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CRONACA DELLA GUERRA D'ITALIA

1861-1862

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PARTE QUINTA - 02

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RIETI

TIPOGRAFIA TRINCHI

1863

Cronaca della guerra d'Italia 1861-1862 - Parte Quinta - Rieti, 1863 - HTML - 01

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CAPO VI - Sommario Pag. 241 HTML - 01
CAPO VII - Sommario � 371 HTML - 02
CAPO VIII - Sommario � 448 HTML - 02


CAPO VI

SOMMARIO

I. RIAPERTURA DEL PARLAMENTO ITALIANO — IL BARON RICASOLI CAPO DEL GABINETTO DEPONE SUL BANCO DEL PRESIDENTE DELLA CAMBRA E DEL SENATO I DOCUMENTI DIPLOMATICI RELATIVI ALLA QUESTIONE ROMANA — I PARTITI PREPARANO ON VIOLENTO ATTACCO CONTRO IL MINISTERO RELATIVA MENTE A QUESTA QUESTIONE — TESTO DEI DOCUMENTI  — II. SEDUTE DEL PARLAMENTO  — DISCORSI DEI DEPUTATI FERRARI MASSARI E MUSOLINO,  BROFFERIO, RICCIARDI, RATTAZZI, ZUPPETTA, BUONCOMPAGNI, DE BLASIS  — RISPOSTA DEL BARON RICASOLI  — MELLANA, GALLENGA, CONFORTI, CRISPI PARLANO CONTRO IL MINISTERO  — DISCUSSIONE FRA I DIVERSI MINISTRI, E DEPUTATI DELL’OPPOSIZIONE PROPOSTA DI DIVERSI ORDINI DEL GIORNO VOTO DELLA CAMERA  — ALCUNE PAROLE SUL VOTO  — III. LA QUESTIONE ROMANA NON HA FATTO UN PASSO IL GOVERNO FRANCESE PROMETTE IL SUO 'INTERVENTO CONTRO IL BRIGANTAGGIO — ISTRUZIONI DATE AL CAPO DELL'ARMATA D’OCCUPAZIONE DI ROMA, E AL SIGNOR DI LAVALETTE NUOVO AMBASCIATORE  — SOMMA CHE HA COSTATO ALLA FRANCIA L'OCCUPAZIONE DI ROMA DAL 1849 AL 1861.

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VI.

I.

Fra l'agitazione prodotta in Europa dalla questione romana, la riapertura del parlamento italiano diventava un affare di grande importanza. l attenzione pubblica crebbe d’intensit� quando si seppe che il Baron Ricasoli, capo del gabinetto italiano aveva deposto sul banco della camera i documenti diplomatici relativi alla questione che occupava gli spiriti. Prima di porgere ai nostri lettori il testo di questi documenti, � nostro dovere farne qualche parola.

E stato la prima volta che si e veduto un problema, la cui soluzione era aspettata dal mondo intiero con tanta ansiet�, restare tanto tempo in sospeso, e il ministro d’un grande stato costituzionale astretto a deporre a titolo di documenti all’appoggio, non veri dispacci diplomatici entrati nel corso della vita e circolanti attraverso il corpo politico, ma dispacci in certo modo ideali che portavano l’indirizzo d’una persona reale, trattavano la questione pi� urgente, indicavano una soluzione positiva, e che per� non erano usciti dagli uff�zi del ministero, ove non si era fatto altro che scriverli per farli passare senza transizione sul banco d'una Camera, dove non si doveva fare che commentarli, come farebbero i filosofi speculativi sopra un capitolo dello Spirito delle Leggi, di Montesquieu.

Se d’altronde, il dispaccio al Papa era condannato a restare, almeno per il momento, nello stato di Memoria, da consultarsi, e se per essersi veduta chiusa la strada alla cancellaria romana, sia direttamente come indirettamente, esso � un manifesto al popolo italiano, e muta perci� di carattere pi� che non perda d’importanza.

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Si sente al linguaggio del Sig. Ricasoli, che non � un'ambizione gratuita che spinge l'Italia, quale gli avvenimenti l'hanno costituita, a guardare incessantemente dalla parto di Roma, e il gabinetto italiano a riclamare il possesso della citt� eterna. Se il re Vittorio Emanuele avesse qualche mezzo di far senza di Roma, possedendo il resto d’Italia, � da credere che egli si rassegnerebbe a stabilire la sua capitale fosse anche Spoleto o Perugia, anzi che porsi nell’imbarazzo di dover negoziare col mondo intiero per averne il permesso d’insediarsi al piede dei Sette Colli.

Ecco ci� che pongono in chiaro i dispacci Ricasoli. Tale � la condizione piena di pericoli che tendono a constatare. Ricasoli dichiara al governo francese che se le sue proposizioni non sono accolte a Parigi �gli effetti di tal rifiuto possono essere pi� facilmente preveduti che determinati.� Ricasoli dichiara al governo romano che se le sue proposizioni non sono accolte a Roma, non risponde che non possa scoppiare uno scisma. A Parigi come a Roma egli si dichiara impotente ad infrenare ancora per molto tempo il partito del movimento. Altri avevano gi� dipinto con energia questa situazione �d'un regno senza capitale di fronte ad un sovrano senza sudditi.� Ma ora � il ministro stesso incaricato dei destini d’Italia che parla. Si riconoscer� non abbisognare nulla di pi�, perch� i tre dispacci Ricasoli costituiscano un avvenimento grave, anche nell’impossibilit� in cui si trova il ministro italiano di far pervenire due di essi al loro indirizzo e fors'anche a cagione di questa impossibilit�.

Leggendo i dispacci di Ricasoli non si pensa solo all’Italia; si � tratti a dimandare se non usciranno dalla situazione ch'essi descrivono, tanti pericoli prossimi per l’Europa quanti imbarazzi immediati per l'Italia.

Si sarebbe detto che il parlamento italiano comprendendo bene tutta la grandezza e l'importanza di questa questione che ad esso stava per esser sottoposta, n'aggiornava la discussione e passava le prime sedute nell’esame di alcune leggi finanziarie.

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Nei circoli politici, che fervevano d’impazienza, si considerava questo ritardo come una specie di tregua, dopo la quale i partiti si dovessero finalmente battere ad oltranza.

Un certo numero di deputati delle provincie meridionali tenevano frequenti riunioni, ed avevano disposto un piano d'attacco contro il ministero: e questo consisteva nel piantar la questione del trasferimento della capitale d’Italia a Napoli subito appresso la chiusura della questione romana.

Da parte loro i deputati della maggioranza si riunirono nelle sale dell’accademia filarmonica per intendersi sulla condotta da tenere nella discussione che stava per aprirsi. Essi decisero di prestare il loro concorso al ministero ch'era invitato a mantener la politica del regno nella via ch'era stata aperta dal Conte di Cavour, e cos� bene caratterizzata nei documenti sottoposti al par lamento, e di cui ecco il testo.

LETTERA A S. S. PIO IX.

Torino 40 Settembre 1861

Beatissimo Padre,

Compiono ormai dodici anni, dacch� l'Italia commossa dalle parole di mansuetudine e di perdono uscite dalla vostra bocca, sper� chiusa la serie delle sue secolari sciagure, e aperta l'�ra della sua rigenerazione. Ma poich� i potenti della terra l'avevano divisa fra signori diversi, e vi si erano serbato patrocinio ed imperio, quindi l’opera della rigenerazione non si pot� svolgere pacificamente dentro i nostri confini: e fu necessit� ricorrere alle armi per emanciparsi dalla signoria straniera accampata fra noi, perch� le riforme civili non fossero impedite, o sino dai loro e ttrdj soffocato o distrutte.

Allora Voi, Beatissimo Padre memore di essere in terra il Rappresentante d'un Dio di pace e di misericordia, e Padre di tutti i fedeli, disdiceste la vostra cooperazione agli Italiani nella guerra,

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ch'era sacra per essi, della loro indipendenza; ma poich� Voi eravate pure Principe in Italia, cos� quest'atto arrec� loro una grande amarezza. Se ne irritarono gli animi, e fu spezzato quel vincolo di concordia che rendeva lieto ed efficace il procedere del nostro risorgimento. I disastri nazionali che quasi immediatamente susseguirono, infiammarono vieppi� l’ardore delle passioni, e attraverso un funesto alternarsi di avvenimenti deplorabili, che tutti vorremmo dimenticati, s'impegn� fino d'allora, fra la Nazione italiana e la Sede Apostolica un confitto fatale, che dura pur troppo ancora, e che certo riesce ad ambedue del pari pregiudicevole.

Una battaglia si finisce sempre o colla disfatta e la morte di uno dei combattenti o colla loro riconciliazione. I diritti della Nazionalit� sono imperituri, come imperitura per promessa divina � la Sede di San Pietro. Poich� pertanto niuno degli avversari pu� mancare sul campo, � necessario riconciliarli per non gettare il mondo in una perpetua ed orribile perturbazione. Come Cattolico ed italiano, riputai doveroso, Beatissimo Padre di meditare lungamente e profondamente l'arduo problema che il nostro tempo ci propone a risolvere; come Ministro del regno italiano reputo doveroso sottomettere alla Santit� Vostra le considerazioni, per le quali la conciliazione fra la Santa Sede e la Nazione Italiana dev'essere non pure possibile, ma utilissima, mentre apparisce pi� che mai necessaria. Cos� operando, non solo io seguo l'impulso del mio intimo sentimento e degli obblighi del mio ufficio, quanto i convincimenti de'  miei Colleghi, ma ubbidisco ancora alla espressa volont� di S. M. il Re, che fedele alle gloriose e pie tradizioni della Sua Casa, ama con pari ardore la grandezza d’Italia e la grandezza della Chiesa cattolica.

Questa conciliazione pertanto sarebbe impossibile, n� gli Italiani eminentemente cattolici oserebbero desiderarla non che dimandarla, se per ci� fosse d’uopo che la Chiesa rinunziasse ad alcuno di quei principii o di quei diritti, che appartengono al deposito della Fede ed alla istituzione immortale dell'Uomo Dio.

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Noi chiediamo che la Chiesa, la quale, come interpreto e custode del Vangelo, port� nell’umana societ� un principio di legislazione soprannaturale, e per quello si fece iniziatrice del progresso sociale, segua la sua divina missione, e mostri sempre pi� la necessit� di se stessa nella inesauribile fecondit� dei suoi rapporti con ci� che Ella ha una volta iniziato ed informato. Se ad ogni passo della societ� precedente Ella non fosse atta a creare nuove forme, sulle quali far consistere i termini successivi dell’azione sociale, la Chiesa non sarebbe un'istituzione universale e sempiterna, ma un fatto temporale e caduco. Dio � immutabile nella sua essenza, eppure � infinitamente fecondo in creare nuove sostanze e in produrre nuove forme.

Di questa sua inesauribile fecondit� diede fin qui la Chiesa splendidissime testimonianze, trasformandosi sapientemente nelle sue attinenze col mondo civile ad ogni nuova evoluzione sociale. Quelli che oggi pretendono ch'Ella rimanga immobile oserebbero essi affermare che non ha mai cambiato nella sua parte esterna relativa e formale? Oserebbero dire che la parte formale della Chiesa sia da Leone X a noi quale fu da Gregorio VII a Leone X, e che questa gi� non fosse mutata da quella che dur� da San Pietro a Gregorio VII? Sul principio fu bello alla Chiesa raccogliersi nelle catacombe alla contemplazione della verit� eterna, povera ed ignorata dal mondo; ma quando i Fedeli per la conseguita libert� uscirono all’aperto e strinsero nuovo vincolo fra loro, allora l'altare si trasport� dalla nudit� delle catacombe allo splendore delle basiliche, e il culto e i ministri del culto parteciparono a quello splendore: e all’ascosa preghiera aggiunse la Chiesa il pubblico e solenne eloquio del magistero, che gi� cominciava ad esercitare splendidamente sulle genti.

Nella confusione e nel cozzo dei varii e spesso contrarii elementi, coi quali si preparava nel medio evo l'era moderna, merc� della Chiesa il concetto cristiano si realizz� nelle relazioni di famiglia, di citt�, di Stato, cre� nella coscienza il dogma di un diritto pubblico, e nella sua legislazione ne chiar� l'uso e e sentirne i vantaggi: e allora la Chiesa divenne anco potere civile, e si fe' giudice dei principi e dei popoli.

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Ma quando la societ� si fu educata ed ebbe ammaestrata ed illuminata la sua ragione, cess� il bisogno, e col bisogno si sciolse il vincolo della tutela clericale; si ricercarono e si ripresero le tradizioni della civilt� antica, ed un Pontefice merit� per quelr opera di dare il suo nome al suo secolo.

Se dunque la Chiesa, imitando Dio suo archetipo, il quale, bench� onnipotente ed infallibile, pure modera con sapienza infinita l'esercizio della Sua Potenza in guisa che non ne soffra scapito la libert� umana, seppe finora contemperarsi, conservando intemerata la purit� del dogma, alle necessit� derivate dallo varie trasformazioni sociali; coloro che la vorrebbero immobile ed isolata dalla societ� civile, nimicandola allo spirito dei tempi nuovi, non sono essi che. le recano ingiuria, non essi che la danneggiano anzich� noi, i quali solo le domandiamo ch'Ella conservi L'alto suo magistero spirituale e che sia moderatrice nell'ordine morale di quella libert�, per cui i popoli, ormai giunti alla maturit� della ragione, hanno diritto di non ubbidire n� a leggi, n� a Governi se non consentiti da loro nei modi legittimi?

Come la Chiesa non pu� per suo istituto avversare le oneste civili libert�, cos� non pu� essere non amica dello svolgimento delle Nazionalit�. Fu provvidenziale consiglio che la gente umana venisse cos� a ripartirsi in gruppi distinti secondo la stirpe e la lingua con certa sede dove posassero e dove, quasi ad un modo contemperati in una certa concordanza di affetti e di istituzioni, n� disturbassero le sedi altrui, n� patissero di essere disturbati nelle loro proprie. Quale sia il pregio in che debbe aversi la Nazionalit� l’ha detto Iddio quando, volendo punire il popolo Ebreo ribelle alle ammonizioni ed ai castighi, metteva mano al castigo pi� terribile di tutti dando quel popolo in bal�a di gente straniera. Voi stesso l'avete mostrato, Beatissimo Padre quando all’Imperatore d’Austria scrivevate nel 1848, esortandolo a �cessare una guerra che non avrebbe riconquistato all’Impero gli animi dei Lombardi e dei Veneti, onestamente alteri della propria nazionalit�.

Il concetto cristiano del potare sociale, siccome non comporta la oppressione d’individuo a individuo, cos� non la comporta da Nazione a Nazione.

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N� la conquista pu� mai legittimare la signoria di una Nazione sovra un'altra perch� la forza brutale non � capace a creare il diritto. Non voglio in appoggio di questo vero autorit� migliore, Beatissimo Padre, delle parole solenni del Vostro Predecessore nella Cattedra di S. Pietro, Gregorio XVI: Un ingiusto conquistatore con tutta la sua potenza non �pu� mai spogliare la Nazione ingiustamente conquistata, dei i suoi diritti. Potr� con la forza ridurla shicava, rovesciare i i suoi tribunali, uccidere i suoi rappresentanti, ma non potr� i giammai indipendentemente dal suo consenso tacito o espresso �privarla dei suoi originali diritti relativamente a quei magi strati, a quei tribunali, a quella forma cio� che la costituivano �imperante.�

Gl'Italiani pertanto rivendicarono i loro diritti di Nazione, e costituendosi in regno con liberi ordinamenti non hanno contravvenuto ad alcun principio religioso o civile; nella loro fede di cristiani e di cattolici non hanno trovato alcun precetto che condannasse il loro operato. — Che essi mettendosi sulla via che la Provvidenza loro schiudeva davanti non avessero in animo di fare ingiuria alla Religione, n� danno alla Chiesa, lo prova l'esultanza e la venerazione di cui vi circondarono nei primordii del Vostro Pontificato; lo prova il dolore profondo e lo sgomento col quale accolsero l'Enciclica del 29 aprile. Essi ebbero a deplorare che nell’animo vostro anzi che consentire, miseramente fra loro si combattessero i doveri di Pontefice con quelli di Principe; essi desideravano che una conciliazione si potesse ottenere fra le due eminenti qualit� che si riuniscono nella Sacra Vostra Persona. Ma sventuratamente per proteste ripetute e per Tatti non oscuri essi ebbero a persuadersi che questa conciliazione non era possibile; e non potendo rinunziare all’esser loro ed ai diritti imprescrittibili della Nazione come non avrebbero mai rinunziato alla Fede dei padri loro crederono necessario che il Principe cedesse al Pontefice.

Non potevano gl'Italiani non tener conto delle contraddizioni nelle quali, a causa della riunione di queste due qualit� nella stessa persona, frequentemente incorreva la Sede Apostolica.

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Queste contraddizioni mentre irritavano gli animi contro il Principe, certo non giovavano a crescere riverenza al Pontefice. Si veniva allora ad esaminare lo origini di questo potere, i suoi procedimenti e l'uso; e bisogna pur confessare che quest'esame non gli tornava sotto pi� riguardi favorevole. Si considerava la sua necessit�, la sua utilit� nelle relazioni colla Chiesa. L'opinione pubblica non rispondeva favorevolmente neppure sotto quest'aspetto.

Porgendo il Vangelo molti detti e fatti di spregio e di condanna dei beni terrestri, ne meno porgendo Cristo molti avvertimenti ai discepoli, che non si abbiano da dar pensiero ne di possesso, n� d’imperio, non riescirebbe agevole trovare anche un solo dei dottori e dei teologi della Chiesa il quale affermasse necessario alI ' esercizio del suo santo ministero il principato.

Fu tempo forse, quando tutti i diritti erano incerti e in balia della forza, che all’indipendenza della Chiesa giov� il prestigio di una sovranit� temporale. Ma poich� dal caos del medio evo uscirono gli Stati moderni, e si furono consolidati colle successive aggregazioni dei loro elementi naturali, e il diritto pubblico europeo si fond� sopra basi ragionevoli e giuste, che giov� alla Chiesa il possedere piccolo regno, se non ad agitarla fra le contraddizioni e le ambagi della politica, distrarla colla cura degl'interessi mondani dalla cura dei beni celesti, farla serva alle gelosie, alle cupidigie, alle insidie dei potenti della terra? Io vorrei, Santo Padre, che la rettitudine del vostro intelletto e della vostra coscienza e la bont� del vostro cuore giudicassero soli, se ci� sia giusto ed utile e decoroso alla Santa Sede e alla Chiesa.

Intanto questo deplorabile conflitto arreca le pi� tristi conseguenze non men per l'Italia, che per la Chiesa. Il clero gi� si divide tra s�, gi� si divide il gregge dai suoi pastori. Vi hanno prelati, vescovi, sacerdoti che apertamente ricusano associarsi alla guerra che si fa da Roma al regno italiano: molti pi� vi ripugnano nel loro segreto. Le moltitudini veggono con indignazione ministri del santuario mescolarsi in cospirazioni contro lo Stato, e negare al voto pubblico la preghiera dimandata dalle Autorit�;

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e fremono impazienti quando odono dal pergamo abusata la divina parola per farne strumento di biasimo e di maledizione contro tutto ci� che gl'Italiani appresero ad ammirare e benedire. Le moltitudini, non use a distinguere troppo sottilmente le cose, potrebbero alla fine essere indotte ad attribuire il fatto degli uomini alla religione di cui sono ministri, ed alienarsi da quella comunione alla quale da diciotto secoli gl'Italiani hanno la gloria e la fortuna di appartenere.

Non vogliate, Santo Padre, non vogliate sospendere sull'abisso del dubbio un popolo intero, che sinceramente desidera potervi credere e venerarvi. La Chiesa ha bisogno di esser libera, e noi le renderemo intera la sua libert�. Noi pi� di tutti vogliamo che la Chiesa sia libera; perch� la sua libert� � necessaria ch'ella si sciolga dai lacci della politica, pei quali finora ella fu strumento contro di noi in mano or dell’uno or dell’altro dei Potentati.

La Chiesa ha da insegnare le verit� eterne coll’autorit� Divina del Suo Celeste Fondatore, che mai non Lo manca di sua assistenza; Ella deve essere la mediatrice fra i combattenti, la tutrice dei deboli e degli oppressi: ma quanto pi� docili orecchi trover� la sua voce, se non si potr� sospettare che interessi mondani la ispirano! Voi potete, Santo Padre, innovare anco una volta la faccia del mondo, Voi potete condurre la Sede Apostolica ad un'Altezza ignorata per molti secoli dalla Chiesa. Se volete essere maggiore dei Re della terra, spogliatevi delle miserie del regno che vi agguaglia a loro. L'Italia vi dar� sede sicura; libert� intera, grandezza nuova. Ella venera il Pontefice, ma non potrebbe arrestarsi innanzi al principe; ella vuol rimanere cattolica, ma vuol essere libera e indipendente Nazione. Che se Voi vorrete ascoltare la preghiera di questa figlia prediletta, guadagnerete sugli animi l'impero che avrete rinunziato come Principe, e dall’alto del Vaticano, quando Voi leverete la mano per benedire Roma e il mondo, vedrete le nazioni restituite ai loro diritti curvarsi riverenti innanzi a Voi, loro vindice e patrono.

RICASOLI.

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Lettera all’Ill.mo sig. comm. Costantino Nigra, inviato

straordinario e ministro plenipotenziario di S. M.

il Re l'Italia a Parigi.

Torino, 10 settembre 1861.

Ill.mo signor Ministro,

Dalle ultime comunicazioni che ho avuto l’onore di cambiare colla S. V. Ill.ma, Ella avr� potuto rilevare come siano incessanti e ognora pi� gravi le preoccupazioni nel governo del Re intorno alla questione romana.

Mentre il governo non si dissimula le molte difficolt� che si oppongono ad una soluzione, quale i diritti e le necessit� italiane la vogliono, per la multiplicit� e la grandezza degl'interessi che vi sono implicati, non pu� d’altro canto dissimularsi i pericoli d’una troppo lunga dilazione i quali per varie cause si vanno facendo di giorno in giorno pi� urgenti. Non vi � quasi difficolt� interna di cui l'opinione pubblica fra gli Italiani non riferisca l'origine alla mancanza della capitale, Roma. Nessuno � persuaso che possa stabilirsi un assetto soddisfacente dell’amministrazione dello Stato, finch� il centro non sia traslocato a Roma, punto egualmente distante. dagli estremi della penisola.

La logica dell’unit� nazionale, sentimento che oggi prevale fra gl'italiani, non comporta che l'unit� sia spezzata dallo inframettersi nel cuore del regno di uno stato eterogeneo, e per di pi� ostile. Poich� bisogna pur dire che le impazienze legittime della nazione pel possesso della sua capitale sono attizzate dal contegno della curia romana nelle cose di Napoli. Non insister� su questo punto, sul quale la S. V. ebbe le pi� ampie informazioni nel mio dispaccio circolare del 24 agosto decorso, ma richiamer� la sua attenzione sugli argomenti che ne emergono in favore di una pronta risoluzione degli affari di Roma.

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Il governo del Re peraltro, se da un lato sente questa urgenza, non ha dimenticato dall’altro gl'impegni presi con se stesso e in faccia all’Europa colle sue solenni dichiarazioni. E se anche queste non fossero, egli gi� sarebbe per proprio sentimento persuaso del dovere di procedere con ogni rispetto verso il Pontefice, in cui venera il capo della cattolicit�, e con ogni riguardo verso S. M. l'Imperatore dei francesi nostro glorioso alleato, il quale colla presenza delle sue truppe intendo guarentire che la sicurezza personale del Papa e gl'interessi cattolici non soffrano nocumento.

Ritenuto pertanto degl'Italiani l'incontestabile diritto di aver Roma che appartiene alla Nazione, e per conseguenza nel Governo Italiano l'imprescindibile dovere di condurre le cose a questo termine; dirimpetto all’attitudine della unanime pubblica opinione; per evitare gravi disturbi ed impeti inconsiderati sempre deplorabili anco se prevenuti o repressi, il Governo ha stimato di fare un ultimo appello alla rettitudine della mente e alla bont� del cuore del Pontefice per venire a un accordo sulle basi della piena libert� della Chiesa da una parte, abbandonando il Governo Italiano qualsivoglia immistione nelle materie religiose della rinuncia dall’altra del potere temporale.

La S. V. trover� allegata in copia la lettera, che per ordine espresso di S. M. ho avuto l'onore d’indirizzare su questo proposito alla Santit� del Papa Pio IX. La S. V. si compiacer� communicare questo documento al Governo di S. M. l'imperatore dei Francesi presso il quale Ella � accreditato, pregandolo innanzi tutto che voglia commettere al Rappresentante del Governo imperiale a Roma, di far pervenire alle mani di Sua Santit� l'indirizzo qui acchiuso e il capitolato annesso. La mancanza di ogni rapporto diplomatico fra il Governo Italiano e la Santa Sede non ci permette di far pervenire al Santo Padre in modo diretto questi due documenti. Ne la irritazione degli animi che disgraziatamente esiste a Roma verso di noi, permette nemmeno d’inviare col� a questo fine una missione straordinaria, con la quale la Corte Romana ricuserebbe probabilmente ogni specie di rapporto.

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La benevola mediazione della Francia � adunque indispensabile affinch� i due documenti sopraccennati possano giungere fino alle mani di Sua Santit�, e possa in tal guisa sperimentarsi anche questo modo d’intelligenza e d’accordo.

I benefizi di una conciliazione sono tanto grandi ed evidenti per tutti, che io nutro fiducia che in contemplazione della possibilit� dei medesimi, il Governo di S. M. l'Imperatore si compiacer� di aderire al desiderio del Governo Italiano.

Ella vorr� inoltre ricordare che nella mia Nota del 21 giugno al conte di Gropello io dichiarava che, lasciando alr alto senno dell'Imperatore di stabilire il momento opportuno in cui Roma senza pericolo potesse lasciarsi a se stessa, noi ci saremmo fatto un dovere di facilitare la soluzione di quella quistione colla speranza che il governo francese non ci avrebbe rifiutati i suoi buoni uffici per indurre la Corte di Roma ad accettare un accordo che sarebbe fecondo di fauste conseguenze alla Religione e all’Italia.

Ella � incaricata pertanto d’invocare i buoni uffici cui qui si accenna, non solo perch� la nostra preghiera pervenga al Santo Padre, ma eziandio perch� sia presso di lui efficacemente patrocinata. Nessuna voce pu� essere pi� autorevole a Roma, n� con pi� condiscendenza ascoltata di quella della Francia, che veglia col� da dodici anni colla sua possente e rispettata tutela.

Mentre la S. V. avr� cura di esprimere al Governo di S. M. I. quanto sia piena la nostra fiducia nelle sue benevoli disposizioni e nella efficacia della sua intromissione in questo rilevantissimo affare, Ella vorr� ancora far sentire che il Governo del Re, se quest'ultimo tentativo per disavventura venisse a fallire, si troverebbe avvolto in gravissime difficolt�; e che, malgrado tutto

l suo buon volere per temperare le dolorose conseguenze che potessero emergere da un rifiuto della Curia romana sia nell'ordine religioso, sia nell’ordine politico, non potrebbe impedire per� che lo spirito pubblico degli Italiani non venisse vivamente e profondamente a commuoversi.

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Gli effetti di una ripulsa si possono pi� facilmente prevedere che calcolare, ma � certo che il sentimento religioso negli Italiani ne riceverebbe una grandissima scossa, e che lo impazienze della nazione, che finora sono contenute dalla speranza di una risoluzione pi� o meno prossima, diverrebbero molto difficilmente frenabili.

Innanzi di por fine al presente dispaccio io credo non inutile prevenire un obbietto, che forse potrebbe venirle fatto riguardo alla forma seguita in questa grave occorrenza. Pu� sembrare a taluni non conforme agli usi, alle tradizioni e fors'anche alla riverenza, che l'indirizzo rivolto al Sommo Pontefice sia firmato da me, anzich� da S. M. il Re Nostro. Questa deviazione dalle pratiche generalmente accettate riconosce due cause. Prima di tutto � da sapersi, e V. S. Ill.ma non lo ignora per certo, che in altre occasioni analoghe a quella in cui ci troviamo, S. M. si e personalmente indirizzata al Papa, e, o non ne ha ricevuto risposta, o ne ha ricevuto di tal genere da recare offesa alla dignit� regia. Non era dunque possibile dopo tali precedenti esporre a nuovo pericolo di offese il decoro del nostro Sovrano. E sembrato di pi� al Governo del Re che in una occasione in cui rispettosamente si rivolgo la parola al Sommo Pontefice a nome della Nazione Italiana, l'interprete consueto delle deliberazioni del Potere esecutivo, che soprattutto in assenza del Parlamento Italiano, si � quello che rappresenta la Nazione medesima, dovesse pure esser quello che si faceva interprete dei voti e de'  suoi sentimenti.

Autorizzo la S. V. a dar lettura e rilasciar copia del presente e della lettera per S. S. a S. E. il ministro degli affari esteri.

RICASOLI.

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Lettera a Sua Eminenza il cardinale Antonelli

Segretario di Stato di S. S.

a Roma

Torino, il 10 settembre 1861.

Eminenza

Il governo di S. M. il Re Vittorio Emanuele, gravemente preoccupato delle funeste conseguenze che, tanto nell’ordine religioso quanto nell’ordine politico, potrebbero derivare dal contegno assunto dalla Corte di Roma verso la nazione italiana e il sno governo, ha voluto fare appello ancora una volta alla mente ed al cuore del Santo Padre, perch� nella sua sapienza e nella sua bont� consenta ad un accordo, che lasciando intatti i diritti della nazione, provvederebbe efficacemente alla dignit� ed alla grandezza della Chiesa.

Ho l'onore di trasmettere alla Eminenza Vostra la lettera che per ordine espresso di S. M. il Re, ho umiliata alla Santit� del Pontefice.

Per I ' eminente sua dignit� nella Chiesa, pel luogo cospicuo che ha nell’amministrazione dello Stato, non meno che per la fiducia che S. S. in Lei ripone, Ella meglio di ogni altro potrebbe porgere in questa occasione utili ed ascoltati consigli.

Al sentimento dei veri interessi della Chiesa non pu� non accoppiarsi nell’animo dell’E. V. il sentimento della prosperit� di una nazione, cui ella appartiene per nascita, o quindi spero che si studier� di riuscire in un'opera che la far� benemerita della Santa Sede non solo, ma di tutto il mondo cattolico.

RICASOLI.

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A queste note era aggiunto il progetto i" accomodamento con la santa sede, concepito in questo parole:

Art. 1. Il Sommo Pontefice conserva la dignit�, la inviolabilit�, e tutte le altre prerogative della Sovranit�, ed inoltre quelle preminenze rispetto al Re ed agli altri sovrani, che sono stabilite dalle consuetudini.

I Cardinali di Santa Madre Chiesa conservano il titolo di principi e le onorificenze relative.

Art. 2 il Governo di S. M. il Re d’Italia assume l'impegno di non frappore ostacolo in veruna occasione agli atti che il Sommo Pontefice esercita per diritto divino come capo della Chiesa, e per diritto canonico come Patriarca d’Occidente a Primate d’Italia.

Art. 3 Lo stesso Governo riconosce nel Sommo Pontefice il diritto d’inviare i suoi Nunzi all’estero, e s'impegna a proteggerli, finch� saranno sul territorio dello Stato.

Art. i II Sommo Pontefice avr� libera comunicazione con tutti i Vescovi e i Fedeli, e reciprocamente senza ingerenza governativa.

Potr� parimenti convocare, nei luoghi e nei modi che creder� opportuni, i Concilii e i Sinodi ecclesiastici.

Art. 5 I Vescovi nelle loro diocesi e i Parrochi nelle loro parrocchie saranno indipendenti da ogni ingerenza governativa Dell’esercizio del loro ministero.

Art. 6 Essi per� rimangono soggetti al diritto comune quando si tratti di reati puniti dalle leggi del regno.

Art. 7 S. M. rinuncia ad ogni patronato sui benefizi ce clesiastici.

Art. 8 Il Governo italiano rinuncia a qualunque ingerenza nella nomina dei Vescovi.

Art. 9 Il Governo medesimo si obbliga di fornire alla Santa Sede una dotazione fissa ed intangibile in quella somma che sar� concordata.

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Art. 10 Il Governo di S. M. il Re d’Italia, all’oggetto chn tutte le potenze e tutti i popoli cattolici possano concorrere al mantenimento della Santa Sede, aprir� con le potenze istesse i negoziati opportuni per determinare la quota, per la quale ciascheduna di esse concorre nella dotazione di cui � parola nell'articolo precedente.

Art. 11 Le trattative avranno altres� per oggetto di ottenere le guarentigie di quanto � stabilito negli articoli antecedenti.

Art. 12 Mediante queste condizioni il Sommo Pontefice verr� col Governo di S. M. il Re d’Italia ad un accordo per mezzo di commissari che saranno a tale effetto delegati.

Fece maraviglia il non vedere con questi documenti la nota del governo francese in risposta a quella con cui il C. Nigra doveva aver domandato all’Imperator Napoleone il suo appoggio in favore delle proposizioni fatte alla S. Sede. Ma la stampa officiale e semiofficiale non avendo fornito a questo soggetto alcuno schiarimento, noi li abbiamo cercati, e li porgiamo quali li abbiam potuti avere.

Stando alle informazioni che abbiamo potuto raccogliere, la nota che desidererebbesi mandata alla luce non poteva essere perch� non esisteva; tutto avvenne per trattative verbali. In tal guisa le proposte non furono officialmente communicate, ne il rifiuto fu partecipato per via diplomatica. La trattativa rimase allo stato di progetto; eccone in succinto tutte le fasi:

Le proposte al Santo Padre, appena compilate furono trasmesse, brevi mano al signor Benedetti, che le aveva gi� discusse in massima e approvate. Il signor Benedetti le rec� in persona a Parigi, e le fece vedere al ministro Thouvenel, il quale pure le giudic� molto eque e convenienti, ma non volle assumere la responsabilit� di riceverle officialmente, riserbandosi di riferirne all’imperatore, che allora era a Biarritz.

257

Ritornando a Parigi l'Imperatore, obbiett� verbalmente che la dichiarata volont� del Papa di non aderire ad alcuna transazione gli faceva prevedere l'inutilit� d’ogni passo che egli avesse tentato in questo senso; che d’altronde, se la Francia si fosse assunta la parte di mediatrice, si sarebbe in qualche maniera impegnata a patrocinare le proposte italiane, e il suo decoro esigerebbe che avesse per lo meno la probabilit� di riuscire; ci� stante, l'Imperatore trovava opportuno di declinare l’incarico.

Un articolo del giornale francese semiofficiale La Patrie viene in appoggio di questi indizi. Noi per questo crediamo di doverlo citare.

Abbiamo riprodotto i documenti sottoposti al Parlamento italiano dal sig. Ricasoli. Avvi nell'insieme di questi atti un programma politico e un negoziato.

�II programma politico interessava l’Italia, il Papato ed il mondo cattolico, giustamente preoccupato dal grave problema dei destini temporali di Roma.

�Il negoziato era intavolato colla Francia, l’unica dello potenze che per la sua situazione, la sua sollecitudine per la libert� italiana e il suo affetto alla Santa Sede, potesse farsi un intermediario tra la corte di Roma e il gabinetto di Torino.

�Era un esposizione precisa della politica rappresentata dal sig. Ricasoli nei consigli della corona e d’innanzi al Parlamento, politica che condanna in nome della libert� d’Italia il potere temporale del Papato, e che vuol sostituire alla maest� secolare di Roma la nuova grandezza del regno posto sotto la corona di Vittorio Emanuele; era pure un tentativo solenne fatto presso il governo imperiale per impegnarlo in vie in cui avremmo incontrato la diserzione degl'interessi superiori e d’influenza nazionale che difendiamo da dodici anni al di l� delle Alpi.

258

�Ebbene, l'accoglienza falla alla pratica del cav. Nigra dal governo dell’Imperatore, ed il suo rifiuto di aderire alle condizioni esposte nel progetto d’articoli, attestano che la Francia, nella moderazione perseverante de'  suoi sentimenti, non ha rinunziato a cercare il punto di transizione che deve riunire in un pensiero comune l'Italia liberata ed il papato indipendente.

�In questa fase della questione italiana, in cui tenta vasi di risolvere, mediante una pressione della Francia sulla politica della corte di Roma, il problema dei destini della Penisola in un modo definitivo, ma ad un punto di vista esclusivamente italiano, i consigli del nostro paese sono dunque rimasti conformi agl'interessi tradizionali della nostra politica, alla nostra missione, ai nostri doveri di potenza cattolica ed alle inspirazioni generoso che hanno fatto dei nostri soldati i vendicatori della libert� d’Italia.

�I documenti deposti dal sig. Ricasoli davanti al Parlamento sono la conferma eloquente d’una situazione che noi abbiamo sempre cos� rappresentata ai nostri lettori e che non pu� oggi lasciar dubbj ad alcuna mente imparziale.

�E non si prenda abbaglio, il rifiuto della Francia di accettare d'innanzi all’Europa la solidariet� delle proposte italiane non significa che il nostro paese sia nel 1801 meno devoto che non fosse nel 1859 alla gran causa dell’affrancamento completo dell’Italia; ben lungi dell'aver voluto dare, nella sua attitudine, un pegno a speranze reazionarie condannate egualmente fra noi dalla coscienza pubblica e dalla nostra gloria nazionale. La Francia respinse il programma di Ricasoli, perch� non vide in quest'atto le condizioni essenziali allo sviluppo della libert� italiana; e guarentigie durevoli dell’ordinamento della penisola.

�Prima come dopo questi documenti, i quali non saranno nella storia della diplomazia italiana che un sterile sforzo, il problema che si rannoda ai destini di Roma citt� italiana e capitale del mondo cattolico, rimane intero dinnanzi all’opinione o nella preoccupazione degli uomini veramente politici.

259

�Roma abbandonata alle impazienze che tentano di pesare sulle determinazioni del gabinetto di Torino e che sollecitano ma invano le risoluzioni del governo imperiale non semplificherebbe forse la questione difficile d’ordine pubblico e di libert� che gli uomini di Stato deggiono risolvere al di Ih delle Alpi, e allontanando dall’Italia l'influenza e la mano della Francia essa abbandonerebbe l'indipendenza italiana a formidabili eventi e lascierebbe sussistere tutte quante le difficolt� superiori che riguardano la costituzione del papato e i rapporti di questa grande costituzione cogli interessi dell’ordine europeo.�

Fu nella seduta del 20 Novembre che il Presidente del consiglio, Baron Ricasoli depose questi documenti diplomatici sul banco del presidente della camera. In questo giorno le tribune erano piene: in quella del corpo diplomatico si notava i signori Benedetti, ministro di Francia, il conte Brassier di Saint Simon, ministro di Prussia, Marsh, ministro degli Stati Uniti, gl'incaricati d'affari di Svezia, d'Olanda, del Portogallo, del Belgio, nonch� altri personaggi diplomatici e signore.

Ricasoli, presidente del consiglio dei ministri ba la parola. Il governo del re, egli dice, s'affretta a comunicare ai rappresentanti della nazione qui adunati quello eho esso ba fatto per risolvere la quistione romana.

�Era pure mio scopo di giungere al grande risultato che ardentemente desiderava ottenere l'uomo eminente che noi abbiamo recentemente perduto: Chiesa libera in libero Stato. Non potevamo un solo istante pensare a risolvere questa importante quistione con mezzi violenti; d’uopo era adunque che il nostro intermediario fosse il rappresentante della Francia a Roma.

�I documenti che io depongo in quest'istante sul banco della presidenza sono relativi ai passi che sono stati fatti coll'intermezzo dell’ambasciatore francese a Roma presso la Santa Sede, passi che sventuratamente fino a quest'ora non riuscirono.

260

�Il governo noi lo dichiariamo altamente, non rinuncia di raggiungere la sublime meta della completa costituzione del regno d'Italia; ma per risolvere la quistione romana, bisogna che il nostro procedere sia lento e moderato, perciocch� noi siamo anzi tutto una nazione cattolica, e dobbiamo molti riguardi al Capo della Chiesa. Noi andremo a Roma, ma vi andremo per una strada sicura, e senza che l'Europa possa disapprovare il nostro procedere o intimorirsi d� noi.

(Questo discorso fu ascoltato con religioso silenzio.)

Lo stesso giorno avanti al Senato il ministro parl� cos�:

�Credo bene dover soddisfare la giusta ansiet� vostra. Il ministero, dopo la sua dichiarazione essere necessaria Roma all'Italia, ma non doversi occupare con violenza e contro il consenso della Francia, credette rendersi interpetre della nazione col fare studiare la questione e cercare il modo di ottenere Roma conservando la libert� della Chiesa. Compose pertanto a questo scopo un progetto, e lo offerse allo studio del nostro alleato, affinch� questi si facesse come mediatore presso il Santo Padre, essendo sgraziatamente interrotte con esso le nostre relazioni.

 Le circostanze non permisero all'Imperatore dei Francesi di accedere alle nostre dimande, e manifestandoci sempre la sua simpatia ci consigli� ad attendere, non essendo ora tali le disposizioni del Santo Padre che si possano fare pratiche con lui. Il progetto fu maturato: trattasi di una questione morale e politica, e sono necessarie molte trattative. Solo col mezzo di una pacata discussione si potranno superare le difficolt�. Gli amici dell’Italia vogliono l'indipendenza del Santo Padre, senzach� egli abbia il potere temporale. Vuolsi provare ci� esser utile allo stesso papato. Tranquillate le coscienze, le difficolt� si vinceranno.

Il re e la nazione sono interamente cattolici, e dovevasi studiare la quistione e mostrare che la libert� della Chiesa e dello Stato sono altamente conciliabili.

261

L'Europa del resto conosce la necessit� dei tempi. Se per ora non potemmo conseguire il nostro intento, il ministero crede tuttavia aver compiuto un'opera altamente vantaggiosa.

, Il Presidente del Consiglio depone quindi i documenti relativi alla questione di Roma, ed un trattato di navigazione e di commercio fra il regno d’Italia e la repubblica di S. Salvador.

Il Presidente d� atto al Senato della comunicazione di on Indirizzo al Santo Padre, seguito da parecchi altri documenti relativi o tale questione.

II.

Parecchi giorni passarono dopo questa seduta senta che la camera s’occupasse dell’esame di questi documenti. Il 2 Dicembre finalmente l’ordine del giorno port� le interpellanze sulle questioni di Roma e di Napoli. Noi proveremo di riportare esattamente, secondo che abbiamo fatto per le sessioni antecedenti, i dettagli di queste importanti discussioni, nelle quali i agitava non solamente l’interesse d’Italia, ma quello altres� del mondo cattolico.


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Pres. TECCHIO, V. P.

La seduta � aperta a un’ora e 20 minuti.

Tutte le tribune, quelle del Senato, del corpo diplomatico delle signore, le tribune pubbliche, sono letteralmente teppe di spettatori.

Ferrari Non ha molto vi compiaceste di porgermi ascolto: io vi chiedo di prestarmi la stessa attenzione di cui mi fu benigno Cavour, quando gli faceva opposizione.

Questo grand’uomo amava la polemica e quando io gli diceva ch’io non credeva possibile, come egli pretendeva, di far di Roma la capitale dell’Italia non cess� di ascoltarmi con benevolenza.

Il conte di Cavour esercitava allora una grande influenza; era il Mos� dell’Italia. Adesso non vivo pi� che nel tempio della Gloria.

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Noi che viviamo nella realt� dobbiamo chiedervi ragione di ci� che avete fatto per giungere al grande risultato che il conte di Cavour vi ha lasciato il dovere di compiere.

Che avete voi fatto per questo? avete scritto tre lettere, in una delle quali voi dite che Roma vi converrebbe assai come capitale per molto ragioni. Qual conto il governo francese poteva esso fare della vostra missiva? Io posso benissimo dire quale pot� essere il pensiero dell’Imperatore ricevendo la vostra lettera. In Francia, la libert� dei culti esiste piena ed intiera; ora quale sar� stato il vero intendimento del discendente di Carlo Magno intorno al documento diplomatico del presidente del Consiglio? Invero debbo confessare che deve averlo trovato assai debole. Io voglio essere calmo nella discussione, e discuter� col sig. Ricasoli come farei con un monaco di Monte Cassino. (Si ride)

Roma appartiene a S. Pietro, a S. Damiano e a parecchi altri santi; ora perch� il nostro presidente del Consiglio vuol egli usurpare la patria dei santi?

Nel vostro memorandum non dovevate attaccare le dottrine della Chiesa, ma dovevate parlare della sicurezza pubblica compromessa, della pace civile turbata. Nella sua argomentazione il ministro enunzi� la famosa idea: �la Chiesa libera nello Stato libero;� ora noi non abbiamo n� libert� della Chiesa, n� libert� nello Stato. Lo Stato libero non ha n� imposte, n� carichi, n� impedimenti di culti. La Chiesa non � pi� libera dello Stato, essa nol fu che a Roma nel medio evo; perci�, lo ripeto non dobbiamo parlare di queste due libert�.

Nel 1109, il papa Pasquale II e l’imperatore Enrico dopo cinquant’anni di guerra, fecero una pace la cui condizione principale fu la rinunzia, da parte del papa, a tutte le donazioni di Pipino e Carlomagno; egli si spogliava in una parola del dominio temporale, ma tenea a nominare i vescovi. Era un tradimento; esso fu disvelato e l’Imperatore fece imprigionare il pontefice. In fatti colla nomina dei vescovi egli aveva per s� il regno delle anime e con questa potenza, avrebbe bentosto trionfato dell'Imperatore.

263

L'equilibrio del Piemonte fu distrutto dal momento che Cavour ebbe dichiarato Roma capitale dell’Italia. Fu un vero sconvolgimento geografico che ha mutato tutto. Ma con Roma voi stabiliste anche il sillogismo della nostra dipendenza. Voi diceste: senza Roma non v’� Italia; ora Roma, dipende dall’Imperatore de’   Francesi; dunque io non conchiudo (sensazione).

Dopo Novara, il Piemonte torn� nella lotta con una nuova guerra avendo a fianco la Francia. Noi siamo gi� 22 milioni, ma non abbiamo finito di guerreggiare e noi dobbiamo coll'aiuto delle leggi e coll’aiuto del governo sforzarci a diventare cos� felici che gli altri Italiani siano desiderosi di appartenere al nostro Stato (approvazioni).

In vece noi vediamo una citt� di 500 mila anime ridotta a condizione assai misera. Voi mandaste col� uomini che avevano certamente ottime intenzioni, ma che non so ne intendevano. Voi distruggeste l’equilibrio; voi faceste nascere il brigantaggio. Certo io ho fede nella Francia; credo che il glorioso cammino il quale ci condusse a Montebello, a Magenta, a Solferino sia sempre aperto, ma non bisogna chiudere quello non meno glorioso che ci condusse a Palermo e a Marsala, (bravo)

L’oratore si riposa per cinque minuti.

Ferrari, ripigliando la parola, comincia a dipingere con colori assai vivi il brigantaggio e le sue devastazioni nelle provincie napoletane; egli crede che si dovrebbe lasciare che il principio della libert� termini l’opera sua, questo principio che ha guadagnato quelle provincie alla causa italiana saprebbe conservagliele; � questa la forza che debbo agire. Il brigante � sempre spregevole; nessuno gli pu� fare buon viso ma quale mostrasi nelle napoletane, esso � abbastanza potente perch� sia pi� che difficile. quasi impossibile alla truppa regolare di venirne a capo, alla truppa regolare che non � appoggiata dalla polizia.

L’oratore continua citando parecchi fatti di brigantaggio per meglio dipingere la situazione.

264

Io era a Napoli, aggiunge il sig. Ferrari, e non si sapeva ancora nulla di esatto sulla catastrofe di Ponte Landolfo che aveva avuto luogo da dieci giorni.

L’oratore racconta le uccisioni e gl’incendi commessi dai briganti in quel villaggio che egli stesso ha visitato. Egli rammenta che aveva domandato ad un’altra epoca, di non precipitare l’annessione, egli aggiunge che ha diritto di chiedere conto del sangue dei nostri soldati. Quando egli visit� le citt� di Napoli, di Palermo e di Siracusa, dappertutto lo hanno condotto sui luoghi ed in mezzo alle rovine che portavano le tracce della lotta e della vittoria contro la tirannia borbonica. In tal modo, dice egli, quelle popolazioni mi attestarono la loro devozione alla patria ed alla libert�. (Approvazione)

L'oratore termina il suo discorso esortando i ministri a governare con giustizia, ma appoggiandosi sempre sulla libert�. (Applausi sui banchi della sinistra.)

Alfieri non crede che il presidente del Consiglio abbia seguito la via che il conte Cavour aveva consigliato agl'Italiani di percorrere per giungere al risultato dell’unit� Italiana. Gli pare che il sig. Ricasoli abbia rovesciato tutto il sistema; perocch� il conte di Cavour voleva che Roma appartenesse all’Italia, come coronamento del grande editi/io nazionale, mentre Ricasoli vorrebbe dapprima ottenere la citt� eterna per giungere in seguito, mediante il suo possesso, a terminare l’opera dell’unificazione. In seguito l’oratore si applica a dimostrare che egli non crede che Roma sia necessaria per fare l’Italia; che Roma contiene, al contrario, degli elementi oppostissimi a questo risultamento.

La debole voce dell’oratore impedisce di ben intendere. Egli sostiene che non bisogna offendere il principio del cattolicismo, e si sforza di dimostrarne l’alta influenza; egli crede che i vantaggi che si otterrebbero coll’andare a Roma non compenserebbero i pericoli che potrebbero risultarne.

Sembra che Alfieri rimproveri al governo di non aver pensato anzitutto a ristabilire l’ordine e la pace all’interno, il che gli avrebbe cattivato la fiducia dell’Europa, prima di pretendere al possedimento pacifico della citt� eterna.

265

L’oratore dopo di essersi riposato per alcuni momenti, annunzia che si occuper� del ministero dell’interno. Egli crede che, d’accordo col ministro dei culti, il ministro dell’interno penser� a riparare gli errori commessi a detrimento delle corporazioni religiose, corporazioni che hanno reso in altri tempi cosi grandi servigj alla civilt�.

L’oratore finisce tuttavia con dichiarare che egli riconosce negli uomini componenti il gabinetto molto patriottismo ed alte capacit�, e spera che le spiegazioni che essi forniranno sui loro atti saranno tali che egli potr� dar loro un voto di fiducia.

Massari Il Sig. Ferrari aveva ragione dicendo che il conte di Cavour ascoltava con molta pazienza i ragionamenti de’   suoi avversarii, per parte mia, domando la medesima benevolenza a’ miei avversarii.

Quanto alla questione di Roma, io credo nel punto del diritto, noi non abbiamo pi� a discutere; in una delle sedute della prima parte di questa sessione la Camera si � pronunciata Mi questo punto.

Il governo ha agito come doveva per ottenere il risultato che ci eravamo proposti?

Quanto a mo io rispondo affermativamente. La longanimit� di colui che sostiene una causa giusta torna a suo vantaggio e non nuoce, che a’ suoi avversarii. La questione romana non � di natura tale da essere risoluta colla forza; essa � religiosa, ma politica.

Osservate chi sono coloro i quali in Europa sostengono il dominio temporale del Papa, e vi persuaderete che la questione � tutta politica. Se la Francia continua a mantenere le valenti sue truppe a Roma, � per proteggervi Pio IX, non per proteggervi gli altri. Non bisogna ammettere la funesta formula: O tutto, o niente. Guai a noi se vogliamo agire secondo questo principio.

Ci� che ci abbisogna � una buona amministrazione interna. io comincer� per dichiarare che non esiste una questione napoletana, ma che esiste una questione d’amministrazione interna italiana e non altro. Molti de’   nostri colleghi prima di far ritorno a sedere su questi banchi, poterono intrattenersi co’   loro elettori, e sentire i loro richiami.

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Io non negher� che non esista del malcontento a Napoli. Qual ne � la causa? Primieramente la funesta eredit� lasciata dal governo scaduto: la reazione, le vendette erano quasi inevitabili. Anche il modo con cui s’� operato il cambiamento di governo a Napoli ha contribuito a questo malcontento.

Il governo del Re si � trovato a Napoli dal principio innanzi a molte difficolt�, quelle provenienti dall’antico governo e queste suscitate dalla rivoluzione.

Non gli si potrebbe troppo fargli un rimprovero se in certi momenti si lasci� pressoch� fuorviare.

Il brigantaggio dal mese di maggio, � diminuito (rumori; denegazioni sui banchi della sinistra).

Massari Noi tutti abbiamo i nostri ragguagli, io ho i miei, e posso affermare che il brigantaggio va diminuendo… (Interruzione dalla parte sinistra).

Il Presidente, volgendosi verso la sinistra; elleno negheranno quando avranno la parola per rispondere.

Continui l’on. Massari.

Massari dice che il brigantaggio � un’importazione dall’estero, e che le nostre valorose truppe ebbero il vantaggio in qualunque scontro.

Alcune voci E Chiavone?

Massari. Chiavone � italiano; ma i Borges, i Langlois ed altri nol sono. Quanto alle finanze si � detto che Napoli mandava in tutto il suo denaro al Piemonte; ora, io ho ricevuto questa mattina un rapporto del segretario generale delle finanze a Napoli che prova precisamente il contrario; vale a dire che � di qua che si mandano forti somme a Napoli.

L’oratore cita la cifra di 2,600,000 fr. rimessi a Napoli per colmare il deficit del bilancio 1861.

Ma lasciamo le cose, e parliamo delle persone. Io comincer� col dire alcune parole d'una certa consorteria. (Risa, interruzioni).

Massari. Io comprendo l’ilarit� che ora ho sollevata; bisogna che io entri in quest’argomento, perch� si � attribuita ogni sorta di cattive influenze a questa consorteria.

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E pertanto gli uomini che sono stati designati per farne parte sono quelli che nulla ricevettero dal governo, o che, se avevano impieghi, gli hanno rassegnati. Si potr� dire che in quistione io parlo come Cicerone, pro domo sua (si ride; nuovamente interruzione).

Uno de’   miei rispettabili amici, l’onor. Minghetti, (si ride) non � pi� popolare a Napoli di quello ch’io nol sia, (risa, nuove interruzioni), ed � poco amato nelle provincie meridionali perch� viene accusato d’essere il pi� terribile dei centralizzatori (diniego sui banchi della sinistra).

Lazzaro. Domanda la parola per un fatto personale.

Il Presidente. Ella l’avr� pi� tardi.

Massari aggiunge che voter� in favore del governo, poich� egli crede che gli errori commessi gli ha commessi di buona fede. (lunga interruzione). Conchiude dicendo che bisogna seguire questo principio: Nulla per se, tutto perla patria!

Lazzaro, che ha la parola per un fatto personale, dice esser vero che aveva promesso a’ suoi elettori di combattere Marco Minghetti, e dichiara esser venuto alla Camera con intenzione di mantener la promessa (risa interruzione); � questa la mia idea. L’on. Minghetti, durante la sua amministrazione nelle provincie napoletane, agi contrariamente a quanto aveva stabilito il Plebiscito (dinieghi).

Musolino comincia col dichiarare che sar� diffuso: dice versi sapere non esservi gran fiducia nell'alleanza francese; il governo poter continuare a negoziare, ma dovere star pronto ad agire, poich� una nazione di 24 milioni deve sapere ci� che vuole, e pu� essere in istato di raggiungere lo scopo.

Non bisogna che l’Italia vada sempre mendicando il soccorso di questa o di quella potenza; bisogna che essa cominci a camminar da s�. Molto tempo si � perduto vagheggiando vane speranze; � l’ora di tenere una condotta pi� degna e pi� ferma. �, secondo l’oratore, uno sconcio imperdonabile dello spirito italiano d’esser sempre appassionato ammiratore dello straniero e specialmente della Francia. Sono vecchi amori, e pertanto quando io parlo della Francia intendo del governo, fu egli mai favorevole all’Italia?

