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CRONACA DELLA GUERRA D'ITALIA

1861-1862

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PARTE QUINTA - 04

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RIETI

TIPOGRAFIA TRINCHI

1863

Cronaca della guerra d'Italia 1861-1862 - Parte Quinta - Rieti, 1863 - HTML - 01

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CAPO XII - Sommario Pag. 751 HTML - 04
CAPO XIII - Sommario � 825 HTML - 04
CAPO XIV - Sommario � 877 HTML - 04
CAPO XV - Sommario � 927 HTML - 04
INDICE DELLA PARTE QUINTA � 999 HTML - 04


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CAPO XII

SOMMARIO

I. POLITICI DELL'INGHILTERRA IN ITALIA — DISCORSO DI LORD PALMERSTON ALLA CAMERA DEI COMUNI. — OVAZIONI FATTE IN ITALIA A LORD HUDSON RAPPRESENTANTE DELL’INGHILTERRA. — II. LA QUESTIONE ROMANA SI AGITA A PARIGI — L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA LAVALETTE E' CHIAMATO A PARIGI DALL’IMPERATORE NAPOLEONE — � RICEVUTO DALL’IMPERATORE — PARLASI NUOVAMENTE D’UN CONGRESSO DELLE POTENZE — ANCHE IL GENERALE DE GOJON � RICHIAMATO A PARIGI — CAUSE DELL’ANTAGONISMO FRA IL GENERALE DE GOJON E L'AMBASCIATORE LAVALETTE — � DIMINUITO IL CONTINGENTE DELL’ARMATA DI OCCUPAZIONE A ROMA — NOTA DEL MONITORE DELL’ARMATA — IL GENERALE CONTE DI MONTEBELLO � MANDATO IN ROMA IN LUOGO DEL GENERALE DE GOJON — SI MANTIENE LO STATU QUO — NUOVE EFFERVESCENZE A QUESTO PROPOSITO SI DESTANO IN ITALIA — PROGETTI DI GARIBALDI TENTATIVI D’AGGRESSIONI CONTRO LE FRONTIERE DEL TIROLO TEDESCO — ARRESTO DEI COLONNELLI NULLO E CATTABENI — TURBOLENZE A BRESCIA — PROTESTA DI GARIBALDI CONTRO LA CONDOTTA DELLE TRUPPE ITALIANE — RISPOSTA A QUESTA PROTESTA — ORDINE DEL GIORNO DEL G. GIOVANNI DURANDO — ATTITUDINE DELL'AUSTRIA — RELAZIONE DEL BARONE NATOLI PREFETTO DI BRESCIA — LETTERA DI GARIBALDI AL PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI — DISCUSSIONI DEL PARLAMENTO SU QUESTA LETTERA —

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L'ATTITUDINE ENERGICA MOSTRATA DAL GOVERNO ITALIANO NELL’INTERESSE DELLA CONSERVAZIONE DELLA PACE GLI PROCURA LE FELICITAZIONI DI PARECCHIE GRANDI POTENZE — L'IMPERATORE NAPOLEONE PROFITTA DI TAL CIRCOSTANZA PER RINNOVARE PRESSO LA PRUSSIA E LA RUSSIA I SUOI TENTATIVI, ONDE INDURLE A RICONOSCERE IL NUOVO REGNO D’ITALIA. —

CAPO XII.

I.

Se il ministero Tory che era al potere in Inghilterra nell'anno 1859 per rispetto ai trattati del 1815 erasi mostrato freddo e riservato nella questione italiana al punto da non sacrificarvi n� un uomo n� uno scellino, i politici inglesi avevano dovuto ben presto accorgersi che Lord Derby e Lord Malmesbury avevano tenuto una cattiva strada, e ignorando l'importanza delle forze morali, che si agitavano in quella questione. Le illusioni formate sul conto delle forze dell’Austria erano state interamente distrutte dall'esito della campagna del 1859, e fu allora compreso quanto fossero erronei i calcoli del partito conservatore inglese, basati sull’alleanza coll’Austria. I lunghi negoziati che precedettero la pace di Villafranca fornirono al Governo inglese l'occasiono di riparare all’errore commesso in antecedenza, e di riacquistare in tal modo una gran parte di quell’influenza morale, che la Francia erasi procurata nella penisola, ed a ci� riusc� approfittando abilmente delle difficolt� insorte fra il Governo Italiano e la Francia per la protezione accordata dall’Imperatore Napoleone alla S. Sede. Da quel momento l'ambasciatore d’Inghilterra a Torino fece di tutto per comparire il buon genio dell’Italia ogni volta che suscitavasi qualche difficolt� politica, e qualche diplomatica complicazione.

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� indubitato che gli utili ed opportuni incoraggiamenti del governo britannico ebbero una grande influenza sulle determinazioni prese dai ministri di Re Vittorio Emanuele in quell'epoca, e l'Italia ancora giovine e debole vi attinse l'energia necessaria a poter parlare con franchezza alla stessa Francia. La Francia per sua parte fu costretta a compir l'impresa cominciata della liberazione dell’Italia ad onta di tutti gl'intrighi legittimisti che facevan pressa attorno al Trono imperiale.

Questa politica inglese aveva per principali interpreti a Londra Lord Palmerston, a Torino Lord Hudson. Ogni volta che presentavasi un occasione di attestare innanzi all’Europa la simpatia dell'Inghilterra per la causa italiana, Lord Palmerston faceva sentir la sua voce nel Parlamento. Quando poi trattavasi di preparare, facilitare o incoraggiare qualche importante passo diplomatico, Lord Hudson v'impegnava tutta la sua grande capacit� ed esperienza.

Nella tornata della Camera dei Comuni del giorno 11 Aprile Mr. Bowyer aveva pronunciato alcune parole, colle quali censurava aspramente gli agenti del governo italiano. Noi vedremo fra poco in qual maniera gli rispose il ministro. Ora crediamo indispensabile di riferire un breve riassunto di questa tornata dell'11 Aprile estratta dal Times.

