno lasciato libero il campo ai loro avversari, contentandosi di pagar le tasse, soffrire dolori, persecuzioni, esili, carceri e fucilazioni, senza dar segno di risentimento, dunque chi à rovinata l'Italia? Queglino stessi che dicono di averla fatta, che dicono che l'è forte, che dicono che vincerà. Sicché per costoro sarà l'odio dei popoli, l'ira dell'Europa, il rimprovero della storia, l'esecrazione della posterità, la vendetta di Dio... Noi soffriremo è vero, ma l'avvenire sarà nostro, giacché post nubi la Phoebus!!! E il sole uscirà...

LO TROVATORE.

UN INDOVINELLO

Il Giornale di Napoli nel suo N. 283 nello art. della Cronaca rimbecca i giornali di opposizione, che ànno spesa una parola a favore dei contribuenti delle tasse, tuttodì vessati dall'inflessibile ostinazione degli Agenti ed Esattori per la riscossione degli arretrati, e dei correnti balzelli del governo. Il magno giornale à recisamente niegato le segrete insinuazioni diramate dal Ministero delle Finanze a tutti gli Agenti e Ricevitori, mentre ciò è tanto conosciuto per quanto si potrebbe citare al prelodato giornale il N.° e la data di quella Ministeriale ingiunzione... Quindi niegare che mai come questa volta gli Agenti anno spiegata una energia ed un zelo mai avuto, è follia; giacché se noi sa 1 Articolista, glielo facciamo saper noi che oggi una gara vi è tra tutti gli Agenti e Ricevitori per riscuotere a qualunque costo, e le istruzioni date agl'Ispettori dei diversi Circoli si versano appunto sulla più scrupolosa verifica delle esazioni. Che il Ministero volesse realizzare le partite arretrate, noi lo troviamo conveniente; ma per lo contrario non troviamo punto conveniente, Lò politico però il mezzo con cui si vuol raggiungere lo scopo. Quest'anno, nel reddito dei fabbricati, e della ricchezza mobile si è ritenuto con prestabilita volontà di portare a qualunque costo un aumento su quello degli altri anni, e le Commissioni Consorziali sono riuscite imponenti a frenare lo smodato zelo dei signori Agenti, i quali squadronando alla turca anno aumentato i redditi a cifre impossibili, in guisa che tra il contributo fondiario gravato dei trentesimi addizionali, e la tassa di ricchezza mobile il povero contribuente vedrà sfumare tutta la sua rendita a gloria ed onore di S. E. Sella. Che i Percettori avessero accolto con piacere le misure adottate dal Prefetto della Provincia in unione dell'Intendenza di Finanza è regolarissimo, giacché quanto più quei signori incassano, altrettanto lucrano. Però il curioso sta, che l'Articolista del giornale si sforza, persuaderci come le misure adottate riescono di somma utilità pei contribuenti, che così saranno considerati tutti uguali in faccia alla legge. Dunque sinora non lo si era. Ma noi diciamo all'Articolista se con quello estremo rigore si crede sradicar la frode, esso s'inganna; la frode vi fu, vi è, e vi sarà... e solo chi non à compartecipazione di meriti patriottici, o non striscia in qualche sala pagherà, come à sempre pagato. Pagheranno i militari ed i Civili che sono a soldo dello stato, pagheranno i poveri infelici che ànno un'industria visibile, e tutti coloro che il governo sa e conosce dove metter le mani, ma il resto? L'altra più curiosa notizia che ci dà l'Articolista è quella che con le nuove misure adottate i contribuenti che ànno pagato di più, verranno rimborsati. Queste sono parole e promesse, poiché per venire a capo del come un contribuente abbia pagato di più, con l'attuale sistema di contabilità è talmente difficile, per quanto il povero contribuente avrà un bel pezzo da aspettare e molte lire da spendere in carta bollata per far reclami... Questi son fatti e non ciarle; giacché fra gli altri sistemi moralissimi dei nostri moralizzatori vi è quello che il contribuente avvisato per un pagamento, sia, o no tenuto a farlo, sia, o pur no quella la somma, dovrà prima pagare e poi reclamar e... Cosi il governo provvisoriamente incassa la somma, ed il Contribuente anche che avesse ragione deve poi cominciare un nojoso e dispendioso piato che non sempre farà raggiungere lo scopo. Infine facciamo sapere all'Articolista del Napoli che lo zelo che egli nega negli Agenti delle Imposte è tale che confina con l'abuso e la vessazione, precisamente in alcuni i di cui antecedenti non sono qualche cosa di buono. Noi quindi in omaggio della verità, e perché il paese conosca chi sono certi Individui a cui il governo à accordato la sinecura di una percettoria e tanta facoltà di vessare il popolo, cominceremo a fare la biografia cosi di volo dei Percettori, e dei loro adepti, dicendo quello che furono, ciò che sono, e dal passato e dal presente arguire quello che saranno. Noi faremo cadere diverse maschere, rendendo così un servizio al paese, ed al governo istesso!!!...

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, mme sapisseve a ddicere s'è bero che lo governo àve ordinato a li Munecipie pe lo primmo de jennaro de mettere le ttasse ncoppa a tutte li genere de consumo che nfi a mo non l'anno?

D. Crisc. Non saprei dirvi, caro Si Tore. So però che essendo tutti i Municipi quasi in arretrato verso il governo circa il dazio governativo, ed adducendo per scusa che non ànno cespiti come soddisfare il proprio dare verso il governo, forse questo si sarà deciso ad ordinare tale misura.

Ann. Bella mesura chesta è na varrata ncapo, nò na mesura, li Munecipie non bonno pavà 6 non ponno pavà e nuje nce jammo pe ttorza... Che bella penzata, che guappo governo, dalle, spoglia, scorteca... Vene bona la tela mia, dice isso? Se frije chi la tesse...

Caf. Ma chesto pare che fosse na contrajustizia.

Trov. Ma addò sta cchiù la justizia, v'addimmanno io.

D. Crisc. Ora che vorreste che facesse il governo quando

non può esser pagato, perché i Municipi dicono di non aver denari?

Ann.. Iettano coppe, vommecano centrelle... nsalute nosta, diceno che non teneno d mire, e tutte chille che se pigliano da nuje povere scasate che ne fanno? Se ccà simmo arrevate a lo chiano de cinco miglia se nce stanno spoglianno vive e muorte?

D. Crisc. Ma il governo non lo sa questo...

Caf. Nò lo ssape? Vuje pazziate.

Trov. Comme no lo ssape, se isso à fatto le llegge che dànno tanta facordà a li Munecipie de fà chello che bonno, e mo co sta nova legge le popolaziune addirittura sarranno scortecate; pecche ne' erano Munecipie addò non se pavavano dazie ncoppa a tutte cose, mo simbè lo Munecipio non borria mettere sti dazie, p'ordene de lo governo l'à da mettere pe forza, e addio mio bene. Aumento de dazie, fatica che non nce nn'è, le gente che non ànno che ffà, lo vierno che nce stà ncuollo, e vide che felicità che nce stà apparecchiata...

Ann. Che pozzano avè no cancaro friddo. Da unnece anne non siente che tasse, piseme, sequeste, vennete e la malapasca che se le batte... Neh, diciteme, che nce potarria fà de cchiù male de chisto? Nuje addò avimmo d'arrevà cchiù?

Caf. Ma mperò, D. Criscenzo dice che simmo libere...

Ann. Pozzano avè no truono ncapo lloro, la libertà, chi la ccecaje, chi l'accacciaje, chi la portaje, chi la cerca, chi la vò, e chi l'annommena, lloro, ll'amice lloro, li figlie e li sfrattiglie lloro, e pure li cane de le ccase lloro... libertà! che fossero mpise, e che libertà è chesta de mori de famme?

D. Crisc. Voi non capite cosa Vuol dire libertà, perciò parlate.

Ami. Nò, io capesco che quanno non era asciuta nchicchera sta janara de libertà che à fatto saglì ncanneliere tanta galiote e tanta pezziente, io e tutto lo prossemo mio magnavamo a scialacore, non avevamo canoscenzia né co satture, né co scrivane cremminale, né co Percetture, né co tutte sti sfrattapanelle do sciammerie revotate, e mo? Te suse la matina e accommienze co l'usciere, co le prubbechelle, co li zucacarte, co li strafalarie d'ogne manera che te veneno a zucà...

D. Crisc. È segno che vi spettava pagare...

Ann. Ahu, che v'avarria voluto dicere? E già lo mariuolo che bene e ve leva la giacchetta, è segno che ve l'aveva da levà...

Trov. Ma, D. Criscè, quanno lo governo avarria voluto adderezzà li Munecipie poteva acconcià le llegge Munecipale che nce stanno mo, le quale songo fatte pe spoglià; e co saggezza agghiustà de manera che senza mettere tasse nove, anze sminuenno chelle antiche se poteva agghiustà tutto.

D. Crisc. Questo è un paradosso. Addio.

Ann. Sentite a Nnarella, che co na rotta d ossa fernarrà la pazziella...

Trov. Prudenzia e pacienzia... doppo lo mmale venarrà lo bene. Santa notte.

ANNO VI N. ° 126 Martedì 24 ottobre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

PARTE AFFICIALE

Nuje Don Criscienzo eccetera, pe grazia de la miseria Direttore de la sfasulazione; Duca de li Stracquachiazze, de li Pierdetiempo e de l'Oziuse; Gran Prencepe ereditario de Crape, Anacrape è Grott'Azzurra: Gran Cordone de li Portelappascere: Gran Croce de Carriole, etc.

Consideranno chi fujeno, chi sò state, e chi songo ìi fratielle de la Talia de llà' ncoppa, zzoè de lo Settentrione:

Consideranno che ab antico non sapevano fà autro che scepparese la cammisa da cuollo ll'uno co ll'autro; pò cchiù tarde se mparajeno ad arrobbà; e mo a ll'urdemo perfezzionannose se sò mparate a assassenà (e cchesto lo ssapimmo pe pprova tutte nuje meridionale);

Consideranno che li poparuole fratielle lo Dante non ll'ànno maje ntennuto, pecche si ll'avessero ntennuto non ll'avarriano puosto mmiezo a lo Ilario de lo Mercatiello pe fà la concorrenzia a Mamozio de Pezzulo e a Pasquino de Roma;

Consideranno ca a lo povero Dante non Ile passaje manco pe la capo la Tal la Una, e tanto meno se nsonnaje de consiglià lo sberriamiento de tutte li mariuole, mariolune, e marioncielle;

Consideranno ca Dante mmece consigliava schittamente a li mariolune provavune de li mariuole presente: non v'arrobbate, non ve spogliate, non ve scannate; non facite che ogne Casandrino, ogne Casavatore, ogne Panecuocolo tenesse la pretenzione e ll'arbascia d'essere no Stato, e vole levà la cammisa a lo vecino, pecché accossì ve struite, e chiunche ve vò dà ncuollo, lo pò fà senza fatica, e spogliannove mparanza, fà che de li duje leticante lo tìerzo gode; e pperzò stateve aonite, amateve comme a frate, e pensate che site nate nn'una terra;

Consideranno ca ntra li consiglio che deva Dante a chille mariuole de tanno, e cchello ch'anno fatto sti mariuole de mo, nce stà la defferenzia che stà ntra lo paraviso e lo nfierno;

Consideranno ca Dante manco pe suonno se poteva smacenà chello ch'anno fatto ll'accellentisseme Menistre de la Talia Una, accommincianno da lo Molenaro e fenenno a lo Tentore;

Consideranno che si lo povero Dante se poteva smacenà che la Viatrice che isso teneva dint'a lo chierecuoccolo sujo, e che doppo tanto cammino lo portaje a bbedè L'Amor che muove il Sole e l'altre stelle; pe cchille che Io ntreppetavano a la smezza aveva da essere Madama Adele, a lo cchiù ppoco Dante sarria muorto co na vermenara;

Consideranno tutte cheste belle maraveglie e tant'autre che non se diceno, pecché no mpiso de ciammuorio nce fà stà co li siscarielle dinto a le rrecchie; Volenno dà no premio mmeretato a tutte chille martere ch'àuno dichiarato Dante lo primmo autore de la Talia Una;.

Avimmo risoluto de decretare, e decretammo:

Art. 1. Tutte chille che ànno smacenato, e ànno fatto lo monumiento a Dante, chiammannolo autore de lo gran Rignone, sarranno tutte registrate nfaccia a na preta marmola, che sarrà posta a li piede de lo mausolejo nnauzato mmiezo a lo Ilario de lo Mercatiello; e nnanze a tutte sti nomine nce sarrà no ritratto che bà pe ttutte, azzoè na bella capo de ciuccio scorpita ncoppa a la preta stessa.

Art. 2. A ll'autro lato de lo cappiello, che serve pe ppedagna a lo mammuocciuolo de Dante, nce sarrà posta n'autra screzejone, che dichiararrà che a tutte le bolge che bedette Dante, se n'à da agghiognere n'autra da isso non bista, pecché tanno non c' era ancora, e cchesta è la Talla Una.

Art. 3. A n'autro lato nce sarrà scorpito lo ritratto de Madama Adele, e sotto nce sarrà na screzione che dichiararrà, che si Viatrice a lo Dante Ile faceva fravecà castielle nn'aria; Adele a li fratielle ll'à fatto fravecà castielle a la Sguizzera, e a quacche autra parte.

Art. 4. A ll'urdema faccia a la fine nce sarrà n'autra screzione che diciarrà nquacche mondo: a la Talia Una tutte li galiote recanosciente.

Art. 5. Restano ncarricate de fà asservà sto decreto lo Sinnaco de Napole co ddoje effe, lo scurdore che à fatto lo Dante mancino, ll'architetto che à mmeritata chella nova forma de gelatina, lo generale d'Ayala pe la screzione de li nomine de li martere promoture, pecche sulo isso pò fà chelle llàpete che mmeretano làpete, e lo Secatore soleto, autore de la via Roma, pe tutte ll'autre screziune.

Ogge li tante de lo mese de lo Scorpione, 11 anno XI de lo massemo scorpione, zzoè de lo gran Rignone.

Lo Menistro
Don Chiuppillo
 Firmato
Don Criscienzo.


ANNO VI N. ° 127 Giovedì 26 ottobre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

SEQUESTRO

Martedì fummo onerati dal Fisco con un altro sequestro, che noi non ce lo potevamo nemmeno immaginare. Col numero venturo faremo conoscere ai nostri lettori la terribile causa che ci fece meritare questo sequestro! Viva la libertà di stampa! I Viva il Fisco!!

UN'ALTRA IMMORALITÀ

Decisamente è stabilito che i reggitori di questa tre volte sconsacrata Italia non debbono passare giorni senza consumare una immoralità a danno del popolo burlato, disprezzato e tradito, il quale ornai è ridotto a gridare, ma sino a quanto si abuserà della pazienza mia? Il Ministro Sella, quell'uomo-tigre che à consegnato il suo nome alla storia accompagnato dall'epiteto di Scorticatore, nel dì 17 dello scorso settembre, da Torino otteneva un Decreto con cui si modificavano le tariffe e le vincite del giuoco del Lotto a datare dalla prima estrazione del prossimo mese di Novembre. Noi astenendoci di riportare il detto decreto, potendo chi à voglia di leggerlo riscontrarlo in altri giornali, non essendo noi usi di riportare atti del governo, diciamo al popolo che ornai il giuoco del lotto è un monopolio governativo, non già un contratto, mercé cui il governo obbligasi verso i giuocatori di pagare puntualmente e fedelmente le vincite nella loro totalità. Oggi il nuovo decreto mentre ribassa i prezzi della giuocata sino a 10 centesimi (provvedimento illusorio e ingannatore) autorizza poi i Direttori Compartimentali ad elevare quel prezzo nei giorni prossimi alle estrazioni. Quindi ecco l'illusione del ribasso delle giuocate, poiché devesi stare al libito della Direzione sino a qual giorno permette giuocarsi col ribasso; meglio non averlo dato, che aver burlato il popolo, e rese le Direzioni superiori alla. Legge, potendo esse servirsene in lato senso secondo il proprio capriccio, e favorendo così maggiormente i giuochi clandestini. Dippiù, il signor Sella à fissato una cifra di 6 milioni, e se l'è esaurita, allora il Ministero fissar deve la liquidazione delle vincite al tanto per cento, come può fare un mercante fallito. A questo taglio bisogna aggiungere la tassa del 13 e 20 per 100. Dippiù restano severamente proibiti i giuochi clandestini, così detti giuochi piccoli, contro gli esercenti dei quali, vi sono multe e carceri comminate. Arrogi che similmente son proibite le vendite di cartelle di lotterie, tombole e prestiti; in fine tutto deve fare il governo, solo deve monopolizzare introitando sicuro ed esitando, come, quando e quanto gli torna in grado di volere esitare. Chi mai di noi tutti meridionali à potuto dimenticare le ingiurie dette dai famosi rigeneratori e loro portavoce contro il cessato governo, appunto perché teneva il giuoco del lotto? Che non si disse, e non si scrisse allora travisando in ogni maniera la verità? Eppure sotto di quel governo il giuoco del lotto non era una speculazione governativa, non un cespite sicuro di entrata, ma solo un antico, anzi inveterato uso mantenuto piuttosto per far. piacere al popolo. Ed infatti, sotto di quel governo ogni numero aveva la sua dote di ducati 45 mila, e quando questa veniva raggiunta dalle diverse giuocate quel numero si chiudeva, né si accettavano giuocate sopra esso col fine di fare introito, e poi in caso di vincita venire a transazione col vincitore. Di questa immoralità quel governo non lordavasi, ma solo era riserbato al Ministro Sella di farla in nome della civiltà e della rigenerazione. Quel governo cautelava gl'interessi dei giuocatori con gli stampati coi quali non vi potevano essere né errori e né frodi, mentre ora con la bolletta figlia che si stacca dal libro il quale resta in potere degli agenti, del governo, la frode è facilissima, poiché se un giuocatore avrà la difficile fortuna di vincere un terno grosso, ed il governo non à l'intenzione di pagarlo, può benissimo alterare il biglietto di riscontro della matrice con una cifra qualunque e fare che lo scontrino che tiene in suo potere il giuocatore non corrisponda con la matrice. Sarebbe enorme non è vero? Ma da un governo che qualifica la malafede, come necessità, e la frode còme arte per far quattrini, di tutto quanto riguarda furfanterie è d'aspettarsene a josa. E poi il giuoco del lotto non è ornai un cespite assicurato d'introito per il governo? Questo altra volta detto immoralità sol perché non era esercitato dai Sella e Compagnia non è stato sanzionato e riconosciuto come entrata dello Stato? Il suo introito forse non è fissato nel bilancio del Tesoro? Che altro si vuol vedere per comprendere una buona volta che il popolo per tutt'i versi deve essere sempre tosato sino alla pelle? È incredibile, ma pur troppo vero che in fatto di spoliazioni, di espilazioni di estorsioni, di tirannie siamo giunti al non plus ultra... E tutte a danno della parte più miserabile e numerosa del popolo.

Non restava che il giuoco del lotto a colpire, e si è colpito prima col camorrismo di una tassa sulle vincite del 13 e 20 per cento, e poscia con questo nuovo decreto che è il distillato della immoralità, poiché mentre s'inganna il giuocatore con una promessa di vincita, se riesce a vincere gli si nega l'intero pagamento, cosicché il governo introita sicuro per le giuocate, fa il suo guadagno per la difficoltà di vincere, di talché mai il governo viene a rifondere dallo introito fattodelle giuocate, ai pagamenti che può fare delle vincite, ma quanto neppure l'ipotesi vuol che restasse di poter rifondere, poiché limita tutte le vincite ad appena 6 milioni, locché sono un minimum di quello che si giuoca, mentre il passato governo laddove un numero veniva chiuso, si ritornava al giuocatore il suo danaro.

Queste poche parole noi abbiamo voluto dire a solo scopo di avvisare il popolo a fare migliore uso del suo denaro, se pure ne à, e non privarsi del pane per giuocare al lotto, in cui alla difficilissima condizione di poter vincere, si aggiunge che anche vincendo, si corre il rischio di niente vincere, o tanto per quanto piacerà al governo di dare. Poiché chi può sapere nelle vincite se si è, e pur no, raggiunta la cifra stanziata dei 6 milioni? Non è forse il goveno giudice e parte in questa faccenda? Lo sa il popolo forse, se vi sono state vincite tali da sorpassare i 6 milioni di lire? E per farsi questa operazione dal governo, la quale non è una bagattella, quanto tempo ci si dovrà impiegare? Quanto tempo aspettar debbono i vincitori? E dopo un lungo attendere sentirsi dire, voi avete vinto mille, ma io governo ve ne dò 500 poiché tanto posso darvi, dovendomi voi pagare anche la tassa. Lettori, non vi sembra questo un far simile dei contratti che fanno gli usurai con i malcapitati che ànno bisogno di essi? E con un governo simile si sperava vedere in Galera come pubblici frodatori e bancarottieri i Ruffo-Scilla, i Costa, i Presti e gente simile, quando che un Quintino Sella è Ministro di Finanza? No, non era possibile. Ma però è certo che la misura è colma, e mai come ora il popolo dovrebbe infliggere un severo castigo al truffaldino di Biella astenendosi addirittura di giuocare, per far sì di non farsi spogliare dal Biellese, che ride sgangheratamente della dabbenaggine di noi tutti, ed impingua i suoi scrigni perché quell'oro pregno di lagrime e di maledizioni serva per pagare i prezzolati cortigiani, le schifose Messaline, i compri ciurmadori rappresentanti del popolo in tutte le politiche dimostrazioni, corrompere i deboli, sedurre gl'incauti alimentare i tristi ed a furia di menzogne pagate con quell'oro tenere in piedi la Compagnia di Sella e soci. Ma che il popolo, si ricordi che qui non trattasi di politica, sivvero di un fatto tutto proprio, né più e né meno che di quel che vi dice, lascia che io ti rubi, e di voi che gli vuotate la vostra scarsella. Nè più e né meno. Se poi siete tanto balordi da farlo, allora piegate il groppone, fate che Sella vi salti su e come asini vi faccia camminare. Noi ve lo abbiamo avvertito, pensateci!...

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Caf. Si Tò, che nce stà pellaria?

Trov. Brutte nuvolune, tempesta, Si Luige mio tempesta.

D. Crisc. E dove scoppierà!

Trov. Lo spiate a me? chesto lo ssapite vuje...

D. Crisc. Io non so nulla...

Ann. Comme è sempricione chillo D. Criscenzo! povero nnozente non cerca manco pane a la notte quanno dorme...

D. Crisc. VI dico in verità che nulla so, poiché l'Europa a come sembra pare che stasse se non in una perfetta pace, almeno intenta ai propri affari interni, ci sarebbe la Francia solamente, che avrebbe qualche velleità con noi, ma sono ciarle più che fatti, e siate certi che la Francia ci è amica..

Trov. Bravo, D. Criscenzo, chesto ve l'avite sonnato stanotte?

Ann. Non sarria la primma vota che D. Criscenzo se sonnarria... ma li suonne songo suonne, e li fatte sò fatte D. Criscè, stateve co sta speranza vuje, e sentarrate che trottola menarrà marzo...

Caf. E pecché non dice fuorze frevaro o jennaro?

Trov. Pò essere pure cchiù primma chi lo ssape? Certo che li foglie stesse de li vuoste, D. Criscè, fanno abbedè le ccose accossi desperate che va trova chi se magnarrà lo capitone contento aguanno...

Ann. Mmalina nce l'avimmo magnato nuje pe unnece anne scontiente, che fà che mo se lo strafocano piccijanno llustrisseme patrune nuoste, che lo Signore pozza scanzà de bene e salute?...

D. Crisc. Ma io vorrei sapere su di che fondate voi i vostri castelli in aria?

Trov. Vedite che fossero castielle basate ncoppa a lo granito mmece d'essere nn'aria? D. Criscè, la guerra è no fatto che mo nisciuno anneja cchiù. La speranza de la rivoluzione steva posta nne lo Conte de Beust nn'Austria, Io quale è no masone fernuto, e nne lo Prencepe Bismarck, ma lo signore Conte à avuto lo scaccione, e se non à fatto lo bauglio pe se ne ì, lo farrà quanto primma, e lo Prencepe de Bismarck tene bastante carne a cocere dinto a lo pignato sujo pe potè penzà a fà lo protettore de la Talia rosta...

D. Crisc. Queste sono le ciarle dei clericali.

Caf. Ecco ccà la soleta parola...

Ann. Chesta è la pezza a colore quanno non s'àve che responnere... ah... ah... ah...

Trov. Mo avite ditto buono Siè Nnarè, ma ànno voglia de schiaffà pezze e d'ogne colore, pecché lo soprabbeto è tutto vrenzole e sulo Io saponaro lo pò acconcià...

D. Crisc. Vedremo chi avrà detta la verità. Addio. Ann. Vedimmo se vuje o nuje sta vota facimmo la botta. Caf. Co lo tiempo e co la paglia s'ammutarono le nnespole...

Trov. E chi vo grazia da Dio non portasse pressa. Santa notte.

ANNO VI N. ° 128 Sabato 28 ottobre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

LE CAREZZE!

Tutto a tutti non lice

Omero.

È indubitato che il Fisco ci ama... ci ama assai, o più del nostro merito!... E gli siamo obbligati. Le carezze sono così subitanee... intermittenti, che non ci lasciano neppure il tempo... di respirare, d'ingoiare il chinino; e siamo costretti con tutta l'espansione dell'animo ad esclamare:

È troppa la gioia, ci manca il respir!

Ma che farci? Alcune volte succede, che per esternarsi un'espansione di affetto verso di una persona che si ama le si dà una stretta, che... strozza! Pazienza! Allora bisogna rassegnarsi, e dire:

Son castighi del del anco gli onori.

ovvero col Salvator Rosa

Dunque perché son Trovator chiamato,

Crucifìgatur grida ogni persona.

Or bene, che il Fisco ci ami, sarà fatto conto, o amico lettore e pazienti associati, a cui mancano spesso i giornali, in brevissimi accenti.

Anticamente quando si voleva arricchire un Editore gli s'incriminava l'opera, che diceva castronerie a bizzeffe: ed allora questi era certo di venderla a peso d'oro in una voltata di occhio. Ora il Fisco, che d'istoria è maestrone, pensò, e pensando disse: È tempo piovoso, poche copie si potranno smaltire del Trovatore N. 126, sia perché l'acqua cade a catinelle, sia perché gli spiacciatori temono d'infreddarsi; così gneffete gli balenò nella mente il pensiero di farci una carezza; ma non vi era alcun che dà sequestrarsi, e siccome l'amor, che a donna amata, amar perdona; così leggi, rileggi, rivolta e torna a voltare per lungo e per traverso il Trovatore, le parole quanta storia gli ruppero l'alto sonno, e quei cartelloni rossi tapezzati per le mura della Capitale Roma, (già Toledo) quei fatti storici gli mossero i nervi; e per amore di... volendoci far perdere onestamente dei quattrini, ci fece una magnifica Ottombrata... Evviva le mille volte il signor Niutta, che rappresenta il Fisco Napoletano!!