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Musolino cita le date in cui la Francia fu funesta all’Italia; tra queste date ricorda il 1860 e il 1861. (Bisbigli e denegazioni).

Musolino Lasciatemi dire, previdi tutte le difficolt�, vi dar� delle spiegazioni molto dettagliate.

L’oratore fa la storia del l’influenza francese sugli avvenimenti Italiani nel 1790, 1804-31-48 e 49 e tende a provare che la Francia ha un vivo interesse acch� l’Italia non sia unita n� forte.

Mauro Macchi. Domando la parola.

Musolino dice che l’Italia si � sempre sacrificata per la Francia; essa ha combattuto in tutte le battaglie dell’Impero, e allorquando la stella di Napoleone I impallid�, solo gl’italiani gli restarono fedeli. L’Italia diverr� grande alla sua volta, colla saviezza delle sue istituzioni, colla sua industria e colla sua forza; allora essa dar� alla Francia la sua libert� (Segni di stupore).

Dal 1859 data un'era nuova nella condotta della Francia a nostro riguardo.

L’oratore sostiene che le grandi potenze favoriscono l’unit� italiana, e che avvenimento di questa unit� � il fatto che meglio corona le intenzioni del trattato del 1815 (bisbigli). La Francia aiut� l’Italia nel 1859 per aver Nizza o la Savoja: allorch� la Francia vide che gli Italiani si spingevano innanzi si ferm� tosto a Villafranca.

In seguito la Francia non ha pi� ajutato n� favorito l’Italia. Se l’Italia continu� a progredire, solo fu spinta innanzi dalla sua volont� e tenacit�; la Francia sempre disapprov� i suoi disegni; sempre rispose col famoso non possumus di Pio IX. (bisbigli)

Musolino continua a passare in rivista l’azione della Francia a riguardo dell’Italia; a Gaeta protesse Francesco II colla sua flotta, all’epoca delle spedizioni delle marche e dell’Umbria ritir� il suo ambasciatore da Torino, ritard� quanto pot� di riconoscere il nostro regno, finalmente gli Italiani vogliono andare a Roma e la Francia vi si oppone ancora, sempre.

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Quali sono le intenzioni del governo francese? Nessuno lo sa. Vuole che gli italiani trattino, ma come? Su quali basi?

L’oratore rimprovera al ministero la sua longanimit�; dice che il suo modo di agire non � n� degno di una grande nazione ne indipendente.

Presidente. Posto mente all’ora gi� tarda, propongo alla Camera di inviare il seguito della discussione all’indomani.

Seduta del 5 novembre — Pres. Tecchio, V. P.

Le tribune sono sempre affollate.

La seduta � aperta alle ore 1 25 colla lettura del verbale della precedente seduta che viene approvato.

Segue l’ordine del giorno

Musolino, prima di continuare il suo discorso interrotto ieri per l’ora tarda, osserva mancare il sig. ministro degli affari esteri. Il presidente gli risponde che essendo presente il sig. ministro dei favori pubblici, pu� progredire nella esposizione delle sue idee. Quindi l’oratore continua, proponendosi di dimostrare la poca amicizia della Francia verso di noi e la imperizia del nostro gabinetto.

Non sa capacitarsi come in pieno secolo XIX si possa imbrogliare una questione, che per se stessa � semplicissima e risolata vale a dire la questione romana.

Passa in rassegna le condizioni della chiesa dai tempi primitivi sino ai nostri per concludere quanto dannoso allo spirituale sia il dominio temporale. Dice che nei paesi ove non si riconosce il dominio temporale la religione cattolica � prosperosa.

Discende quindi ad analizzare gli articoli del capitolato sottoposto alla disamina della Camera ed osserva anzitutto che stando al primo tra essi, tante sono le latitudini che si accordano al papa, che verrebbe degratata la immensa individualit� del capo del potere esecutivo, e ci farebbe precisamente diventare la favola del mondo, e ridurrebbe l'Italia ad un seminario di studenti in cui gli stranieri, che verrebbero a ficcare il naso nelle nostre faccende potrebbero trattarci a bacchetta.�

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Questo � un documento, continua, che basterebbe per se solo a mettere in accusa il ministero (rumori) perch� � una violazione manifesta dei diritti, delle prerogative della Corona, e scommetto novantanove contro uno, che se fosse andato a Roma, il papa lo avrebbe accettato. (Ilarit� prolungata).

L'imperatore dei francesi non volle presentarlo, perch� era certo che il pontefice lo avrebbe accettato, ed allora sarebbe cessata la sua influenza sull'Italia e scemata quindi la probabilit� di portarsi via un altro bricciolo di terra.

Crede che l’abolizione del dominio temporale susciterebbe in Francia leggiero rumore, tutto al pi� tra qualche dama del quartiere di S. Germano, perch� il clero francese fa opposizione al governo per indurlo a conservare il territorio pontificio, ma perch� esso, il clero, si compone di legittimisti ed orleanisti, i quali lavorano o per il conte Chambord o per quello di Parigi, par di osteggiare i Napoleonidi. Ricorda le teoria gallicane in manifesta opposizione colla chiesa romana.

Esamina le condizioni dei varii stati d’Europa ed � d’avviso che nessuno pu� interessarsi della libert� ed indipendenza del sommo pontefice. Le sole che potrebbero, sarebbero la Spagna e l’Austria �Ma la prima, egli dice, lasciamola con suor Patrocinio che gi� ci da pochi imbarazzi; coll'Austria poi abbiamo da saldare i conti.�

Insomma, tutto analizzato, crede che noi non andiamo a Roma perch� la Francia non vuole.

�Che se, egli dice, il governo nostro ci predica che dobbiamo andar a Roma d’accordo colla Francia, o la � una bonomia antidiluviana od � segno manifesto che siamo dipendenti dalla Francia (applausi dalle tribune il presidente le richiama all’ordine).

La Francia ha proclamato che ove sventola il suo vessillo, ivi ha causa giusta da difendere. Domando io: la bandiera francese che sventola in Roma non difende forse la pi� infame delle

BROFFERIO

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cause, quella cio� del brigantaggio? la causa degli stupri, degli incendii, delle rapine? Vi dir� cosa che parravvi una bestemmia, eppure la � cosi. N� il Papa, n� Francese II hanno un interesse che si alimenti il brigantaggio, ma invece � un interesse speciale della Francia per gli occulti suoi fini. Il brigantaggio � alimentato in Marsiglia, e nella stessa Nizza (Rumori; qualcuno domanda la parola)

Pres. La prego di rispettare un governo che ci � assolutamente amico.

Musolino Io discuto la convenienza di un’alleanza, quindi credo mi sia permesso di esternare la mia opinione. Ad ogni modo, giacch� non lo mi si permette, troncher� un discorso che avrebbe durato almeno dieci ore (ma prolungate) e passer� alla conclusione.

Io non voglio guerra colla Francia, ma voglio esser padrone in casa mia: il governo non pu� liberarsi da tale dipendenza altro che armandosi; l’armamento � il solo rimedio che ci faccia uscire da tanto imbarazzo. E il governo che cosa fece per questo? Nulla, assolutamente nulla; anzi fu inerto nell’opporsi ai refrattari ed alle diserzioni nello provincie modenesi, nelle Marche e di Umbria. Anche il brigantaggio nelle provincie meridionali deve attribuirsi a colpa del ministero, perch� a quest’ora non esisterebbe se avesse dato retta ai provvedimenti proposti dall'illustre generale Cialdini

Esaminando spassionatamente la condizione delle cose, il Parlamento non pu� fare a meno di non emettere un voto di biasimo contro il gabinetto.

Brofferio. (Segni di attenzione.) Io invio un saluto di fraternit� e di benevolenza alla Francia, a quella Francia che nei tempi della rivoluzione ci infuse la libert� ed il progresso, o fu il preludio dei movimenti di Europa. Aveva bisogno di dire questo, non perch� si possa credere che io tema che le parole del mio amico Musolino sieno male interpretate ma perch� si conosca che noi siamo riconoscenti.

Ci� detto, mi sia permesso di rivolgere la parole all'on. barone Ricasoli, i cui generosi e nobili accenti mi risuonano ancora all’orecchio,

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quando diceva che in Italia non havvi terra da godere bens� da ricuperare. E se le parole avessero corrisposto ai fatti, io avrei ad esso dato un appoggio sincero.

Il signor barone Ricasoli, fedele alla politica del conte Cavour doveva per andare a Roma od essere certo dell’assenso del papa, o di quello dell’imperatore, o di entrambi, od almeno che avesse in serbo uno di quegli eroici mezzi, di cui le nazioni si servono per giungere a sublime meta, ed avesse compreso il grande oracolo di Garibaldi, cio� la necessit� che l'Italia abbia un mezzo milione di armati. Ma pur troppo l’oracolo rimase incompreso.

Qualche cosa si fece nella milizia stanziale, ma languidamente ma adagio: l’elemento volontario si lasci� in disparte; gli ufficiali dell’esercito meridionale lasciati illanguidire in remoti paesi.

Volgo attorno lo sguardo e veggo lo stesso sistema, le stesse persone, come se Roma non esistesse, e non ci minacciasse il pericolo: e non vi sono forse in Italia altri uomini che hanno e grandezza e gloria e speranza ed avvenire? (applausi delle tribune) Perch� il baron Ricasoli ha nominati individui che non sono in concetto d'italianit�, come fece di recente con nomi che sgomentarono la pubblica opinione? (bene, a sinistra) A Bologna e nelle Romagne gli impiegati superiori sono i fedelissimi servitori del card. Antonelli, e nelle Calabrie ed in Sicilia quelli che si ricordano il dominio dei Borboni.

E quando in Napoli un illustre soldato stendeva la mano ad altri uomini, fu osteggiato, fu richiamato. La maggior parte dei disordini che succedono in Italia devono attribuirsi al non essersi organizzata la polizia. Oh! Bologna che nel 48 col solo petto dei tuoi cittadini hai saputo schiacciare gli austriaci, che cosa sei mai divenuta? perch� i ladri, gli assassini ti signoreggiano? Perch� il governo ti ha abbandonato, (segni di approvatone a sinistra) Intanto si perseguitano quelli che non la pensano come i capi del governo, si relega in Sardegna un giovine studente pel solo delitto di aver recitato un discorso sulla tomba di un amico.

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Il Piemonte formicola di emissarii per arruolamenti stranieri, per diserzioni: � un fatto notorio, la sola polizia non lo sa. Un solo processo venne fatto contro uno di questi reclutatori e sapete chi � il reo? � il padre Isidoro dell'ordine dei cappuccini.

La polizia � composta di uomini che patteggiano coi ladri, cogli assassini, e si son veduti di recente fatti scandalosi svelati nelle sacre aule della giustizia.

E sino a quando durer� questa Babele che disordina le menti? Una delle ragioni per cui le cose di Napoli volgono alla peggio, si � che le popolazioni non hanno alcuna fiducia nei tribunali, perch� io essi siedono quelli stessi che hanno condannato altra volta parecchi dei nostri amici. E l� si accarezzano, nel mentre onesti patrioti languiscono per le vie.

Accenna al terrorismo incusso dai malfattori nelle Romagne per cui non ci sono n� querelanti n� testimonii, n� giudici, mentre le pugnalate, fioccano per davanti o per di dietro.

Accenna al processo del duca di Cajanello il quale stette in carcere sei mesi e poi fu rimandato. Questo vuol dire che mancano i buoni magistrati, perch� le buono leggi nelle provincie napoletane non mancano.

Per qual ragione, egli dice, l’onorev. ministro guardasigilli tiene incora sotto la sua pietra la legge relativa all’ordinamento della magistratura?

Io non voglio parlare della istruzione pubblica, per� anche il signor ministro incaricato di questo dicastero non pu� lasciarsi senza reclami. Egli ci aveva promesso di abbruciare tutti i regolamenti del suo predecessore, eppure esistono tuttavia o se potessero caricarsi sulla groppa di tanti camelli, aff�! che sarebbero stanchi. Altro non fece insomma che incaricare i diversi teologi dello Stato ad occuparsi un tantino della discussione accademica del dominio temporale. (Risa) Crescono i malumori tra gli studenti per le tasse scolastiche, eppure il sig. ministro vede tranquillamente passare i suoi camelli. (Ilarit� prolungata)

Son troppo buon patriota per tacere delle finanze, le quali, bisogna pur confessarlo, non sono in uno stato tanto florido.

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Per� mi permetta il sig. ministro di dirgli: perch� non ha preso un qualche provvedimento sui grassi beni ecclesiastici, i quali servono ad impinguar� il Denaro di San Pietro?

Ora passer� alla questione estera. Che cosa fece il signor ministro per andar a Roma? Ha trovato dei liberali che con linguaggio di sacristia parlano di andarvi; ma ci� non basta. Io non posso lodare n� un calvinista che parla da frate, n� un frate che parla da calvinista, come disse ieri un onorevole oratore della destra. (Bene a sinistra e dalle tribune)

I documenti depositati che cosa mai sono? Noi credevamo che se almeno non ci annunciassero una vittoria, almeno ci palesassero gli sforzi fatti dal ministro.

(Accenna alla mancanza di una risposta del nostro ambasciatore in Parigi.)

La nota diretta al Papa, che rassomiglia ad una dissertazione del padre Tosti (risa) quale effetto produsse?

Discende a parlare del capitolato ed osserva che esso sarebbe dannoso all’Italia.

Voi volete andare a Roma per crearvi un antagonista cosi forte, che accetterebbe tal patti per rovesciarvi quandoch� fosse?

Non so comprendere come il ministro guardasigilli abbia potuto permettere che l’Italia rinunci alla nomina dei vescovi, ai diritti di patronato? Per verit� non mi aspettavo un abbandono di tali prerogative per parte del sig. cav. M�glietti!

E per questo contratto bilaterale, quale ne � il corrispettivo? Non avete nemmeno avuto il coraggio di parlare francamente a coloro da cui aspettate delle concessioni; non avete detto che cosa desiderate pel vostro sacrificio.

L’onorevole difensore del ministero disse ieri che egli perdonava gli errori commessi da esso, perch� li aveva commessi in buona fede. A dir vero, io auguro al gabinetto avvocati migliori. (Ilarit� prolungata)

Per me, venga al ministero persona che segga alla destra od alla sinistra, per me � indifferente, purch� siano uomini che facciano appello alla concordia, che armino,

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e nel mentre riconoscono la necessit� delle alleanze, non si facciano servili di chicchessia, ed allora dir� veramente che l’Italia si fa. (Applausi)

Pisanelli. Il principio della politica estera esser dove un principio di aspettativa paziento ma forte e dignitosa. L'onorevole preopinante, che mi precedette, parl� d’armi e d’armati, e raccomand� gli armamenti: io mi associo interamente ad esso.

Parla poi delle condizioni di Napoli. Dice che lo stato di quelle provincie e l’animo de’ suoi abitanti devono essere oggetto di molti studii. A Napoli regna il malcontento, ma non vi sono borbonici. Descrive lo stato delle provincie quando vi giunse Garibaldi. Il mutamento degli ordini politici in quel paese sconvolse molti interessi.

Parla contro l’accusa di piemontesismo che si dava per lo passato al sistema del governo centrale.

�Io ne fui altamente indignato, egli dice, perch� Piemonte allora voleva dire Italia.

Giustifica su questo argomento l’operato del governo, e chiede se era possibile pubblicare nello provincie meridionali una legge sulla stampa, sulla guardia nazionale, una legge comunale diversa da quelle che esistevano nelle antiche provincie.

Queste furono le premesse del primissimo periodo dell’amministrazione piemontese, e credo che non avrebbe potuto fare altrimenti.

Il principal errore del governo si fu quello di non essersi fatto intendere dalle popolazioni meridionali. Io non mi far� a discutere quale esser dovesse l’indirizzo politico ma affermo un fatto che non potr� essere da alcuno contestato. Quando un governo si mostra dubbio e vacillante, anche le popolazioni dubitano e vacillano. Non vale mutar impiegati: taluni vi diranno che avete mutato troppo, tali altri poco: bisogna, o signori, che la macchina governativa non ondeggi, ma stia ben ferma o decisa. Io credo che si debba contare sui partiti politici; credo che sia desiderabile che tutti i cittadini prendano una posizione politica, che tutta la cittadinanza si divida in partiti politici.

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Fra gli errori son d’avviso si deve annoverare anche lo scioglimento dell’esercito meridionale. Noi non dobbiamo disconoscere i segnalati servizi da esso resi, come non possiamo disconoscere la influenza di taluni partiti politici.

Non bisogna disconoscere che nelle Due Sicilie l’iniziativa fu presa dal partito rivoluzionario, al quale erasi accostato il governo, che ne assunse il programma. E dopo ci� sciogliere l’esercito meridionale era lo stesso che costringerlo alla ribellione. E quell'esercito si sciolse in Napoli per cui in quella popolosa citt� si viddero meglio che 201m. soldati, i quali conoscendosi osteggiati dal governo, si credevano in diritto di osteggiarlo con grave nocumento dello spirito pubblico.

So il governo del Re non si sfasci� anche nelle provincie meridionali non � pei meriti di coloro che ne stanno a capo, bens� del patriottismo delle popolazioni, dello slancio della guardia nazionale, della difesa prolungata di Gaeta che raggruppava tutti i partiti e consigliava la concordia [Bene)

Signori, se i borbonici osarono, di tanto ardimento � causa la debolezza del governo e la lentezza dell’azione governativa.

(Enumera parecchi fatti di questa lentezza.)

La stella polare dei nuovi reggitori doveva essere l’unit� d'Italia ed ora non v'ha forza umana che possa annebbiarla: ad essa s’inchina persino il genio eminente dell’illustre Ferrari. Ma potevano adottare diversi sistemi: o conservare tutto quello che vi era d’antico, o distruggere tutto ci� che esisteva nelle nuove provincie, o tenere una via di mezzo.

Con quali vantaggi si � mutata la condizione della scuola militare di Napoli? Con qual beneficio si ordin� che dal collegio di marina uscissero parecchi allievi, chiamando in appoggio non so quali regolamenti? Sia lode all’illustre generale Lamarmora che ne fece riparazione.

(Breve interruzione)

Le lodi che tributai al gen. Lamarmora le estendo eziandio al generale Cialdini che inizi� quella riparazione.

Vengo ad un altro errore. Vi avr� forse chi mi accuser� di vecchi amori municipali. Ho detto che Napoli si sentiva umiliata ed e questa la ragione precipua del malcontento dei napoletani.

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Si poteva credere che Napoli, la quale vanta tante tradizioni di ottimi ingegni e di costante martirio per la causa politica, mancasse ai suoi principii? lo vi parlo delle legittime aspirazioni, dei legittimi orgogli. I napoletani credono che di essi non si sia tenuto certo conto. Non entrer� a dire quale sia la suscettibilit� dei napoletani ed in qual conto si dovessero tenere. Ma � certo che se costituiscono un terzo d’Italia, � necessario che entrino in proporzione negli impieghi. Ognuno sente il desiderio di spendere la sua mente, la sua cooperazione per la pubblica amministrazione. E' un nobile orgoglio che non bisogna offendere.

(Passa in rassegna parecchie caste di impiegati che ebbero a soffrire per ci�, come la marina, il corpo sanitario ed altri.)

Anche voi al ministero della giustizia non avete persone che sieno in grado di avvertire l’onorev. ministero di tradizioni di costumi speciali delle provincie napoletane.

Io potrei rinforzare quest’argomento con fatti gravissimi, ma stimo meglio applicarmi al silenzio; per� qualora vi venissi forzato potrei denunciare qual danno ne sia risultato dal non essersi il ministro circondato di persone appartenenti a quelle provincie.

Signori, noi siamo qui raccolti tutti dalle diverse parti d'Italia, uniti in un sol pensiero, ma non potremmo volere che il governo privilegi una provincia piuttosto che l’altra. Noi combatteremo sempre codesto governo, come quello che sarebbe di gravissimo danno alla cosa comune. (Bene, bravo) Tutti i sacrifici che furono fatti, il sangue che venne sparso, lo fu solo per riunire in una sola famiglia tutta l’Italia dopo tanti secoli di divisione, e mi si permetta di rivolgere all’antico Piemonte un pensiero di riconoscenza (Bene).

I mali che affliggono il mezzogiorno derivano dagli errori che ho pi� sopra annunciati. Havvi un partito, il quale crede che unico rimedio di questi mali sia la rivoluzione. La rivoluzione ormai gi� fu fatta: e l’Italia diede lo spettacolo all’attonita Europa di una di nuovo genere capitanata da un magnanimo e valoroso principe, assecondata dal governo e da tutti i cittadini. Ora v'ha d’uopo soltanto di ordinamento.

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Discende a discorrere del brigantaggio e crede che in un paese sconvolto da una rivoluzione, in cui sia stata sciolta un’armata, il brigantaggio deve necessariamente pullulare.

Dice che i briganti hanno per capo un Chiavone, un Crocco, un Donatelli, e per gregarii gli evasi dalle galere, ed alcuni stranieri avvezzi alle stragi ed alle rapine; accenna al patriottismo delle popolazioni, che danno ad essi la caccia.

�Quando veggo, egli dice, l’amor patrio di quelle provincie, i sacrificii da esse incontrati, non posso comprendere come vi possa essere taluno cos� spudorato da asserire che vogliano, che desiderino smembrarsi dal resto d’Italia. (Bene bravo) Il giorno in cui Francesco II muover� da Roma in cui Roma sar� capitale nostra, il brigantaggio sar� domato.�

Passa a suggerire i rimedii e tra questi principale credo l’armamento.

Se noi faremo vedere che siamo risoluti a qualunque sacrificio, che vogliamo ad ogni costo il trionfo della causa nostra, vedremo quanto prima sventolare la bandiera in Campidoglio e risorgere l’avita Venezia, fra gli applausi di tutta l’Italia. (Bene bravo, applausi.)

Seduta del 4 novembre Pres. Tecchio, V. P.

� all’ordine del giorno il seguito della discussione sull’interpellanza circa alla questione romana ed alla condizione delle provincie napoletane.

Anche le tribune sono ingombrate.

Si apre la seduta alle ore 1 25 pom. colla lettura del verbale della precedente tornata che viene approvato.

Si annunzia l’ordine del giorno:

Ricciardi (segni di attenzione}. Premetto una osservazione. Alcuni dei miei avversarii dicono che i miei discorsi piacciono all’Armonia. E la ragione � facile, o signori, perch� anche l’Armonia siede sui banchi dell’opposizione, come siedo io stesso; con questo per� che l’Armonia fa una opposizione parricida, mentre io mi oppongo al ministero perch� lo credo su di una falsa strada.

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Ci� premesso, mi � forza, o signori, di domandare una piena libert� di parola: � tempo ormai di lasciare da parte ogni reticenza, � tempo ormai di abbandonare un sistema di ipocrisia

(rumori).

(Il presidente gli fa qualche osservazione dicendogli che nessuno qui parla con ipocrisia e che a ciascuno � concessa piena libert� di parola).

Ricciardi. Il giuramento che ho prestato mi ricorda quali sieno i miei doveri; credo quindi che il signor presidente non abbia il diritto di richiamarmi all’ordine!

Discende quindi a parlare della questione estera; � i!’avviso che i documenti presentati dal ministero sieno scritti con uno stile degno del Passaglia o dei Livinini: manifesta le sue simpatie per la Francia �in cui nacquero le sue figlie� (ma), per la Francia che sparse il suo sangue per noi a Magenta ed a Solferino; crede per� che Napoleone III non sia nostro amico e lo deduce dal tollerare che fa egli quanto avviene in Roma all’ombra della bandiera francese, dalle scene di Vitulio, dall’aver rifiutata egli la proposta dei cittadini romani. Consiglia di protestare continuamente contro l’occupazione francese e di armarsi per rafforzare la protesta.

Quanto all’armamento pur troppo, egli dice, non abbiamo che 145,000 uomini, eppure nel bilancio della guerra sonovi iscritti per 300 milioni di lire. Io credo che non avremo un esercito compatto, sino a che non avremo presi in un solo tutti gli elementi militari italiani.�

Dice che molti ufficiali dell’ex esercito borbonico si lagnano, che a loro riguardo sia stata violata la capitolazione di Gaeta: raccomanda al ministro della guerra di richiamare tutta quella giovent� gi� appartenente al disciolto esercito stesso, siccome quella che altro non domanda �se non di servire la bandiera italiana e di combattere per essa.� Raccomanda allo stesso ministro le sorti delle gloriose reliquie del 21.

Sull’argomento delle finanze, dice che i 500 milioni dell’ultimo imprestito furono consumati prima di essere incassati:

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protesta contro il sistema delle spese maggiori, che non devono essere incontrate altro che nei casi di assoluta necessit�: rimprovera il ministero di pagare grasse pensioni ai nemici della causi italiana, mentre si rifiutano a chi ad esse avrebbe tutto il dritto: protesta contro tutte le spese straordinarie che si fanno nei ministeri �come se Torino dovesse rimanere eternamente la capitale d’Italia.� Su questo proposito dice che i singoli ministri decretano spese a favore dei loro dicasteri, senza consultare previamente l’on. ministro delle finanze.

�Parmi, osserva l’oratore, che l’onor. Bastogi potrebbe mostrare i denti ai suoi colleghi. (Ilarit� prolungata)�

Parla contro le spese di rappresentanza �nulla importando all’Italia in questo momento che i suoi prefetti diano pranzi e balli:� esige la presentazione dei bilanci non solo del 1862, ma anche dell’anno in corso.

Passa all’ordinamento interno.

Qui mi � forza elevare la voce contro una strana malattia del ministero, la decretomania. Infatti da un anno a questa parte abbiamo veduto un diluvio di decreti nel Giornale Ufficiale, la maggior parte dei quali sono incostituzionali, perch� concernono temi di sola attribuzione del Parlamento, come quelli relativi alle circoscrizioni territoriali, all’abolizione di alcuni corpi religiosi ed al mantenimento di alcuni altri ecc.

Si occupa dell’abolizione della luogotenenza napoletana, che fu una delle precipue cagioni del malcontento delle provincie del mezzod�.

�Io sono unitario per principio, egli dice, io combattevo per l’unit� italiana quando da molti dei miei colleghi era ritenuta un sogno, ma credo che la unificazione debba essere opera del tempo. Da molto tempo a questa parte vi ha una generale reazione contro l’egemonia piemontese.

A questo punto fa un elogio delle provincie subalpine, dicendo che la sua simpatia per esse la nutr� sin dai primi anni, perch� il primo libro che ebbe tra le mani furono le tragedie d’Alfieri, (ilarit� prolungata)

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Ma ci� non toglie, continua, che il Piemonte si rassegni ad essere provincia italiana. (Lo �, lo �) Tutto quello che viene da questo paese non � ricevuto a Napoli con quella accoglienza che si farebbe se venisse da Roma.�

Dice che il governo doveva appoggiarsi sui perseguitati dal governo borbonico: consiglia un’inchiesta finanziaria a Napoli, perch� non � possibile che una gran somma da Torino sia stata mandata col�, se le finanze napolitane erano fiorenti, inquantoch� la rendita loro andava fino a 118. Accusa il governo di aver violato il plebiscito, perch� le provincie meridionali hanno preteso di annettersi all’Italia e non al Piemonte, e col proclamare l’Italia una ed indivisibile, non hanno voluto rinunciare alle loro leggi.

�Esse vi rinuncieranno, quando il Parlamento italiano sieder� a Roma.� (Rumori prolungati)

Pres. La prego di osservare che il Parlamento italiano segga a Torino, a Roma, od altrove, non cessa per� di essere Parlamento italiano. (Benissimo, bravo, applausi dagli scanni dei deputati e delle tribune)

Ricciardi. Io credo di essere libero di esternare la mia opinione: altri la combattano.

Non so comprendere per qual ragione nel mentre si abol� la luogotenenza di Napoli, si volle mantenere quella di Sicilia, e la si abol� quando appunto il gen. Cialdini era amato col� o stava per vincere interamente il brigantaggio.

Ed eccomi al brigantaggio.

Qui nega che il brigantaggio sia scemato, come sostenne l’on. Massari, e legge una lettera in appoggio del suo asserto, dicendo di darla all’on Massari, perch� si compiaccia di sottoporla al sig. presidente del Consiglio. (Massari domanda la parola). Non crede che lo si possa spegnere coi soldati, ma con rimedii morali, cio� rialzando lo spirito pubblico, rialzando la parte liberale: accusa il ministero di aver attivato una specie di stato d’assedio senza previo consenso del Parlamento; disapprova la condotta di quel capitano dei bersaglieri di cui vi fu processo l'altr'ieri, dichiarando per� di non voler tornare sulla cosa giudicata.

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Dipinge le condizioni di Napoli travagliata dallo spettro della reazione e della rivoluzione, e domanda libert� di parola perch� deve suggerire un rimedio eccentrico, come � eccentrico lui che � ritenuto tale da tutta l’Italia. (Ilarit� prolungata).

�Il mio rimedio far� crollare l’edificio, in cui siamo chiusi (ilarit�), ma pur � forza suggerirlo. Consiste in due semplici parole da inserirsi nella Gazzetta Uffiziale del regno d’Italia (risa) e sono: (segni di attenzione). La sezione parlamentare del 1862 sar� aperta in Napoli (ilarit� prolungata tutti fanno cenno al dep. Ricciardi che le volte non sono cadute) Dacch� avete ascoltato con benignit� la mia proposizione, permettetemi che la svolga.�

Dice che il governo stando sopra luogo potrebbe vedere da vicino la piaga e porci pronta medicina, dice che la popolazione napoletana � tranquilla, amante dell’ordine e dell’unione, checch� ne dica taluno; che d’altronde Napoli vidde altre volte nel suo seno i Parlamenti (nel 21 e nel 48) eppure furono rispettati. Se il corpo legislativo siede in Parigi, che passa per la citt� pi� irrequieta d’Europa, perch� non potr� sedere il Parlamento in Napoli? La parte ammalata d’Italia � Napoli, il medico bisogna che si rechi vicino all’ammalato�

Massari, per un fatto personale. Dalla premura colla quale consegnai la lettera all’on. presidente del consiglio, potr� convincersi l’onorevole Ricciardi della mia accondiscendenza d� fare perfino il portalettere.

Sostiene quindi di nuovo che il brigantaggio � scemato ed � ridotto alle due provincie di Basilicata e Terra di Lavoro.

Rattazzi (segni d’attenzione). La questione che si agita da due giorni in questa assemblea sia sulla questione romana, sia sulle condizioni delle provincie napoletane pu� riassumersi sotto questi due aspetti: un lato si riferisce al passato, l’altro al presente ed all’avvenire. Si riferisce al passato se si voglia esaminare la questione di Roma non sia peranco risolta per colpa dei ministri; contempla il presente e l’avvenire se � diretta ad indagare quali siano i rimedii che si possono porro in opera per ottenere uno scioglimento.

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Io non intendo intrattenermi sul passato. Un esame retrospettivo non pu� condurre ad alcun utile risultamento pel paese: lungi dal favorire quella concordia clic ci � indispensabile, altro non potrebbe fare che suscitare delle difficolt�.

Il passato appartiene alla storia. Io non intendo neppure indirettamente gittare il biasimo sugli uomini onorandi che dalla confidenza del Re e della nazione vennero chiamati a reggerne i destini; riconosce che se non ancora furono le questioni definite, certo ad essi non pu� attribuirsene la colpa.

Quanto a Roma, qualunque fosso stato al potere si potrebbe dire forse che la questione sarebbe ora sciolta?

Io non voglio dire se il mezzo adoperato dal ministero potesse lasciare grandi speranze di riuscita. Certo non lo credeva neppure il ministero, perch� nel porlo ad esecuzione si avvide che qualche ostacolo affacciava!

Non oser� affermare che le proposte condizioni potessero in un avvenire pi� o meno lontano compromettere la sovranit� del Re d’Italia.

Ma a qual pro discutere se le condizioni dovessero o no accettarsi, se l’autorit� ecclesiastica non venne interrogata?

Lasciamo adunque in disparte tale questione.

Non credo sia opportuno il dire ad ogni tratto che il tempo di andare a Roma sia prossimo, e quasi si voglia precipitarne il tempo.

Queste voci creano illusioni e speranze, che venendo a mancare lasciano il malcontento. Io non voglio dar colpa al ministero se queste voci si sparsero senza che esso volesse si divulgassero. Dicasi altrettanto quanto ali" interno. Riconosco che non si fece forse quanto l’interesse del paese richiedeva.

Ma vorremmo forse attribuirne la colpa al ministero? Ieri l'onorevole deputato Pisanelli indic� due fatti, cio� lo scioglimento dell’esercito dei volontarii e quello dell’esercito borbonico.

Questi fatti furono gravissimi senza dubbio; ma vorreste attribuirne la colpa al ministero attuale?

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Siamo giusti, o signori. Intesi al grande rivolgimento, quando si tratta di costituire un nuovo regno e di organizzare quelle provincie rette da legislazioni tanto disparate, ora impossibile che quegli uomini che erano a capo del governo potessero non ordinare quello che � stato ordinato?

� facile giudicare dopo l’evento, ma e difficile ordinare quando chi lo deve si vede circondato da pericoli esterni ed interni! Ma lasciamo il passato, e nella disamina del presente e del futuro comincier� dalla questione romana.

La questione romana non � che una quistione essenzialmente civile. Roma appartiene all’Italia, � capitale d’Italia. Ci� fu proclamato dal Parlamento, e gi� ben prima era deciso dalla coscienza d’ogni italiano. La quistione � di tempo e di consiglio. Roma � capitale d’Italia; naturalmente � capitale d’Italia. ma sgraziatamente � tutelata dalla bandiera francese. Roma non potr� appartenere all'Italia, finch� non sia libera dalle truppe francesi. A nessuno di noi certo viene in mente di farla libera e sgombra dalle truppe francesi per la ragione che non possiamo rompere i vincoli di riconoscenza che ci stringono a quella nazione.

Ma dovr� esser eterna l’occupazione? Ma la Francia intende perpetuamente mantenere il conflitto di una nazione che intende risorgere colla forza materiale che glielo impedisce?

Ho l'interno convincimento, o signori, che il governo francese possa volere certamente la liberazione di Roma; che intenzione di quel governo sia che questo giorno non ritardi.

L'occupazione francese solleva il malcontento nel grande partito liberale francese, il quale soffro di malanimo che la sua bandiera impedisca all’Italia la sua ricostituzione; nel partito retrivo, perch� non � pago egli di questa temporanea protezione, e vorrebbe che le truppe restituissero alla santa sede le provincie perdute: non soddisfa al santo padre perch� accetta diffidente la protezione della Francia, anzi vedrebbe pi� volentieri che uscisse dai suoi territorii.

Ma v’ha un’altra ragione che mi persuade. Il governo francese ha interesse che cessi questo stato di cose. � evidente che non pu� essere costituita solidamente la nazione italiana senza Roma.

IL CONTE DI VILLAMARINA


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Checch� ne dica l’onorevole Musolino, � vivissimo desiderio della Francia, che questa nazione possa solidamente unirsi, ed entro un breve termine costituirsi. Ci� lo desumo da due fatti.

Dopo la pace di Villafranca, il governo francese pareva volesse la confederazione; credeva che la confederazione fosse mezzo pronto per costituire l’Italia forte; ma dal momento che il governo francese senti che la confederazione aveva la disapprovazione degl’Italiani e s’accorse che il voto era per l’unit�, non era certo il governo francese, saggio ed illuminato, che volesse frapporsi, perch� non avrebbe fatto che accrescere le difficolt� e rendere pi� difficile il consolidamento e la forza degli Italiani.

Dopo di avere accarezzata la confederazione che facesse buon viso all’unit�, lo prova in primo luogo la proclamazione del non intervento, e quindi il riconoscimento del regno d’Italia. E palese che se dopo la pace di Villafranca il governo francese avesse volato opporsi alla unit� nostra, poteva lasciare che l’Austria e le potenze che ci avversavano venissero ad impedircela. Avrebbe potuto fare come fecero tutti i governi che lo precedettero, e che pur si dissero liberali; o si univano essi a chi voleva soffocare le nostre aspirazioni, od almeno rimanevano indifferenti, e tolleravano che venissero a soffocarci gli altri. L’imperatore invece ha non solo proclamato il non intervento, ma lo ha sostenuto e fatto rispettare. Se avesse avversato l’unit� italiana, n� avesse voluto che l’Italia fosse divisa e dipendente, che cosa lo costringeva a riconoscere il regno d’Italia? La ricognizione ebbe luogo dopo che il Parlamento aveva proclamato che Roma apparteneva all’Italia, e che essa doveva esser la sua capitale. (Bravo)

Del resto sono due le politiche che la Francia poteva seguire.

La tradizionale, cio� quella di fare che l’Italia fosse serva e divisa onde esercitare su di essa la sua influenza, o di farla forte e solida per averla alleata quando le circostanze potessero far si che la nostra alleanza le fosse utile.

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Abbiamo la prima? ma non avrebbe mandate le sue truppe a combattere a Magenta e Solferino. Dunque si appigli� ad averci alleati, od � giusto, perch� quest’alleanza ha solida radice negl’interessi comuni e nella solidariet� dei vincoli che congiungono queste due nazioni.

Volete un’altra prova o signori che il governo francese non solo non avvers� l’unit�, ma vuole restituir Roma all’Italia ed anzi desidera che questo giorno sia prossimo? Esaminate quali sono coloro che avversano la causa italiana. Sono non solo i clericali, o quelli che credono il potere temporale necessario allo spirituale, no non sono i cattolici, ma i protestanti, i seguaci di Voltaire, i nemici pi� acerrimi del governo francese, quelli che avversano la causa italiana, perch� quando si oppongono a questa credono direttamente ferire il governo francese, (bravo) E noi favorendoli indirettamente serviamo la causa dei nostri nemici. (bene, opplausi)

Io ho raccolto nel mio viaggio i discorsi di coloro che sostengono il governo e mi limino potuto sempre pi� convincere che essi lungi dal desiderare la prolungazione dell’occupazione francese fanno voti perch� possa giungere il giorno in cui sia libera Roma. E qui passando a parlare del mio viaggio, sento il bisogno di dare alcune spiegazioni intorno allo voci che si lasciarono correre, ispirate senza dubbio dalla malignit�.

In queste, quella che mi ha maggiormente colpito si fu quando si disse che io intrapresi quel viaggio per prendere un portafoglio dal governo francese.

Io credeva che i miei precedenti e la mia vita politica mi potessero mettere al sicuro da tali accuse. Conto 14 anni di vita politica; in questi fui chiamato quattro volte a far parte della pubblica amministrazione ed accettai perch� credeva mi chiamasse la voce del Parlamento, ed uscii quando credetti che la mia presenza fosse d’imbarazzo al buon andamento della pubblica cosa.

Non credo possa cader su di me il sospetto che io possa mendicare un portafoglio da un governo o da un principe o da un ministro straniero (Bene)

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Il potere emana dalla fiducia del Parlamento soltanto. Io sono devoto all’alleanza francese perch� sono convinto dell’utilit� sua: questa convinzione data dal principio della mia vita politica e l’ho costantemente mantenuta. Ma per� non confondo l’alleanza colla dipendenza; e soprattutto l’indipendenza del mio paese mi stava a cuore, o signori. (Bravo) Io non, posso credere d’altronde che un governo che ci � amico ed alleato voglia far pesare la sua alleanza. Chi ci ama deve rispettarci, ed il primo rispetto � quello di lasciarci indipendenti nella scelta dei nostri ministri.

Qual era dunque la vostra missione? mi si pu� domandare. E potrei rispondere francamente che ho viaggiato a mie spese. Ma pur dir� che questa missione me la proposi io stesso, perch� per quella pratica che poteva avere nella cosa pubblica, considerava fosse ragionevole studiare quale fosse lo spirito pubblico francese ed accertarsi delle simpatie degli uomini politici col�, ed in pari tempo far sapere quali Cossero i bisogni di questa povera Italia.

Credo di aver dunque agito da onesto cittadino, con quella lealt�, alla quale non credo aver mancato. Se qualcuno mi ritiene spinto da miserabili interessi o mosso da ambizione, non trovo di rispondere che col disprezzo del silenzio (Bene. Vi ha un po’ di pausai.)

Ho detto, attualmente Roma � occupata dalla bandiera francese. Ora egli � innegabile che se il governo francese richiamasse le sue truppe, il pontefice potrebbe partire da Roma ed il poter temporale sarebbe allora distrutto; ma in Francia sonovi molti in buona fede i quali credono che il poter temporale debba esser necessario all’indipendenza dello spirituale. � necessario si distrugga questa credenza, � necessario che si riconosca che la cessazione del dominio temporale anzi render� maggiormente indipendente lo spirituale; � necessario che la pubblica opinione si illumini e che gli uomini di buona fede riconoscano la verit�. Ed in questo abbiamo fatto grandi passi.

Quando non vi sar� pi� pericolo da questo lato, la Francia non avr� alcuna difficolt� di richiamare lo sue truppe.

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Ma questa pubblica opinione non formasi entro un brevissimo tempo, per quanto grandi siano i progressi che siensi fatti. Ma dovremo noi rimanere nello stato attuale? Dovremo occuparci esclusivamente del possesso di Roma, oppure occuparci delle cose interne, ordinare internamente lo Stato, le finanze, l’esercito? Nel mentre dobbiamo aver gli occhi fissi sempre su Roma, dobbiamo per� solennemente rivolgere nostre cure alla nostra amministrazione, all’armamento nazionale. Quando avremo compiuta l’opera del nostro ordinamento, avremo fatto un grandissimo passo, non solo verso Roma, ma anche verso lo scioglimento di quelle questioni che tuttora rimangono insolute.

Ma l’opera dell’ordinamento interno � opera grande, difficile. Se noi rivolgiamo il pensiero alla grande rivoluzione che si � compiuta nel giro di pochi mesi, se pensiamo che si tratta di organizzare un regno sorto da una rivoluzione, che in un breve giro di mesi distrusse varii governi, ed un� popoli che erano naturalmente membri di una stessa famiglia, ma da secoli divisi; e che contrassero diverse abitudini; ognuno comprender� L’ardua impresa, e pi� ardua ancora perch� dobbiamo ordinarci quando non siamo tutti peranco composti ed abbiamo nemici in potentissime relazioni con tutto il mondo cattolico da combattere.

Quando considero le difficolt� ed esamino le condizioni presenti delle varie parti, quasi quasi mi meraviglio che le difficolt� non sieno pi� grandi. Le antiche provincie sono regolarmente amministrate, e non danno serii imbarazzi. � facile comprenderlo. Queste furono rette da una dinastia che per secoli aveva immedesimati i suoi interessi con quelli delle popolazioni, che avevano una amministrazione saggia e regolare.

Lo provincie lombarde un tempo si dicevano ingovernabili, e quando l'Austria fu costretta a cederle pel trattato di Zurigo, disse che cedeva volentieri una piaga. In pochi mesi sopportano gli aggravii e dello imposte e della leva con mirabile abnegazione, con mirabile sacrificio perch� sanno che ci� � indispensabile alla causa comune ed ora sono contente e regolarmente amministrate.

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Anche le provincie che formavano parte del territorio pontificio non si pu� dire che sieno in condizioni gravi o disperate perch� sono comprese oltrech� da patriottismo anche da un ricordo tristissimo della dominazione pontificia.

E inutile dissimulare gli ostacoli gravi per la leva che si incontrano nelle Marche e nell’Umbria.

Ci� nasce dacch� in quei luoghi la leva non era attiva. Quelle popolazioni non la considerano come un dovere, ma come un servizio odioso a cui sia lecito ad ognuno sottrarsi. Ma ci� non la rende impossibile, tanto al pi� la render� difficile. La grande causa di questa opposizione st� nel clero, che cerca tutti i mezzi per allontanare quegli onesti abbitanti dal loro dovere, e mentre li spinge a farsi refrattari o disertori fornisce loro i mezzi. E necessario che questi ostacoli cessino, che si tolga questo mal esempio perch� potrebbe essere fatale anche alle altre provincie.

Quando il governo voglia valersi delle leggi generali che esistono, pu� giungere ad ottenere l’intento, sorvegliando il clero e colpendo i rei. Se non bastano, che presenti un progetto di legge, che gli dia il permesso di procedere a misure straordinarie.

Quanto a Bologna non voglio esagerare i mali che si riferiscono. � certo per� che gli assassinii vi sono spesse volte ripetuti, e che rimasero impuniti. Una citt� cosi benemerita alla causa nazionale, che sostenne una lotta cosi accanita contro le armi straniere ed il potere temporale, come pu� tollerarsi che venga funestata da tanti accidenti?

Se il ministero volesse far applicare con zelo ed energia da’ suoi dipendenti le leggi che abbiamo, la legge sulla pubblica sicurezza potr� ottenere quanto si richiede. Ma se le leggi facessero difetto, richiegga egli leggi straordinarie ed il Parlamento gliele accorder� con plauso di tutta Italia. So che � assolutamente impossibile prevenire, n� io faccio colpa al ministero, ma d’altra parte conviene ammettere che il governo abbia il potere d'impedire che in un anno si ripetano fatti cosi tristi senza che i colpevoli possano venire scoperti.

Dopo aver parlato dell’Italia settentrionale verr� alle provincie toscane.

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Anche in Toscana l’amministrazione procede senza gravi imbarazzi. Quantunque sia tolto il governo centrale, tuttavia le cose procedono regolarmente. Ci� � dovuto al patriottismo di quelle provincie ed all'affetto verso l'unit� nazionale che le spinse a dar prime l’esempio di rinunciare alla loro autonomia. Ora vengo alle provincie meridionali. (Attenzione) La Sicilia si disse, � ingovernabile: tutti pensavano che dovesse essere separata dall’Italia, come lo � dal continente. Eppur le cose procedono regolarmente, le leggi rispettate, nessun partito avverso al governo.

Rimane a parlare delle provincie napoletane. Qui l’amministrazione incontra ostacoli gravissimi.

Diremo noi che questa opposizione sia tale da dare serie inquietudini, da far temere per l’unit�? lo ho pienissima fede sul sentimento generoso di quelle popolazioni: ho piena convinzione che esse siano sinceramente devote al principio di unit�. Di questa convinzione mi � garante il fatto stesso dell’annessione. Crederei che se il sentimento nazionale non fossesi profondamente radicato in esse, non avrebbe potuto in s� breve tempo compiersi il meraviglioso fatto che si � compiuto; credete che l’eroe guerriero avrebbe potuto quasi da s� solo distruggere l’esercito borbonico e da solo presentarsi o Napoli, se non avesse avuta la bandiera colla divisa d’Italia e di Vittorio Emanuele? (Bene)

I0 non posso credere che nel breve giro di pochi mesi quel sentimento siasi distrutto. Anzi ho pienissima fede che sono pi� che mai affezionate all’unit�, e mi � grato averne una prova nell’abnegazione, colla quale si � votato il decimo di guerra. Ma egli � facile spiegarsi come quand’anche tale sia il sentimento l’amministrazione trovi imbarazzi, Una dinastia secolare per quanto sia invisa alle popolazioni, non cade senza che lasci qualche proselito; se non altro gli uomini dei quali si serviva per opprimere le resteranno fedeli.

Il brigantaggio per sua natura e per gli uomini che lo dirigono dimostra a mio avviso che l’unione non � compromessa.

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Quando un partito per manifestarsi � costretto a vestirsi delle sembianze del brigante, quando un principe � caduto cos� in basso ed � costretto a spingere briganti nelle provincie che vuol ricuperare, domando io se questo principi? � possibile? Un tempo il brigantaggio era scala al trono; ma quel tempo � ora passato. (Bene)

Dei generali che seguirono il re nel suo esiglio havvene uno alla testa dei briganti? � costretto ricorrere ad un Chiavone, ad un Donatillo, ignoranti e crudeli, o ad un Borjes spagnuolo, ma non havvene un solo che meriti la stima de’   suoi concittadini o l’abbia meritata.

E certamente dovere del governo il farlo cessare, non solo per quelle popolazioni, ma anche per rispetto all’Italia perch� non � costituita se non proviamo all’Europa di essere capaci di assicurare tutte le provincie. Ora io credo vi siano due mezzi. Anzitutto si potrebbe ricorrere all’azione diplomatica. Dal momento che � dimostrato il centro esser Roma, credo che il ministero sia in diritto di altamente reclamare. Non pu� un governo vicino permettere che nel suo territorio si ordiscano congiure per assassinare gli abitanti dello Stato vicino. Ed ho fede che ogni reclamo al governo francese sar� ascoltato. L’imperatore sente il dovere di umanit�, e deve comprendere che la sua bandiera non pu� permettere si commettano fatti si scandalosi e si crudeli sotto l’egida sua. Oltre l’azione diplomatica vi potrebbe essere l’azione interna. Deve valersi il governo della guardia nazionale e dei cittadini, i quali tutti sono interessati per far si che scompaia, perch� trattasi della loro vita e delle loro sostanze. Se l� appello ad essi e si serve del loro lavoro potr� ottenere quanto � richiesto.

Ho fiducia nello zelo dell’onorevole generale Lamarmora, il quale condurr� a compimento un’opera cosi bene iniziata dal generale Cialdini. Ma un uomo solo non basta, conviene gli si diano tutti i mezzi. Il governo ha l’obbligo di soccorrerlo in tutto ci� che pu� essere necessario. Se noi non giungiamo a far scomparire quella pianta, il giudizio d’Europa sar� severo.

Dobbiamo pur provvedere a tutte le provincie dello Stato.

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Io credo che quando lasciamo in disparte l’esame speciale delle varie provincie, il primo bisogno sia quello dell’amministrazione interna. � indispensabile che il governo vi accudisca con ogni sollecitudine.

Finch� leggi esistono, deve esigerne l’esecuzione ed impedire che sieno violate. Se le finanze nostre non sono ordinate � difficile provvedere a questo ordinamento. Il nostro bilancio non � in sostanza che il complesso dei varii bilanci dei singoli Stati. Ora, � innegabile che questi erano quasi tutti in pareggio tra l’attivo ed il passivo. Il Piemonte stesso dovette sottostare a tanti sacrificii e far fronte a tante passivit�; mediante un aumento delle imposte pot� quasi pareggiare il suo.

Come pu� esser che vi sia questo enorme disavanzo? � vero che in alcune localit� si sono ridotte le imposte, ma quand’anche si tenga conto di ci�, non � spiegato l'immenso disavanzo del complessivo bilancio.

Ci� mi fa temere che vi sia un qualche vizio nell'amministrazione. Per togliere gl’inconvenienti, il ministero deve presentare prontamente il bilancio, perch� si potr� allora conoscere, spiegare questo fenomeno.

Invito quindi il ministero a farlo perch� il Parlamento tolga gli abusi che non vi possono a meno di esistere.

Venendo a parlare dell’ordinamento dell’esercito, rendo omaggio al valore dell’esercito nostro e disciplina sua, e se i giorni della prova dovessero presentarsi, guidato dal magnanimo e valoroso nostro principe sapr� far conoscere com’egli sia quel che vinse a Palestre, S. Martino e Castelfidardo. Non posso ammettere quanto asser� l’onorevole Ricciardi cio� che vi sieno 140 mila uomini. Credo sia il numero maggiore.

Ma � incontestato che l’esercito italiano non raggiunge ancora oggidi quel numero e quello sviluppo che corrisponde alle popolazioni del regno italiano. Dacch� si � disfatto l’esercito borbonico, tutta quella parte giovane che rimane, pu� immediatamente concorrere a formare l’esercito. � manifesto che il ministero deve non disprezzare tutte le altre vie che gli si presentano innanzi.

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Deve valersi dei volontarii, della guardia nazionale o della guardia mobilizzata, il cui progetto gi� approvato dal Parlamento non so per qual ragione non sia stato eseguito.

Io non intendo che si debba valersi di quegli uomini che avversano l’unita italiana, od avversano la monarchia e la Casa Savoia; ma mentre io credo che di questi non debba valersi, credo si abbiano indistintamente da accettare tutti coloro che sinceramente accettano la bandiera dell’unit�, della monarchia. Quando il paese � costituito, allora sta bene che si lascino in disparte coloro che sostengono un’opinione che non sia la nostra. Ma quando ci rimane a compiere l'unit�, differenza grave non � differenza di opinione, ma tutti coloro che vogliono l'unit� e la monarchia di Casa Savoja devono prestare l'opera loro. (Bravo)

La concordia � indispensabili; perch� si organizzi il paese; senza di essa non si superano le difficolt�. Faccio appello a questa; mentre in questa tornata si sono sollevate questioni tali che altro risultato non possono avere che suscitare clamori.

Ricciardi chiede la parola. (Ilarit�)

Signori, l’Europa ci contempla: essa comprende che lo stabilimento della nostra unit� dipende da noi; ora nulla dobbiamo temere; non invasione; l’Austria pu� fremere, ma lasciarci tranquilli; qualche avventuriere forse che scenda sulle coste italiane? Ma mio Dio!

Quest’assurdo non si pu� invocare, perch� � insufficiente per opporsi al nostro volere di ordinarci. Forse il sogno di qualcuno che speri nella restaurazione delle cadute dinastie? Neppure. Siamo padroni dei nostri destini, che sono affidati al senno ed alla concordia nostra. Spero che la storia non possa dire che quest’opera fu ritardata o compromessa per colpa nostra. (Applausi dagli scanni dei deputati e dalle tribune)

Pisanelli (per un fatto personale) spiega in qual senso accenn� ai mali delle provincia napoletane. Egli volle solo indicarli senza voler sindacare qual colpa vi abbiano le amministrazioni passate o presenti.

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Ricciardi (per un fatto personale) dice che Rattazzi non ha diritto di dubitare de’  suoi sentimenti altamente italiani, non vuol promuovere dissidii e confida di essere bastantemente conosciuto dalla maggioranza de’   suoi colleghi.

Rattazzi Soggiunge qualche parola per (spiegare che non volle porre in dubbio i sentimenti personali dell’onorevole Ricciardi.

La seduta � levata alle ore 5.

Seduta del 3 Decembre

La seduta � aperta ad un’ora e 25 min.

Greco desidera sapere dal ministro degli esteri se � vero che vi sia stato accordo tra il nostro governo e il governo francese per combattere il brigantaggio, e se i francesi devono limitarsi ad impedire i briganti di invadere il territorio napoletano e se debbano unirsi alle nostre truppe por inseguirli.

Il presidente del Consiglio chiede permissione di non rispondere che quando prender� la parola nella discussione che si agita.

Zuppetta ha la parola per proporre la questione pregiudiziale. L'oratore dice che si sono intesi di gi� alcuni discorsi sulla questione che fu da lui promossa relativamente al flagello che affligge le provincie napoletane, ma gli sembra che la discussione si sia allontanata dal suo vero terreno, e questo perch� non gli si � ancora permesso di sviluppare le interpellanze che aveva annunziate. Chiede dunque secondo il regolamento che gli sia accordato di parlare prima degli altri oratori inscritti.

Il Presidente consulta la Camera sulla domanda del sig. Zuppetta.

Zuppetta. Far� un’altra osservazione. Mi sono fatto inscrivere per parlare sulla questione romana, non lo feci per la questione napolitana perch� sarebbe stato curioso per un deputato che devo sviluppare le proprie interpellanze.

De Blasis. Potiche il sig. Zuppetta ha lasciato parlare molti altri oratori, potrebbe aspettare ancora un poco prima di prendere la parola. (Alcune voci no, no)

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Zuppetta insiste, dice che non pu� esservi prescrizione a questo riguardo. Se le due questioni, la romana e la napolitana, furono amalgamate non � per sua causa.