Sir Giorgio Bowyer si fa a parlare della condizione d’Italia. Accennando a un discorso gi� fatto su questo stesso subietto da Lord Palmerston, dice parole aspre e quasi ingiuriose al primo ministro. Poi annovera molti casi di rigore e crudelt� usata dal governo e da'  magistrati piemontesi nell’Italia del mezzod�; la vita, le sostanze, l'onore, egli dice, non sono sicuri; tutto � in balia della soldatesca e di capi feroci. Il governo inglese nel trattare dei proclami dai capi piemontesi divulgati per combattere il popolo delle Due Sicilie, proclami che di gran forza mostrano come non si possa per altri modi legittimi governare; il governo inglese, duolsi sir Bowyer, ha trasfigurati i fatti e usate arti poco convenevoli; le risposte che fecero i ministri alle sue domande sempre ne scansarono il vero significato e l’intendimento.

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E ferma sua credenza che il popolo d’Italia non si vorr� mai assoggettare al Piemontese, il quale non � italiano e non parla pure italiano. Il governo inglese ha in gran parte da rispondere per quel che in Italia e avvenuto e per le tante violazioni della fede pubblica de'  trattati e dello stesso diritto di non intervenzione solamente in parole proclamato. Il regno delle Due Sicilie tuttora �; e il regno d'Italia ex animo non fu riconosciuto che dalla sola Inghilterra non gi� dall'Europa, n� dal gius internazionale. Intanto Nizza e Savoia son della Francia, e quindi l’equilibrio europeo � sbilanciato, la Francia essendo divenuta la pi� potente delle nazioni e l'autorit� inglese abbassata per tutto; l'Inghilterra e fotta antesignana della rivoluzione.

Il sig. Layard non vuol gi� dubitare che sir Giorgio Bowyer non sia schietto nelle sue credenze ed opinioni, ma egli non ud� mai discorso pi� tristamente accolto (udite, udite). Sir Giorgio � dallo zelo accecato se crede quel che dice, o vede le cose in tutt'altra condizione ch'elle non sono veramente (udite). Egli prover� con fatti, con documenti, con l'autorit� d’uomini gravissimi, quel che � per dire; e sapr� rendere giustizia agl'Itallani e al popolo inglese, il quale ha ad essi Italiani dato aiuto morale cos� generoso e sapiente (udite, udite). Entra il dicitore a ragionare e descrivere la condizione presente del Napoletano e delle Marche, delle Romagne e dell’Umbria, contrapponendola a quella sotto i passati governi, e mostra che i fatti contraddicono a meraviglia le descrizioni fattene da sir Bowyer. Nelle provincie romane, stato gi� del Papa, non � mai avvenuto un solo moto d’insurrezione, non ostante che i popoli sieno lasciati a se stessi, senza eserciti o quasi altra forza pubblica. Se i popoli erano male trattati o non contenti avevano tutto l'agio di dimostrarlo (udite). Nel Napolitano le consuetudini del popolo non potevano essere a un tratto cambiate; i suoi vizi generarono nella lunga e brutale tirannide che l'oppresse; gli abitanti erano dalle arti de'  governanti guasti e corrotti. Imperocch�, egli dice, il fine di certi governi, come quei di Napoli e di Roma, era tenere il popolo ignorante (udite, udite) per tenerlo meglio soggetto; la loro ignoranza politica era spaventevole (udite).

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Ma il cambiamento sopravvenuto da due o tre anni tra que' popoli � di grande conforto. Chi non ricorda lo stato delle provincie romane prima del 1859? povert� e squallore regnavano per tutto; l'elemosina teneva luogo del lavoro. L'onorevole gentiluomo disse che Vittorio Emanuele si spasima d’avere Roma, e ch'egli non l'avr� mai: ma � il re che vuole Roma non piuttosto il popolo romano che vuole il re? (applausi).

Il sig. Layard descrive poi lo stato presente delle provincie gi� pontificie. Bologna si trasforma e gi� annovera ventotto scuole contro tredici che prima aveva, e spende dugentomila franchi per la popolare educazione. Ancona in diciotto mesi vide accrescere di tremila cinquecento abitanti la citt�. Perugia ha gi� scuole di d� e di notte, e cinquecento fanciulli v'attendono. Atenei o ginnasi sorgono in tutte le primarie citt�. I giudizii son fatti per giurati con grande successo e contentezza de'  popoli; il commercio � vivificato e la ricchezza s'accresce; strade, canali, telegrafi aprono comunicazioni fra popoli che prima appena si conoscevano. E cos� essendo, la conseguenza naturale � che il delitto scema. E all’incontro di questo, noi vediamo che ora in Roma il ladrone e l’assassino signoreggia quasi immolestato (udite, udite). Non abbiamo noi udito pi� volte che i soldati francesi ebbero spesso ad interporsi fra il popolo e le truppe pontificie per impedire le stragi? (udite, udite)

Quanto a'  proclami, egli, il sig. Layard, gli ha gi� altre volte lamentati; ma ripete che sta nel Parlamento italiano averne cura. Disse sir Bowyer che i popoli napoletani anelano a gettar via il giogo piemontese; ond’� dunque che i rappresentanti di questo popolo pensano tutto il contrario, e che i rappresentanti del governo in quelle provincie son ovunque accolti diligentissimamente? (udite, udite). Garibaldi entr� in Napoli con un biglietto di strada ferrata di second’ordine (applausi). Molti disordini certamente avvengono in quelle contrade, ma non sono da tenerne i governanti mallevadori, ma s� i governi antecedenti, che infiltrarono la corruzione in alcune parti del popolo (applausi).

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Egli vorrebbe bene che il nobile baronetto si trovasse tra'  briganti (non in carne per sua salvezza, ma in ispirito) e certamente ad un tratto toglierebbe loro il suo favore (risa). N� sono essi condotti da Italiani, ma i capi sono per lo pi� forestieri.

Il signor Layard termina dicendo, avere il governo ricevuto quella stessa mattina un dispaccio del console di Napoli che pienamente risponde a tutte le obbiezioni mosse dall’onorevole baronetto.