Ma di grazia, onorevole signor Fisco, l'è sfuggito dalla mente, ed Ella dovea ricordarselo, giacché tutti i giornali le passano sott'occhio, che quelle tre linee segnate nel Corriere per le quali il Trovatore disgraziatamente era incriminato, furono già pubblicate in Roma Capitale Italiana dall'ottimo giornale la Stella nel suo numero 91 del 20 corrente, ove volendolo potrà leggerle, e non sequestrate, come si raccoglie dai susseguenti fogli. Or come negare ch'Ella non ci ama?!... Quando per farci morir... di fame, trovandoci nell'istesso felicissimo regno Italiano, cioè nella tartassata Napoli si sequestra quell'identico articolo, che nella esultante

Roma quel signor Fisco permetteva. Ecco spiegato il quia dei due pesi e due misure; e l'addio ai giorni ridenti, alla cara libertà... di stampa, essa è lettera morta!

Ai posteri l'ardua sentenza!

diceva l'Arlecchino nel 1848.

Or che si è detto qual è la... materia incriminata, rimandiamo il signor Fisco a leggere le parole del Tempo (giornale non sospetto) che chiosa appunto quell'identico periodo riportato dalla Stella, e questa le dà un'altra leggiera toccatine con la seguente risposta:

«A proposito il Tempo ha raccolto una mia parola (N. 91) sui delitti di sangue e vuole rimbeccarmi, gettando innanzi l'assassinio di Monti e Tognetti. Ma carino se per assassinio intendi i 27 zuavi (romani quasi tutti) sepolti proditoriamente nelle ruine di Serristori, va benissimo, e siamo d'accordo. Ma se accenni alla decapitazione di quei due sciagurati, ti dirò allora che non vi è stato «mai regno, il quale non abbia i suoi Barsanti come i suoi Monti e Tognetti!

Dopo tutto ciò la nostra difesa sarà sviluppata in pubblica udienza, ed è là che ci appelleremo all'imparziale coscienza dei Giurati, per la discussone della voluta reità che sta solo nella mente dell'onorevole signor Fisco di Napoli.

Non sappiamo capire come avvengono le cose, e pure succedono. Se il Trovatore parla di storia è sequestrato; se un poco si pennelleggia qualche fatto patrio, è sequestrato interpretando le intenzioni; se nelle cose umoristiche si piange di calde lagrime sopra tante sciagure e balzelli che ci opprimono, è sequestrato; se nelle corrispondenze particolari, ci si vede sempre un mistero dei fini ascosi, ed è sequestrato; solamente il Notiziario detto il Corriere, era rimasto fin qui incolume, ed oggi à meritato tanto onore; ed è curioso il vedersi che il Trovatore sarà tradotto innanzi ai Tribunali per avere sotto la fede di altri raccontato, che i delitti di sangue degli altri popoli del mondo possono narrarsi, e quelli che riflettono l'Italia debbono tacersi ed allora come sarà ammaestrata la gente per cansarli, e pure era un fatto del viver sociale a cui si accennava, in opposto vuol dire che si teme il sole perché discopre le macchie!

Onorevole signor Fisco, se non si deve parlare per non offendere le orecchie... come poi agli altri giornalacci e giornaloni della greppia, ed alla benemerita Internazionale., è lecito ogni cosa, e son guardati con pietosa compiacenza? mentre poi i fogli cattolici si tengono per malintenzionati, tra quali in capite 11 Trovatore; e così subito gli si applica quella benedetta frase elastica universale di eccitare il malcontento: È giusto che avvenga in quest'anno di grazia 1871!

Scusale errammo, ci à bagnali il sole.

I LUNARI DEI RIVOLUZIONARI

Da che venne annunziato il convenio dei due Imperatori di Germania e di Austria non è passato giorno in cui i giornali della rivoluzione non vi abbiano fatto i loro lunari sopra, e tirato giù l'oroscopo dei gloriosi destini della famosa cuccagna. Però poveretti! per quanto siansi defaticati a venderci lucciole per lanterne, il fatto inesorabile come il destino è venuto onninamente a sbugiardarli, ed essi oggi modestamente battono ritirata, sempre però spiritosi e gai. Non vi è che dire ciascuno deve fare il suo mestiere... La rivoluzione non cominciò con l'ingannò? ebbene, non dobbiamo meravigliarcene se morrà con l'inganno; ahi! disse bene un poeta, che la speranza fu la prima a nascerle ed è l'ultima a morire... Lasciamo perciò che i Settembristi si cullino nella dolce speranza Che cosa fatta, capo à, perché poi il disinganno riuscirà ad essi più tormentoso, giacché dalle stelle si troveranno nella stalla... e che stalla!

Che cosa dunque si è fatto a Gastein? 11 Roma vi dice che si è conchiusa la famosa alleanza Austroitaloprussa: benissimo! e notate, fortunata combinazione, il Roma avendo magnetizzato il proto della stamperia à conosciuto e saputo per filo e per segno tutto quanto si è detto e fatto nella Camera in cui erano da soli i due Imperatori, e veduto quando questi pazzi d'amore come due Flaminii per la vezzosa Italia le hanno aperta una porta segreta, e di lì l'àn fatta passare zitta e cheta, onde assisala in mezzo ad essi le rinnovarono il loro affetto, le prodigarono carezze, le diedero un bravo di cuore per quanto avea detto, preso, e fatto, e poscia vezzeggiandola sempre, le dissero, prendi la penna o piccina firma questa carta, essa contiene la nostra triplice alleanza per la vita, e per la morte... E l'Italia ansante, affannosa e di pudico sudor madida la fronte, firmò!... Oh alleanza! 0 pudicizia! Oh firma!... Ma l'à detto il Roma, chi può dubitarne? Sentite mo le malelingue che dicono. Dicono che tutto quello detto e ridetto dai giornali rivoluzionari è una solenne bugia. Ma lasciamo stare le malelingue, e veniamo invece a quanto ne dicono i fatti che tuttodì si svolgono sotto i nostri occhi, e la stampa anche rivoluzionaria se volete, la quale sia detto in parentesi, è entrata nella paura di modo che non sa a chi votarsi più per vedere di riuscire ad azzeccarne una sola. I fatti sono questi. L'Austria decisamente entrata nella reazione, la Francia decisamente avviata alla Monarchia legittima. La Prussia che giuoca una politica sottile e facendo di altalena canzona magnificamente la rivoluzione che in lei spera... il coronamento dell'edilìzio, la Russia che spiando da lungi, cerca di far rivivere una certa alleanza non mica piacevole pei rivoluzionarii, e l'Inghilterra che sta assaporando l'amaro frutto della setta, anela il momento fortunato di ritornare all'epoca dei Pitt. Il discorso fatto dall'Imperatore di Germania è troppo esplicito in quel passo in cui accenna ad un'alleanza tra le potenze nordiche. Le concessioni territoriali, o per dir meglio le retrocessioni fatte dalla Prussia alla Francia, e la quasi certezza dello sgombro totale dei soldati Germanici dal suolo francese sono un indizio certo che già tra le potenze sia passato un accordo mercè il quale àn deciso farla finita una volta con la rivoluzione. E deve finire certamente. Il Piccolo di Napoli ve lo dice, presagendo che dopo la caduta di de Beust in Austria, guai seri sorgeranno per l'Italia. Noi però correggendo la frase diciamo per la rivoluzione. Certo il vento che spira è burrascoso; ornai volere, o non volere, per la rivoluzione non resta che o ritirarsi scornata, o farsi sconfiggere. Di tutte le fisime che essa pone innanzi di nuovo dritto e quel che segue la diplomazia terrà quel conto che si potrà tenere del balocco di un fanciullo... È vero non essere improbabile una guerra Europea, se talune idee di conquiste non si smettono da parte di qualche potentato, ma non è men vero che guai a chi la cagionerà, e guai molto più alla rivoluzione, causa prima di tutte le sciagure a cui è soggetta l'Europa.

E una verità che sfidiamo chiunque a poterci negare quella che quando sono di accordo Austria e Francia i disegni ambiziosi di qualsivoglia altra potenza resteranno disegni e nulla di più.

Che queste due potenze vadano di accordo i fatti ce lo dicono, e noi soggiungiamo riportandolo dal giornale il Waterland che non appena sarà terminato lo sgombro dei soldati prussiani dal suolo francese, la rivoluzione all'estero riceverà dalla Francia il suo colpo di grazia; è tanto ciò vero, per quanto il Pensiero di Nizza giornale rivoluzionario confermando il fatto degli ufficiali di Stato Maggiore francesi che studiano i passi Alpini, soggiùnge che anche il generale Lamarmora si è portato colà per simili studi. Dunque siamo alle botte.

Ecco a che sonosi ridotti tutti i lunari dei fogli liberaleschi sul convegno di Gastein, sull'alleanza italoaustroprussiana, ed altri manicaretti simili che i cuochi delia cucina rivoluzionaria sanno così bene offrire ai loro ghiotti lettori che tengono la coda di paglia... Ora però che ci ricordiamo, la famosa Gazzetta d'Italia nei suoi dispacci particolari ci annunzia che il Ministro Hoenwart in Austria sia dimissionario, ciò che vuol dire che la politica del de Beust abbia vinto, locché significa la rivoluzione restar padrona del campo in Austria, quindi sfumata l'alleanza con la Francia, evaporata l'alleanza delle nordiche potenze. Noi ponendo in guardia i nostri lettori circa queste notizie a sensation, lor diciamo ridetecene, sono ballons d'essai... e la pudica Gazzetta questa volta, come le tante altre, avrà fatto puranche un solenne fiasco.

I tempi sonosi cambiati addirittura, e qualunque sforzo si potesse fare dalla rivoluzione, sarà un vano conato, poiché Iddio che per castigo dei Monarchi, e delle Nazioni permise i passaggieri trionfi della rivoluzione sulla giustizia, e sul dritto, oggi viceversa vuole che la rivoluzione si abbia il meritato castigo a sua volta. E quando Iddio lo vuole, chi contro di Lui?! t!...

Riceviamo e pubblichiamo

RECLAMO ALLA LUNA

Senza ricorrere a'  grandi sforzi di mente per dimostrare ciò che costituisce essenzialmente quest'ente morale del Municipio di Napoli, che non è altro se non un cumulo di capricci, d'errori con l'ultimo suo fine ad accrescere a dismisura lo scontento generale: basta la narrativa del fatto che segue:

Chi non conosce l'emozione, anzi l'indignazione, che produsse nell'animo d'un pubblico intero, il balzellò de'  centesimi addizionali municipali, che sotto mentito nome nascondea il peso enorme e l'aggravio, quasi eguale, al peso governativo; di tal che la contribuzione fondiaria, venne per ciò raddoppiata? Chi non conosce i reclami fatti al Parlamento, alla deputazione provinciale, gli articoli specialmente pubblicati nel cessato giornale l'Oriente con le più chiare dimostrazioni, che qualunque peso s'imponea a prò' di questo Municipio era delittuoso, atteso le nulle e ridicole opere di quest'amministrazione abbastanza oscurata dalla logica parlante de'  suoi risultati?

Tutto fiato perduto!!

Il balzello è là: lo scontento è sopraffatto dalla forza: il pubblico paga...

Ebbene ciò non è tutto. I Vice-Sindaci oggi, lungi di badare alla pubblica igiene, si stan divertendo co' poveri proprietari perché questi fra due giorni, dopo l'intima (capite, fra due giorni!! ) o mettono gli scuri delle botteghe dentro le grossezze, o elasso questo bisantino perentorio il Municipio costruisce esso le chiusure a danno, e poi t'azzecca una nota ad usum Municipii col paga o rilascia.

Ma corpo di una cara bomba alla prussiana, questa la è troppo!!

Quest'è la libertà: a questo prezzo questi la smaltiscono!! Quest'è l'omaggio che si fa alla proprietà!!

A dire il vero siamo stanchi da tante oppressioni. Appena i possiamo pagare le inique tasse, non c'è danaro bastante per' pagare la fondiaria, ed il Municipio, per soprassello, ci opprime per queste inutili opere, senza distinzione di strade, di larghezza, di siti.

Queste opere si fanno col pauso del tempo, e ne' casi di rifazione per vetustà.

Nessuna legge à tenuto forza retroattiva: solo oggi si verificano simili mostruosità, per sentenze di questi barbassori padri della Patria. Ci fu un'insinuazione ministeriale di non molestare i proprietarji. Vana lusinga!! Se i proprietari posseggono le pòrte da fuori, questo dritto è sorretto dal placido secolare possesso, e sopra antichi permessi sotto l'egida di quelle leggi. Oggi non possono i proprietarii essere astretti a soffrire spese morte, per lussuria di un'amministrazione, la quale si dovrebbe specchiare nell'abbandonata e divota facciata del Municipio con tutte le sue porte da fuori, cadendo così nel fatto del ragno, che pretendea dai figli a caminar dritto, quando esso stesso ne dava il tristo esempio.

Vale a dire, noi da tutt'i versi dobbiamo essere stritolati. Che badi il Municipio che il mezzette da lunga pezza travasa. E ciò basta!! Un vostro associato.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, che ve ne pare de lo prociesso contro a lo Questore de Palermo? Caf. Comme Si Tò, no Questore processato? Trov. Gnorsì, e che prociesso!

fi. Crisc. Sentite, ancora non possiamo dir nulla, ma infine se è vero ciò che dice il processo il Questore Albanese poi non à fatto che purificare la Società da taluni malviventi.

Trov. Me perdonate, mprimma lo prociesso non dice chesto che dicite vuje, pecche de li tre, nfelice assassinate pe ordene de lo Questore, duje erano nnociente, e sulo nn'odio a lo Questore e a ll'amice suoje, ed uno pò s'era reo l'aveva connannà la justizia non già a farlo assassenà comme a no cane a tradimento, capite?

Ann. Si Tore, Si Tò, comme comme, lo Questore de Palermo faceva assassenà le gente?

Trov. Gnorsì, Siè Nnarè, chesto faceva.

Ann. Io me faccio le ccruce a la smerza, no Questore a fà chesto, e quanno maje s'è ntiso no fatto simmele? E se no Questore se pigliava'  sta facordà, comme maje la justizia poteva ì nnante? E che ne diceno li palermitane mo de cheste scellareggene che fanno li cevelezzature, lloro che ànno fatto la revotazione a lo 1860, arroinanno no regno sano sano? Quanno ne' erano li birbante tanno, o mo? Ah, che lo Signore è ghiusto, Si Tò, e avisa che avarrà astipato pe chi à avuto causa e corpa a li guaje nuoste...

D. Crisc. Voi subito uscite con i paragoni. Allora le infamie della polizia non si conoscevano perché non vi era libertà di parlare e di scrivere, oggi poi che vi è questa libertà di ogni pelo si fa una trave.

Trov. Tanno non se facevano ste nfametà non dico da n'autoretà comme a no Questore, ma manco da lo cchiù birbante, pecché a ll'infora de le llegge che nc'erano non s'aveva perzo ogne sentemiento de moralità e de religione. E pò, venuto lo 1860, quanno la revoluzione addeventaje la patrona de tutto, è bero che dicette lo cchiu pevo che potette contro a lo governo caduto mmentanno tanta calunnie, ma mperò niente potette prova co li fatte de tutto chello che | dicette, e restaje a ll'urdemo busciarda e sbriognata.

Ann. Che bolevano dicere, che bolevano dicere sti fauzarie, che la faccia lloro non songo degne de mettere manco, addò cierte pperzone mettevano lo pede? Ànno pure coraggio de parlà doppo cheste nfametà socciese?

Caf. Ma, Si Tò, sto Questore mo sarrà judecato? e sarrà connannato pe comme mmereta?

Trov. Nce aggio le difficordà meje.

D. Crisc. Se è reo, perché no? la legge è uguale per tutti.

Trov. Chesto stà scritto, ed è no ditto, ma lo fatto pò è n'autra cosa, e nnuje sapimmo comme s'agisce da unnece anne...

Ann. Che starnino vedenno passià chiatte e frische a cierte piezze de mpise, che manco ngalera starnano buone... Se l'avimmo capito, ogge chi la fà cchiù sporca è priore.

Caf. Ma che borrisse che no lupo se magnasse a n'autro lupo?

D. Crisc. Voi non avete ragione di parlare cosi.

Ann. Nce l'avimmo la ragione co lo panno e la meza canna, pecché nisciuno de sti malevivente che stanno facenno mmecidie e proditorie s'è bisto mannato ngalera, pecché erano librare, e oggennì chi è libraro, è lo Don Portovallino de la commertazione, fà chello che bò, tene carta janca, e nisciuno s'arriseca de le dì, guè, tu che faje.

D. Crisc. I liberali sono la migliore gente del mondo...

Trov. Cioè avarriano da essere, pecché vero liberale segnifeca ommo aonesto, coscenziuso, pacifeco e che ama lo prossemo sujo; ma mo non è accossì, pecché li liberale songo tutte chille che ghiastemmano, che banno contro a lo Papa, che fanno assassenà le gente che se pigliano la rrobba de li' autre, e tant'autre cose, che farriano mettere scuorno porzì a no brigante de campagna. È bero che ntra li liberale nce stanno perzone aoneste, ma cheste ogge se songo tirate da fora, e songo le primme a ddicere fujemo ngannate... D. Criscè la cosa puzza.

Caf. Ma comme sto Questore faceva assassenà le gente?

Trov. Co ddicenno che pecché erano de mala vita, e la justizia non l'arrevava a coglierle pe li castecà, isso, lo Questore a tradimento li faceva accidere, e accossì diceva de fà no servizio a la jostizia e a la società.

D. Crisc. E così era...

Caf. Comme, se fà accidere a uno, e se dice de fà no servizio a la jostizia e a la società? E allora le llegge, li tribunale, l'autoretà, la forza prubbeca de lo governo pecché nce stanno?

Ann. Pe se scioscià le mmosche e fà li guappe co le gente dabbene... Vedite vuje mo a che simmo arrivale che pe sfrattà no malvivente s'à da fà accidere a tradimento e senza judicio. Chesto sulo nce mancava de sape e l'avi mino saputo.

D. Crisc. Dite quello che volete, ma il Questore Albanese à reso dei buoni servigi.

Trov. Tanto buone, che l'assassinio co lo trademiento pe isso erano mezze de governo. D. Criscè, levammo mano a sto trascurzo e ghiammoncenne ch'è notte. Sulo mperò ve dico che l'uommene de la revoluzione ànno fatto tanta nfametà che mo pure li cchiù devote a lloro ll'ànno avotato le spalle, e ogneduno à conosciuto quà era ll'oro, e quà è lo chiummo.

D. Crisc. Ebbene io vi dico che per quanto qualche cattivo liberale avesse fatto errori, pure il popolo sarà sempre per la libertà. Addio.

Ann. Statte co sto penziero ch'àje fatto Pasca coste viole. A la squagliata de la neve pararranno le ppertosa... e che pertosa! Sarranno fuosse addò se potarrà rompere la noce de lo cuollo cchiù d'uno...

Trov. Mparammo, figliti a non chiagnere maje... e chi vó cagnà la via vecchia pe la nova, sape chello che lassa, ma non sape chello che trova. Santa notte.

Caf. Bonasera, Si Tò, e lassammo fà a lo Cielo...

ANNO VI N. ° 129 Martedì 31 ottobre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

UN'ALTRA CATASTROFE PER LA RIVOLUZIONE

Le opere della rivoluzione, quali che fossero le apparenze sotto le quali si mostrano, non possono aver durata, poiché la loro base poggia sull'arena, la loro architettura l'è una congerie di capriccio ed ingiustizie, essa è opera di un partito e non mica della Provvidenza, e della sapienza. Ècco quindi che mentre s'innalza le sue mura si fendono, piegansi sulle proprie basi e minacciano mina, malgrado i rappezzi ed i puntelli che vi si fanno. Il telegrafo ed i giornali stessi della rivoluzione, dopo di averci riportato con magne parole l'entusiastiche accoglienze ufficiali ricevute dal Re di Spagna nel suo giro politico fatto in alcune provincie del reame, dopo di averci l'atto credere che le popolazioni erano tutte in festa per la visita del Sovrano, e quinci e quindi clamorose dimostrazioni di affetto, e veneranza, luminarie, bandiere, spettacoli, giuochi o quanto mai un popolo sa fare e può fare nell'ebbrezza della gioia, ora ci vengono ad annunziare la caduta del Ministero del famoso dritto nuovo spagnuolo, la salita di un Ministero Malcampo, o per chiamarlo con il nome che gli dà un giornale spagnuolo, Ministero Campomale, agitazione vivissima in Madrid, diramantesi nelle Provincie, dimostrazioni serie e di peso, rumorio di una prossima rivolta.

Noi in verità non ne restiamo commossi, poiché ben sapevamo come il Principe di Savoja fosse stato giuocato da una mano d'intriganti, fedifraghi, felloni, e parricidi, i quali dopo di aver demolito il Trono della Dinastia di Spagna, e! fatta cadere Isabella di Borbone, spaventati dalle proporzioni della rivoluzione la quale già in parecchi paesi aveva cominciato a divenir rossa, vedendo che Serrano era impotente a più frenarla, si decisero procurarsi un Re ovunque potevano trovarlo, meno nella Casa dei Borboni, sperando che la presenza di un Monarca avesse fatto sparire la rivoluzione rossa, ed essi quei mestatori avessero potuto all'Ombra del Trono, starsene tranquilli e sicuri del fatto proprio in barba al paese, alla giustizia, alla dignità, all'onore Nazionale. Or bene, i Prim, i Serrano, i Sagasta, ì Zorilla e simili di concerto con i loro confratelli Italiani sorprendendo l'inesperienza del giovane Principe di Savoja, offrirono a questo la Corona di S. Ferdinando, proclamandolo Re con appena 191 voto della Camera. E questo loro intrigo, questo voto sparuto ed ibrido essi chiamarono, volontà del popolo Spagnuolo... Ma quale perfidia, quale inganno? Allora che il Duca d'Aosta accetto la Corona di spine, e non di oro che i 191 traditore gli offrirono, tutta la stampa onesta deplorò I siffatto errore da parte del Principe, facendo dei cattivi presagi, sino a ricordare la dolorosa storia dello sventurato ed illustre Principe Massimiliano... Ed infatti il nuovo Re non appena mette il piede sul suolo della Spagna, il generale Prim viene assassinato, ed il Monarca (per la elezione del quale il Prim aveva tanto e sì ben lavorato con Napoleone III il Ministero Italiano e Cialdini), dovette contentarsi di andare a vederne il Cadavere. Quindi il nuovo regno cominciò sotto l'influsso maligno di una vendetta popolare. Le feste pel ricevimento del Re eletto, ridussersi a meschine proporzioni, e Madrid fu messa in quella occasione quasi in uno staio di assedio... D'allora Don Amedeo non ebbe che Cortigiani e cointeressati intorno a se, dappoiché il popolo spagauolO' malgrado allettato con promesse ed oro, restò tetragono nel suo indifferentismo, e l'Aristocrazia disertò in massa le anticamere reali, sdegnosa di ossequiare un Re straniero. Si pensò dal Ministero alla cabala, all'intrigo, alla corruzione, ma tutto invano; che esclusi i famosi 191, il resto della Camera dichiarossi avversa alla nuova Monarchia, e niuno avrà dimenticato le audaci ed ingiuriose parole dette contro la Dinastia del nuovo Monarca dai deputati della opposizione, scendendo financo alla personalità... Né valse per acchetare gli spiriti irritati di quei discendenti del Cid l'andata colà della nuova Regina, non la condotta di essa, né i proclami patriottici del suo Consorte, dappoiché quel popolo fiero delle storiche sue tradizioni dopo la sorpresa cagionatagli dal sopravvenire di tanti inaspettati avvenimenti, si ridestò forte, robusto, risoluto, ricalcitrante, e minaccevole, quasi fiumana fremente che accenni a rompere argini e dighe.

Sicché ora in una provincia, ora in un'altra, sommosse e rivolture; ora in un corpo di milizie, ora in un altro sintomi di pronunciamenti, e riunioni, e confabulamene, e segrete e palesi dimostranze di parti dilanianti quel povero paese altra volta tranquillo, florido, rispettabile, e rispettato. Necessariamente quindi dovevasi giungere ai fatti. Ora non trattasi né di vani tentativi, né di sterili dimostrazioni, né di bassi conati, ma di rivolta generale, e pronunciamento Militare.

Dopo che il Re nel suo giro non ebbe accoglienza che dagli impiegati governativi e municipali, e di questi non in tutti i paesi, dopo che sul suo passaggio dovettero fare vigile scorta corpi di truppe e di poliziotti, dopo che in varie parti fra le grida entusiastiche del coro dimostrante scritturato dal Ministero, ben altre grida si fecero sentire, dopo che un Sindacò in casa del quale il Re volle andare a desinare, ad un brindisi popolare fatto dal Monarca, gli risponde audace, io bevo alla salute del Principe di Piemonte, dopo tanti altri aneddoti più o meno di questo provocanti e irrispettosi, succede la caduta del Ministero Sagasta-Zorilla, e la città capitale del Regno si pone in agitazione; una dimostrazione positiva capitanata da antichi Ministri, da notabilità politiche ed aristocratiche, e da colonnelli dello esercito in uniforme percorre le vie della città, e va a fermarsi sotto i balconi della Reggia, gridando: Viva Zorilla, vogliamo un Ministero radicale, dopo che alla stessa Regina a Porta del Sole, si ferma la carrozza e da una numerosa calca di popolo le si dice: vogliamo un Ministero radicale a costo di rovesciare il trono; desideriamo sapere se avevamo ragione di dire che la Spagna è prossima ad una rivoluzione e ad un pronunciamento.

Ed in vero, cosa s'intende dire cercando un Ministero radicale? Ne più e né meno, che vogliamo la rivoluzione; giacché i radicali sono quelli che punto vogliono la Monarchia, e quando si vedono dei colonnelli dello esercito con la loro uniforme far parte di siffatte dimostrazioni anti-monarchiche vuol dire che l'armata è già corrotta, poiché quei colonnelli non si sarebbero messi a sfidare il massimo rigore della militare disciplina unendosi pubblicamente ai nemici della Monarchia, se non fossero stati certi del fatto proprio.