Il Pres. del Consiglio. Aveva intenzione di parlare in questa seduta dopo il deputato Boncompagni; prego la Camera di accordare la parola al sig. Zuppetta, dopo l’onorevole deputato che ora nominai. In questo modo mi sar� permesso rispondere alle interpellanze, come pure ai nuovi argomenti che il sig.  Zuppetta potr� produrre

La Camera approva la proposta del Presidente del Consiglio dei ministri.

Boncompagni comincia col dichiarare che seguir� il sistema adottato ieri dall’onorevole Rattazzi e non parler� pi� del passato al fine di mantenere quella concordia che � prima necessit�. Aggiunge che il suo scopo � quello di esaminare semplicemente la condotta del governo e vedere se sia stato all’altezza delle circostanze.

L’oratore risale all’epoca in cui il signor Pellegrino Rossi era ambasciatore del re dei Francesi a Roma e ricorda pi� volte le parole di quell’uomo di Stato; dice che in quanto a lui non ebbe mai a lagnarsi del clero, e quantunque non abbia mai tenuta nascosta la sua avversione per il potere temporale, ciononostante egli non ha che a lodarsi della benevolenza di un buon numero di ecclesiastici.

Il sig. Boncompagni cita il nome di molti abati e monaci che resero grandi servigi all’umanit� e all’incivilimento senza obbliare il padre Passaglia e rilevando a proposito di quest'ultimo! allusione del sig. Brofferio.

Dopo la decisione presa dal Parlamento d’aver Roma per capitale, l’Italia subi la perdita crudele del conte Cavour. La Corona chiam� allora al potere gli uomini che avevano fatto prova in pi� circostanze, di patriottismo e di capacit�. Il governo francese si affrett� a riconoscere il regno italiano e rifiut� di assumere impegni coi governi di Austria e di Spagna per guarentir Roma al Papa. Ci� dimostra, che la Francia era favorevole all'Italia e approvava la scelta degli uomini che compongono il nostro ministero.

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L’oratore entrando ad analizzare gli atti del ministero, parla della circolare di Ricasoli relativamente al brigantaggio e ne fa spiccare la opportunit�. Il sig. Boncompagni attacca il governo pontificio a motivo dell’aiuto che d� al brigantaggio, aggiunge che, secondo lui, il governo non si � fatta alcuna illusione sulle risoluzioni del papa a nostro riguardo, e se ha mandato i documenti che si conoscono, non ha certo creduto di giungere cos� a convincere il pontefice e persuaderlo di rinunziare il potere temporale.

No, quelle lettere non furono scritte per il Papa, ma per la pubblica opinione. Egli crede che la Chiesa dovr� un giorno finire per cedere dinanzi alla influenza della opinione pubblica e abbandoner� la sua posizione privilegiata per mettersi sotto la tutela della libert� nazionale.

Allora esclama l’oratore, tender� la mano 'anch’io a/la gerarchia ecclesiastica. (Bravo).

Boncompagni aggiunge che i documenti prodotti dal Presidente del Consiglio erano redatti in modo da ottenere quel risultamento che il ministero si era proposto, ed egli crede che l’effetto prodotto da essi, sia stato eccellente. L’oratore finisce col dire che egli ha la fiducia che il tempo, messo a profitto dalla capacit� e dal patriottismo dei ministri, trionfer� di tutte le difficolt� (Bravo)

(La seduta � sospesa per 10 minuti.)

Boncompagni, ripigliando, dice che la via seguita dal governo nella quistione di Roma, � quella, che gli era stata prescritta dal voto del Parlamento; egli dice che non poteva pensare un istante ad impiegare la violenza, e che � ben di accordo col governo francese che esso deve dare Roma per capitale all’Italia; ma finch� la nostra nazione avr� nel suo seno lo straniero, finch� Venezia sar� in balia dell’Austria, l’Italia sar� sempre in guerra. L’oratore conchiude su questo punto col dire che non si potrebbe acquistar Roma senz’aver prima Venezia. Cacciato una volta e del tutto lo straniero dalla penisola, si giunger� facilmente ad intendersi col Pontefice.

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E l'Italia andr� a Venezia quando essa sar� forte, quando essa avr� un’armata almeno di 300,000 uomini.

L’oratore arriva a parlare della condotta della Francia a nostro riguardo, e si sforza di provare che essa � benevolissima. Egli crede che l'Imperatore dei Francesi, di cui fa elogio vorr� aiutare gl’Italiani nel compimento di questa grand’opera dell’unificazione, che questo monarca � troppo saggio per non comprendere quanto sarebbe utile alla pace dell’Europa.

L’Oratore rivolge al ministero il medesimo consiglio che ha gi� rivolto in altra epoca al conte di Cavour: armate diss’egli; armate; e poi armate ancora.

Non. mi lascer� trascinare a lunghi sviluppi sulla questione napoletana, aggiunge il sig. Boncompagni; ma non vedo perch� noi formoleremmo un voto di biasimo contro il ministero, riguardo all’amministrazione di quelle provincie, poich� sarebbe cosi difficile di surrogare gli uomini che siedono attualmente al potere; poich� i personaggi mandati successivamente a Napoli, e che, certamente, non mancavano n� d’ingegno, n� di abilit�, non vi sono riusciti.

Terminer�, dice l’oratore, colle parole del deputato Ferrari: Ministri governate colla libert�. Vi sono ancora molte difficolt� io non ne accuso il ministero; ma bisogna convenire che abbiamo perduto molto tempo nella prima parte della sessione in discorsi inutili, e che a quest’ora bisogna che, tutti riuniti in un medesimo pensiero, noi terminiamo l’opera dell’unificazione italiana. (Bravo)

Zuppetta esordisce rammentando che Solone voleva che gli uomini del potere dicessero tutta la verit�. Ho la debolezza, egli aggiunge, di pensare come Solone.

L’oratore prende ad occuparsi delle provincie napolitane che, appena liberate dalla tirannide borbonica, sono cadute in una serie di calamit�; quando esse avrebbero dovuto godere della pace e della prosperit�.

Il 20 novembre ho proposto, aggiunge il deputato Zuppetta, di rimediare a questo stato di cose, e la mia proposta fu accolta con sarcasmo, con indifferenza.

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Il presidente del consiglio mi ha risposto che il male delle provincie napoletane non poteva essere guarito da alcun medico, gli � come se avesse detto che Napoli era gi� un cadavere, (Oh! Oh!)

L’oratore pretende che la questione della Penisola non si agiti n� a Roma, n� a Venezia, ma a Napoli. Mandate l� Garibaldi e vedrete questo preteso cadavere rialzarsi, prender le armi e battersi eroicamente per la patria. (Bravo dalle tribune) La discussione dunque, sulla situazione di Napoli, non � soltanto utile, ma necessaria. Si dice che l’Europa ci guarda e ci ascolta. Or bene! che essa ci guardi anche coi cento occhi d’Argo (Oh! Oh', mormorii), l’Europa riconoscer� che gl’Italiani dovrebbero dettare leggi al mondo intiero (Oh!oh!), l’Europa riconoscer�… (Mormorii interruzioni).

Presidente. Prego la Camera di far silenzio e di ascoltar l’oratore.

Zuppetta. Prego il sig. Presidente di far rispettare il regolamento e di dire ai miei avversarii che s'ei vogliono sconcertarmi non hanno che ad applaudirmi.

L’oratore continua dicendo che, d’accordo colle parole del Presidente, egli abbrevier� il suo discorso d’una met�; che si � nominata una Commissione (il 9 novembre) a Napoli la patria di Vico e di Filangieri, composta di mistificatori, nella quale non potevasi avere alcuna confidenza. Il 1. decembre, il sig. Pisanelli ha decretato una legge sulla stampa che era tirannica. L’oratore biasima pure che siasi messa in vigore a Napoli la legge elettorale piemontese, il che, dic’egli, facea ripetere a Napoli che si avrebbe con essa un Parlamento fittizio (oh! oh! interruzione)

Il Presidente fa osservare che non pu� permettere all’oratore di biasimare una legge, in virt� della quale la Camera � eletta e siede (applausi)

Zuppetta. Io ripeto quello che si diceva a Napoli; non biasimo la legge, ma aggiungo che un governo abile non deve annettere n� centralizzare tutt’ad un tratto. Le masse non sono composte di filosofi.

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Ora, il governo centrale ha mostrato una specie d’ingratitudine verso il liberatore: esso mandava a Napoli, o a caso o ad arte, tutti i nemici del generale. Si � pur fatto malamente di allontanare tutti gli uomini della rivoluzione ch'era per� modestissima, e che avea per capo un alto personaggio che io non posso nominare in questo recinto.

Tutti questi uomini sono stati allontanati. E nondimeno essi si erano benissimo comportati. Il 29 marzo, quando il sig. Nigra era a Napoli, si temettero alcuni torbidi; si rivolse a questi uomini, e tutto rest� tranquillo. Ogniqualvolta si trattava il allontanare una tempesta, indirizzavasi ad essi; passata la tempesta, si rimandavano come gente da nulla, (Si ride, mormoni) La cosa fu al punto che dei malevoli hanno sperato suscitar querele fra quest’uomini e gli ufficiali dell’armata regolare; se non vi sono riusciti lo si deve attribuire alla saggezza, al patriottismo di questi cattivi mobili. (Mormoni)

Evvi di pi�: eravi una moltitudine di posti vacanti; piuttosto che darli agli uomini della rivoluzione, si sono prese le mani ancora insanguinate di borbonici, e si sono installati in quei posti i nemici della rivoluzione… (Mormoni, interruzioni.)

L’oratore rimprovera ai ministri ci� che fu fatto per l’organamento giudiziario. Egli dice che i magistrati sono male scelti e che per conseguenza il lavoro non si fa, o non si fa come dovrebbe esser fatto. Per mostrare alla Camera quali fossero gli antichi magistrati di Napoli, egli cita la circostanza che si � portato come presente alla camera di Napoli, e sulle barricate, al tempo del famoso processo del 15 maggio 1848, il deputato Massari che allora trovavasi a Roma.

Massari A Milano

Zuppetta A Milano. Finalmente, voi non eravate n� alla Camera, n� sulle barricate di Napoli. L'oratore rimprovera ancora al governo di non aver date armi sufficienti alla guardia nazionale. A Bari, v’ebbero 23,000 inscritti, e appena sono armati 3,000. Ci� sembra incredibile dice esso; se vi fossero state pi� armi, il brigantaggio sarebbe stato ben tosto vinto.

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Biasima egualmente lo scioglimento dei corpi che rendevano utili servizi. Se tutte le cause di malcontento fossero state ben esaminate dal governo, se avesse avvisato ai mezzi di recarvi rimedio non avrebbe incorso i rimproveri che ora gli si muovono da ogni parte.

Zuppetta annunzia che parler� dei rimedj da applicarsi al male. Signori ministri, fate tutto l’opposto di ci� che � stato fatto dai vostri predecessori e dai loro successori. Disse Plutarco che quegli che fece il male � pi� d’ogni altro atto a ripararlo; ma Tacito dice il contrario e assicura che quelli che ne sono gli autori, non possono recarvi rimedio. Io vi lascio la scelta.

Farini (Per un fatto personale) Fui rimproverato di aver decretato la legge sulla stampa e sulla legge elettorale. Io era incaricato di procedere alla unificazione delle leggi al pi� presto possibile; e quanto alla legge elettorale, io stupisco che un giureconsulto mi rimproveri di avere applicato la sola che potesse mandare dei deputati napoletani in questa assemblea, gli altri membri della quale erano eletti da questa medesima legge. Stupisco ancora che egli abbia parlato con dispregio di una consulta in cui sedevano uomini benemeriti per tanti titoli, dieciotto de’   quali siedono su questi banchi, a destra, al centro, a sinistra. Parmi che si sostenga male la causa del proprio parere maledicendo ad alcuni de’   suoi concittadini pi� rispettabili. Bravo.

Zuppetta dice che risponder� dichiarando che non vuole rispondere.

De Blasiis. Dir� poche cose. Attribuisco tutti i mali alla rapida successione di parecchi governi e d’uomini diversi; ci� che ingener� la confusione e il disordine. Non v’ebbe n� malversazione n� altra cosa. Ci� basta. Importa dare a Napoli un governo stabile e definitivo. Ecco il vero rimedio. Certamente dobbiamo chiamare l’attenzione del governo sui mali che travagliano le nostre provincie; ma io credo che il dovere d’un deputato sia di spiegare gli atti del governo al paese, di farsi il suo interprete e con questo noi saremo utili alle nostre provincie e illumineremo gli ignoranti, (bisbigli)

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Certamente vi sono degli ignoranti, poich� � il dispotismo, che ha per tanto tempo separato queste provincie dalle provincia pi� incivilite dell’Italia. (Interruzione a sinistra). Il nostro dovere, si signori, � quello di spiegare a queste popolazioni…

(Finiamola! dai banchi dell’opposizione), di spiegar loro, dico io, ci� che esse debbano alla lor volta agli uomini che li governano e allora si vedranno andar d’accordo i governanti coi governati (bisbigli).

Mandoj legge un discorso con cui rimprovera al governo molti errori, fra cui lo scioglimento dell’armata meridionale e dell’armata borbonica, di cui si adoprarono pochi uffiziali, comunque molti meritevoli; la quantit� dei decreti che si promulgarono malo a proposito. Ferini, secondo lui, si � messo in contraddizione con quanto scrisse cosi bene nella sua Storia sulla Sicilia. L’oratore prega il presidente a volergli ottenere l’attenzione della Camera.

Presidente. Ma ho gi� raccomandato il silenzio.

Mando) continua la sua lettura e passa in rassegna le amministrazioni di Nigra, di S. Martino etc. (Non rimangono pi� nella sala che una ventina di Deputati che se la passeggiano.)

Conchiude pregando il governo a spedire a Napoli un commissario straordinario con pieni poteri e spera che la Camera non si rimarr� dal conferirne l’autorizzazione necessaria.

La seduta � levata alle ore 5 1!2.

Seduta del 6 dicembre

Continua la discussione sull’interpellanza relativa alla questione romana ed alle condizioni delle provincie napolitane.

Solito concorso nelle tribune.

Si annuncia l’ordine del giorno.

Pres. Il presidente del consiglio ha la parola.

Ricasoli. (Segni d’attenzione) Durante quattro giorni, o signori, avrete riscontrato come tutto il ministero

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abbia prestata religiosa attenzione alle questioni che si sono agitate relativamente alla questione romana ed alle condizioni delle provincie meridionali.

L’attenzione era suggerita dalla diffidenza che il ministero aveva di se medesimo; era per� tranquillizzato dall’idea di avere agito con coscienza e dal desiderio di conoscere esattamente i vari mali che affliggono il novello nostro regno.

Il governo poi resta confortato nel conoscere che questi mali non sono nulla pi�, nulla meno che quelli che, durante sei mesi di governo, ebbe lungamente meditato o dei quali aveva dato resoconto a se medesimo.

L’attenzione poi era eccitata dal desiderio di conoscere i rimedii, ed il ministero si � confortato nel vedere che i rimedii consigliati furono quelli gi� adottati da esso conformemente ai bisogni, e che ebbero un qualche buon frutto.

Oggi nel prendere la parola sono lieto di poter annunciare, che attenendomi ai fatti, perch� coll’astrazione non si governa, trovo in essi veraci argomenti di consolazione.

Mi permetta la Camera che riassuma alcune osservazioni, che nei passati giorni sono state fatte al governo e le quali, lungi dall’essere serie, tornano ad esso di vantaggio.

L’on. Musolino tenne un lungo discorso per dimostrare una cosa veramente nuova, che cio� l’Italia non ha altri nemici che la Francia. Io non mi piglio vezzo di sostenere cose non naturali, per� credo che basta rivolgere lo sguardo a questi due ultimi anni della storia nostra, dai quali si vede come la Francia sparse il suo sangue generoso sui campi di battaglia ed afferm� quel fatto che assicura all’Italia il compimento della sua volont�, fatto che � la garanzia del procedimento della sua opera nazionale, il fatto cio� del non intervento, che lo sguardo vigile e formidabile dell’Imperatore conobbe propizio alla causa nostra.

Ma questo fatto, o signori, conviene che sia garantito dalla virt� della prudenza, della perseveranza e della annegazione, ed ecco la parte, nella quale mi accordo coll’on. Musolino, che cio� l’Italia deve fare da s�, senza aiuto di potenze straniere. (Bene.)

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L’on. Musolino ha chiamato l’esercizio della politica concentrata nelle mie mani, una politica servile. A dir vero questa accusa mi sorprese, perch� ero abituato a sentirmi condannare come troppo tenace e troppo altero e seguace di una politica gagliarda e senza pericolo.

Abbia il Parlamento la compiacenza di ascoltare la mia difesa. Io amo una politica non millantatrice: io rappresento una nazione distinta, assennata e di modi civili, e desidero che il mio animo ed il carattere mio corrispondano ad essa. (Bene)

L’on. deputato Alfieri parve volesse accusare il ministero di essere contrario al principio proclamato altamente dal compianto conte di Cavour, che cio� essa voglia porre in cima di ogni altra cosa, a capo del suo programma, la volont� di andare a Roma, dimenticando gli altri interessi della nazione. Trov� quindi, che il ministero accortosi di non riuscire nella via di Roma, non pensi pi� ad essa, ma non si occupi nemmeno dell’interno.

Ci� a vero dire � del tutto contrario al mio modo di pensare. Credo al contrario che la vita di una nazione non sia dissimile alla vita dell’individuo e che non sia opportuno di non mantenerne la vitalit� in ogni sua parte. Quindi ho l’onore di dichiarare come crederei grande sventura che la parola sosta potesse penetrare nella amministrazione nostra. Quando trattasi del compimento della nazione non vi vuol sosta, o signori. (Bene)

Il governo presente si occup� di continuare l’opera del con te di Cavour ed io interpetrai il voto del Parlamento e prestai ogni interesse all’ordinamento interno, perch� credei che quanto un individuo sar� pi� robusto e pi� prospero, egli pi� potr� contribuire alla propria difesa.

Il governo, o signori, si occup� dell’ordinamento interno, ma in pari tempo occupossi della questione romana.

Il programma suo lo avete gi� inteso nella tornata del 1. luglio in occasione della discussione sull’imprestito.

Ognuno dei miei colleghi dar� separatamente risposta alle obbiezioni che vennero fatte alle singole loro amministrazioni.

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Il ministro della marina e della guerra, ed il ministro della giustizia vi diranno quanto abbiano fatto in questi rami importanti dell'amministrazione. Noi tutti insomma abbiamo l'intimo convincimento di aver fatto il nostro dovere.

Per quello poi che mi riguarda, discender�, o signori, a parlarvi prima dell’amministrazione del regno in generale e quindi particolarmente delle provincie napoletane. (Attenzione)

Le condizioni del regno, non bisogna esagerarle n� in bene n� in male, sono quali debbono essere in un regno che si trova in continua rivoluzione.

Quello che importa di sapere si � se lo spirito pubblico d’Italia voglia o non voglia il suo ordinamento.

L’Italia � il paese pi� ordinato che esista e quand’anche non avessi per essa quest’affetto che nutro perch� mia patria, vorrei avere l’onore di appartenerle per la sua temperanza, la sua moderazione e la sua assennatezza. (Bene, bravo)

In fin dei conti, o signori, l’uomo non � di cera n� di terracotta; ed � fuor di dubbio che deve ancor egli avere i suoi momenti smodati, perch� libert� non si fonda senza tempo.

Vi saranno dei mali di grado superiore a quelli che esistono in altri paesi; io parlo in generale. Si � certo che delitti ve ne sono dappertutto, � naturale per� che ne abbia anche un paese il quale esce da un dispotismo terribile che impediva il bene come il male e che incuteva il terrorismo persino nel pensiero, da un dispotismo che nulla aveva creato e che non aveva formato il cuore.

Si dice che la pubblica sicurezza sia difettosa; e lo deve essere, o signori. Durante questi due anni, che cosa si � fatto? Si attese pi� alla politica che agli affari. La forza pubblica potea forse in due anni crearsi improvvisamente? Quella forza che sotto ai caduti governi serviva alla pubblica sicurezza era guasta, e non poteva convenire alle condizioni del paese; anzi gli individui che la componevano sono quelli appunto che fomentano tra noi il disordine.

Conveniva creare nuova milizia di polizia, conveniva dare ai carabinieri una forza particolare. Il governo lo fece?

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S�, ha la coscienza di averlo fatto, perch� il corpo dei carabinieri fu oggetto speciale della sua attenzione. Nel corso di 6 mesi crebbe di oltre tre mila teste, colle quali non tocca che le 15 mila dei 19 mila a cui condurranno lo leve che si stanno facendo.

Il governo provvide costantemente a migliorare le guardie di pubblica sicurezza, nonch� gli agenti destinati all’ordine pubblico ed altri funzionarii. Esso esigeva nelle persone scelte la probit�, la capacit� ed il pensiero politico conforme a quello di tutti noi, ed ora dichiara altamente, solennemente (con calore) che non transiger� mai con chi fu per lo passato satellite del despotismo (bene) e nel cui cuore non havvi il programma che noi tutti abbiamo (bene) ed ha la coscienza di aver sempre ci� mantenuto o manterr� sempre. (Bene)

Se mi dimenticassi di rispondere a qualche obbiezione, prego gli onorevoli deputati a richiamarmelo alla memoria.

Passiamo ora alle provincie napoletane.

Fu detto da qualche oratore che il governo non ha verso di esse quella amorevolezza e quell’affetto che deve avere. Questa accusa mi ha gravemente accuorato, o signori. Al contrario devo dire che appunto perch� quelle provincie richiedono particolare sollecitudine, devono in particolare ottenere pi� cure.

� noto come due dei miei colleghi siensi recati col� sfidando i pericoli che pur vi erano, per riscontrare personalmente l’andamento delle pubbliche bisogna, l’amministrazione della giustizia e l’andamento dei pubblici lavori.

L’On. mio collega il ministro Peruzzi attravers� tutte lo provincie, si � confuso con quelle popolazioni e ne riscontr� i bisogni ed ebbe prima di me il convincimento che la sua gita fu efficace, come quella che ai lavori gi� attivati diede grandissimo impulso. Per provvedere a tanti bisogni � necessario aprir nuove comunicazioni onde attivare elementi di prosperit� nazionale. Ed io sono indotto a credere che l’on. ministro dei lavori pubblici ha attivamente contribuito a cementare la nostra unit�.


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Quale � lo stato attuale di quelle provincie? Il governo � in diretta comunicazione con tutte quelle autorit� o quindi in caso di portarvi un esatto giudizio. Napoli non pu� servire alla popolazione di sette milioni. Io ho fiducia in Napoli forse pi� di coloro che parlano sovente di. Napoli, e l’esperienza di questi mesi conferma pienamente quanto su ci� appunto espressi nella circolare che ho diretta ai nostri agenti diplomatici e mostra quanto fosse giusto ci� che in essa ho asserito. La prova del patriottismo di quella citt� ci viene fornita dal brigantaggio stesso quando si considera che guardie nazionali, inesperte al maneggio delle armi, disabituate alla fatica condussero una vita piena di pericoli e di difficolt�; se si considera che il brigantaggio fu compresso dal valore delle truppe regolari associato a quello delle guardie nazionali ed ora � limitato a ristretti confini; quando si considera tutto questo, si � indotti a ritenere che quelle provincie racchiudono in s� elementi per un prossimo risorgimento.

A dimostrare poi le sollecitudini del governo per gli abitanti di quelle provincie, approfitto di questa occasione per dire che esso ne’ varii dicasteri trova solidissimo appoggio in essi. Cos� l'on. ministro delle finanze si � circondato di eletti ingegni alle stesse provincie appartenenti e vi presenter� dei progetti di legge che son frutto degli studi loro. Cos� dicasi del ministero dello interno.

Veniamo ora ai prefetti,

I prefetti vennero tolti da tutte le parti d’Italia: cos� pure i consiglieri di prefettura. Tra essi sonovi parecchi napoletani o questa non � che una parte del lavoro, perch� l’ordinamento si sta facendo. Spero quindi sar� tolta ogni ombra di dubbio che il governo non accetti e non si circondi degli ingegni di quel paese.

Facendo parola del brigantaggio, io non verr� tracciandovene la storia, perch� d’altronde fu estesamente fatta in questa stessa discussione. Solo oggi vi dir� che esso, frenato in gran parte dall’operoso zelo e dalla capacit� dell’ultimo luogotenente, pareva prendesse vigore nella Basilicata ed in Terra di Lavoro.

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Il ministero aveva rapporti come in Roma si facevano continui arruolamenti, che venivano spinti in quelle provincie, e che merc� la cooperazione della guardia nazionale si ridussero a niente.

Furono presi opportuni provvedimenti per parte del governo francese, che mai ha voluto smentir� le sue simpatie per la causa italiana ed ora le autorit� militari francesi si accordarono colle autorit� militari italiane per attivare misure che impediscano ta introduzione del brigantaggio nel nostro regno. � certo che simili misure produrranno ottimi effetti.

Al completo ordinamento pens� accuratamente il governo. Quanto ai delitti ordinarii credo che la voce pubblica sia pi� esagerata del vero giudizio reale.

Di ci� porter� in prova un fatto che stamattina stessa riferivami l’on. ministro dei lavori pubblici. Le messaggerie incaricate del trasporto delle lettere o dei viaggiatori nelle provincie meridionali, sommano a circa 86 al giorno. Questo numero moltiplicato dal primo aprile sino al 20 novembre, ascendo a 13,140 viaggi. Eppure non si ebbero che 42 aggressioni soltanto.

Questo ripeto autorizza a credere che la pubblica voce sia stata esagerata.

Il governo con ci� non intende di fidare in se medesimo, ma � contento perch� � fuor di dubbio che il male non pu� spaventarlo o trova incoraggiamento nella prova che l’opera sua non � mancata.

Alla quiete pubblica si � del pari provveduto perch� col� sono vi 50|m. soldati di truppa regolare, i quali hanno l'incarico di combattere il brigantaggio. Ci� vi sia d’arra che il governo fu alacre nei provvedimenti…

Quanto agli intendimenti del ministero rispetto agli ordinamenti interni vi dir� dio il principio in esso predominante � il principio di unificazione.

Si o signori, colgo quest’occasione per dirvi, che io sono d’avviso non esservi altra salute che l’unificazione immediata per ordinare l’amministrazione e la legislazione: E per giungervi pi� presto credo sia opportuno tralasciare l’ottimo accontentandoci del buono.

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Ricercheremo l’ottimo quando l’esperienza ci avr� ammaestrati.

Basato su questo principio il governo del Re non ha tardato di abolire la luogotenenza napoletana e non tarder� di abolire anche quella di Sicilia. (D'Ondes domanda la parola) Io credo, o signori, che il governatore locale sia una barriera, un velo, un sipario per cui i paesi non conoscono l’animo del governo n� il governo quello dei paesi. (Bene)

Confesso che anch’io un tempo inclinavo pel sistema regionale ma portata su quel sistema una meditazione pi� sagace o pi� profonda e resomi conto della fisiologia degli affari, mi parve completamento inutile.

Io non ho esitato di abbandonarlo.

Del pari credo conveniente che quanto agli interessi locali vengano questi affidati all’intelligenza interna.

Ecco perch� le leggi comunali e provinciali saranno il compimento di questo principio, ecco perch� credo che ogni provincia debba avere il suo amministratore.

Partito da questi due principii presenter� fra pochi giorni la legge comunale e la provinciale attualmente in applicazione nella gran parte del regno, perch� la Camera si degni permettere che venga applicata al rimanente Del pari la legge sulle opere pie, e sulla pubblica sicurezza.

Ora, o signori completer� il pensiero che ha il governo relativamente alla questione italiana. (Segni d’attenzione)

La questione romana non � unicamente una questione politica. � la questione pi� grave dei tempi nostri. Da un lato tiene all’Italia, dall’altro alle credenze di tutto il mondo cattolico. L’Italia vi � direttamente interessata, ma la Francia come grande potenza che sta a capo di ogni progresso umano, ama l’Italia, potenza cattolica, e tiene proposito di aiutarla.

Se adunque la questione non � soltanto politica ma eziandio religiosa, parmi logica conseguenza, che non debbasi sciogliere con mezzi violenti, i quali sarebbero fuori di luogo: ma quando anche riuscissero, la questione potrebbe dirsi risoluta? Dubiterei assai. Io credo che possa sciogliersi, allorch� si maturi colla discussione.

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Quello che un tempo si faceva nei concilii oggi si agita innanzi alla pubblica opinione, il pi� grande dei concilii. (Bene)

Siamo schietti, o signori; l’opinione pubblica in questi ultimi tempi ha molto progredito. Nei tempi andati si sosteneva che il dominio temporale fosse necessario all’esercizio dello spirituale, ed ora invece si crede che lo spirituale possa essere senza di quello pi� indipendente; per lo passato si sosteneva che la religione perderebbe qualora perdesse lo splendore di un regno terrestre, ora si ritiene il contrario.

V'ha un dubbio in qualcuno, di sapere cio� come conciliare la libert� del pontefice spogliato di ogni sovranit�, e fu allora che il Parlamento italiano credette che scioglimento di questo dubbio potesse essere il principio di libera chiesa in libero stato.

Questa formola rimase senza attuazione. Il ministero attuali; credette suo dovere di esaminare se si fosse potuto raccoglierla in una pratica applicazione, ed ho creduto che ci� potesse stare nelle basi dei documenti che ho avuto l’onore di sottoporre al vostro giudizio. Allora non tardai di procurare l’effettuazione di quel progetto, sicuro com’era che una volta che l’opinione pubblica lo avesse accettato non incontrerebbe alcuna difficolt�.

Il governo credette necessario che l'Italia mostrasse al mondo cattolico che nel volere la sua capitale voleva conservare lo splendore, la gloria e l’unit� della chiesa. Ecco quale fu il fine del governo.

Molte obbiezioni si sono fatte a questo manifesto. Fu detto che la via presa � lunga ed � sterile di risultato. A dir vero io non lo credo, ma non metter� in campo la mia peculiare opinione. Possiamo discutere sulla lunghezza della via quando siamo tutti d’accordo non esservene una di breve? In una questione d’altronde cosi grave cosi importante, che da tanti secoli si agita, possiamo noi enumerare i giorni?

Si � pur detto che lo Stato accordando cosi largamente li annoierebbe alle sue prerogative. Io non credo fondata l’accusa.

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Credo che nel progresso dei tempi lo Stato e la Chiesa entreranno nella loro sfera d’azione: nel progetto rassegnato non ravviso n� una parte che perde, n� una parte che guadagni; vi scorgo un modo di stabilire armonia fra il potere civile e spirituale.

Mi si accusa di aver adoperato termini umilianti e sommessi. Ma, o signori, io, ministro di un Re cattolico, che � a capo di una nazione cattolica, doveva dirigermi al Pontefice con un linguaggio da nemico? No senza dubbio. Io tenni un linguaggio, quale doveva essere operato da chi parlava in nome di una nazione credente. Io credo invece essendomi cosi umiliato innanzi al Capo della Chiesa di non aver umiliata la nazione. Il Parlamento mi giudicher�.

Riassumendo dir� che la questione romana deve sciogliersi moralmente dall’Italia d’accordo colla Francia, guadagnata l’opinione dei cattolici. Procedendo in questi modi non poteva rivolgermi direttamente al pontefice, bens� all’Imperatore dei francesi.

Il quale ha pronunciato giudizio favorevole al progetto dichiarando per� che il tempo non pare volga opportuno, perch� le disposizioni dell’animo del pontefice non lo permettevano. Devesi aggiungere inoltre che la Francia in quel momento non aveva in Roma il suo rappresentante. Del resto il mio progetto fu presentato al governo francese dall’illustre personaggio che cos� degnamente rappresenta presso la Francia il governo italiano.

Credo che ogni interpretazione su questo proposito possa essere rimossa.

Il governo, o signori, che ha l’intimo convincimento di aver camminato e di progredire per una via diritta e conforme agI’interessi d’Italia, ha il diritto di chiedere il vostro incoraggiamento. Qualunque per� sia la vostra deliberazione, egli ha la coscienza di aver sempre operato nell’interesse della patria. (Bene applausi)

Miglietti. Incomincia dal rispondere alle accuse del deputato Brofferio, il quale rimprover� il governo di aver rinunziato a quelle prerogative che sempre stettero a cuore al Piemonte.

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L’esercizio di questi diritti regali, era una necessit� allorquando il governo si serviva della religione come mezzo di governare. Allora il governo che si valeva della religione, doveva tutelarsi contro di essa. Ed io manterr� quei diritti finch� la libert� di culto e di coscienza saranno un desiderio — Cita la sua recente circolare ai vescovi.

Ma se si attuer� il principio libera chiesa in libero stato, vorr� il deputato Brofferio, difensore nato di tutte le libert�, che s’inceppi la libert� della chiesa?

Vengo agli appunti a me specialmente rivolti.

Fu detto che non si era provvisto sufficientemente all’amministrazione della giustizia. Che cosa il governo poteva operare di pi�? Nell’Emilia, nelle Marche, nell’Umbria, a Bologna io dichiaro che leggi sono sufficienti ed applicate con zelo ed attivit� dai magistrati. Se le leggi non sempre colpiscono il colpevole, ci� dipende dalla renitenza dei testimoni. Ma le leggi sono sufficienti e non abbiamo bisogno di mezzi straordinari e non li chiederemo. Ai difetti della leggo rimedier� l’istituzione dei giurati che educa il cittadino e ne rileva la dignit�.

Venni rimproverato di non attuare con prontezza lo leggi organiche state proclamate durante la luogotenenza del principe di Carignano. La legge delle corporazioni religiose durante la luogotenenza che succedette a quella del principe di Carignano non era desiderabile che si attuasse e mi si scriveva che era improvvido porla in esecuzione.

Riguardo alla composizione delle Corti io doveva occuparmi di correggere l’istituzione. Coloro che oggi mi rimproverano di non aver attuato con sollecitudine l’organamento giudiziario, si opposero sempre ed ancor adesso si oppongono alla sua immediata attuazione.

Si disse che io non ho fatto una parte sufficiente ai napolitani nell’amministrazione della giustizia. Quando entrai al ministero feci un nuovo ordinamento, contemplai la venuta degli impiegati napolitani e lasciai vacanti varii posti e lo sa l’onorevole Pisanelli. Io mi recai a Napoli anche per ricercare quegli impiegati ma n� con lettere, n� con parole ottenni che venissero.

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Tutti mi risposero �datemi un posto qualunque, anche inferiore, ma in Napoli�. Mi rivolsi al deputato Pisanelli affinch� servisse d’intermediario presso quegli impiegati e perci� non si pu� imputare a me se dessi non vennero. Quei posti li ho ancora vacanti; io aspetto gl’impiegati, ma non dar� mai un ordine per farli venire perch� preferisco due impiegati che vengano volonterosi ad un numero maggiore che venga per forza. (Segni numerosi d’approvazione).

Brofferio (per un fatto personale). Rispondendo al ministro di grazia e giustizia, dice che ora pi� che mai ardono le passioni religiose, e che ora pi� che mai bisogna opporsi all’usurpazione clericale, e perci� non conviene abbandonare i diritti dello Stato.

Soggiunge alcune parole in risposta all’onorevole Boncompagni. Egli disse che i democratici quando giunsero al potere furono sempre incapaci. Ci� � falso, e cita Guizot, Tbiers e Casimir Perier che uscirono dalla sinistra (Mormorio, Martinez della Rosa, (interruzione scampanellate) e Urbano Rattazzi, (segni l’approvazione su alcuni banchi).

Rispondo pure all’onorevole Massari che lo accus� di pretendere miracoli dai ministri.

Della Rovere. Le osservazioni fattemi versarono sull’esercito borbonico, sul meridionale e sul nazionale regolare.

L’esercito borbonico non fu sciolto, ma si sciolse da per s� o in seguito ai combattimenti o in seguito alle capitolazioni. Per� abbiamo nell’esercito italiano 40,000 uomini appartenenti all’antico esercito borbonico.

Non abbiamo neppure sciolto l’esercito dei volontari. Anch’esso si sciolse da per s�, perch� quando cessa il pericolo immediato di guerra, non pu� sussistere un esercito stanziale di volontari.

Dice che ne esistono i quadri, ed al momento del pericolo si riempiranno sicuramente se il generale Garibaldi vorr� prenderne il comando (Applausi).

Ora abbiamo 272,000 uomini e ne avremo 300,000 a febbraio non tutti buoni soldati perch� non s’improvvisano, ma se scoppiasse una guerra, l'entusiasmo supplirebbe all’abilit�. (Applausi) Fra un anno per� avremo un esercito pari sotto ogni rispetto a quello che nelle guerre passate oper� tanti prodigi.

Promette di occuparsi d’accordo col ministero dell'interno della guardia nazionale mobile. Siano in grado di vestirla ed armarla oggi stesso se occorre. (Vivi applausi.)

Peruzzi. Nella mia recente escursione nelle provincie napolitano, ebbi anche lo scopo d’interrogare le autorit� e tutti coloro coi quali mi intratteneva intorno ai bisogni di quelle popolazioni.

Si parl� dei grandi dolori dalle medesime sofferti. Questi mali e questi dolori sono antichi e perci� bisogna andare alla radice del male, e se vi anderemo, la malattia non sar� incurabile.

I rimedii fin qui proposti dagli onorevoli oppositori, lasciando in disparte quello dell’onorevole Ricciardi, sono troppo generici e perci� poco efficaci. Essi d'altronde si riferiscono quasi tutti pi� alla citt� di Napoli che al resto delle provincie.

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L'Italia ha un gran debito verso Napoli che fece per lei un grande sacrificio, e lo deve pagare. Napoli aveva ricevuto uno sviluppo artificiale dal governo che tutto in essa aveva centralizzato. Tutto era a Napoli apparenza e fantasmagoria.

Espone lo stato di Napoli e lo paragona a quello delle provincie dimostrando che tutto si era sacrificato alla capitale.

Parla dell'opportunit� del provvedimento da cui fu soppressa la luogotenenza.

Alla citt� di Napoli bisogna pagare il nostro debito promuovendone i veri interessi ed il governo presenter� un progetto di un grandioso porto adatto all’importanza di quella citt�.

Descrive lo stato miserando delle provincie. Io le percorsi, ei dice, ma non avevo nemmeno quello innocente revolver che aveva l’onorevole Ferrari (ilarit� prolungata).

Dovunque fui bene accolto. Il male pi� grande si � la sfiducia che si ha pel governo in generale, qualunque e’ sia, perch� il governo � sempre considerato come l’oppressione d’una classe sulle altre. Ci� verr� tolto promuovendo l’educazione e migliorando specialmente le condizioni dei coloni. Colla libert� soltanto si potr� educare quel popolo (applausi).

Rende omaggio agli atti dei consigli provinciali dello provincie napolitane che dimostrano civile sapienza.

A queste provincie per� fa eccezione quella di Terra di Bari che si trova in ottime condizioni morali e materiali. Io sono convinto che se l’esempio dei cittadini di queste provincie sar� seguito, finiranno dappertutto i mali che si lamentano.

Parla delle strade ferrate. Smentisce la voce corsa che la societ� romana vi impiegasse agenti borbonici.

Ora poi si disse perfino che i lavoranti delle strade ferrate sono piemontesi. A me invece risulta che su 81m. operai impiegati 200 soli appartengono a provincie non napoletane.

Per soddisfare ai bisogni di quelle popolazioni e svilupparne la ricchezza � necessario condurre a termine i lavori pubblici.

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Quanto alle strade ferrate i favori sono in gran parte iniziati. Ho la fiducia che nel corso dall’anno venturo Napoli non sar� divisa per la via di terra da Torino che da 40 ore di viaggio.

Passa in rassegna i tronchi di ferrovie che in epoca prossima saranno attivati, manifesta alla Camera quanto intorno ai lavori pubblici si-� fatto e si intende di fare nelle provincie meridionali.

Confida che a migliorare lo stato di quelle provincie concorreranno l’azione del governo e quella dei cittadini.

Ma ci� che occorre si � di rialzare l’autorit� del governo sconosciuta nei tempi addietro a quelle popolazioni. Se il Parlamento ha fiducia nell'attuale ministero glielo dichiari in modo esplicito (Applausi)

Menabrea. Difende varii dei suoi atti ed in particolare quelli che si riferiscono alla scuola di marina di Napoli.

Essa si fondava su un sistema di privilegi incompatibile col regime costituzionale.

Entra poi a discorrere degli eccitamenti che vennero fatti al ministero in ordine all’amministrazione del regno e dice che fra questi vi � quello di armare. D� perci� relazione dello stato della marina militare italiana.

Noi avremo nella primavera ventura 999 — forza di cannoni, e 14,400 — forza di cavalli. (Applausi).

Petruccelli. Io sperava, che dopo il discorso dell’onorevole Ricasoli la discussione potesse chiudersi, ma il suo discorso non contiene n� un programma n� una giustificazione. Non far� appunti sulla politica interna, non toccher� neppure la parte canonica della politica estera del ministero, ma non posso serbare il silenzio su Roma.

Il signor ministro non ci ha data alcuna speranza di modificare il sistema da lui seguito La nostra politica estera si ricapitola nella quistione romana. Ebbene, io credo che la quistione romana non esista (rumori) o almeno la quistione romana che ora si discute non sia la vera.

La questione romana era una necessit�, una maschera per la Francia, ma non interessa per nulla l’Italia.

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Una volta questa questione messa innanzi, il conto di Cavour l’aveva accettata o pose il principio libera chiesa in libero stato.

L’opposizione ebbe un bel gridare che ci� era impossibile, ma fu schernita. Gli avvenimenti dimostrano che l’opposizione non si � ingannata ed ora ci� che rimane da fare di pi� nobile si � di stare colle braccia incrociate. (Interruzione)

L’opposizione ebbe un bel gridare che ci� era impossibile, ma fu schernita. Gli avvenimenti dimostrano che l'opposizione non si � ingannata, ed ora ci� che ci rimane da fare di pi� nobile si � di stare colle braccia incrociate. (Interruzioni) Discende ad esaminare il principio di libera Chiesa in libero Stato, e crede che ammesse le libert� della Chiesa non pu� concepirsi la libert� dello Stato. �E voi rappresentanti liberali. potrete accordare questa cristallizzazione del diritto?� (Ilarit�)

Crede che a Roma non si possa andare colla Francia; bensi cambiando politica interna. Il ministero sconobbe la sua origine, la rivoluzione; egli ha fatto una politica di cloroformio.

Noi dobbiamo seguire la politica di Manin: �Agitatevi ed agitate� e la nostra agitazione non turber� le coscienze cattoliche.

Quanto alle provincie meridionali domando che venga posto lo stato d’assedio in quelle provincie dove esiste il brigantaggio, perch� talvolta la libert� uccide.

Vi sono briganti di citt�, egli dice, e briganti di montagna. Questi si sanno domare, ma per quelli non v’ha altro rimedio che lo stato d’assedio.

(Questo discorso � applaudito).

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Presidenza Tecchio vice-presidente.

Seduta del 7 dicembre.

Gallerie affollate.

Continua la discussione sulla questiono romana e sulle condizioni delle provincie napoletane.

Ricasoli. (Segni d’attenzione) Un rimprovero mi vien diretto, perch� ieri non parlai delle condizioni di Bologna. Ci� non avvenne n� per oblio, n� per difetto di sollecitudine; ma credetti che non fosse il caso perch� le condizioni di quella citt� sono eccellenti.

Il governo ha preso energici provvedimenti sempre sulla scala di provvedimenti amministrativi. Si aument� di 200 il numero dei carabinieri col� destinati; si aumentarono le guardie di pubblica sicurezza, gli agenti della polizia civile, ed in parte furono mutati gli impiegati della pubblica sicurezza.

I migliori agenti di essa sono consacrati a quel servizio. Il ministero, d’accordo col municipio, prese gli opportuni provvedimenti per la pubblica quiete.

Quando avvenne l’uccisione dei due ispettori, invitai l’on. Minghetti ad aiutarmi coi suoi consigli ed egli apparecchi� un progetto di legge sulla pubblica sicurezza sul sistema inglese.

I delitti avvenuti in quest’anno in quella citt�, sono in numero inferiore a quelli che successero l’anno scorso.

Mellana (in ordine alla discussione). Ieri abbiamo avuto un diluvio di discorsi ministeriali. Ci� non pu� avere luogo perch� � stabilito dal regolamento che si ascoltino alternativamente discorsi in pro, in merito e contro il ministero.

Pres. L’art. 66 dello statuto accorda la parola ai ministri ogniqualvolta lo richieggono. Se per� l’onorevole Mellana desidera che i discorsi della opposizione si alternino con quelli dei ministri, la Camera non ha che a deliberare.

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Minghetti. Domando quali sieno stati gli antecedenti del Parlamento.

Pres. Non si � mai presentato un simile caso.

Miglietti guardasigilli) osserva che ammettendo l'osservazione del deputato Mellana si protrarrebbe troppo a lungo la discussione. Inoltre verrebbe tolta alla maggioranza la libert� di discussione.

Mellana insiste nelle sue osservazioni e risponde all’on. Minghetti, che fu sempre sistema che i ministri si interpellassero alla opposizione.

Lanza G. In tutte le altre sessioni si � sempre lasciata facolt� ai ministri di parlare quando meglio lo richiedevano e nessuno si � mai pensato di farvi ostacolo.

D'altronde se i ministri parlano, non fanno che un solo discorso, perch� tutti si occupano della propria amministrazione, dacch� un solo deputato ha il diritto di fare quell’appunto che crede ad ogni singolo ministro.

Pres. Io non posso mettere in deliberazione lo statuto. Qui si tratta semplicemente di una questione di regolamento.

Mellana. Ora devesi sentire un deputato a parlare contro, dopo che hanno parlato cinque ministri.

Pres. Dopo i ministri ha parlato l’on. Petruccelli contro il ministero.

Mellana. Il sig. Petruccelli era iscritto a parlar sopra. (Ilarit� prolungata) Del resto ritiro la mia proposta, semprech� prima di chiudere la discussione si ascolti ancora qualche discorso dell’opposizione (Si si, ilarit�)

Ricciardi dice che nessuna risposta venne data ai rimproveri che vennero mossi sul fatto del giovane Pederzolli e sul processo del duca di Caianello. Domanda ora risposta all’appunto da lui fatto sui patti che vennero rotti circa all’esercito borbonico stipulati sulle capitolazioni di Gaeta.

Chiede al ministro delle finanze l’esposizione da esso promessa dello stato delle finanze, perch� vede che le finanze italiane volgono alla bancarotta. (Rumori prolungati)

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D'Ondes  parla sull’abolizione della luogotenenza di Sicilia, e domanda la parola per occuparsi prima che si chiuda la discussione di questo argomento, che senza nessuna ragione fu messo in mezzo alla presento discussione.

Alfieri (per un fatto personale) si occupa delle osservazioni del presidente del consiglio sul discorso da esso fatto; ma, come al solito, non abbiamo intesa una parola, stante l’eseguit� della voce dell’oratore.

Bastogi (ministro delle finanze). Nella prossima settimana spero di essere in grado di sciogliere la promessa che feci alla Camera.

Intanto mi sembra opportuno di rettificare alcuni fatti citati da un onorevole deputato, la cui parola � autorevolissima. Egli asseriva come i bilanci delle singole parti d’Italia al momento delle annessioni fossero in pieno conguaglio tra loro, e che il bilancio generale presentava un disavanzo sensibilissimo. Conchiudeva da ci� che vi doveva essere un vizio nell’amministrazione.

Il bilancio del Piemonte presentava una spesa ordinaria d� 8,460,000, pi� spese per l’imprestito di 3,800,000; in tutto un deficit di 12 milioni.

La Lombardia presentava un avanzo di 30 milioni. Conviene non dimenticare che occorse di dare all’Austria 123 milioni, 60 alla Francia, 100 milioni dovemmo contrarre d’imprestito per lo spese di quella guerra.

Se oggi si tengono a calcolo le spese del ministero della guerra e della marina, si vedr� che il bilancio della Lombardia presente � un aggravio od almeno un pareggio.

In tutto abbiamo un disavanzo di 26 milioni tra il Piemonte e la Lombardia.

Il bilancio dell’Emilia presentava un aumento di 40 milioni. Dai quali bisogna sottrarre 13 milioni per l’imprestito, ed altri per altre spese. Il disavanzo pot� ridarsi a 16 milioni.

Il bilancio della Toscana presentava un disavanzo di 16 milioni.

Quanto a Napoli il governo borbonico prevedeva un disavanzo di 25 milioni, nel giugno 1860 di 7 milioni di ducati, quindi un deficit di 20 milioni di franchi.

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In tal guisa il nostro disavanzo ascende ad 87 milioni. Quindi abbiamo abolito il 33 p. 0|0 che porta una differenza di 6 a 7 milioni; abbiamo nella citt� di Napoli ribassato il prezzo del sale; fu abolito in Sicilia il dazio sul macinato. Sommata la diminuzione ed abolizione di queste imposte esisteva un disavanzo di 120 milioni nei varii bilanci. Dico questo perch� credo che torni a conforto del Parlamento.

I passati governi non avevano bisogno di armate formidabili per difendersi. Noi invece vogliamo una forte armata per difendere e rivendicare i nostri diritti. Voi avete sentito dal ministro della guerra e della marina o da quello dei lavori pubblici le spese, alle quali si dovette andar incontro.

Io poi vi dimostrer� come il ministro delle finanze miri sempre al risparmio delle spese.

Parmi d’avervi dimostrato come gli estremi offertivi dall’on. Rattazzi non sieno stati esattissimi.

Quando mi accinger� ad esporre cosa fece il governo, dar� le pi� minute notizie intorno all’amministrazione delle finanze. Oggi mi sono limitato a questo perch� l’autorevole voce dell’on. Rattazzi non porti il bench� menomo danno al credito dell’Italia, inquantoch� voi sapete che il credito di una nazione � la leva pi� potente della sua prosperit�.

Caruttti dopo un breve esordio in cui riepiloga il voto dal Parlamento emesso nell’ultima sessione che fu preso quasi ad intera unanimit�, continua:

Il ministero, nel deporre i documenti, spieg� per qual ragiono non sieno giunti al loro indirizzo. Io non esaminer� questi documenti n� quanto alla forma loro, n� quanto alla loro sostanza.

Dir� bens� senza esitanza che quei capitoli contengono esattamente i principii che attueranno un giorno la teoria della libera Chiesa in libero Stato.

Mal s’appongono coloro, che credono essersi il ministero fermato alla prima difficolt� che trov� nel sentiero.

Ci� non fu e non poteva essere, perch� il governo sapeva essere follia sperare di vincere i pregiudizii della Santa Sede in pochi mesi, ma sperava poi di acquetare le coscienze dei cattolici colla persuasione e colla moderazione.

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Il mezzo migliore per vincere questa battaglia � la pubblicit�. Il ministero non inteso di fare un atto diplomatico, bens� un atto politico e vi � riuscito.

L’opposizione dice: non siete riusciti, dunque il vizio sta nel sistema, nell’indirizzo politico. Questa agli occhi miei � la sola obbiezione importante.

Dobbiamo rinunciare a Roma, andarvi contro o malgrado la Francia? Ci� costituirebbe un cambiamento di indirizzo; esaminiamolo pacatamente.

Rinunciare alla questione di Roma � pi� facile dirsi, che realizzarsi. Io non so chi sosterebbe un’amministrazione che ci� asserisse. Io no certo perch� paventerei lo discordie municipali che offrirebbero un miserando spettacolo. L’on. Ricciardi proponeva di trasportare la sede del governo altrove. Ma questa � tale proposizione che si confuta da per so stessa.

Innanzi a Roma tutti si piegano: Roma capitale if Italia ci dar� ricovero per l’avvenire e sin d’ora ci assicura la pace.

La questiono romana comprende l’accordo della Chiesa collo Stato. Ed io non creder� pacificato il regno, sinch� questo accordo non sia avvenuto.

Il deputato Petruccelli diceva che sotto quest'aspetto la questione romana non esiste. Ed io converrei con lui, qualora mi assicurasse che il cattolicismo non esiste.

Dobbiamo noi andarvi malgrado l’alleanza francese?

Io risponder� colle parole del grande ministro, il cui nome devo ricordare in quest’aula, del conte Cavour: �Sarebbe follia di andare a Roma malgrado la Francia; ma quando lo dovessimo non lo si potrebbe so ci� avesse a portare grave nocumento ai nostri alleati.�

Credo che non occorrano altre osservazioni. Se non che si presenta la questione sulla convenienza di questa alleanza. Il dep. Musolino, che � cosi felice da conoscere i varii segreti dei diversi gabinetti, disse quanto ci sia dannosa l’amicizia francese, con una schiettezza veramente invidiabile. L'on. Rattazzi invece la difese con calde parole, quindi non mi occuper� di questo argomento.

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Solo non posso astenermi dal muovere un rimprovero al dep. Musolino, quando afferm� che la Francia vuole cangiar l’alleanza in signoria, con accondiscendenza del governo italiano.

Questo dubbio � un oltraggio alla nazione italiana ed alla Casa di Savoja, che non pieg� mai a pretese straniere; si ruppe ma non si pieg� mai, o signori.

Passo alla questione delle provincie napoletane.

Il gabinetto ci parl� dei provvedimenti dati, riducendo alle giuste proporzioni i mali che affliggono quella parte d’Italia.

Il governo doveva chiedere alla Francia che il territorio protetto dalle sue armi non attentasse alla quiete. del nostro regno.

Questa domanda era giusta anche sotto l’aspetto del diritto internazionale.

La Francia, come disse l’on. presidente del Consiglio riconobbe la giustizia della domanda, per cui il consiglio dell'onorevole Rattazzi fu prevenuto.

La quistione di Napoli � una grande quistione, ma non � tutto. Il regno ha bisogno di essere rassodato col programma che la maggioranza creder� stabilire.

Le difficolt� sono gravi. Dobbiamo affrontarle colle idee esposteci dal ministero e con un altro programma, cio� quello della opposizione?

Qual � il programma dell’opposizione? Ho ammirato la vivacit� dell’eloquenza, lo splendore delle immagini venuteci dall'altro lato della Camera. Ma che cosa ci ha presentato? Lo confesso francamente che nei discorsi dell'opposizione io non ho trovato mai un programma politico, all’infuori del discorso che chiuse la tornata di ieri cio� quello dell’on. Petruccelli.

Egli ci disse anzitutto che bisogna disertare la via sino ad ora battuta, perch� la nostra � una politica di consunzione di tisi.

Egli ci disse: �Bando ai mezzi termini, alle mezze misure, non rinunciamo alla nostre origine, noi siamo rivoluzionarii, spieghiamo dappertutto la bandiera della rivoluzione, ad ogni cittadino diamo un moschetto, ad ogni traditore un patibolo. Imitiamo l’esempio della Francia del 93.� (Rumori)

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Questo programma non � nuovo. Il programma della Francia del 93 qual risultato diede mai? Tutto il paese nel sangue, da cui nacque la reazione, il brumale, l’invasione straniera, per due volte ripetutasi. (Rumori)

� inutile illudersi, o signori. Intorno a noi vedemmo talvolta un sentimento di sconforto. E necessario infondere la fiducia e la stabilit� della politica, che sola pu� mantenere la libert�. � necessario che la maggioranza ed il governo tengano alta la bandiera: noi dobbiamo essere conciliativi, ma non deboli, dobbiamo transigere, ma quando il Parlamento ha pronunciato il suo verdetto, fellone chi se ne allontana.

Consolidiamo il regno con questi mezzi. Spetta a nei formare le leggi che devono rendere L’unit�. Dobbiamo stimolare il governo a presentarli;. Allora non si dir� pi� quella parola che a Torino si voglia piemontizzare. � tempo che quest’accusa cessi, essa � divenuta l’arma dei nostri nemici (voce; nessuno l’ha detto: scampanellate) e noi dobbiamo usarne. Il Piemonte, non vuol conservare che tre sole cose: la monarchia, lo Statuto e l’esercito e le vuol conservare, perch� se cadessero cadrebbe l’edificio dell'unit� italiana.