Il sig. Hennesy vuol provare con varie citazioni che le migliorie ricordate dal sig. Layard non sono di fatto; anzi egli crede che tutto il contrario � che avviene nelle provincie romane e napoletane. Mostra che il commercio del Piemonte � rovinato, i patrimonii impoveriti; la rovina finanziaria sovrasta; e tutto � da attribuire alla rivoluzione suscitata dal Piemonte a dispetto dei popoli. Si duole che il sig. Layard abbia citato dispacci e lettere, che non furono ancora al Parlamento presentati.

Il sig. Slaney fa fede per prova sua e certa, che la condizione del Napolitano � assai diversa da quella che � da taluni raffigurata; i popoli sono contenti e attendono a migliorare la loro sorte, aspettando nuovi beneficii da commerci ampliati e dalle strade d’ogni maniera che ovunque si fabbricano. In Lombardia, Toscana, Romagna ed in tutta l'Italia settentrionale i popoli sono concordi, lieti e felici.

Il sig. Duff dice che, ammettendosi pure, per amor d'argomentare, i fatti citati da sir Bowyer, che diritto ha un Parlamento straniero d’immischiarvisi?

Il sig. Monckton Milnes giudica non esservi alcuna ragione perch� la Camera s'ingerisca in queste materie; n� sir Bowyer ha detto alcun fatto o fornito alcuna prova, che valga a dare alla Camera questo diritto. Le controversie italiane risguardano gl'Italiani, e da loro vogliono essere maneggiate. Spera che la disputa romana avr� scioglimento pacifico e intero.

Il sig. Whaly pone la controversia sopra una base semplice. Se gli ufficiali italiani commisero atti atroci, questo avvenne contro alla volont� e agli ordini del governo italiano; ma se i banditi, dal fu re Francesco e da Pio IX assoldati, commettono atrocit�,

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� manifesto che secondo gli ordini del loro padrone essi operano, anzi, secondo i principii della Corte di Roma. � tempo che si domandi alla Francia di lasciar Roma, o sia fatta la Francia mallevadrice del brigantaggio.

Il sig. Gladstone. Vi � la molta forza e verit� nel contradire a discussione delle cose d’Italia in questa Camera; poich� � atto cortese a governo amico, il quale � gi� fornito d’una sua arena per siffatti dibattimenti (udite, udite). Ma, bench� io in ci� convenga nell'astratto, mi rallegro del modo a cui la discussione s'� informata. Il nobile baronetto, volendo danneggiare l'Italia, s'� messo in una via, che torna a grande vantaggio di lei (udite). Delle molte dicerie udito, niuno tocca di pi� i nostri sentimenti che quella dell’onorevole sir Bowyer (udite). Io m'appello a tutti che qui seggono se egli non ha mostrato una capacit� portentosa di paradossi e una credulit� ammirabile (risa). Per lui l'Italia innanzi il 1859 era la pi� avventurata delle nazioni; dopo quel tempo n'� la pi� sciagurata (applausi). Continua di questo modo il sig. Gladstone a dimostrare come le migliorie nella legislazione e nell’educazione, nei commerci, nelle comunicazioni, nell’esercito e noli' armata; infine tutto quel che si � fatto pel bene d’Italia da quell’anno in qua, al sig. Bowyer par fatto a danno e ad oppressione de'  popoli. Accennando a Roma, il sig. Gladstone dice che il popolo Romano non pu� essere ora soddisfatto, poich� si richieggono ventimila francesi per sostenere il Papa; e termina con parole eloquenti a mostrare quanto sia ingiusto e contrario alla sana politica il prolungare il poter temporale dei Papi.

Dopo aver parlato i signori Lodke, Stansfeld, Maguire e O Brien, lord Palmerston pronunci� il discorso seguente.

Lord Palmerston, dopo aver confutato alcune ragioni esposte dall’onorevole deputato di Dungarvan sul modo ingiusto con cui si trattano i cattolici romani d'Irlanda, dice: il potere temporale di Roma � in pericolo; quello che pi� lo accenna � il modo violento con cui si sostiene. Esso perder� tanto pi� presto la poca autorit� che ancora gli rimane quanto pi� spiegher� zelo per difenderla. — Pari a Catone egli preferisce di morire combattendo:

Victrix causa Diis placuit sed vieta Catoni.�

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Il potere temporale di Roma ha un germe di distruzione in se stesso. � onorevole per il preopinante di mantenersi amico ad una causa come lo era nei giorni della sua prosperit�, ma credo che l'onorevole baronetto avrebbe potuto porre innanzi la questione senza fare una descrizione luttuosa delle condizioni d’Italia. � chiaro che l'Italia ebbe immensi vantaggi dai rivolgimenti che in essa ebbero luogo. Non ripeter� ora gl'incalcolabili benefizii che derivarono dal cambiamento dei suoi governi.

Io invece ometter� di descrivere le enormit� commesse dal governo di Roma — Io non parler� di queste atrocit� che sono tali da tener lontano 'chiunque dal difendere una causa contaminata da queste crudelt�.

Se la parte meridionale l'Italia � disturbata, non � per interne insurrezioni, non dallo stesso popolo, ma totalmente per effetto di emissarii il cui scopo � di ammazzare, distruggere col fuoco le sostanze e le vite delle popolazioni. L'onorevole membro di Maldon, se io l'ho bene inteso, disse che l'Italia non potr� compiere la sua unit�, ma che invece dovrebbe confederarsi, ed una confederazione, diffatti, era la proposta in principio fatta a Villafranca ed in seguito a Zurigo.

Ma fu provato che gl'Italiani erano di opinione che una confederazione fosse impossibile, e che se pur fosse stata stabilita, non avrebbe avuto buon fine.

Ormai, se ci� poteva accadere allora, oggi � reso impossibile. L'Italia � presentemente unita, eccetto Roma e la piccola parte del territorio veneto.