Ecco dunque l'opera creata dalla rivoluzione per lo mezzo del voto dei 191 prossima a cadere, e la povera Spagna gettata novellamente negli orrori di una guerra civile. Che in tutto questo agitamento vi debba essere qualche mano straniera, sciocco chi non lo crede. Poiché le potenze se anno riconosciuto l'avvenimento al trono del Principe di Savoja, è stato puramente e semplicemente per il fatto esistente, senza impegnarsi per l'avvenire, in guisaché in Ispagna furono riconosciuti i fatti compiuti, laonde per la diplomazia il nuovo Re di Spagna lo è di fatto e non di dritto. Laonde devesi ritenere che l'oro di alcune potenze dà i suoi frutti nella Spagna, come forse i segreti maneggi della diplomazia straniera incoraggiano ed aiutano alla riscossa. Ovunque la rivoluzione à detronizzato il dritto, la diplomazia lavora per iscalzare la rivoluzione, sia anche che questa si mascheri. L'Europa devesi rassettare, tranquillare, pacificare. Ciò è impossibile se non si rovescino le opere della rivoluzione La Spagna quindi passerà con una rivoluzione alla repubblica, e questa sarà il ponte su cui passerà la Monarchia...

LO TROVATORE.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, è cunto, che né pane, né pasta se ponno magnà cchiù?; D. Crisc. Perché?

Ann. Dicite pure pecche? Comme quanno magnate non sentite che puzzano de muffa che te fanno avotà lo stommaco?

Caf. E che facessero avotà lo stommaco sarria niente, quanto fanno male a la salute ch'è lo ppeggio...

D. Crisc. Io veramente tutto questo non l'ho osservato.

Ann. E buje comme lo potite osservà!... pare che buje autre llustrisseme avite da magnà la rrobba de meza lira a lo ruotolo, che non è manco comme a cchella de cinco rana de na vota? li llustrisseme patrune nuoste teneno lo pizzo e la vorza buone, e li scelle e la noce de lo cuollo rotte...

Trov. Ma è na vera camorra co sti venneture, e lo popolo non sulo à da essere tosato da chille de coppa, quanto pò s'à da vede fà lo contrapilo da quatto abbrieje che stanno facenno li galle... D. Criscè, e se no Munecipio non bada a chesta parte assenziale de ll'obbreco sujo, mme sapite a dicere a che à da penzà?

Di Crisc. Convengo con voi, ma un Municipio non può badare a tanta cose...

Caf. Ma pò penzà raperò de jettà li denare comme a pazze, comme pe no dicere mo ll'autro juorno m'à ditto n'amico mio che lo Consiglio à votato de pressa lo riordinamento de lo Ilario de lo Munecipio, addò nce vò no melione e miezo de lire pe fa chesto... che, D. Criscè che ve ne pare?

Ann. E pò diceno sti strafalarie che non teneno denare e asseccano lo spirito a li puopole... Vedite se non nce vò pe fforza no Masto Giorgio, pe fà veni lo cereviello a sti pazze scappate da li Spitale... lo popolo àve abbesuogno de case, de fatica, de pane, li genere che stanno saglienno de juorno ghiuorno e non è benuto ancora lo vierno, e ntanto che penzano li Mulececate neh? a fà lo Ilario de lo Mulecipio cchiù bello... che le pozzano fà na vota pe sempe lo tavuto.

Caf. Ma chiste Conzigliere songo quase tutte de chille russe e che promettevano de fà cose grosse...

Trov. Si Luì, o russe, o verde, o pavanozze songo tutte de na pasta, veneno tutte da n'origene, songo tutte de na manera, e quanno s'appiccicano vuje v'avite da mettere a ridere, pecché chillo è l'appicceco de le ffemmenelle che mo se pigliano a pettenessate, e doppo fanno pace, songo li latre de Pisa che arrobbano nsoleto la notte, e non spartono suoccio lo juorno capite?

D. Crisc. Si Tore, siete in errore, basta io me ne vado perché ho da fare, ne parleremo.

Ann. Avarrate lo cacciamole che v'aspetta?

Caf. Ah, Napole neh, e che t'è soccieso!

Trov. Figliti non ve pigliate pena pecchesto, pecché se sapissevo che chioppeta pò veni, e che piatto sta astipato da Domeneddio pe cierte tale e quale, vuje morarrisseve de la paura. Fede addonca e fede assaje. Santa notte.

ANNO VI N. ° 130 Giovedì 2 Novembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

MENTITE SEMPRE!

Per finir di confondere le vane diatribe di quel gran baccalare, ch'è la Libertà, la quale più volte vantò nelle sue colonne, che nove tra i Professori universitari, intimati testé al giuramento avevano dimandato schiarimenti sulla formola; quando invece non fecero altro, che protestare sotto forma di alcuni quesiti contro un atto illegale, ed arbitrario, che conculcava i loro diritti, ci siamo adoperati colla più insistente energia per avere in mano il documento, che vi si riferiva.

Fortunatamente i nostri sforzi non solo furono coronati di successo. ma l'evento ha superato l'espettazione. In questo momento ci vien fatto di possedere da fonte la più genuina ed autentica, non solo il preteso foglio degli schiarimenti, ma tutto insieme, ché si svolse in questa incidente e malaugurata questione.

È una serie di quattro documenti d'un interesse attuare gravissimo, ché avrà anche una coda lunga e clamorosa; e soprattutto, d'una importanza  estrema per la Storia, alla quale assistiamo: 1. La Circolare d'intimo al giuramento. 2. La pretesta-quesiti dei NOVE PROFESSORI: 3. La risposta Rettorale: 4. La replica finale dei professori.

Li pubblichiamo subito nella loro integrità, affinché ogni persona discreta e di buona fede giudichi in qual modo il governo con questo operato possa sfuggire alla taccia non solo d'incostituzionale, e legifrago, ma di mendace, arbitrario, dispotico, e violento, peggio che l'adunca scimitarra dei Turchi. Ecco intanto i documenti.

1.

Circolare ai signori Professori

per la prestazione del giuramento politico.

A dì 30 settembre 1871.

S. E. il sig. Ministro della pubblica Istruzione allo scopo di far cessare una delle tolleranze transitorie per questa R. Università, qual è stata fin qui la mancanza del giuramento di fedeltà al Re ed alle leggi del Regno, con sua nota dei 26 settembre corrente N. 572 ha disposto, che tutti i signori Professori, ed impiegati appartenenti a questa Università debbano innanzi il sottoscritto prestare il giuramento, a cui in forza della legge del 23 marzo 1853 e dell'art. 30 del Regolamento approvato con R. Decreto 23 ottobre 1853 N. 1611 sono obbligati tutti gl'impiegati dello Stato.

A tal fine è invitata la S. V. Illma di favorire in questa Sala Rettorale nel giorno di Giovedì 5 Ottobre alle ore 10 antim.

Affinché poi Ella abbia piena conoscenza dell'atto che deve compiere, si crede opportuno trascriverne la formola.

Io.... giuro di essere fedele a S. Maestà il Re, ed ai suoi reali successori, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, e di esercitare le mie funzioni di..... col solo scopo del bene inseperabile del Re e della patria.

Il Rettore C. Dot. Carlucci.

II.

Quesiti-protesta dei nove Professori.

Illmo ed Eccmo Sig. Rettore

In seguito del foglio trasmesso dalla Signoria V. Illma N. 2464 i sottoscritti Professori titolari della Università Romana domandano che vengano loro chiariti i seguenti punti.

1. Com'è che si prescriva ad essi la prestazione del giuramento in forza della legge 23 marzo 1853, e del Regolamento approvato con Regio Decreto 23 ottobre 1853 N. 1611 mentre, né l'una, né l'altro sono stati pubblicati nella provincia romana?

2. Com'è che, disponendo il citato Articolo 30 del Regolamento 23 Ottobre 1808 — gl'impiegati dovranno prestare il giòramento, secondo le norme fissate dai Regolamenti in vigore —; e non essendovi nei vigenti Regolamenti Universitari alcuna disposizione in proposito, tuttavia sj vogliono assoggettati i Professori della Università romana alla prestazione del giuramento?

3; Com'è che, soggiungendo il citato Articolo 30—il giuramento avrà SOLO luogo in occasione della prima loro nomina ad impiego stipendiato —s'ingiunga la prestazione del giuramento ai detti Professori, i quali oltre ad essere in possesso del loro officio da molti anni, han purè, continuato ad esercitarlo sotto l'attuale Governo per tutto l'anno decorso ad espresso invito della S. V. Illma?

Roma 5 Ottobre 1871.

Azzarelli Mattia — Dionisi Olimpiade — Massi Francesco — Natalucci Vincenzo — Pellegrini Valentino—Ruggieri Odoardo — Scapaticci Paolo—Tangioni Gaetano— Visconti Pietro-Ercole.

III.

Risposta rettorale al documento preallegato.

A dì 20 Ottobre 1871.

Sollecitato da S. E. Sig. Ministro della pubblici istruzione a sottoporgli il risultato definitivo di fedeltà al Re e di obbedienza alle leggi del Regno, deferito a tutti i signori Professori ed addetti a questa. Università, come dalla mia lettera dei 30 Settembre N. 2464 alà S. V. diretta, credetti opportuno di enunciargli i quesiti da lei sottoscritti e fattimi avere con suo foglio dei 5 cadente mese. Il signor Ministro mi dichiarò che egli era nel dovere di fare osservare una legge, che, essendo essenziale ed organica del Regno, venne indistintamente applicata a tutti gl'impiegati governativi, senza che facesse bisogno una materiale ed effetti va pubblicazione; e ché dirimpetto ad un invito Officiale del giuramento, l'atto non fosse discutibile, ma o lo si dovesse nettamente e liberamente compiere, o ricusare.

Quindi prego la S. V. a dare una ferma e sollecita risposta alla sorraccitata mia lettera d'invito, altrimenti dovrò ritenere ch'ella si ricusi prestare il richiesto giuramento.

Il rettore — C. Dott. Carlucci.

IV.

Replica e conclusione finale dei signori Professori.

Illmo ed Eccmo Sig. Rettore

Nella risposta N. 2515 data il 20 dell'Ottobre corrente al nostro foglio del 5 del mese stesso, ove credevamo di trovare la dichiarazione dei punti da noi proposti, quanto alla legalità del giuramento richiestoci, come a'  Professori dell'Università romana, abbiamo letto invece affermarsi in nome di S. E. il Sig. Ministro dell'Istruzione pubblica — CHE DIRIMPETTO AD UN INVITO OFFICIALE DEL GIURAMENTO L'ATTO NON FOSSE PIÙ' DISCUTIBILE. —

Ridotta dalla stessa S. V. Illma la cosa entro questi termini, non ci resta che protestare contro la illegalità dell'imposto giuramento, e contro la violazione dei nostri diritti acquisiti, che ci riserviamo di sostenere con ogni mezzo di legge.

RICUSIAMO ADUNQUE IL GIURAMENTO, COME ILLEGALMENTE IMPOSTO, COME LESIVO DEI SACRI DOVERI DELLA NOSTRA COSCIENZA, DISCONVENIENTE AL NOSTRO ONORE, E CONTRARIO ALLA LIBERTÀ DELL'INSEGNAMENTO.

Li 22 Ottobre 1871.

Azzarelli Mattia — Dionisi Olimpiade — Massi Francesco — Natalucci Vincenzo—Scapaticci Paolo—Tangioni Gaetano — Visconti Pietro-Ercole.

N. B. I Professori Pellegrini Valentino, e Ruggieri Odoardo, essendo assenti da Roma, hanno con lettera dichiarato al Rettore di uniformarsi alla risposta data dai loro Colleghi.

Il giorno 29 corr. alle ore 11 3(4 ant. conseguirono l'onore di essere ricevuti in udienza della SANTITÀ DI N. S. PAPA PIO IX i Professori della Romana Università, i quali ricusarono testé il giuramento arbitrariamente imposto dal Ministro Correnti, unitamente a quelli che per la loro avversione agli usurpatori, erano stati brutalmente rimossi dalle loro cattedre fin dal principio della invasione delle truppe sarde. A questi si aggiungevano alcuni custodi dei gabinetti; non che gl'Impiegati amministrativi della stessa Università, i quali destituiti fin dal passato Febbraio per la medesima cagione del ricusato giuramento, erano stati già anche altra volta fatti degni di umiliare al trono del loro adorato Padre, e Sovrano Pontefice l'omaggio della loro devozione vivissima, e della fede immutabile. Sebbene parecchi tra i dotti Professori di quella schiera si trovassero assenti per legittima causa, i presenti formavano tuttavia un bello e nobile gruppo, che rappresentavano più che degnamente l'onore, l'indipendenza, la chiarezza del. sapere, e l'ossequio incrollabile della Università Romana della Sapienza verso la Chiesa, e l'Augusto suo Capo. (La Palestra di Roma)

ANNO VI N. ° 131 Sabato 4 Novembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

I PROFESSORI DELL'UNIVERSITÀ ROMANA

E IL GIURAMENTO LORO IMPOSTO

Nel N.° 130 del nostro giornale abbiamo riportati, riproducendoli dallo egregio periodico la Palestra di Roma, i documenti relativi al fatto del giuramento politico dei Professori dell'Università Romana: ora ci corre l'obbligo come giornalisti Cattolici di alzare anche la nostra voce di sdegno contro un atto onninamente vessatorio e tirannico, ispirato solo da odio di parte, e per quanto birbo altrettanto impolitico e sciocco, contro cui non vi sarebbero parole abbastanza per condannarlo.

Il Ministro Correnti dunque à imposto ai Professori dell'Università Romana un giuramento inopportuno, inutile, in contraddizione con la legge del 23 marzo 1853, e del Regolamento approvato con Regio Decreto del 23 ottobre 1853. Giustamente quindi gli egregi Professori àn fatto nei loro tre quesiti proposti al Rettore dell'Università di Roma rimarcare quella contraddizione flagrante, poiché la legge del 23 marzo, trattando del giuramento che prestar debbono gl'impiegati, dice chiaramente e senza addentellato di elastiche interpetrazioni che il detto giuramento esser deve secondo le norme fissate dai Regolamenti in vigore. Ora nei Regolamenti in vigore Universitari non essendovi alcuna disposizione per il giuramento, i professori dell'Università non vi possono essere astretti con una Ministeriale che viola i Regolamenti summentovati. Dippiii, prescrivendo l'Art. 30 il giuramento solo per gl'impiegati di prima nomina od impiego stipendiato, ne viene per ragione che i detti professori essendo degli antichi impiegati, non possono, non debbono, né si può loro imporre di prestare il giuramento, senza che non venga abrogato l'Art. 30 del Regolamento.

Questo ragionamento serrato non è andato a versi del signor Ministro, poiché il forte dei governanti d'Italia non è la sana logica, che non mai ànno avuto, né potranno avere, per essere tutto affatto rivoluzionari, laonde l'eccellentissimo Correnti tronca alla mussulmana la questione, e fingendo operare in favore ed ai sensi di quella legge dichiara che allo invito ufficiale fatto ai Professori a prestare il giuramento di fedeltà, l'atto non era più discutibile, ciò che significa, qualunque si fossero le ragioni in contrario, quando io Ministro vi ò fatto intimare formale invito di dover giurare, o lo fate, o ricusate. I decreti ed i voleri dei Ministri del regno d'Italia non si discutono, sia anche che fossero in controsenso, anzi all'opposto delle leggi. Il Ministro Correnti dunque dice ai Professori dell'Università romana, io son superiore alla legge. Così voglio, così comando... Lettori, non vi sembra questo un linguaggio ed un fare da Autocrata anzicché da Ministro costituzionale di un regno che si a l'impudenza dire dai pervenuti della rivoluzione moralizzato e Civile, in dove la libertà regna, la giustizia libra indipendente ed uniforme per tutti la sua bilancia, ed i dritti dei Cittadini sono sacri? Però lasciando all'ottimo giornale la Palestra riveder per bene e Con sodi argomenti le bucce al signor Ministro, ci piace far solamente le seguenti riflessioni... Essendo che il giuramento è un atto morale che lega indissolubilmente il giurante a quel tale speciale obbligo, esso non può essere coatto, ma tutto spontaneo, e deliberato. Ora volendo il signor Ministro esigere il giuramento dai Professori dell'Università romana, sotto la comminatoria della perdita dello impiego, ne viene che il Ministro usando illegalmente ed immoralmente di un potere che non à, intende coartare la volontà dei Professori, e quindi o averne un diniego e cacciarli dalle cattedre, o estorquerne uno spergiuro, dappoiché un giuramento fatto senza la libera spontaneità del giurante non è che un mendacio, ed in questo caso uno spergiuro... Però questo non cale al signor Ministro, essendoché se dall'Italia oggi si mandasser via gli spergiuri la rivoluzione sarebbe bella e spacciata... Dippiù, il giuramento dai riformatori d'Italia, fu sempre detto un atto tirannico con cui ponevasi dai cessati governi l'impiegato nella dura condizione, o di divenir schiavo della volontà altrui rinnegando la propria, o divenir fellone e reo di spergiuro. E non mancarono i detrattori dei cessati governi farsi di ciò un'arma contro di quelli, e perciò stesso chiamarli barbari e tiranni. E perché? Perché quei governi richiedevano il giuramento non per essi, ma per l'inviolabilità delle leggi, non per essi, ma per l'amministrazione della giustizia, non per essi, ma per il benessere dello interesse del paese. Il giuramento, quindi era dato dal Magistrato perché incorrotto si serbasse, dal soldato perché fedelmente servisse, dallo Impiegato in alcuni speciali impieghi, perché ai propri doveri attendesse in servigio del paese che lo pagava.

Questo fu detto tirannide, e nel 1860 vedemmo da una mano di seduttori, usare ogni arte per corrompere Magistrati, soldati, ed impiegati mercé l'astuzia, l'inganno, la minaccia, e l'oro... E quei tristi che osaron spergiurare detti furono patrioti, onorevoli, civili, benemeriti della patria... Quasiché colui che osa vendere la propria coscienza al primo arrivato, che allo splendor dell'oro dimentica una solenne promessa fatta a Dio ed agli uomini, che vile, al suono di una minaccia tradisce la propria dignità, sia degno di lode e d'imitazione...

Noi diciamo di no. Dappoiché quegli che è legato da un giuramento personale; ammenocché non ne venisse sciolto da Colui medesimo verso cui à giurato, mancando alla sua fede per qualsisia ragione, diviene uno spergiuro, e come tale si segrega da per sé stesso dal consorzio degli onesti e dei probi.

Ciò premesso, domandiamo al signor Ministro Correnti nelle cariche, negli impieghi vi debbono essere uomini disonesti e spergiuri, o sivvero individui onorati e leali? Nel primo caso, noi troviamo benfatto l'operato del signor Ministro, e pare che così debba essere, poiché oggi per ottener lode, distinzioni, e merito, fa mestieri di una elasticissima coscienza, e di una buona dose di simulazione, birboneria, e piacenteria partigianesca; ma nel secondo caso, cioè se le cariche e gl'impieghi debbono essere occupati dagli onorati e leali, noi biasimiamo sotto ogni riguardo la condotta mussulmana e l'uhase del Ministro Correnti, poiché chi una volta à giurato non può venir meno alla data fede, e alla coscienza niuno può imporsi, giacche libera essa è da qualsivoglia dominio in ciò che concerne certi atti a cui essa ripugna giustamente. Quindi il signor Ministro in questo vituperevole affare del giuramento politico dei professori dell'Università romana à dato pruova di un violento spirito di parte, à mostrato una volta di più come oggi in Italia non vi è che la rivoluzione che governi, la quale insegna ai Ministri ad essere superiori alle leggi, e come anche dopo undici anni non siasi smesso l'iniquo ed impolitico sistema di menar la falce a danno dei buoni, per far posto ai paltonieri ed ai tristi, che dai chiassuoli vanno su a coprir cariche ed impieghi con grave scandalo del popolo, detrimento della cosa pubblica, e disdoro del governo che poscia è costretto a mezzi di rigore per tenere alto il suo prestigio. Un governo che in una Università la quale è il semenzajo donde uscir deve il Magistrato, il Cultore elle scienze, il commerciante, il soldato, il cittadino onesto, referisce tenere ad insegnanti dei traditori, dei partigiani, e pergiuri, mandando via i buoni, i dotti, gli esperimentati degli Maestri, mercé il tranello di un giuramento non voluto, e né richiesto dalle leggi, esso è un governo che si suicida... Noi facendo plauso ai nove professori dell'Università romana, compiangiamo questo povero paese caduto ormai si basso, da vedere siffatti atti di dispotismo, il riscontro dei quali non si si può rintracciare che nella storia Medioevale dei tirannelli d'Italia...

LO TROVATORE

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, vorria fà n'addimmanna a lo Sinnaco e consigliere, e le vorria dì se la cetà de Napole consiste sulo nfra le bie de Toleto, Chiaja e quacche autra, o simbè le migliara de viche che nce stanno fanno parte de chesta cità.

D. Crisc. Sarebbe una domanda curiosa.

Trov. Curiosa è vero non pe me, ma pe lloro, pecché io nce tengo la ragione, essenno che lo Munecipio non penzà affatto a fà quacche cosa pe chille viche che songo certo na vera semmenta de fetenzia...

Ann. Che pozzate essere beneditto, Si Tò, ve lo ddico io chesto, io non saccio comme le ppovere gente nce ponno sta mmiezo a cchella sporchizia...

Caf. E che nce mporta a li signure de lo Munecipio chisto chiajeto, pare che nce ànno da stà lloro?

D. Crisc Non dite così, ma per accomodare tutti i vicoli di Napoli vi bisognano denari assai, e come si fa?

Trov. Mmece de jettà denare a là cose nnutele, ad abbellì tanta chiazze che stanno bone comme se trovano, a fa fà progette pe fà arrocchi ngegniere e speculature, se potarria fà quacche cosa de utele e necessario pe li viche, pecché chille che nce stanno de casa songo pure citatine che pavano tasse ncoppa»a tasse, capite?

Ann. Gnernò, dicite malamente, Si Tò, pe li Mulececate li citatine songo chille sule che teneno carrozza e cavalle, lo riesto songo prebaglia, la quale à da essere trattata peggio de li cane, e chesta è la fratellanza, l'auguaglianza e la malapasca che se li batte dinto a le cciaverelle che teneno.. Sentite non ce poteva essere no castico peggio de chisto... Se fosse fatta na cosa sola de buono, se penzasse sulo na vota ll'anno pe fà quacche cosa de buono pe lo popolo... Sti strafalarie tanno s'arricordano de lo popolo vascio quanno l'anno da scortecà...

D. Crisc. Ecco le solite invettive e menzogne, tutto si vorrebbe fare, ma non tutto si può fare...

Caf. Ma se non se pò fà tutto se potarria fà quacche cosa a lo mmeno, non già che non s'à da fà niente... Armeno ll'autre Munecipie che nce sò state ànno fatto quacche cosa ma chisto ch'à fatto?

D. Crisc. Questo è un Consiglio di gente onesta e veramente dabbene.

Ann. Uh che ve pozza veni dolure ncuorpo, e avite lo coraggio de dicere cheste boscie? Neh, D. Criscè, e addò avite visto che sto Munecipio à fatto quacche cosa de buono? Quanno maje nuje simmo state nnabbessate comme a mo?

Trov. E chesto sanno fà li russe, zbè chille che se diceno reprubbecane... Ma mpero ànno fatto na cosa, ed è chella de levà lo nzegnamiento religiuso da le scole, ve pare poco chesto?

Ann. Comme comme, neh Si Tò?

Trov. Ntra le scole e li Collegge mo non se nsegna cchiù la dottrina Cristiana, anze non se parla cchiù de religione, pecché diceno che è nnutele.

D. Crisc. Sì, ma ogni padre di famiglia è padrone di farla insegnare ai suoi figli s'è vuole...

Trov. D. Criscè, mo è notte, ne parlarrammo la vota che bene de tutto chesto.

Ann. Ah, nfamune lassa fà, lloro se la pigliano co Dio, e Dio l'à da spezza li passe... e chesta è la libertà che?...

Caf. Non avimmo che bedè cchiù...

Trov. Simmo arrivate co le spalle a lo muro. Santa notte

ANNO VI N. ° 132 Martedì 7 Novembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Ann. Si Tò, avimmo passato propio ll'urdemo guajo, io I non saccio addò avimmo da arrevà; mo a li tante lotane non ce manca che no poco de carestia, e pò s'è fatto lo fatto.

Trov. N'avite ragione, ma che nce potite fà?

Caf. Eh, Si Tore mio, vuie dicite buono, ma la famma caccia lo lupo da lo vuosco, sapite?

D. Crisc. Che cosa è, si parla di fame stasera?

Ann. Se parla de spate ncuorpo a tutte li birbante, li quale nce vonno pure fà allampà de la famme.

D. Crisc. E come?

Caf. D. Criscè, vuje non state ncoppa a sta terra? Non magnate, e non Dedite lo sciore e lo ppane a che prezze so arrivate?

D. Crisc Questo dipende dagli speculatori. Trov. È ghiusto, contro a la ngordigia de sti speculature lo governo avarria da penzà a mettere no riparo...

Ann. Sperammo che nce lo mettessero buono. ncoppa a lo Spitale de ll'Incurabele.

D. Crisc Ma che cosa vorreste che il governo facesse?

Trov. Chello che pò e sape fà no patre de famiglia che bò bene a li figlie suoje...

D. Crisc. Io non capisco.

Caf. Pecché non bolite capì...

Trov. Neh, D. Criscè, ve pare che fosse regolare che mentre ccà le ffarine saglieno juorno pe ghiuorno; da le Puglie se mbarcano da 20 a 30 milia quintale de grano a lo mese pe fora, mentre la raccoveta è stata scarza pe tutte le pparte?;

D. Crisc. Ma non si può impedire la libertà di commercio.

Ann. E pe fa fà lo nteresse lloro a poche sbriognate se pò lassà morì de famme no popolo?

D. Crisc. Come vorreste fare dunque ?

Caf. Sentite, D. Criscè, io pò se parlo non ssaccio se ve fà piacere, ma sulo ve voglio di che na vota quanno appena lo sciore arrevava a 24 carrine, s'arrevava a menà le ppalate de pane dinto a la carrozza de lo stesso Re, e lo Re là pe llà faceva veni tanto grano da fora, faceva apri le ppoteche de pane de la Giunta, a 4 rana lo ruotolo, e la carestia ferneva nnitto nfatto... Ma mo?

Ann. Mo tenimmo la libertà, e perzò cheste tirannie non se fanno cchiù... Oh, Masto Giorgio, neh addò staje!

D. Crisc. Quel governo perché sapeva di non essere amato, temeva, e perciò faceva tutte quelle cose.,.

Trov. Bravo D. Criscenzo, mo avite ditto na cosa che non ve pozzo risponnere cchiù, pecché se pigliarria collera n'amico, lo quale m' àve bastantamente fatto cierte carizze che i ogge 0 dimane me farranno mpignà la sporta co tutta la I lanternella... ma pe tutta resposta ve manno a cammenà mmiezo a le bie, a trasì dinto a le ccase de lo popolo, a gira pe li paise, a ghì no poco ncoppa S. Giacomo, e ncoppa a l'afflcie de le ttasse, pe senti cierte diasille che ve farriano fà no pizzeco...