L’on. Boncompagni disse che l’unit� italiana deve costituirsi colla libert�. Si, o signori; io sono persuaso che se una sventura ci cogliesse, il retaggio dello nostre aspirazioni sarebbe raccolto da qualche altro. Io confido sull’Italia. Si, o Signori il sasso � vicino alla vetta della montagna. Un altro sferzo, e noi abbiamo raggiunto la meta, ma abbiamo bisogno di concordia.

Colla concordia renderemo libera Roma e libera Venezia, (applausi)

Bertani dice, che sebbene siasi detto da niuno, non essere conveniente ed utile riandare il passato, pure lo si dee fare, stantech� l’attuale gabinetto e poco fa l’on. Carutti hanno dichiarato che il sistema da seguirsi per L’avvenire dev’essere quello che si segu� nei tempi andati.

Parla del trattamento all’esercito garibaldino, delle misuro prese contro quei veneti che pur hanno combattuto lo patrie battaglie, e che pur furono internati in Sardegna ed in Aosta;

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ricorda l’opposizione alla protesta contro l’occupazione romana, la proibizione che diede a tal uopo il luogotenente di Sicilia (Della Rovere), ricorda il fatto che un ministro italiano faceva aprire le lettere e con predilezione le sue, di fronte all’Austria, che innanzi al suo Parlamento sanci il rispetto dovuto al segreto delle corrispondenze: ricorda l’opposizione che si fece pel richiamo di Giuseppe Mazzini, opposizione indegna d’Italia (Rumori): Voce a sinistra, (Si, si): dice che con questo sistema sono trascurate le milizie cittadine, mentre il governo sa dire ai suoi organi officiosi di avere 300,000 fucili, senza trovare 200,000 cittadini che vogliano armarsene.

Critica alcuni atti dell’amministrazione in Napoli del deputato Pisanelli, durante la dittatura del Generale Garibaldi, e dice poi che avrebbe reso grande servizio all’Italia se avesse alzata la sua voce contro l’immediata annessione delle provincie meridionali; dice che bisogna fidare nella rivoluzione; che il popolo nulla fece nel 59 e molto nel 48 o 49.

Consiglia il governo di porgere ascolto ai giusti reclami, di armare i popolani per la sicurezza del paese. Accenna al fatto che non appena Nicotera aperse l’arruolamento, a migliaja accorsero ad iscriversi i volontari.

�Non � dunque, continua l’oratore, che manchino i difensori della patria, me gli � che manca la fiducia nel governo.

� d’avviso che armando i cittadini, cessi immediatamente il brigantaggio; perch� l’esercito si stanca.

�L’esercito esso dice, � una scuola ed i nostri bravi soldati nulla hanno da imparare dai ladri e dal l’assassino.�

Consiglia il governo di mandar Garibaldi a Napoli, il quale far� presto di quelle popolazioni una sola volont�: si oppone ad uno stato d’assedio, perch� si deve governare colla libert�.

Dopo una breve pausa discende a parlare della questione romana.

L’oratore crede che se Napoleone da dodici anni non fosse in Roma, il dominio temporale avrebbe gi� cessato per forza delle cose.

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Napoleone non volle combattere per l’unit� italiana, ma per umiliare l’Austria ed abbattere la rivoluzione. Fu costretto a riconoscere questa unita dagli eventi. L’on. Rattazzi dice che la Francia � impaziente di abbandonare Roma; ma se ci� � vero dobbiamo insistere con ogni mezzo rivoluzionario per aver Roma.

I rapporti di riconoscenza verso la Francia non devono far cessare i diritti che ha l'Italia di aver la sua capitale.

Gl’italiani sono tanto lontani dal muover guerra alla Francia, quanto � lontana la Francia dal resistere al popolo italiano qualora volesse rivendicare Roma.

Combatte il concetto di libera chiesa in libero stato e vuole invece la libert� di coscienza in libero stato.

Credo che il mezzo pi� facile per ottener Roma sia la protesta del popolo italiano.

� d’avviso che sino a che l’imperatore non vede che noi siamo armati, non ritirer� le sue truppe da Roma, per lo stesso motivo che l’Inghilterra non ritira la sua squadra da Napoli.

Conchiude dicendo che le popolazioni non hanno alcuna fiducia nel sistema dell’attuale gabinetto.

Minghetti. Io non mi trovavo presente al principio del discorso dell’on. Bertani, ma rientrato, venni avvisato dai miei colleghi che esso mi accus� di aver violato il segreto delle lettere quando era ministro dell’interno.

Quanto alla insinuazione sulla violazione del segreto dello lettere, se questa fosse a me diretta, la rispingo assolutamente, recisamente, perch� io non feci mai cosa contraria alle leggi ed al mio dovere. (Bravo)

Disse inoltre l’on. Bertani che il brigantaggio era nato durante la mia amministrazione. Prego su questo proposito l’on. Bertani a ricordarsi che non appena il gen. Garibaldi entr� a Napoli dovette mandare un generale per combattere i briganti. La Camera inoltre si ricorder� che sul principio della sessione del 1860 dovette occuparsi dei fatti d’Isernia. Da ci� si vede che anche prima della mia amministrazione vi aveva il brigantaggio.

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Pisanelli rispondo qualche parola per un fatto personale per ribattere le accuso che gli vennero mosse dal dep. Bertani. D� spiegazioni della sua condotta rispetto alla dittatura, dice che non � vero che ponesse impedimento all'esecuzione degli ordini della medesima.

L’on. Bertani disse che se io avessi speso la mia debole voce per impedire il plebiscito avrei giovato all’Italia. Io sono lietissimo, o Signori, di aver alzata allora la mia voce. (Bene)

Combatte l’asserzione del dep. Bertani che si possa ordinare lo stato colla rivoluzione �Sistema, egli disse, che non ha la simpatia della maggioranza degli Italiani.�

Il mio voto era conosciuto dai miei avversarii stessi: cui sapevano aver io detto che non avrei dato un voto di sfiducia al ministero. Solo ho voluto accennare i difetti e suggerire i rimedii.

Bertani (per un fatto personale) rispondo al deputato Pisanelli.

Quanto all’on. Minghetti risponder� che i fatti da esso accennati erano fatti di vera reazione e non di brigantaggio (Ilarit�) D’altronde io non ho detto che sia nato sotto la sua amministrazione, bens� sotto il sistema da esso appoggiato.

Quanto alle lettere, la camera conoscer� che quando ho asserito un fatto devo averne la certezza, ma conoscer� d’altronde la convenienza che devo avere di tacerne la fonte. (No, no. Deve parlare, deve dir tutto).

Gallenga. Il dep. Bertani deve parlare, perch� non sono permesso queste reticenze.

Pres. Un momento: ha la parola il ministro dei lavori pubblici.

Peruzzi (ministro dei lavori pubblici). Come ministro dei lavori pubblici non posso mai accettare le reticenze del dep. Bertani.

Io non ho saputo mai nulla di questo e posso assicurare che non ho mai permesso che si violasse il segreto delle lettere e perch� l’azione la riteneva indegna di un governo retto da libero istituzioni.

Crispi dice di sperare di non venire costretto a discendere a particolari relativamente alla dittatura di Napoli della quale faceva parte l’on. Pisanelli, per amore della concordia.

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Pisanelli  soggiunge qualche altra parola.

Jacini (per un fatto personale). Dal 1860 al febbraio del 1861, cio� durante la mia amministrazione, non avvenne mai nessun fatto, di cui muove lagnanze il dep. Bertani.

San Donato propone l’ordine del giorno puro e semplice. (Ilarit� prolungata)

Pres. Quando si tratta di fatti personali io non posso chiudere la bocca a chicchessia.

Conforti (per un fatto personale) giustifica ach’egli gli atti durante la sua amministrazione, al tempo della dittatura del gen. Garibaldi.

Il presidente legge due ordini del giorno, uno presentato dal deputato Conforti in unione ad altri, ed il secondo del deputato Boncompagni ed altri, nonch� un emendamento del dep. Mancini.

Peruzzi domanda assolutamente che sia terminato l’incidente delle lettere, in modo che al ministero sia dato adito di punire i colpevoli, dal giustificare l’amministrazione pubblica.

Crispi (in ordine alla discussione) domanda se la presentazione degli ordini del giorno esige la chiusura della discussione. (No, no)

Quanto all’incidente delle lettere, ach'egli crede che non debba lasciarsi senza schiarimento. Ma trattandosi di nomi e di fatti che da un un lato o dall’altro si possono affermare e negare, la Camera non pu� uscire senza un verdetto esatto.

Chiedo che sia ordinata un’inchiesta. (Rumori, scampanellate)

Peruzzi. Confesso ingenuamente che sono meno tenero dell’onorevole Crispi. Io non porto alcun rispetto, non ho alcun dovere che sieno pronunciati i nomi. Non � un’inchiesta, non una commissione che possa far giustizia; ma il pubblico ministero a cui si debbono denunciare immediatamente i fatti. (Bene)

Gallenga. Quando un deputato asserisce dei fatti, dee aver delle prove in mano, specialmente trattandosi di un discorso scritto. O una ritrattazione o la pubblicazione dei nomi.

Bertani. Io non ritratto e sono disposto a dir tutto al Sig. Minghetti. (No, no) Io non ho prove in pronto; e quello che posso dire all’onorevole Minghetti, non posso dire in faccia alla Camera.

DEPRETIIS


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Crispi. Se i fatti offendessero il ministro dei lavori pubblici capisco il risentimento dell’on. Peruzzi. Ma essi risguardano altro dicastero, quello dell’istruzione pubblica; cio� trattasi di impiegati di un dicastero che denunciarono il fatto e quindi sarebbero immediatamente destituiti. (Rumori prolungati) Signori oppositori, avranno il diritto di rispondermi, ma non di interrompermi.

Ricasoli. Non potrei abbandonare il desiderio che questo incidente sia completato, perch� qualunque fatto disonesto che sia attribuito ad un governo, quel governo perde immediatamente la fiducia delle popolazioni. Siccome il dep. Crispi estende l’accusa cos� il fatto si aggrava e chiedo ach'io la luce sia fatta (Bravo)

Brofferio. Io non conosco n� i fatti, ne i documenti in appoggio di essi che pu� avere il dep. Bertani, ma � certo che si devono avere dei riguardi per impiegati che forse avranno potuto avere avuto confidenza da un amico.

Accenna un caso consimile avvenuto in Inghilterra, quando fa scagliata un’accusa al ministero di avere aperte le lettere a Giuseppe Mazzini.

Io conosco il dep. Bertani, � mio amico ed � incapace di mentire. Voi della maggioranza non dovete mettere alle stretto un uomo come lui di mancare alla sua delicatezza.

Se voi voleste giudicare su questo incidente, senza che il dep. Bertani possa esser in caso di presentare le sue prove, non avendole in pronto, fareste prova di esser giudici parziali, il che non vorreste senza dubbio (Bene dalle tribune: il presidente le ammonisce)

Lanza. Siamo tutti d’accordo che l’incidente deve essere appurato: trattasi di vedere quale sia il modo pi� decoroso anche per il dep. Bertani.

Propone la nomina di una commissione a cui verranno consegnati i documenti e le prove. (Bertani dichiara di accettare)

Gallenga. Come � possibile che il Parlamento possa dare un voto di fiducia al ministero se non conosce questo fatto?

328

Peruzzi. Accetto la proposta Lanza purch� mi sia riservato il diritto di poter procedere a termini di leggo contro i colpevoli:

Minghetti dichiara di accettare qualunque proposizione.

Crispi accetta la proposta pur egli, colla condizione che alla commissione vengano accordati pieni poteri.

Miglietti. (guardasigilli) chiede che sia fissato un termine.

Crispi. La procedura ordinaria non fissa alcun termine; e quindi non lo deve aver neppur la commissione.

Miglietti. Io domando che si presentino subito i documenti e vengano nominati i testimonii immediatamente. Questi nomi e queste prove saranno consegnate alla commissione.

Bixio. Questa � una questione di partito (No no: si, si).

Peruzzi. Allontano la supposizione dell’onorevole Bixio. La violazione del segreto delle lettere non � quistione di partito, ma di moralit�.

Ara. Attualmente si tratta di dare un voto di fiducia al ministero e noi non possiamo accettare la nomina della commissione.

Cordova (d’agricoltura e commercio). Il ministero non ha mai creduto che la questione si complichi col voto di fiducia, tanto pi� che l’accusa venne lanciata all’amministrazione precedente.

Anch’esso accetta la proposta Lanza.

Lanza. Non so come si possa immaginare che la sia una questione di partito. Si tratta di pubblica moralit�, siamo tutti interessati allo scoprimento del vero.

Aggiunge alla sua proposta che la commissione venga nominata dal presidente della Camera, in numero di cinque membri, che per la sua carica deve essere imparziale, la qual commissione venga incaricata d’informare la Camera del risultato per le suo deliberazioni.

Cordova domanda qualche schiarimento sulla proposta Lanza;

(La chiusura).

PepOli G. appoggia la chiusura.

Sella domanda che si aggiunga il tempo e propone il giorno di domani. (Rumori a sinistra)

329

Lo stesso deputato Bertani deve averne interesso pel suo decoro, pel decoro dei suoi colleghi.

Cordova Pregherei che la Camera rispettando se medesima nella persona del deputato Bertani non voglia alcun tempo. Basta fissare il tempo in cui la commissione deve fare il rapporto.

La chiusura � adottata.

La proposta Lanza � accettata all’unanimit�.

Pres. Ora trattasi di stabilire il tempo. (No, no).

Chiaves parla nel senso del ministro Cordova.

L'on. Bertani sapr� provvedere da so stesso al suo onore (Bene, bravo)

Propone l’ordine del giorno sulla questione del tempo.

Sella ritira la sua proposta.

Valerio propone che la Commissione debba riferire nella seduta di marted�.

Lanza lascia alla discrezione del deputato Bertani il provvedere al suo decoro.

L’ordine del giorno puro e semplice sulla questione del tempo � adottato.

La Commissione � composta dei membri seguenti

Lanza, Mullana, Restelli, Depretis, Zanolini, incaricato quest’ultimo di far da presidente.

La tornata � sciolta alle 6.

Seduta dell’8 dicembre

Solito concorso nello gallerie.

La seduta � aperta alle ore 1 1|2 pomeridiane colla lettura del verbale che viene approvato.

330

Si annuncia l'ordine del giorno

Spaventa (per un fatto personale). Comincia a difendere gli atti della sua amministrazione in Napoli, ma siccome pare che si allontani dall’argomento, per cui gli venne accordata la parola, cos� parecchi deputati della sinistra lo interrompono, invocando l’esatta osservanza del regolamento.

Taccia il sig. Bertani d’aver voluto cambiare il sistema governativo in Napoli.

Crispi domanda la parola per un richiamo al regolamento. (Scampanellate). I. oratore parler� al suo turno: il regolamento lo vuole. (Rumori prolungati)

Pres. L’oratore ha chiesto la parola per un fatto personale. Sinora questi fatti personali sono interpretati largamente; ma siccome la Camera ha tollerato questa larga interpretazione, cos� non credo di richiamare all’ordine l’oratore, bens� gli raccomando di attenervisi pi� nettamente.

Spaventa giustifica le misure da esso prese relativamente al dicastero di pubblica sicurezza, di cui era a capo, e le pone a confronto con il sistema che voleva inaugurato il deputato Bertani.

Per criticare quest’ultimo sistema dice che appunto in base ad esso dall'urna elettorale uscirono i nomi di Saffi, Avezzana, Bertani, De Boni ed altri di quel partito. (A questo momento si suscita un grande rumore; il presidente scampanella. Qualcuno della sinistra chiama Calunniatore l'oratore. Saffi domanda la parola e dice che qui non vi sono partiti. Il presidente colla sua voce giunge a superare i rumori e scongiura alla moderazione, altrimenti sarebbe costretto di coprirsi. Dopo cinque minuti la calma � ristabilita)

Spaventa dopo poche altro parole termina il suo discorso.

Gallenga domanda la parola per una mozione d’ordine.

Presid. I fatti personali hanno la preferenza.

Crispi (con forza) Bisognava pensarci prima. (Rumori)

331

Gallenga. Io credo che l’on. Spaventa abbia avuto torto di svegliare tali questioni che non fanno che male al paese. I. Italia domanda leggi: scongiuro questi signori a voler sorpassare tali cose per amor della concordia. (Bene, applausi. Voci dalla sinistra: Si, s�)

Avezzana. Se si vuole accettare la proposizione del Sig. Mariotti... (Gallenga. Io non mi chiamo Mariotti domando che il Sig. Spaventa ritiri la sua accusa contro di me. Io non ho adottato il programma d’Italia e Vittorio Emanuele, ed ho diritto di essere rispettato dopo tanti anni di sacrificii, di una vita condotta tra i servaggi, vita che mi d� il dovere di sedere alla sinistra.

Conchiude raccomandando fratellanza e concordia.

Bertani. Io dichiaro che potrei ad uno ud uno smentire i fatti asseriti dal Sig. Spaventa; ad ogni modo mi limiter� a dire essere falso che sotto la mia amministrazione si sieno lasciati fuggire o per mala fede o per incapacit� i prigionieri dalle carceri di Napoli.

Ci� detto per amor di concordia accetto la proposizione del deputato Gallenga.

(Altri deputati rinunciano alla parola)

Conforti. Durante la dittatura Napoli rimase tranquilla e basti la circostanza che sotto quella amministrazione fu compiuto l’atto solenne del plebiscito. (benissimo)

Saffi Accetto la proposta del deputato Gallenga ma non posso passare l’insinuazione a carico di alcuni patrioti delle provincie meridionali. Io rappresento un collegio della Basilicata, infestata dal brigantaggio, le cui popolazioni furono le prime ad accorrere sotto le armi per reprimerlo.

Nicotera. Qui siamo riuniti per dire al paese: noi vogliamo salvare il paese e non per seminare la discordia. Se io volessi parlare dell’amministrazione del signor Spaventa, potrei dire cose che lo farebbero arrossire, se pur � capace di arrossire. (Rumori prolungati). Del resto dir� che i galeotti volevano scappare, e che io l'ho impedito; se fuggirono quindi, il signor Spaventa deve saperlo.

332

L'incidente non ha altro esito.

Continua la discussione sulle interpellanze. Si domanda la chiusura.

Ror� parla in favore della stessa, stantech� la discussione dura da sette giorni e si hanno altri lavori a cui attendere.

Mellana. Non so comprendere come si possa chiedere la chiusura, dopo gl’incidenti che si sono sollevati. Ohi � vecchia la tradizione di questo Parlamento che quando si tratta di discussioni importanti, si facciano sorgere dolorosi e scandalosi incidenti. (Rumori prolungati)

Presid. Avverte il sig. deputato Mellana che altro � che nascano, altro che si facciano nascere.

Mellana Io sono d’accordo coll’onorevole presidente, ma richiamo alla memoria l’incidente avvenuto nella passata sessione col generale Garibaldi.

Continua ad opporsi alla chiusura.

Lanza parla in favore della stessa. Dice che si sono ormai pronunciati dodici discorsi contro il ministero: (no no) se non saranno dodici, poco ci manca. (Ilarit�)

Fa vedere quante leggi aspettano la discussione del Parlamento.

Crede che non vi sia alcun oratore che abbia l’intima coscienza di dir cose nuove, dopo tutto quello che � stato detto.

�Non avendo pi� nulla a dire sul!’argomento principale, si cade facilmente sugli accessorii che sono pericolosi. (benissimo)

Tutt’al pi�, egli osserva, la Camera potrebbe udire due altri discorsi.�

Platino fa appello alla concordia e raccomanda al presidente del consiglio di allontanare da s� tutti quei serpenti a campanelli che lo circondano. (Rumori prolungati)

Tutti i patrioti devono chinarsi riverenti ai piedi della Croce di Savoja, perch� la discordia sar� quella che ci roviner�. Raccomanda allo stesso di dare la mano a tutti i liberali d’Italia per fortificare il gabinetto.

333

Ricciardi si oppone alla chiusura. Dice che nella Basilicata le popolazioni fanno da s�; si costituiscono in governi provvisorii con sommo pericolo del paese. Sta bene che si sviluppi ancora l’argomento.

Pres. legge un emendamento del deputato Lanza, col quale propone che si accordi la parola a due oratori, uno che parli in favore e l’altro contro.

Depretis parla contro la chiusura perch� la importanza della discussione implica la felicit� della patria nostra.

Ror�. Io domandai la chiusura non come membro della maggioranza, ma in nome mio.

Gli incidenti poi che avvennero, parmi la consiglino maggiormente.

Del resto mi unisco alla proposta dell’onorevole Lanza.

Castellano combatte tale proposta porch� non crede che dopo che si saranno intesi due discorsi si possa stabilire esaurita la questione.

Castelli dice che dacch� l’onor. Ror� ha ritirato la proposta, e si un� a quella del deputato Lanza, si devono ascoltare i due discorsi, quindi si discuter� sulla chiusura.

Susanni propone l’ordine del giorno puro e semplice.

� adottato.

Pres. la parola spetta al dep. Mancini.

Mancini dopo un breve esordio continua:

Credo che il voto del 27 marzo sia stato accettato nella sua parte essenziale da tutte le parti della Camera, cio� che Roma si deve ottenere colle armi della ragione, col sussidio della pubblica opinione.

Le concessioni accordate dal presidente del consiglio alla santa sede sono grandi e liberali.

Fu detto da taluno che vennero quelle proposizioni presentate colla certezza poi di non riuscire. Io respingo questa interpretazione e su tale argomento mi associo completamente a quanto espose l’onorevole presidente del consiglio.

334

L’annuncio di quelle larghe proposizioni offerte dal regno d'Italia al Sommo Pontefice esercit� una grande impressione sui credenti di buona fede ed un benefico influsso sulla pubblica opinione. Si meraviglia come l'ingegno del dep. Petruccclli non possa comprendere la formola della libera chiesa in libero stato, in cui si comprende l’emancipazione della coscienza; dice che questa formola � di gi� applicata in Inghilterra ed America.

Parla della necessit� che cessi il dominio temporale, siccome incompatibile coll’esercizio dello spirituale.

Occorre, egli dice, riuscire a ci�, che il popolo romano manifesti la sua volont�. Ma a ci� si oppone un ostacolo, una forza armata.

E qui ribatte le ragioni addotte dall’on. Musolino �che colla sua straordinaria facilit� di parola intrattenne pi� ore l’assemblea per dimostrare che la Francia � ostile all’unit� italiana.�

Crede opportuno, per sciogliere la questione romana, il mezzo di una guarnigione mista di italiani e francesi.

Dice che non si pu� credere in buona fede che l’opinione pubblica sia tanto rischiarata in Francia e cita un passo del recente libbro di M. Guizot.

� d’avviso che un’agitazione rivoluzionaria nello stato romano sarebbe il mezzo sicuro per trattenere l’esercito francese in Roma.

Venendo a parlare della questione interna, dice che nelle provincia napolitano esiste un grave malessere �E di chi e la colpa?(egli continua) Degli errori di tutti e delle condizioni speciali nelle quali vennero lasciate dal cessato dispotismo.�

A coloro che asseriscono che una delle precipue ragioni di malcontento sia la perdita della capitale risponde che, se ci� fosse, sarebbe un motivo di debolezza perpetuo. Ma cos� non �, perch� il carattere della rivoluzione napolitana si fu l’unit� italiana sotto la monarchia di Vittorio Emanuele; perch� il carattere distintivo di quelle provincie si � la concordia, la moderazione, l'estirpazione delle discordie municipali

Accenna parecchi fatti di patriottismo di Napoli.

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Le cause dei mali, egli dice, si possono cos� riassumere sinteticamente: nelle provincie meridionali si crede che troppo energicamente sia stata intrapresa l’opera della unificazione tanto amministrativa che legislativa.

Su questo argomento giustifica gli atti della sua amministrazione quand’era a capo del dicastero della giustizia e dei culti.

Raccomanda al governo di aver la maggior cura possibile degli interessi particolari nell’opera di unificazione.

Dopo una breve pausa, l’oratore continua nello accennare le cause del malcontento.

V'ha l’opinione, generalmente diffusa, che il governo italiano non accetti del pari il concorso di tutte le frazioni del partito liberale.

Egli � per questo che raccomanda al governo, il quale per se stesso � al disopra di tutti i partiti, di stendere la mano a tutto il partito liberale, a qualunque fraziona appartenga.

Si crede inoltre in Napoli che il governo italiano sia inflessibile e non ritorni mai sopra i suoi atti. Per cui, ammettendo par egli che degli errori sieno stati commessi, raccomanda al gabinetto di rivedere tutti gli atti emanati dal 7 settembre 1860 sino ad oggi.

Spero che il ministero potr� convincersi che la mia proposta � ben lungi dall’essere una proposta d'inchiesta, perch� un inchiesta, pu� aver luogo su una serie di atti di una amministrazione, ma non su tutti.

Io credo che i consigli che ho dati al governo sieno una conferma della fiducia che ho in esso...

Propone il seguente ordine del giorno in via di emendamento:

La Camera, confermando il suo voto del 27 marzo, ed apprezzando gli sforzi del governo acci� l’Italia abbia la sua capitale in Roma, e vengano migliorate le condizioni delle provincie napoletane, confida che esso proseguir� ad intendere a questo doppio scopo co’   pi� efficaci mezzi, compiendo operosamente l’armamento nazionale e la restaurazione della sicurezza e dell’amministrazione pubblica,

336

conciliando l’unificazione politica e legislativa col minor sacrifizio degl’interessi, accettando il concorso leale di tutte le oneste frazioni della parte liberale ed imprendendo una imparziale revisione de’   principali atti governativi riguardanti le provincia napoletano del 7 settembre 1860, e passa all’ordine del giorno.�

Dichiarasi pronto ad accostarsi a qualunque altro ordine del giorno che potesse venire proposto, qualora racchiudesse gli estremi da esso indicati.

Raccomanda di nuovo al governo di stendere la mano a tutte le oneste frazioni della parte liberale poich�, bisogna esser giusti, senza Garibaldi e i suoi mille non si sarebbe compiuto il gran fatto.

E dacch� ha nominato il generalo Garibaldi, dice che esso desidera tanto la concordia che, sebbene in Torino, non presentossi a questa discussione, per timore che la sua presenza, ora che trattasi di dare un voto di fiducia al gabinetto, potesse essere sinistramente interpretata.

Conchiude col fare un appello alla concordia.

Panattoni comincia il suo discorso colla quistione di Roma.

Dice che il dominio temporale, quantunque moralmente cessato, pu� darsi che non lo sia, se non lo addiviene di fatto.

Conviene pur egli che tal quistione sia puramente politica.

(La sala va a poco a poco spopolandosi).

Crede che lo sviluppo della riforma economica, l’armamento dell’esercito ci faciliteranno la via per condurci alla meta.

Quanto alle provincie napoletane si chiama incompetente a portarvi un giudizio. Si conforta non esservi divisione fra maggioranza e minoranza perch� entrambe ambiscono che quelle provincie sieno organizzate e rese sicure.

Del fatto del brigantaggio trae un buon augurio per l’Italia, inquantoch� fu cagione che venisse messo a prova il patriottismo delle popolazioni che ne erano flagellate.

La seduta � levata alle 5 1|2.

Seduta del 9 Decembre

La tornata si apre alle ore 1 40 pom.

Ricasoli (Attenzione) Il ministero sarebbe pronto a replicare ai

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particolari appunti clic gli vennero mossi, qualora la Camera lo credesse opportuno.

Minervini dice di aver fatto un programma ai suoi elettori che fu fatto pubblico per le stampe. Domanda che sia letto, messo nel resoconto e comunicato eziandio al governo.

Lo depone sul tavolo della presidenza.

Pres. Risponde che avr� il solito corso. Domanda in seguito al Presidente del consiglio se intende di parlare immediatamente.

Ricasoli Mi sono messo a disposizione della Camera. (Parli, Parli)

Sandonato. Chiede che si lasci parlare ancora qualche altro oratore perch� sino ad ora non si ha nulla di concreto sulle interpellanze,

Macchi Proporrei alla Camera ad acconsentire la parola al ministro, il quale non deve essere l’ultimo a parlare.

Sandonato dice di aver fatta la sua proposta per evitare che pi� a lungo si protragga la discussione.

Pres. dice d’interpellare la Camera.

Viora. � inutile interpellarla, perch� il ministero ha sempre il diritto di avere la parola quando lo crede pi� opportuno.

Pres. � lo stesso Presidente del consiglio che si � rimesso alla decisione della Camera.

Chiaves si unisce alle osservazioni di Macchi.

La Camera accorda la parola al presidente del consiglio.

Ricasoli (Attenzione) Come presidente del consiglio ho annunciato che il ministero era pronto di rispondere ai particolari appunti.

Parler� pel primo come ministro dell’interno.

Quanto all’allontanamento dello studente Veneto da Pavia, dir� che la risoluzione fu presa dal direttor generale di pubblica sicurezza, ed essendo stato fatto colle forme regolari, ne assumo la responsabilit� io stesso. Fu  previamente e ripetutamente quel giovane ammonito a comportarsi da buon italiano.

� un giovane degno di considerazione, ma era troppo ardente di ritornare al pi� presto possibile nella sua patria liberata;

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desiderio che abbiamo noi tutti, � vero, ma che bisogna per� moderarlo colla prudenza.

Il governo � decisissimo su questo di non lasciarsi prendere la mano da chicchessia.

Colgo questa occasione per dire qualche cosa sugli emigrati. Noi ne abbiamo un vistoso numero perch� ascendono a quasi 12|m., parte veneti e parte romani.

Di questi, 5|m. sono sussidiati. La spesa per questi sussidii � di 2 milioni. Il governo interessandosi della loro condizione dolorosa, ha procurato che questa somma sia erogata equamente. Anzi lodo che sia stato formato in Torino un comitato composto di generosi e patriottici cittadini, che esercitano una cura veramente paterna.

Risponder� ora all’on. Ricciardi quando asseriva che nella Basilicata la difesa contro i briganti era fatta dai soli cittadini, e che si erano eretti parecchi governi provvisori.

l. ‘asserzione non ha fondamento: i rapporti che ho ricevuti non me ne danno alcun sentore. Concorsero lo guardie nazionali, � vero, ma unitamente alle altre forze legali, e vedemmo e vediamo una gara tra le autorit� governative, le guardie di pubblica sicurezza, le guardie nazionali e la truppa.

Oggi stesso ho ricevuto dal gen. Lamarmora eccellenti notizie per cui spero che fra poco il brigantaggio avr� dato l'ultima sua prova.

Della Rovere (ministro della guerra) premette che il suo discorso sar� alquanto lungo.

Fui accusato dal sig. Bertani di aver proibita la sottoscrizione della protesta contro l’occupazione romane e di aver destituiti due impiegati, uno dei quali siede in questa Camera. Comincer� dal primo appunto.

La protesta a me parve un pretesto per agitare. In quel momento in Sicilia non occorreva agitazione.

Lo sviluppo era vasto e si erano fatto alcune dimostrazioni politiche, per cui anzi dovetti emanare un invito per farle cessare, che fu ben accolto dal pubblico e venne ristabilita la calma e si diminuirono i delitti.

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Con questa quiete si and� sino al giugno, nel qual mese ricominci� l’agitazione. In quel tempo corse la voce che alcuni deputati erano stati accolti a Napoli con dimostrazioni ostili: si diceva che altri lo erano stati con dimostrazioni favorevoli o si aggiungeva che lo stesso volevasi fare anche in Palermo.

Chiamai allora il segretario generale di pubblica sicurezza ed il questore per avvisare sul da farsi. Loro dissi che le dimostrazioni favorevoli le avrei permesse; ma le sfavorevoli io non poteva tollerarle, siccome contrarie alla dignit� del Parlamento, e che le avrei represse.

Volevo emanare un’ordinanza, ma quei due personaggi mi sconsigliarono assicurandomi che nulla sarebbe avvenuto.

Per fare una dimostrazione politica si approfitt� persino delle processioni notturne che si fanno in Palei mo. Si and� cosi avanti sino al 7 settembre. Poco prima di quel giorno mi si disse che doveva avvenire una dimostrazione in Catania.

Avanti il 7 mi fu portata innanzi una carta alta come me e larga altrettanto (ilarit�), nella quale era scritto, che si dovesse fare una festa per festeggiare la memoria di Garibaldi. Ma invece racchiudeva un invito che si faceva ai siciliani di firmare la protesta contro l’occupazione romana.

Allora dissi che non si permettesse l’affissione di quel cartello. Ma siccome era stampato, scrissi io stesso un proclama ai siciliani, nel quale li consigliava a non firmare quella protesta che partiva dal partito d’azione che tende ad agitar sempre, perch� credeva che da ci� ne avverrebbe un danno politico.

Due giorni dopo dai giornali fu pubblicata una protesta contro il governo, firmata da una societ� d’operai.

Se fosse stata firmata da operai, non ci avrei badato, ma siccome lo era da molti, tra cui due impiegati del governo, e in essa si chiamava servile il governo, credetti di prendere una qualche deliberazione, perch� gl’impiegati che servono il governo lo devono rispettare, e perch� i miei impiegati devono fare quello che ordino io. (Rumori a sinistra.)

Feci chiedere ad essi, se fossero stati eglino a firmare, e saputo che si, li destituii immediatamente.

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Quanto ai soldati dell’esercito borbonico del 21, sin d'allora destituiti, rispondo al deputato Ricciardi, che vennero messi in riposo col grado che avevano al momento della destituzione, aumentando per� di un grado ogni dodici anni.

Circa al collegio della Nunziatella osservo, che quel collegio aveva la stessa organizzazione dell’antica accademia di Torino. Questa organizzazione fu riconosciuta da noi come imperfetta, perch� per le armi speciali vi doveva essere almeno 9 anni di educazione. Essendo difettosa l’istruzione, doveva essere modificata. Noi qui in Torino avevamo un collegio militare che poteva accogliere 250 giovani.

In Francia ed Austria non esiste che un solo collegio. Ora domando io se non fosse opportuno di tenere quello che vi era gi� formato e di modificare l’altro, tanto pi� che vi sono parecchi collegi sussidiarii?

Con ci� non si danneggi� Napoli, che dapprima aveva nel suo collegio 150 allievi ed ora ne conta 180. Il collegio ha acquistato quindi maggiore importanza numerica.

Mi si appunt� che degli ufficiali gi� appartenenti al disciolto esercito borbonico, dopo la capitolazione di Gaeta, abbiano mosso dei reclami perch� la liquidazione delle pensioni loro soffre ritardo, contrariamente ai patti della capitolazione, mentre quelle degli ufficiali svizzeri lo furono di gi�.

Questo � erroneo. Il ritardo sta tanto per loro quanto per gli svizzeri.

Anzi stamattina stessa spedii una noia al presidente del consiglio, come ministro degli affari esteri, colla quale gli faccio vedere le difficolt� che incontro nel liquidare la pensione a questi ultimi, perch� possa rimuoverle.

Quanto a coloro tra i primi che mostrarono desiderio di entrare nell’esercito, furono gi� ammessi.

Circa alla leva nelle provincie meridionali e nelle Marche e nell’Umbria mi si oppone, parmi dall’on. deputato Alfieri, che soffra dei ritardi e che incontri somme difficolt�.

Io veramente quando assunsi il portafoglio della guerra, trovai che le operazioni della leva in Napoli erano ritardate.

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Diedi tosto disposizioni opportune, ma il generalo Cialdini creda di non adottarle stante l’infierire del brigantaggio.

Allorch� il generale Lamarmora accett� la missione che gli venne affidata, lo invitai ad operare immediatamente.

Dalle prime informazioni, che mi ebbi da lui, a vero dire, non ero abbastanza confortato.

Quelle invece che ricevo oggidi sono soddisfacentissime e spero che la leva si compier� cosi regolarmente come si compiva sotto il regime borbonico.

Dal ministro della marina si � gi� disposto che pei 15 del corrente i battelli a vapore sieno a disposizione del generalo Lamarmora.

Circa alla Sicilia la leva procede con maggiore difficolt�. In essa vi ha un’agitazione prodotta dal partito borbonico e da quel partito che vuole estirpare il borbonico violentemente. Spero che quanto prima cessi, onde dare un esempio all’Europa che ad onta dell’agitazione che si mantiene dai nostri nemici in quelle provincie, abbiamo potuto compiere un atto cosi importante.

Quanto alle Marche ed all’Umbria si ebbero molti renitenti. Di questi il numero va diminuendo, ed ogni giorno se ne presentano parecchi spontaneamente.

Quello che fa sperare si �, che la leva dei nati nel 1842 ra procedendo molto bene.

Non so se offra risposta debba dare; se ho mancato a qualche cosa, prego di richiamarmelo alla memoria (Applausi)

Ricciardi. Le notizie sulla Basilicata le ebbi da lettera e dalla testimonianza di un nostro collega, l’onorevole deputato Lovitto qui presente.

Dir� poi che quella provincia si lagna della inettezza del governatore, che non agisce con energia.

Lovitto (per un fatto personale) dice che nel giorno 5 novembre, un’orda di briganti invase un paese della Basilicata, lo saccheggi� ed uccise 5 galantuomini.

Accenna altri fatti di brigantaggio, che gi� si sanno pei giornali.

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Mi riservo poi di formulare alcuni capi di accusa contro quel governatore, decorato di fresco non so di che cosa, e per dire che lo decorazioni si danno in ragione diretta dei fiaschi. (Rumori prolungati)

Friscia protesta contro la teoria esposta dal ministro della guerra sugli impiegati, siccome indegna di questo Parlamento italiano. (Rumori prolungati)

Presidente. La prego di attenersi al fatto personale.

Friscia. Le informazioni d’altronde che aveva il luogotenente erano false.

La societ� unitaria, che io aveva l’onore di presiedere, aveva determinato di festeggiare l’anniversario del giorno in cui i Borboni avevano per sempre cessato di regnare.

Dice che d’altronde in Genova si firmava pubblicamente la protesta contro l’occupazione di Roma.

Dice che il proclama del luogotenente promosse una grande agitazione nel paese, e che si deve alla societ� unitaria se non avvenne un qualche fatto doloroso; aggiunge che questo proclama incusse timore, tanto � vero, che molti si cancellarono dalla protesta, (Rumori a sinistra) come si pu� vedere dalla protesta stessa che fu deposta presso il comitato di provvedimento in Genova.

Ricasoli. Non posso lasciare sotto silenzio le insinuazioni che furono mosse dall’onorevole deputato Lovitto contro il prefetto di Potenza. Il prefetto di Potenza � il Sig. de Rolland, che molti di quest’assemblea conoscono. Non ho tema di affermare che la distinzione di onore che io gli feci avere � una di quelle mozioni che maggiormente mi compiaccio di aver fatto. Non dico ci� soltanto perch� ne senta il debito verso il sig. De Rolland, ma per rialzare i pubblici funzionai-i dei quali abbiamo tanto bisogno. (Bene)

Bastogi (Ministro delle finanze) risponde pur esso ad alcuni. appunti che gli vennero mossi circa alla rendita napoletana.

Dice che dal 1 gennaio vennero spediti al tesoro di Napoli 46 milioni o che sino ad ora � debitore verso il tesoro centrale.

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Mellana. Incomincia dal rispondere a duo osservazioni dei ministri dell'interno e della guerra. Il primo, riguardo al Pederzoli, rispondeva come un ministro del governo assoluto. Il Pederzoli non ha violato la legge comune dei cittadini, ed a tutti gli emigrati dovreste avere il coraggio di dare per legge la cittadinanza. (Applausi dalle tribune. Il presidente le ammonisce.)

Risponde pure al ministro della guerra riguardo al collegio della Nunziatella.

Rivolgendosi quindi all’onorevole Camiti, dice che il programma della sinistra � l’unit� italiana con Venezia e Roma, come quello della destra. La differenza sta nella scelta dei mezzi. Noi non entriamo nelle questioni di dettaglio perch� non siamo al potere, ma il giorno che noi potessimo venire al potere, avremmo un programma chiaro e pratico.

Voi che parlate delle nostre divisioni, siete voi uniti? I vostri discorsi sono tali che colla scorta di essi non potete dare al gabinetto quel voto franco ed esplicito che desso vi chiede.

Parlando poi del programma esposto dall’onorevole Petruccelli, dice che questi non preso la parola a nome della sinistra, ma a nome proprio, come sempre: (Risa)

Scende quindi a spiegare alcune idee svolte dall’on. Petruccclii riguardo alla quistione di Roma. Dice che questo idee del suo collega furono male interpretato dalla destra.

Il mio amico Carutti afferm� che il Piemonte vuole due cose; la monarchia e l’esercito. Perch� dire il Piemonte? Tutta l’Italia vuole egualmente queste cose.

Combatte l’accusa di piemontesismo alla quale da molti si ricorre nelle provincie napoletane. Nei paesi costituzionali non vi pu� essere supremazia d’una provincia sulle altre: tutte sono egualmente rappresentate in Parlamento. Quindi gli uomini di tutte le provincie possono venire al potere. Ora, per esempio, perch� una provincia del centro conta tanti rappresentanti nel ministero, nessuno tira in campo il toscanismo! (Ilarit�) Io combatto il ministero perch� lo credo poco atto al governo e non perch� composto in buona parte di toscani.

Spiega la sua opposizione al gabinetto.

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Io rispetto gli uomini illustri che lo compongono e vorrei salvarli. Essi non corrispondono ai bisogni dello stato perch� si trovano in una falsa posizione. Essi stanno per essere divorati dalla rivoluzione, bisogna impedire che ci� succeda, perch� di uomini illustri da porre a capo dei gabinetti ha sempre bisogno il paese; gettate adunque nelle fauci della rivoluzione altri uomini, altrimenti rimarr� divorata la nazione. (Ilarit� prolungata)

Entra ad esaminare gli ultimi atti del conte di Cavour. Dice che il medesimo proclam� il principio �libera chiesa in libero stato� solo per guadagnar tempo. Voi lo avete preso sul serio (Ilarit�.) Ma il conte di Cavour sapeva uscire da qualunque pi� difficile situazione, e voi non avete 'il suo genio.

Dopo una breve pausa, dice che esso non combatte il gabinetto perch� abbia voluto seguire la politica del conte di Cavour, bens� perch� ha voluto precisamente seguirla quando il Conte di Cavour l’avrebbe cangiata.

Lo combatto, egli dice, perch� non lo credo capace a sostenere il peso della pubblica cosa e perch� non credo fornito il barone Ricasoli delle qualit� necessarie.

Ricorda la circolare da esso fatta, quando era dittatore in Toscana, colla quale diceva ai toscani che esso loro non avrebbe chiesto n� un soldo, n� un soldato, per conchiudere che questa politica o una politica esiziale.

Io ho tutta la fede nel carattere dell’onorevole presidente del consiglio, ma non posso fidarmi del suo programma; perch� non conosce gli uomini dello stato, quando vedo le nomine che si fanno ai pubblici impieghi e specialmente nelle provincie meridionali, in cui la maggior parte appartiene al partito retrivo.

Accenna la recente nomina dei due senatori e dice che poteva prima interpellare la pubblica opinione e consultare lo stesso suo collega che altra volta li ha combattuti (Menabrca.)

Parla dell'aspettativa in cui vennero messi parecchi illustri generali ed ammiragli.

Dice che quando Napoleone il Grande governava la Francia, i partigiani dei Borboni stettero tranquilli e si mostrarono aderire all'ordine nuovo delle cose, per cui parecchi di essi ottenere impieghi.

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Ma dopo la funesta giornata di Waterloo, alzarono la testa e si vantarono di aver ingannato il vincitore d’Europa coll'ottenere l’ingresso nelle pubbliche funzioni. Fa augurii che ci� non possa avvenire tra noi.

Critica le nomine dei prefetti e rimprovera il governo per non aver trovato un posto ad un onorando uomo che tutta Messina conosce pel suo patriottismo: si riserva di combattere ad oltranza la legge amministrativa che si stara per presentare.

Rivolgendosi all’onorevole ministro della marina lo rimprovera di essersi occupato soltanto di un collegio, di un regolamento.

Ma sa. egli continua, cosa vuole l'Italia? Vuole una flotta; perch� sull’Adriatico possa rispondere a qualunque impegno contro l'Austria.

Invece di pensare tanto alla Spezia, lo doveva piuttosto a Brindisi, perch�, ripeto, � sull'Adriatico, che per ora dobbiamo fare le nostre prove e bisogna presupporre oltrecch� un esito infelice, anche un infortunio di mare, ed Ancona non basta a ripararlo.

Ha detto l’onorevole Menabrea quanti uomini ha ogni cannone, come lo avrebbe dovuto, invece d’occuparsi dei cannoni e del numero dei legni?

Parlando poi all’onor. ministro della guerra, gli fa osservare che il Parlamento domanda quanti soldati si possono mettere in linea di battaglia e non quanti ve no sieno.

Lo rimprovera per non avere eseguita la legge del Parlamento sull’armamento della guardia mobile; pel trattamento usato verso gli ufficiali dell’esercito dei volontari.

Dice che i volontari, questi nobili avanzi che tanto illustrarono il nome italiano, bisogna ammaestrarli in appositi campi d’istruzione, come era preciso desiderio del conte di Cavour.

Al ministro dei lavori pubblici da il rimprovero di eccitare troppo le speranze dei napolitani, lusingandoli coll’idea di prossimi lavori. Crede che questa condotta degradi il sentimento di quelle popolazioni. Si potr� pensare ai lavori quando le finanze nostre saranno consolidate.

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Rimprovera il suo amico Miglietti (Ilarit�) di essersi occupato di dettagli in una quistione cosi importante. (Allude all’incidente col deputato Pisanelli). Lo rimprovera perch� la magistratura non � a quell’altezza in cui dovrebbe essere effettivamente nello provincie napoletane, perch� vi sono al posto tuttora i magistrati. che servivano con pi� zelo l’esecrato governo borbonico.

Vorrebbe che il ministro delle finanze avesse pi� influenza di quello che ha attualmente negli altri dicasteri. Ricorda che il generale Lamarmora, quand’era all’amministrazione della guerra, faceva tali e tante economie da essere, per cosi dire, odiato dai suoi commilitoni. Desidererebbe che anche i presenti ministri seguissero il di lui esempio: cita il conte di Cavour, il quale quando aveva il portafoglio delle finanze influiva sugli altri suoi colleghi.

Entra a parlare sulla questione napoletana:

L’onorevole Ricasoli, esso dice, vi espose che lo scioglimento di tale questione si deve lasciare al tempo; e volete voi lasciare alla testa degli affari un uomo di tal fatta? Quando un medico dice che per guarire un infermo ci vuole il tempo, tanto fa chiamare un cerretano, che adoperi mezzi energici, ma presti. (Ilarit�)

Parla del brigantaggio e loda l’onorevole Polcinelli �che con 70 anni sulle spalle, in luogo di essere qui come legislatore, col suo fucile sulle spalle alla testa dei suoi contadini d� la caccia ai briganti nel suo paese.� (Bene)

Se l’onorevole ministro dei lavori pubblici fosse caduto in qualcuno di quegli agguati che ora col� fanno piangere tante famiglie, � certo che il governo prenderebbe serie misure. (Risa prolungate)

In questo momento ho ricevuta una notizia che non ho il coraggio di annunciare, ma che mando al signor presidente del consiglio perch� dica se esista o no. (Consegna un foglio ad un usciere che lo reca al presidente del consiglio).


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Ricasoli (attenzione) legge un passo in francese che dice come il generalo Lamarmora abbia diretto un rapporto al governo, nel quale espone che se non cambia sistema, sar� costretto a seguire l’esempio del generale Cialdini.

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Letta questa notizia, soggiunge con calore: Non esiste, o signori, nessun rapporto che ci� asserisca.

Io dichiaro solennemente che nei miei rapporti diplomatici coll'estero, quello che ha reso la mia parola meno efficace, fu appunto questo creare ad ogni momento notizie allarmanti. (Benissimo, applausi).

Le condizioni d'Italia non sono in quello stato in cui da taluno vengono dipinte.

L’Italia per senno e per la civilt� dei suoi cittadini � forse il paese il meglio ordinato dell’Europa. Io me no appello alla coscienza di tutti.

Se dopo una rivoluzione cos� profonda la quale distrugge governi che avevano spento ogni principio di moralit�, l'Italia procede ordinatamente, io chieggo se vi sia un paese in condizioni relativamente migliori.

Si, lo ripeto, o signori, le condizioni politiche sono eccellenti; dappertutto le popolazioni fanno annuenza a quello stato di cose, che scelsero volontariamente.

Non ci sono che delitti comuni, e se avessi con me la statistica ufficiale potrei assicurarvi che nel nostro paese non vi sono maggiori delitti che in Francia (Sempre con ardore)

Faccio invocazione al sentimento patriottico di tutti perch� sia dato bando una volta a questa pittura cos� dolorosa.

Cosa si deve dire in Europa di codesta pittura che facciamo noi stessi in quest’aula stessa? (Applausi)

Qual forza pu� avere il vostro ministero degli affari esteri? Siamo onesti, o signori, non chieggo altro (Applausi prolungatissimi e ripetuti: v’ha qualche rumore a sinistra, soffocato dagli applausi)

Brofferio. La lettera l'ho consegnata io stesso al deputato Mellana e domando di dare qualche schiarimento (No, no, rumori) Miglietti. La carta che ora io ho in mano, � in abbozzo, che pare non abbia vista puranco la luce; lo indica la forma stessa. Faccio appello a quell’amicizia che oggi ha invocato l’on. Mellana. un perch� questa notizia non si pubblichi.

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Brofferio. So la camera vuole una spiegazione, la dar� (No, no da parecchie parti)

Il presidente interpella la Camera se si debba accordare la parola all’on. Brofferio.

� accordata.

Brofferio. Il signor presidente del consiglio ha detto di non aver ricevuto alcuna notizia di ci� dall’onor. Lamarmora. Ed io gli credo, perch� credo all’onest� del suo carattere.

Vi ha un giornale per� della capitale che ha ricevuto la notizia che ho data. � benissimo una prova di stampa, e verr� pubblicata. Per� credo all’on. presidente del consiglio. Ad ogni modo � meglio che siasi intesa la dichiarazione dell’onorevole barone Ricasoli,

Posso assicurare per� che la notizia vennemi portata da una persona stimatissima, che fece questo per appurare la verit�.

Mellana. Credo che parte degli applausi fatti all’on. presidente del consiglio, sieno a me diretti. (Ilarit� prolungata)

Soggiunge che il ministro gli diresse rimproveri che esso non merita.

Conchiude accennando alla quistione di Roma. L’unico mezzo per finirla o l’organamento interno. Invece di discussioni teologiche siate nell’interno forti e fortemente armati. Io voto contro il ministero perch� la sua politica � cattiva e servile; vi faccio considerare che davanti alla patria gli individui scompariscono. Parlerei contro me stesso se mi stimassi dannoso.

Pres. La parola � al deputato De Cesare. (Si domanda la chiusura).

D’Ondes Reggio parla contro la chiusura.

S. Donato, parla anch’esso nel medesimo senso perch� nulla si � detto dello scontento delle popolazioni napolitane. (Rumori) Ve lo dico colle lagrime agli occhi (Ilarit� prolungata) I napolitani sono umiliati non perch� abbiano perduto la capitale come disse un eccentrico mio amico (ilarit�). Ricciardi domanda la parola per un fatto personale), ma io ho molte cose da dire, molti fatti da rilevare e perci� mi oppongo alla chiusura.

Crispi. Si oppone alla chiusura.

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Qualora venisse ammessa, egli dice, io sarei costretto a chiedere al governo la fissazione di una giornata, perch� dovrei interpellarlo sulle condizioni di Sicilia.

Nicotera si oppone alla chiusura perch� non sono paranco messe in chiaro le condizioni delle provincie napolitane.

Bisogna far sentire i dolori del paese, perch� il paese non crede nell’attuale gabinetto.�

Nomina il deputato Sella e ricorda come quando fu in Napoli trov� cattive le condizioni di quelle provincie ed aderiva alla proposta di un’inchiesta.

Sella dice che egli trovava accettabile un’inchiesta, perch� avrebbe posto in chiaro, che in quelle provincie esiste continuamente una agitazione politica e perch� avrebbe fatta la proposizione di abolire la luogotenenza, misura di cui egli non pu� che lodare la saggezza.

Massari in vista delle osservazioni dei deputati D'Ondes e Crispi circa la Sicilia, propone che sia chiusa la discussione sugli affari di Napoli, riservata la parola ai deputati anzidetti.

San Donato. Non credo che per avere la parola, si abbia ad essere siciliano come pretende l’on. Massari. (Oh! Oh! rumori) Domanda permesso alla Camera di parlare.

Pres. Metter� ai voti la proposta del deputato San Donato.

Sella. La discussione non � stata peranco chiusa, panni quindi che la proposta non debba essere accettata.

Del resto parla egli pure contro la chiusura perch� fra le altre, pi� avanti che va la discussione e pi� giova al ministero. (Ilarit�)

Alfieri parla in favore della chiusura, perch� fatti se ne son detti tanti e d’altronde la condotta del ministero si deve giudicare non da un fatto speciale, bens� dal complesso di molti fatti.

Mazza P. propone di chiudere la discussione e di accordare la parola ai deputati San Donato e Crispi.

Allievi non trova di accettare la proposta del dep. Mazza, perch� altri deputati potrebbero trovare argomenti da opporre a quelli di San Donato e Crispi; propone l’ordine del giorno puro e semplice sulla demanda della chiusura.

Voci. Ai voti, ai voti.

350

� adottato l’ordine del giorno puro e semplice. Il presidente legge due ordini del giorno, uno firmato dal dep. Depretis ed altri, ed il secondo dal dep. Macchi ed altri, pi� un emendamento del dep. Mosca all’ordine del giorno gi� presentato dal dep. Conforti in una delle sedute antecedenti.

Ci riserbiamo di dare questi ordini del giorno, mano mano che verranno discussi.

Seduta del 10 Decembre

Ricciardi dice che il Papa altro non fa che emettere cedole d’imprestito; domanda al ministro dello finanze se intende di nulla fare in proposito, perch� non dobbiamo un giorno riconoscere tutto il debito pubblico della Santa Sede, quando andremo a Roma, che venne proclamata capitale del Regno d'Italia.

Massari legge il progetto di legge presentato dal deputatoMancini che accorda una rendita annua vitalizia di 1,000 franchi a ciascheduno dei Mille, nonch� altre relative alla prorogazione del termino per le iscrizioni ipotecarie in Toscana, presentato dal dep. Nelli.

Nelli domanda di svolgere il suo progetto nel giorno immediatamente successivo a quello in cui sar� definita la presente discussione.

Ricciardi chiede che nel processo verbale venga fatto cenno che il ministero non volle rispondere alla sua importantissima domanda.

Si legge altro progetto di legge presentato dal deputato Minervini; il quale si rimette per lo svolgimento alla deliberazione della presidenza.

Si accorda un congedo ai deputati Nicolucci e Oddone.

Annunciasi l’ordine del giorno.

De Cesare comincia dalla questione romana, e discendendo ad esaminare i documenti presentati dal presidente del consiglio, parla in loro favore.

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Dimostra come il re di Roma sia nell’assoluta impossibilit� di mantenere il suo territorio; per poter continuare nel suo dominio � costretto ad accettare i patti proposti dal governo italiano. A sostegno della sua tesi accenna, con dati numerici, le spese che il sommo pontefice deve incontrare per far fronte alle sue esigenze come principe temporale: parla dei sacrificii da esso incontrati, della vendita del Museo Campana e di altri capi d'opera.

Dice clic nella pubblica opinione l’abolizione del poter temporale fece gran passi.