L'onorevole baronetto disse che il re d’Italia non avr�, mai Roma, che il Papa continuer� a risiedervi, e l'onorevole Dungarvon disse che i destini della Provvidenza faranno del Papa per sempre il sovrano di Roma.

Io come umile individuo, come semplice mortale, non essendo un profeta n� esploratore delle intenzioni della divinit�, penso cosa impossibile che il potere temporale del Papa possa continuare. La mia opinione � che presto o tardi esso verr� al suo termine; senza di che ne conseguirebbe di giorno in giorno l'allontanamento del popolo d’Italia dall’autorit� spirituale.

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L'onorevole membro disse che il Papa rester� sempre nel Vaticano. Io dico che il potere temporale del Papa cesser�, e che Roma presto o tardi diverr� la capitale d’Italia; ma il Papa potr� mantenere la sua dignit� come Capo della Chiesa occupando il Vaticano, e Roma essere nel tempo stesso capitale d’Italia. Nulla evvi in ci� d’impossibile.

E stato affermato da un mio onorevole amico che i destini del Papa, per ci� che riguarda il potere temporale, sono nelle mani dell’Imperatore di Francia. Non havvi alcun dubbio su ci�. Certamente, il potere temporale del Papa, come oggi si trova, � interamente dipendente dalla presenza delle truppe francesi a Roma.

Ho inteso esser detto dai cattolici che � essenziale che il sovrano della Chiesa sia indipendente. � egli il Papa un sovrano indipendente? Egli � mantenuto nella autorit� temporale dai 20,000 soldati francesi contro il desiderio dell’immensa maggioranza di tutti i suoi sudditi. � questa la posizione di un sovrano indipendente?

Questa � la pi� infelice posizione che possa occupare un sovrano. Io non dir� che l'occupazione di Roma per parte delle truppe francesi sia una violazione delle leggi internazionali, dappoich� ci� accade a seguito di domande e col consenso del sovrano che possiede quella contrada; ma, senza dubbio ci� � una violazione del principio del non intervento, il quale � stato proclamato dalla Francia come dall’Inghilterra; e ci� � anche contrario a tutte le dichiarazioni, collo quali ebbe principio la guerra d'Italia, l'oggetto della quale era di dare l'Italia a se stessa e di farla libera dal Mediterraneo all’Adriatico.

L'Italia non fu ridata a se stessa; l’Italia non � libera dal Mediterraneo all’Adriatico, ma invece la pi� importante parte di essa � occupata da truppe straniere, impedendo con ci� l'attuazione dei desideri! dell’Italia e mantenendo un sistema ripugnante ad ogni sentimento del popolo e contrario a tutti i principii politici di un civile governo.

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Ebbene, Signori, io non penso che ci� abbia a durare per sempre; io non posso pensare che la politica francese richieda ci�; io non penso che sia interesse della Francia che si debba mantenere questo stato di cose. Sonovi persone che dicono, come intesi nella discussione di jeri, che sarebbe contrario agl'interessi della Francia di avere un'Italia unita. Da un altro lato ho udito dire, come rimprovero all’Inghilterra, che il desiderio di un'Italia unita � un voler far cosa di giovamento alla Francia.

Quanto alla Francia, un'Italia unita pu� esser utile ad essa non soltanto come un'amica, ma anche come una barriera contro ostilit� di potenze al di l� delle frontiere italiane. Pertanto io dico che sarebbe di corta vista la politica della Francia se riguardasse con dispiacere ed apprensione il consolidamento dell'Italia in un solo regno, cosa che riuscirebbe altres� gradita all’Inghilterra, mentre le offrirebbe pi� vasto campo nel suo commercio.

Posso adunque dire che l'onorevole baronetto, colla migliore intenzione di servire la causa di quelli a cui � devoto, ha fatto sbaglio nel presentare alla discussione e dare al mio amico sotto segretario ed al mio amico il cancelliere dello scacchiere e ad altri un'opportunit� di cos� completamente demolire gli avanzi di quell'edificio di argomenti ch'egli ha addotti contro i principii esistenti. Ci� nonostante, io faccio i miei complimenti alla sua fedelt� ed al suo zelo, ed accetto la critica sua su quanto il governo ha fatto per l'Italia (Ilarit�).

Noi abbiamo mantenuto una stretta neutralit� e aderito al principio del non intervento, e come fu saviamente detto da un onorevole mio amico, questo principio non deve consistere in un'apatia od indifferenza, nel non avere n� opinioni ne simpatie; il non intervento consiste nello astenersi dall’azione, nel non intervento colla forza delle armi; ci� per� non e' impedisce di provare un sentimento favorevole pi� ad una parte che all'altra.

Noi non abbiamo mai dissimulato la nostra simpatia per gl'Italiani, e pei loro sforzi nello intento di ottenere l’indipendenza. Ben lungi dal provar dispiacere delle accuse che l’onorevole baronetto ci muove contro, noi andiamo orgogliosi di aver bene interpretato i sentimenti della nazione inglese.

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Credo di avere bastantemente espressi i sentimenti del popolo di questo paese verso coloro i quali stanno lottando per la loro indipendenza e per la loro libert�, particolarmente quando questi sforzi sono condotti come lo furono dal popolo italiano, — con moderazione senza violenza, con saviezza, non deviando mai dalla linea che si erano tracciata.

Due volte nella storia del mondo Roma ha esercitato il pi� esteso potere sopra una grande porzione della razza umana. Ai tempi degli antichi romani, questa influenza era esercitata da conquiste militari, e le nazioni erano sottomesse colla forza delle armi.

Nell'ultimo periodo, il Papa, quando la sua autorit� toccava il suo apogeo, esercitava un potere quasi supremo sopra la mente degli uomini in quasi tutta l’Europa.