D. Crisc. Sono ciarle... Addio.

Ann. E già pecché co lo ciuccio nce vò la mazza le pparole stanno a nniente... ma Dio non se ne stà, e na vota s'à da movere a pietà.

Caf. E cchesta è ll'uneca speranza nosta.

Trov. E non dubetate che lo Signore azzettarrà le prijere noste, prejammo perzò. Santa notte.

ANNO VI N. ° 133 Giovedì 9 Novembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Caf. Si Tò, le ccose se songo addormute, e me diceva n'amicò dint'a la recchia che pe mo potimmo penzà a autro„ pecché lo coppaviento è sempe de ll'amice, e avisa quanno sarrà che potarrammo asci da sta mazziata.

Trovi. Ah... ab... ah... Si Luì, vuje mme facite ridere senza voglia stasera...

Ann Pecché, neh Si Tò; non fosse vero chesto? Nuja stammo vedenno che da unnece anne se dice sempe na cosa» e ntanto nce ne jammo a craje a craje comme a la cornacchia.

Trov. Bravo, vuje sapite fà la cafettera? embè non sapite fà autro, né ve potite ntennere de certe ccose che non potite capì, me scusate...

Ann Va buono comme dicite vuje, ma lo fatto è chisto.

D'. Crisc. Bravo la Sia Annarella, io ho inteso da fuori il vostro ragionamento ed ho capito che a poco alla volta si va smettendo quel tale spirito di parte che tiene ottenebrate le menti, e si va comprendendo la verità...

Ann. Vuje sbagliate tunno de palla, D. Criscè, se credita che Annarella se potesse avotà comme a na banneriola de cemmenera... io me spezzo ma non me chiejo, e sulo aggio parlato de chella manera, pecché tengo lo stommaco chino, e non me fido de vede tanta lavapiatte che fanno li Don Fichessuace ncoppa a le spalle noste, capite?

D. Crisc. Tutto questo può essere vero, ancora che vi siete sfiduciati...

Caf. Li scieme se sfiduciano, nuje nce simmo seccate, ma non ce perdimmo né de fede, né de coraggio pecché sapimmo che nce sta no Dio da coppa che vede tutto e sape tutto, e quanno Isso vò, co na votata d'uocchio fà rociolià lo munno.

Trov. Chisto è lo pparlà da Cattoleco, parlanno pò da uommene, comme nce potimmo sfiducia quanno vedimmo che li stesse nemmice nuoste se stanno scavanno la fossa co le mmane lloro?

D. Crisc. Spiegatevi, io non vi comprendo.

Trov. Pe me spiecà io, avarria da te né li protetture comme li tteneno li liberale, pecché tanno ve faciarria abbedè comme quatto e quatto fanno otto che la rivoluzione se trova comme a purpo dinto a no pignato che se coce co ll'acqua soja stessa...

Ann. Ed è no purpo tuosto, perzò nce vò fuoco assaje pe lo fà cocere... Signò, dà forza a chille che sciosciano sotto a sta pignato.

D. Crisc. Caro Si Tore, come sbagliate! Voi siete un uomo vecchio e quindi di esperienza, e non avete capito che oggi la libertà à gettate sì profonde radici, che tutti gli sforzi dei suoi nemici non potranno sradicarla... meglio sarebbe per voi, e più utile, il persuadervene...

Trov. La libertà secunno la justizia è radecata cchiù forte de chello che penza se vuje, pecché l'à chiantata Dio ncoppa a la terra, ma la libertà vosta, zoè chello de lo peccato e. de la contrajustizia è comme a no fungio che nato doppo na chioppeta, s è seccato appena fà no poco de bontiempo,

Ora mo sto bontiempo a da veni, e l'avarrammo. se Dio vò, tanno pò me saparrate a dicere che ne sarrà de sta libertà vosta...

Caf. Ma quanno vene sto bontiempo...

Trov. È prossemo, pecché quanno vuje vedite no temporale furiuso, tanno avite da dicere lo bontiempo è bicino...

Ann. Già, avite ragione, l'acqua picciosella è chella che spogna e non fernesce maje... Onne?...

Trov. Onne, se sapisseve che se stà preparanno, che sa sta facenno da li Rri... Oh, poverielle a cchille che teneno cunte da fà...

Ann. Ne è la speranza che bedarraggio quacche D. Liccardo a S. Gennaro de li Povere?

Caf. Se avarranno lo tiempo e la grazia de nce jì...

L. Crisc. Questi son sogni, cari miei, persuadetevi e mettete giudizio. Addio.

Trov. Nò, songo fatte, e se avarrammo vita, li bedarrammo... tanno pò ve diciarrammo nuje a buje, neh chi era lo busciardo? Santanotte

Ann. Pozzano essere d'Angelo le pparole voste! Non ce fidammo cchiù.

ANNO VI N. ° 134 Giovedì 9 Novembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trovi. D. Criscè, pare che lo Munecipio avesse perzo la capo, ma che simmo arrivate veramente a la fine de lo mutino.

D. Crisc. Perché, cose à fatto il Municipio?

Trov. Comme che a fatto? Ha ordinato che dinto a le scole prubbeche munecepale non se mparasse cchiù né la Dottrina Cristiana né la Scrittura Sacra...

Ann. Comme, Si Tò, dinto a le scole de lo Munecipio non se mpara cchiù la dottrina Cristiana.

Trov. Nonzignore...

Caf. Ma chesta è na scellaraggene...

D. Crisc. Anzi è un omaggio alla libertà, un bene per tutti...

Ann. È lo cancaro che v'afferra a buje e a lloro... Che fosse accisa sta brutta fattucchiara de libertà vosta... Statte a bedè che mo pe essa li figlie nuoste anno da crescere comme a tanta animale... Dicevano buono cierte perzone vecchie, che sti scole Munecepale sarriano state l'arroina de li figlie nuoste!

D. Crisc. Ecco cosa fa l'ignoranza ed il bigottismo! Si maledicono le scuole municipali, ove senza spendere un soldo si ànno educati i figli, che invece di stare in mezzo alle strade, là s'insegnano a leggere, scrivere, e divenire uomini.

Caf. Gnernò, a beni birbante e assassine, pecche quanno vuje a no guaglione non le mparate la dottrina Crestiana, e lo portate a confessà, chisto che riuscita ve pò fà Povere patre, povere mmamme, povere a nnuje...

Trov. Nzomma, s'ànno puosto ncapo che nce ànno d'arroinà d'ogne manera...

D. Crisc. Ma questo è un errore. Poiché il Municipio per dare a tutti la libertà di educarsi in quella religione che vogliono, à detto leviamo dalle scuole l'insegnamento religioso obbligatorio, mettendo due scuole affinché una volta la settimana quei padri che vogliono mandarvi i figli, colà li potranno educare in quella credenza che meglio loro piace, e così è un bene per tutti... Chi vuol essere cattolico lo sarà, chi no, no.

Trov. Chesto è no ppenzà lo cchiù birbante che nce pò essere, pecche vuje mettennomo vicino guagliune che se mparano la dottrina, e guagliune che li coffejano pe chesto, ne succede che chille addeventano cchiù birbante de chiste, pecché lo malo esempio è na brutta cosa... E pò no guaglione che se vede disprezzato e maltrattato da li compagne, e fosse da li maestre pecche è cattoleco, fernesce o che se n'à da ì da la scola, o che a poco a ppoco addeventa birbante pure isso... e ntanto no povero patre, na povera mamma stanno sicure d'avè li figlie educate, e mmece ànno tanta chiappe de galera... Che ve pare, D. Criscè, è buono chesto, è aonesto, è commeniente?

D. Crisc. Secondo voi no. Ma secondo pensano gli uomini liberi sì.

Ann. St'uommene libere vuoste ànno da essere tanta sforcate, tanta sbriognate, e che le piaceno li vizie e le cciavarelle... Fanno tutto chesto pecché nce vonno arrobbà li figlie nuoste, nce li bonno ntossecà, pecché de sta manera se credono che accossì venarrà no juorno e li figlie nuoste pigliarranno a mazzate primma a nuje e pò a li prievete... Ma, guè D. Criscè, povero a chi fa male... pecché se arriva a beni sto juorno, arrassosia, vuje ve potite fà na casa a la fine de lo munno, pecché chi non crede a Dio, non se confessa, n'arraspetta li prievete e a lo patre' é a la mamma, se ne ride di tutte li potiente, e quanno le tocca a fà, fà contro a tutte... Volite stà frische, volite stà...

D. Crisc. Son ciarle queste, perciò vi sono le leggi..,

Caf. Nce stanno le legge? Ma quale legge, le boste? E che songo appietto a la dottrina Cristiana?

D. Crisc, Ah... ah... ah... mi fate ridere. Volete paragonare la dottrina che insegnano i preti alle leggi nostre?

Trov. È troppo giusto, non se pò fà lo paravone. pecché la dottrina che mparano li prievete ve dice che la buscia è peccato, che la rrobba de ll'autre non se tocca, che l'autoretà se respettano che lo patre e la mamma rappresentano la primma autoretà ncoppa a la terra, e perzò li figlie l'ànno da respettà e ubbedì, che li giù vane ànno da essere faticature, e fui l'ozio, le fflgliole aoneste e stà dinto a la casa, che lo Papa rappresenta Giesù Cristo nterra, che non s'à da jastemmà, non s à da calunnia, non s'à da essere fauzo e tradetore... Ma le legge de la setta che nzegnano? Vuje lo ssapite...

D. Crisc. Insegnano lo stesso, meno le ciarle dei preti.

Ann. Vuje tutte quante quanta site, avite da desiderà e chiammà ad auta voce no prevete no juorno, ma non lo potarrate ave... Nuje pe mo nce arregolammo co lo sentemiento e la coscienzia nosta... Nuje non ntennimmo perdere li figlie nuoste: meglio a essere ciucce che birbante, meglio a non sape leggere, che essere n'addotto senza timore di Dio, lo Mulecipio se le ttenesse pe isso ste scole soje (che pozzano sprofonnà tutte quante, nsarvamiento nuosto) che nuje tenimmo care li figlie nuoste, pecché ce costano dolure e sango, càpite? E mo che saccio chesto lo Loglio dicere a tutte quante.

D. Crisc. Siete ignoranti. Addio.

Caf. E buje site li savie che sapite sulo spoglià le gente.

Trov. Chiste ànno perzo ll'anema e lo cuorpo: povere a lloro. Santa notte.

ANNO VI N. ° 136 Giovedì 16 Novembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CINQUE NUOVE TASSE!

Incredibile, ma vero! Il Ministro delle finanze Quintino Sella à giurato che debbe ridurre gl'italiani a restar loro solo gli occhi per piangere. E Sella non è l'uomo da retrocedere dai suoi piani neroniani, avvegnacché conosce di dover fare con deputati immorali, settari, nemici del pubblico bene, e mercanti del proprio onore e della propria coscienza. Sella à compreso che con siffatta genia di uomini tutto è possibile purché innanzi luridi loro sguardi si faccia luccicare un pugno di marenghi. Quindi prepariamoci a ricevere un altro tratto di corda con cinque nuove tasse che si andranno a proporre dello scortichino Biellese.

Esse sono: 1.° Tassa sull imbottamento; 2.° Soprattassa 1 di 4 centesimi a chilo sul sale; 3.° Tassa sulla coltivazione; dei Tabacchi in Sicilia; 4.° Tassa sul petrolio di 20 cent, a chilo; 6.° Tassa sui fiammiferi.

Si aggiunga ad esse poi, il progetto del Sella per l'abolizione delle pensioni alle vedove ed agii orfani degli impiegati... Dio grande ! E quale storia di nazione di selvaggi può avere fatti di tal natura scellerati da porsi a confronto con' questo progetto del Sella? Dunque non basta al crudele tingitore di pannilani veder l'Italia, già ridente giardino di natura e terra di oro, ridotta un campo di miseria, e Tal; tergo del delitto? Non soddisfano le sue scellerate voglie di j calpestare il proprio simile tutte le concussionarie leggi che; Oggi fanno miserando scempio di questa penisola maledetta | dall'ira del Signore, poiché nuovi tormenti egli rintraccia e; nuovi tormentati vuol fare? Ma sa egli, questo sciagurato Ministro che la pensione delle vedove e degli orfani degli Impiegati non è un favore ed una concessione che loro fa lo stato, ma un interesse annuo che lo Stato paga come debitore di un Capitalo di proprietà di esse vedove ed orfani loro j lasciato dai defunti congiunti impiegati, i quali per lo elasso I di lunghissimi anni, non solo ànno consumata la loro vita ! in servizio dello stato, ma quanto dallo stipendio proprio mensilmente lo stato à fatta una ritenuta, appunto perché diventasse un Capitale fruttifero dopo la morte dell'Impiegato prò della sua vedova e. dei suoi figli? E chi non vede nel progetto del Sella, un furto qualificato e premeditato? Come i può un Ministro costituzionale proporre dei progetti che da cima a fondo sconvolgono gl'interessi del popolo, deturpano ! là fama del governo, distruggono delle leggi basate sulla I iustizia, l'equità ed il dritto delle genti? Sì, davvero, il ritto delle genti. Poiché il ladro che vi assale per spogliar' vi, è reo contro la società, poiché calpesta i dritti di essa I nella proprietà. E Sella fa dippiù. Non solo che ci ruba, ma ' quanto questo suo furto intende elevarlo a legge dello Stato! Si lacerino dunque tutti gli articoli del Codice che condannano il furto, l'estorsione, la grassazione dappoiché se il I progetto del Sella venisse accolto e tramutato in legge, que! gli articoli sarebbero una crudele irrisione, ed i Magistrati non potrebbero avere più la coscienza di mandare alle galere I un ladro, quandoché un Sella resterebbe tranquillo sulla sua sedia di Ministro. Togliere la pensione alle vedove ed agli orfani! È una parola. Ma à compreso e calcolato il Sella tutto il misfatto che in essa si contiene e tutte le terribili conseguenze di cui è feconda? À compreso questo fiero nemico d'Italia il gravisimo male che il suo progetto arrecherebbe allo Stato? Quale impiegato vorreste voi che servisse più con zelo e probità, quando sa di sic vo che malgrado le annose ed onorate sue fatiche il giorno dopo della sua morta la vedova ed i figli sarebbero gettati nello squallore della più ributtante miseria? Quale onesto uomo vorreste voi che accettasse impieghi governativi, quando fosse sicuro che coa essi schiuderebbe dopo la sua morte il sentiero della disperazione, o del disonore alla propria famiglia?E chi potrebbe ormai esser devoto ad un governo che dopo di aversi prese le fatiche di tanti anni sì intellettuali che materiali da un uomo, e ritenuto sul suo stipendio un tanto al mese a titolo di sovvenzione per la vedova e per gli orfani con una sfacciatissima malafede, nega poi a questi la corrisponsione del sussidio? Ma forse l'impiegato nello accettare un impiego dal governo non fa con esso un contratto bilaterale ed aleatorio con cui il governo e l'Impiegato 1 uno verso dell altro si sottomettono ad obblighi reciproci, condizione, e base di quel contratto per cui l'impiegato è nel dovere di servire lo stato, come questo nell'obbligo di alimentare P impiegato, e per esso dopo gli anni di servizio voluti dalla legge, morendo, la sua vedova, i suoi figliuoli? Se un impiegato manca ai propri doveri certo che lo stato avvalendosi del suo dritto acquisito in forza di quel Contratto o patto reciproca, lo punisce, e perché dunque la vedova, e gli orfani di questo impiegato non debbono far valere il loro dritto acquisito anche in forza di quell'istesso contratto contro lo Stato che gli ruba ciò che è di loro netta, assoluta, ed ii contrastabile proprietà, poiché frutto delle fatiche e dei servigi resi allo Stato dal loro marito e padre, e capitale da questi mensilmente lasciato per questo uso, nelle mani dello Stato? Quale rettitudine, quale onestà, quale ragionevolezza, quale veduta di pubblico interesse, e politica può consigliare una simile estorsione che porrebbe lo Stato al livello del truffajuolo, e del bancarottiere? Che concetto si potrebbe avere all'estero di un governo che così vilmente rinnega i suoi impegni e non fa onore alla sua parola,  né rispetta le leggi del paese? Potrebbe più la macchina governativa agire efficacemente, quando gl'impiegati avrebbero la sconfortantissima certezza che un di o l'altro le loro famiglie dovrebbero chiedere l'elemosina? Non sarebbe il progetto del Sella una larga via aperta alla frode, al furto, ed al tradimento? Poiché un impiegato che sa come dopo 20, 30, o 40 anni di suo servizio, morendo lui, la famiglia non avrà come vivere, certo che penserà ai casi propri, e quindi presentandogli il destro di poter frodare, rubare, ed anche tradire col vantaggio del proprio interesse, lo farà, poiché incoraggiato dalla condotta e dallo esempio dello istesso governo. Ma lo stato à bisogno, è necessario farsi delle economie. Sì, guardate gli altri paesi: non vi diciamo, aprite la storia e leggete ciò che fece Re Ferdinando II quando ascese al trono trovando il Regno oberato di debiti, ci potreste chiamare partigiani, sebbene la storia non si distrugge con le vostre ingiurie; ma vi diciamo, guardate gli altri Stati, e fra questi la Francia. Colà anche vi sono state delle modifiche, delle riduzioni negli stipendi, ma sì le une che le altre non anno colpito né le vedove, né gli orfani, e nemmeno gl'impiegati inferiori, sivvero ànno falciato i grossi stipendi', i lauti appannaggi, le vistose indennità, le immorali spese segrete...

Volete le economie? Ebbene cominciate dai ministri, riducete i loro soldi a sole 500 lire al mese, sufficienti perché un uomo viva comodamente, togliete ad essi tanti altri emolumenti ed appannaggi; risparmiate allo erario le spese dei Sibariti che governano, tutti son Cittadini dello istesso paese, e tutti esser debbono uguali in faccia alle leggi. Cancellate tante spese inutili, distruggete tante sinecure, abolite tanti impieghi di meno lusso, speculazione o nepotismo, chiamate alla sbarra della giustizia i dilapidatori, i truffaldini, ladri, che miseri scalzacani nel 1860 son divenuti oggi ricchi signori, e proprietari.

Abrogate le leggi vessatorie, e le facoltà dei Comuni di imporre balzelli, togliete via tante istituzioni oziose c dannose che gravano l'erario, le provincie, ed i Comuni, riformate le leggi erariali, ripartite ugualmente e coscenziosasamente i balzelli, date spinta alle industrie ed al Commercio con creare Istituti di credito, togliete il Monopolio della Banca Sarda detta per insulto Banca Nazionale, riformate da cima a fondo il sistema, cessate di essere rivoluzionari, e di seminare con l'oro del paese la rivolta nella casa degli altri. Siate onesti infine, e voi allora avrete liberato lo Stato dalla certezza di un fallimento vergognoso. Ma lasciate i progetti del Sella, anzi mandate via questo fatale uomo. Deputati Meridionali, è a voi che sono rivolte le nostre parole oggi, guai se vi farete anche rei di questo nuovo misfatto che il Sella cerca di perpetrare... Dio, il popolo, l'Europa Civile, e la storia ve ne cercheranno stretto conto, e le lagrime e le maledizioni di tante derelitte vedove ed affamati orfane, avveleneranno nella bocca dei vostri figli il pane disonorato... tremate!!!...

LO TROVATORE.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. Ebbiva li settarie, annevinate neh, che guapparie sanno fà?

Ann. Chelle de Peppe Nasella, o de pagliaccio che se mette no gliuommero de fettucce mmocca, e po se lo fa asci pelo naso.

Trov. Niente de tutto chesto, se spassano a ghì danno fuoco a le Cchiesie, 'mettenno lo petrolio dinto a ll'acquasantere... Che ve pare non è na guapparia chesta?

Caf. Si Tò, addo è succieso sto fatto?

Trov. A Padova...

Ann. Mamma mia, e l'ànno astutato?

Trov. Pe grazia de Dio, gnorsì... ,

D. Crisc. Ma quella è stata una bricconata di qualche biricchino, il quale forse pagato dai nemici del governo à voluto fare quella birbantata, affinché il popolo s'indignasse contro del governo...

Trov. Lo popolo se la piglia co lo governo, pecché vede che nisciuno de st'assassine che cercano de manna nfuoco tutte cose, è acchiappato e mpiso...

D. Crisc. Oh... oh... come si appicca un uomo?

Ann. Comme, facite scrupolo de mpennere n'assassino de chiste, vuje che non avite fatto maje scrupolo quanno avite ntiso fucilate tanta povere nnociente co li reje?

D. Crisc. Quelli che sono stati fucilati erano briganti...

Ann. E chiste songo galantuommene comme a buje, n'avite ragione... lo lupo non se magna l'auto lupo...

Caf. Io pò vorria sape chi è cchiù brigante, chillo che se mette a lo passo p'arrobbà e pò ave na palla mpietto, o chi se ne va zitto zitto, e dà a ffuoco na casa, na massaria, na Chiesia sacrifecanno uommene, e robba?

D. Crisc. Ma il governo sta attento, e vigila su di questo.

Trov. Non basta la vigelanza, ma nce vò lo rigore... nce vò che quanno se capita no nfame de chiste s'à da mannà all'auto munno... nce vò che lo governo non avarria da permettere certe Ssocietà, certe riunione, certe combriccole che isso sape addò se fanno, chello che diceno, e chello che bonno fà, capite?

D. Crisc. Ma allora non vi sarebbe più libertà...

Ann. Che pozza sehiattà nfiglianza sta libertà co tutto lo peribisso, e lo cancaro che se la roseca... io me fragno ncuorpo quanno la sento annommenà... Nce scortecano co le ttasse, e te stente dicere, nce stà la libertà; nce mannano lo piantone a la casa, e te risponneno avite la libertà; nce venneno Ile rrobbe noste mmiezo a le cchiazze, e te metteno nnante la libertà; simmo arrobbate da li venneture e da li mariuole gruosse e piccerille, e se t'allamiente, te risponneno è libertà; sì portato carcerato pe na calunnia, e nce Vaje a nnomme de la libertà; faje palicco, e staje a muro a muro co lo spitale, e te siente cantà, viva la libertà; mo te danno a ffuoco, e onesto pure lo vo la libertà, e fusse accisa essa, chi la volette, chi la cercaje, e chi la desidera, pecché chesta non è stata maje libertà, ma scoppettata mpietto, rottura de noce de cuollo, zoffunno che nc'àve nnabbessato d'anema e de cuorpo...

D. Crisc. Queste vostre parole se l'avesse dette un uòmo io a quest'ora gli avrei dato il mio guanto di sfida...

Caf. Avisseve avuto da i a la casa pe lo piglià...

Ann. E si no l'avarria dato na pezza che tene a lo pede, pecché mo nce ànno mparato pure li carisseme fratielle che venettero da chillo tale paese che a li piede non se portano cazette, ma na pettola de cammisa arravogliata... Vi che recchezza che nce steva da chelle pparte!... e ce la venettero a pportà justo a nnuje?

Trov. Sentite, D. Criscè, io non dico che la Siè Nnarella avesse ragione, ma manco pò tene tanto tuorto. Essa se poteva spiecà de n'autra manera co no poco cchiù de carma, ma è femmena, e le flemmone quanno se mpestano non teneno pilo a llengua... ma che lo fatto è chillo non lo potite annià...

D. Crisc. Ed anche voi dividete quelle opinioni?

Trov. Io non songo d opinione pe nisciuno, ma mme piace la veretà, e la veretà è chella, pecché è pe sta benedetta libertà che da unnece anne stammo dinto a li guaje...

D. Crisc. Però non ve li à fatti la libertà...

Caf. Sarrà stata la sora consoprina sqja, la buscia... certo che lo sacco è echino, D. Criscè...

D. Crisc. Voi siete ostinati, voi non potete vedere il sole che splende sul vostro capo, perché ne siete indegni... Addio.

Ann. D. Limò, fatelo pagato... Vi comme se nzorfa D. Criscenzo, 11 à avuto ncanna...

Trov. Belle figliù, co li pazze non se pò ragionà; facitele dicere e fà chello che bonno, pecché a la fine de li cunte, lo ppeggio sarrà sempe lo Moro, e lo tiempo non è tanto lontano pe cierte affare nozzoluse. Santa notte.

ANNO VI N. ° 138 Martedì 21 Novembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

IL SEQUESTRO

Molte sono le afflizioni del giusto.

Nei Salmi.

È. curioso il Fisco: ci sequestra, chiamandoci violenti, e jure vel injuria bisogna aver pazienza! I nostri amici ci dicono l'opposto; e pure bisogna rassegnatamente soffrir li. In verità non ci riconosciamo più per questi siamo di un umor pacifico, quando per l'onorevol Fisco ci troviamo agli antipodi. Ma di grazia, in che sta il parlar violento? Un tal rimprovero non l'avremmo mai pensato; se la violenza è una virtù rivoluzionaria. come noi che facciamo professione di lealtà possiamo, aver, attenenza con gli uomini delle barricate e delle galere?! Noi abbiamo tutto il sangue freddo di discutere, coi nostri avversari in politica, come se ci fossimo incontrati in un salone da ballo; e trattiamo ogni quistione senza violenza o spirito di parte; e con quel rispetto dovuto agli altri, ed à noi medesimi: dunque 0 non ci sì vuol capire, 0 si finge. Ma se molti si lasciano trascinare per una cattiva via, qual è la nostra mancanza? Bisogna abbandonare le sale dorate e non respirare 1 aria olezzante di profumi; prima di darci torlo; e scendere con noi in mezzo al popolo per palparne le angosce, vederne le sofferenze, le piaghe incancrenite, avvertirne i dolori, e mirarlo cader dalla miseria... senza pane... senza tetto, per saper quel che si prova in. un tale momento, e non poterlo aiutare! Ciò che questo popolo soffre, quello che noi soffriamo, la storia lo dirà un giorno, e i nostri tardi nepoti non crederanno che si siano patite tante pene in questi undici anni!!

E bene, noi alziamo la voce con osservazioni in prò di questo misero popolo: ed ecco che dopo poche ore ci si presenta un Delegato di P. S. che gentilmente e con cortesia di modi ci dice: il Giornale N. 136 è incriminato; il piego dei fogli spedito all'officina postale, è stato assicurato, gli spacciatori perquisiti, e... e tutto finisce con un indefinibile sorriso.

Come incriminato il numero 130, rispondiamo con emozione: ciò è un impossibile. Noi scriviamo guardando sempre quella benedetta legge della stampa! È incriminato ci si risponde; e noi restiamo là pallidi ed immobili.... innanzi a questo tremendo Fisco, di cui ciascuna parola, ciascun detto non suona altro che sequestro e cattura.