Discendendo a parlare delle condizioni delle provincie meridionali, confida, che il baron Ricasoli, la cui probit� e lealt� � proverbiale, sapr� fare in modo per renderle contente.

D’Ondes Reggio dice che il principio di libera chiesa in libero stato significa la tutela delle persone e dei beni, il libero esercizio di ogni culto e di ogni religione; significa che lo stato non tiene per se alcuna religione, che ciascuno astretto da voti possa sciogliersene quando meglio gli piaccia, significa che le associazioni religiose e la cattolica in primo luogo devono essere al paro delle altre associazioni.

Sostiene che il capitolato presentato dal presidente del consiglio non accorda abbastanza ed � inferiore alle prerogative accordate al vicario apostolico in Sicilia. Che se si volesse accettare il principio di libera chiesa in libero stato, i cattolici di Sicilia non tollererebbero di recarsi a Roma perch� rinuncerebbero a privilegi ancora pi� larghi.

� d’avviso che se si andasse a Roma colla forza, non vi resteremmo lungo tempo, perch� si ridurrebbe ad una seconda Babele, si confonderebbero le lingue e si disperderebbe la chiesa. (Ilarit�)

Discende a parlare di politica interna e dice che per unificare l’Italia non occorre una sola ed identica legge elettorale, non occorrono identiche leggi altro che per quello che � necessario. In necessariis unitas.

Sostiene la necessit� della luogotenenza di Palermo, perch� la Sicilia quando rinunci� alla propria indipendenza politica, non intese di rinunciare eziandio all’amministrativa.

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Rimprovera il governo per aver cangiato il nome di governatori in quello di Prefetti, e lo rimprovera eziandio d’aver mandato in Francia un burocratico per istudiare burocrazia, perch� non bisognava tarpare le ali al genio italiano, che fu sempre inventivo e non imitativo. (Bene a sinistra)

Dichiara di astenersi dal votare un qualunque ordine del giorno, perch� non vuole coartare la propria coscienza.

Cordova (ministro del commercio). Si occupa a ribattere le eccezioni del dep. D’Ondes o prima quelle che si riferiscono ai privilegi della chiesa siciliana.

Dice che quelle prerogative non correranno alcun pericolo pel principio ormai proclamato di libera chiesa in libero stato.

Accenna a dati storici e concordati stipulati colla Santa Sede i quali appoggiano i suoi argomenti e non urtano minimamente il principio anzidetto, ma si riferiscono alle chiese provinciali, senza nulla togliere all’unit� della chiesa, la quale si oppose sempre a qualunque usurpazione.

Cosi essendo, non mi far� a ragionare dei privilegi della chiesa Siciliana, che mano mano che crebbero le sorgenti di civilt� hanno perduto della loro importanza.

Ci� che preclude ogni disputa � questo che i privilegi della legazia siciliana sono compresi precisamente nel capitolato presentato dal barone Ricasoli.

Riguardo alla luogotenenza di Palermo, l’onor. ministro cosi ribatte l’osservazione del dep. D’Ondes che il potere esecutivo non aveva il diritto di abolire la luogotenenza di Napoli.

Il potere esecutivo non � un usciere ed un apparitore che segue la legge, ma � particolarmente distinto dal legislativo; per cui pu� ordinare ogni disposizione qualora non pregiudichi gl’interessi dei cittadini.

Anche sotto il regno di Luigi Filippo fu ordinata la ricomposizione dell’Algeria per decreto reale.

Non vi � nessun corpo morale nelle provincie napolitane unite che abbia diritto ad una amministrazione speciale. Bens� v’ha un corpo morale in ciascheduna delle provincie separate. (Bene)

353

La luogotenenza napoletana era un provvedimento transitorio senza disposizione alcuna. Il governo quando credette che i bisogni per cui venne istituita fossero cessati, ritir� i poteri attribuiti alla stessa.

La importante discussione a cui assistiamo da tanto tempo mi ha appreso che si � data molta importanza alle persone.

Non abbiamo inteso il dep. Bertani dire alla Camera che sotto la dittatura non si era manifestato il brigantaggio? Non abbiamo d'altro canto inteso l’on. Minghetti sostenere che il brigantaggio avvenne sotto un’amministrazione diversa dalla sua?

Questo darebbe da sospettare che ai briganti si abbia voluto dare una importanza politica per far soltanto opposizione al gabinetto.

Non si deve incolpare del brigantaggio nessuno, perch� col la storia alla mano cessa col cadere delle foglie e si riproduce all’aprirsi della buona stagione.

Fatta questa digressione, torna a parlare della luogotenenza, a ritenere che essa racchiude tutto ci� che v’ha di contrario alla unit�, perch� significa separazione di territorio ed unione di poteri. (Bene)

Da segretario generale al ministro dell’agricoltura ho potuto seguire l’andamento delle luogotenenze e potei convincermi come fossero assolutamente incompatibili col servizio pubblico. E di questo avviso si fu lo stesso gen. Cialdini.

Le luogotenenze vennero create quando v’era un pericolo, cessato il quale devono pur esse cessare.

Ad un luogotenente il governo centrale pu� indicare un provvedimento ed il luogotenente qualora lo crede pu� non accettarlo, mentre un prefetto deve ubbidire.

Il potere luogotenenziale tende ad esautorare i prefetti ed a diminuire ed attenuare la potenza del potere centrale.

Da un momento che v’ha un centro politico, formasi al canto suo un centro di opposizione.

Quello che diceva in favore di esse l’on. D’Ondes non � tal cosa da mutare il giudizio della Camera.

354

Io credo che le luogotenenze furono causa di sollevazione perch� costituivano a s� d'intorno dei centri politici: e noi non vogliamo rivoluzioni contro il regno d’Italia.

La luogotenenza pu� essere vantaggiosa sotto un regime dispotico, perch� pu� resistere ad alcune misure del governo centrale, deliberare come avveniva sotto i borboni tra quella di Palermo ed il potere di Napoli.

Io posso assicurare che le funzioni esercitate dalla luogotenenza di Sicilia dal 1838 al 1848 furono una delle cause che produssero la rivoluzione del 48. Che sia benedetta per questo, ma non vorrei che potesse fare altrettanto contro il regno d'Italia.

La luogotenenza tende ad esautorare il controllo che spetta al Parlamento in un governo costituzionale. Un ministero non pu� essere responsabile di quello che vien fatto da essa, perch� non � sotto l’immediata sua sorveglianza. (Bene)

Nel governo costituzionale il giudizio pi� autorevole sugli interessi dei paesi � quello dei singoli deputati, e questo giudizio, � oscurato dai rapporti delle luogotenenze che vivono in una atmosfera speciale.

La luogotenenza in conclusione non � altro che l’antico potere viceregio disapprovato da tutti gli uomini politici.

Quanto al brigantaggio, io credo che possa essere estirpato, non dal ministro dell’interno, bens� da quello dei lavori pubblici, della pubblica istruzione e d’agricoltura e commercio.

Dice che tutti i servizii pubblici in Sicilia vanno male, all’infuori di quelli che si riferiscono ai lavori pubblici, perch� il dicastero che ne tratta � separato dalla luogotenenza e riceve ordini diretti dal governo centrale.

Dice che la nostra rivoluzione tende a scancellare tutti i privilegi, tutte le divisioni, le deformit�, cause di danni dolorosi.

Cessate, o signori, dal fare opposizione al barone Ricasoli col fatto del brigantaggio. Datemi una qualunque parte montuosa, disseminatevi partigiani in qualunque genere ed avrete il brigantaggio. Quando diminuir�? quando sar� sviluppato il sistema economico ed avranno termine le discussioni di partito. (Applausi prolungati: molti deputati vanno a congratularsi col ministro).

355

Miceli parla contro il gabinetto. Accenna al trattamento dei volontari, dei disertori dell’esercito borbonico nel 1860. Rimprovera il ministero di non accordare la cittadinanza agli emigrati veneti, i quali malgrado i servizii, che hanno prestato alla patria nel 59 e nel 60, sono ancora nel nulla.

(Ai voti, ai voti)

Saffi rinuncia alla parola. (Bene)

Sandonato. Se la Camera vuole la chiusura, sia puro; ma deve invitare il governo a rispondere su alcuni fatti particolari, che sar� per annunciargli...

Carutti. Domanda la parola per un richiamo al regolamento.

Sandonato (con forza). Non si pu� interrompere l'oratore. (Rumori)

Presid. Quando un deputato richiama l’esecuzione del regolamento, lo discussione � sospesa.

Carutti. Io richiamo l'esecuzione del regolamento, per ci� che quando � stata richiesta la chiusura, la dove essere posta ai voti.

Il Pres. interpella la Camera se vuole accordare la parola al deputato Sandonato.

La Camera accorda.

Sandonato rimprovera il ministero perch� non adott� il sistema di promiscuit� nella distribuzione degl’impieghi: dice che il padre Pantaleo non ebbe alcuna sovvenzione; accenna al fatto che il ministero di marina ordin� che venissero ritirati quaranta allievi dal collegio di Napoli: parla dei macchinisti, gi� creati ufficiali sotto il governo dittatoriale e passati bassi ufficiali dal ministro stesso di marina.

Taccia il sistema del governo come aggressivo sempre verso le provincie napolitane.

�Sinch� vi avr� un governo con questo sistema, egli conchiude, non avr� mai e poi mai il mio voto.�

(La chiusura)

Crispi parla contro, ripetendo quanto disse ieri, che altrimenti sarebbe costretto a chiedere la fissazione di una giornata. (Parli, parli)

356

Il Pres. interpella in proposito la Camera.

Dopo prova e controprova il deputato Crispi ha facolt� di parlare.

Crispi accennando che sono le 5 1|2 dice che parler� almeno per un’ora. (Parli, parli)

Comincia quindi il suo discorso parlando contro il gabinetto; dice che nessuno in Sicilia si alza a difenderlo dalle accuse che gli vengono scagliate.

(La Camera va mano mano spopolandosi)

Prende ad esaminare minutamente il capitolato del barone Ricasoli fra i rumori e la disattenzione della Camera.

Rientrando quindi nella questione speciale siciliana espone varie considerazioni e varii fatti per provare la diffidenza dei siciliani verso il governo.

Dice che la causa principale di tale malessere � il governo.

Enumera quindi gli errori del Governo diffondendosi in molti particolari. Dice che in Sicilia non si eseguisce lo statuto, e si applicano pene economiche. Narra varii fatti relativi alle sue asserzioni.

Afferma che non vi � in Sicilia sicurezza pubblica.

Accenna ad una lettera del barone Tholosano che accusa di poca moralit� i giudici e gl'impiegati di pubblica sicurezza. Dico che dal poco coraggio di questi dipende la ritrosia dei testimoni a far conoscere i rei.

La reazione aumenta. Un anno fa i preti o i frati reazionari erano in Sicilia un’eccezione, ora sono la regola generale. Eppure il governo ha in Sicilia molti mezzi per correggere il clero, che non ha nel continente.

Il generale della Rovere quando era in Sicilia non credeva all’esistenza di un partito borbonico, mentre era attorniato da borbonici.

Conchiude dicendo che le condizioni della Sicilia sono infelici per l’ignoranza di chi la governa, e per i cattivi provvedimenti che vennero presi.

357

Quando emetterete il vostro voto ricordatevi della Sicilia. In questo modo provvederete non solo all’interesse della Sicilia ma anche a quello dello stato.

Seduta dell'11 decembre.

Seguito delle interpellanze; egual concorso nella gallerie. Si fa appello nominale.

Ponesi ai voti la chiusura della discussione generale. E adottata.

Il presidente legge un dispaccio del gen. Lamarmora diretto al ministro dell’interno, col quale mostra le sue meraviglie che il deputato Mellana abbia dato l’altro ieri quella notizia che lo riguarda e dichiara che esso �non ha mai parlato n� scritto contro la politica del governo o che tanto meno ha pensato di dare le sue dimissioni.� (Segni manifesti di approvazione dai banchi della Camera).

Si leggono gli ordini del giorno gi� presentati. Eccoli: t La Camera conferma il voto del 27 marzo, che dichiara Roma capitale d’Italia, e confida che il governo dar� opera alacremente a compiere lo armamento nazionale e l’ordinamento del regno.

�Essa prende pure atto delle dichiarazioni del ministero intorno alla sicurezza pubblico, alla scelta del personale sinceramente patriottico, al riordinamento della magistratura, al maggiore sviluppo dei lavori pubblici e della guardia nazionale, ed a tutti gli altri provvedimenti efficaci a procurare il benessere delle provincie meridionali, e passa all’ordine del giorno,�

Raffaele Conforti — Ippolito Amicarelli —

Caso — Cesare Correnti —

Gennaro De Filippo — Nicola Nisco —

Pietro Palomba — P. A. Romeo —

Stefano Romeo— Augusto Plutino.�

La Camera conferma sulla questiono romana il voto espresso nella sua tornata del 27 marzo, e confida che il ministero proseguir� alacremente l’opera del riordinamento del regno o dell’armamento nazionale.

358

�Rispetto alle provincie meridionali la Camera prende atto delle dichiarazioni del ministero, o confidando che i provvedimenti annunziati, massime per la scelta del personale, la pubblica sicurezza, la magistratura, la guardia nazionale ed i lavori pubblici, varranno a migliorarne le condizioni, passa all’ordine del giorno.�

C. Boncompagni — Valle —

Carlo Alfieri — Audinot Lacaita

Do Vincenzi — G. Lanza —

A. Zanolini — Saverio Baldacchini —

Jacini — Spaventa —

De Cesare — Pisanell� —

E. Cugia — Caracciolo —

P. E. Imbriani — Carlo Gallozzi—

Boldoni — Bonghi —

G. Vergili — G. Arconati —

G. Borromeo — Gnglianetti —

Giuseppe Massari — Leopoldo Cempini —

Chiavarina — Grixoni —

Cagnola — Farini —

Carlo Poerio — G. B. Cassini —

Ror�.

Emendamento all’ordine del giorno Conforti ed altri.

�La Camera, esaminati i documenti presentati dal ministero e uditene le dichiarazioni in ordine allo stato della questione romano, mentre persiste nel reclamare che Roma sia al pi� presto congiunta all’Italia, eccita il governo a provvedere con ogni pi� acconcio mezzo, ma senza sacrificio delle essenziali prerogative della corona e dei diritti inalienabili della podest� civile, al compimento di questo supremo bisogno nazionale.

359

�La Camera confida altres� che il governo dar� opera alacremente a compiere l’armamento nazionale e l’ordinamento del regno.

�Essa prende pure atto, ecc. , come all’alinea dell’ordine Camere 1.

A. MOSCA.

�La Camera, invitando il ministero a dare opera pi� efficace perch� Roma sia restituita all’Italia ed a provvedere all'armamento nazionale ed all'interna amministrazione, massime nelle provincie meridionali, in modo che meglio corrisponda alle supreme necessit� della patria, passa all’ordine del giorno.�

Mauro Macchi — Depretis —

Mellana — Michele —

Persico — E. Castellano —

N. Schiavoni-Carissimo — Vincenzo Ricci —

Gaetano De Peppo — L. Romano —

Francesco De Luca — Benedetto Cairoli —

Salvatore Calvino — F. Mezzacapo —

Rodrigo Nolli — Oreste Regnoli —

Antonio Greco — Francesco Mandoj-Albanese -

Ricci Giovanni — Bruno Fabricatore —

Elia Della Croce — Nino Bixio —

Mordini Antonio — Saffi Aurelio —

D. Levi — Gaspare Marsico —

Giuseppe Romano — Francesco Lovito —

Luigi Minervini — Antonio Ranieri —

G. Avezzana — G. La Masa —

M. Casareto — Spinelli —

G. Cadolini — Guzetti —

Pietro Moffa — Zanardelli — San Donato —

360

S. Del Giudice — Berti-Pichat —

Mariano d’Ayala — Francesco Garofano —

Mariano Ruggiero — Vincenzo Vischi —

Giuseppe Leonetti — Amilcare Anguissola —

Filippo Ugoni — G. Saracco.

Pres. Sono Stati presentati altri due ordini del giorno, uno (innato dal dep. Castelli, l’altro dal dep. Petruccelli della Gattina.

Quest’ultimo � il seguente:

�La Camera, preso atto delle dichiarazioni e dei fatti svolti durante la presente discussione, passa all’ordine del giorno,

Pres. Il dep. Conforti ha la parola per svolgere il suo ordino del giorno.

Toscanelli chiede che sia in prima discusso quello che si allontana di pi� dall’ordine del giorno puro e semplice.

Il Pres. dico che il regolamento esige che si voti prima quello che si allontana di pi� dall’ordine del giorno puro e semplice, per� nella discussione mantiene l'ordine cronologico. Conforti svolge il suo e dice di sostituire la parola proseguire l’armamento al compiere, perch� al compimento si possono alle volte frapporre ostacoli indipendenti dal governo.

Mellana. (per un fatto personale) Che fosse travisato ci� che si dico in quest’aula dal giornalismo, nessuna meraviglia; ma da un dispaccio governativo, non mo lo sarei immaginato.

Quest’onorevole assemblea fu presente a quanto avvenne. Io domando a miei colleghi, che per loro dignit�, invitino il presidente della Camera a spedire all’onorevole generale Lamarmora un dispaccio esatto su quanto dissi l’altr'ieri. (Benissimo a sinistra)

Ricasoli, (attenzione) Io ho pregato il mio collega l’onorevole ministro dei lavori pubblici a recarsi ora al ministero dell’interno per vedere se dal mio dicastero sia stato spedito alcun dispaccio al generale Lamarmora sul fatto di luned�, perch� voglio che sia chiarita la cosa. Fra poco sar� di ritorno, ed allora potr� comunicare il vero alla Camera.

361

Saffi dichiarando che accetterebbe la sostanza dell'ordine del giorno Conforti, ne combatte la forma perch� tenderebbe a dare un voto di fiducia al ministero, che esso crede incapace a corrispondere alle giuste aspettazioni della nazione. (Bene a sinistra)

Mosca sviluppa l’emendamento da esso proposto a questo ordine del giorno (vedi pi� sopra), e dice che la Camera quanto alla questione romana deve pronunciare un voto chiaro, netto, decisivo.

(Entra il ministro dei lavori pubblici. Mellana domanda all'oratore che per un poco gli ceda la parola).

Mellana. Dacch� vedo di ritorno l’onorevole ministro dei lavori pubblici, cosi prego l’onorevole Presidente del consiglio a comunicare alla Camera l’esito delle indagini,

Ricasoli (attenzione). Ho l’onore di avvertire la Camera che nessun dispaccio da nessuno degli impiagati del ministero dell’interno fu diretto al generale Lamarmora sulla seduta di luned�.

Mellana. In mezzo agli interessi generali non discender� ai particolari. Non voglio cercare il falsario, ma il falso si prover�.

Ripete le sua proposta (No, no, Si, si)

De’ Blasis. Al generale Lamarmora giungeranno senza dubbio i discorsi stampati officialmente. La proposta mi pare singolare.

Depretis. Il dispaccio del generale Lamarmora, parmi che affermi che l’onorevole Mellana abbia asserito un fatto falso. Il mio amico Mellana mosse sempre guerra a tutti i ministri, ma con tutta lealt�. Scongiuro lo stesso gabinetto a voler far si che la luce si faccia. (Applausi dalle gallerie. Il presidente le ammonisce)

Mazza P. L’onorevole presidente del consiglio si potr� incaricare della rettifica del fatto. (No, no. Crispi: La Camera)

Minervini appoggia la proposta Mellana.

Il Pres. interpella la Camera.

Dopo prova e controprova � approvata (Applausi dalle tribune: al momento della votazione si sente un fischio)

362

Pres. Da una delle tribune si � udito un fischio. Ordina ad un usciere d’indagare chi ne sia stato l’autore. Se giunge a conoscerlo, lo faccia allontanare, altrimenti si sgomberi tutta la tribuna da cui � partito. La libert� e l’indipendenza della discussione dev’essere rispettata. (Approvazione)

Esaurito l’incidente, continua la discussione.

Mosca dice qualche altra parola in appoggio del suo emendamento.

Nisco parla in favore dell’ordine del giorno Conforti.

Matina non lo trova accettabile perch� � un voto di fiducia; Varese vi si accosta.

Comincia la discussione sull'ordine del giorno presentato dal deputato Boncompagni.

Boncompagni lo svolge e dichiara di accettare anche quello del dep. Conforti, al quale poi aggiungerebbe al primo alinea, dopo le parole l’ordinamento del regno le altre e l’efficace tutela delle persone e della propriet�; e nel secondo di sostituire alle parole sinceramente patriottico le altre onesto, abile e devoto alla causa nazionale.

Bixio vi si oppone. Dico che abbiamo bisogno d’uomini, perch� senza 500m. soldati da appoggiare le nostre ragioni, non entreremo in Roma.

Parla della necessit� di armare i volontarii e prepararli onde possano servire alle eventualit�.

Quanto alla marina dice �che se l’on. ministro crede che la nota da esso letta al Parlamento debba essere presa sul serio, si sbaglia. Per me di tutta quella marina che ereditammo dal mezzogiorno, disarmata prima, la dono ai trasporti delle poste.

La discussione di questi giorni nulla ha prodotto ed anzi io mi dichiaro nemico delle interpellanze politiche.

Dice che molti ufficiali esteri venuti ad esaminare qui le condizioni militari del paese, gli esternarono l’opinione che nel caso fossimo attaccati saremmo battuti.

Conchiude dichiarandosi contrario alla politica dell’attuale gabinetto.

363

Della Rovere (ministro della guerra.) La discussione � andata fuori della sua prima direzione. Il risultato si fu che si son potuti notare due modi diversi di pensare, l’uno che sia cessata la rivoluzione e che tutto debba svolgersi secondo le idee di libert�, l'altro che la rivoluzione non � finita, ma che debba continuare. lo perla parte che concerne l'armata, sto per lo svolgimento regolare.

Quanto ai volontarii, ho detto e lo ripeto che li chiamer� al momento opportuno e spero che combatteranno sotto il comando del gen. Garibaldi. In tempo di pace non pu� esistere un esercito di volontarii: intanto si apparecchiano i quadri. Ecco quello che posso fare.

Menabrea (ministro della marina) dice che esso nel suo dicastero lavora colla massima alacrit� ma che le flotte non si improvvisano. Quindi ribatte le osservazioni del gen. Bixio ed enumera parecchi dei nostri legni, che ora costituiscono la nostra flotta.

Bixio risponde poche parole per un fatto personale, dicendo che esso desidererebbe si facesse un’inchiesta per esaminare le condizioni della marina, o se ci� non potesse porsi in opera, si attuasse un altro sistema che conducesse allo stesso risultato.

Bertolami rinuncia alla parola.

Si passa olla discussione dell’ordine del giorno Macchi, il quale per lo svolgimento rinuncia la parola al deputato

Depretis che lo sviluppa. Dice che non pu� aver fede nel1’attuale gabinetto, perch� non arma e non organizza il paese.

Toscanelli combatte l’ordine siccome quello che implica un voto di sfiducia e difende il ministero.

(L’oratore � continuamente interrotto da voci che domandano la chiusura. Il presidente scampanella. Lo voci continuano, l’oratore continua tra i prolungati rumori e la confusione della Camera.)

Conchiude dicendo: ch’esso spera che la maggioranza della Camera riuscir� pi� disciplinata. (Bene a sinistra.)

Berti Pichat fa il seguente emendamento a quest’ordine dei giorno: �... ed esortandolo a provvedere efficacemente alla pubblica sicurezza.�

364

Macchi lo accetta.

Castelli e Petruccelli della Gattina ritirano i proprii.

Alcuni deputati domandano la votazione per appello nominale dell’ordine del giorno Macchi, altri di quello del dep. Conforti.

Pres. legge l’ordine del giorno Conforti colla modificazione portata dallo stesso proponente e colle aggiunte del dep. Boncompagni, accettate pure dal primo, e dice che avvicinandosi questo di pi� all’ordine del giorno puro e semplice, sar� messo ai voti prima degli altri.

Ricasoli dichiara di accettarlo a nome del gabinetto.

Mosca insisto perch� venga messo ai voti il suo emendamento.

� respinto.

Si procede all’appello nominale.

Risultarono presenti 317

Votanti 311

Astensioni 6

Votarono pel si 232

pel no 79

Risposero Si

Abatemarco, Acquavita, Agudio, Airenti, Alfieri, Allievi, Amicarelli, Ara, Arconati-Visconti, Argentino, Atenolfi, Audinot, Baldacchini, Boracco, Bastogi, Battaglia Avola, Belli, Beltrami, Berardi, Bertea, Bcrtolami, Bichi, Boldoni, Boncompagni, Bonghi, Borella, Borgati, Borromeo, Borsarelli, Boschi, Bottero, Bracci, Bravi, Brida, Briganti Bellini, Brignone, Brioschi, Broglio, Brunet, Bruno, Burbani, Busacca, Cagnola, Camozzi, Camalis, Cantelli, Capone, Capriolo, Caraccio, Cardente, Carletti, Carutli, Caso, Cassinis, Castelli, Cavallini, Cavour, Cedrelli, Cempini, Chiappusso, Chiaves, Ciccone, Cini, Cipriani, Colombani, Compagna, Conforti, Conti, Ceppino, Ccrdova, Correnti, Corsi Cugia, Danzetta, Deandrcis, Deblasis, Decesare, Celse, Desanetis, (ministro) De Siervo, de Vincenzi, Di Martino, Di Sonnaz, Dorucci,  Fabrizi, Ferini, Fenzi, Gadda, Galeotti, Gallozzi, Genero, Gigliucci, Ginori, Giorgini, Giovio, Giuliani, Guglianetti, Imbriani, . lai-ini. Lacaita, Lafarina, Lanza G. , Leopardi, Luzi,

365

Macci�, Maceri, Maggi, Malenchini, Marazzani, Marasca, Mari, Marliani, Martinelli, Massa, Mussarani, Massari, Massola, Mattei Felice, Mattei Giacomo, Mautino, Mayr, Mazza, Mclegari Luigi, Melegari Luigi Amadeo, Menichotti, Menotti, Michelini, Miglietii, Alinghellini-Vaini, Minghetti, Mischi, Mongenet, Monti, Mongani, Morelli, Moretti, Morini, Mureddu, Nelli, Ninchi, Nisco, Oytana, Palomba, Panattoni, Paternostro, Pelosi, Pepoli Carlo, Pepoli Gioacchino, Peruzzi, Pescetto, Pinolli, Pirla, Pireli, Pisanelli, Pisani, Poerio, Possenti, Puglese, Reali, Ranco, Rapallo, Rasponi, Rattazzi, Bestelli, Ribotti, Ricasoli Bettino, Ricci Mallco. Robccchi Giuseppe, Romeo Pietro, Romeo Stefano, Ror�, Rovara Ruschi, Sacelii Salvatore, Sanguinetti, Sanseverino, Saragoni, Scalia, Scalini, Scarabelli, Schinina, Scialoia, Scocchera, Sella, Sgariglia, Silvani, Silvestrelli, Sirtori, Solaroli, Soldini, Spaventa, Speroni, Susani, Testa, Tonelli, Donelto, Tornielli, Torre, Toscanelli, Trezzi, Urbani, Vacca, Valerio, Viora, Visconti-Venosta, Zambelli, Zanolino.

Risposero NO.

Anguissola, Avezzana, fioretta, Bertani, Berti-Pischat, Bizio, Braico, Cadolini, Cairoli, Calvino, Carmina, Cappelli, Casaretto, Castellano, Caducei, Cosenz, Crispi, Cuzzetti, D’Ayala, Delgiudice, Della Croce, De Luca, Depretis, De Sanetis Giov. , Fabbricatore, Falconcini, Ferrari, Friscia, Gabrielli, Garofano, Greco Antonio, Lanciano, Lazzaro, Leonetti, Levi, Libertini, Longo, Levito, Maccabruni, Macchi, Mandoj-Albanese, Matina, Mellana, Mezzacapo, Miceli, Minervino, Moffa, Molfino, Monticelii, Mordoni, Mosca, Loschiari, Musolino, Nicotera, Nolli, Pancaldo, Persico, Polti Positane, Ranieri, Regnoli, Ricci G. , Ricci V. , Ricciardi, Romano G. , Romano L., Ruggero, Saffi, Sandonato, Saracco, Schiavoni, Scrugli, Spinelli, Ugdulena, Ugoni, Vischi, Zanardelli, Zuppetta.

Si astennero dal votare, Castelli L., Fiorenzi, Gallenga, Petruccelli, D’Ondes. Tecchio.

366

Dopo aver seguito co’   nostri lettori i dettagli di queste nuove sedute di discussione sulle questioni di Roma e di Napoli, dobbiamo convenire, che il parlamento non vi si mostr� pari alla grandezza della sua missione.

Ci� che poteva essere pronunciato il 3 dicembre lo fu l’11, e non furono risparmiate memorie e spiegazioni disgustose. Ecco il bilancio della discussione il cui esito era preveduto anche da coloro che vollero dare lo spettacolo di personalit� in lotta e di vanit� messe in evidenza.

La questione politica principale che doveva agitarsi come si agitano le quistioni di gabinetto era questa: il ministero dovea render conto del suo operato, e la Camera Verificare se esso erasi adoperato nel senso ad esso indicato dai voti della Camera elettiva stessa, e se erasi adoperato con accortezza e con sollecitudine opportuna.

Sull’essersi adoperato nel senso indicato dai voti della Camera non vi poteva fin da principio esser dubbio, giacch� la Camera non aveva esternato l’avviso che il Ministero ed il Governo dovessero mettersi in opposizione con la Francia ma anzi avea deliberato che si dovesse procedere d’accordo con l’Imperatore Napoleone. Questa parte della questione non poteva essere travisata che dal desiderio di mostrarsi malcontenti e di ritornare sui voti gi� emessi, desiderio che era e sar� sempre nutrito dalla minoranza.

Pi� ponderoso era il tema che era implicato dalla seconda parte della questione, cio� se il ministero avesse adoperato i mezzi pi� acconci per giungere alla soluzione desiderata dalla Camera. Circa questa seconda parte rimaneva al certo molto da dire: ma avrebbe comodamente potuto dirsi in poche parole. Invece si svilupparono quelle poche parole in un cumulo di discorsi e d’inutilit�, dal che ne venne quell’irregolarit� di discussione che l’eloquenza parolaia o lo spirito di partito non mancano di far nascere e che non ebbe mai fortuna nel Parla mento, anzi che non riusc� mai a prodursi finch� non erano penetrati nel Parlamento certi elementi che vi sono stati annessi.

367

III.

L'Europa attenta, che sperava di veder uscire da questi dibattimenti almeno una di quelle manifestazioni unanimi che spesso fanno violenza alle volont� contrarie, riprese con pi� forza la attitudine dello statu quo; e tutto ci� che Vittorio Emanuele pot� ottenere per la lettera che si pretese aver egli indirizzato all’imperator dei Francesi per impegnarlo a compiere l'opera di Magenta e Solferino, non fu altro che un accordo dei duo governi contro le mene del brigantaggio sulle frontiere pontificie. Una nota del Sig. Thouvenel, ministro dogli affari esteri di Francia, non tard� ad informare il governo italiano, che tutti i provvedimenti erano stati presi dalla guarnigione francese di Roma, per impedire l’invasione del territorio napolitano per parte di nuovo bande di briganti. Istruzioni analoghe e preciso erano date egualmente al Sig. di Lavalette, nuovo ambasciatore di Francia a Roma per intercettare ogni communicazione fra i comitati borbonici e quelli delle Due Sicilie, e mentrech� il giornale ufficiale di Roma annunziava in data 7 Decembre 1861, che il S. Padre Pio IX. aveva ricevuto in udienza solenne il Marchese di Lavalette, un giornale semiofficiale di Francia, il Costitutionnel pubblic� un articolo, che sotto il titolo dell’occupazione di Roma faceva un conto dettagliato di tutte le somme che questa occupazione costava alla nazione francese. Per la sua importanza lo riproduciamo.

�Noi abbiamo fatta, dice il Costitutionnel, la spedizione di Italia per liberarla dall’Austria, e noi siamo andati a Roma per non lasciarla in bal�a della rivoluzione.

�Giammai una politica fu pi� chiara, pi� assennata, pi� disinteressata.

368

�La dominazione austriaca nella penisola comprometteva l'equilibrio europeo: il trionfo della rivoluzione a Roma esponeva a grave pericolo contemporaneamente il cattolicismo e la nazionalit� italiana.

�La guerra del 1859 e la nostra occupazione a Roma sono dunque fatti perfettamente logici, aventi uno scopo determinato, nel quale l'ambizione non ha parte veruna, e consistenti a mettere due cause giuste sotto la protezione della nostra spada e della nostra bandiera.

�Ecco perch� l'imperatore pot� arrestarsi a Villafranca dopo Magenta e Solferino: il pericolo della dominazione austriaca era cessato nella penisola. Cos� pure il giorno in cui sar� possibile una transazione tra la santa Sede e il Governo Italiano, il giorno in cui in Italia vi sar� un governo ed un popolo abbastanza forte per impedire alla rivoluzione di attentare al papato, quel giorno i nostri soldati lascieranno Roma.

�La missione della Francia in Italia sar� compiuta.

�Egli � ad affrettare questo avvenimento cui una buona politica deve tendere senza posa. Cos� non bisogna dire, come lo fanno taluni che credono di essere assai assennati e chiaroveggenti: �Noi siamo a Roma e noi vi rimarremo.� Bisogna dire al e contrario: Noi siamo a Roma e non chiediamo meglio che di �potercene andare.�

�Infatti, prolungandosi indefinitamente la situazione attuale, non pu� che tornare ugualmente funesta a queste due grandi cause, l'Italia ed il Papato.

�Il pericolo � urgente. Non � la prima volta che lo indichiamo, e ci sar� resa questa giustizia, che, preoccupati anzi del compito della Francia e delle idee che essa rappresenta nel mondo, non abbiamo l'abitudine di deciderci nelle grandi questioni estere per meschine considerazioni di economia. Non apparteniamo a quella classe di individui che riducono la politica e la morale in soldi e denari, e non avremmo mai pensato a porre sotto gli occhi dei nostri lettori il peso che fa gravitare sulle nostre finanze l'occupazione di Roma se l'Ami de la Religion non vi ci avesse, per cos� dire, forzati, diminuendo sistematicamente o ingenuamente i sacrificii della Francia.

369

�Ecco le cifre quali risultano dai conti annuali:

franchi  uomini
18492,029,000  — 19,185
507,822,000 — 13,777
515,423,000 — 10,198
525,291,000 — 9,858
534,950,000 — 8,784
545,962,000 — 9,358
554,316,000 — 6,910
563,082,000 — 5,423
572,946,000 — 5,600
582,936,000 — 5,628
593,787,000 — 7,404
603,500,000 — 7,000
619,480,000 — 19,000
Totale71,524,000 128,225

�Egli � evidente che queste somme non rappresentano tutta la spesa, poich� non comprendono n� lo speso di vestiario n� quelle di armamento, n� quelle per le munizioni. � noto che la somma totale del bilancio della guerra divisa per ogni soldato d� 1000 franchi, cio� un milione di spesa per ogni mille nomini.

�Secondo questo calcolo generalmente ammesso, invece di 71 milioni e mezzo, l'occupazione di Roma dal 1849 ha costato 128 milioni.

�Bisogna inoltre notare che l'effettivo di questa occupazione � sempre stato mantenuto con crediti straordinarii. Ora, nessuno l'ignora, i crediti straordinarii creano gli sbilanci aumentando il montare del debito ondeggiante.

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�Ma il debito ondeggiante paga un interesse; fa d'uopo quindi aggiungere ai 128 milioni l'interesse relativo per la durata di tredici anni. Quest'interesse non sale a meno di 40 milioni.

�Perci� il peso che l'occupazione di Roma fa gravitare sulle nostre finanze � di 168 milioni; questa somma rappresenta, salvo la differenza di qualche centinajo di mille franchi, la differenza che esiste fra la somma del debito ondeggiante al 1 gennaio 1848 a quella del 1 gennaio 1861.


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CAPO VII

SOMMARIO

I. IL GOVERNO SPAGNUOLO E L'ITALIA — SEGUITO DELL'INCIDENTE RELATIVO AGLI ARCHIVI NAPOLITANI — L'AMBASCIATORE DEL RE D’ITALIA LASCIA MADRID — NOTE DIPLOMATICHE DEL BARON RICASOLI, E DEL SIG. CALDERON COLLANTES — INTERPELLANZE ALLE CORTES SU QUESTA ROTTURA DI RELAZIONI DIPLOMATICHE CON L'ITALIA — DISCORSO DEL SIG. COELLO AVANTI IL SENATO SPAGNUOLO — MALCONTENTO CAGIONATO DA QUESTA ROTTURA NELLA CORTE DELLE TUILLERIES — IL MARESCIALLO PELISSIER NEL PORTO DI VALENZA ABBOCCAMENTO DELL'AMBASCIADORE DI S. M. CATTOLICA A BOMA E DEL CONTE DI TRAPANI — OFFERTA DEI VOLONTARI SPAGNUOLI PER AIUTARE LA REAZIONE A NAPOLI — TRISTANY ARRIVA A ROMA, E RICEVE DA FRANCESCO II IL BREVETTO DI GENERALE — II. SEGUITO DELLA SPEDIZIONE DEL CAPO CARLISTA BORJES SUA CATTURA E MORTE — GIORNALE INTERESSANTE SCRITTO DI SUA MANO, E TROVATOGLI ADDOSSO, DEPOSTO NEGLI ARCHIVI DELL’ESTERO A TORINO — DICHIARAZIONI DI BORJES AL VICECONSOLE FRANCESE RESIDENTE A CHIETI — RAPPORTO DEL MAGGIORE FRANCHINI SULLA CATTURA E MORTE DEL CAPO SPAGNUOLO, E DE' SUOI COMPAGNI — ESTRATTO DELLA GAZZETTA UFFICIALE DEL REGNO A QUESTO SOGGETTO — III. NUOVA COSPIRAZIONE BORBONICA SCOPERTA A NAPOLI — COALIZIONE DEI COCCHIERI — ARRESTO PI PARECCHI CAPI DEL COMITATO REAZIONARIO — ERUZIONE DEL VESUVIO —

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BELLA CONDOTTA DEI SOLDATI ITALIANI E DELLA GUARDIA NAZIONALE, VENUTI IN SOCCORSO DEGLI ABITANTI DI TORRE DEL GRECO — LA LEVA DI 36000 UOMINI ORDINATA DAL GENERALE LAMARMORA S'EFFETTUA SENZA DIFFICOLT�, ANZI CON ENTUSIASMO — I COSCRITTI PARTONO AL GRIDO DI VIVA L'ITALIA!

CAPO VII.

I.

La Spagna, nazione della stessa origine dell’Italia, avrebbe dovuto, secondo la legge di affinit�, rallegrarsi della risurrezione d'un gran popolo della razza latina, ma fu tutto il contrario. Sia per ragioni religioso, o sia per gelosia politica, il governo spagnuolo non lasci� sfuggire alcuna occasione di mostrare la sua mala volont� e di suscitare delle difficolt� al nuovo regno d’Italia. Non solamente la Spagna aveva elevato veementi proteste quando le truppe piemontesi invasero gli Stati del Papa e regno di Napoli, ed aveva richiamato il suo ambasciatore da Torino: ella aveva fatto anche di pi�, aveva tentato di formare una coalizione di potenze cattoliche per fare restituire alla Santa Sede l’integrit� de' suoi stati, ed aveva ostentato di mantenere degli agenti diplomatici appresso tutti i principi italiani spodestati. Ci� non ostante il gabinetto di Torino non aveva creduto di dovere rompere le sue relazioni con quello di Madrid, e il Baron Tecco rappresentava ancora in Ispagna S. M. Vittorio Emanuele, quando un nuovo incidente di cui noi abbiamo gi� intrattenuto i nostri lettori al capo IV di questo volume, rese impossibile ogni relazione fra le due potenze.

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L'affare degli archivi napoletani, come nei di gi� abbiamo detto al punto in cui abbiamo lasciata questa questione, era stato deferito alla mediazione della Francia. In conseguenza il Baron Tecco s'era messo d'accordo col Sig. Calderon Collantes, ministro degli Esteri in Ispagna, e il Sig. Barrot, ambasciatore dell’impero francese, sovr'una formola destinata a porre un fine alla contesa che divideva i due governi. Questa formola era stata accettata dal Baron Ricasoli, presidente del consiglio dei ministri del re f Italia, quando il sig. Collantes dichiar� che la regina come i suoi colleghi la rigettavano. Malgrado la stranezza di questo procedere, il governo italiano, cedendo alle istanze della Francia, consenti a riprendere il negoziato. Fu deciso, che tutto ci� ch'era stato fatto sarebbe considerato come non avvenuto, e si procedette ad un aggiustamento sopra nuove basi. Il baron Ricasoli vi ebbe acconsentito di nuovo; ma il Sig. Collantes avendo di nuovo dichiarato che le sue proposizioni erano state disapprovate dalla regina, e dai colleghi, non restava al governo italiano altro partito che di rompere ogni relazione, e il Baron Tecco ricevette l’ordine di chiedere il passaporto. L'ambasciatore d'Italia abbandon� Madrid il 27 Novembre, accompagnato fino alla vettura da una folla di liberali spagnuoli, e di personaggi chiari in politica. Il Clamor Publico, giornale di Madrid cos� narr� la partenza:

�Il barone Tacco ha ricevuto questa sera (27 novembre lusinghiero commiato da una quantit� di liberali e di partigiani dell’unit� italiana. Indipendentemente dalle notabilit� politiche che gli avevano resa visita durante la giornata, si vide circondato al momento della partenza nella via di Alcal� da una folla di giornalisti madrileni, di funzionarii, di deputati, fra i quali abbiamo osservati i signori Olozaga e Rivera, che gli facevano testimonianza della loro simpatia e del loro desiderio di vederlo presto di ritorno.

�Se il rappresentante di re Vittorio Emanuele avesse differito d’un giorno solo la sua partenza e che se ne fossero saputi precisamente l'ora ed il punto, non evvi dubbio che la di lui uscita da Madrid avrebbe offerto lo spettacolo d’un amichevole e spontanea ovazione.�

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Per dilucidare pi� compitamente questa questione degli archivi napolitani, porremo sotto gli occhi dei nostri lettori le note che il Baron Ricasoli e il Sig. Calderon Collantes indirizzarono iu nome dei loro respettivi governi ai loro rappresentanti diplomatici.

Sig. Ministro

Torino 30 Novembre 1861

Il ministro di S. M. a Madrid ricevette dal governo del Re l'ordine di abbandonare quella Capitale lasciando ad un segretario di legazione la cura di provvedere agli affari correnti.

Io credo dover dare alle legazioni di S. M. qualche spiegazione sul fatto che ha teste modificato lo stato delle nostre relazione colla Spagna.

Voi non ignorate Signor Ministro, che il Console spagnuolo a Lisbona aveva ricevuto l'ordine di ritirare gli Archivi dell’ex consolato Napolitano.

Questa misura diede luogo ad una discussione abbastanza lunga fra i due Governi. Essa era stata presa, a quanto pare, all’insaputa del Presidente del Gabinetto spagnuolo, ed il Sig. Calderon Collantes, ministro degli Affari Esteri di S. M. cattolica si era dato da prima a ridurla a piccolissime proporzioni. Ci� nullameno ci giunse ben tosto a notizia che somiglianti ordini erano stati impartiti ad un numero abbastanza grande dei Consoli ipagBooli. Avendo cos� ottenuta la certezza che non trattava�i pi� di un fatto puramente accidentale, ma di una serie d� misure che annunciavano un sistema ben determinato per parte del ministro di S. M. Cattolica, il governo del Re credette di dover indirizzare al Governo di Madrid le sue osservazioni.

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La Spagna non aveva infatti nessun diritto sugli archivi Napolitani divenuti propriet� del Governo italiano, ed il gabinetto spagnuolo, il quale aveva dichiarato di non voler intervenire in alcun modo negli affari d'Italia, prestava con quest'atto un appoggio diretto alle pretenzioni dell’ex Re di Napoli. Essa prendeva per tal modo in realt� una posizione del tutto diversa dalle sue dichiarazioni. Essa conferiva i diritti di potenza belligerante ad un pretendente caduto dal suo Trono in seguito ad una rivoluzione, sortito dal suo antico territorio in forza d’una capitolazione regolare, esso impediva al governo del Re Vittorio Emanuele di esercitare una porzione dei dritti e di adempiero una porzione degli obblighi a lui deferiti dalla volont� delle popolazioni Italiane,

In seguito ai savii consigli del Governo Francese che interpose amichevolmente i suoi buoni ufficii, il governo Spagnuolo dichiar� ch'esso era pronto a rimettere alle autorit� locali i documenti concernenti gli interessi particolari dei sudditi Italiani. Ma soggiunse che quanto ai documenti di ordine pubblico, esso non credeva potersene spodestare.

Dopo la discussione profonda che si era fatta sulla quistione di diritto, questa distinzione non era ammissibile. Al punto in cui si trovavano le trattative, non si avrebbe potuto accettare la restituzione di una parte dei documenti, senza riconoscere nello stesso tempo alla Spagna il diritto di ritenere l'altra parte. La questione di diritto, quella che era divenuta pi� importante, sarebbe stata dunque risoluta implicitamente in una forma sfavorevole al Governo del Re.

Vi fu un momento in cui il Gabinetto di Madrid parve riconoscere esso medesimo la giustezza di questa ragione. Dal suo canto il Governo del Re riconoscendo gli sforzi che la Francia non cessava di fare per finire amichevolmente questo conflitto, credette di doversi mostrare altrettanto conciliante nella forma quanto avea dovuto mantenersi fermo sul fondo della quistione.

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Fu in allora che il Sig. Calderon Collantes propose di rimettere alle autorit� locali tutti i documenti contenuti negli archivi, dichiarando che il governo spagnuolo erasi persuaso che quelle carte non avevano tratto Che ad interessi particolari.

Insistendo per una restituzione diretta, il Governo del Re avrebbe potuto apparire come quegli che domandava un atto implicito di ricognizione per parte della Spagna. Questo pensiero era lontano da noi, giacch� i ministri di S. Al. hanno troppo profondo sentimento della dignit� del Paese per non essere convinti che l'Italia non vorrebbe punto una ricognizione ottenuta col mezzo di tali espedienti. Io accordava adunque la mia adesione alla soluzione proposta, raccomandando solidamente al Ministro del Re a Madrid d’inserire nella sua risposta qualche riserva destinata a prevenire qualunque erronea interpretazione.

Questa proposta di sua Eccellenza il ministro degli affari di sua M. C. con mio grande stupore non venne approvata da suoi colleghi, e si fece domanda al Sig. Barone Tecco perch� ritirasse le due Note ove era stata svolta la questione di diritto. Evidentemente era impossibile accogliete questa domanda senza apporvi una condizione che desse alla transazione un carattere di perfetta reciprocit�. Io quindi non accettava la soluzione proposta fuorch� nel caso che il Governo Spagnuolo rinunciasse da parte sua d'indicare negli ordini da darsi ai suoi Consoli che gli archivi non contenevano documenti politici. Essendosi rifiutato il governo spagnuolo di ammettere quest'ultimo mezzo di conciliazione, io dovetti sottoporre al Re l'ordine di richiamo del suo Ministro di Madrid.

Questo spiegazioni, signor Ministro, vi metteranno in grado di dare al governo di... tutti quegli schiarimenti che potesse desiderare in proposito. Coglierete inoltre quest'occasione per far osservare l’attitudine che fino a quest'ultimi tempi serb� il governo del Re verso la Spagna.

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Quando nel mese di Novembre 1860, il governo di sua Maest� cattolica richiam� il proprio Ministro da Torino, il governo del Re per dar prova del grande interesse che attaccava alla continuazione de' suoi buoni rapporti colla corte di Madrid, non volle seguire l'esempio che gli venne dato, e prefer� d’allontanarsi dalle usanze d’ordine piuttosto che interpretare in senso ostile la risoluzione del governo spagnuolo. Dopo quest'epoca, per quanto fosse vivo il nostro desiderio di vedere il governo di S. M. cattolica ristabilire completamente i suoi rapporti con noi, pure come ho avuto l’onoro di dirvelo, non abbiamo mai sollecitato da parte del governa spagnuolo un atto di riconoscimento, che naturalmente si avrebbe dovuto attendere in vista dell’analogia dei fatti succeduti, in Italia con quelli che rassodarono la monarchia costituzionale in Spagna. Di pi� ci siamo astenuti con ogni riguardo dal far risalire fino al Governo Spagnuolo la responsabilit� degli incoraggiamenti che ricevevano i disperati tentativi contro l'ordine delle cose stabilito in Italia da parte di qualche suddito di S. M. cattolica e serbammo lo stesso silenzio anche sugli insulti che parte della stampa spagnuola giornalmente prodigava al Governo ed alla persona stessa di S. M. il nostro augusto Signore.

Richiamando quindi il nostro ministro da Madrid non abbiamo ceduto ne ad un compulso di dispetto, n� ad un sentimento di eccessiva suscettibilit�. Questa determinazione ci fu imposta dal dovere di tutelare la dignit� Nazionale che non potrebbe permettere, senza protestarvi contro, che la corte di Madrid continui ad offendere i diritti e ledere gli interessi d’un popolo legato alla Spagna da secolare amicizia.

Aggradite ec.

Firmato RICASOLI

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Madrid 6 dicembre

�La sospensione delle relazioni diplomatiche tra il governo della regina e il gabinetto di Torino � ora un fatto compiuto. La causa di questo increscevole avvenimento � la quistione degli archivi napoletani. La moderazione usata dal governo della regina a ci� rivolto in tutti i negoziati non valse a troncare le difficolt� a soddisfazione delle due nazioni. Il rappresentante della Sardegna a questa Corte ha domandato i suoi passaporti, e il governo della regina � stato costretto adempiere tale domanda. Mi tengo pertanto in debito di dare alcuni schiarimenti per vostra guida e perch� il governo, presso cui risiedete, possa formare un giusto concetto dell’origine e delle vicissitudini di quo sta disputa degli archivi napoletani. L'azione franca e onorevole tenuta dal governo della regina tra gli avvenimenti della Penisola italiana in tempi recenti � ben conosciuta. Conservando stretta e integra neutralit�, egli addit� chiaramente i suoi propositi e gl'intendimenti a loro riguardo. Il governo di una nazione cattolica il cui principe � ora capo della famiglia dei Borboni, o a cui per virt� di trattati son riservati solenni diritti sul regno delle Due Sicilie, non poteva indifferentemente vedere che toglievate al Santo Padre i suoi Stati e insieme cacciavansi da' loro troni i principi della famiglia dei Borboni in Italia. Quando i casi del regno delle Due Sicilie costrinsero la famiglia reale a racchiudersi nella fortezza di Gaeta, e quando questa fortezza era per arrendersi, alcuni agenti consolari di S. M. Francesco II pregarono gli agenti di S. M. Cattolica nelle loro diverse dimore di prender in custodia gli archivi consolari, infino a tanto che la condizione delle Due Sicilie fosse confermata dall’Europa. Il governo di Sua Maest� cattolica, interrogato da' suoi agenti, diede agevolmente loro facolt� di ricevere il deposito che volevasi nelle loro mani affidare. Nel fare questa deliberazione, il governo della regina consider� quello ch'erasi innanzi fatto in congiunture simili e quello che il diritto e l'uso ban sancito, quando le relazioni trovansi sospese tra governi e quando la sospensione � seguita da guerra

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e i rappresentanti son costretti lasciare i loro luoghi e raccomandano ai rappresentanti d'uno Stato amico e neutrale la protezione dei soggetti del loro paese, confidando alla loro cura gli archivi delle loro legazioni. Sapeva il governo della regina le difficolt� che un governo di fatto qualsiasi incontra nel voler possedere gli archivi d’una legazione o consolato contro i desiderii del depositario, perch� questi, rimanendo fedele al governo da cui procede, trova sempre modo di nasconderli. Inoltre il rifiuto di ricevere tal deposito sarebbe atto disdicevole ne utile al governo a cui beneficio vuol farsi. Il governo della regina tien per certo che ogni altro Stato europeo in caso simile non avrebbe operato altrimenti. Per queste ragioni il governo della regina si attenne al partito accennato, riserbandosi di rimettere a suo tempo gli archivi a quella parte, che avrebbe avuto il diritto di averli. Gli archivi del consolato generale di Napoli essendo stati deposti alla legazione spagnuola di Lisbona prima che il governo portoghese avesse riconosciuto il regno l'Italia, e per� prima d’aver tolto l'exequatur all’agente delle Due Sicilie, il governo del re di Sardegna ne domand� spiegazione. Il governo della regina si diede premura di darla; pure la legazione sarda in Madrid continu� a demandare gli archivi dei consolati napoletani come propriet� del nuovo regno d’Italia.

�Il governo della regina, che non aveva riconosciuto il fatto, sul quale posava la domanda, non ne vide la ragione, e per� la neg�. Questo trasse a lunga discussione; il governo della regina si mostr� sempre mosso da spirito di conciliazione; ma questa non � stata in ogni tempo imitata dalla legazione di Sardegna. In due sue note, manifest� essa alcuna sua opinione intorno alla base politica sulla quale, a parer suo, la monarchia spagnuola � eretta, e il timore non qualche influsso fatale abbia a rompere il desidcrevolc accordo fra diversi principii. Ma sebbene si adoperassero in pi� conferenze parole poco convenevoli, o che tali apparivano, pure ed esse e le note rimasero senza risposta; io per� mostrai al baron Tocco che quelle parole non erano degne di lui per l’interpretazione che potevasi loro attribuire.

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Ma anche dopo la manifestazione da mia parte, le note sarebbero state rimandate, se il governo della regina non avesse deliberato seguire la pi� grande moderazione e so non avesse sperato ch'esse sarebbero state tolte via dopo il componimento della disputa. Intanto l'incaricato d’affari francese, secondo ordini del suo governo, m'inform�, in modo confidenziale e amichevole, che il cavalier Nigra ministro del re Vittorio Emanuele presso l’imperatore dei Francesi, aveva domandato al signor Thouvenel d’interporsi, non ufficialmente, onde il governo della regina desse i documenti d'interesse a persone private che erano negli archivi de' consolati Napoletani a Marsiglia ed Algeri. I primi non furono depositati nelle mani del Console spagnuolo a Marsiglia; quanto a' secondi, il governo della regina cred� non poter soddisfar la domanda senza il consenso del re Francesco II. Informato del fatto, S. M. il re diede al governo della regina potere d’agire come credeva meglio, e il governo della regina convenne di rimettere quei documenti che eran d’interesse a persone private. Credeva che cosi facendo, senza violare i principii e cambiare il partito preso, adempieva i desiderii del governo imperiale di Francia, con cui ha relazioni strettissime, e insieme le pretese del governo di Vittorio Emanuele. Fatta questa deliberazione, che parve contentare tutte le parti, il baron Tocco disse, le istruzioni ricevute dal suo governo essere precise e che la consegna pura e semplice degli archivi non era bastevole. Quest'inattesa contradizione tra la domanda del governo imperiale per desiderio del cav. Nigra, e quella mossa dal baron Tecco per ordini del suo governo, fece nascere nuove conferenze e negoziati. Si fu un tempo sul punto di romperli in conseguenza d’una delle note soprammenzionate, e il ministro era gi� per aver il passaporto domandato quando nuovi schiarimenti e il desiderio di conciliazione, che mai non ha abbandonato il governo della regina, indusse le due parti a considerare alcuno spediente di mutuo contentamento.

�Lo spediente era che avendo il governo della regina certificato non esservi documenti politici negli archivi, gli altri fossero consegnati dopo che il baron Tecco avesse presentato una nota, in cui lasciata ogni discussione di principii, la soluzione derivasse da ragioni di convenevolezza e di uso.