Il reggime militare fu annullato dalla forza dei barbari. Il potere spirituale fu indebolito sotto l'influenza dell’incivilimento europeo. Io confesso che Roma, una volta divenuta capitale d'Italia, sar� nuovamente destinata ad esercitare non un potere dispotico, ma una grande e nobile influenza sopra l'Europa, collo sviluppo dell’intelligenza, col progresso delle arti e delle scienze, coll’attivit� del commercio, e colla saviezza politica. Quando ci� accadr�, ed io confido che ci� non debba essere cos� lontano, come lo crede l'onorevole oppositore, la posterit� giudicher� tra coloro i quali hanno contribuito a questo risultato colla saviezza dei loro consigli e colla loro influenza, e coloro che si sono fatti campioni ostinati, contro ogni progresso, di tutto ci� ohe era corruzione, tirannia ed oppressione.

La Presse di Parigi diceva a proposito di queste dichiarazioni fatte da lord Palmerston al Parlamento:

Noi non contraddiremo le opinioni del nobile lord. Ci pare soltanto che in vece di indirizzarsi alla Francia, avrebbe potuto pi� opportunamente rivolgersi all’Austria. La Francia, qualunque siano le ragioni politiche, buone o cattive, che la determinano a prolungare la sua presenza a Roma, �, in sostanza, il vero ed operoso difensore dell’unit� italiana.

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L'Inghilterra sino adesso non ha posto che parole al servizio della nobile causa. Essa avrebbe potuto far meglio. L'unit� italiana ha un avversario aperto, irreconciliabile, minaccioso: l'Austria.

� a costei che sarebbe stato conveniente di parlare un alto e fermo linguaggio e lord Palmerston sarebbe stato inteso ed ascoltato. Lord Palmerston nulla fece di tutto questo; abbiamo anzi motivo di credere che abbia fatto tutto il contrario.

Questo discorso produsse un immenso effetto in Italia. La societ� Emancipatrice Italiana invi� a Lord Palmerston il seguente indirizzo:

Trescorre li 15 maggio 1862

Milord,

Noi udimmo con soddisfazione e riconoscenza le autorevoli parole che Voi, interpretando i sentimenti della grande Nazione Britannica, pronunciaste alla Camera dei Comuni in difesa dell’Unit� d’Italia e del principio del non intervento.

Il fatto dell’occupazione Napoleonica in Roma, Voi lo riconosceste, � una flagrante violazione del non intervento; impedisce l’Unit� d’Italia o minaccia la pace europea.

Perseveri l'Inghilterra nel voler rispettato in Roma quel principio, gl'Italiani basteranno da soli alla totale liberazione della loro Patria,

Gradite, Milord, i nostri rispettosi saluti.

Il Consiglio Centrale

dell'Associazione Emancipatrice Italiana

Il Presidente

GIUSEPPE GARIBALDI.

(Seguono le firme degli altri membri del Consiglio).

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Lord Hudson nello stesso tempo divenne l'oggetto di popolari ovazioni, quando si rec� per via di terra da Torino a Napoli nell’occasione del viaggio del Re Vittorio Emanuele nelle Provincie meridionali. Secondo ci� che ne dicevano i Giornali inglesi, Lord Hudson viaggiava incognito ed era sua intenzione di non dar luogo ad alcuna pubblicit�. Infatti � certo ch'egli era arrivato segretamente a Bologna, e che egualmente n'era partito.

Ma alla sua partenza o subito dopo si venne a conoscere il suo carattere ufficiale come rappresentante dell’Inghilterra, e a Rimini, Ancona, Fuligno, Marni sino ai confini dei dominii del Papa, egli fu accolto al suo arrivo e accompagnato sino alla sua partenza dai pi� entusiastici plausi. Ad Ancona tutta la popolazione della citt� si affrett� di onorarlo, al seguito del prefetto e del sindaco; il suono dell’inno nazionale italiano fu preceduto dall’inno God save the Queen, e la moltitudine concorsa gridava: Viva la regina d’Inghilterra, viva lord Palmerston! attestando che anche l'individuo pi� umile in quella moltitudine sapeva che la dimostrazione della quale faceva parte, aveva un significato tanto nazionale quanto personale. Ci si narr� che a Marni ogni finestra nelle vie por le quali transitava era affollata da gentili persone del bel sesso, le quali non cessavano di sventolare i fazzoletti e di gettare mazzi di fiori mentre egli passava. Si osserv� che il nome di lord Palmerston veniva pronunziato dagli stessi contadini, e che grandi e piccoli, ricchi e poveri, parevano egualmente penetrati della convinzione della buona volont� dimostrata dal governo inglese e ultimamente manifestata dal primo ministro verso il popolo italiano.

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II.

Ad onta degli sforzi tentati dalla politica inglese per affrettare la soluzione della questione italiana, l'influenza dell’Austria, e delle altre potenze reazionarie lottava sempre con favore nel campo della diplomazia. La Corte delle Tuileries in forza della sua situazione particolare a fronte dell’Italia e del Governo Pontificio, era il centro e il punto di mira dove andavano a parare tutti gl'intrighi politici. Non � d’uopo pertanto maravigliarsi di tutte le oscillazioni dell'opinione pubblica e delle diverse interpretazioni che si facevano degli atti del Governo Francese relativi agli affari di Roma.

Noi avevamo interrotto il racconto della questione romani nel punto che il Sig. de Lavalette dopo aver presentato officialmente le sue lettere credenziali, stava per partire per Parigi. La sua partenza infatti avvenuta il 23 di marzo, aveva dato luogo a mille congetture, che noi senza narrar per disteso ci contenteremo di accennar brevemente e di segnalare il motivo pi� generalmente ammesso dalla partenza del Sig. di Lavalette per Parigi. Sembra infatti che questo non volesse servir pi� oltre di mantello per coprire una falsa posizione, resa anche peggiore dall’attitudine spiegata dal Gen. de Goyon, il quale agiva come il vero ed unico depositario dei segreti dell’Imperatore Napoleone relativi alla questione di Roma. Prima di partire da Roma il Sig di Lavalette ebbe col Papa un lungo colloquio.

� difficile poter penetrare il segreto di quel colloquio: � certo pero che Sua Santit�, terminata la udienza, mostrassi alquanto ilare, e disse: Mi sento meglio. Pio IX sembrava che avesse parlato francamente a franco ambasciatore, e gli avesse manifestato tutto le sue speranze ed i suoi timori intorno alla condotta politica dell’Imperatore.