Quindi chiniamo la testa, e mentre ci balena per la mente, che quella legge sulla libertà della stampa è una vera lettera morta: conchiudiamo, è giusto errammmo, e lo ripetiamo le mille volte, errammo... errammo, perché dimentichi dei fatti che ci hanno glorificato, e pei quali divenimmo come gli antichi romani i ladroni del mondo, al dir di Ugo Foscolo. Errammo, perché dimentichi dei cannoni e dei grimaldelli. Errammo perché dimentichi, che un primo passo già si era dato verso le teorie dei comunisti di Parigi e dei precetti del Proudhon, la proprietà è un furto; quando a nome della rivoluzione con insane ed effrenata allegrezza sopra corde d'oro, venne cantata l'abolizione delle proprietà religiose, e si mettevano sul lastrico le migliaia d'individui appartenenti a quegli Enti morali: quando si depauperavano le Chiese dei loro beni, quando ed il popolo rassegnato vedeva e taceva:. quindi giustamente or ne paga le peccata leggendo nel progetto dell onorevole Sella, che con un altro sgorbio di penna, si vuol togliere il pane dalla bocca delle vedove e dei pupilli per alimentarsi! Bravo... le mille volte bravo, questo progetto che vuol ridurre i fortunati abitanti dell'Italia a spiriti aereiformi, che non sentano più i bisogni di questa misera vita!!!

Ma, onorevole signor Fisco, alla fin fine quello che si discusse, non è che un progetto del Ministro Sella, e per lo Statuto (di felice ricordanza ) è lecito ad ogni uomo sulle cose proposte di dare il suo avviso non che alla stampa di tutt'i calori di parlarne; giacché colla pubblica discussione nei governi regolati a regime costituzionale si chiariscono i fatti; e ciò fino al punto in cui il progetto non si converte, in,, legge per sanzione delle due Camere legislative, e decreto del Principe.

Or quando ella, signor Fisco, rassomiglia il progetto di una Legge alla legge istessa sanzionata, confonde i principi, giacche tra l'uno e l'altro vi corre molta diversità; e le conseguenze sono innumerevoli; per lo che l'incriminazione ch'è permessa solamente quando si offendono le leggi non può aver effetto parlandosi dei progetti; questo è principio di diritto costituzionale che si trova discusso in tutti i trattati dei pubblicisti antichi e moderni.

Avanti ancora. I deputati sono i rappresentanti del popolo: or questo popolo, che non può con parole far loro pervenire i suoi lamenti si giova della stampa onesta per tenerli in guardia, onde siano solerti nel disimpegno del proprio incarico; se dunque fra eletti ed elettori vi è una concatenazione di programma e di' rendiconto, in allora qual è il voluto reato?!

Dimandiamo in fine se l'aver detto agli uomini che soffiano iL vento per iscatenare le tempeste, per preparare maggiori ed incredibili disastri: Arrestatevi!... arrestatevi! È questo un reato?! 0 bisogna guardare con indifferenza che la casa prima vada in fiamme, e poi gridare al soccorso?! E se per chiedere questo soccorso... per alzare la voce, per dire ar restatevi che si va in fiamme,... ci si crede rei, che manchiamo di moderazione, e che siamo violenti: in allora addio statuto! Addio libertà di stampa! Addio tutto!... Iddio lo sa, e quelli che ci conoscono lo sanno del pari come cristianamente assistiamo agii avvenimenti che si svolgono in questo mondo; quando sotto la pressione non molti uomini della nostra generazione avrebbero lo stesso temperamento. Oh che tristissima epoca è quella in cui viviamo!!

LO TROVATORE.

ANNO VI N. ° 139 Giovedì 23 Novembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

D. Crisc. Finalmente vedremo per bacco se finiranno i piagnistei di voi altri clericali, ora che tutte le amministrazioni governative si troveranno in Roma, vedrete come tutto si accomoderà, e le cose andranno per bene.

Trov. Chisto sarria lo piacere mio, ma...

D. Crisc. Ma che?

Trov. Nce stà no ma cchiù gruosso de vuje e de me.

D. Crisc. Io non vi comprendo, spiegatevi.

Ann. Si Tò, parlatele a lettere de scatola, pecché ave ragione D. Criscenzo de non ve capi, se non v'aggio capito io.

Caf. Già, comme se tu fusse cchiù addotta de D. Criscenzo.

Ann. Armeno tengo judicio, e non me faccio mettere dinto a lo sacco...

D. Crisc Grazie del complimento, cara Sia Annarella.

Ann. Chesto è poco pe li merete vuoste, D. Criscè.

D. Crisc. Via finiamola, spiegatevi, Si Tore...

Trov. Lo spiecà è chisto: pe mo de sta juta a Roma nuje non stammo avenno che guaje, pise de cchiù, e sciacquitte de tutte li mangiafranche...

D. Crisc. Come, come?.

Trov. Lo ccomme ve lo ddico io. D. Criscè, s era stabeluto che s'avevano da spennere 17 meliune pe portà la ca! pitale a Roma, ogge mmece se dice che 20 meliune manco l'avastano.

Ann. Freve pigliatine, e cchiste li meliune l'avessero pigliate pe lupine, e pe scorze de portovalle? Pe fà ì quatto i zucagnostia a Roma se spenneno tutte sti denare, e che necessetà ne' era de fà sto quatto de maggio? Fuorze che a Sciorenza li Donnicola patevano de terzana ch'anno avuto da cagnà aria?

D. Crisc. Voi non capite. Firenze era una capitale provvisoria finché non si aveva Roma; oggi che si è avuta bisogna che il governo vada a stabilire là la sua Sede.

Ann. E se pe ghì a mettere na seggia perciata a Roma lo governo vó 20 meliune che sarrà si volarrà fà no nuovo sfratto? pecché io saccio che nfi a mo lo governo à tenuto, li tirrepetirre e à cagnato sempe casa... le pò succedere che I l'aria de Roma le farrà ngrossà la meuza, e se n'à da ì pe l salute, allora zzaffete n'autre 20 meliune e li scieme pavano, che?

D. Crisc. Oh le vostre ciarle fanno ridere; e voi siete troppo semplice per credere che quel che dite potesse avvenire...

Ann. D. Criscè, avimmo visto tanta cose, stammo vedenno a buje che facite lo spaccastrommole, embè non se pò vedè n'autra cosa?

Trov. L'abbenì non lo sapimmo nisciuno, e perzò non ne parlammo: sulo dico che nuje facimmo comme a lo mercante falluto, che non abbada cchiù a nteresse. Se jettano li meliune da ccà, e da llà, diebete ncoppa a diebete e le ttasse I acconciano tutto...

D. Crisc Quello che ci vuole bisogna che si faccia. Addio. Ann. E che nce s'appura rompennove la faccia? Nce vò lo tavuto adderettura.

Caf. Vi che felicetà, che gioia, che muoffe lloro nce anno portato?

Trov. Lassatele fà, pecché quanno lo pignato è chino jesca da fora, e tanno addio Zeza. Santa notte.

ANNO VI N. ° 140 Sabato 25 Novembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

LA NUOVA TASSA PROPOSTA DALLA GIUNTA

In una delle scorse tornate la Giunta Municipale proponeva in Consiglio una nuova tassa sugli Esercizi, e Vendite. Essa è sembrata tanto illogica ed immorale che la stessa stampa liberale l'à biasimata. È ben vero che ormai tutta la saviezza amministrativa dei nostri padroni grandi e piccoli si racchiude nelle due parole, tasse, e debiti, ma non è men vero però che a noi corre l'obbligo di protestare contro sì inqualificabile provvedimento, che colpisce al vivo gl'interessi del popolo, ed in peculiar modo grava le masse dei piccoli industrianti, e del ceto inferiore, venendo così a slargare la miseria già troppo ampliata di due terzi della nostra popolazione. Sotto il reggime passato, se non andiamo errati eravi un limite assegnato alle facoltà di che usavano i Comuni in quanto ad Amministrazione, e saggiamente provvedevasi perché le popolazioni oltre quelli approvati e nel bilancio stanziati, altri aggravi non soffrissero, imperciocché eranvi Consigli Provinciali, controlli e provvide leggi all'uopo, e se talvolta a rilento andavasi per l'approvazione di qualche spesa proposta da qualche Comune, ciò facevasi a tutela degl'interessi del popolo, ed affinché il denaro che esso pagava non fosse stato bistrattato ciecamente. Oggi siamo al rovescio della medaglia; si spende e si spande all'impazzata, e quando i fondi mancano si ricorre ai debiti per pagare i quali si creano tasse.

Non basta che la formazione dei così detti Comuni Chiusi à gettato i paesi nella miseria impinguando le casse municipali, e le borse degli affittatori dei dazi, quanto per soprassello abbiamo tasse su tutto. Ora a tutto questo si vuole aggiungere la nuova tassa proposta dalla Giunta. Però qui ci facciamo a domandare ai signori di detta Giunta, credete, o no, che il popolo contribuente abbia il dritto di sapere cosa si faccia del suo denaro, come va speso, e l'amministrazione dell'azienda comunale come va fatta? Qui non è questione di politica, ma tutta affatto amministrativa, e le signorie loro che seggono a cotesta sedia appunto per un mandato del popolo, sono nell'obbligo imprescindibile e sacro di dar conto di quel che fanno. Ebbene, o signori, il popolo alla proposta da voi fatta circa la nuova tassa vi risponde, dimostratemi la necessità di essa, il perché, e l'utile. Necessità non vi è, dappoiché pria di venire al progetto di una nuova tassa è mestieri si esauriscano tutti i mezzi di una ragionata economia restringendo, o del tutto eliminando molte spese superflue, inutili, e dannose; ragione per la quale fintantoché questo non facciate, non si può comprendere il perché di una nuova tassa; molto meno poi l'utile che da essa se ne ripromette, essendo per la miserrima condizione dei contribuenti ben magro e problematico il frutto di una tassa la quale strozzerà le ultime risorse del popolo minuto, sul quale esclusivamente quella va a gravare.

Per maggiormente convincere i signori della Giunta, e con essi il Consiglio intero, ci piace riprodurre qui alcuni dettagli di spese in più degli altri anni stanziati sul bilancio passivo del 1872, che ci fornisce il giornale di Napoli del dì 15 volgente. Ed invero. Nel 1871 il passivo apparisce più grave degli anni decorsi, e nel 1872 anziché assottigliarlo lo si accresce maggiormente, senza che le casse abbiano fondi per far fronte alle nuove spese. Si è progettato aversi Un piano regolatore della Città, detto, fatto; ed ecco 30 mila lire iscritte sul bilancio del 1872. È esso necessario ed utile per il momento? no. Sicché il popolo non saprebbe darsi ragione di questa spesa che nelle attuali condizioni finanziarie municipali gli è uno spreco biasimevole.

Si vogliono accresciute altre 100 guardie municipali, e sul bilancio si scrivono 5000 lire di aumento. Ma sono esse necessarie? No. Che si riformino quelle già esistenti, si coordini in più buon modo il loro servigio, e si otterrà quell'utile che malgrado l'aumento di altre 100 guardie non si potrà avere. In ogni anno si è speso una cifra non lieve per mobilia degli uffici municipali, ragione vorrebbe, stante le attuali condizioni economiche che nel bilancio del 1872 si tralasciasse questa cifra di esitò, poiché non debbonsi poi in ogni anno rifornire gli uffici di nuova mobilia, sarebbe questo un lusso imperdonabile, ma no, se nel 1870 si sono spese L. 8960, nel 1871 in nove mesi L. 3000 circa, per il 1872 si stabilisce spenderne 24 mila... due mila lire al mese per mobilia... sembra un paradosso... Avanti. Per l'accatonaggio nel 1871 vi sono L. 40 mila, nel 1872, si è elevata la cifra a L. 80 mila. Qui poi pare che si fosse stato un po' preveggenti, giacché camminando di questo passo finirà che diverremo tutti accattoni, e quindi bene si sono avvisati che nel 1872 vi sarà il doppio degli accattoni dell'anno volgente. Ma in che si spende questo danaro, quale utile ne à il povero? Lo stato deplorabile in cui sono caduti i nostri primari istituti di beneficenza e carità cittadina, ci fa ben comprendere che i tempi sono cangiati, e le 80 mila lire potrebbero per qualche quota soffrire una inversione di destinazione... Nel 1871 si sono spese per la festa Nazionale consistente nella illuminazione agli Edifici Municipali, e pochi pani distribuiti ai poveri, lire 3000, ma nel 1872 se ne dovranno spendere 8000, poiché è mestieri si festeggi il connubbio di Pasquino e Morforio con Gianduia e Pulcinella... poco importa se ci siamo avvicinati alla Rupe Tarpea... Pei condotti della Città nel 1871 in nove mesi si sono erogate L. 8713, ma nel 1872 se ne spenderanno 34860... così saremo più sicuramente insudiciati, ed appestati... Si tratta di condotti, e noi non ci mettiamo lingua, poiché i condotti furono e sono stati famosi sempre... Forse l'Aragonese non prese Napoli per mezzo di un condotto?...

Per le musiche delle Guardie Nazionali si spenderanno L. 228540... Sta bene. Ma noi contribuenti abbiamo il dritto di dire, dateci del pane, e fate ammeno delle musiche capite?... Circa allo innaffiamento delle vie a brecciame si è stabilito spendere 5000 lire in più di questa anno... Come similmente verrà aumentata la spesa per i pompieri, mentre si potrebbero dedurre L. 33500 dalla somma presente. Si aumenta la spesa per la illuminazione, quando che in proporzione di quanto si è speso nei nove mesi di questo anno, si potrebbero risparmiare L. 237000. Pei Veterani si è stabilito spendere L. 14000, mentre in nove mesi del 1871 se ne sono spese 6256... Le spese di misure agli architetti, vere sanguisughe delle casse municipali, sonosi aumentate di un terzo. Per spese di cavalli e carrozze pel servizio Municipale si sono assegnate L. 4000... il doppio degli anni scorsi, troppo giusto; non si è per niente a capo di un Municipio... ed è regolare che chi è padrone vada in carrozza, curando poco che chi prima andava in carrozza vada a piedi oggi... in omaggio della libertà!...

Per gl'impiegati del dazio consumo si è fissata la cifra di 1,308,749 lire... Sicché il popolo con il suo danaro deve sopperire all'ingiustizia commessa di aver gettato sul lastrico tanti impiegati, per capriccio del Conte Capitelli di non lodevole ricordanza... E così per gli altri impiegati si è elevata la cifra degli stipendi a L. 477,928, cioè 77,928 lire in più del corrente anno. A tutto questo sperpero sono da aggiungersi le spese dei lustrapavimenti Quella stanza del Sindaco, (viva l'uguaglianza democratica!...) un perito per le vetture da nolo, un Ispettore pei teatri, e l'assegno di 14400 lire annue ai Vice Sindaci, e 360 a ciascuno degli aggiunti dei Villaggi, oltre le lire 600 annue di vetture... Come non è necessario darsi al Sindaco Lire 8670 annue per spesa di rappresentanza... poiché tale cifra se è da non darsi ad un Sindaco di Napoli per i propri bisogni, come mai si è data quando questa eminente carica veniva coverta da illustri e ricchi personaggi, molto meno può concedersi quale rappresentanza ufficiale al primo Magistrato che rappresenta 700,000 abitanti e la prima Città d'Italia...

Se dopo questa eloquente dimostrazione di cifre che ci regala il Giornale di Napoli, non vi è da fremere per noi poveri contribuenti, lo lasciamo al giudizio dei lettori. Ben dunque il citato giornale biasima la condotta del Municipio, e meravigliandosi domanda. Ma Sindaco ed Assessori sono essi i rappresentanti dei contribuenti? No diciamo noi. Essi rappresentano un partito, e perciò stesso agiscono nello interesse esclusivo del loro partito... Il popolo sono 11 anni che guarda, soffre, paga e tace, poiché così vuole Iddio... ma non vorrà sempre così, almeno giova sperarlo!... Ed a proposito del nostro Municipio il corrispondente della Gazzetta d'Italia indignato scrive, si vogliono portare i centesimi addizionali a 200 mila lire, e non basta a coprire il disavanzo. Si approfitta di una concessione governativa per gravare la povera gente con una tassa sull'esercizio delle professioni e sulle vendite, ma il disavanzo non scomparirà dal bilancio del 1873, il quale senza gli orpelli e le mezze tinte ascende a più che tre milioni... Si è gettata sempre dai rappresentanti Municipali la polvere negli occhi del pubblico, e si è riusciti. Si sono spese 700 mila lire per lo acquisto della Reggia di Portici, e intanto quella reale dimora va in rovina per il totale abbandono in cui sta, tutto è noncuranza, tutto abbandono...

Ed il deputato Lazzaro in un articolo di fondo del giornale Roma del dì 17 fra le altre cose dice, che oggi Comuni e Governo in faccia al popolo, rappresentano la parte del creditore in faccia al debitore; essi si litigano guardandosi in cagnesco di cui l'uno maledice i primi perché prepotenti, e quelli ingiuriano questo con l'epiteto di debitore moroso...

Dopo tutto ciò, noi non faremo commenti, avvisando solo chi di ragione, che ormai il popolo è stanco, le borse son vuote, e l'inverno ci è sopra con tutto il corredo di freddo, pioggia, malattie e fame... I generi di prima necessità aumentano ogni di più... Creare nuovi balzelli a noi ci sembra ridurre il popolo alla disperazione... ma questa è una cattiva consigliera, e guai se negli uomini subentra al posto della ragione... Che leggano la storia i nostri Onorevoli della Giunta, ed ivi troveranno che due sono state sempre le cause produttrici le grandi rivoluzioni, l'insulto alla propria fede religiosa, e il caro dei viveri... Ma ci risponderanno la rivoluzione del 1860 nacque da questo? no, essa non fu fatta, ma subita da noi, quella fu rivoluzione diplomatica e non popolare, per cui non sarebbe difficile camminando di questo passo promuovere la seconda, per la quale tanto si affatica a lavorare la setta Internazionale... Crediamo di esserci abbastanza spiegati, peggio per chi non vorrà intenderci credendoci un giornaletto di passatempo!!!... Intanto avvisiamo i nostri lettori che non mancheremo ritornare su questo argomento dopo altre nostre particolari informazioni.

LO TROVATORE.

UN ALTRO VITUPERO

Venerdì passato 10 novembre il Demanio chiudeva e suggellava la regia antichissima chiesa di S. Antonio Abate che sta dentro il cortile della Gran Dogana di Palermo, e che pria del 1860 era stata ristaurata ed abbellito,. Il cappellano n'è stato messo fuori. I suggelli servono a custodire ciò che d'oggetti sacri possa essere da acchiappare.

Questa chiesa storica fu fondata da Manfredo Chiaramonte conte di Modica gran siniscalco del regno insieme al suo celebre palazzo nel 1307. Ribellatosi il figlio di Manfredo contro re Martino fu condannato a morte nel 1392, e ne fu confiscato il palazzo ove passò ed abitare re Martino destinandone una parte ai tribunali. Lo abitarono poi i Viceré fino al 1513, quando per la rivoluzione successa per la morte di Ferdinando il Cattolico, si ritirarono a Castellammare e lasciarono il palazzo ad uso dei Tribunali e il pianterreno colla Chiesa ad uso della regia Dogana. La Chiesa divenne di regio patronato e primo beneficiato ne fu il rinomatissimo domenicano fr. Michele Majale.

Siffatta chiesa storica — siffatta chiesa esente — siffatta chiesa destinata al culto esclusivamente degl'impiegati doganali è stata soppressa, chiusa, suggellata perché offendeva i nervi delicati in fatto di chiese del cristianissimo Demanio. Ma non han ragione i clericali — i retrogradi — gli oscurantisti — gli uomini in somma che hanno un dito di buon senso di dire Demonio e non Demanio?— Solo il demonio può aver tanta rabbia da chiudere, da profanare, da demolire le chiese.

Non è un vitupero degno della perversità del Diavolo ciò che si vede nella chiesa dei Sett'Angeli, della Vittoria, di S. Teresa fuori porta Nuova, di S. Teresa a porta dei Greci, dei Crociferi al noviziato, di S. Giacomo alla Marina!! —. Iddio non paga il sabato; e san Paolo (ad Cor. 3 ) ci assicura che: Si quis templum Dei violaverit, disperdei illum Deus. Chi sa se i progressisti intendono il latino? 1 Ci si dirà che è un ripetere spesso la stessa canzone che noi facciamo; ed è vero, e non ismetteremo l'uso per questo. Dappoiché dicea l'illustre Cesare Balbo nella sua stupenda Vita di Dante, che non si ridicon mai troppo certe cose, a certi esempii che si vorrebbon citar di continuo affinché si I rinnovino meno — Fra le figure di rettorica (il solea dire Napoleone) la più utile è quella della ripetizione.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. Neh, D. Criscè, che ve ne pare de certe notizie che corrono chiene de sale e pepe?

D. Crisc. Quali notizie? Quelle forse della conferma della repubblica in Francia, o della partenza del Papa da Roma?

Ann. Ched'è, lo Papa se ne và da Roma?

Trov. Non è defficele.

Ann Ah fauze, cane arraggiate, ll'avite ditto e lo bedite... ma avisa che ve sarrà astipato adderete a la porta...

Caf. Nnarè, se lo Papa se ne jarrà da Roma è segno che le botte ànno d'accommenzà...

Trov. Ma io D. Criscè non ve parlavo de chello che buje avite ditto, pecché pe lo fatto che nFrancia se confermarrà la reprubbeca chisto è no suonno de tutte le signorie lloro, che sperano accossì de vedè sequetà la coccagna, pe ll'autro che lo Papa partarrà da Roma, vuje avisseve da chiagnere pecché allora non simmo a lo ballo...

D. Crisc. Ma quale ballo voi intendete?

Ann Chillo de la tarantola, pecché vuje abballanno abballanno avite da crepà...

Trov. Siè Nnarè, scusate, io ntenno pe ballo, D. Criscè, la guerra... avite capito mo?

D. Crisc. Vi ho capito, ma v'ingannate... giacché nessuna potenza vorrà fare la guerra per il Papa... faranno ciarle è vero, ma saranno ciarle, e niente più...

Trov. Ca chisto è l'arrore nche state vuje autre... Ve site mparate malamente, pecché avite visto che da diece anne tutto chello che facite stà ben fatto, mo sicuro che ve credito sempe lo stesso... Ma, D. Criscè, lo munno è rota.

Ann. E avota sempe... onne pe ghiustizia avimmo da fa na vota pedono, nfi a mo avite galliate vuje comuniste, mo avarria da aspetta a nnuje... Ched'è, non ve piace sto trascnrzo?

Caf. Eppure è accossi, e buje non ve n'addonate...

Trov. Neh, D. Criscè, e che bò dicere lo fatto che li Menistre estere a Qoma non se fanno abbedé, non pipetano, non se movono; chello che bò di, la dipromazia che fa?

D. Crisc. Queste sono ciarle. Vedrete ciò che succederà quando si aprirà il Parlamento...

Ann. Lo ssapimmo che pò succedere... o l'opera de Zeza, o no casa de lo diavolo secunno lo ssoleto che s'è fatto a Sciorenza...

Trov. D. Criscè, e che bò dicere che lo Mperatore de la Russia lo quale nfi a mo à persequetato li cattuolece polacche, mo manna 1 ammasciatore sujo a Roma?

D. Crisc. Son cerimonie che si fanno al Papa come Papa e non come Re...

Trov. Vuje avite sbagliato, pecche comme Papa, lo Mperatore de la Russia non sarria obbrecato de mannarle l'ammasciatore, essenno che cchillo Mperatore è scismateco, addonca se nce manna l'ammasciatore, ce lo manna comme a Re... chisto è lo llatino...

Ann. Ebbiva lo Mperatore de ll'urze... chello che non sanno fà ll'autre lo fà isso, che? A che ebboca simmo arrivate che l'urze nce mparano de crianza...

Caf. Stupeta, chillo è lo Mperatore de la Russia capisce, nò de ll'urze comme dice tu...

Ann. Aggio pigliato no zarro... scusa...

D. Crisc. Quello che voi avete detto, Si Tore, per me non l'ammetto...

Trov. Vuje site lo patrone de penzà comme volite, ma li fatte non se ponno annià.. '.

Ann. Ma nzomma, Si Tó, che nce stà?

Trov. Nce stà che li fatte se stregneno, che la trobbeja s'abbecina, e che la setta à da fà li cunte, e abbesogna che se preparasse, si nò peggio pe isso...

Ann. Pe li malepavature nce stà la Concordia...

Caf. Autro che Concordia e S. Aniello, àje voglia de vedè.

D. Crisc Si, si, state freschi. Addio.

Ann. E buje state caude avimmo ditto na boscia pedono. Mo vedimmo chi è cchiù tosta la prete o la noce...

Trov. Lassatele ddi, po se vedarrà chi à avuto tuorto e chi ragione. Santa notte.

ANNO VI N. ° 141 Martedì 28 Novembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Ann Si Tò, s'abbecina Natale, e avisa chi se magnarrà lo capitone contento...

Trov. Eh Siè Nnarella mia, a comme pare cchiù d'uno de ll'amice nuoste se lo magnarrà scontento...

Caf. Chesto no lo pozzo credere, pecché che autro le pò manca?

Trov. Le manca na cosa che pesa cchiù de tutto, è necessaria pe l'ommo, e chesta è la bona coscienza...

B. Crisc. Che non ànno certo né i clericali, né i borbonici...

Trov. Secunno dicite vuje, ma nò comme diceno li fatte.

D. Crisc. Ma vi pare che può avere buona coscienza chi prega ogni giorno per la rovina della patria?

Ann. Vuje qua Patria e Agnano nce state contanno, che accossì avite mpapocchiate le gente facennole vedè la luna dinto a lo puzzo... ma, guè, D. Criscè, mo li muscille se songo scetate, e non simmo cchiù tanta maccarune da farce mbroglià a uso de fecatiello co lo llauro...

D. Crisc. Comprendo che oggi sapete ciò che non conoscevate undici anni sono, poiché la libertà vi ha illuminati.

Trov. Nce à tanto llummenate che nce à fatto canoscere comme no Menistro pò arrobbà senza che nisciuno lo chiammasse mariuolo, comme no popolo se po fà crepa de famme facennolo canta a uso de cecala...

Ann. E la libertà nce à mparato nautra cosa, chella zoè de le ttasse e li diebete che primma non sapevamo.. che ve pare non avimmo nzignato assaje chesta scola?

D. Crisc. Voi siete maldicenti...

Caf. D. Criscè, chisto è ummeto... non bedite che lo tiempo nce à zoffonnato d'acqua? perzò ve fanno male li diente.

Trov. Si Luì, vuje non avite capito. D. Criscenzo dice che nuje simmo malelengue, parlanno male de la libertà...

Caf. E avite ditto sto scacamarrcne, neh D. Criscè? simmo malelengue, è overo? Avite ragione, e acqua mmocca.

D. Crisc Forse non è vero? Se tutto prendete a male, se tutto vedete male, se di tutto parlate male?

Ann. Comme non à da essere accossì se la libertà vesta ncoppa a tutto nce à fatto male, pe tutto nce fa male, e tutto chello che fà lo fà male? Neh, diciteme na sola cosa de buono che à fatto, e io me voglio ceca n'uocchio... jate llà, D. Criscè, non me facite sagli li frate, faciteme finezza.