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Fu fatta anche condizione indispensabile che il rappresentante del re Vittorio Emanuele ritirasse le due note, per le quali aveva dato alla discussione indole sconvenevole e strana. Questo partito fu presentato al gabinetto di Torino, ed in risposta si propose che il governo della regina ritirasse tutte le sue note per ragione di reciprocit�, la quale per� non era ragionevole n� applicabile alla questione. Non pot� il governo della regina accogliere quella proposta.

�Le due note, che erano risposte allo prime note del barone Tecco, avevano formato la base di negoziati diplomatici e non contenevan che giuste idee e osservazioni espresse con parole decorose; n� si potevano ritirarle mettendo le cose a petto della terza e quarta nota del baron Tecco, nelle quali egli aveva trapassato i termini assegnati al linguaggio diplomatico. Nondimeno il governo della regina mantenne la sua prima proposta. Le dette note dovevan essere ritirate, o la questione posta sotto nuova forma in altra nota: se questo non fosse fatto, ogni soluzione sarebbe stata impossibile. Il gabinetto di Torino non accolse la proposizione e il baron Tecco domand� i passaporti in modo cortese. Il governo della regina ebbe a soddisfare si fatta domanda. I negoziati che riuscivano quest'esito erano stati lunghi e difficili.

La stampa prese naturalmente a mano il subbietto, e ciascuno, dando al caso quell'indole e quella gravit� che i proprii principii politici suggerivangli, ne fece una quistione di partito. Si annunci� pur anco che manifestazioni popolari sarebbero seguite a favore del governo di Torino, quando il suo rappresentante fosse da questa citt� partito.

�Il governo della regina, che confida nella lealt� di tutti gli abitanti della capitale, non temeva di ci�; ma era certo che si era tentato d’usare una forza indecorosa sull’azione del governo. Il ritiro del baron Tecco era divenuto necessario a lui e al governo della regina. Senza desiderarlo o sollecitarlo, il governo non poteva far maggiori concessioni che quelle le quali, senza violare i principii, aveva gi� accettato per evitare rottura.

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Questa essendo ormai avvenuta, il governo della regina lascia ora ai governi alleati ed amici il giudicare gli eventi. Fin dal principio che sorse la questiono si manifest� il desiderio di darle un'importanza pi� assai grande che non aveva. Chi pu� dire da chi partissero voci intorno a parole insignificanti, e tutte di niun conto, ed incidenti leggeri, con una gravita estranea alla vera indole della cosa? La questione potevasi maneggiare con la dovuta riserva, e prima che si scrivesser note, potevasi discutere a voce, e forse sarebbesi sciolta meglio che non lo � stata. Ma lasciando queste considerazioni, il governo della regina nella condotta seguita ha avuto due cose in vista: mantenere inviolati i principii che professa, tenendosi entro i termini a se assegnati; non danneggiare persone, i cui interessi potevano aver relazione ai documenti deposti negli archivi.

Questi due fini si conseguivano con la proposta fatta e abbandonando la discussione di principii, suscitata dalle note del baron Tecco. Ma quando questo partito non fu accettato, e quando il gabinetto di Torino cred� la cosa esser tanto grave da romper le relazioni, il governo della regina, senza alcuna riserva, dichiar� che questo fatto non cambiava punto la sua politica rispetto alle gravi quistioni che si agitano in Italia, n� la sua intenzione di conservare verso il governo di Torino la sua alta considerazione, quanto il consentono le condizioni diverse, in cui i due governi son posti. Coglierete la prima opportunit� per far conoscere questi schiarimenti al governo del Sovrano, presso cui siete accreditato, leggendo, se bisogner� questo dispaccio al ministro degli affari esteri. Iddio vi guardi per molti anni.

CALDERON COLLANTES.

Delle interpellanze da parte del partito progressista furono dirette avanti le cortes al ministero spagnuolo, il quale dichiar� di riportarsi alla nota del Sig. Calderon Collantes. Fu il Sig. Cosilo antico ambasciatore di Spagna a Torino che assunse il carico di difendere la politica del ministero spagnuolo in un discorso che egli pronunci� innanzi al Senato, e che rileva molto di conoscere, onde ne porgiamo il sunto.

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�Io credo, disse il signor Coello, che l'aspirazione degli Italiani alla loro libert� ed indipendenza contribuisca alla libert� dell’Europa. Sopprimete gli allori di Magenta e di Solferino ed i nuovi splendori della tribuna francese sono impossibili. Per� la libert� e l’indipendenza dell’Italia non significano l'invasione degli Stati pontificii, n� la usurpazione d’uno Stato indipendente.

La condotta della Spagna fu simpatica in principio al movimento italiano; per� quando le truppe del Piemonte invasero gli Stati della Chiesa e quelli d’un principe che dato aveva (?) una Costituzione al suo popolo, la Spagna protest� e ritir� il suo ministro da Torino. Tale condotta parve si naturale al governo di Vittorio Emanuele, che mantenne il suo rappresentante in Ispagna. Il Parlamento italiano dichiar� Vittorio Emanuele Re d'Italia. La Spagna non riconobbe questo titolo e mesi dopo invit� lo potenze cattoliche a riunirsi per usare la loro azione morale onde restituire al Papa i suoi Stati e salvare il Papato. Il Piemonte mantenne qui il suo rappresentante. Ora perch� lo ritir�, considerando la Spagna in modo diverso delle altre potenze?

�La Russia favor� nei primi tempi la causa del Piemonte contro l’Austria, ma visto che, invece di una quistione d’indipendenza si faceva una quistione d'ambizione (?) ritir� la sua legazione da Torino; ma con tutto questo la Sardegna cerca di rannodare le sue relazioni colla Russia. La Prussia, nazione protestante poteva forse avere in mira di debilitare sempre pi� l'Austria. Eppure protesta contro le invasioni dell’Italia meridionale, e sebbene lasci a Torino il suo rappresentante, ci� � soltanto presso il re di Sardegna. Protesta di nuovo in unione all’Inghilterra, contro la possibile invasione del Veneto (?), ed alla sua incoronazione il re Guglielmo riceve coll’inviato di Vittorio Emanuele anche quello di Francesco II. La Francia continua a rimanere colle sue truppa a Roma, e l'Italia lo soffre. Perch� fare una differenza con noi? Forse per rafforzare un poco il vacillante ministero italiano, conveniva fare mostra d’energia?

384

�Parlando dell’Italia, non mi giover�, soggiunse l'oratore, dell’autorit� di Balbo o di Gioberti, n� dell’opinione di Guizot liberale, o di Lamartine Repubblicano, o di Prudhon socialista; opinione opposta all’unit� d’Italia. Tratter� la quistione della Confederazione italiana coll’autorit� di Azeglio, di Rattazzi e dello illustre conte di Cavour.

�D’Azeglio, confrontando l'Italia del nord tranquilla e prospera collo stato inquieto dell’Italia meridionale, disse che quella conquista � una causa non di forza, ma di debolezza per l'Italia (!)

�Rattazzi che fu ministro, disse che l'Italia prima di attaccare gli Stati del papa � di Napoli avrebbe dovuto andare a Venezia (!).

�Cavour viveva, dopo la pace di Villafranca, ritirato nella sua campagna, dove fui a trovarlo con un letterato spagnuolo. Io difendeva la mia opinione, che l'unit� d'Italia non si conseguirebbe o sarebbe effimera. Il conte di Cavour sciolse la quistione mettendo sulla tavola la carta dell’Italia. Ei vedeva da un lato la Lombardia, il Veneto, il Piemonte, con tutta l'Italia del Nord cogli elementi per formare un grande stato; ed al Sud la parte separata dagli Appennini; che doveva essere un Regno indipendente, alleato sincero dell’Italia del Nord, creando una confederazione, alla cui testa si trovasse il trono pontificio. Il conte Cavour vedeva quello che vediamo oggi tutti: che l'Italia con 100,000 (!) uomini a Napoli � meno forte che dopo Magenta e Solferino (!), e che so la quistione di Roma potesse risolversi un momento contro gl'interessi del cattolicismo, questa soluzione non durerebbe pi� che Napoleone in Francia.�

Qui il signor Coello dipinge Pio IX profugo di nazione in nazione, che va suscitando i popoli contro l'Italia, fino che questi risolverebbero la questione contro l'indipendenza e la libert� dell’Italia, e soggiunge: �Quale politica spagnuola � quella che vi si raccomanda e che si dimentica che il giorno in cui l'Italia formasse una nazione di 25 milioni dovremmo lasciare che l'Italia e la Francia dominassero nel Mediterraneo?�

IL CONTE DI TRAPANI

385

Conchiude dicendo, che a se l'unit� dell’Italia non � possibile senza Roma, nemmeno la Confederazione � possibile senza che l'Austria esca dal Veneto.� Il momento della soluzione e della crisi, soggiunge, si avvicina ed � necessario che il governo vi si prepari.

Questo discorso che conteneva delle affermazioni e citazioni contrarie all’unit� italiana produsse nella stampa una certa emozione, soprattutto a causa del nome del conte di Cavour invocato per combattere l'idea d’unificazione della Penisola.

Dall’insieme delle risposte che furono indirizzate a questo discorso riassumiamo lo seguenti osservazioni:

Tutta la quistione � di sapere in qual tempo il sig. di Cavour avea espressa l'opinione, non gi� che l’indipendenza italiana non sia effettuabile che mediante una confederazione, ma bens� che la confederazione sia la sola forma d’indipendenza italiana cui l'Europa avrebbe consentito a sanzionare nel momento in cui parlava il Sig. di Cavour.

Il criterio principale della politica di quelr uomo di Stato fu il possibile. Egli odiava tutto quanto, da vicino o da lontano, avesse l’aria di utopia. Ma nessuno fu pi� abile di lui nell'estendere i limiti del possibile, approfittando di circostanze che agli occhi di molti sembravano necessitare, al contrario, una maggiore rassegnazione.

Il signor di Cavour non ha mai fatto un segreto che, nella sua mente, l'attuazione completa del programma di Napoleone III: ' Italia libera dalle Alpi all’Adriatico, avrebbe reso possibile una confederazione nella penisola. Se l'Austria infatti fosse stata intieramente espulsa dal suo suolo, l'Italia avrebbe potuto contentarsi di una confederazione de' suoi principi ed anche non opporsi al ristabilimento degli arciduchi nei ducati (l). Ma conservando quella potenza la Venezia, non era pi� permesso all’Italia di tollerare il ritorno dei vassalli di Absburgo; essa dovea sbarazzarsi egualmente del pi� potente alleato del suo mortal nemico; bisognava porre un termine al dominio dei Borboni nel mezzogiorno della Penisola.

386

Il signor di Cavour, con quel felice colpo d’occhio che gli fu proprio, riconobbe all’istante quella, trasformazione completa della situazione operata dalla pace di Villafranca e ag� in conformit�.

L'asserzione del sig. Coello non aveva dunque nessun valore, e la Spagna far� ci� che fecero l'Inghilterra e la Francia. Quello due potenze riconobbero che la Confederazione era divenuta impossibile per causa di avvenimenti irrevocabili, e la Spagna finir� coll’ammettere quella verit� come le due potenze occidentali.

Questa rottura di relazioni fra l'Italia e la Spagna fu dispiacevole al gabinetto delle Tuiler�es, la cui mediazione fra i due governi era riuscita impotente. Ne risult� per un certo tempo fra i rapporti delle due corti, francese e spagnuola, della rigidezza, che si manifest� per mezzo d’un incidente assai originale, onde sia citato da noi.

Il maresciallo l'ellisi�r, venendo da Algeri, tocc� Valenza di Spagna, ove scese colla moglie e i suoi aiutanti di Campo.

Il Cristoforo Colombo al suo entrare in porto salut� la bandiera spagnuola con venl'un colpi di cannone, ai quali dalla parte degli spagnuoli nessuno rispose, perch� in quel porto, affatto mercantile, non v'erano legni da guerra.

Il maresciallo Pellisi�r, scendendo a terra, interpell� con burbere parole l'ufficiale dei carabinieri che era accorso a complimentarlo.

Recandosi poscia alla stazione della ferrovia, ove lo attendevano i parenti di sua moglie (marchese di Paniega), fu udito ripetere pi� volte ad alta voce:

Che razza di paese di selvaggi � questo in cui s'insultano s� gravemente la bandiera di Francia e la dignit� de' suoi pi� alti funzionarii.

All’albergo di Grao trov� il console di Francia, che si scusava d’esser venuto tardi, ed egli minacci� che lo avrebbe fatto destituire giunto appena a Parigi.

In questo mentre giunge il generale Orozco, capitan generale di Valenza. Portava abiti cittadini, senz'altro distintivo dal suo grado che una fascia rossa.

TRISTANI

Capo di Bande Borboniche

387

s'avanz� verso il maresciallo dandogli il benvenuto; ma il duca di Malakoff, senza corrispondere al saluto, chiese alle persone che lo attorniavano:

Chi � costui?

Gli furono significati nome e grado.

Capitan generale costui! replic� il maresciallo, non riconosco questo grado in chi si presenta vestito in modo cos� negletto; del resto non mancava pi� che questa inconvenienza all’offesa fatta alla bandiera francese, cui non venne ancora reso il saluto.�

Il generale rispose che i regolamenti del paese lo autorizzavano a vestire cos�; poi, senza salutare, si ritir� dicendo: — Non ostante la strana condotta di questo signore, che gli si dia tutto ci� che domander�.

Due ore dopo, il Cristoforo Colombo partiva per Marsiglia e quattro pezzi di cannone, trasportati in tutta fretta sulla spiaggia, salutavano con 21 colpi la bandiera francese.

Si aggiunge ora che il governo spagnuolo chiese al gabinetto delle Tuiler�es d’invitare il maresciallo Pelissi�r a fornire spiegazioni sul motivo della sua collera.

Il generale Orozco fu biasimato per avere mostrata una calma che somigliava assai a debolezza.

Queste spiegazioni furono esse domandate al Maresciallo? Noi ne dubitiamo, perch� il governo francese aveva appreso con suo nuovo dispiacere, che mentre esso faceva tutti gli sforzi per impegnare l'ex re di Napoli a partirsi da Roma, l'ambasciatore di Spagna aveva avuto il 17 Ottobre una lunga conferenza con il conte di Trapani, nella quale s'invitava a nome di sua Maest� cattolica l'ex re Francesco II a non cedere all’istanze della Francia, ed a persistere nei suoi tentativi di restaurazione, offrendogli la Spagna il suo aiuto per mezzo di volontari.

Infatti, il 20 Decembre l’ex capo Carlista Tristany giungeva a Roma, riceveva dall’Ex-re il brevetto di generale insieme col denaro necessario per riattivare la reazione che aveva sofferto in quel tempo un'amara disfatta, con la fucilazione di Borjes, altro Carlista spagnuolo, e della sua banda.

388

II.

Abbiamo lasciato Borj�s e i suoi compagni dopo il loro sbarco nella Calabria errante alla ventura, e terminando coll’unirsi alla banda dell’ex galeotto Mittica. Leggiamo il racconto della trista epopea del capo carlista sul giornale che scriveva egli stesso, trovatogli nelle vesti dopo il suo supplizio.

Se questo documento riesce lungo, almeno sar� istruttivo, e ci dispenser� quind'innanzi di trattenerci sui fatti di reazione e di brigantaggio nelle provincie napolitane appresso le rivelazioni tanto positive d'impotenza, fatte di pugno dello stesso capo della banda Borj�s.

GIORNALE DI BORJES

(Calabria)

22 Settembre 1861

Caracciolo 1 spinto in parte dalla stanchezza, in parte dalle istanze di un tal Maura, mi fece sapere a duo ore dopo mezzo giorno che egli erasi deciso a ritornarsene a Roma.

___________________________________________

1 Questo Caracciolo, officiale napoletano, si mise allora in marcia, solo, per andare a Napoli. Fu arrestato per via dalla Guardia Nazionale. Confess� e dichiar� con una lettera resa di pubblica ragione, che erasi arruolato con Borj�s, sperando trovare in Calabria un'armata realista, ma che non rinvenendovi che una banda di briganti, avea per disgusto lasciato il capitano spagnolo. Rispetto a Mittica, di cui il Giornale non fa pi� parola, fu ucciso con tutti i suoi uomini da' liberati di Calabria e dai soldati italiani.

BORGES

Capo di Bande Borboniche


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Gli feci molte obbiezioni per ritenerlo, ma inutilmente. Copi� l'itinerario, e, verso sei ore della sera, mi chiese 200 franchi, e se ne and� con colui che deve aver contribuito alla sua partenza.

Nota — Le montagne della Nocella e di Serrastretta sono assai coltivate: tuttavia l'ultima � sguernita a mezzogiorno; folta di pini al settentrione, e di castagni a ponente.

23 settembre

Dalla montagna di Serrastretta ho marciato verso quella di Nino, ma cammin facendo mi fermai ad una cascina di Garropoli, ove feci uccidere un montone che mangiammo. Lo genti della cascina furono cattive con noi, e per conseguenza misero le truppe nemiche sulle nostre tracce. Esse rovistarono i boschi cercandoci; fortunatamente lasciarono un angolo di terra, ove come per miracolo ci trovavamo. A quattro ore della sera batterono in ritirata con nostra grande sodisfazione; e noi non appena avemmo mangiato alcune patate arrostite su carboni, ci mettemmo in marcia (a sei ore) per seguire la direzione delle montagne.

Nota — Le montagne di Nino e di Garropoli sono assai coltivate, ma hanno poco bosco. Vi � molta selvaggina, e in particolare delle pernici rosse: vi abbonda anche il bestiame.

24 settembre

Dalla montagna di Nino mi diressi verso la valle dell’Asino, che in questi tempi ho trovata piena di capanne abitate da moltissima gente: gli abitanti vi raccolgono delle patate e vi nutriscono i loro armenti. Questa pianura da levante a ponente ha una lunghezza di un'ora e un quarto di cammino, e una larghezza di un'ora. In fondo, e a levante, scorre un ruscello, il corso del quale parto da settentrione a mezzogiorno.

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Sulla sua riva sinistra si presenta una salita assai aspra, ma dopo una mezz'ora di cammino la via si allarga, la scesa diviene insensibile, tanto � agevole. Quand'ebbi raggiunto l’altura, la Provvidenza volle che io udissi un sonaglio: feci alto, e ben sicuro che alla nostra diritta eravi una cascina, lasciai la strada, e allettato dalla fame, mi ci indirizzai felicemente: dico felicemente, perch� in quell'istante giunsero 120 Garibaldini, che si posero in una imboscata per prenderci, allorquando fossimo giunti alla sfilata che noi dovevamo traversare e che lasciammo cos'i sulla nostra sinistra. Giungemmo alla cascina e fummo benissimo ricevuti: furono uccisi due montoni: ne mangiammo uno: portammo con noi il secondo per mangiarlo all’indomani. Indi ci sdraiammo, e alla punta del giorno ci riponemmo in marcia, accompagnati da un pastore per recarci ad Espinarvo, o, come si chiama in paese, al Carillone ove fummo alle sette del mattino.

28 settembre

Giunto sulla montagna di Espinarvo feci alto affinch� i miei officiali si riposassero tutta la giornata. Al nostro arrivo incontrammo un contadino di Taverna, che se ne partiva con due muli carichi di legname da costruzione. Dopo averlo lungamente interrogato, gli detti dei denari perch� ci portasse delle provvigioni per l'indomani L'attendemmo invano. Invece del pane e del vino, che gli avevo pagato a caro prezzo ci invi� una colonna di Piemontesi, che ci costrinsero a partire in gran fretta: ma siccome essa non pot� vederci, nulla ci avvenne, se non teniam conto della fatica di cui questo contrattempo ci fu causa. Marciammo dunque, perch� essi perdessero le nostre tracce: a otto ore � mezzo di sera ci conducemmo ad una cascina della montagna di Pellatrea, che lasciammo alle undici, conducendo con noi uno de' pastori, e ci recammo a riposarci a poca distanza della medesima.

391

Nota — Esp�narvo � una montagna frammista di ricche pasture e per conseguenza abitata da molti bovi e da altro bestiame. Nella pianura sorgono pini ed abeti, e la chiamano Carillone: essa � cinta da un bosco assai folto e assai tristo: il terreno � ottimo e ferace: que' boschi sono, � vero, assai freddi, e in questa stagione la brinata si fa sentire assai duramente: ma se gli alberi fossero in parte atterrati, e le terre coltivate, � certo che la temperatura sarebbe pi� dolce, dacch� gli alberi vi sono cos� fitti che il sole non vi penetra giammai; e questa � la causa naturale del freddo che vi si trova.

26 settembre.

Alla punta del giorno mi sono posto in marcia, e dopo aver traversato la montagna, sono entrato al Fonte della Valle: questa specie di piccola pianura che di levante va a ponente o che avr� all’incirca sei ore di lunghezza sopra dieci minuti di larghezza, abbonda di armenti, e di gente armata. Ma nessuno ci rec� fastidio. Pure quando la lasciammo per raggiungere il monte Culle Deserto, cinque uomini armati vennero a noi e ci chiesero chi fossimo. Ma siccome gli rispondemmo amichevolmente, ci lasciarono in pace. Frattanto giungemmo alla montagna nel luogo in cui essa offre il suo fianco diritto, e allorch� fummo al vertice scuoprimmo la valle di Rovale. Scendemmo tranquillamente per traversarla, e la traversammo. Ma allorch� ci preparavamo a salire un altro monte, il nome del quale era ignoto alla guida, scorgemmo una casetta a trecento passi da noi e una sentinella che camminava dinanzi a quella e che non avvert� la nostra presenza.

Vedendo alcuni contadini che preparavano del lino, chiesi loro che significasse quella sentinella, ed essi mi risposero: �� la sentinella di un distaccamento Piemontese. — � egli numeroso? chiesi — 200 uomini, ma rassicuratevi, stamani hanno salito il monte, verso il quale vi indirizzate.

392

�Questi schiarimenti mi costrinsero ad una contromarcia di quattr'ore, credendo poter lasciare i nemici dietro di noi, e ho potuto farlo, ma essendo in vista della piazza di Nido, seppi che eranvi cinquanta custodi armati da Guardie nazionali; per il che rimanemmo nel bosco fino al cader del giorno. Allora, scendemmo, prendemmo una guida, e andammo a dormire sul monte Corvo, dove arrivammo verso mezza notte.

Nota — La montagna di Pelletrea, da noi lasciata la mattina del 26, � fertile e assai ben coltivata: produce patate legumi, fichi ed altri fruiti eccellenti. I ricchi di Cotrone vi inviano i loro armenti a pascervi. Noi mangiammo un montone alla cascina del capitano della Guardia Nazionale di quella citt�, chiamato Don Chirico Villangiere, Se potesse arrestarci, ci farebbe pagar ben cara la nostra audacia: pure abbiam dato quaranta franchi al pastore, e parmi che fosse ben contento di questo inaspettato guadagno. Ponte della Valle � una pianura in parte descritta nell'itinerario del 25 Settembre: ma molto mi resta a dire. Questa valle � traversata in tutta la sua lunghezza da un fiume che la bagna anche troppo. Quelle acque mancando di un canale alquanto profondo per scorrere, rendono quel luogo paludoso; se vi fossero condotti per disseccarlo, diverrebe il pi� bel giardino del mondo. Malgrado ci�, produce una gran quantit� di lino, ed � una abbondante pastura. Gli armenti che vi si vedono sono innumerevoli. Le capanne di coloro che preparano il lino sono fittissime, di guisa che si scorge moltissima gente che va e viene. La montagna di Colle deserto ha molto bosco; malgrado ci�, la parte meridionale di essa sarebbe suscettibile di produrre buon vino, se vi fosser piantate delle viti. La valle di Rovale, piccolissima, riunisce le stesse condizioni della precedente, con questo di pi�, che mi sembra pi� sana ed � meno umida. La valle di Nieto, che avr� forse una quindicina di leghe di circonferenza, � oltre ogni dire sorprendente. Giardini, pasture, ruscelli, casette, palazzi con ponti levatoi, e a piccole distanze, boschetti, rendono questo luogo di soggiorno di estate il pi� incantevole che io abbia mai veduto.

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Non parlo delle donne che tanno attorno con panieri pieni di formaggi, di frutta o di latte; degli uomini che lavorano o zappano; de' pastori che appoggiati al tronco de' salici, cantano o suonano il flauto o la zampogna. In breve � un'Arcadia, ove le pietre, se volassero, si fermerebbero per vedere ascoltare e ammirare. La montagna di Corvo ha molto bosco, e non offre d’interessante che i bei pini che cuoprono i suoi fianchi e coronano la sua cima. Pure la parte meridionale ben coltivata, compenserebbe largamente le fatiche di chi prendesse a lavorarla.

27 settembre

Mi son posto in cammino per recarmi alla montagna di Gallopane, e verso le 9 del mattino ci siamo giunti: abbiam mangiato un pezzo di pane e delle cipolle, che andammo a cercare ad una casa situata all’orlo del bosco, dove incontrammo una Guardia nazionale, che non riconoscemmo per tale. Questa circostanza nota a noi pi� tardi mi decise a raggiungere la cima dove arrivai verso mezzogiorno. L� feci alto co' miei uomini, che estenuati dalla fame e dalla fatica non ne potevano pi�. Dopo un quarto d’ora di riposo, vedemmo un giovanetto di venti anni snello di corpo, che mi parve assai sospetto; quest'idea mi fece prender il partito di cercare una strada, che conducesse a rovescio della montagna. Dopo dugento passi il capitano Rovella, che ci precedeva in qualit� di esploratore, mi fece segno di arrestarci, e mi disse che vedeva 15 Guardie nazionali, che venivano incontro a noi. A questa notizia m'imboscai: ma quando furono a un tiro di fucile da noi, ci videro e si fermarono. Li aspettammo una mezz'ora; e vedendo che non si muovevano temei qualche accordo, e mi decisi subito a cambiar direzione. Seguii dunque, senza guida e per il bosco, la parte settentrionale, come punto del nostro viaggio per quella sera. Verso le cinque io era estenuato dalla fatica e affranto dalla fame, o mi trovai sopra una piccola montagna chiamata Castagna di Macchia.

394

Pieno di angoscia e di perplessit� non sapevo pi� dove andare, ne che fare; ma siccome la Provvidenza veglia sempre sui propri figli, essa ci fece apparire, pregata senza dubbio dalla Vergine Santa, un pastore, che si avvicin� a noi e ci disse che avrebbe dato vitto e alloggio a tutti; il che fece. Se per disgrazia il Cielo ci avesse rifiutato questo favore, eravamo perduti. Appena entrati nella casupola del pastore (ed � degno di nota che questa � la sola volta che abbiamo dormito al coperto dacch� siamo sbarcati), scoppi� un terribile uragano. La pioggia cadde a torrenti per tutta la notte, e invece di soccombere sotto il peso della stanchezza, della fame e della tempesta, mangiammo e dormimmo benissimo, e ringraziammo Dio con tutto il cuore per questa grazia accordataci.

Nota — La montagna di Gallopane � in parte coltivata: potrebbe esserlo intieramente; e se lo fosse, non si pu� calcolare quanta gente sarebbe in grado nutrire, tanto il terreno ne � buono. Produrrebbe, senza grande fatica, grano, patate, gran turco e abbondanti pasture. La Castagna di Macchia � una montagna piena di castagni; nutrisce molti giumenti, bovi e montoni. Il basso popolo � l� come ovunque eccellente.

28 settembre.

A otto ore e mezzo ho lasciato la casa per raggiungere una tettoia, che si trova a un'ora e un quarto di distanza. Due pastori ci accompagnano, e lasciandoci ci promettono che andranno in cerca di 20 uomini che voglion venir con noi e di condurceli prima di sera.

Sono le nove del mattino, e Dio solo sa quello che pu� succedere di qui alle 7 della sera.

Mezzogiorno — Nulla di nuovo relativamente al nemico. Gran regalo! Ci portano delle patate cotte noll'acqua.

Otto ore di sera. — Gli uomini che mi erano stati promessi non giungono. Dubito che sieno immaginarii, o che diffidino di noi.

395

29 settembre.

Sei ore del mattino. — Un corriere dell’agente del principe di Bisignano mi prega d’inviargli qualche documento che possa constatare la mia identit�: gli invio due lettere del generale Clan, e sto attendendo con impazienza i risultati che produrranno.

Sii ore e 3|4. — Sono informato che il nemico si � messo in marcia per sorprendermi. Questa notizia unita alla paura de' contadini che ci rubano assai, mi costringe a lasciar la mia tettoia per dirigermi verso il bosco di Muzzo, dove il corriere che � tenuto a trovarmi stamani deve raggiungermi.

Sette ore e m. 40. — Giungiamo al bosco.

Nove ore e 20 minuti. Il corriere atteso giunge ma io debbo seguirlo a Castellone, dove mi aspetta l’agente suddetto.

Dieci ore e mezzo — Lo incontro con una diecina d'uomini mi saluta assai cortesemente, e subito dopo d� ordine per riunir gente: ci� fatto, ci dirigiamo verso il territorio di Roce, ma gli uomini che accompagnavano la nostra nuova guida si dite guano come il vapore.

Nota — Serra di Mezzo � coperta di boschi da costruzione, magnifici: vi sono anche molte terre coltivate e fertili e dei ruscelli di un acqua assai limpida. Territorio di Roce. L'un paese sano, a un clima assai dolce: coperto di macchie assai folte e frondose. Si veggono qua e l� alcune guerci e sugheri molto rigogliosi. Devo notare che se si prendesse maggior cura di coltivare tali alberi, questi monti sarebbero in futuro miniere d’oro. Molte casette e molte cascine sono seminate in questi luoghi. L'agricoltura � in buono stato, ma � suscettibile di miglioramento.

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30 settembre

Territorio di Roce, 5 ore di sera. Un confidente arriva e ci avverte che i nemici hanno circondato i boschi di Macchia e di Muzzo per sorprenderci: hanno arrestato sette contadini che ci accompagnavano ieri sera. Questi disgraziati, vinti dalla paura, hanno indicato ai nemici la nostra direzione: il che significa che sarem costretti, malgrado l'oscurit�, a toglier l’accampamento. I proprietari della Sila essendo pessimi, bisogner� prendere una direzione affatto opposta.

Dieci ore di sera. Ci fermiamo al bosco di Coprano ad una ora di distanza dal luogo onde siamo partiti, con questa differenza, che invece di essere a mezzogiorno ci troviamo a settentrione.

Nota — Sono senza calzatura, e ho i piedi rovinati, alla pari di altri ufficiali. Non sapendo come uscire da questo stato miserando, mi rivolgo ad alcuni contadini. Vedendo la nostra dolorosa situazione, partono ciascuno in direzione diversa, e ci portano le loro scarpe. Ne provo un paio, non mi stanno; ne prendo un altro paio, che pesa 3 chilogrammi, e lo conservo. Le altre son distribuite e pagate a carissimo prezzo.

1 ottobre

Sei ore del mattino. — Grande novit�. Abbiamo pane bianco, prosciutto, pomodori, cipolle, e un bicchierino di vino; cosa rarissima qui.

Un'ora dopo mezzogiorno. — Sette guardie nazionali si presentano alla Serra del Pastore, di fronte a noi, mentre una ventina di esse percorre la Serra del Capraro; vi restano una mezz'ora poi si ritirano dal lato di Roce, d’onde sono venuti.

Dieci ore di sera — Le guardie nazionali si riuniscono a Roce. Oggi hanno rubato cinque capre alle fattorie del principe di Bisignano.

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Nota — I proprietari della Sila sono antirealisti, perch� quando il re fosse sul trono non potrebbero comandare dispoticamente ai loro vassalli. So che Roce e Castiglione sono buonissimi, e che quindi vi si pu� far conto.

2 ottobre

Sei ore del mattino. — Tutti coloro che presero parte alla sollevazione del marzo decorso sono imprigionati.

Sette ore. — Le spie ci recano che coloro che comandavano le forze da noi vedute ieri, erano i due figli del barone di Mollo e del barone Costantino, e che la forza da essi guidata era composta soltanto di loro guardie.

Otto ore. — Mi si dice che ieri sono uscite tutte le forze di Cosenza per piombare sopra di me: ma avendo saputo per via che una banda de' nostri avea sconfitto un distaccamento nemico, queste forze hanno cambiato direzione per gettarvisi sopra. Non so quanto in ci� siavi di vero, ma � un fatto che, malgrado tatti i miei agenti, non ho potuto scuoprire una sola banda di realisti in campagna. Le guardie nazionali di Roce hanno inviato stamani un dispaccio a Cosenza, ma ne ignoro il contenuto. So che in questa citt� non vi sono forze disponibili: ieri furono costretti a far montare la guardia a contadini disarmati. Essendo morto un generale piemontese, non si � trovato che una cinquantina d’uomini per accompagnarlo al cimitero.

Cinque ore della sera. — Nulla so ancora delle forze che l'agente credeva poter rinvenire: temo che questo sia un pio desiderio e nulla pi�. Vengo informato che il 22 del mese scorso furono arrestati due de' nostri e condotti a Cosenza: dicesi che avessero indosso alcune decorazioni, fra le quali una del Papa, e un po' d’oro: lo che m'induce a credere che potessero essere gli sventurati Caracciolo e Marra.

Cinque ore e venti minuti. — Le guardie nazionali hanno or � poco imprigionato tutta la famiglia dell’agente del principe di Bisignano.

398

Nota — Ho trovato per tutto un affetto al principio monarchico, che si spinge al fanatismo, ma per mala ventura accompagnato da una paura che lo paralizza. Malgrado ci�, ho compreso che se si potesse operare uno sbarco con due mila uomini, su quattro punti, vale a dire cinquecento nella provincia di Catanzaro, cinquecento in quella di Reggio, cinquecento in quella di Cosenza e il resto negli Abruzzi, la dominazione piemontese, sarebbe distrutta, perch� tutte le popolazioni si leverebbero in massa come un solo uomo. I ricchi, salvo poche eccezioni; sono cattivi dovunque, e quindi assai detestati dalla massa generale. I figli del barone di Mollo furono coloro che ordinarono il furto delle capre, di cui ho parlato di sopra. Sono state cucinate e mangiate in casa del capitano della Guardia Nazionale di Roce.

3 ottobre.

Quattro ore e mezzo di sera. — Nulla di nuovo intorno agli uomini che mi erano stati promessi.

Sette ore e mezzo della sera — Malgrado la risoluzione presa di partire questa sera, rimango, vinto dalle preghiere dell’agente, al medesimo posto per attendere otto uomini che hanno ucciso, a quanto dicono, una guardia nazionale e un curato pessimo. Che orrore!

4 ottobre

Gli otto uomini che io aspettavo non sono venuti. I Piemontesi hanno, dicesi, disarmato ottanta guardie nazionali perch� eransi rifiutati a marciare verso... 1 Ora gli stessi individui chiedono di porsi sotto i miei ordini, ma comprendendo i progetti che potrebbero nascondere essi e i Piemontesi, li respingo.

__________________________________________

1 Nel manoscritto questa parola non � intelligibile.

399

Dieci ore del mattino — Mi si parla di corrieri che debbono giungere, di numerosi attruppamenti che debbono aver luogo in senso realista, ma io non vi presto gran fede. Le guardie nazionali hanno saccheggiato ieri 5 ville, di cui due appartengono a Michele Capuano. Fra gli oggetti rubati da essi in una delle medesime si trovano 15 tomoli di fichi, rappresentanti un valore di 70 ducati. I nemici ci credono a Sila, e per questo battono il paese in tutti sensi.

Dieci ore di sera. — Mi dicono che un distaccamento dei nostri � sbarcato a Rossano. E un'illusione.

Noia — Dal mio accampamento veggo in fiamme i casini dei baroni Collici e Cozzolino, uomini assai cattivi in politica, dacch� il secondo ha dato 60 mila ducati (sic) ai rivoluzionari. Anche il primo elarg� loro una somma, di cui ignoro la cifra.

5 ottobre

Sei ore del mattino — Siamo accampati nel bosco di Pietra Fevulla: al sudest scuopriamo il bosco di Pignola, popolato di castagni: il primo lo � di querci e di sugheri in abbondanza.

Nove ore della sera. — Il capo della banda Leonardo Baccaro giunge dal suo paese, Serra Peducci, ove avevo mandato in cerca di lui per vedere se era possibile far qualche cosa in senso realista; ma la sua risposta, come quelle di molti altri � negativa. Gli ho domandato il perch�, e la sua replica � stata conforme a quelle altrui. — Che il Re venga con poca forza e il paese si sollever� come un solo uomo: senza di ci� non vi � da sperare — Ed io lo credo al pari di essi. Questa gente vuole la sua autonomia e il suo Re, ma il timore di vedere bruciate le loro case, imprigionate lo donne e i fanciulli, li trattiene. Se conoscessero la loro forza, ci� non avverrebbe. � un danno, perch� questo popolo � pi� sobrio e pi� sofferente di ogni altro; ma � debole di spirito quanto � forte nel corpo. Se io fessi sbarcato tre settimane prima, avrei trovato 1067 uomini e 200 cavalli a Carillone, e ci� bastava per far loro vedere quanto valevano e in conseguenza per moralizzarli.

400

Per mala ventura al mio arrivo in quel luogo si erano da diciassette giorni sbandati e presentati al nemico, e alcuni di essi arruolati nelle file della guardia nazionale mobile. Il tempo che mi fecero perdere a Marsiglia e a Malta ha recato un grave danno alla buona causa da un lato, senza contare dall'altro che io vo errando a caso, e ci� che � pi� grave, questa circostanza mi toglie una gloria che avrebbe costituito la felicit� della mia vita.

6 ottobre

Sei ore e mezzo del mattino — Magnifico colpo d’occhio! Dal bosco di Fiomello ove. sono accampato, scorgo il forte e lo spedale di Cosenza, Castiglione, Patern�, Castelfranco... San Vincenzo, Santa File, Montalto, San Giovanni, Cavallerizza, Gelsetto, Monarvano, e Cervecato; di contro a me vedo un immenso bosco di castagni, poi una valle tanto fertile quanto bella, piena di campi, di case bianche come i fiocchi della neve; prati pi� verdi dell’edera, boschetti di alberi disseminati come tanti bottoni di rose; piantate regolari, di olivi, fichi e altri alberi fruttiferi. Questo complesso di cose suscita la mia ammirazione, e susciterebbe anche quella di chiunque fosse meno di me affezionato ai prodotti di una natura dotata di tutto ci� che pu� renderla bella allo sguardo di chi ha il dono dell’intelligenza.

Sei ore di sera — Tolgo il campo per recarmi al bosco della Patrina, posto al mezzogiorno della pianura di questo nome, distante di qui circa tre ore.

7 ottobre

Sei ore del mattino — I contadini passano sull’orlo del bosco dove siamo: li faccio interrogare: dalle loro risposte rilevasi, che si recano a portar danaro a otto briganti nascosti nella Valle di Macchia.

401

Dieci ore — I nemici in numero di cento praticano una ricognizione nel bosco di Piano d’Anzo; ma sono da noi distanti un miglio. Non so se ci scacceranno, ma � probabile.

Tre ore di sera — I Piemontesi si sono ritirati senza vederci; questa sera attendiamo una buona cena. Lazza, Busignano ed Astri che scorgiamo dal nostro campo sono appoggiati alla montagna di Cucuzzolo e offrono una graziosa prospettiva. Quest luoghi son ben coltivati, e i boschi che vi si scuoprono debbono essere assai produttivi: specialmente i castagni e i sugheri vi debbono essere in abbondanza.

8 ottobre.

Ieri alle sette della sera lasciammo il bosco della Petrina e ci avviammo verso i fiumi Morone e Crati, dove io dovevo prendere, come infatti presi, la strada regia, chiamata Strada Nuova, dopo averli passati a guado.

Marciammo dunque seguendo la direzione di Canicella; giuntivi prendemmo a sinistra, lasciando la strada sulla diritta. Ci arrampicammo sul monte di Campolona — Luongo, dove riposammo una mezz'ora continuando poi a marciare verso il flume di San Mauro che traversammo tranquillamente, e verso il fiume d’Essero, che fu da noi passato al luogo che divide i possedimenti del signor Longo da quelli del principe di Bisignano.

Alle cinque e mezzo accampavamo alle falde di Farneto, estenuati dalla fatica, lo che non � maraviglia, avendo percorso ben 30 miglia in quella notte. Siamo tre miglia lungi da Rossano e ad un'egunl distanza da Firma: a quattro miglia dal lato di mezzogiorno abbiamo Altamonte: e tutto ci� senza contare che questa notte abbiam lasciato sulla diritta Tarsi e Spezzano Albanese.

402

Rossano, toltine una ventina d’abitanti, � eccellente; ma Firma e Luongo sono cattivi, come tutti i paesi che si chiamano Albanesi. Altamonte � buonissimo.

Ho saputo oggi che tutte le forze rivoluzionarie che si trovano in questo paese sono state otto giorni in imboscata sopra diversi punti per sorprenderci; ma ho saputo altres� che, deluse in questa aspettativa, sono rientrate ieri proprio a tempo per lasciarmi libera la via.

Nota — fiume Morone, che scorre da ponente al settentrione, � assai stretto e rapido, il che rende difficile il suo passaggio. Le acque alimentano due molini e bagnano quasi tutta la pianura della Petrina, rendendola fertilissima: Le zucche, i fagiuoli, i cocomeri, le patate il formentone e altri legumi vi si trovano. Se si aprissero passaggi alle acque che si scatenano dulie montagne a sinistra, questo paese se ne avvantaggerebbe assai Traversato questo fiume, prendemmo la strada nuova che in questo luogo non � ancora finita: non vidi cosa alcuna degna di essere osservata salvo alcune cascine e la cattiva influenza dell’aria, in specie in questa stagione.

9 ottobre.

Lasciammo ieri sera alle 7 il bosco Farneto diretti verso i monti di Cermettano. Per la via traversammo la pianura Conca di Cassano piena di piccoli ruscelli e quindi assai incomoda. La notte � stata orribile: non ho mai sofferto tanto, fisicamente e moralmente. Fisicamente, per la fatica e per le piaghe de' piedi: moralmente, per le disgrazie che ci colpiscono tutti, a causa delle circostanze. Marciando e saltando questi innumerevoli fossi, anche assai profondi, uno vi cade colle armi e col bagaglio, vi perde il fucile che bisogna ripescare, l'altro la bajonetta, che bisogna abbandonare.

403

Quegli co' piedi rovinati si getta in terra e chiede la morte: questo si toglie le scarpe credendo marciar meglio scalzo; un altro mette il fucile ad armacollo e prende due bastoni per appoggiarvisi. Soffro alla pari di essi, ma il mio animo non � scoraggiato: voglio comunicar loro questo mio coraggio, e a tale effetto rammento ad essi le imprese de' grandi uomini che militarono prima di noi. Prendono, cos� riassicurati ardire, e faccio loro operare prodigi; quello che non pu� marciare si trascina alla meglio: e in tal guisa, senza rammaricarci, senza pane n� acqua giungiamo ad un bosco di olivi dove passiamo la giornata del 9.

Dieci ore della sera — Lasciando Francavilla alla diritta, Castrovillari alla sinistra, ci rechiamo sulla montagna Serra listania. La prima conta sei mila abitanti, la seconda dodici mila. In entrambe lo spirito pubblico � buono. Giungendo nel cuore della montagna abbiamo trovato una mandra di capro, e ne abbiamo fatte uccider due, che erano pessime, perch� inagrissimo: ma siccome eravamo digiuni, le mangiammo quale cosa prelibata. Dopo questo pasto abbiamo marciato anche un'ora, poi ci ponemmo sdraiati.

10 ottobre.

Quattr'ore e mezzo del mattino — Giungo un giovanetto di 12 anni montando un ronzino, e io l'arrest�. Lo interrogo, e resulta che pu� recarmi del pane dal convento della Madonna del Carmine. Alando perci� con lui un soldato.

Sette ore — Non vedo ne il giovanetto n� il soldato, sebbene in un'ora si vada al convento e in un'ora si ritorni: ci� comincia a rendermi inquieto.

Sette ore e 40 minuti — Grazie al cielo, il pane giunse.

Otto ore e venti minuti — Abbiam fatto colazione, e ci rimettiamo in marcia per giungere al culmine della montagna.

Dieci ore. — Vi giungiamo e ci riposiamo per non scuoprirci.

404

Quattr'ore di sera — Ci rimettiamo in marcia per le montagne di Acqua Forano o Alberato di Pini, ove contiamo mangiar qualche cosa, se � possibile. La nostra aspettativa fu delusa.

Osservazioni Generali — Ho notato che i monti da me percorsi fino ad oggi, 10 ottobre, sono suscettibili di moltiplicare le loro ricchezze intrinseche; ed ecco come, secondo le osservazioni da me fatte in fretta. Circondari di grandi strade, che sbocchino al mare e nei paesi, i fianchi delle montagne. 1� A Ile cime di queste, porre corpi di guardia di dieci uomini, d’ora in ora, e aprire una comunicazione dall’uno all’altro in tutta la sua estensione, vale a dire sulla cima di tutte le montagne di questa provincia. Ne resulterebbe 1� che non vi sarebbero pi� ricoveri per i ladri, che � impossibile prenderveli, e che quindi sono il flagello non solo de' monti, ma delle valli e delle pianure vicine; 2� che gli alberi da costruzione che vanno perduti per mancanza di comunicazioni nonio sarebbero pi�: e siccome il trasporto al mare costerebbe poco, tutti questi boschi diverrebbero una miniera d’oro inestinguibile, tanto per il paese in generale, quanto per le casse dello Stato in particolare. Nelle grandi strade laterali bisognerebbe porre dei cantonieri di due ore in due ore, una brigata di gendarmi a piedi sia per recar le corrispondenze, sia per esercitare sorveglianza I corpi di guardia che sarebbero sulle cime de' monti dovrebbero esser chiusi al principio dell’inverno, e trasportati ne' luoghi ove la neve non giunge, onde non lascino riposo o tregua ai ladri, fino a che non fossero scomparsi. Questi provvedimenti, che potrebbero essere adottati senza grandi spese, accrescerebbero la popolazione, i bestiami, i fieni, i grani, gli orzi, la vena, le patate, e poi si potrebbe trarne della legna da ardere in gran quantit�, che si riporrebbero in magazzini dove fosse pi� facile procurarne la vendita Ho osservato anche che i monti non boschivi racchiudono minerali di ogni sorta: e siccome non son privi di acque che bagnino le loro falde, cos� si potrebbero aprir miniere che produrrebbero valori inestimabili.

405

Qualora i filoni di esse non fossero fruttiferi, il che non credo, si potrebbe profittare di tali acque, sia per lavorare il ferro, sia per preparare le lane e il lino.

(Basilicata)

11 ottobre 1861

Un'ora dopo mezzanotte. — Giungiamo alla destra della Donna, dove perduti, ci ricoveriamo sotto una tettoia e ci sdraiamo, a malgrado della prossimit� di Torre Nuova. Questa notte abbiamo passato quattro ore pessime, ma Dio ha voluto che giungessimo senz'altra perdita fuori di quella di un uomo il quale era un po' malato. Si chiamava Pedro Santo Lconato, figlio di Rosa.

Ore tre e messo di sera — Ci mettiamo in marcia e passiamo dinanzi a Torre Nuova, la cui popolazione � assai buona, e fra San Costantino, Casale Nuovo, Noja e S. Giorgio. Costantino e Casale Nuovo sono pessimi, come tutte le popolazioni grecoalbanesi.

12 ottobre

Sei ore del mattino — Siamo giunti alla montagna Silfera, ai confini di San Giorgio a due ore del mattino, vale a dire dopo dicci ore e mezzo di marcia per strade detestabili; tanto il terreno � scoglioso. Ieri fummo senza pane, e quindi dovemmo fare strada digiuni. Comincio a disperare di giungere a Roma, le nostre forze diminuiscono e il mio malessere aumenta. Poco nutrimento e quasi sempre mal sano, acqua sola per bere, e molte fatiche, distruggono i pi� robusti. Pure io marcer� fino a che potr�; ma se Dio vuole che io soccomba, consegner� questi appunti a Capdeville, affinch� li faccia pervenire al generalo Clary o a Scilla, e se Capdevillo morisse, dovrebbe consegnarli al maggior Landet, affinch� questi faccia ci� che Capdeville dovea fare.

406

Mi preme che questo scritto pervenga a S. M. affinch� Ella sappia che io muoio senza rimpianger la vita che potrei aver l'onore di perdere servendo la causa della legittimit�.

13 ottobre

Ieri sera avemmo del pane e della carne: il pane ci � giunto da Colobrara, la carne siamo andati a mangiarla alla Serra di Finocchio, ove siam giunti alle 7 circa di sera. Dopo il pasto ci sdraiammo sulla paglia in luogo coperto: il che ci fu di gran sollievo. Avevo pensato di passarvi tutta la giornata d’oggi: ma sventuratamente non ho potuto farlo.

Verso le quattro del mattino un pastore � venuto a dirmi che le guardie nazionali di San Giorgio a Fa vara eransi riunite per attaccarci oggi, e sebbene io abbia tenuta in conto di falsa tale notizia, pure si � avverata Alle sette del mattino sono stato avvertito dal maggior Landet che una compagnia di guardie nazionali percorreva i boschi, ove passai la giornata di ieri. Ho guardato col canocchiale, e infatti l'ho veduta. Allora ho pensato che un pastore che ci aveva rubato cinque piastre sotto pretesto di recarci delle scarpe, aveva fatto il colpo; lo che mi ha dato a temere di qualche tradimento. In questa previsione ho ordinato che i miei soldati prendessero le armi, e poi immediatamente ho tentato di raggiunger la cima della montagna per non esser preso tra due fuochi. Non appena fui sul punto culminante, ho veduto una compagnia che ci prendeva alle spalle, il che mi ha obbligato a ritirarmi verso il settentrione della montagna, ove mi sono imboscato. L� ho saputo che questa forza era la guardia nazionale di Rotondella.

Mezzogiorno e dieci minuti. — I nemici prendono riposo alla fonte dove noi attingevamo l’acqua stamane.

Tre ore della sera. — I nemici ripiegano sulla nostra diritta 9 mezz'ora di distanza: tuttavia ne rimane ancora una parte a tiro di facile che ci cerca ne' boschi: pure, a malgrado di ci�, persisto a credere che non ci vedranno.

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Tre ore e un quarto. — La squadra che avevamo sopra di noi batte in ritirata, dirigendosi sulla nostra diritta come la precedente.

Tre ore e venti minuti. — Sono informato che quegli che ieri ci port� il pane, ci ha venduti al capitano della guardia nazionale Don Gioacchino Mele di Favate.

Tre ore e 55 minuti. — Il restante de' nemici si ripiega sulla riserva.

Tre ore e 40 minuti. — I nemici si ritirano prendendo la la direzione di Rotondella e di Belletta.

Quattr'ore e 45 minuti. — I nemici si fermano.

Quattr'ore e 46 minuti. — l nemici si ripongono in marcia.

Quattr'ore e 50 minuti. — Levo il mio piccolo accampamento per dirigermi verso il fiume Sinna, che ho intenzione di passare un poco al disotto di Favanola, se � guadabile.

Nove ore di sera. — Passo il Rumo al punto indicato per seguire la direzione del bosco di Columbrara. Per la strada chiedo ovunque del pane, e ne ho a mezzanotte per tutti.

14 Ottobre

Un'ora del mattino. — A un quarto di lega dal bosco faccio fare alto e do riposo alla mia truppa, fino alla punta del giorno. A tale ora mi metto in via per imbarcarmi, e mi accorgo, una volta stabilito, che il sottotenente Don Benito Zafra � scomparso, sebbene lo abbia veduto seguire il nostro accampamento. Questa circostanza unita alla poca o punta fiducia che m'ispira Zafra, mi costringe a cambiar posizione e direziono.

Sei ore del mattino. — Mentre io stava per partire, Zafra ricomparisce, dicendo che si era smarrito ed io fingo di crederlo; perch� ci� mi permette di conservar la mia posizione, e la conservo.

Sei ore e mezzo della sera. — Ci mettiamo in marcia per passare il fiume Acri, ma verso mezzanotte scoppia un uragano e ci costringe a ritirarci nel casino chiamato Santanello, ove giungiamo verso un'ora del mattino, bagnati fino alla pelle.

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Due contadini, profittando della nostra stanchezza e dell’oscurit� della notte per evadere, si recano a darne avviso alla guardia nazionale di Sanl'Angelo, luogo che trovai sulla nostra diritta, a 4 miglia di distanza dai nostri alloggi.

15 ottobre

Il mattino verso cinque ore e mezzo i contadini si presentano infangati fino ai ginocchi. Questa circostanza risveglia i miei sospetti, e mi decide a dirigermi verso il fiume sopra indicato, e a condurre meco quelli che mi hanno venduto, perch� mi servano di guida. Appena l'ebbi guadato, vidi la guardia nazionale di Sant'Angelo che marciava verso di noi. Minacciai allora le guide se non ci salvavano; e tale minaccia ha fatto loro operar miracoli: ci hanno condotto cos� bene, che poco dopo non abbiamo visto nemici da alcuna parte. Un po' pi� tardi abbiam passato il fiume di Rosauro, lasciando Albano alla sinistra, e ci siamo diretti verso la taverna Canzinera, dove abbiamo mangiato ann boccone. Di l� abbiamo fatto strada, con una pioggia tremenda, verso il fiume Salandra, che avevamo traversato verso le due dopo mezzogiorno: e siccome avevamo percorso una ventina di miglia, facemmo alto per riposarci: ma dopo una mezz'ora la pioggia riprese e ci costrinse a ricoverarci in una villa di propriet� di Don Donato Scorpione, capitano della guardia nazionale di Formina. A sei ore della sera, ci ponemmo nuovamenie in marcia per raggiungere i boschi della Salandra; ma verso le sette una pioggia forte ci sorprese, e il terreno, che � assai grasso, cominci� a divenir talmente melmoso, da impedirci di marciare. Tuttavia pazientammo fino alle dieci della sera, e vedendo che la pioggia non cessava e che era impossibile proceder oltre, ci arrestammo alla montagna Ferravante nelle stalla di Niccol� Provenzano; ei rasciugammo Do poco, e dopo aver dato ordine al padrone che nessuno dalle baracche si muovesse senza mio ordine, ci sdraiammo.

409

Nota. — contadini sono realisti qui come altrove, ma molto pi� vili. Il timore di esser imprigionati e il desiderio di aver danaro fa loro commettere ogni sorta di bassezze. Il 12 non mi sono state restituite quattro piastre, il 15 mi hanno rubato 50 franchi che dovevano servir per comprare scarpe e altre cose necessarie. In quel medesimo giorno, o meglio nella notte, mi hanno denunziato alla guardia nazionale di Sant'Angelo, la notte hanno fatto lo stesso, ma ignoro dove.

16 ottobre.

Sei ore del mattino. — Il padrone e due de' suoi pastori sono scomparsi furtivamente, e indovino il perch�. Ci� mi decide a fuggire al pi� presto verso il bosco della Salandra, a malgrado della pioggia che cade a torrenti. Conduco meco un fanciullo che avr� dodici anni, per conservarlo in ostaggio tutta la giornata.

Sette ore. — Ci fermiamo per mangiare un po' di pane.

Sette ore e mezzo. — Ci mettiamo nuovamente in marcia.

Otto ore e dieci minuti. — Vedendo che debbo scoprirmi se vado pi� oltre, mi fermo per attendere gli eventi o l'ora propizia per mettermi in via.

Due ore della sera, — L'umidit�, il freddo e la fame mi costringono a togliere il campo.

Tre ore e mezzo. — Scopriamo una baracca, ove troviamo una mezza razione di pane, che fo dividere, e mi ripongo in cammino.

Quattro ore e mezzo. — Giungo ad una casupola, dove trovo degli armenti. Faccio uccidere due montoni: ne mangiamo ano, e serbiamo l'altro per domani.