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Il march, di Lavalette ebbe una lunga conversazione anche col Cardinale segretario di Stato. Si assicur� che il rappresentante della Francia mostrasse la necessit�, in che si trovava la Santa Sede, di uscire una volta dallo statu quo; ricordasse che i grandi Corpi dello Stato di Francia se avevano mostrato ogni simpatia pel Governo temporale del Papa, non avevano mostrato alcuna volont� di far restituire alla Chiesa le Provincie che ora formano parte del Regno d’Italia. L ambasciatore avrebbe aggiunto che una restaurazione totale era impossibile: onde il Papa niente aveva di meglio, che di rassegnarsi ai fatti compiuti, di accettare ci�, che la forza delle circostanze comandava, rimanendo sempre salvi i dritti della Santa Sede sulle Provincie perdute. In tal modo, la Francia avrebbe garantito al Santo Padre Roma e le Provincie a lui rimaste.

Il card. Antonelli avrebbe risposto ch'egli aveva tanta opinione dei grandi Corpi dello Stato di Francia, che se Napoleone avesse loro proposto la totale restituzione delle provincie invase al S. Padre, essi l'avrebbero prontamente e in grande maggiorit� appoggiata; perch� il Senato e il Corpo legislativo non fanno n� pi� n� meno di ci� che vuole l'Imperatore. Onde nessuna meraviglia che l'indirizzo fosse votato quasi per acclamazione. Il cardinale avrebbe soggiunto che il Papa non poteva col fatto sanzionare una violenta e sacrilega spogliazione; che perci� si rassegnava a restare nello statu quo, dichiarando che Sua Santit� era disposta ad abbandonare Roma quando la Francia avesse creduto giunto il momento di ritirare le sue truppe.

Appena arrivato a Parigi il 26 Marzo il Sig. di Lavalette fu ricevuto dall’Imperatore. Lungi dal ricevere un biasimo come avevano affermato in precedenza i Giornali legittimisti al diplomatico francese fu resa dall’Imperatore intera giustizia per gli sforzi fatti a Roma onde ottener la tanto desiderata conciliazione.

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Quindi S. Maest� aggiunse ch'era ben lontano dall’idea di volersi privare de'  suoi servizi. L'indomani di questo colloquio coll’imperatore, il Sig. di Lavalette pranz� dalla Principessa Matilde ed il giorno appresso dal principe Napoleone. Frattanto erano state dalla Francia intavolate delle trattative colla Russia coll’Inghilterra e colla Prussia allo scopo di riunirsi insieme coll’Italia in un Congresso, onde tentar di risolvere di comune consenso la gestione romana. Se il Papa non avesse voluto accettare la decisione di questo congresso la Francia si sarebbe creduta libera d’agire secondo le sue viste, e di ritirar le sue truppe da Roma. L'Austria, la Raviera, eia Spagna consultale a questo proposito dichiararono di opporsi ad un congresso, nel quale la maggioranza sarebbe appartenuta alle potenze eterodosse, necessariamente favorevoli alla causa italiana. Fu pertanto abbandonata l'idea del congresso, e cominci� un epoca di nuovi e pi� energici intrighi in tutti i sensi. Da un lato il viaggio del Re Vittorio Emanuele a Napoli, la scorta d’onore fattagli dalla flotta Francese, e la venuta del Principe Napoleone presso del suo augusto Suocero furono interpetrati largamente a favor dell’Italia. E si disse perfino da alcuni che il Papa si preparava ad abbandonare il Vaticano per ritirarsi in Raviera mentre altri andavano spargendo ch'egli avesse fatto domandare all’Austria un asilo a Venezia. Dall’altra parte il silenzio del Moniteur intorno allo scopo preciso dell’invio della flotta a Napoli, ed intorno al viaggio del Principe Napoleone a quella volta, unito al richiamo del Sig. de Lavalette presso l'Imperatore, mentre il Gen. de Goyon suo antagonista restava a Roma, avevano al contrario fatto concepire ai legittimisti ed ai fautori del poter temporale grandi speranze ed una confidenza raddoppiata nelle intenzioni del Governo francese. Per� alla sua volta fu richiamato a Parigi eziandio il gen. de Goyon che parti da Roma il 18 maggio, anzi fu dato per sicuro che il Generale in capo dell armata d’occupazione nel partire da Roma esternasse la propria persuasione di non dovervi pi� ritornare.


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Quali erano i motivi che l'avevano fatto richiamare a Parigi? Eccoli.

Il marchese di Lavalette venuto a Roma come ambasciatore non tard� ad accorgersi eho la sua rappresentanza era come annullato, a fronte di quella del generale di Goyon, che si trovava alla testa di 20,000 uomini, e ch'era circondato da tutto quello splendore, che suol dare la gerarchia militare: come pure vide che il contegno politico del generale non era conforme al suo: cos� che trov� per lui insopportabile che la Francia avesse in Roma come due rappresentanze politiche, una quasi opposta all’altra. E fattosi forte della sua autorit� di ambasciatore, non tard� a dichiarare al generale Goyon, che per togliere siffatta anomalia, era necessario ch'egli dovesse dipendere dal rappresentante diplomatico della Francia: perci� doveva cessare dall'avere udienza dal Papa e dal cardinale Antonelli per trattare di affari, e prima di prendere una risoluzione qualunque su ci� che riguardava l'ordine e la tranquillit� di Roma, doveva prima intendersela coll'ambasciatore.