D. Crisc. Ho capito che siete ostinati, e vi lascio, addio.

Ann. Acqua, tronole e biento appriesso a te e a lloro.

Trov. Figliù, la caudara mo è accommenzata a voliere, e avite da vedè belle cose. Santa notte.

Caf. Mo vedimmo se sponta sto juorno.

Ann Mo vedimmo se lo capitone ntorzarrà ncanna a quaccheduno...

DISCORSO DELLA CORONA

Signori Senatori, signori Deputati!

L'opera a cui consacrammo la nostra vita è compiuta. Dopo lunghe prove di espiazione, l'Italia è restituita a se Stessa c a Roma. Qui dove il nostro popolo, dopo la dispersione di molti secoli, si trova per la prima volta raccolto nella maestà dei suoi rappresentanti; qui dove noi riconosciamo la patria dei nostri pensieri, ogni cosa ci parla di grandezza, ma nel tempo stesso ogni cosa ci ricorda i nostri doveri. Le gioie di questi giorni non ce li faranno dimenticare. Noi abbiamo riconquistato il nostro posto nel mondo difendendo i dritti della Nazione. Oggi che l'Unità nazionale è compiuta, e si riapre una nuova èra della storia d'Italia, non falliremo ai nostri principii.

Risorti in nome della libertà, dobbiamo cercare nella libertà e nell'ordine il segreto della forza e della conciliazione. Noi abbiamo proclamato la separazione dello Stato dalla Chiesa e, riconoscendo la piena indipendenza dell'autorità spirituale, dobbiamo aver fede che Roma capitale d'Italia possa continuare ad essere la sede pacifica e rispettata del Pontificato.

Così noi riusciremo a tranquillare le coscienze, come con la fermezza dei propositi uguale alla temperanza dei modi abbiamo saputo compiere l'Unità nazionale mantenendo inalterate le amichevoli relazioni colle potenze estere.

Le proposte legislative che vi saranno presentate per regolare le condizioni degli Enti Ecclesiastici, informandosi allo stesso principio di libertà, non riguarderanno che le rappresentanze giuridiche e la forma dei possessi, lasciando intatte quelle religiose istituzioni che hanno parte nel governo della Chiesa universale.

Oltre questo argomento gravissimo, le quistioni economiche e finanziarie richieggono principalmente le vostre cure.

Ora che l'Italia è costituita, si deve pensare a farla prospera con lo assetto delle sue finanze, e ciò non può mancare se non ci vien meno quella virtù preseverante ond'è sorta la vita della nazione. Le buone finanze ci daranno i mezzi di rinforzare gli ordini militari.

I miei voti più ardenti sono per la pace, e nulla ci fa temere che possa venire turbata; ma l'ordinamento dell'esercirlo e della marina, la rinnovazione delle armi, le opere di difesa del territorio nazionale esiggono lunghi e maturi studi, e l'avvenire potrebbe chiederci severo conto di ogni improvviso ritardo. Poi esaminerete i provvedimenti che a tal uopo vi saranno presentati dal mio governo.

Non mancheranno altre proposte di grave momento come quella risguardante l'autonomia dei Comuni e delle Provincie, il decentramento amministrativo, in quella misura che non scemesi forza allo Stato, e quelle per un unico Codice penale, per riformare l'istituzione dei Giurati e per crescere uniformità ed efficacia agli ordini giuridici. Noi verremo per tal modo vantaggiando la pubblica sicurezza senza la quale velgonsi in pericoli persino i beneficii della libertà.

Signori Senatori, Signori Deputati,

Un vasto campo di lavoro vi sta dinanzi. Compiuta l'unità Nazionale, saranno, lo spero, meno ardenti le lotte dei partiti, che ormai gareggieranno solo nel promuovere lo svolgimento delle forze produttive delle nazioni.

E mi gode l'animo allo scorgere che già si manifesta a più indizii la crescente operosità delle nostre popolazioni. Al risorgimento politico, seguita da vicino il risorgimento economico. Si moltiplicano le istituzioni di credito, le associazioni commerciali, le mostre d'industria, i pubblici congressi degli studiosi. Conviene, che parlamento e governo assecondino questo fecendo moto, ampliando e rafforzando l'insegnamento professionale e scientifico, aprendo nuove vie di comunicazioni, e nuovi sbocchi al commercio.

L'opera meravigliosa del traforo del Cenisio è compiuta; sta per essere intrapresa quella del San Gottardo. La via mondiale che percorrendo l'Italia riesce a Brindisi e avvicina l'Europa alle Indie troverà aperti tre varchi alla vaporiera per attraversare le Alpi. La celerità dei viaggi, l'agevolezza degli scambi accresceranno le amichevoli relazioni che già ci legano ai popoli transalpini, e ravviveranno le nobili gare del lavoro della civiltà.

L'avvenire ci si schiude dinanzi ricco di liete promesse; a noi tocca rispondere ai favori della Provvidenza col mostrarci degni di rappresentare fra le grandi nazioni la parte gloriosa d'Italia e di Roma.

ANNO VI N. ° 142 Giovedì 30 Novembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

IL DISCORSO DELLA CORONA

Finalmente il giorno 27 novembre è stato solennizzato dalla rivoluzione nella città dei Pontefici... Il voto che per tanti anni fece palpitare il cuore di migliaja di rivoluzionari è stato compiuto; la Camera legislativa del Regno d'Italia si è aperta in Roma... Dicono i giornali della rivoluzione, abbiamo vinto. Ora siamo noi, chi contro noi? Infelici! Quando il profanatore Baldassarre superbo delle riportate vittorie sul popolo del Signore si assise gongolante di gioia al lauto banchetto, e circondato di Cortigiani e Frine volle propinare ai suoi trionfi, profanando i vasi sacri del Tempio del Dio di Aronne, una mano misteriosa attraverso alle pareti della sala segnava con cifre arcane la condanna dei profanatori... Parimenti, o Ministri e deputati d'Italia, è accaduto a voi nel di 27 novembre 1871... La Mano onnipotente della Giustizia Divina sulle pareti del parlamento a Montecitorio à scritto, fine della rivoluzione... Voi non vi sirte accorti, ma quelle parole incancellabili e terribili sono state scritte, e potenza di uomo non varrà a cancellarle...

Lasciando noi all'avvenire il dimostrare se siamo, o no, nuovi Danielli, ci fermeremo a dire qualche parola sul discorso fatto leggere dal Ministero alla Corona...

Noi troviamo quel discorso troppo sbiadito, e troppo eloquente... Sbiadito, poiché manca il verde della speranza in quella parte riguarda l'avvenire della rivoluzione, mancala sicurezza della fede, la certezza di quello che si è, di quello che si sarà... Eloquente poi, quando accenna al dissesto finanziario, ed ai preparativi per una prossima lotta... L'Italia dunque dovrà ancora combattere, l'Italia dovrà tentare nuovamente l'incerta fortuna delle armi, quindi il presente è transitorio, l'avvenire ignoto. E se ciò sia vero, lo troviamo chiaramente detto in quelle parole con cui si previene la Nazione a tenersi pronta., poiché in contrario, l'avvenire potrebbe chieder severo conto di ogni improvviso ritardo... In queste parole è detto tutto. Almanacchino a loro posta i giullari politici, il discorso della Corona li smentirà... Dicano ciò che credono i settari, questo passo del discorso della Corona dissipa tutti i dubbi, e fa chiaramente conoscere che si cammina sur un vulcano. Infatti è essa assodata e definita la quistione del Papato? No. E vero che si son fatte le leggi delle guarentigie, ma queste non sono state accolte dal Papa; e dopo che fossero state accettate; è esso il governo d'Italia nella condizione di farle osservare? I fatti che tuttodì succedono di abusi contro l'esercizio del Culto Cattolico, le restrizioni, i dileggi e le dimostrazioni di piazza contro il rito Cattolico provano in contrario. Ed invero, si dice che la Chiesa sia separata dallo stato, ed invece lo stato invade a man franca i dritti della Chiesa, ne piglia i beni, ne occupa i Tempi ed i Monasteri, fa suo ciò che alla Chiesa appartiene, dichiara questa incapace di possedere ed acquistare, ne proibisce gli avvisi, e le pastorali quando non sono a suo verso, manda poliziotti a sentire ciò che dicono i predicatori dal pulpito, sottomette ai tribunali laici per qualsivoglia mancanza dal Sacrestano sino all'Arcivescovo... Ma a noi sinora non à potuto persuadere cosa volessero intendere i nostri sapienti rigeneratori con questa formola di separazione della Chiesa dallo stato... Per noi sta, oche la Chiesa non appartiene allo stato, o che questo a quella; ma l'una e l'altra ipotesi sono un assurdo, quindi quella formola è una menzogna. Dunque prepariamoci à detto la Corona, prepariamoci con assestare prima le finanze.

Ma queste finanze non si potranno aggiustare, poiché non c'è dove più prendere del denaro, quindi i preparativi saranno un desiderio E poi, contro chi dobbiam noi prepararci? Se quello che si è fatto è stato, ben fatto, di che temere? Quali complicazioni Europee potranno a noi trascinare in una guerra? E anche che ci trascinassero possiamo noi temere della nostra esistenza? Se ciò è, bisogna convenire che tutto quello sinora fatto non è stato né voluto né approvato dalla diplomazia, in guisa che l'Italia à fatto, ma per conto proprio; à fatto assumendo sopra sé tutta la responsabilità; à fatto ma colla prevenzione di un rendiconto... In opposto noi non sapremmo persuaderci di questa insinuazione di armarci subito, e tutelare le nostre frontiere...

Per noi sta che il discorso della Corona è stato pur troppo uno sprazzo di luce che à diradato il mistero che ricopre agli occhi dei popoli l'avvenire. D'ora innanzi gl'Italiani sono avvisati a prepararsi a nuove lotte gigantesche, e forse questa volta portateci in casa... Meglio persuadersene una volta... L'Europa cammina verso la reazione. Noi lo abbiam detto, che l'Italia aveva mestieri di tenere asciutte le polveri fin da quando vedemmo il despota Bonaparte vilmente cadere dal Trono; i nostri avversari ci derisero poiché fidavano in de Beust, ma questi è pur caduto, ed ora tutte le loro speranze son risposte in Bismarck... Però stiano attenti di far bene i loro conti, poiché l'avvenire lor potrebbe domandare severo conto di ogni improvviso ritardo... La guerra è certa, o signori, e questo lo à detto la Corona che non può mentire. La guerra è certa, ma il giorno è incerto, come, quando, e da chi ci si farà, ecco il mistero...

Sappiamo che la Corona sinceramente desideri la pace, e chi non vorrebbe la pace? Solo la Setta ed il Ministro Lanza non la vogliono. Ed essi non la vogliono, poiché per ottenersi una vera pace bisognerebbe fiaccare la rivoluzione, e fiàccando questa essi son finiti per sempre. Italiani, a parte tutte le frasi più o meno accozzate dai Ministri nel discorso della Corona, noi da esso apprendiamo due grandi verità. La prima ó quella che dopo 11 anni abbiamo le finanze in dissesto e quasi siam giunti prossimi alla bancarotta, la seconda che tutto ciò che sinora si è fatto dalla rivoluzione, la diplomazia non à, né voluto né approvato, imperocché la quistione del papato è di ordine Europeo, e la formola di libera Chiesa in libero stato se potrà esser buona per la rivoluzione, non lo sarà per tutti i Cattolici del Mondo, come la loro coscienza non potrà tranquillizzarsi, con la panacea delle guarentigie conoscendosi benissimo che sempre quando il Papa non è padrone in casa sua, non potrà mai esser libero nello esercizio del suo potere Spirituale, e che ridurre il Papa al livello di un Vescovo  è tale un assurdo che gli stessi settari neppure lo ammettono. I Si prepari dunque il Ministero Lanza alla guerra, e vi si prepari alacremente, giacché questa batte già alle porte d'Italia, ed il possesso di Roma à segnato il termine della parabola rivoluzionaria. Alle feste, alle luminarie, ai canti, alle grida dei voluti romani, assoldati dalle rispettive questure di tutta l'Italia, tosto succederà il disinganno, e lo scroscio del fulmine non tarderà a farsi sentire... La Corona Io à detto, non vale il mentirlo!!!...

LO TROVATORE.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

D. Crisc. Che cosa è accaduto che state cosi malinconici?

Ann. Chi sta malinconico? Nuje non avimmo perzo nisciuna mandria de vacche nPuglia, e se avimmo avuto la nera sciorta de fà la canoscenzia de tanta fratielle sbarcate da casa cauda, non pe chesto nce pigliammo collera, pecché se sape che li forastiere so sempe forastiere frustate, e quanno s'anno jencuto la trippa o se ne vanno a passià pe fora n'autra vota, o schiattarranno... perzò, vedite mo se nce potimmo piglia collera...

D. Crisc Voi dite così per non dire la verità...

Caf. Ma vuje a nnuje dicite che tenimmo la faccia ntrovoliata, e buje neh a chi avite visto che tenite lo nsolarcato?

Trov. Fuorze non ve sò parute bone le ccose a Roma?

D. Crisc. Anzi buonissime; resta solo che ho avuto un poco di trapazzo perché vi pare se ho dovuto trapazzarmi correndo su e giù...

Ann. Ve pare! lassa fà a buje pò; io credo che avarrate tanto curzo e alluccato, che avarrate perzo li quarte de reto, e ve sarrà sciso lo zezzeniello ncanna...

D. Crisc. Era nostro dovere di farlo...

Trov. Comme nò, ve pare! e se nò chi avarria rappresentato la parte de Don Nicola ncrovattato, e de lo popolo de li sette colle? pecché io credo che tra li prievete, li muonece, li codine, li papaline, li sacrestane, li scolacarrafelle, li speranzuole e sequeto de lo sequeto lloro chille tale 46 de li nò,, se sarranno fatte 40 milia, onne lo povero allumina lucernelle d'Ottino co ll'eserceto sujo de lampionare, e tutto lo riesto scarrocchiato de li paise de coppa, certo non abbastanno a mettere a revuoto tutta Roma, ànno avuto da stracquarse buone buono buono, pecché ànno avuto da fà lo miracolo de trovarse a tutte li pizze...

D. Crisc. Questo non è vero, poiché il popolo romano à fatto ciò che non si aspettava, ed i poveri Gesuiti malgrado i loro brogli per fare che i Romani non concorressero a quella festa, ànno dovuto convincersi che avevano perduto il tempo...

Ann. Se sape che nce avevano perzo lo tiempo... Ma una cosa nce stà, che pe fà ammoina e mbruoglio sule vuje site li maste, e perzò la mosca comm' è accossì sosca.

Caf. D. Criscè, io ve potarria annommenà cierte tale e quale polizzastivale de ccà ch'ànno avuto lo viaggio franco, e la spesa pe tre ghiuorne, pe ghì a fà li vivò...

D. Crisc. E da chi?

Caf. Mo voi ite sapè troppo... ed io non pozzo par là pecche scioscia viento, capite?

Trov. Già pe nuje chesta è cosa vecchia, mo simmo tanto mparate a ccheste commeddie, che quanno le sentimmo nce fanno ridere, pecché vedimmo comme se jettano li denaro, credenno de coffià, a chi?

D. Crisc. Voi vi avvisate male dicendo questo, perché per i nemici d'Italia tutto è cattivo...

Trov. Me scusate, D. Criscè, comme ll'avite ditto mo sta parola no la decite cchiù sapite? pecche se ll'Italia tene amice simmo justo nuje cattuolece e fedele a lo Papa, pecché nuje non simmo nemmice che de la rivoluzione, de li mbrogliune, de li marranghine e mpechiere che co la scusa de ll'Italia ànno fatto l'ora prò me... chesto ve dico e santa notte.

D. Crisc Va bene, addio.

Ann. Eh sì, nce l'à cantato à fatto buono.

Caf. E non lo bonno capì, che chi mena la preta nn'aria fernesce che le va ncapo e se sciacca?

ANNO VI N. ° 144 Martedì 5 Dicembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

L'AVVENIRE

Difficile è l'argomento che imprendiamo a trattare, imperocché nuvoloso è l'orizzonte politico, in fiero contrasto i venti, se l'oggi è incerto, il dimani è incertissimo per la rivoluzione.,.. Essa si culla in rosee speranze, ma queste tosto spariranno, poiché gli avvenimenti sono più potenti della volontà degli nomini, e la rivoluzione con le sue sfrenatezze non fa che accelerare il corso di questi avvenimenti. I giornali rivoluzionari in generale si mostrano scontenti del discorso della Corona fatto a Roma il dì 27 novembre: essi vi fanno sopra quegli apprezzamenti che nella loro forza rivoluzionaria san fare, in guisa che in quel discorso avrebbero voluto sentire la parola radicale e furiosa della setta, avrebbero voluto ascoltare nettamente che ora che ànno Roma nessuno attenterà a levargliela; e che il Papa è mestieri, o accomodarsi con la rivoluzione, o cercare altrove un pezzo di terra ospitale per terminarvi i suoi giorni. Ohe questo sia il voto del Ministero non è a dubitarsene, ma che questo voto gli sia lecito chiaramente spiegare è impossibile, poiché l'Europa non altro aspetta che un incentivo, una spinta, un'occasione qualsiasi per dar di mano al ferro punitore di quella baldanza che per undici anni à stancata la pazienza di tutti, sfidando Cielo e terrà, Sovrani e popoli, lacerando trattati, calpestando dritti, manomettendo leggi, territori, stati, popolari indipendente a furia di ampollose parole, e bugiarde promesse. Ora la paura di un cataclisma à trattenuto sulla punta della penna del Ministero Lanza quelle frasi che i settari volevano si fossero lette nel discorso della Corona... I settari àn creduto sul serio che l'Europa avesse paura di essi, perché sanno che in ogni Singolo stato vi sono i loro adepti che mantengono in apprensione i governi. La setta penetrando nei Consigli dei Re, mantiene vivo il fuoco della discordia, rinfuria e carezza le ambizioni, lavora a tutta possa perché lé divisioni tra i gabinetti europei si facciano più spiccate e non mai si giunga a quella unione donde verrebbe la salvezza dei governi e dei popoli, la morte della rivoluzione. Ma questo stato di cose può egli durare? No. Napoleone che da moltissimi si teneva per incrollabile è caduto; de Beust che dopo di quello lo si credeva inchiodato sul suo seggio è caduto; Bismarck che tuttora lo si crede fermissimo al potere non andrà molto é cadrà benanche, o solo, se l'Imperatore Guglielmo rinsavisce dalle sue velleità rivoluzionarie, o insieme al neonato Impero germanico, già corroso nelle sue fondamenta. Non bisogna lusingarsi: le voglie ambiziose del signor di Bismarck àn messo in guardia le potenze, e non andrà guari che forse una terribile guerra scoppierà, la quale al suo terminare chiuderà per un pezzo l'era delle guerre, e delle rivoluzioni...

Giornali autorevoli stranieri avvalorano queste nostre idee, e già si dice esser sicuro l'abboccamento tra Bismarck e Thiers, nel quale il Ministro prussiano farà delle vantagiosissime proposte per la Francia, tra le quali quelle dello sgombro totale degli Alemanni dal suolo francese, riduzione del debito di guerra, e retrocessioae di parte dei territori presi, e tuttociò, onde ottenere dalla Francia se non un'alleanza (che sarebbe una mostruosità) almeno una neutralità assoluta. Noi in questo fatto siamo per credere che come il signor Thiers prendendo la palla al balzo non si farà sfuggire questa occasione per vantaggiare gl'interessi della Francia, cosi che il Capo della Repubblica francese non accetterà mai patti, ne farà promesse che potranno vincolare la libertà di azione della Francia istessa: se così facesse il signor Thiers, si avrebbe giuocato non solo il potere di cui è investito per mandato della Nazione, ma anche la sua storica l'ama, il suo passato ed il suo avvenire... E poi, il signor Thiers potrebbe rispondere di un fatto non suo, e del quale egli dovrebbe strettissimo conto darne alla Nazione? Sicché a conti fatti, la Francia riavrebbe quasi il perduto senza intraprendere altra guerra con la Prussia, e questa si troverebbe con un fortissimo nemico da battersi di fronte, e con due falsi e potenti amici l'uno di lato che è l'Austria, e l'altro di spalle che è la Francia. Ora alla Prussia se riuscirà ottenere la neutralità dalla Francia, è necessario che l'ottenga pur troppo dall'Austria. Domandiamo noi quale compenso darà la Prussia all'Austria? Forse le prometterà i Principati Danubiani? Ma ciò oltre di essere una promessa problematica, sarebbe un tranello teso all'Austria per farle ripetere lo stesso errore politico della guerra di Crimea... L'Austria accogliendo simile capziosa promessa non avrebbe ottenuto nulla dalla Prussia, perdendo invece la già ripresa amicizia della Russia, la quale per l'Austria è necessarissima se non vuol vedere andare in pezzi 1 Impero per mezzo dello Slavismo... Ora quale compenso potrà dare la Prussia all'Austria? Gettate

'l'occhio sul passato, e da per voi comprenderete quale potrà essere il compenso dell'Austria... E dopo tutto ciò è sicura la Prussia del fatto suo? No. Giacché 1 Impero Germanico non è oggi voluto da alcuno, anche dagli stessi Tedeschi che non amano farsi assorbire dalla Prussia. In tale stato di cose che farà l'Italia? Proseguirà essa nello intrapreso cammino, o si arresterà nello sviluppo dei suoi piani, o prenderà parte alla grossa guerra? Noi crediamo che l'Italia non solo non potrà proseguire nello intrapreso cammino, ma che non si potrà arrestare nello sviluppo dei suoi piani, poiché oggi l'Italia è situata tra due coltelli che le premono i fianchi: l'uno della diplomazia, l'altro della rivoluzione. La diplomazia la punge se cammina innanzi, la rivoluzione la ferisce se si arresta. Resterebbe la terza combinazione, quella cioè di prendere parte alla guerra. Ma con chi e contro di chi? Si unirebbe alla Prussia? ebbene l'Austria e la Francia ve la impedirebbero diplomaticamente prima, con le armi dopo. Non bisogna esser poeti per trattar di politica. L'Austria e la Francia ripetono la loro rovina dal fatto dell'Italia, e tutti gli stati ànno un fuoco acceso in casa propria appunto per l'Italia. La Massoneria che minaccia sbalzare i governi europei à in Italia la sua vita, la sua forza... Il commovimento religioso Cattolico che minaccia gli stessi governi è conseguenza di ciò che la rivoluzione italiana à fatto a Roma, quindi volere o non volere 1 Italia dovrà subire, o prima o dopo il verdetto dell'Europa Monarchica. Ciò premesso bene abbiam: detto noi, che l'avvenire è da guardarsi, e che se l'oggi è incerto, il dimani è incertissimo per la rivoluzione... Aspettate, e vedrete!!!...

LO TROVATORE

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÉ DE L'ALLEGRIA

Caf. D. Criscè, vuje che me facite tanto l'appassionato avite saputo la circolare de lo Governo a li Munecipie?

D. Crisc No.

Ann. Luì, che bò dicere Circolare? fuorze na cosa fatto da chierchia?

Trov. Gnernò, è na lettera scritta o fatta che se manna pe tutte l'uffìcie, li Munecipie o autro ramo d'Ammenestrazione che se vò fa sape la stessa cosa.

D. Crisc. Dunque sentiamo cosa è questa Circolare?

Caf. M' à ditto no mpiecato munecepale amico mio, che nce sta scritto che li Munecipie mettessero tasse ncoppa a tutte chille cape de rrobba che non lo teneno, e accossi pavà a lo governo na somma cchiù grossa all'anno... Che ve ne pare, neh D. Criscè, lo Menistro Sella è n'ommo che tene le scarpe grosse e lo cereviello sottile?

Ann. Comme le ttene da dinto le cerevella l'ascessero da fora nce avarriamo levato no malanno da tuorno...

D. Crisc. Sò questo fatto, ma il governo à ragione.

Ann. Comme nò, se isso tene lo panno e la fuorfece mmano po ave maje tuorto?

Trov. Po diceno che li Munecipie metteno tasse, se lo governo che r avarria da mpedì, li ncoraggia pe se piglia lo ssujo, comme se po ì nnante de sta manera?

L. Crisc. Ma infine il governo si prende una tangente.

Trov. Se piglia na porzione tale che non sa potarria piglia; D. Criscè nce stanno Munecipie d'appena 10milia abitante e lo governo se piglia 36 milia lire Hanno, nce stanno Munecipie che sò chine de diebete de 40 e cchiù milia ducate, no llire, e lo governo se piglia 60 milia lire ll'anno, nce stanno Munecipie che non ponno pavà manco li Ripiegate pecche sò piccole paisielle e miserabile, e lo governo se piglia 11 o 12 milia lire ll'anno; po agghiognite a chesto l'ordene a li Munecipie de fa opere prubbeche, strate comunale, te né Asile nfantile, scole, e tanta mmalora de cose, nfra ll'aute la Guardia Nazionale, e pò sapiteme a dicere se anno da mettere tasse o nò, e se ogge o dimane la popolazione non restarrà co la sola cammisa ncuollo...

Ann. E chesto è stato lo bene ch'avimmo avute... guè, dicevano li strafalarie a lo 1860, ino non nce sarrà cchiù pezzentaria, e li denare se trovarranno a uso de scorze de lupine mmieze a le bie, non se pavarrà nisciuno dazio cchiù, non se farrà leva, e tant'autre ccose... mariuncelle co la scala ncuollo! Vi che tenevano schiaffato e rebattute ncuorpo...

Caf. Si Tò, e n'autra cosa ve l'avite scordalo, na mappata de Sinnace de la pasta de surece che fanno a ponia pe parè belle co lo governo e te li siente ordina tanta lavure inutile, ciardinielle, lapete, aumenta mpiegate e tanta cose, onne nuje povere scasate stammo tra la ncunia e lo martiello... e se po nce mettarrate purzì la camorra che fanno li venneture allora po vedarrate che felicità de casa de lo diavolo tenimmo nuje...

D. Crisc. Avete parlato voi altri, ma ora vi rispondo io dicendovi che se i pesi sono aumentati, lo opere pubbliche si vedono, certo quello che abbiamo ora non l'avevamo prima, e come vanno gli affari adesso non andavano prima; e poi se prima eravamo piccoli spende~amo meno, oggi che siamo grandi dobbiamo spendere di più. Vi pare che ci vuole la stessa spesa per tenere un quartino, o un palazzo?

Trov. Cheste pparole meretarriano na bona resposta, ma non se pò... Tutto chello che nuje avimmo visto, e vedimmo e n'arruobbo continuato... se spenne 10, e s'assomma 10,000... Se mena la povera dinto a ll'uocchie a la gente co tanta progiette e pò?.. Ora prò me...