Otto ore. — Mi ripongo in via per traversare il fiumi Grottola.

Nove ore. — Avevamo appena passato il fiume, che cinque uomini armati si slanciano sopra di noi, intimandoci di fare alto. Noi cadiamo loro addosso, fuggono a gambe, e passano in senso opposto il fiume, che io lascio dietro di me, senza far fuoco. Subito dopo prendiamo la via di Grassano, ove havvi una guarnigione piemontese, pur evitare un lungo giro.

410

Undici ore. — Giriamo attorno alla parte settentrionale esterna della citt� aspettando un chi va l� che non udiamo. Siamo passati vicinissimi alla chiesa e senza nessuno incidente.

Nota. — Il bosco della Salandra � magnifico, e vi occorrerebbero 5 ore per farne il giro. Il terreno � assai buono e quindi suscettibile di produrre tutto, anche fichi e olivi, ma non vi si � tentata la minima cultura: gli alberi che abbondano sovra ogni altro in questo grande spazio, sono le guerci. Potrei parlare di altre specie, se ne avessi il tempo; ma credo che ci� basti per dare un'idea della bella vegetazione di questo luogo. I secoli passarono sulle frondose cime di questo re delle foreste, e non hanno lasciato traccia sulla loro freschezza. Sono ci� che potevano essere cento anni indietro, e credo che un secolo di pi� non cangier� il loro aspetto; se il fuoco o la scure non se ne immischiano. Un ceppo colossale ed intiero, rami proporzionati alla loro altezza e alla loro grossezza, una fronda fitta e fresca come le acque delle fontane che spesso scorrono a' loro piedi, completano questo ritratto disegnato a grandi linee. Tuttavia debbo dire qualche cosa delle foglie di questi alberi: le ho colte in diversi luoghi alcune lunghe quattro pollici e larghe tre. La parte superiore ha una forma ovale, senza cessare per questo di essere sui bordi graziosamente smerlata.

17 ottobre.

Quattro ore del mattino. — Giungiamo alla montagna Piano della Corte, e alloggiamo in una baracca di Don Giuseppe Santoro, capitano della guardia nazionale di Tricarico, ove io mi decido a passare la giornata, sebbene abbia a diritta e a mezzogiorno Montesolero, citt� di sei mila anime, e Tricarico alla sinistra e per conseguenza a settentrione.


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411

Tre ore e mezzo di sera. — Mi ripongo in marcia per raggiungere la provincia di Avellino ove arriveremo fra duo o tre giorni, se il tempo si rimette, e se le circostanze lo consentono.

Nota. — Abbiamo traversato una pianura assai grande e ricca, ma io ho osservato che l’agricoltura � molto addietro. Pure siccome la terra � buona, produce molto grano e molte fruita, quasi per forza naturale. Che sarebbe, se vi fosse a Napoli un buon ministro che desse impulso a lavoro, e un altro che regolasse con mano franca la giustizia, che trovo incurata dapertutto? A senso mio, � necessaria una legge, se non esiste, che proibisca il matrimonio alla giovent�, prima che non abbia servito e ottenuto il congedo.

18 ottobre.

Due ore e mezzo della sera. Mi pongo nuovamente in cammino senza guida, come ieri, per seguire a tasto la direzione di Napoli.

Tre ore e mezzo. — Zafra mi significa che vuol partire col soldato Mouticr, ed io vi consento. L'intemperie della stagione, la fame, la fatica, il letto a ciel sereno non possono convenire a uomini di fibra molle e di costumi effeminati. Avrei potuto fucilarlo, ma forse non sarebbe stata una pena. Quando potr�, far� conoscere la loro vigliaccheria dovunque, e in ispecie in Spagna, perch� sieno da per tutto e sempre spregiati.

Tre ore e tre quarti, — Mi dirigo facendo un gran giro, per evitare un villaggio verso il famoso bosco di Barile, e di l� verso il bosco di Manguesci Pichitello, ove conto mangiare quelche cosa.

Cinque ore e mezzo. — Erriamo nel bosco di Barile, senza trovare un egresso, e per conseguenza senza sapere dove andiamo.

Cinque ore e 3 quarti— Udiamo una campanella e la seguiamo! Poco tempo dopo ci imbattiamo in una baracca e in tre uomini che guardano i giumenti. Ne prendiamo due che ci guidano al bosco Manguesci, ove mangiamo un montone e un agnello con del pane che trovammo per miracolo.

412

Undici ore di sera. — Ci mettiamo in cammino per prender posizione nel bosco di Monte Marcone; strada facendo lasciamo sulla nostra sinistra Barile, Gensano o Forenza.

19 ottobre.

Bosco di Lagopesole.

Due ore e mezzo del mattino. — Giungemmo al bosco sopra indicato non senza fatica. La pioggia ci incommoda assai, e i giri cui siamo costretti ci fanno perdere un tempo immenso: per quattro miglia e mezzo abbiamo impiegato pi� di otto ore. Piove tutto il giorno: siamo senza pane, ma ho preso provvedimenti per averne.

Dieci ore del mattino. — Abbiamo avuto un po' di pane e un po' di pimento.

Tre ore della sera. — Alcuni soldati de' nostri giungono, e mi dicono che a otto miglia di distanza si trovano mille uomini sotto gli ordini di Crocco Donatello. Mi decido a inviargli il signor Capdeville con una lettera, scortato da due soldati per vedere se possiamo intenderci, del che dubito, giacch� osservo il pi� grave disordine. Qual danno che io non abbia trecento uomini per sostenere i miei ordini! Oh allora le cose prenderebbero una piega favorevolissima per la causa di S. M.

Quattro ore della sera. — Cambiamo di luogo, ma restiamo nello stesso bosco.

Tre ore. — Sono informato che le forze piemontesi del circondario son poche sebbene non mi sia noto giustamente il loro numero; mi si dice che siano bersaglieri e che abbiano seco due pezzi da montagna.

20 ottobre.

Sei ore del mattino. — Nulla di nuovo; la notte � stata assai rigida.

413

Dieci ore. = Mi dicono che qui avviene quello che ordinariamente ha luogo in tutti i posti da cui sono passato: s� imprigionano i realisti a torto o a ragione.

21 ottobre

Sette ore del mattino. — I due soldati che hanno scortato Capdeville ritornano senza di lui e senza sue lettere; lo che per parte sua non � regolare; ci dicono che dobbiamo andare a raggiungere la forza, e lo faremo dopo aver mangiato.

Dieci ore. — Ci mettiamo in marcia per raggiungere l'altra truppa e Capdeville che non � tornato, e che si trova con essa nel bosco Lagopesole.

Un'ora e dieci minuti della sera. — Facciamo alto per riposarci.

Tre ore e mezzo. — Ci riuniamo ad una piccola banda; la credevamo pi� numerosa; ma altre devono giungere col suo capo.

22 ottobre.

Sei ore del mattino. — Il capo della banda � giunto questa notte, ma io non l'ho veduto. Egli � andato a dormire con una sua concubina, che egli tiene in uno de' boschi vicini, con grande scandalo di alcuni.

Otto ore e mezzo. — Il capo della banda giunge, gli faccio vedere le mie istruzioni, ed egli cerca di esimersi con falsi pretesti. Temo di non poterne trarre partito; tuttavia non bo perduto ogni speranza: mi dice che dobbiamo attendere l’arrivo di un generale francese, che � a Potenza e che giunger� domani sera, e da lui sentiremo ci� che dice, prima di decidere qualche cosa di definitivo.

414

Due ore della sera. — Il capo della banda parte, senza dire dove va: si fa dare il titolo di generale. Ho dimenticato di dire che gli ho preposto di prendere 500 uomini d’infanteria e 100 cavalli, assicurandolo che con questa forza mi sento capace di tener la campagna: mi rispose che i fucili da caccia sono inutili per presentarsi in faccia al nemico; io combatter� quest'obiezione, ma senza fruito.

23 ottobre.

Otto ore del mattino. — Il signor De Langlois giunge con tre ufficiali: si spaccia come generale e agisce come un imbecille. Lo lascio fare per vedere se la sua nascita lo ricondurr� al dovere: ma vedendo che egli prende maggior coraggio dal mio silenzio, Io chiamo a me e gl'intimo ad esibire le sue istruzioni. Risponde non averne in scritto; e allora abbassa il suo orgoglio.

Carmine Crocco, capo della banda, per il momento � assai attento, ma non si d� cura di riunire le sue forze per organizzarle. Qual danno che io non abbia 500 uomini per farmi obbedire prontamente!

24 ottobre.

Sei ore del mattino. — Nulla di nuovo per ora. Passiamo la giornata nello stesso luogo.

25 ottobre.

Sei ore e un quarto del mattino. — Tre colpi di fucile ci annunciano l’apparizione del nemico.

Sette ore. — Ci scontriamo col nemico a cento passi di distanza, una viva fucilata s'impegna fra una quarantina de' suoi bersaglieri e una ventina de' nostri. Sostengo gli sforzi del nemico per un'ora.

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Otto ore. — I nemici ci hanno circondato; abbandoniamo questi che ci attaccano di fronte per gettarci su quelli che ci attaccano di dietro.

Otto ore e mezzo. — Gravi perdite: il mio ufficiale della diritta, il maggiore La Candet, � colpito alla testa da due palle e rimane sul campo. Quattrocento piastre che avea indosso e il suo fucile rimangono in potere de' nemici, i quali lo spogliano di tutto, meno de' pantaloni e della camicia. Nel tempo stesso vien ferito gravemente uno de' quattro Calabresi che mi hanno accompagnato, per nome Domenico Antonio il Rustico: la palla che lo ha colpito mi ha salvato da una ferita.

Due ore e mezzo della sera. — Il nemico si pone in imboscata nella foresta, mentre io invio il Calabrese al medico. Ho decorato due individui della banda per la bella condotta da essi tenuta la mattina; ma non so i loro nomi. Il capitano di cavalleria Salinas non � pi� con noi: ignoro se sia morto.

26 ottobre.

Sei ore del mattino. — Occupiamo lo stesso bosco. Il capitano Salinas manca sempre: son convinto che egli � morto.

Otto ore. — Crocco, che � assai astuto, guadagna tempo e non mantiene la promessa di organizzare da lui fattami. Non posso intendere quest'uomo, che, a dir vero, raccoglie molto danaro: cerca l’oro con avidit�.

Nove ore. De Langlois mi narra che Crocco ha ricevuto una lettera di un canonico che gli promette completa amnistia se si presenta colla sua banda! Il suo silenzio di fronte a me in un affare s� grave mi fa temere che egli, ricolmo di denaro, vinto dalla sua concubina che egli conduce con noi, non commetta qualche vilt�. L'affare di ieri non diminuisce i miei sospetti.

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Allorch� vedemmo che il nemico veniva a noi, egli si � musso in marcia per il primo; ma giungendo ad una certa distanza ha fatto una contromarcia, talch� quando io mi credeva appoggiato da lui sulla diritta, mi son trovato attaccato a rovescio. In breve Crocco, De Langlois e gli ufficiali napoletani non hanno udito fischiare una palla: co' miei uomini e con due della banda di Crocco ho pagato le spese del combattimento, e mi � costato caro.

27 ottobre.

Il capitano Salinas � ricomparso or � poco in buona salute. I nemici hanno ucciso Niccola Falesco ammogliato con cinque figli, mentre ci recava del vino. La vedova di lui si � presentata a me, ed io le ho assegnato nove ducati mensili in nome di S. M.

Ieri l'altro i nemici hanno bruciate le capanne e le casette che si trovano alle falde del bosco.

28 ottobre.

Sette ore del mattino. — Dal medesimo bosco. — Ci riuniamo per saper quanti siamo per organizzarci.

Sette ore e mezzo. — Il capo d� un contr' ordine, e dice che non vuole che noi formiamo duo compagnie, fino a che non sieno giunti 130 uomini che egli attende, ma inutilmente.

Dieci ore e mezzo. — De Langlois, uomo che temo assai, intrigante, mi narra che ieri sera ha avuto una conferenza di pi� di due ore con Crocco, e che questi gli ha detto; �Se io ammetto una organizzazione, non sar� pi� nulla; mentre restando in questi boschi sono onnipotente, nessuno li conosce meglio di me: se entriamo in campagna, ci� non accadr� pi�. Del resto i soldati mi hanno nominato generale, ed io ho eletto i colonnelli e i maggiori o gli altri ufficiali, i quali nulla pi� sarebbero, se cadessi. Del resto io non sono stato che caporale, lo che vuol dire che di cose militari non me ne intendo! dal che ne segue che non avr� pi� preponderanza il giorno in cui si agir� militarmente.�

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29 ottobre

Sette ore del mattino. — Dallo stesso luogo di ieri: — De Langlois mi riferisce quanto segue: �Ieri sera ho avuto un colloquio col nipote di Bosco, il solo cui Crocco si confidi e gli ha detto... 1 Egli pretende, e mi ha incaricato di dirvelo, un brevetto di generale sottoscritto da S. M. e altre promesse che non specifica per il futuro, una somma corrispondente di denaro, e non so che altro ancora.� De Langlois avrebbe risposto che non pu� garantire tutto, ma che il modo di regolarizzare queste faccende era quello di riconoscere i capi. Crocco e i suoi hanno rubato molto, e quindi hanno molto danaro che vogliono conservare e aumentare; se vedono che si aderisce a questo loro intendimento, consentiranno a lavorare per la causa di Sua Maest�, ma in caso contrario non si adoperaranno che per loro medesimi, come hanno fatto fin qui.

Mezzogiorno. — Sono informato che quattro guardie nazionali di Livacanti, hanno fucilato ieri la donna Maria Teresa di Genoa, perch� il suo fratello era con noi.

Nove ore di sera — Giungono in questo momento alcuni nostri uomini che si sono imbattuti in una guardia nazionale che ha fatto villanamente fuoco sopra di essi. Sono saltati addosso a lui, e dopo avergli tirato cinque colpi di fucile l’hanno ucciso e disarmato.

30 ottobre

Nove ore del mattino — Siamo nel medesimo luogo: in questo momento abbiamo un allarme; la gente di Crocco fugge come un branco di pecore: resto con i miei officiali al posto e mostro disprezzo per quei vigliacchi onde farli arrossire, e costringerli a condursi meglio, se � possibile; ma tutto � inutile.

__________________________________________

1 Il manoscritto non � intelligibile; per� lasciamo questi spazii, che indicheranno al lettore non essere stato possibile raccogliere il pensiero di chi scriveva il Giornale.

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Dieci ore e mezzo. — Cambiamo luogo a un'ora di distanza da quello da noi lasciato; ma sempre nel medesimo bosco.

Cinque ore della sera — De Langlois viene ad avvertirmi che il padre di Crocco si trova in relazione con il general La Chiesa, e che questi ha scritto una lettera a Crocco, esortandolo a presentarsi colla sua banda. Questi avrebbe risposto secondo Langlois, che il general La Chiesa dovea presentarsi a noi. La Chiesa avrebbe soggiunto che se gli davano sei mila ducati e 30 pezze al mese, avrebbe dato in nostro potere la provincia. Ora siccome io vedo che la reazione � fatta, ci� che ho di meglio a fare si � di trarne il miglior partito possibile. Non ho, � vero, i ducati in questione: ho detto a Langlois, malgrado ci�, che appena La Chiesa ci avesse consegnato una grande citt�, gli avrei sborsato i sei mila ducati.

Ho per� fatto notare a De Langlois che io dubitava di quanto mi diceva, e che Crocco non mi aveva di ci� fatto parola. Crocco vi presta fede, rispose, ma non ve ne parla, perch� vuol far ci� senza discorrervene.

De Langlois mi ha detto ancora che Crocco vorrebbe conservare in apparenza il comando di generale. Sta bene, ho detto che ei faccia trionfar la causa e vi acconsento; ma io so che egli pensa ad una cosa, e potrebbe accader che ne avvenisse un'altra. I soldati e il paese ci ammirano dopo il fatto del 25, ed io credo che il giorno in cui mi converr� alzar la voce, Crocco non sar� nulla. Qualunque cosa ei trami, son deciso a rimanere, per assistere allo scioglimento di questi intrighi, e per vedere se essi offriranno alcun che da permettermi di trarne partito. Se io avessi qualche centinaio di migliaia di franchi, trecento uomini, e un numero di officiali, probabilmente diverrei il padrone della situazione.

31 ottobre.

Sette ore e mezzo del mattino = Crocco mi legge una lettera di un capo di una banda, nella quale pone 500 uomini a mia disposizione. Se non cambia consiglio stanotte senza fallo anderemo a raggiungerli e formeremo domani il primo battaglione.

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1 novembre.

Ieri ci siamo posti in marcia per andare al bosco... di Potenza. Cammin facendo abbiam costeggiato la Serra Iacopo Palese che va dal settentrione a mezzogiorno:, alle sue falde abbiamo trovato il fiume della Serra del Ponto, e siamo giunti verso le 2 del mattino al luogo sopra indicato.

2 novembre.

Un'ora di sera. — Nulla di nuovo, se ne eccettuiamo la mancanza di razioni. Ci dicono che ne avremo pi� tardi: io ne dispero, perch� l'ora � avanzata: i soldati muoiono di fame.

3 novembre

Nulla di nuovo.

Undici ore. — Usciamo dal bosco; ci rechiamo a Tre vigno, distante di qui quattro miglia.

Un'ora e mezzo della sera. — Giungiamo al luogo indicato e siamo ricevuti a colpi di fucili.

Tre ore e mezzo. — Dopo un combattimento di oltre due ore, ci impadroniamo della citt�; ma debbo dirlo con rammarico, il disordine pi� completo regna fra i nostri, cominciando dai capi stessi. Furti, cccidii e altri fatti biasimevoli furono la conseguenza di questo assalto. La mia autorit� � nulla.

4 novembre.

Sei ore e mezzo del mattino. — Lasciamo Trevigno e ci dirigiamo verso Castelmezzano, ove arriviamo alle undici e mezzo. Vi facciamo un alto di due ore.

420

Tre ore della sera. — Ci mettiamo in marcia dirigendoci verso il bosco di Cognato, ove giungiamo alle 7. Alle 8 e 12 sono informato che Crocco, Langlois e Serravalle hanno commesso a Trevigno le pi� grandi violenze. L'aristocrazia del luogo erasi nascosta in casa del sindaco, e i sopraddetti individui che hanno ivi preso alloggio, l'hanno ignobilmente sottoposta a riscatto. Pi�; percorrevano la citt�, minacciavano di bruciare le case de' privati, se non davano loro danaro. Langlois interrogato da me intorno alle somme raccolte in quel luogo, mi ha risposto che il sindaco gli aveva dato 280 ducati soltanto, e che questo era tutto quanto avean potuto ottenere.

5 novembre

Sei ore e mezzo — Ci vien dato l'ordine di riunirci, per dirigerci non so in qual luogo.

Undici ore. — Ci imbattiamo in otto guardie nazionali, che inseguiamo fino a Caliciana: la ci arrestiamo: � stato saccheggiato tutto, senza distinzione a realisti o a liberali in un modo orribile: � stata anche assassinata una donna, e, a quanto mi dicono, tre o quattro contadini.

Cinque ore e mezzo. — Giungiamo a Garaussa ove il carato insieme ad altre persone � uscito col Cristo chiedendoci una paco che io gli accordo ben volentieri. Dio voglia che gli altri facciano lo stesso. — Non racconto cosa alcuna della scena che � avvenuta dopo la mia partenza, cagionata dall’indignazione che mi avea suscitato il disordine.

421

6 novembre

Dieci ore del mattino — Ci mettiamo in marcia per andare ad attaccar la Salandra, ma havvi una guarnigione di un centinaio di Garibaldini e un distaccamento di Piemontesi. Appena ci hanno scorto, hanno preso posizione sopra un'inespugnabile altura a settentrione. Allorch� sono stato a mezzo tiro di fucile, ho spedito il maggiore Don Francesco Forno alla testa di una mezza compagnia, che malgrado il declivio del luogo e il fuoco che si faceva contro di lui, si � impossessato del punto che i nemici occupavano pochi momenti prima. I nemici respinti hanno preso le case, dove hanno provato una pi� vigorosa resistenza; ma essendosi accorti che io andava a prenderli alle spalle colla mia colonna, hanno lasciato la citt� a passo di corsa. Quando li ho veduti, son piombato sopra di essi; ne abbiamo uccisi dodici, abbiam preso la loro bandiera e abbiam fatto de' prigionieri. Dal lato nostro Serravalle � stato ferito, ma non gravemente, alla testa. — La citt� � stata saccheggiata.

7 novembre.

Serra di Cucariello, Comune di Salandra, 2 ore e mezzo di sera. — Il signor Angelo Serravalle muore in questo momento. Mi pregano di scrivere a S. M. di far innalzare un castello in questo luogo.

8 novembre.

3 ore del mattino. — Riuniamo la truppa, e prima di partire Crocco fucila in una sala della citte Don Pian Spazziano; poi noi abbiamo fatto strada verso Cracca, 'ove noi siam giunti a tre ore di sera: la popolazione intiera ci � venuta incontro; e malgrado di ci�, avvennero non pochi disordini.

422

9 novembre.

Sei ore e mezzo del mattino. — Usciamo da Cracca o marciamo verso Alliano: ma circa due ore dopo mezzogiorno nella pianura bagnata dall’Ancinella, troviamo una quarantina di guardie nazionali, che attacchiamo con vigore. — Vedendoci, si danno ad una fuga precipitosa e si nascondono in un bosco vicino; malgrado ci�, la cavalleria li raggiunge, ne uccide quattro, fa un prigioniero, che ho posto in libert�, perch� non aveva fatto uso del suo fucile.

Sette ore della sera. — Giungiamo ad Alliano, dove la popolazione ci riceve col prete e colla croce alla testa, alle grida di Viva Francesco II; ci� non impedisce che il maggior disordine non regni durante la notte. Sarebbe cosa da recar sorpresa, se il capo della banda e i suoi satelliti non fossero i primi ladri che io abbia mai conosciuto.

10 novembre.

Nove ore del mattino. — I miei avamposti mi avvertono che una forza nemica � comparsa sull’Ancinella. Io esco immediatamente per incontrarla e mi accorgo che � un corpo di 550 a 600 uomini. Faccio riunire la mia gente, che non supera i 400 uomini in faccia ad essi, e attendo le disposizioni del nemico per prenderle noi. Mi persuado ben presto che il capo piemontese era un nemico che non conosceva il suo mestiere. Vedendo la sua inesperienza, mi rivolgo ai miei soldati e prometto loro la vittoria, ove mi prestin fedo: me ne fanno sicuro, ed io mi pongo in marcia. Allorch� ebbi raggiunto la cappella, distante un tiro di fucile e sul declive del villaggio, invio la prima compagnia sotto gli ordini del (maggiore,) capitano Don Francesco Forne prevenendolo spiegare in bersaglieri la meta della sua forza e di seguire col rimanente per proteggerli, percorrendo la via che da Albano conduce al fiume.

423

Nel tempo medesimo ordino al luogotenente colonnello di cavalleria comandante la seconda compagnia, di marciare sopra una cresta che il terreno forma a dritta, o di prender il nemico di fianco; il che esegu� con grande precisione, mentre la prima compagnia lo attaccava di fronte.

Siccome lo spazio del letto del fiume � assai grande, cos� ho posto la cavalleria a retroguardia della prima compagnia ordinandole di passar il fiume e di porsi in un'isola piantata di olivi per prender il nemico alle spalle.

Quanto a mo col resto dell’infanteria marciai in colonna al centro delle due ali per proteggerle in caso di scacco: mal’impulso delle due compagnie e stato cos� vivo, che il nemico non ha potuto sostener il primo scontro. Vedendolo sbandato attesi che la cavalleria gli facesse mettere le armi a basso. Vana speranza. Guardo e la vedo alla mia dritta a piedi, in un burrone che faceva fuoco, anzi che eseguire i miei ordini. Questa circostanza ha reso dubbiosa l'azione; ma siccome a colpi di sciabola ho fatto avanzare la cavalleria, e ho marciato rapidamente colla riserva verso il centro del fiume, ho avuto il di sopra anche una volta sul nemico, il quale si � riunito ai piedi di un mulino. Vedendolo in una posizione forte, ho staccato una sezione della mia compagnia di riserva per prenderlo alle spalle, mentre la prima compagnia lo attaccava di fronte e la seconda a sinistra. Questa manovra � bastata per sloggiarlo dalla sua formidabile posizione; ma siccome l'altezza della montagna che dal mulino si spinge fino a Steggiano � piena di piccoli colli che si difendono da s� stessi, il nemico si � nuovamente riformato e ba preso l'offensiva caricandoci alla baionetta. La seconda compagnia ha sostenuto la mischia per dieci minuti sulla dritta e la prima ha fatto altrettanto a sinistra. In questo tempo son potuto giungere con la riserva, e allora la sconfitta del nemico � stata completa.

424

Egli si � sparpagliato per i boschi, ma noi abbiamo ucciso 40 individui, fra i quali un luogotenente che � morto da eroe mentre ci caricava alla baionetta: abbiamo fatto cinque prigionieri che si sono arruolati nelle nostro truppe...

Abbiamo fatto alto a un miglio da Astagnano lasciando in pace i nemici.

Le nostre perdite sono meschinissime, il che � piuttosto un miracolo che frutto del caso. Il luogotenente colonnello Don Agostino Lafont ha ricevuto un colpo di una bocca di cannone al di sopra del sopracciglio dell'occhio sinistro: ma non � nulla: un altro soldato ha avuto una parte della testa sfiorata da una palla; ecco tutto.

Dopo un'ora di riposo, un corriere di Astagnano viene ad avvertirci che la popolazione ci attende, e ci prega di andarvi. In conseguenza di che faccio metter la truppa sotto le armi, e mi pongo in marcia. Appena avevamo sfilato, scorgo delle croci e de' preti che venivano verso di noi, e una folla immensa che riempiva la strada con bandiere bianche e gridava Viva Francisco II. In mezzo a tale entusiasmo siamo entrati trionfalmente nella citt�, con ordine ai soldati, che abbiamo pagati prima di allogiarli, di osservar la pi� stretta disciplina. Ma siccome hanno l'abitudine del male, hanno cominciato a farne delle loro solite, di guisa che siamo stati costretti a fucilarne due; provvedimento che ha ristabilito subito l’ordine.

11 novembre.

Astagnano. Abbiamo passato la giornata tranquillamente, o meglio lavorando. Ci si presentarono 300 uomini di diversi paesi, di guisa che.... contiamo 700 uomini assai bene armati

425

12 novembre.

Nove ore del mattino. — Partiamo da Astagnano per recarci a disarmare i Nazionali di Cirigliano e al primo luogo

siamo rimasti due ore, o per meglio dire ne siamo usciti a un'ora e mezzo della sera per recarci al secondo: ma quando siamo stati al principio della salita, fummo avvertiti che il nemico era ad un miglio di distanza. Vedendo la mia posizione assai compromessa, inviai il maggior Fonie comandante la prima compagnia al villaggio, ed io col resto della forza presi posizione sulle alture che avevo alla mia sinistra: una volta che fui in grado di difendermi, attesi spiegato in battaglia, gli eventi. Dopo un quarto d’ora scorsi la testa della colonna nemica forte di 1200 uomini, che si poneva nella strada che divide i due villaggi suddetti; ma era troppo tardi. Comprendendo la forza della mia posizione ho offerto la battaglia al nemico, il quale ha manovrato fino al cadere della notte, senza nulla intraprendere. Dopo di che ci ponemmo in marcia diretti al bosco di Montepiano di Pietra Portassa.

13 novembre.

Sei ore del mattino. — Partiamo dal bosco, facendo via verso l'Autura: arrivando in questo luogo ho fatto, malgrado la volont� di Crocco accampar la truppa per prevenire una sorpresa e il disordine, ordinando che ci fosse recato del pane e del vino, il che � stato eseguito di buon grado. Mentre si distribuivano le razioni, il clero vestito de' suoi abiti sacerdotali, colla croce alla testa, si � presentato per complimentarci, e per pregarmi di andar ad ascoltare una messa co' miei officiali: l'ho ringraziato, dicendo che sebbene io desiderassi moltissimo di accettar tal proposta, non mi era possibile: tuttavia ho aggiunto che quanto era differito non era perduto. In questo mentre fui avvertito che il nemico veniva incontro a noi: ho fatto riunire la truppa e ho congedato i preti.

426

Nove ore e mezzo. — Gli avamposti scuoprono il nemico, ed io mi pongo in moto per prendere posizione ad Arause, [ove giungo a mezzogiorno.

Due ore della sera. Il nemico � alle viste. Faccio battere la generale e gli offro battaglia: il nemico si pone sulle difensive.

Sei ore della sera. — Mi ripiego nel bosco chiamato la macchia del Cerro, dove ci accampiamo per passarvi la notte.

14 novembre

Sei ore del mattino. — Ci mettiamo in marcia verso Grassano, dove giungiamo a 10 ore del mattino. Alloggiamo la truppa, e i nostri capi vanno a rubare dove pi� lor piace.

Due ore della sera. — Il nemico si avvicina, o gli offro battaglia, ma egli non l’accetta, sebbene abbia il doppio della mia forza. Ci scambiamo alcune fucilate nel resto della giornata.

Otto ore fi sera. — Vedendo che il nemico non sa decidersi, lascio gli avamposti, o mi ritiro con tutto il rimanente della mia forza in citt� per passarvi la notte.

15 novembre.

Sette ore e mezzo del mattino. — Il nemico rimane nelle stesse posizioni di ieri sera.

Otto. Ritiro i miei avamposti, per andare verso San Chirico ove sono giunto verso le undici: ho fatto alloggiare un officiale in casa del capitano delle guardie nazionali per impedire che gli si arrecasse del danno, e credo che questi me ne fosse grato. In questo luogo ci � stato un po' d’ordine; il che mi ha fatto un gran piacere.

Tre ore di sera. — Ci mettiamo in via per attaccare il villaggio Loaglo: ma ad un miglio di distanza ci accampiamo e aspettiamo il giorno.

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16 novembre.

Sei ore del mattino. — Riconosco la posizione e la trovo fortissima; malgrado ci�, mando innanzi la quarta compagnia per attaccar la sinistra del villaggio: invio la terza sulla dritta: la prima al centro: il resto dell’infanteria rimane con me sull'altura a dritta della nuova strada e in faccia al villaggio.

Destino una parto della sedicente cavalleria a sinistra e una parte a diritta, e questa per togliere la ritirata del nemico a Potenza. Allorch� l’infanteria � giunta al ponte che trovasi a' piedi della salita, il nemico fa una forte scarica e ferisce un uomo della prima compagnia; ma la truppa si slancia all’assalto. Il nemico accortosi della nostra fermezza, ripieg� e si racchiuso in un gran palazzo: una parte fugge per cadere nelle mani de' nostri, che li massacrano.

Il capitano della prima compagnia attacca il palazzo e l'incendia con della paglia e con delle legna resinose: il nemico cominci� a saltare da un balcone: ma in questo mentre, taluno, non so chi, si permett� di far batterla generale: la truppa si riunisce e l’operazione rimane incompiuta. Due do' nostri feriti rimangono nel villaggio: abbiamo due morti e alcuni feriti.

Cessato l'allarme, ci mettiamo in marcia per attaccare Pietragalla, dove giunge alle 3 della sera. Riconosciuta la posizione, invio la terza e la quarta compagnia sulla diritta della citt�, la quinta e la sesta con porzione della cavalleria verso la sinistra, la prima e la seconda verso il centro. Il nemico in forti posizioni dietro una muraglia apr� un fuoco vivissimo. Ma il maggior Don Pasquale Marginet, luogotenente della seconda compagnia, si slancia come un fulmine seguit� da alcuni soldati e si impadronisce delle prime case della citt�.

Il capitano lo segue col resto della compagnia, e la citt� meno il castello ducale, ove i nemici si sono racchiusi, fu presa in un batter d’occhio.

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Abbiamo avuto quattro morti e cinque feriti, o piuttosto 9 feriti ne' punti che abbiamo attaccato, e fra essi il luogotenente Laureano Carenas. Compiuto il fatto, abbiamo preso alloggio, per non esser testimonio di un disordine contro il quale sono impotente, perch� mi manca la forza per far rispettare la mia autorit�. Temo che Crocco, il quale ha molto rubato, non commetta qualche tradimento.

17 novembre.

Dieci ore del mattino. — Ci riuniamo per accamparci nel bosco di Lagopesole, ove giungiamo a quattro ore della sera. Crocco ci lascia sotto pretesto di andare a cercare del pane, ma temo che sia piuttosto per nascondere il danaro e le gioie che ha rubato durante questa spedizione.

18 novembre.

Un'ora dopo mezzogiorno — Siamo nel medesimo bosco senza Crocco e senza pane. La condotta del capo ha fatto s� che in tre giorni abbiamo perduto la met� della forza, circa 350 uomini.

Quattro ore della sera. — Noi sloggiamo per accamparci ad un miglio pi� lontano. — Crocco non � venuto.

19 novembre.

Otto ore del mattino. — Crocco � giunto, ma non si � presentato ancora dinanzi a me.

Mezzogiorno. — Crocco ha fatto battere I appello dopo aver tirato diversi colpi di fucile. Monto la collina e chiedo cosa significhi ci�. Crocco mi risponde che noi dobbiamo andare ad attaccare e prendere Avigliano, citt� di 18 mila anime. Gli dissi che era impossibile, che i Nazionali di quella citt� erano superiori in numero. Mi obbiett� che in qualche luogo dovevamo andare: gli risposi che... ci attendeva con impazienza: replic� che ci� gli andava a genio e che mi vi condurrebbe.

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Dopo ci� disparve, e and� a consigliarsi con gente che non avrebbe mai dovuto ne vedere ne ascoltare, e venne a dirmi che potevamo metterci in cammino; il che facemmo.

Dopo aver marciato per qualche tempo chiesi ad un uomo del paese, quale era la via che noi seguivamo. Mi rispose esser quella di Avigliano. Non ho di ci� parlato ad alcuno: ma ho pensato che quell'uomo senza fede mi aveva ingannato. Non era passato un quarto d’ora che il maggiore di cavalleria venne a dirmi: Mio generale, noi prenderemo una graziosa citt�. —Noi andiamo a Avigliano, dunque? gli chiesi — S�, signore — Ebbene io protesto contro questa impresa.

Tre ore e mezzo di sera. — Siamo giunti ad Avigliano: Crocco mi dice di prendere le disposizioni opportune per assalirla e impadronirsene. Gli rispondo che avendo fatto egli il contrario di quanto avevamo stabilito, prendesse le disposizioni che pi� gli piacevano, dacch� io non voleva assumere la responsabilit� di una impresa che non poteva riuscire. Allora ha fatto attaccare la piazza con tutta la forza e senza lasciar riserva; aperto il fuoco, egli si � ritirato sulle alture e vi � rimasto per vedere 'ci� che accadeva.

Il fortino che � al fianco della citt� e al settentrione fu preso di primo slancio dalla prima compagnia sostenuta dalla seconda: ma non si � potuta prendere una cappella che si trova sulla stessa linea e protegge le vicinanze del centro della citt�. La diritta � stata attaccata dalla forza rimanente, ma � stata tenuta in scacco da un muro che serv� di barricata alla parte di ponente della citt�. In breve, la notte � sopraggiunta e con essa una nebbia e una pioggia intollerabile, tanto era fredda. Crocco ha fatto suonare la ritirata e ci siamo condotti ad una piccola borgata chiamata Pavolo Duce, dove abbiamo passato gelati e bagnati fino alla polle una pessima notte........................................

Questa circostanza, unita ai disordini precedenti, ha scemato la nostra forza, che era assai piccola. Durante la notte non ho mai potuto sapere dove fosse Crocco.

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20 novembre.

Cinque ore del mattino. — Faccio battere la sveglia.

Sei ore e mezzo. Faccio batter l'appello. Ninco Nanco si presenta e mi dice che mi servir� di guida, come ha poi fatto. Dopo una mezz'ora di marcia, mi vien detto che Crocco si trova ad una piccola casa di campagna alla distanza di 200 passi a sinistra della strada da noi percorsa. Nel momento medesimo (8 ore) mi fa avvertire di far alto, mi fermo e l'aspetto, ma inutilmente.

Nove ore del mattino. — Ninco Nanco, Donato, e un altro degli ufficiali mi dicono che Crocco ci ha lasciati. Riunisco gli ufficiali tutti per chieder loro che intendono di faro, assicurandoli che io era deciso di andar fino in fondo, so avessero persistito ne' loro propositi. Bosco prende la parola e discorre assai bene: ma un altro ufficiale dice, che i soldati non ci seguiranno se saranno comandati da ufficiali spagnuoli; che d’altra parte io era destinato al comando in Basilicata, il che mi spieg� tutti gli intrighi di costui. Pure ho fatto dare la dimissiono a tutti i miei uffiziali, per provare a quelli della banda che noi serviamo per devozione e non per interesse. De Langlois durante questa riunione si � tenuto in disparte, ma ascoltandone il resultato. Comprendendo che egli era l'animo di tutto ci�, ho detto agli uffiziali della banda di deliberare fra di loro, promettendo di aderire alla loro decisione.

Terminata la deliberazione, hanno posto gli ufficiali della banda a capo delle compagnie e De Langlois alla loro testa, senza che io sia stato fatto consapevole di quanto avevano risoluto sebbene mi sia facile intenderlo, giacch� de Langlois d� ordini, fa batter l'appello ce. senza dirmi perch�, senza domandarmene licenza. In breve sono stato destituito e anche con malgarbo.


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21 novembre.

Ieri sera De Langlois mi invi� il suo aiutante per prevenirmi di esser pronto a partire oggi alla punta del giorno: pure sono le otto e siam sempre nel bosco di Lagopesole.

Otto ore e mezzo. — Ci mettiamo in marcia per andare non so dove.

Nove ore e mezzo. — Facciamo alto in uno spulito d'onde scopriamo Rio nego.

Dieci e 45 minuti. — Ci mettiamo in marcia per andare a Santa Laria dove arriviamo a un ora e 45 minuti.

22 novembre.

Noi ci mettiamo in marcia a 6 ore e mezzo del mattino diretti alla Bella, ove giungiamo a mezzogiorno. De Langlois si ferma, riunisce la truppa, ed io che mi trovo alla retroguardia mi fermo del pari. De Langlois viene a trovarmi per chiedermi se contavo di prendere il comando per attaccar la citt�. Gli rispondo, che colui che tutto si arroga deve dar la direzione anche a questo affare. Non sapendo che rispondere, se ne � andato o ba preso le sue disposizioni, per provarmi senza dubbio che non � mai stato militare: ora sono quattro ore da che abbiamo attaccato questa posizione, senza che siasi potuto prenderla, e pure un quarto d’ora bastava per impadronirsene.

Quattro ore � della sera. — La citt� � attaccata da ambo le parti, poich� vedo bruciare tre case; ma il fuoco del nemico non rallenta in guisa alcuna.

Sei ore della sera. — Abbiamo preso una strada verso la parte meridionale della citt�: il centro e una gran parte del settentrione resta in potere dei rivoluzionari. La parte di cui ci siamo impadroniti comincia a bruciare in un modo spaventoso.

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23 novembre

Sei ore e meno del mattino. — Usciamo dalla citt� o meglio dalla terza parte di cui ci eravamo impadroniti. Un luogotenente vi resta ferito mortalmente. Andiamo a rinunirci al levante sotto il tiro de' nemici.

Otto ore e mezzo. — Ci mettiamo in marcia per raggiungere le forze sparse, che si trovano dalla parte meridionale della citt�.

Dieci ore — Crocco, che � ricomparso ieri, brucia le ville che si trovano nella parte di ponente della citt�.

Undici ore — Ci mettiamo di nuovo in marcia diretti a Mure.

Mezzogiorno — Alcuni colpi di fucile si odono dall’avanguardia: l'infanteria grida all'arme: la cavalleria si spinge innanzi. Ben presto mi accorgo che si distribuiscono le compagnie in varie direzioni e malamente.

Un'ora. — Arrivo al culmine della serra e vedo tutta la nostra gente dispersa. Alcuni colpi di fucile si scambiano contro una capanna: vi vado per veder di che si trattava. A mezza strada trovo Crocco e Ninco Nanco che fuggono a spron battuto. A malgrado di ci� mi inoltro, sebbene non avessi alcun ordine, per sapere il numero de' nemici che ci attaccavano. In questo istante scorgo De Langlois che, solo, si mette in salvo dalle palio nemiche. Gli chiedo dove sono i capitani delle sue compagnie. Non mi risponde. Tiro innanzi cogli ufficiali che mi rimangono e con alcuni soldati italiani e scuopro il nemico, che uccide con un colpo di fuoco uno di questi ultimi. Faccio una recognizione e mi accorgo che la sua sinistra si d� alla fuga e che la destra appoggiata ad un boschetto di querci, sostiene la posizione. I nostri soldati vedendosi senza ufficiali si sbandano, abbandonano i feriti, il frutto delle loro rapine, i bagagli e alcuni fucili e fuggono dinanzi a 40 guardie nazionali, provenienti da Balbano. In mezzo a questi disordini, noi ci siamo riparati verso un piccolo fiume, che scorre ai piedi di una montagna, e traversatolo, De Langlois ha fatto riformare la sua truppa, lo che non gli � stato difficile, non avendo il nemico osato seguirci. Indi dopo aver fatta via,

433

seguendo il corso del fiume che dal settentrione scende a mezzogiorno, e dopo un'ora di marcia abbiamo incontrato una compagnia di 47 uomini, egregiamente formata e disciplinata. Questa forza ci ha preceduti e noi l'abbiamo seguita nella direzione di Balbano, ove siamo giunti a 7 ore di sera. La citt� era illuminata, e al nostro ingresso fummo gradevolmente assordati dalle grida di Viva Francesco II.

Il vescovo, alcuni preti e la guardia nazionale si racchiusero nel castello situato al mezzogiorno, in una posiziono inespugnabile. I nazionali ci ban fatto dire che sarebbero ben contenti se avessimo rispettato le propriet�, e che non avrebber fatto fuoco sopra di noi, se non quando i nostri avessero tirato su di essi. Il capitano � uscitole si � abboccato con Crocco. Don Giovanni e De Langlois sono stati al castello, ma ignoro ci� che abbian detto e fatto. So unicamente che la cosa che mi � pi� grato scrivere si � che l'ordine il pi� completo ha regnato nella citt� durante la notte.

24 novembre

Balbano, sette ore e mezzo del mattino. Ascendiamo la montagna, e allorch� siam giunti a mezza via per una contromarcia ci dirigiamo a Ricigliano, dove siam giunti a un'ora dopo mezzogiorno, e dove siam ricevuti con ramoscelli d’olivo in mano.

Undici ore della sera — I disordini pi� inauditi avvennero in questa citt�; non voglio darne i particolari, tanto sono orribili sotto ogni aspetto.

25 novembre

Sei ore del mattino. — Ci riuniamo: ma siccome a ci� si richiede un gran tempo, non so se per marciare o per qualche altro motivo.

Otto ore e mezzo. — Crocco ordina all'avanguardia di avanzare, perch� il nemico segue le nostre traccie.

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Nove ore. — Odo una fucilata assai viva.

Nove ore e cinque minuti. — e i nazionali si ritirano. I Piemontesi in numero di 100 hanno preso una forte posizione e non si muovono.

Mezzo giorno e 45 minuti. — Ci riuniamo e riprendiamo la marcia diretti ad alcune baracche distanti cinque miglia, nelle quali ci riposiamo assai male, avendo un freddo orribile.

26 novembre

Nove ore e mezzo del mattino. — Ci mettiamo in marcia in mezzo a monti altissimi e freddissimi. A mezzogiorno scendiamo la montagna e scuopriamo un distaccamento di 40 uomini: si preparano al combattimento, ma senza aver il coraggio di resistere al primo scontro; una carica di cavalleria bast� per farli fuggire a Castello grande.

Due ore e mezzo di sera. — Proseguiamo il nostro cammino alla volta di Pescopagano, ove giungiamo a 3 ore e 45 minuti della sera. La citt� � investita; una viva fucilata si impegna, ma i nostri soldati oscillano. Il luogotenente colonnello Lafont e il maggior Forne, fermandosi, dicono alla truppa: e noi non abbiamo comando: pure, se volete seguirci, prenderemo la citt� Ottenuta risposta affermativa, si slanciano e si impadroniscono della posizione in un quarto d’ora.

27 novembre. 1

Cinque ore del mattino. — Invio il capitano di cavalleria Martinez a Crocco per fargli dire esser tempo di suonare la diana, ma egli non presta attenzione alla mia preghiera.

Sei ore del mattino. — Vedendo che non si fa suonarl’appello, vado in cerca di Crocco: egli era nella strada discorrendo con taluno de' suoi. Giungo e lo saluto, e gli dico subito esser mestieri uscire dalla citt�, altrimenti avremmo perduto molta gente.

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1 Qui nel manoscritto sono cinque versi cassati in guisa tate, ehe � impossibile leggervi ci� che v'era scritto.

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In questo momento giunge un trombetta, ed io gli ordino di suonar l'appello alla corsa. Crocco glielo proibisce: lo prego allora di far suonare l'appello ordinario: lo nega. Riflette un momento e subito dopo se ne va ed io, prevedendo il pericolo che ci minaccia, me ne vado del pari. Il resultato di ci� � stata la perdita di 25 uomini, secondo gli uni, di 40 secondo gli altri. � certo per� che abbiam perduto molti soldati di linea e anche alcuni cavalli. — La mancanza di soldo, il disordine e l'apparizione di una forza assai considerevole producono la dispersione della banda.

Quattro ore di sera. — La forza nemica di cui ho parlato disopra sta sempre di fronte a noi, ma non osa attaccarci.

Cinque ore. — Entriamo nel bosco di Monticchio dove ci accampiamo, digiuni e senza pane.

Sette ore del mattino. — Ci mettiamo in marcia per internarci nel bosco.

Mezzogiorno. — Facciamo alto nel centro del bosco senza aver pane: la banda s� scioglie.

Mezzogiorno e mezzo — Ci prepariamo a marciare ma non so dove; se la direzione che prenderanno non mi ander� a genio, prender� la via di Roma.

Tre ore della sera — Scena disgustosa. Crocco riunisce i suoi antichi capi di ladri e d� loro i suoi antichi accoliti. Gli altri soldati sono disarmati violentemente; prendono loro in specie i fucili rigati e quelli a percussione. Alcuni soldati fuggono, altri piangono. Chiedono di servire per un po' di pane: non pi� soldo, dicono essi: ma questi assassini sono inesorabili. Si danno in braccio a capitani della loro tempra, e li congedano dopo un digiuno di due giorni.

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Tutto ci� era concertato, ma lo si nascondeva con molta astuzia. Alcuni soldati venivano da me piangendo, mi prendevano lo mani e me le baciavano dicendo: — Tornate con una piccola forza, e ci troverete sempre pronti a seguirvi.

Per conto mio pregai Crocco a salvar questa gente e piangendo con i soldati, per quanto era in mio potere, cercai di consolarli.

29 novembre.

Abbiamo marciato tutta la notte.

30 novembre.

Abbiamo marciato assai, o vinti dalla fatica facciamo alto...

Dopo la data del 1. Decembre, il giornale di Borjes non porta clic alcuni nomi di localit�, e l’abbozzo di una lettera al generale Clary, narrandogli brevemente il combattimento della vigilia. Il manoscritto originale fu inviato a Torino, ove � deposto al Ministero degli affari esteri.

Ora ci resterebbe di seguire la traccia del capobanda Borjes fino al momento ch'egli cadde nelle mani del Maggiore Franchini il quale lo arrest� nei dintorni di Tagliacozzo: ma questo ne sarebbe quasi impossibile. Fu veduto nella Terra di Lavoro sul punto di prendere la frontiera; egli si diriggeva verso Perscaroli a due leghe da Svezzano. Fece una aggirata e travers� il villaggio della Scurcola a 10 ore della sera, passando innanzi ad un posto di guardia nazionale, e rispondendo al Chi viva con il motto Siamo mercatanti di castagne, come gli aveva raccomandato la sua guida.

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Dopo passato Tagliacozzo, Borjes credevasi di essere omai in salvo: egli era a tre ore dalla frontiera romana. Fece alto perci� ed accord� alcune ore di riposo agli uomini suoi, estenuati di fatica. In questo tempo furono avvisate le autorit� militari italiane, ed una colonna comandata dal Maggiore Franchini giungeva i fuggiaschi in una capanna, dove si difesero da disperati, ma furono presi. Tuttavia fu questa un'operazione ben dura secondo il rapporto fattone del comandante del 1. battaglione dei bersaglieri al generale Lamarmora.

Tagliacozzo, add� 9 die, N. 450.

Alle ore 11 � della sera del 7, una lettera del sig. Sottoprefetto del circondario m'avvis� che Borjes, con 22 suoi compagni a cavallo, era passato da Paterno dirigendosi sopra Scurcola; un'altra, alle 3 � del mattino degli 8, del sig. Comandante i Reali Carabinieri da Capello mi faceva sapere che alle 8 di sera del 7 avevano i medesimi traversato detto paese, e che tutto faceva credere avessero presa la strada per Scurcola e S. Maria il Tufo.

Dietro tali notizie, io spediva tosto una forte pattuglia comandata da un sergente verso la Scurcola colla speranza d’incontrarli, ed altra a S. Maria comandata da un caporale per aver indizii se mai i briganti fossero col� arrivati; ma costoro prima degli avvisi ricevuti avevan di gi� oltrepassato Tagliacozzo e traversato chetamente S. Maria dirigendosi sopra la Lupa grossa cascina del signor Mastroddi.

Certo del passaggio dei briganti io prendeva con me una trentina di Bersaglieri, i primi che mi venivano alla mano, ed il sig. luogotenente Staderini che era di picchetto, ed alle 2 prima di giorno mi metteva ad inseguire i malfattori.

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Giunto a S. Maria trovava la pattuglia col� spedita e da questa o dai contadini aveva indirizzi certi del passaggio dei briganti, ed aiutato dalla neve dopo breve riposo, celeremente prendeva le loro tracce, per alla Lupa.

Erano circa le 10 antimeridiano allorch� io giunsi alla cascina Mastroddi, ma nulla mi dava indizii ch'essa fosse occupata dai briganti, quando una cinquantina di metri circa da quel luogo, vedo alla parte opposta fuggire un uomo armato. Mi metto alla carriera, lo raggiungo e gli chiudo la strada; i miei bersaglieri si slanciano alla corsa dietro di me; ma il malfattore vistosi impedita la fuga mi mette la bocca della sua carabina sul petto e scatta; manca il fuoco; Io miro alla mia volta colla pistola ed ho la medesima sorte; ma non fall� un colpo sulla testa che lo stese a terra. I bersaglieri si aggruppano intorno a me ed a colpi di bajonetta uccidono quanti trovano fuori (cinque), altri circondano la cascina; ma i briganti avvisati fanno fuoco dalle finestre o mi feriscono due bersaglieri.

S'impegna un vivo combattimento, ed i briganti si difendono accanitamente. Infine dopo mezz'ora di fuoco, intimo loro la resa, minacciando di incendiare la casa; ostinatamente rifiutano ed io volendo risparmiare quanto pi� poteva la vita ai miei bravi bersaglieri, gi� faceva appiccare il fuoco alla cascina, quando i briganti si arrendevano a discrezione.

Ventitr� carabine, tre sciabole, 17 cavalli, moltissime carte interessanti cadevano in mio potere, tre bandiere tricolori colla Croce di Savoia, forse per servire d’inganno, non che Io stesso generale Borjes e gli altri suoi compagni descritti nell’unito stato, che tutti traducevo meco a Tagliacozzo, assieme ai 5 morii, e che faceva fucilare alle ore 4 pom. ad esempio dei tristi che avversano il Governo del Re ed il risorgimento della nostra patria.

Alcune guardie nazionali di S. Maria col loro capitano, che mi avevano seguito, si portarono lodevolmente, per i quali mi riserbo a far delle proposte per ricompense al signor Prefetto della provincia.

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Il luogotenente sig. Staderini si condusse lodevolmente e mi secondava con intelligenza, sangue freddo e molto coraggio.

I Bersaglieri tutti grandemente si distinsero.

Rimetto alla S. V. Ill.ma lo stato dei candidati per le ricompense, non che tutte le carte, corrispondenze interessantissime del nominato generale Borjes e suoi compagni, persuaso che da queste il Governo potr� trarre grandissimo vantaggio.

Il magg. comand. il battaglione

FRANCHINI.

Alla notizia di questo arresto il viceconsole francese residente a Chieti, che si trovava in questo momento presso il lago di Fucino, si rese a Tagliacozzo per conoscerne le particolarit�. Egli s'intrattenne con Borjes, il quale dichiar� in sua presenza essere stato ingannato dal comitato legittimista di Parigi e dal general Clary; ch'egli aveva voluto separarsi da Crocco Donatelli e dalla sua canaglia per andare a Roma a render conto a Francesco II di ci� che avveniva nel regno di Napoli, e per questo portare con se un minutissimo itinerario.

Il maggiore Franchini aveva preso infatti fra le carte di Borjes l'itinerario sudetto, e il piano di campagna con le istruzioni del general Clary. Dal podere Mastroddi, ove ebbe luogo questa cattura, il capo spagnuolo e i suoi compagni due a due furono condotti a Tagliacozzo. Nel tragitto essi parlarono poco, e fumarono dei sigari; frattanto Borjes, rimettendo la sua spada al Maggiore Franchini, gli disse:� Va bene — mio officiale — ma ringraziate Iddio, che questa mattina io son partito un'ora pi� tardi.... Avrei guadagnato gli Stati romani, e sarei tornato con nuove bande a dismembrare il regno di Vittorio Emanuele.�

Consegnati in Tagliacozzo ad un corpo di guardia, Borjes e i suoi compagni, dimandarono di potersi confessare.

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Furono condotti due per due in una cappella, quindi chiesero carta ed inchiostro per iscrivere, ma un solo Pietro Martinez segn� queste parole: � Noi siamo rassegnati alla fucilazione; ci ritroveremo nella valle di Giosafat. Pregate per noi! �

Venuto il momento della esecuzione, Borjes grid�: �Noi siamo all’ultimo istante, moriamo da bravi� Poi abbracci� i suoi compatrioti, raccomand� ai bersaglieri di ben mirare, s'inginocchi� ed intuon� le litanie in lingua spagnuola. I suoi compagni ebbero appena il tempo di rispondere, che s'ud� lo scoppio dei fucili, e tutti caddero morti.

Non rest� che un solo compagno di Borjes; un certo Agostino Capdeville, che la guardia nazionale trov� nascosto e malato in una grotta della Basilicata.

Il corpo dell’ex-carlista spagnuolo fu richiesto al generale Lamarmora dal principe di Scilla per essere mandato a Roma. Questa disumazione cagion� una grande indignazione nel paese. Numerose proteste furono indirizzate su questo proposito a Napoli ed a Torino dalle municipalit�, massime dai villaggi della frontiera.

Dopo aver seguito il racconto di Borjes, apprendiamo dalla Gazzetta ufficiale del regno, quali furono gli spedienti presi dall’autorit� italiana per arrestare la marcia di questo capo reazionario che operava d’accordo con la banda dell’ex-galeotto Crocco Donatelli.

Gli ultimi avvenimenti della provincia di Basilicata commossero la pubblica opinione, e il Ministero ravvis� suo debito appurare i fatti, di cui le prime notizie pervenivano incerte e discordi prima di darne conto al pubblico per mezzo della stampa.