Oltre a ci�, il generale era accusato di non fare cosa alcuna per reprimere la reazione napoletana, che si diceva organizzata, armata e provveduta di viveri e di uomini nello Stato pontificio; ed era accusato ancora di avere frequenti abbocamenti col re di Napoli. Il gen. Goyon rispose che assai di raro aveva l'onore di vedere Sua Santit�; che dal primo dell’anno non aveva avuto pi� tale onore, e che, in quell’occasione, ci� che disse al Papa e ci� che il Papa rispose fu udito da trecento ufficiali francesi, e da tutta la Corte di Sua Santit�, perch� si parl� in pubblico, o solo per rendere a nome dell’esercito francese omaggio al Sommo Pontefice. Aggiunse che il signor ambasciatore non doveva ignorare i motivi, per cui egli si trovava in frequente corrispondenza col cardinale Antonelli, dal momento che per cose abbastanza note, egli non voleva pi� trattare col pro ministro delle armi, per gl'inevitabili e frequenti rapporti fra le milizie pontificie e le francesi: e perch� in Roma la maggior parte degli affari sono trattati per mezzo del segretario di Stato.

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Riguardo allo frequenti visite all'ex re di Napoli, il generale Goyon disse ch'egli non vedeva quasi mai il re, che una volta l� and� per ringraziarlo d’una visita avuta da S. M., e un altra perch� chiamato. E fece osservare ch'egli era cos� alieno dal far visite frequenti al re, che dovendogli annunciare di aver arrestato ai confini gente, che con ordini fatti credere di S. M., portava nel regno polvere, fucili e uniformi, approf�ilo del momento che a caso lo incontr� nella sala regia del Vaticano, uscendo dalla cappella Paolina ove erano le quarant'ore. E in quell’occasione l’ex-re disse al Goyon ch'egli era estraneo a qualunque reazione, e che gli sarebbe grato, se avesse potuto allontanarne coloro che operavano spacciando il suo nome. E fu allora che Goyon rileg� a Civitavecchia il generale napoletano Clary e qualche altro ufficiale del disciolto esercito borbonico. In quanto al dover dipendere dall'ambasciatore, il generale rispose che la missione del marchese era diplomatica, e la sua militare: che egli perci� dipendeva dal suo superiore diretto il maresciallo Randon, ministro della guerra, dal quale finora non era stato disapprovato nessuno dei suoi atti, ch'egli non voleva e non poteva accettare la dipendenza dall’ambasciata; anche perch� qualche volta sarebbe avvenuto, o poteva accadere, che, in assenza dell’ambasciatore gli ordini fossero dati da uno dei segretarii, che contano meno anni di vita di quelli che il generale Goyon conta di onorato servizio militare.

Cos� cominci� a Parigi la questione Goyon-Lavalette, consistente nel vedere se il generale dovesse dipendere o no dall’ambasciatore in Roma. In questa quistione sortirono difensori per Lavalette e difensori per Goyon. Il primo fu sostenuto dal sig, Thouvenel, dal conte di Persigny, da Pietri e da Billault, nomini tutti strettamente uniti al Governo di Vittorio Emanuele, per far trionfare sempre pi� la causa d’Italia. Goyon sostenuto dall’Imperatrice, dal maresciallo Randon, dal conte Walewski e da Baroche. Sul principio, Goyon aveva trionfato, ond’� che sua moglie gli telegraf� un giorno usando un linguaggio militare: abbiamo vinto su tutta la linea. Ma il partito di Lavalette torn� d'assalto, e tanto fece che le cose cambiarono aspetto.

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Napoleone in mezzo ai due partiti, non prese una decisiva risoluzione: si content� di far chiamare a Parigi il generale Goyon, sotto pretesto d’interrogarlo sulla questione romana. Questo fatto fu un trionfo per Lavalette, ossia pel partito italiano, perch� tutti gli sforzi di Rattazzi, di Nigra e del generale Revel da un anno in poi, erano stati diretti a far rimuovere Goyon dal comando superiore dell’armata di Roma.

Il generale Goyon parti col convincimento di non ritornare pi�, perch� credeva probabile qualche diminuzione nell'esercito di occupazione. E accadendo ci�, la sua missione a Roma cessava per conseguenza, perocch� non sarebbe pi� del suo onoro il ritornare a comandante di divisione quando finora era stato generale superiore. Inoltre il generale Goyon non poteva rinnegare le sue convinzioni politiche; e anche per suo onore non avrebbe accettato mai di venire a Roma, se gli fosse comandato di ritirare le sue truppe da Ceprano, da Frosinone e da Terracina per dar forse luogo ad una occupazione italiana.

La partenza di questo generale rallegr� il partito liberale in Roma e in Italia; e non dispiacque neppure ad alcuni del partito del Governo Pontificio.

Pochi giorni dopo l'arrivo del generale de Goyon a Parigi, si leggeva nel Moniteur la nota seguente.

Leggesi nel Moniteur

�Avendo l'Imperatore deciso che a seguito delle riduzioni subite dall’effettivo dell’armata, il corpo di occupazione di Roma sarebbe soggetto ad una organizzazione, il generale conte di Goyon � stato richiamato a venire a riprendere il suo servizio presso l'Imperatore ed in attestato della sua alta soddisfazione S. M. con decreto di oggi lo innalz� alla dignit� di Senatore.�

Su questa nota il Pays giornale semiofficiale fece le seguenti riflessioni:.

�Questa � l'espressione di un fatto da noi presentito e sul quale la pubblica opinione non prender� abbaglio.

Le persone di buon senso non andranno al di l� delle risoluzioni che chiaramente in esso sono indicate.

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Il generale di Goyon ademp� con altrettanta fermezza e devozione la sua missione presso il Santo Padre. 1 Imperatore gliene attesta l'alta sua soddisfazione innalzandolo alla dignit� di Senatore.

Quanto al nostro corpo di occupazione, la nuova organizzazione decisa dall’Imperatore non implica alcuna contestazione coi nostri precedenti relativi all’occupazione stessa. La politica francese eserciter� l'influenza la pi� legittima e la pi� disinteressata nella questione romana: questa influenza la Francia non la abbandoner� mai.

Essa n� pu� n� deve disperare di giungere ad uno scioglimento che salvi tutti gli interessi vale a dire la pace del mondo.

I mezzi possono essere modificati, ma lo scopo rimarr� lo stesso ed i mezzi per conseguirlo ingrandiranno colle difficolt� che loro verranno apposte.