Caf. Vuje parlate, D. Criscè, che primmo eramo piccerille mo simme gruosse, che primma tenevamo no quartine e mo avimmo no palazzo, e io ve dico che chesto a nuje povere artisciane e popolane non nce preme, pecché nuje avimmo da cercà lo mmeglio, onne, se io mo so gruosso e baco senza scarpe a lo pede, neh che vantaggio aggio avuto da sta grossezza? Se mo tengo no palazzo e nò no quartino, e faccio palicco, e non tengo cammisa pe me mettere, neh qua utele nn'aggio?

Ann. E comme a chillo che tene lo vacile d'oro pe nce vommecà lo sango (nsarvamiento nuosto, a lloro dicenno).

D. Crisc. Ho capito... Addio.

Trov. O capite, o non capite, lo rragionà posetivo è cchisto, e non ne potite asci... Figliù, stateve alliere, e Santa notte...

ANNO VI N. ° 146 Sabato 9 Dicembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

QUADRO SINOTTICO DELL'ITALIA ECONOMICA

Imposte e Tasse in Italia. i Registriamo semplicemente le imposte e le tasse nel regno d'Italia, lasciando i commenti al lettore.

1. Imposta fondiaria. — 2. Imposta sui fabbricati. — 3. Imposta sulla ricchezza mobile. — 4. Tassa sul macinalo. — 5. Tassa di registro sugli atti civili e sulle concessioni. — 6. Tassa del bollo. — 7. Dazio consumo del vino, liquori, farine, carni, ecc. — 8. Tassa sui corpi morali, detta di manomorta, l'8. Tassa sulle operazioni di assicurazioni e sui capitali delle Società. — 10. Tassa di successione. —11. Tassa sulle Scrizioni ipotecarie. — 12. Tassa sulle licenze di caccia. — 13. Tasse sanitarie marittime. — 14. Diritti e tasse marittime. — 15. Tassa sui pesi e sulle misure. — 16. Tassa sulle concessioni delle miniere. — 17. Tasse per le camere di commercio ed arti. — 18. Tasse sulle carte da giuoco. — 19. Dazi doganali. — 20. Tasse sulle vincile al lotto. — 21. Tassa sugli attestati di privativa industriale. — 22. Tariffa dei generi di privativa, sale, tabacco e polveri—23. Tassa per l'istituzione o il cambiamento di mercati e fiere. — 24. Tassa sui cani. — 25. Tassa sui passaporti — 20. Tasse scolastiche. — 27. Tassa sulle vetture. — 28. Tassa sui domestici. — 29. Tassa sui biglietti per le ferrovie, pei piroscafi e per le vetture. — 30. Tassa di ritenuta sui titoli del debito pubblico dello Stato. — 31. Tassa sui teatri. —32. Tassa sulle concessioni governative od atti amministrai ivi. —33. Tassa sui marchi e segni distintivi di fabbrica. — 34. Aumento del ventesimo a titolo di sovrimposta di guerra. — 35. Centesimi addizionali, ossia sovrimposte provinciali e comunali. — 36. Diritti di peso pubblico, di misura pubblica, staderatico e plateatico. — 37. Tassa sulle ossa. — 38. Tassa sul fuocatico. —39. Tassa sulle pelli. — 40. Tassa sulle case di tolleranza. — 41. Tassa sullo stipendio degli impiegati. — 42. Tassa sul consumo legale, commestibili, bevande, materiale di costruzione, foraggi, ecc. — 43. Dazio sul trasporto degli estinti dall'estero. — 44. Corso forzoso. — 45. Lotto. — 46. Leva. — imposta del sangue. — 47 Sulle cartelle di rendita turca.

In prospettiva

48. — Aumento del decimo sulle imposte. — 49. Tassa sui fiammiferi. — 50. Tassa sulle fotografie.

Debiti e spese

L'Italia ha un debito pubblico di cinque miliardi e cinquecento milioni. Questa cifra è inferiore al debito pubblico dell'Austria, Francia, Inghilterra, Russia, e superiore a quello di tutti gli altri Stati d'Europa. Ma confrontato il debito di ogni singolo Stato colle sue entrate, risulta che l'Italia è quella che supera in debiti tutti gli Stati d'Europa, poiché la quota per cento sulle entrate è per l'Italia di 48 72, mentre che quella dell'Austria è di 19 38; Portogallo, 38 05; Olanda, 38 55; Francia, 34 91: Inghilterra, 33 40; Baviera, 29 44; Belgio, 25 09; Russia 19 61; Spagna, 17 42; Svezia, 12 60; Prussia 7 75.

L'Italia poi, grazie alla sua amministrazione, è il paese che avanza eziandio tutti gli altri Stati nelle spese di percezione delle imposte medesime. Essa spende il 31 per cento, la Francia il 29, l'Austria il 28, la Prussia il 28, la Spagna il 26, il Belgio il 23, il Portogallo il 23, la Baviera il 20, la Svezia e Norvegia il 16, la Russia il 12, l'Inghilterra il 3, la Svizzera l'1 1[2.

Economie

Fra tutti i ministri per l'addobbo dei loro miserabili appartamenti in Roma si spenderà circa un milione.

Per fabbriche e ristauri ad uso dei vari ministeri si spenderanno circa otto e più milioni.

Per l'aula del Parlamento ad opera finita non si spenderà meno di due milioni.

Per la corte d'Italia, ritenendo per insufficiente il meschino locale del Quirinale, capace appena di un migliaio di famiglie cittadine, vi è già il progetto per dieci milioni: e così in totale per queste inezie si spenderà la inezia di circa ventuno milione!! È forse troppo in un governo che ha il macinato, che ha la regia, che ha la risorsa dei decimi d'aumento sulle imposte, che può quando gli pare e piace aumentare il prezzo del sale? che sta in lui di rivolgersi alla caria della Banca Nazionale? di inventare e di creare nuove imposte, nuovi balzelli? — I critici sono proprio il genere più irritabile dei poeti.

C.

ANNO VI N. ° 148 Giovedì 14 Dicembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

I ZAMPOGNARI

Lo Zampognaro da la Puglia vene,

Lassa la casa soja pe fà novene!

Llero... llero... ca è lo vero!

Llero... llero... llero... llà!

È vero, è verissimo, il sedici dicembre sta per giungere, ed un altro Natale è prossimo ad arrivare, ed un altro anno è passato, che va ad unirsi a quelli che lo precederono, e che videro il nascere del mondo. Un altro anno si è aggiunto a quelli che anno segnato le nostre pene, il nostro martirio; e la catena delle sofferenze, dei dolori si è accresciuta di un altro anello! Eccoli nuovamente arrivati questi cattivi suonatori di cornamusa, che per tutto un anno non fanno parlar di loro: questi ingenui dal cappello a pan di zucchero, dal mantello corto color d'esca, dai calzari allacciati con cordelle, essi sono sbucati da tutte le provincie del regno, e sono di bel nuovo apparsi suonando molto, cantando poco, non spendendo niente, e correndo assai — Il pensiero che li movea a scendere dai loro monti era di trovar fra noi quella tirannica moneta, ch'è divenuta un oggetto di museo, i fuochi di artificio, i vermicelli, il capitone, le croccante; credevano ch'essendo i negozi dei bottegai forniti a ribocco di erbaggi, di frutta di ogni genere, salami, formaggi, gnocchi., dolciumi ed altri commestibili da far le meraviglie dei forestieri, vi trovassero anch' essi 1 abbondanza; ma quei commestibili vi sono, che la protervia umana non ci à potuto togliere questo cielo, questo sole, quest'abbondanza: ma chi li compra?... chi li mangia? — Oggi che al vero popolo, e non già al popolo della camorra, appena gli è rimasto da poter vivere, quel suono che un giorno io rallegrava, or l'addolora! Llero... Llero... ca è lo vero!

Questo suono della zampogna che prima si ascoltava dall'alba fino a notte avanzata, or ci è restato come una fiaccola Che rischiara una scena notturna di orrore: ma questa non è una scena, è una crudele realtà; ed è cosa così seria da non poterci ridere! Eppure ci siamo fatti illudere e trascinare dietro al carro delle fantasmagorie; ed abbiamo sacrificato a quei giorni di pace, e di amore, questo maledetto progresso, questa effimera civiltà, che ci à innabissati! Llero... llero!... Zitto, ecco la ciaramella che suona; e noi che ci troviamo all'apogeo della felicità, che siamo una grande e temuta nazione, non vogliamo essere storditi da quel disaccordo ciufulare, quando ci rimbombano ancor nelle orecchia le orribili favelle... le sonore ed armoniose voci dei venerandi Padri coscritti assisi in Campidoglio. — Ma ve' com'è impertinente quel suono! per forza vuol toglierci dall'estasi in cui viviamo, e rivelarci, che quell'istesso discorso pronunziato in Montecitorio svela arcane fatidiche note... misteriosi eventi... uno sconvolgimento... la guerra con le sue triste conseguenze! Oh, piva, taci, che le tue note più anneriscono le tinte del quadro! Esse ci additano disaccordo generale, in cui si vive, da far temere un prossimo cozzar di picche... un'esplosione di polveri! La Russia ohe aspira ai Principati sarà la prima a gettare il guanto; la Prussia ha le tendenze sul Baltico; l'Inghilterra sopra Costantinopoli, l'Austria su Francfort ed il.... la Francia ai confini Renani, mentre la maggioranza dell'Assemblea propende per la monarchia dei Borboni, e vuole intervenire a Roma: e l'Italia legale tiene contro di sé il mondo cattolico, da poiché gl'interessi di tutti i popoli, di tutte le genti sono compresi nella libertà ed indipendenza del Papato. Il Sovrano Pontefice rappresenta il diritto, l'ordine, e la giustizia nel mondo; e perciò col suo trionfo viene la tranquillità, e si soffoca la rivoluzione! Llero... Llero... ca è lo vero!

Zitto, alpigiani... avanzi dei tempi barbari... della tirannia. che questo popolo non ha voluto dimettere quelle viete usanze, gli gridano a coro quei buzzurri... quei consortisti... quegli arruffapopoli che per mantenersi anche un'ora di più al potere deturperebbero la propria madre, e manderebbero tutto il mondo in rovina; che satolli fino agli occhi del sangue premuto da tante vittime, vivono gozzovigliando in calici dorati.. che empiutisi come otri le tasche dei tesori dilapidati dalle Case religiose, dai beni Ecclesiastici dai Banchi votati in ogni trillo di quella ciaramella sentono una voce che rivela la loro iniquità, la loro passata vita, la loro baldoria, oggi ch'essi soli rappresentano la patria... la vera patria legale.

Llero... llero... ca è lo vero!

Oggi che tutto è disordine... pervertimento... empietà, anche i zampognari anno mutato registro; ed invece della Sacra Novena suonano l'inno di Garibaldi, l'addio Biondina la Marsigliese, i mille di Marsala, la Comune, e via via— Quantunque zotici, essi si sono accorti che il mondo è demoralizzato, ed essendosi tolte e deturpate le Sacre Immagini ch'erano per le strade a monumento imperituro della religione di questo popolo, suonano, cantano e ballano per ricordare la redenzione d'Italia!

Llero... llero... ca è lo vero!

Oh! ve' come saltano... Oh! come quella piva stride al veder quelle generose che dalle vesti succinte e corte col tacco alzato vanno a zonzo per la città; quelle vivandiere garibaldine divenute nobili matrone in carrozze dorate; quell'emancipate che seguendo i dettati del Morelli amano sedersi in parlamento, sentenziar sopra ogni cosa, ed avviliscono casi il nobilissimo carattere della donna che à l'incarico dell'educazione dei primi anni della vita; mentre oggi per esso il mal seme si diffonde, e la corruzione cammina! E da queste donne l'Italia sperava di avere buoni cittadini?!

Llero... llero... ca è lo vero!

Ed eccoli quei meschinelli costretti a cantare ariette d'innanzi ai Caffè dove sono congregati quei giovani che disertati dai banchi delle università, dato un addio alle scienze ed alle lettere, sono tutto dì nelle bische, nei bagordi per chiacchierare di politica apparata dai giornali, ed ivi giuocandosi e truffandosi le sostanze discutono dell'Infallibilità Pontificia, del Dominio temporale, del matrimonio dei preti sopra gli scritti di Morrone e Landolfi; e storditi mistificati da una razza di vipere, dai volponi del giorno, sparlano di ogni cosa, si danno buontempone in braccio a proterve passioni, e poscia smunti fino alle ossa si conducono a suicidarsi! Llero... llero... ca è lo vero!

Oh sì ch'è pur troppo v«ro che la pianta della libertà è cara come diceva il Dante fin dai suoi tempi. Libertà vo' cercando ch'è si cara!

Specialmente con questa tramontana fredda di tasse, che ci circonda, con questa atmosfera di taglie, d'imposte e balzelli che crescono a più non posso, che sono una enormezza riducendo il proprietario alla condizione di un Esattore; a partilo forzoso; con le arti neglette. le scienze avvilite, il commercio infrenato, e tutte le classi sociali languenti miseramente per la fame — Il vagabondaggio, i ciarlatani, gli organetti cresciuti—I sacri ministri del Dio vivente insultati, lo stesso Gesù Cristo in Sacramento non più venerato, ed il libertinaggio, l'inverecondia, i... camminar per la città tronfi e pettoruti ammorbando ogni cosa!! — Oggi che gli avvenimenti più disperati si sono avverati in pochi lustri, e che ai petrolièri della Comune, agli ascritti all'Internazionale è incito ogni cosa: è giusto il lamentar di quella piva! — Oggi che ai veri zampognari che suonavano in onore della Madonna e del Bambino, e se ne andavano dopo del Natale, vedemmo succedere certi cattivi suonatori che si anno annesso tutto, e che ànno messo radice, e non trovano la via di andarsene con Dio! — Oggi che ignoriamo in quali tempi si viva, è giusto che il trillo suoni i nuovi disastri, che ci sono piombati sopra.

Llero... llero... ca è lo vero!

Deh per pietà, o trillo, fermati!... fermati!. Oh possano spuntar presto tempi migliori, onde il tuo suono non ci ricordi più tristizie, e guai; ma il rispetto alla Religione Cattolica, l'obbedienza al Dritto, l'amore all'ordine, e pace, pace e duratura pace!!

LO TROVATORE

MONTECITORIO

In quella parte nobilissima del Campo-Marzio, sopra ogni altra di superbi edifizii decorata, e propriamente d'appresso al magnifico foro Antoniano, i cui giganteschi avanzi destano ancor maraviglia, e non lungi da questi ricinti detti Septa, in pria di legno, ove il popolo romano adunavasi per eleggere i nuovi magistrati, ma che poi costruiti in marmo da Giulio Cesare si dissero Septa Julia, v'era un poggetto, che alcun'eruditi vollero, che fin da più antichi si chiamasse mons citatorius, ovvero mons acceptorius, o dall'esser quivi citate le tribù per entrar senza disordini nei septi, ovvero dall'accettarsi dei suffragi in favore di coloro, che aspirando alle magistrature, quivi si fermavano, non appena erano discesi dal vicino colle degli orti, adesso Pincio, in candida veste, onde si dicevano candidati, e senza toga, per togliere così qualunque sospetto di largizioni, ed in conseguenza di corruzioni di partito. Ma non trovandosi siffatti nomi negli antichi scrittori, e non facendosi di essi menzione se non nel secolo XV è giuocoforza conchiudere, da altra origine doversi ripetere gli anzidetti nomi. Coli' autorità adunque del Nibbi e del Piranesi può stabilirsi che essendo non lungi dal foro Antoniano il teatro di Statilio Lauro, colle ruine di questo e di altri circostanti edifizi si formasse il nuovo monticello, siccome avvenne in altri punti di Roma, e dal nome di Statilio Lauro, ovvero Toro, ne venisse, pian pianino modificandosi e corrompendosi, il moderno Mons Citatorius.

Su questo monticello adunque nel 1050 coi disegni del Bernini incominciossi a costruire il palazzo di Montecitorio dal principe Ludovisi. Ma interrottasi la fabbrica, il gran Pontefice Innocenzo XII, che avea già deciso di radunare in un punto centrale di Roma i diversi tribunali per commodo dei litiganti e dei curiali, comprò il palazzo del Ludovisi, e ne affidò il compimento all'architetto Mattia De Rossi, il quale vi fece le scale, il portico ed il piano secondo, rimanendo intatte le fer rate che il Bernini avea disposto in tre linee; ed in seguito l'architetto Carlo Fontana vi diè l'ultima mano aggiungendovi gli abbellimenti del portone, della gran loggia, e specialmente della corte, la quale nella sua bizzarria ha del piacevole e del teatrale, massime per l'effetto che produce la fontana situata nel fondo, che riceve l'acqua in una conca di granito ritrovata nelle rovine dell'antica città di Porto. Da quel tempo il palazzo assunse meritamente il nome di Curia Innocenziana, ed i tribunali romani v'ebbero splendida stanza fino ai giorni nostri, in cui stabilitosi questo locale qual sede della Camera de'  deputati, trasportati i tribunali nell'eccentrico, disadatto e fatiscente convento dei Filippini, venne affidato per acconciarsi alla sua nuova destinazione nelle mani del piemontese Comotto; ed ecco il sapientissimo architetto, coloritane la maestosa facciata quale una Casina di campagna o capanna svizzera, rimossene le inferriate dal piàno terreno, che tanta imponenza davano a tutto il palazzo, da non distinguersi adesso quale sia il piano nobile, innalzato il piancito del portico, da non potervi più entrare le carrozze, ingombrato il cortile, e perdutasi così la magnifica prospettiva, oscurate le comode scale da non potervi neanche mirare il Sig. Sella il proprio simbolo, Apollo che scortica Marzia, rese finalmente inservibili ed oscure molte stanze, colla spesa di due milioni, ha costruito una baracca di legno, la quale se ha qualche pregio pel suo meccanismo, è priva di luce, oltremodo fredda, rimbombante ma non armonica, fastidiosa e tetra per tutti e ad ogni discussione disadatta. Lo Stemma onorato del gran Pontefice e Sovrano Innocenzo XII più non si vede nel palazzo di Montecitorio nell'antica Curia Innocenziana. La rivoluzione è nembo furioso che schianta, disperde, distrugge ogni cosa.

(Così la Palestra)

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Ann. Si Tò, non sapite niente? M'à ditto Don Bartolomeo che stà co no piezzo gruosso a scrivere, che mo sà da fà la nummerazione de tutte le ffamiglie co scrivere lo nomme e cognome, quanto sò de famiglia, che arte fanno, addò stanno de casa e chello che teneno; e bero o no?

Trov. Gnorsì è bero, e chisto è lo cenzemiento ch'ave ordenato lo governo pe sapè nzì a la mezanotte de ll'urdemo de chist'anno quanta è la popolazione dell'Italia, comme è scompartita, quante songo li ricche, li commete, l'artisciane e li poverielle; addò stanno e chello che fanno; è accessi D. Criscè?

D. Crisc. Sicuro, ed è un'ottima cosa...

Ann. Neh? ma co liciensia vosta, pecché se pigliano tutto sto spavo ncerato li patrune nuoste? Nce fosse paura che bolessero vede de schiaffa quacche aula tassolella?

Caf. A me pare che se non è chesto, pò essere na cosa simmele...

D. Crisc. Voi v'ingannate, e l'istesso Ministro Sella lo à detto in una sua Circolare, il censimento serve appunto perché il governo conoscendo con precisione il numero della popolazione ed il suo stato, potrà con esatto criterio regolare con maggior ragione la ripartizione, delle imposte, precisamente quella di ricchezza mobile.

Ann. Lo bì, che mme dicetteno justo a mme, che se trattava de nce fa n'autra nzagnìa?

Trac. Sentite, siè Nnarè, io no lo ppozzo credere chesto, ma mperò essenno chesto na voce che se sente mmiezo a lo popolo, sperammo che lo governo la facesse fernì co na dichiarazione affidale.

D. Crisc Non à bisogno il governo di far questo, poiché tale vóce si è data fuori dai nemici del governo, appunto per allarmare le popolazioni, capite?

Trov. Io capesco chesto che decite vuje, e pecchesto io credo che fosse necessario che lo governo assicurasse le popolazione che non è bero chello che se dice...

D. Crisc. L'à fatto con la Circolare del Ministro

Ca/'. D. Criscè, de chiacchiere e prommesse ne tenimmo na panza, nuje vedimmo li fatte...

Ann Dincello dì, che songo 11 anne che non sentimmo dicere che tasse, e tasse... La varvance la fa lo governo, lo contrapilo li Munecipie, e le scortecature tutte le sciammerie revotaio de percettore, riceviture, satture, e prubechelle: che le pozza afferrà no cancaro prieno...

D. Crisc. Perché questi signori fanno il loro dovere, voi l'odiate?

Caf. Che dovere e dovere me jate contanno, pecche sti quatto famulesdieje pe se fa m reto spogliarriano purzì no santo Lazzaro... D. Criscè, aggio visto io no poverommo che l'ànno vennuto nzì a na caudarella che teneva ancora dinto a la casa, pecche lo riesto se l'aveva mpignato e bennuto pe dà a magna a otto crijature; neh e pecche? pe pavà la tassa de la ricchezza mobele...

Ann. Aneme senza Dio! scoscienziate e birbante!.. E po te siente dicere, simmo tutte frate...

D. Crisc Per un esempio che si è dato, voi gridate tanto? E poi, che à che fare ciò con il censimento?

Trov. È chello che dico io? Quanno lo popolo vede chiste. fatte ave ragione de se mettere appaura... mparticolare ino Che se dice che benarrà no Delegato de lo governo, lo quale avarrà facortà de corrisponnerse co tutte l'officie, se potarrà servì de qualunche forza, po fa chello che bo, onne asiggere tutte le ttasse arretrate de recchezza mobele... Onne, D. Criscè, aunite chesta diceria, co lo fatto de lo cenzemiento e bedite se uno non s'à da mettere nsospetto...

D. Crisc. Ma è un sospetto sciocco, anzi maligno...

Ann, Gnernò, gnernò; che pe nuje scasate ch'avimmo avuto sta nera sciorta è na veretà... Li maligne site vuje, che nc'avite parlato sempe co la fauzaria e la frabuttaria. Neh, ve site scordate tutte le prommesse? Vedite che lo busciardo à da tene bona mammona... Ma se ve site scordate vuje de lo male ch'avite fatto, non ce simmo scordate nuje che tenimmo le mmane dinto a lo fuoco, e che ogge o dimane nce arredduciarrammo senza manco la cammisa...

D. Crisc. Queste sono parole, cara mia...

Caf. No, so fatte, D. Criscè; e ogne ghiuorno se vede la rrobba de le ppovere gente vennerse o ncoppa a li banche, o pe miezo a le bie...

Trov. Nconchiusione, D. Criscè, io non credo, v'aggio ditto, a chello che se dice pe lo cenzemiento; ma manco voglio credere che benarrà sto Delegato pe siggere l'attrasso de na tassa che se chiamma disperazione mobele; pecche se chesto fosse vero, tanno po sarria vero purzì l'autro fatto de la diceria...

D. Crisc Sì, ma la tassa di ricchezza mobile si deve percepire, e per ottenerla bisogna che si trovino i mezzi necessari...

Ann. Co mettere ncoppa a cuotto l'acqua vollente?

Trov, Quanno vuje, D. Criscenzo mio, nce parlate accossì, non aggio che ve responnere, pecche le pparole nce potarriano fà male... Onne me sto zitto; e ve dico sulo che chi troppo la tira la spezza...

L. Crisc. Ciarle... Addio.

Ann. Va, va, che ve n'avissevo da ì tutte quante co lo carrrettone de ll'Incurabbele... ma avisa se lo Signore arrecordannose de nuje farrà li comannamiente suoje?

Caf. Certo chesto, e lo juorno venarrà...

Trov. Pe mo stateve zitte, non sentite chiacchiere, faciteve li fatte vuoste, e lassate fà a Dio, vuje me capite? lassate fa a Dio, pecche Isso addò vò, mette la mano soja... Santa notte.

ANNO VI N. ° 149 Sabato 16 Dicembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

L'ITALIA

A chi avrebbe nel 1870 detto al Ministro Lanza, voi andando a Roma, condurrete l'opera dalla rivoluzione fatta nel 1860, alla Rupe Tarpea, il flebotomo Ministro avrebbe risposto con un sogghigno beffardo, come il Fisco rispose con rabbioso rigare alla stampa Cattolica che alzava la libera voce contro quelli che il governo spingevano a consumare l'atto del 20 settembre. Ebbene il governo oggi è a Roma, vi sta da un anno, e l'opera della rivoluzione, è già ad un pelo per rovinare. Se noi volgiamo lo sguardo all'interno non scorgiamo che vandaliche e stupide distruzioni, rinnovamenti, modifiche precarie, instabilità in tutto, quasiché non un governo da 11 anni costituito vi fosse, ma un'informe confusione come se ancora in piena rivoluzione si stesse. Non vi é branca Amministrativa che funzioni bene, non leggi previdenti e provvide, né personale capace ed onesto. Ciascuno lavora per conto di un partito, i Ministri sono i capiscuola di vari partiti, lo stesso governo non è che un partito... Ciò che è permesso farsi in Napoli non lo è ugualmente in altre Città d'Italia, ed ogni Prefetto, Magistrato, o pubblica Autorità, sia qualunque, sino agli agenti subalterni ciascuno fa a suo modo, purché non dispiaccia al partito cui appartiene. Si creano nuove amministrazioni oggi, per distruggerle domani, s'impiegano individui, per domani gettarli sul lastrico, e ciò che nei tempi andati facevasi da pochi impiegati, oggi triplicato il numero di essi, non si fa. Se per poco dall'estero si voglia considerare un po' la nostra interna organizzazione, malgrado tutte le spampanate dei giornali pagati per adulare, ci si riderà in faccia, come tuttavia ci àn deriso e deridono poiché sanno di aver che fare con un rachitico, o con un matto... Sarebbe annojare i nostri lettori ricordando una storia di vergogne e soprusi che ormai è divenuta il cronicismo dell'Italia. Ed oggi non sono più i giornali clericali o di opposizione che gridano alla rovina,ma. gli organi rivoluzionari medesimi, e tra questi quelli che maggiore interesse ànno a nascondere le piaghe cancerose di questo sciagurato paese. Lettori, volete voi sapere in brevi parole cosa sia il Ministero che ci governa? Udite quanto in proposito scrive la Perseveranza di Milano italianissimo periodico e cointeressato alla cricca famosa. Essa dice del Ministero. «Slegato, «sconnesso in sé medesimo, senza nessuna precisa norma che lo diriga: inclinato con le idee da una parte, e coi desideri dall'altra; un giorno più moderato un altro più radicale del dovere; non senza pregiudizi ed amori regionali in alcuni dei Ministri, e le amministrazioni arruffate, convulse, come non sono mai state: privo di ogni comunicazione coi deputati, i quali non vede, non avvicina, non sa; incapace di chiedere ed ottenere una fiducia schietta e profonda da nessuno, il Ministero doveva condurre l'Assemblea in quella condizione in cui si trova, ed in faccia all'infelice avvenire che le si prepara.» E ciò non è tutto. L'Italia nuova scrive del governo istallato a Roma, dicendolo: «Un'anarchia generata da un'anarchia forse più irrimediabile e più profonda nelle idee e nei principi.» La Libertà giornale settario di Roma, grida contro le tristissime condizioni della sicurezza pubblica, e domanda leggi eccezionali.