Le prime notizie ufficiali ricevute dal ministero sui fatti di brigantaggio nella Basilicata risalgono agli 8 novembre. A questa data il prefetto di Potenza partecipava che lo spagnuolo Borjes, scampato, a quanto pare, alla sconfitta sofferta nelle Calabrie e riunitosi con una ventina dei suoi spagnnoli ai rimasugli della banda Crocco, poco prima dispersa dal generale Della Chiesa, invadeva improvvisamente il 3 verso notte il comune di Trivigno.

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Al primo avviso di questo fatto si davano pronte disposizioni dal prefetto di Potenza, facendosi avanzare truppe da Matera e Lagonegro. I Comuni minacciati preparavansi animosamente alla difesa, o chiamavano sotto le armi le guardie nazionali.

La piccola colonna di truppa mista a guardia nazionale che si era avanzata da Matera, s'imbatt� a Salandra col grosso della banda; ma soprafatta dal numero soverchiante dovette retrocedere. Alcuni altri Comuni circonvicini ebbero in conseguenza di ci� a patire la stessa invasione. Il prefetto di Potenza, all’annunzio di questi fatti ordinava tosto la mobilizzazione di 400 uomini di guardia nazionale, la quale rispose con incredibile slancio all'appello dell’Autorit�. Se ne formarono varie colonne, le quali si diressero tosto sul teatro dell’azione comandate dal maggiore della guardia nazionale di Potenza.

Prima per� che queste forze avessero potuto raggiungere i briganti, questi avevano gi� occupato e saccheggiato Stigliano che si tent� invano di difendere da una piccola colonna di guardia nazionale e di truppa mandata dal capitano Pelizza il quale in questa fazione perdeva miseramente la vita con 15 soldati.

Questi combattimenti disuguali riusciti favorevoli ai briganti ne accrebbero il numero e l'audacia. Abbandonata la saccheggiata Stigliano ed avanzandosi verso la marina, dalla quale speravano aiuti e rinforzi, giunsero presso Craco, dove per� le truppe accorse dalle vicine provincie e lo numerose colonne di guardia nazionale tolsero loro lo andare pi� oltre.

Ripiegatasi allora e schivando le forze che movevano a circondarla, la banda giunse il lo a Grassano, dove ebbe luogo uno scontro colla peggio dei briganti, che vi perdettero molti dei loro e abbandonarono armi, munizioni e cavalli.

Inseguiti sempre da vicino dalle forze nazionali e sfuggendo loro grazie alla natura dei luoghi selvosi, alpestri ed impraticabili, i briganti giunsero il 16 a Vaglio, a poche miglia da potenza, e l'occuparono commettendovi i soliti eccidii.

La notte dal 16 al 17 giunse avviso al prefetto di Potenza che i briganti intendevano assalire la citt�, calcolando sullo scoppio di un moto reazionario.

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Ma le disposizioni pi� energiche erano gi� state prese dal prefetto. La G. N. era gi� accorsa numerosa oltre al solito, e rimasta lunghe ore sotto le armi, e la citt� stava pronta alla difesa, sicch� i briganti avvertiti dello stato delle cose, e sventata la reazione della quale eransi lusingati, desistettero da ogni attacco e si ripiegarono a Cancellara. Svanito questo pericolo merc� l'attitudine risoluta ed energica dell’Autorit� e dei Cittadini di Potenza, il Prefetto spediva immediatamente una colonna di G. N. e di carabinieri con ordine di portarsi nei comuni invasi per richiamarvi le autorit�, riorganizzarvi le guardie nazionali disarmate e disfatte, mobilizzarne piccoli drappelli, procurare la restituzione degli oggetti derubati e restituirvi l'ordine.

I briganti intanto respinti da Potenza giunsero il 17 a Pietragalla, donde furono cacciati dagli abitanti rinchiusi in un castello. Vi lasciarono moltissimi morti e trasportarono con se i loro feriti tra i quali si suppone trovarsi il capobanda Crocco gravemente ferito all’omero destro. Ebbero quindi a soffrir nuove perdite dalla guardia nazionale di Acerenza accorsa alla difesa di Pietragalla dove furono sei case bruciate e sei vittime. Fra i briganti fatti prigionieri in questo scontro e quindi fucilati trovaronsi due svizzeri da lunghi anni domiciliati nella provincia.

Da Pietragalla i briganti portaronsi il 10 su Avigliano e ne furono ugualmente respinti.

Fuggiti di l� attaccarono al loro passaggio il comune di Bela. Se ne impadronirono il 22 verso le 4 pomer. dopo sei ore di fuoco e vi uccisero undici cittadini liberali, tra i quali l'arciprete ed altri ecclesiastici. Raggiunti ed attaccati da 250 uomini di truppa e Guardia Naz. abbandonarono Bella, e si rifuggirono nei boschi di Muro, donde si rivolsero il 23 sopra Baragiano. Sopraggiunta col� una compagnia di truppa partita da Picerno, i briganti scamparono a Balvano, e la sgombrarono, quindi precipitosamente all’avvicinarsi della truppa, abbandonando la Basilicata passarono nella provincia di Salerno, dove ebbe luogo un lieve scontro colla morte di undici di essi.

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In questi punti i briganti lasciarono dei morti vestiti con uniformi borboniche ed alla zuava; furono pure sequestrate uniformi e carte, le quali diedero la traccia alle Autorit� per far perquisizioni ed arresti numerosi. E notevole che fra mezzo a tali avvenimenti le operazioni di leva sono procedute e continuano a procedere regolarmente.

Secondo le ultime informazioni ricevute dal Governo, la banda ascendeva dagli 800 ai 1000 uomini. Muovi e numerosi rinforzi sono giunti al gen. Della Chiesa, il quale ha gi� incominciato le sue operazioni per circondarli e sopraffarli. Il generale trovavasi il 27 a Vietri a cavallo delle due grandi vie che conducono l'una nella Basilicata, l'altra nelle Calabrie. I mezzi de' quali egli dispone, l'ottimo spirito delle truppe e delle G. N. ch'egli ha sotto i suoi ordini, danno piena fiducia nell'esito pronto e felice delle sue ulteriori operazioni.�

III.

Le carte prese addosso a Borjes nel suo arresto, avevano confermato le autorit� italiane nelle rivelazioni ch'esse avevano ottenute di una nuova cospirazione borbonica a Napoli.

Digi� il 3 Decembre di buon'ora tutti i cocchieri delle vetture da nolo, in numero di pi� centinaja avevano percorso Toledo schiamazzando e obbligando i cocchieri che non erano intesi con loro, a rientrare con le loro cittadine, e procedevano anche a minacce e vie di fatto contro gl'omnibus. La causa di cos� fatto sciopero era assurda non ch� ingiusta. I carrozzieri da nolo fra' quali la camorra era pi� che in altra classe organizzata e potente, pretendeva prima, che nessuno, il quale non fosse ab origine del loro mestiere, tentasse speculazione delle carozze da nolo e degli omnibus. Essi avrebbero voluto il pieno monopolio di una tale speculazione. Due nuovi omnibus messi al servizio del pubblico la sera, dalla compagnia del circo equestre Guillaume, portarono al colmo l'esasperazione de' camorristi.

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Tentarono nella sera stessa distruggere uno di quegli omnibus, ma l'opportuno intervento della guardia nazionale li f� stare a segno. L'indomani egualmente le pattuglie della guardia stessa dispersero i malcontenti, autori dello sciopero, e alle dieci le cittadine incominciarono a circolare di nuovo. La cosa non ebbe altro seguito.

Sarebbe quasi superfluo aggiungere che in questo, come in altro tafferuglio di simil genere, l'elemento borbonico ebbe larga parte soffiando nel fuoco, ed eccitando le interessate passioni di quella classe di uomini, i quali senza i loro perfidi incitamenti non sarebbero certo trascorsi, senza alcun ragionevole pretesto a quelle sciocche dimostrazioni.

Perci� la Questura fece una caccia colossale di cospiratori reazionarii, sorprendendo un notevole numero di armi in diversi punti ed una quantit� di munizioni. L'origine della scoperta, ad onor del vero dobbiam dire fu dovuta all’iniziativa di privati cittadini, zelantissimi per la salvaguardia dell’ordine per propria conservazione.

Fra i molti arrestati, in prima riga si trov� il conto de' Camaldoli figlio dell’illustre Francesco Ricciardi, e germano di quel Giuseppe, ora Deputato al parlamento nazionale, il quale pag� con trent'anni di esilio il suo ardente amore di libert�.

Appo una signora, di nazione inglese, consorte ad un capitano borbonico furono rinvenute armi e munizioni. Costei rivel� cose rivestite da circostanze permanenti trovate vere, e perci� la Questura si vidde nel diritto di arrestare il Ricciardi. Perquisita la casa di costui ci furono rinvenute delle stampe reazionarie) ed una lista di nomi, tutti borbonici puro sangue.

Dietro altre rivelazioni fatte dal guardaporto di Cbiaja, presso di cui fu rinvenuto un deposito di moschetti e cartucce; la Questura procede all’arresto di 13 persone ed esegui molte visite domiciliari. Frutto delle quali fu la scoverta al Mercato di un'altra quantit� di fucili e cartucce, e della sede a Frisi di un comitato borbonico diretto da un personaggio di alta levatura, membro dell’aristocrazia napoletana a Parigi.

DE CRISTEN

Capo di Bande Borboniche

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Secondo appariva dai documenti trovati e dalle deposizioni fatte, la congiura aveva vaste proporzione ed era in diretta comunicazione con Roma.

Qualche giorno dopo cominci� la pubblica discussione della causa per il Comitato borbonico scoperto. I principali imputati furono monsignor Cenatiempo, due legitimisti francesi, ed il famoso De Cristen, organizzatore delle bande dei saccheggiatori durante la guerra del Volturno, capo di banda a Bauco, ove fu fatto prigioniero e rilasciato sotto parola di non pi� battersi fra i briganti; da ultimo cospiratore a Frisi con passaporto inglese e mentito nome.

Fra tutti questi tentativi di disordine, il Vesuvio quasi associandosi al pensiero emesso gi� dal generale Cialdini nel suo proclama ai Napolitani, volle far sentire i suoi ruggiti, e spaventare i nuovi cospiratori di Portici. Nella giornata dell’8 Decembre il vulcano si mise in eruzione, e la lava si diresse sovra Torre del Greco. Bentosto questo villaggio come i casini della vicinanza furono abbandonati dagli abitanti.

In questa critica situazione per le povere popolazioni, la condotta delle truppe italiane e delle guardie nazionali fu degna di grandi elogi. Malgrado i gravi pericoli che si correvano nelle vicinanze di Torre del Greco per la continua pioggia della cenere, e pi� per le profonde fenditure che solcavano il terreno, i soldati e le guardie nazionali s'affaticarono con instancabile zelo a salvezza dei mobili e delle persone, trasportando fra le braccia fanciulli e vecchi, ed aiutando nella loro fuga lo donne spaventate. Per due giorni i carrettoni militari non fecero altro che trasportare a lato della caserma dei Granili ed altri locali circonvicini, mobili e grascie e persone inferme.

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Il zelo con cui i soldati eseguivano queste operazioni, provava bene, com'essi obbedivano non solo a un dovere del loro servizio, ma anche alla voce pi� potente dell’umanit�. Non si pu� maravigliarsi dopo s� nobili esempj di simpatia dell’armata verso le popolazioni, di vedere compirsi senza difficolt�, anzi con entusiasmo le operazioni della coscrizione che erano ordinate in quel tempo dal generale Lamarmora. Una leva di 36000 uomini aveva avuto luogo per la prima volta da poi che Napoli esisteva e i coscritti partivano al grido Viva l’Italia! Viva Vittorio Emanuele!


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CAPO VIII

SOMMARIO

DIFFICOLT� MINISTERIALI — FORMAZIONE DELLA FRAZIONE RATTAZZI — I PARTITI PROFITTANO DI QUESTE DIVISIONI PARLAMENTARI — IL PARTITO D’AZIONE VOTA UN INDIRIZZO A MAZZINI — RISPOSTA DI QUESTO — IL COMITATO DI PROVVEDIMENTO ORGANIZZATO A GENOVA OFFRE LA PRESIDENZA AL GENERAL GARIBALDI CHE LA RIFIUTA — CIRCOLARE DEL COMITATO — CIRCOLARE MINISTERIALE AI PREFETTI DEL REGNO INTORNO ALLE MENE DEI PARTITI — ISTITUZIONE DEI TIRI A SEGNO — DISCORSO DEL PRINCIPE UMBERTO — DECRETO REGIO AUTORIZZANTE LO STATO A PRENDER POSSESSO DI TUTTE LE CASE DELLE CORPORAZIONI RELIGIOSE — FELICITAZIONI DEL PRIMO GIORNO DELL’ANNO A S. M. VITTORIO EMANUELE — IL DISCORSO DEL PAPA AGLI OFFICIALI PONTIFICI NELL’OCCASIONE DELLA SUA FESTA ONOMASTICA — PRATICHE DEL SIG. DE LAVALETTE NUOVO AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA PER OTTENERE L'ALLONTANAMENTO DELL’EX RE DI NAPOLI — RIFIUTO DELLA CORTE DEL PAPA, E DI FRANCESCO II ALL’AMBASCIATORE FRANCESE — III. DISORDINI IN SICILIA — RELAZIONE DELLA GAZZETTA UFFICIALE DEL REGNO DEGLI AVVENIMENTI DI CASTELLAMMARE — INTERPELLANZE INDIRIZZATE SU QUESTO PROPOSITO AI MINISTRI NEL PARLAMENTO ITALIANO.

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I.

I dibattimenti della questione romana al Parlamento italiano, il risultato negativo delle discussioni parlamentari e l’impazienza delle popolazioni in faccia allo Statu quo imposto dalla diplomazia, avevano creato al governo del re Vittorio Emanuele una situazione delle pi� difficili, ed avevano fortemente crollato il gabinetto. Un cangiamento di ministero era probabile dai primi giorni di Decembre.

La maggioranza parlamentare aveva voluto rafforzare il gabinetto Ricasoli, introducendovi il conte Ponza S. Martino, uno dei pi� distinti uomini per abilit� politica, ma era stato forza rinunziare a mettere insieme l’antico luogotenente del re nelle provincie napoletane, e i ministri che l'avevano richiamato da queste funzioni. Si prepose allora Lanza, per il quale avevano i toscani una grande predilezione; ma questi rifiut�.

Nella camera s'era venuto formando un partito imponente in favore di Rattazzi, come capo d’un nuovo ministero, e questo partito diceva alla maggioranza del governo quel che diceva nel 1845 Tiers e Guizot in Francia e quel che ripete ancora incessantemente d'Israeli a Palmerston in Inghilterra: Rattazzi canter� l'istessa aria di Ricasoli, ma la canter� meglio. Ci si perdoni questa comparazione, che porge una chiara idea dello spirito parlamentare in questa circostanza. In somma non vi era in tutto questo che rivalit� personali, che frazioni, ma non gi� partiti nel vero senso della parola.

Nel corso di Decembre Rattazzi di� la sua dimissione da Presidente della camera, allegando ragioni di salute, ma bench� egli fosse malato in questo tempo, nessuno suppose ch'egli volesse rinunziare di prendere una parte attiva al movimento politico. Fu creduto, al contrario, generalmente che questa dimissione non avesse altro scopo che di acquistare maggior libert� di azione.

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In aspettando, il governo faceva saggio di una quantit� di combinazioni ministeriali. Dopo quelle di S. Martino e di Lanza, vennero quelle che assegnavano in sul primo a Cordova il portafoglio dall’Interno, poi a Peruzzi, pi� tardi a Minghetti, e finalmente a Pisanelli.

Queste esitazioni, queste incertezze accumulavano nuovi pericoli, suscitavano grand’imbarazzi nelle regioni governative. Il ribasso dei fondi italiani, che ne fu una conseguenza, provenne dalle maligne insinuazioni, e dalle voci calunniose sparse all’estero del partito borbonico, che dipingeva con i pi� neri colori la situazione degli affari, e denigrava gli atti del governo.

Dal suo canto il partito d’azione profittando della circostanza raddoppiava l'energia quanto pi� vedeva diminuir le risorse dell’autorit� ministeriale. Un indirizzo era stato votato a Mazzini suo capo che era gravemente ammalato a Londra.

L'Indirizzo fu portato a Londra dal deputato Bertani e da Alberto Mario. Una deputazione fu inviata al Re per pregarlo di richiamar l'unico esiliato italiano. Essa si componeva dei deputati Bertani, Mordini, Nicotera, Saffi, Friscia, Avezzana e Pancaldo.

Il comitato di Genova si era riorganizzato ed aveva preso il nome di Societ� liberale italiana. Ecco il suo programma:

1 Continuare le sottoscrizioni e protestare con dimostrazioni e riunioni contro l'occupazione francese a Roma;

2 Spingere all’armamento, ai tiri nazionali, all’organamento militare del popolo;

3 Chiedere chela legge riconosca come cittadini tutti gli Italiani, perch� in. Italia non vi puonno essere emigrati italiani;

4 Protestare contro gli atti arbitrarii e incostituzionali del governo;

5 Domandare la riforma della legge elettorale per introdurre il suffragio universale nelle elezioni politiche e amministrative;

6 Nominare una commissione per istabilirc i rapporti tra i diversi comitati e associazioni patriotiche.

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La commissione, composta di cinque deputati doveva prestare la sua relazione entro un mese.

Tal'era il programma che pare degno di esser riferito.

Mazzini rispose a queste manifestazioni con una lettera, di cui ecco un estratto preso dall’Unit� italiana:

�17 dicembre.

�.... Miglioro, ma sono come un albero scavato, che un soffio di vento tempestoso pu� abbattere.

Non vivr� lungamente. Gli anni, il lavoro ed altro hanno fatto l'opera loro: Ci� poco monta.

Importa non la vita, ma il come usarne finch� si ha. E per questo ti scrivo, e per te, e per quanti ho amici tra voi. Io non posso ormai pi� senza affrettarmi la morte, rispondere a tutti, ringraziare tutti; mantenere un carteggio di tutte le ore con un crescente numero di persone, che mi sono cortesi d’affetto, o chiedono consigli intorno al da farsi. Bisogna che si rassegnino, senza tristi interpretazioni, al mio silenzio, o a un laconismo che ho finora evitato. Ho, se pur posso ripigliare la via, lavoro innanzi a me pi� assai che di certo non mi verr� fatto compire. Quel tanto io potr� scrivere, dovr� scriverlo per tutti. Soltanto, quei che m'amano, vivano certi che, scrivendo, lo far� con un palpito d’affetto per ciascun di essi.

Il cuore � giovane come a venl'anni, e non un sorriso d’amico, non un atto cortese � perduto per esso. Pass� la gioia, non la santit� degli allotti...

Vorrei che tu dicessi, a quanti chiedono di me, questo cose per me....

G. MAZZINI.

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Per dare una pi� grande importanza alla sua agitazione, il partito d’azione aveva offerto al general Garibaldi la presidenza del nuovo comitato di provvedimento, che si era riorganizzato a Genova, ma l’Eroe di Caprera aveva creduto dovere rifiutare l’offerta, come risulta dalla circolare seguente, pubblicata da quest'associazione:

Genova li 15 gennaio 1862.

Benemerito Comitato,

Noi annunciamo con dolore che il Generale Garibaldi non accetta la Presidenza del nuovo Comitato Centrale di Provvedimento per Roma e Venezia, alla quale venne acclamato con Unto entusiasmo dall’Assemblea Generale del 15 scorso. Questa sconfortante notizia vi giunger� tanto pi� inaspettata, dacch� colla nostra circolare del 7 corrente vi scrivevamo che egli aveva delegato a suo rappresentante presso il Comitato Centrale il Generale Avezzana. — Ed infatti il Generale Garibaldi indirizzava a quest'ultimo in data 21 dicembre queste precise parole; �Io accennai a te come direttore del Comitato e presentante mio — che ti prego di accettare.�

Avezzana rispondeva:

Torino 31 dicembre 1861.

Io ti ringrazio di cuore di avermi dato una altra prova di fiducia designandomi a rappresentarti nel nuovo Comitato. �Accetto di buon grado l’onorevole incarico; ti terr� minutamente informato di tutto.

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—Del resto so di gi� essere intenzione dei membri del detto Comitato di non allontanarsi mai nei loro atti e scritti dal tuo programma — Italia una ed indivisibile con Vittorio Emanuele re costituzionale, e di tenerti anch'essi pienamente informato di quanto faranno, anzi di non prendere decisioni importanti senza prima consultarti: — Sono uomini d’onore; sono certo che manterranno la parola.�

Le surriferite dichiarazioni, se non equivalevano ad una decisa accettazione, allontanavano in ogni caso il timore d’un assoluto rifiuto.

Ma ad ottenere una formale risposta, noi indirizzammo al Generale in data 8 corrente una lettera, nella quale lo pregavamo di dirci apertamente se accettava o no la Presidenza del nuovo Comitato, dichiarando per parte nostra di aver accettato il mandato conferitoci col fermo proponimento:

1 Di rassegnare la nostra dimissione nelle mani della prossima generalo Assemblea, che verr� quanto prima convocata e dovr� eleggere una rappresentanza centrale;

2 Di attenerci rigorosamente nei nostri scritti ed atti ai principii del programma sancito dal plebiscito 21 ottobre 1860;

3 Di limitare per ora il nostro lavoro all’istituzione d’associazioni politiche e di carabinieri, a scuole militari e tiri al bersaglio, ed a fondere nelle associazioni politiche i comitati di provvedimento perch� ricevano da quelle la consacrazione del voto popolare;

4 Informare esattamente il Generale del nostro operato e qualora sorgesse alcun che d’importante, nulla decidere senza il di lui previo avviso.

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Il Generale rispondeva colla seguente lettera:

Ai sigg. del nuoto Comitato di Provvedimento

Caprera, 10 gennaio 1862.

Signori,

�Io non accetto la presidenza del nuovo Comitato. Aspetter� l'elezione della nuova Assemblea — e se gli individui che comporranno il nuovo Comitato eletto da essa mi sembreranno i pi� idonei alla meta, che ci prefiggiam tutti, io ne accetter� la presidenza (se mi verr� offerta) — diversamente no.

�Desidero per� che per ora le cose restino come sono.

�Con distinta stima

G. GARIBALDI

Nulla diremo della forma e sostanza di questa lettera per ci� che ci riguarda personalmente. Bens� ci duole del disaccordo surto fra l'Assemblea ed il Generale, e pi� ci dorrebbe se questo disaccordo diventasse pi� (ardi una divergenza, sia pur momentanea, d’indirizzo politico. Fidenti che ci� non avverr�, speriamo che la futura Assemblea nel coordinare le forze della democrazia sapr�, mantenendo fermi i principii, appianare ogni difficolt�, e il grande capitano vorr� essere della ordinata falange democratica onde compiere la patriottica sua missione.

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A fronte di questo grande nazionale interesse le meschine quistioni d’individualit� debbono del tutto sparire, e noi daremmo ben lieti la nostra dimissione fin d’oggi se non fossimo vincolati dal dovere di adempiere al nostro mandato fino alla convocazione della futura Assemblea. Quella convocazione avr� luogo appena terminato il lavoro della commissione incaricata del progetto d’organamento.

Salute e fratellanza.

Il Comitato Centrale

FEDERICO CAMPANELLA

ANTONIO MOSTO

J. B. SAVI

ALLECHI SACCHI

Il governo italiano da lungo tempo istruito di questi giri del partito, li sorvegliava attivamente. Gi� dal mese di Novembre il ministro Rieasoli aveva con una circolare risvegliato l’attenzione dei prefetti del regno a questo proposito. Noi raccomandiamo questo documento ai nostri lettori, poich� siamo al principio di un dualismo strano nella storia, il quale ben tosto armer� gli uni contro gli altri stessi cittadini d’una patria bench� animati dagli stessi principi, e tendenti tutti allo stesso scopo, discordando solamente nella maniera di vedere intorno al ritardo dell’effettuazione de' loro voti comuni. In faccia al governo che voleva procedere con ordine e sicurezza, sorgeva il partito di Mazzini, o d’azione che non voleva saper punto di ritardo nell'esecuzione dell’unit� nazionale, dovesse anche l'Italia test� prodigiosamente risuscitata, rientrar nella tomba.

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Vedremo in breve questo troppo violento patriottismo stendersi e scoppiare in un ben considerevole numero di citt� italiane per mezzo di dimostrazioni, il cui motto d’ordine sar� 0 Roma, o la Morte! Procedendo con prudenza il Baron Ricasoli aveva indirizzato ai prefetti delle provincie la seguente circolare.

Torino, 20 novembre

Sebbene i grandi mutamenti che hanno condotto l'Italia alla sospirata unit� nazionale siansi compiuti felicemente per consenso di popoli, pure non � da negare che, dopo i primi entusiasmi di universale concordia, non siensi risvegliati fra noi gli antichi partiti, i quali si adoperano a pervertire il buon senso pubblico e a turbare lo Stato.

Il Governo che rappresenta la grande maggiorit� della nazione, non pu� addormentarsi in una falsa sicurezza, e senza uscire dalla legge, dee vegliare acciocch� non si operi copertamente o apertamente contro i veri interessi nazionali. Egli ha il dovere di prevenire e al bisogno reprimere energicamente ogni tentativo di turbamento.

E dovere delle autorit� politiche delle provincie di adoperarsi quanto � in loro potere a secondare questi intendimenti del Governo diretti a mantenere lo spirito del nostro rigenera mento.

Se non che le autorit�, che trovansi in mezzo alle popola zioni, hanno pure un altro dovere da compiere. Le arti che si usano dai partiti per turbare gli animi consistono, il pi� sovente, nel rappresentare le cose sotto un falso punto di vista e riescono talora a produrre i loro effetti e a pervertire la pubblica opinione, perch� trovano menti credule o illuse.

I prefetti debbono darsi cura di antivenire questo male, coltivando relazioni con Io persone che hanno pi� credito nelle provincie, ed a queste spiegando il vero stato delle cose e le ingannevoli orti di coloro che mirano a svisarlo.

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I prefetti non vorranno viver troppo a s�, dando campo ai faccendieri politici di suscitare diffidenze e disamore fra essi e le popolazioni. Senza darsi in mano ad alcun partito, si porranno invece al disopra di ciascuno, accettando tutte le cooperazioni oneste e disinteressate.

Per tal modo, non solo essi potranno conoscere quali siano i partiti che si agitano, ma ne preverranno i tentativi, e otterranno che i pi� illuminati fra i cittadini cooperino al mantenimento della quiete ed a studiare il continuo miglioramento della cosa pubblica.

I prefetti rammenteranno che l'Italia fu lungamente travagliata da Societ� segrete, e che ella esce ora da uno stato politico, in cui ogni atto di opposizione ai governi dispotici ed antinazionali era segno di coraggioso patriottismo.

Gli effetti di questo passato non possono cancellarsi in un tratto. Ma le autorit� politiche ed i buoni cittadini debbono adoperarsi perch� le moltitudini si avvezzino a rispettare ed amare il Governo Nazionale, il quale emana dal Parlamento ed ha la costituzione per limite sacro de' suoi poteri.

Per compiere questo dovere di sorveglianza e di prevenzione, il sottoscritto richiede i prefetti della pi� efficace cooperazione, e fa assegnamento non tanto sul debito d’ufficio che ad essi incumbo, come sul loro discernimento ed amore di patria.

Ad ognuno di essi il sottoscritto caldamente raccomanda di fare assidue e diligenti indagini nella rispettiva provincia per iscoprirc ogni sorta di macchinazioni contro la legge e la sicurezza dello Stato, ed ogni sorta di apparecchi che intendessero a novit�. Per tale vigilanza ottenendosi qualche risultato, i signori Prefetti adotteranno senza ritardo quei provvedimenti che fossero dall’urgenza richiesti, e nel tempo stesso ne informeranno questo ministero o per lettera o in via telegrafica, secondo l'urgenza o la gravit�.

In tal senso essi daranno pure le opportune istruzioni ai sotto prefetti, eccitandone Io zelo e facendosi rendere conto del loro operato.

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La grandezza dei destini a cui noi siamo chiamati a cooperare non lascia al sottoscritto alcun dubbio che tutte le autorit� politiche dello Stato saranno per corrispondere alla sua aspettazione; e mentre confida di essere esattamente informato sullo spirito pubblico dalle relazioni dei signori prefetti, attender� intanto un cenno di ricevuta della presente.

Il ministro RICASOLI.

Raccomandando a' suoi agenti la pi� attiva sorveglianza contro le mene d’un partito, a cui egli in somma non aveva altro a rimproverare che l'eccesso di un zelo impetuoso ed intempestivo, il governo italiano faceva opera tuttavia di provare alle popolazioni com'egli non perdeva di vista la realizzazione necessaria dell’unit� nazionale, che forse un giorno sarebbesi dovuta conquistare con la forza dell’armi. Quindi l’istituzione del Tiro a segno proposta da Garibaldi, e di cui uno dei membri della famiglia reale aveva accettato la presidenza. Infatti il principe Umberto inaugurava a Torino questa istituzione col seguente discorso:

Signori

�Nel mio esordire nella vita politica, varia e profonda � la �soddisfazione che prova l'animo mio nell’assumere l'onorevole officio di vostro Presidente. Ne sono grato al mio amatissimo Genitore, il quale appaga il grave desiderio che io aveva d'incominciare a rendere qualche servigio olla Patria.

�Io ho ferma fiducia che la istituzione alla quale poniamo opera dar� in Italia quei mirabili risultamenti dei quali la vedemmo feconda in vicine contrade. Noi porremo le nostre cure a dirigerla allo scopo di aumentare le forze e le difese della Patria, e di addestrare la giovent� italiana nelle armi, sicch� tutto possa concorrere a compiere l'impresa nazionale.

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�Il tempo � propizio ai nostri intendimenti perch� l'Italia ha bisogno di avere la certezza che nel giorno della lotta e del pericolo potr� trovare un soldato in ogni suo animoso cittadino. Gi� nell’Esercito orgoglioso delle sue antiche glorie e delle nuove, e nelle virt� dei Capitani gli Italiani vedono il simbolo e la prova della Unit� nazionale; le mirabili imprese dei �valorosi volontari accorsi da tutte le provincie d'Italia ci adii dimostrano quanto possiamo ottenere dal nostro popolo diffondendo in esso l'uso e l'abitudine delle armi.

�Accostumando la Nazione in questo nobile esercizio, manterremo sempre pi� vivo il sentimento della concordia italiana, o quell’entusiasmo cittadino che si traduce in maturi e virili propositi. Io sono lieto di poter associare la mia all’opera di voi, illustri signori, in vantaggio di questa patria istituzione. Servire il Paese � la mia ambizione; l'ho appreso nella Storia i della mia Famiglia, nel sacrificio dei mio Magnanimo Avo, l'ho appreso, o signori, nel grande spettacolo che l'Italia ha dato ai e miei giovani anni.�

A queste generose parole, rispondeva nei termini seguenti il marchese D’Angrogna.

�Non scorgendo nessuno de' miei colleghi nella vicepresidenza, � dover mio, io credo, di presentare in nome della Direzione all’A. V. R. gli omaggi del nostro rispetto e della nostra immutabile devozione verso il figlio di un Re magnanimo che vuole in questo giorno solenne per noi, dare all’intiera nazione italiana due grandi e non dubbie prove del suo immenso affetto, la prima col costituire una Societ� veramente Nazionale del Tiro, la seconda coll’avere permesso all’A. V. R. di accettarne la presidenza nell’atto di esordire alla vita politica qual Primo Figlio d’Italia.

�L'intiera nazione ne accolse con giubilo l'annunzio, ella che va debitrice pi� di tutti al Re del suo riscatto, parto di gran mente, opera dell’armi e che solo coll’armi pu� completarsi e sostenersi.

�A voi, Illustre Principe, tocca ancora una bella parto, quella cio� di animare e di educare gl'italiani tutti al maneggio utile dello armi, che sapranno ove d'uopo adoperare

MAGG. FRANCHINI

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per la difesa della comune patria, e se nel giorno del pericolo ogni i figlio d’Italia potr� rispondere alla chiamata del suo Ile, a i cui deve libert� ed indipendenza, sar� vostro il inerito di averi gli colf educazione e coll’esempio procurata quella perizia e ncH' armi che lo mise in grado di ben meritare del Re e del la patria.

Viva il Re! Viva l’Italia!

Viva il Principe Umberto!

Mentre il partito d’azione accusava il governo italiano di mettere delle pastoie allo spirito d’unificazione e di progresso, il partito retrogrado dal suo canto criticava con violenza gli atti del potere siccome infetti di spirito rivoluzionario. Il decreto seguente relativo all’occupazione fatta dallo Stato, delle case religiose entra in questo novero, e per� lo riportiamo:

VITTORIO EMANUELE II

per grazia di Dio e per volont� della Nazione

RE D’ITALIA

Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato. Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Art. 1. � fatta facolt� al governo di occupare per Decreto Reale le case delle Corporazioni religiose in ciascuna Provincia del Regno, quando o sino a che lo richiegga il bisogno del pubblico servizio s� militare che civile.

Il governo provvedere alle esigenze del culto, alla conservazione d’oggetti d’arte ed al concentramento dei Membri delle Corporazioni medesime o in parto delle case stesse occupate, od in altre case dei rispettivi loro ordini.

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Art. 2. La facolt� concessa al Governo nell'articolo precedente e le occupazioni che saranno ordinate in forza di essa non dureranno oltre il termine di tre anni.

Art. 3. Durante l’occupazione saranno a carico del Governo le contribuzioni e le spese di riparazioni relative ai locali occupali, non che una indennit� perla privazione dei proventi che realmente si ritraessero per i medesimi locali a titolo di pigione od altro simile.

Ordiniamo che la presente munita del Sigillo dello Stato, sia inserta nella Raccolta ufficiale dello Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come Leggo dello Stato.

Dato a Torino, add� 22 dicembre 1861.

VITTORIO EMANUELE

A. DELLA ROVERE

In questa cos� difficile situazione s'apr� l'anno 1862. Il re Vittorio Emanuele, ricevendo il 1 di Febbraio a 9 ore e mezzo del mattino la deputazione della camera elettiva a cui capo era l’onorevole Rattazzi, rispose alle felicitazioni indirizzategli, in questi termini: �Io vi ringrazio, Signori, dei voti che mi avete diretti. Voi avete gi� fatto molto; ma molto ancora rimane a fare.... A queste parole interrompendosi soggiunse: Il vostro Presidente mi raccomanda incessantemente la prudenza, ed io non vi dir� di pi�.�

Il presidente s'affrett� a rispondere ch'egli non si permetterebbe giammai una simile libert� col re, e la deputazione si ritir�, incantata di questa brusca ma franca cordialit� del Monarca, che sembrava racchiudere un nuovo elemento di speranza, e presagiva la prossima elevazione di Rattazzi ai consigli della corona.

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II.

Verso l'epoca medesima all’occasione della festa del Papa e in un ricevimento ufficiale, vi fu un fatto, che � ben degno di registrare.

Monsignor di M�rode, ministro delle armi, present� il giorno di S: Giovanni, onomastico di Sua Santit�, tutti gli uffiziali, e io quell’occasione con poche parole espresse al Santo Padre i voti e le felicitazioni di tutte le truppe pontificie, assicurandolo della loro fedelt� alla Santa Sede.

Il Papa ricevette questi omaggi stando sul trono, e nel ringraziare gli uffiziali ed i soldati dei sentimenti di devozione, che gli aveano espressi per mezzo del ministro, fece un discorso di grave importanza. Disse che, nel recarsi in quella sala, al sapere che avrebbe dovuto rivolgere loro la parola, era corso col pensiere ad un grande avvenimento della Sacra Scrittura. Questo avvenimento, egli disse, � la rivolta di Assalonne contro il proprio padre, il santo re Davidde, il grande profeta i cui salmi suole ogni giorno cantare la Chiesa.

Questo Re si vide tradito da uno dei suoi proprii figli: per mezzo di questo sciagurato, sedotto da iniqui consiglieri, egli fide in tutto il Regno una rivoluzione, vide una parte dell’esercito ribellarsi. Fu una grande sciagura pel Re, dappoich� non trovossi neppure sicuro nella sua reggia: nondimeno, egli chin� la fronte alle disposizioni di Dio, che permise tanta iniquit�. A Davidde rimasero molti fedeli, e quei valorosi, che non vollero commettere il delitto della rivolta, si riunirono risoluti di combattere i ribelli e di salvare il trono, che Iddio aveva dato al Re profeta. In vedere inevitabile la lotta, il santo Re non pensava che al Figlio, e caldamente raccomand� ai suoi di salvarlo. Ebbe luogo il combattimento, i ribelli furono disfatti, e Dio fece perire anche l'empio figlio, per punirlo certamente del grande delitto.

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Dopo aver narrato questo fatto, il Santo Padre ne fece l� applicazione: annunci� che tanti figli si sono ribellati alla Chiesa, e la combattono, volendone la rovina, ma ch'essi saranno disfatti, ed egli prega per la loro salvezza. Fece conoscere che sarebbe venuto il giorno, in cui eglino lo avrebbero dovuto o precedere o seguire nella lotta; che non dubitassero della vittoria. Aggiunse che se non avessero combattuto per lui, perch� vecchio e quindi non tanto lontano al suo termine, combatterebbero pel suo successore. Disse che Simone � morto, ma che Pietro vivo nei romani Pontefici, e vivr� fino alla fine dei secoli, secondo le promesse di Cristo, il quale ha detto che mancheranno il cielo e la terra, ma la sua parola non fallir� mai. Dopo siffatto discorso, il Papa compart� a tutti l'apostolica benedizione.

Il ricevimento del corpo d’ufficiali dell’armata d’occupazione francese non fu contraddistinto da alcun incidente particolare. Solamente il Papa decor� del gran cordone i generali Girandon e Michelet. A quest'epoca fra il governo dell’imperatore e la corte di Roma le relazioni erano poco amichevoli.

Il marchese de Lavalette, nuovo ambasciatore di Francia pi� risoluto che il Duca di Gramont, appena arrivato a Roma, aveva presentato al Cardinale Antonelli una nota, in cui a nome dell’imperatore Napoleone si domandava al governo Pontificio di decidere il re di Napoli ad abbandonare il soggiorno di Roma. Il cardinale aveva dato a leggere questa nota a Sua Santit�, che aveva ordinato di rispondere in questo tenore: che la S. Sede aveva sempre accordato una larga ospitalit� ai principi, particolarmente a quelli colpiti dalla sventura; che nessuno meglio dell’imperatore dei Francesi poteva riconoscere la verit� di questa asserzione; che il marchese De Lavalette non aveva a fare altro

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che una ricerca nella cancelleria della sua ambasciata onde trovarvi le energiche note che la Francia e gli altri gabinetti indirizzarono un giorno al Papa, acci� la famiglia Bonaparte venisse espulsa da Roma; vi troverebbe altres� le risposte della Santa Sede, che giammai non si pieg� a siffatte esigenze.

Il marchese de Lavalette non si content� che questa nota era stata rimessa alla S. Sede, ma volle ancora presentarsi all’ex re di Napoli, e dichiarargli senza mistero, che il governo Imperiale di Francia desiderava, ch'ei s'allontanassse da Roma. Ma tutte le osservazioni del diplomatico francese riuscivano a vuoto contro una incrollabile risoluzione che il Papa sembrava approvare ed incoraggiare.

Si raccontava che Francesco II ringrazi� il Sig. do Lavalette degli attestati di sollecitudine ed interesse che gli apportava da parte dell’Imperatore, ma che egli dichiar� non potervi deferire senza creare ai governi, di cui egli diverrebbe l'ospite, imbarazzi pi� serii di quelli che gli si rimproverano a Roma. Quivi, almeno, egli disse, egli si trova ancora in casa sua: egli ha delle propriet�, le ultime che gli rimangono, ed alle quali � annesso il titolo di principe romano. In Germania, egli solleverebbe suo malgrado, le suscettibilit� italiane; egli sarebbe tra quelli che si accusano di essere i nemici dell’indipendenza del suo paese.

In Ispagna, malgrado la bont� della regina egli troverebbe ancora degli inconvenienti politici e potrebb' essere una causa di compromissione. Quanto alla Francia, tutti gli attestati di simpatia che si dessero alla sua sventura sarebbero interpretati come dimostrazioni borboniche, tanto imbarazzanti per lui stesso quanto pel governo dell’Imperatore.

Per tutte queste ragioni, il re dichiar� non potersi arrendere ai desiderii ed ai consigli che gli esprimeva il sig. Lavalette. Egli parimenti declin� le offerte che gli erano fatte, in caso di allontanamento dall’Italia, per fargli restituire i suoi beni personali dal governo del re Vittorio Emanuele.

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La sua risposta fu: Altri re che valevano pi� di me senza dubbio, seppero sopportare la povert� nell’esilio. Far� com'essi. Rester� povero piuttostoch� domandar qualche cosa al Piemonte. Il sig. Lavalette si fece un dovere di trasmettere esattamente tutta questa conversazione a Parigi.

In conclusione, malgrado tutte questo pratiche e tutti questi rumori, Francesco II non solo non si mosse da Roma, ma continu� ad abitare il palazzo del Quirinale; il giorno appresso di Natale il Papa vi si rec� a pranzar con tutta la famiglia reale di Napoli. In questa medesima giornata, che � riguardata a Roma come il primo giorno dell’anno, il sacro collegio si rec� egualmente al palazzo del Quirinale per farvi visita officiale all’ex-re, ed alle ex-regine.

I membri del corpo diplomatico, che erano a Gaeta e che dimoravano di presente a Roma accreditati presso Francesco II, gli fecero la lor visita officiale il primo d� di Gennaio.

L'intervento della Francia adunque riusc� invano in questa pratica intrapresa a pro dell’Italia, nello scopo di palliare i funesti effetti dello statu quo imposto dalla diplomazia: ma la questione romana, che si cercava di assopire, ben tosto si dovea risvegliare pi� terribile, come vedremo nel capo seguente. Sarebbe stato pertanto di un grande interesse per il governo italiano, che la diplomazia francese fosse giunta ad ottenere lo sfratto da Roma dell’ex-re di Napoli e della sua corte. La continua agitazione delle provincie meridionali, e i nuovi turbamenti di Sicilia attestavano la necessit� di siffatto provvedimento.

LA FARINA

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Il primo di Gennaio, in fatti, verso tre ore pomeridiane, mentre che la pi� parte della popolazione si trovava ai vesperi, le strade di Castellamare furono ingombre da un popolaccio esaltato, il quale preceduto da una bandiera rossa gridava: Viva la Repubblica! Morte ai cutrai! (che nel dialetto del paese vuol dire liberali) abbandonandosi ad ogni sorta di violenze contro i pacifici cittadini, amici del governo italiano. Nello stesso tempo una banda di 300 Borbonici sbarcava a terra, venuti gli uni, come si diceva da Malta, gli altri da Terracina. Questi estranei congiunsero alla sudetta gentaglia.

La citt� stava per cadere in preda a tutti gli eccessi d'una plebe feroce, quando si present� un distaccamento di bersaglieri. Gl'insorti, vedendo il piccolo numero di questa truppa, le opposero una gagliarda resistenza. Tre ufficiali ne caddero morti: ma quo' bravi soldati esasperati dalla perdita de' loro capi, si lanciarono impetuosi contro la turba dei ribelli, e non and� molto che l'ebbero posta in rotta. Ne arrestarono 34, dei quali 7 furono di subito fucilati e 27 spediti a Palermo. Questi coraggiosi soldati erano comandali dal Maggiore Quintino.

Altre forze furono spedite da Palermo nella notte del 3 al 4 Gennaio. Una parte si ferm� a Castellamare, il resto fu diretto sovra Alcamo, dove i ribelli avevano delle intelligenze, ed avevano gi� assassinato il capitano del distaccamento di linea, che vi stava di guarnigione.

Lo spirito della popolazione di Palermo era commosso da questo tentativo di reazione: non si trattava in ogni lato, che di congiungersi colle truppe e marciare contro i nemici della pubblica tranquillit�.

Quest'avvenimento fece una viva impressione per tutta l'Italia. La Gazzetta ufficiale del Regno no di� conto in questi termini.

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Tutte le notizie che giungono al governo confermano l'ottimo risultato della leva effettuatasi ultimamente nelle provincia napolitano. Nuova ancora nell’isola di Sicilia, questa instituzione vi doveva incontrare minor favore. Profittando di queste disposizioni i partiti ostili all’attuale ordine di cose hanno procurato di sollevare gli animi, e sono malauguratamente riusciti ad eccitare in Castellamare una sommossa, sulla quale ci affrettiamo di recare i seguenti particolari:

Il primo dell’anno corrente verso la sera, mentre la popolazione attendeva alle funzioni religiose, sorgeva ad un tratto rumore per la citt� ed una brigata d’individui cominci� a fare spari che potevansi sul principio scambiare con salve di gioia. Se non che fattosi avanti il capitano della guardia nazionale, egli venne proditoriamente colpito ed ucciso; dopo di che i rivoltosi, gridando: abbasso la levai corsero alla di lui casa, la posero a fuoco, uccidendo qualche donna che vi si trovava. Tali atti si ripeterono pure in casa di un negoziante in fama di liberale.

Appena avuto notizia di questi fatti che si annunziavano in Palermo come un tentativo di reazione, S. E. il Luogotente disponeva tosto per una pronta repressione, ordinando che un battaglione di linea di guarnigione a Calatafimi si portasse ad Alcamo e quindi a Castellamare; che partisse da Palermo la fregata il Monzambano con due compagnie di Bersaglieri, che tre compagnie si portassero in Partinico per essere pronte ad ogni eventualit�, e si rinforzasse il piccolo distaccamento che trovavasi a Carini. Il comando di queste forze fu affidato al generale Quintino, che partito sul Monzambano, si rec� immediatamente sui luoghi, con incarico di vegliare anche su Alcamo, Borgetto e luoghi circonvicini dov'eransi manifestati alcuni sintomi di disordine.

Essendo pure corsa voce di sbarchi di forestieri, ordinavasi al prefetto di Messina di spedire la cannoniera Veloce a sorvegliare la coste.

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Giunta a Castellamare alle 8 del mattino del 3, la truppa vi fu accolta alle grida di Viva Vittorio Emanuele! Procedendo quindi nel paese dalle vie laterali e dalle case, essa impegn� tosto il fuoco coi rivoltosi, che furono prontamente messi in fuga, respinti sui monti e cacciati in fine anche da questi con cannonate tratte dal Monzambano e dalla cannoniera Ardita stata mandata dal prefetto di Trapani.

Nello scontro fu colpito a morte un capitano di Stato maggiore, feriti gravemente due bersaglieri e pi� leggermente duo ufficiali e 8 o 10 soldati.

Cinque rivoltosi, fra i quali un prete, presi colle armi alla mano, furono immediatamente fucilati. Ventisette altri di essi arrestati furono tradotti a Palermo.

Questi deplorabili avvenimenti hanno dato alla popolazione di Palermo una nuova occasione di manifestare altamente i suoi sensi patriottici. Guardia nazionale, studenti e cittadini offrirono spontaneamente il loro concorso al Governo, il quale sa di poter contare su di essi quando la tranquillit� che � ora pienamente ristabilita dovesse nuovamente venire turbata.

Delle interpellanze furono indirizzate al governo in seno del parlamento italiano nella seduta del 15 Gennaio. Stimiamo nostro dovere di riportarle.

Presidente. Il deputato D’Ondes Reggio ha la parola per un'interpellanza al governo sui fatti di Castellamare di Palermo.

D'Ondes Reggio. Grandissimi fatti accaddero in Castellamare di Sicilia, che ebbero un eco doloroso nel cuore d’ogni Italiano: Non osserver� se il governo poteva e doveva prevenirli. Credo che reso accorto dalla triste esperienza comprender� il dover suo e sapr� adempiervi. � regola per� che i prigionieri di qualsiasi guerra combattuta da popoli civili sieno cosa sacra, e come tali debbano riguardarsi. I ribelli di Castellamare sono ribelli, � vero; ma Io statuto che ci reggo dichiara esplicitamente che non si pu� infliggere pena, e molto meno quella di morte, senza giudizio.

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Nei cosidetti ribelli potevano esservi innocenti, potevano esservi minorenni, esservi potevano tali, a cui, bench� rei, la pena di morte non poteva applicarsi. Vi potevano essere uomini nobili e generosi amici nostri, forse ingannati, e nel fervore della mischia e nella rapidit� della scena scambiati per nemici. Con quel sommario giudizio il governo ha violato e manomesso il diritto di grazia che al re si appartiene.

So qualche cosa pu� temperare l'enormezza di quei fatti, � la convinzione che sar� venuta in tutti che ormai il partito borbonico in Sicilia � molto meschino e disdetto dalla coscienza o dalla esperienza di tutti.

Nei paesi dispotici si possono impunemente violare leggi a giustizia, e cos� fecero i satelliti dei Borboni che trucidavano perfino adolescenti di 13 anni. Ma guai se questo accadesse in paesi il cui governo � libero!

So che se cadessi in mano ai borbonici sarei fucilato spietatamente; essi lo fanno e debbono farlo; noi no; altrimenti quale differenza vi sarebbe fra noi e loro? Libert� e giustizia, signori, sono cose indissolubili, rammentatelo, poich� senza tali principii troppo misera faremmo la patria nostra.

La Farina. In Sicilia occorre sovra tutto un governo forte, il rispetto alle leggi e alla giustizia; non vi vuole che forza, energia, poi forza ancora. Alla sedizione armata, alla sedizione scellerata, che perfino abbruci� donne vive, nessuna piet�, nessuna clemenza. Se il governo esitasse, se il governo transigesse colla sedizione che corre le vie, egli mancherebbe al primo de' suoi doveri; innanzi al diritto degl'individui sta la salute o il diritto della nazione. Quanto si � fatto, si doveva fare: la inesorabile necessit� lo esigeva.

D’Ondes Reggio. La quistione posta da La Farina non � la mia. Voglio anch'io che la saluto dello Stato sia difesa, che il delitto venga represso e punito, ma colla legalit�, poich� il governo della legalit� � appunto il governo dello statuto.

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Miglietti. Non conosco i fatti in discorso che per vaghi rumori e contraddicenti dicerie. I fatti per� commessi in momenti di tempesta, d’insurrezione non sono quelli che possono dare norma a giudicare del modo con cui la giustizia procede. Il governo, lo creda il sig. D’Ondes, non si scoster� mai dalla giustizio e proceder� sempre colla legalit�.

Crispi. D’Ondes Reggio voleva conoscere i fatti di Castellammare e il signor ministro della giustizia ne sa nulla (rumori); l'ha detto lui; ma quando si siede sui banchi del ministero io credo che tali fatti si debbano conoscere dai ministri prima di ogni altro. D’altronde non � soltanto nei momenti di tempesta e d’insurrezione che il governo ha proceduto con illegalit�. Noi tutti conosciamo gli arresti arbitrarii: tutti sappiamo che non � molto un onesto cittadino veniva ucciso in pubblica via in pieno meriggio, e la giustizia difesa dal guardasigilli non ha saputo n� reprimere, n� punire.

Voi siete deboli e perci� crudeli. La legalit� fu quasi sempre manomessa.

D’altra parte, perch� non si � provveduto o cercato di provvedere colla traslocazione di quei magistrati che riconoscono il loro torto? Pure una volta per soddisfazione di esigenze locali li trasloc� un giudice.

Miglietti. Fu la luogotenenza.

Crispi. Non conosco luogotenenze, conosco ministri io. Altronde quella traslocazione che il ministro diceva operata dalla luogotenenza, avvenne appunto quando egli si trovava a Napoli.

Egli dice di non aver conoscenza de' fatti in discorso, perch� le autorit� non gli mandarono relazione, ma, o signori, in tutti i paesi in cui non c'� confusione, le autorit� mandano un rapporto immediato e straordinario., tanto pi� quando si tratta di fatti cos� gravi ed importanti. Cos� facevamo noi al tempo della dittatura e della prodittatura. Or bene, il sig. ministro non riceve nulla dalle autorit� locali, non ne sa nulla. Or bene, io dico che qui si disconosce il proprio dovere e si dorme. Non so nulla per� degli uomini che esercitano l'autorit� locale, non li conosco, conosco i ministri: essi in faccia alla camera sono responsabili.

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Il governo ha abbastanza mostrato la sua incapacit� a governare.

Miglietti cerca di ribattere le parole di Crispi.

Paternostro prende a difendere il ministero. Non si pu� confondere, egli dice, un fatto isolato coll'andamento regolare della giustizia. Ora poi a Castellamare c'� la quiete. Se mi fossi trovato io a Castellamare, vi assicuro che non avrei interrogato il codice, ma avrei dato fucilato a destra e a sinistra senza consultare che la difesa (bene a destra) e ridendomi di tutti gli argomenti addotti da D’Ondes-Reggio (Agitazioni).

Lo stato della Sicilia non � poi grave come vorrebbesi da taluno. Si chieda al governo che provveda, se tutti i suoi funzionarii non sono all'altezza del loro mandato, e niente altro. Ma dobbiamo essere implacabili con quelli che agitano la bandiera rossa e poi acclamano Francesco di Borbone, e con tutti i nemici del paese. Conveniva, secondo alcuni, lasciare uccidere centomila cittadini di pi�, ardere venti, cento case per rispetto al codice, perch� un deputato venisse qui a parlare della legalit� manomessa, dimenticata. La legalit� � una grande parola, ma credo che molte volte non si possa seguirla. Io concludo, ripetendo: energia! e poi energia!

D'Ondes Reggio. Gli argomenti addotti da La Farina e da Paternostro non hanno a che fare colla quistione. Il signor La Farina da lunga pezza conosce i miei principii e sa che non fummo sempre d’accordo. Per� conviene parlar chiaro come io ho fatto, anzich� aggirare il pensiero in frasi tortuose ed equivoche; se non si vuole da taluno la legalit�, lo si dica, n� si voglia insinuare che la legalit� va disgiunta dall'energia. L'energia consiste nel fare eseguire le leggi come la giustizia il richiede. Senza legalit� e giustizia, non si ha energia, ma abuso e crudelt�. In quanto al signor Paternostro, io gli rispondo che per nessuna cosa al mondo avrei voluto dire quanto egli ha detto, n� io (con ironia) io civile europeo gl'invidier� mai la gloria di quello che avrebbe voluto fare se si fosse trovato a Castellammare. (Lunga Ilarit�)

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La Farina (per un fatto personale) parla brevemente; dice che il suo difetto � di parlare troppo chiaro, ma � interrotto da continui rumori.

Plutino (in mezzo al rumore della camera e con altissima voce). Io non accuso i soldati che hanno dovuto respingere la forza colla forza, se hanno forse ecceduto il diritto della difesa contro orridi cannibali armati all’incendio e al saccheggio, ma quello che debbo dire si � che le autorit� locali in buona parte cospirano contro l'Italia e che purtroppo non fanno altro che favorire i borbonici. (Rumori vivissimi)

Brofferio non vuole che la camera soffochi quest'importante discussione, e propone un ordine del giorno nel quale la camera si riservi di chiedere schiarimenti al ministro della guerra, il quale deve presto o tardi ricevere informazioni in proposito.

Pres. fa osservare a Brofferio che egli pu� interpellare il ministro della guerra, ma che � inutile proporre un ordine del giorno per questo.

Brofferio insiste.

Lonza contesta un'osservazione di D’Ondes Reggio e combatte l'ordine del giorno di Brofferio.

Miglietti (ai voti! ai voti!) risponde alcune parole a D’Ondes-Reggio, il quale si dichiara soddisfatto.

Brofferio ritira il suo ordine del giorno.

Bertolami. Non voglio lasciar passare questa discussione, senza protestare altamente contro la parola atrocit�, con cui D’Ondes-Reggio ha qualificato gli atti del valoroso nostro esercito. (Movimenti, mormorii, rumori, interruzioni).

D’Ondes Reggio chiede la parola per un fatto personale.

Molte voci: No, no.

Presidente. Non posso dare la parola; la discussione 4 chiusa.























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