L'Opinione, foglio Ministeriale, deplora che i capitali in Italia si detraggano dalla industria e dal commercio, allargando così la miseria comune, e ciò per tema delle imposte, e delle tasse. La Gazzetta d'Italia fa con cifre aritmetiche conoscere lo stato miserrimo delle Finanze. L'Arena di Verona dice che accordando al Sella i 300 milioni che chiede, neppure si avrà il pareggio fra altri cinque anni, come vuol dare ad intendere quel Ministro.

La soprannominata Gazzetta d'Italia trattando del progetto del Sella di fittarsi, o vendersi a banchieri esteri il prodotto delle dogane e del dazio di consumo, dice che il Ministero idoleggia le teoriche dei comunisti. Si dia fondo dunque ad ogni cosa (conchiude il suo articolo) vendiamo, ipotechiamo quest'ultimo brandello della ricchezza nazionale... L'Italia ormai non à più nulla da perdere, e non le manca che fare un passo ancora perché rappresenti in immagine la bella commedia del Bon: Il vagabondo e la sua famiglia (bellissimo complimento!... ) Ecco alcune prove di quel che dicono i giornali rivoluzionari del governo da essi loro voluto. E questo linguaggio così aspro, umiliante, sconfortante, e veritiero lo si tiene dopo che il governo unitario è già in possesso di Roma da oltre un anno. Noi tralasciar vogliamo di riprodurre nelle nostre colonne la lunga sequela della cronaca nera che ci fornisce la stessa stampa rivoluzionaria di delitti d'ogni specie; tralasciamo di ripetere ciò che essi dicono del malcontento generale del popolo, e dei progressi per ciò che va facendo l'Internazionale, mercé gl'incendi in vari paesi, ed ultimo quello spaventevole di Torino, in non vogliamo agitare questa putente melma che ormai ci à appestati, ma solo vogliam dire ai Ministri d'Italia e loro adulatori; è così che voi credete far assidere l'Italia vostra al banchetto dele nazioni civili? È così che voi preparate l'Italia a quella futura e suprema lotta che deciderà dei suoi e dei vostri destini? Chi credete in fede vostra che vi potesse stendere un mano amica? Quale governo straniero potrà prendere sul serio le vostre iperboliche pretese, e stimandovi forti davvero domandare la vostra alleanza? Quale pegno dar potrete voi di fortezza e serietà? Quello forse di continue lotte partigiane, in cui il debole vien soverchiato dal forte, o l'altro delle comiche scene parlamentari, e delle buffe dimostrazioni di piazza, luminarie, inni, balli, e pranzi luculliani? Voi colmi di debiti, ridotti a vendere fino le dogane ed il dazio di consumo, sforniti di denaro, con un'Amministrazione caos, un Esercito in dissoluzione per la nuova legge fatta, poco istrutto nel proprio mestiere, senza armi; voi che riduceste il paese senza presente, e né avvenire, con i popoli diffidenti e dissaffezionati avvezzi per l'esperienza di 11 anni a vedere in voi dei prestidigiatori e succhiatori del suo sangue; dite, dite su, vi potete lusingare che l'Europa faccia conto di voi e dell'opera Vostra? O meglio non trovi del suo interesse chiamarvi alla sbarra del suo tribunale? Voi potete illudere i gonzi, potete battagliare a vostra posta con le ciarle ed una stampa comprata, ma se sarete ai fatti, le cose andranno bene altrimenti... E perché vi convinciate che noi non diciamo questo per rancore, vi diciamo, che mentre voi vi gonfiate di vento come un pallone, lusingandovi delle simpatie di qualche potenza straniera, la diplomazia lavora a spastoiare l'Europa dalle ultime conseguenze della politica Bonapartesca, riannodando le antiche alleanze. Infatti un dispaccio dello Standard di Londra annuncia imminente la stipula di un trattato di lega offensiva e difensiva tra Austria, Francia, Russia, ed Inghilterra, trattato che pone fuori Prussia, e Italia. Per la Prussia, laddove questo trattato divenisse un fatto, non sarebbe così stolta da tirarsi addosso le forze potentissime di quella lega formidabile che potrebbero in pochi giorni far cambiare al vecchio Guglielmo la superba corona d'Imperatore. di Germania, con quella modestissima dei Duchi di Brandeburgo; quindi non sarebbe impossibile un mea culpa, per salvare almeno l'antico reame prussiano, senza gl'ingrandimenti di Sadowa e della pace di Parigi... Sicché resterebbe l'Italia che sotto il braccio della Spagna sarebbero costrette a ballare un passo a due...

E dopo? Qui siam costretti far punto e basta, poiché il Fisco ci senta!!!

LO TROVATORE.

POVERA ITALIA!

Ecco come ci giudica il Journal de Paris, organo dei Principi d'Orleans:

«Roma capitale non soddisfa ai bisogni né del regno d'Italia né della casa di Savoia. Finché dureranno questo regno e questa dinastia, nessuno dimenticherà con quali sforzi di politica tortuosa e astuta il re Vittorio Emanuele giunse a metter la mano su Roma. Ora egli è ben dubbio che una simile memoria possa contribuire a fare acquistare simpatie al nuovo ordine di cose. Roma d'altronde non si presta alle esigenze amministrative di un grande Stato. Occorrerà costruire una terza città accanto a quella dei Cesari ed a quella dei Papi, se si vuol trovare un posto conveniente ai mini. steri, alle amministrazioni, agli stabilimenti dello Stato. »

Esaminando la quistione strategica, l'articolo dimostra l'errore di fortificarla e dice quindi:

«Le fortificazioni che s'innalzeranno attorno a Roma non serviranno a nulla per impedire a un nemico vittorioso di stabilirsi nella valle del Po, in Toscana, in Romagna, parti vitali del regno. Tutto quel che si farà per dare a Roma l'importanza di una gran capitale, non vi creerà la prosperità commercialo e industriale di cui avrebbe bisogno per le esigenze di una numerosa popolazione. »

La coesistenza di due poteri sovrani nella città sembra pure impossibile allo scrittore che così analizza la quistione:

«Se si guarda solamente la maestà delle memorie; l'estensione dell'azione sovrana, il papato colla sua lunga tradizione e autorità su duecento milioni di cattolici, ecclisserà il Re sorto dal plepiscito e che comanda alla sola Italia.

Se si tien conto dell'essenza dei due poteri come farà un regno fondato su di un patto costituzionale a intendersi con un potare fondato sulvconcetto teocratico? Alle antinomie si oppone semplicemente Ja massima: la Chiesa libera in libero Stato. Chimera o malafede! Sì, voi lascerete il papa attuale maledire i suoi spogliatoi. La sua età avanzata, lo splendore delle sue virtù e il rispetto universale lo proteggono contro maggiori attentati. Ma voi non trascurerete nulla per circuire il suo successore. Le creature del Re penetrarono negli intimi consigli del papato. Ed il mondo vedrà di nuovo la lotta scandalosa degli imperatori e dei patriarchi di Costantinopoli. »

La conclusione è durissima.

«Una parola ancora. Il re Carlo Alberto avea pronunziato il fiero motto: L'Italia farà da sé. Gli eventi l'ànno smentito. La Casa di Savoia fece l'unità d'Italia con l'aiuto d'altri. Alla Francia vittoriosa essa deve la Lombardia; alla Francia

ingannata o complice deve l'Italia centrale, le Romagne, gli Stati della Chiesa, Napoli e la Sicilia; alla Francia diretta su falsa strada politica deve la Venezia; alla Prussia deve Roma. Quest'ultimo dono cancellò gli altri. La Francia per far l'Italia prodigò sangue ed oro, sacrificò la sua riputazione di lealtà e i suoi interessi. Ora, sapete voi qual simpatia ci accorda il re Vittorio Emanuele Dell'ebbrezza de'  suoi trionfi e dopo i nostri disastri? Neppure una parola. »

(Dalla Vespa di Firenze riprodotto dal Caccialepre

ENTRAMBI NON SEQUESTRATI. )

TUTTO PER FORZA!

Tutto è forzoso nel nostro regno della libertà. Noi liberi, anzi liberissimi abbiamo:

Il corso forzoso dei biglietti di banca: volere o non volere la nostra moneta debb'essere la carta unta e bisunta ove sta scritto che si cambia in moneta sonante a vista... ma a vista di chi?

La leva forzosa: volere o non volere bisogna fare il soldato. Crepate, ma mettetevi sotto le armi —siate schiavi, fate tributo forzoso del vostro sangue, e se no la nazione non sarà libera, né il governo liberale...

Il registro forzoso. Volete o non volete qualunque carta la più privata che sia debbe andare forzosamente a registro. ', se no multe a rompere, diavoli, fracassi.

L'esazione forzosa; sissignore; i municipii debbono forzosamente far da esattori all'erario; sissignore i mugnai... i mugnai? — i mugnai debbono farla da percettori forzosi esigendo il dazio sul macinato per l'erario.

I pagamenti in moneta forzosi. Questa è curiosa veramente. — Lo stato ha per moneta la carta, tutto esige e si paga con carta: ma in dogana si paga in moneta sonante; l'oro o argento, carta non se ne vuole. E ciò forzosamente, volere o non volere bisogna trovar la moneta per pagare i dazii doganali: così vuolsi lassù.

I giudizii forzosi; voi fatta una querela non potete ritirarla, non potete rappacificarvi, dovete forzosamente seguitar la lite, esiger la vendetta.

Da noi, è da ridere... da ridere! — fin s'è fatto dir messa colla forza nelle chiese in mezzo ai questurini, fin ai sono imposti colla forza i canonici in certi cattedrali; fin si sono mandati a forza al gran mercato i venditori.

Tutto in somma, tutto s'è fatto e fassi liberamente colla forza, feste, bandiere, luminarie, evviva. Ma ne sapete il perché? — Il perché è logico è naturale: essendo stati noi tutti a forza felicemente scatenati, a forza liberati, a forza j resi felici e rigenerati, è logico che ogni cosa si faccia per forza e colla forza.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Ann Neh, D. Criscè, ve voglio spià na cosa...

D. Crisc. Parlate, io vi ascolto.

Ann. Ve voglio dicere, non basta che simmo cartelliate d'ogne manera, e smognute a uso de crape, non basta l'arravuoglia-cuosemo ch'ànno fatto chille mariuole de li banchiste, mo è asciuta n'autra cosa ncampo?

D. Crisc. E che cosa è?

Ann. Tutte ste poteche de mpignature che saccio comme se chiammano Cenzia, arrobbaria, fetenzia, na cosa de cheste...

D. Crisc. Io non vi comprendo.

Ann. Non nc'è pevo surdo de chillo che non bò senti...

Caf. D. Criscè, moglierema ntenne parlà de l'Agenzia de pigne che se sò puoste pe tutte li pizze de Napole...

D. Crisc. E che volete dire con ciò?

Trov. Se me permettite ve risponno io, e ve dico, che è na vriogna pe lo governo de permettere accossì sfacciatamente na camorra prubbeca, e preparà a lo popolo n'autra arroina comme a cchelle che facettero le banche-truffe...

D. Crisc. Sentite, caro Si Tore. Se voi volete paragonare le Agenzie di pegnorazione alle banche v'ingannate, perché te Agenzie sbrigano i pegnoramenti, e le banche prendevano il danaro promettendo un interesse scandaloso... Trac. E se non è zuppa è pane nfuso...

D. Crisc. E perché?.

Trov. Pecche sti mpignature de l'Agenzia se pigliano lo 12 pe ciento a lo mese de nteresse, e se passa lo mese se venneno la rrobba...

Ann. Comme se fosse rrobba de la nasceta lloro...

D. Crisc. Ma che volete che facessero? Si comprende che il pegno è fatto per un mese, se voi non pagate, o rinnovate il pegno giustamente si vende l'oggetto pegnorato.

Caf. Ebbiva D. Criscenzo... Addonca no povero scasato de Dio à da essere pe fforza scortecato?

D. Crisc. Ed allora andate a pegnorare al Banco.

Trov. Comme se và a lo Banco, quanno chisto non tene manco officine bastante pe fa li pigne?

D. Crisc. E allora cosa vorreste? Sperare che il governo proibisca le Agenzie, ciò è impossibile, giacché ciascuno è libero esercitare quella industria che gli piace.

Ann. Comme, comme? Allora io mo vengo a la casa vosta e ve spoglio, lo governo non me po fa niente, pecché ogneduno è libero de se nnustrià comme le piace.

Caf. Pulecenella accossì decretava.

D. Crisc. Ma come vorreste fare diversamente?

Trov. Ve lo dico io; primma de tutto, mmece de permettere l'apertura de n'Agenzia lo governo avarria da cerca na garanzia a tutte chille che bonno fà li mpignature, po s'avarria nformà de la connotta de cierte tale e quale, li quale manco lo boja de la Vicaria la tene accossì... doppo de chesto, limetà lo nteresse a lo 5 pe ciento, e non già lo 12 e lo 13 pure a lo mese...

D. Crisc. Sciocchi quelli che pagano...

Caf. E ch'avarriano da fà?

Ann. Pigliarle a mazzate? E allora lo governo pecché nce stà?

Trov. D. Criscè, lo vero fatto è chisto, che nisciuno se ncarreca de le circostanzie de lo popolo. Lo governo penza a la luna e a siggere tasse; à puosto na tassa ncoppa a li registra de sti mpignature, e poco le mporta de lo riesto...

D. Crisc. No, ma à fissato anche l'interesse al 5 per cento...

Ann. Co le chiacchiere, ma nò co li fatte... e pò se dà la licenzia a tanta pastajuole, casadduoglie, e speculature de chiazza de te né le ccase de pigno senza farse dà no pigno mmano p'assecurà lo sango de le povere gente? Neh, chi v'assecura che no speculatore de chiste, quanno s'à schiaffato mmano 10, o 20 milia lire de rrobba de li gente, fa abbedè che è stato arrobbato, o s'è dato fuoco a la casa e non dà niente a nisciuno cchiù? Fuorze non è succieso? E pò, D. Criscè à da essere na bella zezzenella chesta de te né ste poteche, pecché tutte le metteno...

D. Crisc. È una speculazione...

Trov. È n'immoralità, no latrocinio giornaliero pevo de chillo de li banchiste, e no governo sapiente, aonesto e ghiusto non l'avarria da permettere... mparticolare mo che lo munno s'è scorrutto de na manera tale, che tutto è camorra e marioligio... Ma nzomma a che ghiuoco se joca? E possibele che simmo arrevate proprio a ll'ebboca de li mariuole? Stammo a Napole, o dinto a no vuosco? Avimmo governo pe guarda li nteresse de lo popolo, o nce stà sulo pe le trasse?

D. Crisc. Ma il governo non può impedire che ciascuno specoli e s'industri come può... Quando manca sarà punito.

Ann. Seh, doppo che io songo arrobbata vuje me mettite lo mariuolo carcerato, e io che n'aggio da fà? Chillo doppo quatto juorne se nn'esce e bà passianno pe la via facenno io signore, comme stammo vedenno co li banchiste, mparticolare co Scilla, Costa, e chillo faccia ngialluto de Presti che s'à puosto purzi la carrozza e ntanto Ile povere gente sò rummase mmiezo a la via...

Caf. Lo governo buono à da mpedì che succedessero sti fatte, e se lo volesse mpedì li mezze li ttene.

D. Crisc. Quali sarebbero?

Trov. Ve lo ddico io., primma de tutto nformarse de la connotta de chi vo mettere l'Agenzie; pò, farse dà na cauzione de 10 milia lire armeno, fa fà li pigne a no cchiù che no mese, e non chiù de lo denaro che tene deposetato ncoppa a la cascia de deposete e priestete pe cauzione, permettere lo nteresse de lo tre pe ciento, e ncaso de fallemiento, o arruobbo, o autro, quanno non è na disgrazia da provarese co no giudizio, l'arresto e condanna comme truffajuolo e mariuolo, e la confisca de li bene e perdeta de la cauzione; vedarrisseve comme fenarria sta camorra d'Agenzie.

D. Crisc. Questo è troppo...

Trov. Allora lo Banco, mettesse a cunto sujo tante officine de pignoramiento pe ogne quartiere... Ann. Manco chesto va buono?

D. Crisc. È troppo, non può essere, addio.

Caf. Li mariuole sanno da difennere ntra de lloro...

Trov. Ma non sempe le venerrà bona. Santa notte...

ANNO VI N. ° 150 Martedì 19 Dicembre 1871

LO TROVATORE GIORNALE DEL POPOLO

PERCHÉ QUESTO SILENZIO?

Questo silenzio apparente che fa ingalluzzire i pappagalli politici da bisca, e temere i paurosi i quali non àn fede salda in petto, perché non ànnosi formato un vero concetto della grande questione che agita i destini dell'umanità, è troppo eloquente per non doversene tener conto da chi attentamente segue il corso degli avvenimenti politici. Certo che mai come oggi l'Europa trovasi in un periodo di algidismo positivo donde uscir non potrà senza che il cannone non avesse a tuonare, dappoiché sperare in un accordo reciproco sulle profonde divergenze politiche, su gli spostamenti d'interessi, e le modifiche territoriali avvenute da 11 anni, è pur troppo vana lusinga che non può capire in mente sana. Un Congresso Europeo oggi sarebbe come un cataplasmo applicato su di un membro incancrenito... laonde riunire un Congresso per avere il piacere di dirsi in faccia Je une e le altre potenze, dopo di qui ci andremo a prendere a schioppettate, è troppo eccentrico, per non dire ridicolo... Come si potrebbe riunire un Congresso quando che varie potente che in esso sedérebbero dovrebbero venirne giudicate e condannate pei loro atti e per la loro politica?

Potrebbe un Areopago mandar buono e ratificare con un solenne trattato diplomatico i fatti compiuti dalla rivoluzione, contro dei quali esistono delle solenni riserve, poiché quei fatti anno lacerato trattati, infirmato dritti, leso leggi comuni ad ogni Nazione, portato un profondo squilibrio territoriale? Fatti compiuti dalla rivoluzione che distruggendo 15 secoli di Storia anno tolto al Pontefice la propria Sovranità e indipendenza, ferendo profondamente gf interessi morali di 200 milioni di Cattolici, ed il dritto su cui si basano e da cui provvengono i dritti di successione e di essere di tutte le monarchie legittime? Potrebbe un congresso sancire come dritto pubblico europeo, il nuovo dritto plebiscitario, e fare dei Sovrani tanti salariati dei popoli, da starne a libito dei partiti senza più quel prestigio sommo di Maestà, poiché spogliati dell'Aureola del dritto divino? Potrebbe un Congresso sanzionare con la sua autorità l'anormalità presente dello stato europeo, lasciando padrona la rivoluzione e spalancando le porte di tutti i regni alla terribile Internazionale? Potrebbe un congresso trovare modo di sodisfare le ingorde brame della Prussia senza il danno degli altri stati, annuire ai desideri della Russia senza che alcuno ne avesse a soffrire, imporre all'Austria la rinuncia di quelle terre che non sono Austriache, all'Inghilterra di lasciare Malta, e la supremazia dei mari, alla Francia di soffrirsi in pace sul capo il tacco ferrato dello Imperatore Guglielmo, al Papa di andarsene in Gerusalemme a custodire i luoghi santi? Lo potrebbe fare questo, un congresso europeo senza che quei Sovrani che ivi si riunirebero non si dessero l'ultimo abbraccio da Monarchi, per poi usciti dal Consiglio prendere ciascuno la via dello esilio? Ma che credete, cosa aspetti di meglio e di avventuroso per essa la rivoluzione che la panacea di un ibrido congresso, ove i Sovrani entrerebbero diffidenti, per uscirne giurali nemici? Non è lo scopo forse della rivoluzione quello di fomentare la discordia tra i Re, imperocché conosce che da questa discordia essa ritrae la sua forza, la sua potenza, la sua esistenza? Ma ci si obbietta. Potrebbesi riunire un congresso, e ciascun governo sacrificando al bene comune l'egoismo di un efimero bene proprio, intendersi tutti uniti sull'unico scopo di salvare la società dal cataclisma che la minaccia, e con essa salvar sé stessi...

Sublime idea è questa, anzi santo pensiero; poiché così in pochi giorni e senza gli orrori di micidialissima guerra si salverebbero governi e popoli; ma come volete sperar ciò da un Bismarck, da un Andrassy, da un Gortschakoff, da un Gladstone, da un Lanza e simile gente che mira solo a realizzare gli arcani propri disegni, e che ormai trovansi a rimorchio della setta? Per carità siamo logici, e persuadiamoci una buona volta, che al punto ove son giunte le cose, non vi può essere altro risolvente che la guerra. Se la Prussia si fermava a Sédan, l'Europa a quest'ora sarebbesi pacificata, la rivoluzione non esisterebbe più e i popoli non avrebbero a trepidare pei loro destini; ma quando il demone dell'ambizione invase Bismarck, e gl'inaspettati trionfi gli fecero smarrire la ragione, un accordo amichevole dopo, donde ne potrebbe venire un congresso, è un sogno...

Guardate un poco i trapotenti armamenti che tutt'i governi febbrilmente stanno facendo, e poi diteci se abbiamo torto ad asserire che la guerra è già stabilita per venire ad un rassetto generale europeo... Ma questo silenzio ci si soggiunge, perché? E noi rispondiamo. Questo silenzio è foriero di gravissimi avvenimenti, questa calma apparente è raccoglimento terribile, e lo stadio di preparamento in cui ogni potenza esamina le proprie forze, numera le sue risorse, forbisce le armi, e cerca annodare quelle alleanze che le potranno giovare... Oggi è il lavorio della distribuzione delle forze europee, e delle alleanze basate sugli interessi comuni. Si lavora quindi alacramente dalla diplomazia col favore di questo misterioso silenzio alla guerra. Guerra contro la rivoluzione, guerra contro le ambizioni. Sarà dopo di tale guerra ultimo retaggio della scellerata politica bonapartesca, che un congresso succederà, dappoiché allora purgati i governi ed i popoli dal veleno rivoluzionario, e conosciuto dagli uni e dagli altri quanto grande sia stato l'errore di secondare la setta, ritorneranno a vera ragione ed a quei sensi di giustizia, che formano il nesso di ogni bene per tutti, e senza dei quali è vano sperare pace.

Allora sì, governi e popoli si ricorderanno delle infallibili parole di un Vecchio Augusto da essi non creduto, non ascoltato, e senza sudare su volumi di leggi, e consultare la ghiacciata parola della storia, governi e popoli altro far non dovranno che rileggere il Sillabo di Pio IX ed ivi ciascuno dal Monarca al suddito, dal dotto all'idiota, dal padrone al servo, dall'uomo alla donna impareranno ciò che far debbono per sé e per gli altri. All'egoistica e spesso ingannatrice arte diplomatica; ai disastrosi calcoli della politica, ai. disordinati desideri delle passioni, alle gare, alle gelosie, alle ambizioni risponderà il Vicario di Cristo coll'infallibile Sillabo; e l'umanità si solleverà più forte e rigogliosa, prostrandosi pentita dinanzi all'altare dell'onnipotente Iddio, confondendosi tutti, popoli e Re in un solo amplesso, nel medesimo amore, 1 amplesso, e l'amore di Pio, l'Apostolica benedizione del Pontefice Re!!!...

LO TROVATORE.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFÈ DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, avite letto lo stato ch'à fatto la questura de li delitto fatte a Napole dinto a lo mese de novembre?

D. Crisc. No, ma m' immagino che non può esser piccolo... Che volete, caro mio, alla fine è una Città vasta...

Trov. Ma primma era pure la stessa Cità e cierte delitte non se sentevano, o se pure se sentevano erano comme a le mmosche janche, ma mo...

Ann. Mo simmo arrivate propete mmiezo a na chiaveca, o no casa de lo diavolo...

Caf. Si Tò, songo assaje li delitte de lo mese de novembre?

Trov. Songo cchiù de chille de lo mese d'ottombre, e pe ghionta nientemeno che nce stanno 71 micidie de crijature tanno nate...

Ann. Mamma mia de lo Carmene! Vuje pazziate, o dicite overo?

Trov. Pazzejo? e chesto sò ccose de pazzià?

Caf. Ma che simmo arrivate mmiezo a li sarvagge?

Ann. Autro che sarvagge; pecché io credo che a nisciuna parte nce ponno essere Mamme tanto scellarate d'accidere li figlie propie... e avevamo da essere rigenerate da lo cancaro che teneno ncuorpo pe senti chiste scenufregge...

D. Crisc. Ma che à che fare la rigenerazione con questo? è l'indole cattiva piuttosto di certa gente inclinata sempre a far male...

Trov. Ma lo male non se potarria fà, se non se fosse ncoraggiato a farlo...

D. Crisc. E chi è che lo incoraggia?

Trov. La moda de ogge, de dicere che non nce sta cchiù Dio, che la Cchiesia è na mpostura, che li prievete songo tanta speculature, e che la legge de Dio è na papocchia...

D. Crisc. Non già la legge di Dio, ma ciò che dicono i preti è una bugia...

Ann. E chello che dicite vuje è veretà, non è bero? Ah, che se fosse leceto ve volarria fa abbedè io chi songo li busciarde e fauzarie...

Caf. Certo che quanno ne' era ll'uso de fà li Cattuolece romano a li tiempe che buje chiammate barbare, sti scelleratezze, ste nfametà, non se sentevano che una quacche bota.

Trov. E mo, sò ccose usuale... che progresso?

Ann. Ma deciteme, legge nce ne stanno pe sti scellerate femmene?

Trov. Siè Nnarè, che ponno fà le legge quanno s'è perzo la religione e la morale?

Caf. Chesto è pure chello che dico io...

D. Crisc Questo è quanto vi dicono i preti per loro interesse, ma non sapete che la Civiltà e l'educazione faranno finire questi delitti.

Trov. D. Criscè, la cevirtà senza religione dà chiste frutte, e non ce pò essere vera educazione senza la legge de Dio...

D. Crisc. Voi siete dei fanatici. Addio.

Ann. E buje demmuonie nzertate a uommene che ve pozza veni na freva... Vi, che sciure de Signure, ohe cimme stevano da chelle pparte, e sò benute justo a nnabbessà a nuje...

Trov. Figliù, è castico de Dio. Santa notte.

Caf. E pecché se non fosse chesto, mo non nce sarria cchiù sta joja... ma lassammo fà a Dio!...

































Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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