La saviezza del governo Imperiale ha dato sufficienti pegni a questo glorioso disegno per essere ben convinti, che non si smentir� mai. Ma la saviezza non � immobilit�. Non � possibile che questa verit� sia sempre disconosciuta a Roma.�

Era intanto desiderio vivissimo ed universale di conoscere le modificazioni, che sarebbero state portate all’armata d’occupazione a Roma, perch� in mezzo allo incertezze ed alta perplessit� della pubblica opinione speravasi trovare nelle misure che fossero adottate in proposito qualche indicazione delle viste dell’imperator Napoleone. Ala, affrettiamoci a dirlo, le vedute di questo Sovrano soggiacevano esse stesse alla medesima perplessit� ed esitazione dell’universale. Leggevasi infatti in una corrispondenza Parigina della Gazzetta di Colonia ci� che segue:

�Quanto a Roma, l'Imperatore Napoleone sembra ancora perplesso e il progetto di transazione ideato da lui medesimo gli pare ora non tanto conveniente e crede dover cercare nuove combinazioni. Qualche cosa avverr� e in ogni caso Lavallette torna a Roma. Io credo inoltre che col ritorno del Principe Napoleone a Parigi spunter� alle Tuileries un sole propizio all’Italia.

GEN. CONTE MONTEBELLO

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Non prestate fede alle voci che fanno spargere i nemici d'Italia circa un nuovo regresso di Napoleone. Egli � titubante, e nulla pi�.

Il Lavalette, anzich� essere dispensato, � tuttavia e rester� l'uomo di alta levatura destinato a sciogliere, nella citt� eterna appunto, il gran nodo, e a comporre la ingente vertenza, non appena i tempi saran maturi, cio� da qui a non molto: perci� difatti procrastina egli nella partenza. Il Montebello, aiutante di campo dell’Imperatore, uno dei pi� giovani del seguito, quegli stesso che l'anno scorso visit� con molta sua compiacenza Napoli ed il Cialdini, allora luogotenente generale, � nominato al comando del presidio e parte fra breve con la contessa sua moglie, dama d’onore dell’Imperatrice�

Nel Moniteur de l’arm�e fu pubblicato finalmente il seguente articolo:

In esecuzione della decisione imperiale del 28 maggio il corpo d’occupazione di Roma, ridotto ad una divisione, sar� composto come segue:

Il generale di divisione conte di Montebello comandante.

l. a Brigata: Il generale Dumont comandante.

3. o battaglione cacciatori — comandante Bobillier.

7. 0 reggimento d’infanteria — colonnello De Maussion.

19. 0 reggimento d’infanteria — colonnello Do Brauer.

2. a Brigata: Il generale Micheler comandante.

29. o reggimento d’infanteria — colonnello Fraboulot De Kerleadec.

59. o reggimento d'infanteria — colonnello Berger.

3. a Brigata: Il generale Bidouel comandante.

69. o reggimento d’infanteria — colonnello Courson.

71. o reggimento d’infanteria — colonnello Dargent.

Faranno parte della prima brigata: 2 batterie di artiglieria, 1 compagnia del genio, 2 squadroni di ussari.

Il 20. o battaglione di cacciatori, il 51, o ed il 62. o reggimento d’infanteria, e la 10. a compagnia del 2. 0 reggimento del genio rientreranno in Francia.

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Questa determinazione dell’imperator Napoleone, che provava chiaramente, nella politica dello statu quo nulla esser stato cambiato all’infuori della persona del Generale in capo dell’armata d’occupazione a Roma se non fu pel Governo Italiano e per gli amici dell’Italia un amaro disinganno, fu certamente un atto contrario ai loro pi� vivi desiderii, poich� il Ministero Rattazzi contava di fare avanzare di qualche passo la questione romana verso la sua soluzione, se non per altro per calmare almeno l'effervescenza degli spiriti che ogni giorno in Italia faceva spaventosi progressi.

Intanto che il Re Vittorio Emanuele riceveva a Napoli per parte di Francia e d’Inghilterra, non che delle popolazioni di quelle provincie, le pi� vive e sincere testimonianze di simpatia, la citt� di Torino era divenuta il luogo di convegno non solo dei finanzieri, e degli speculatori d’ogni paese d’Europa, desiosi di far negozii col Governo italiano, ma ancora d’un gran numero di personaggi politici appartenenti all’emigrazione polacca ed ungherese.

I sigg. Klapka, Kossuth, Tiirr, Pulsk avevano ogni giorno frequenti conferenze, il cui scopo era di intendersi per dare un passo avanti, se ci� fosse possibile.

�La quistione ungherese � semplicissima, diceva un capo di questa emigrazione, armi, denaro, un programma: quando avremo tutto questo le cose andranno da s�

Un giornale rappresentante gl'interessi ungheresi, l'Alleanza, fu fondato a Milano: vi si pubblic� il nuovo programma.

In questo mentre giungeva a Torino il sig. De Crouy-Chanel, gentiluomo francese d’origine ungherese, che un libercolo del sig. Germain Sarrut, antico rappresentante del popolo, faceva discendere da Arpad, capo dei magiari, che il primo verso l'894 si stabil� in Ungheria, e fu il fondatore della dinastia dei re ungheresi. Segu� al suo arrivo un po' di agitazione nel campo degli ungheresi. �Chi � questo nuovo arrivato? Dicevasi. � egli un pretendente? � un alleato?� Il sig. Daniele Jranyi protest�, all’arrivo di quest'ultimo, contro le sue pretese alla discendenza d’Arpad.

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Il sig. Crouy-Chanel si destreggi� molto accortamente in questa circostanza; ei dichiar� non avere altra pretesa che quella di stabilire la sua genealogia come discendente dei figli di Arpad, e ci� al fine di divenire ungherese agli occhi di tutti, lasciando alla nazione ungherese il diritto di disporre di s� a sua posta.

Dopo questa dichiarazione, tutta assai ricisamente e pubblicata dai giornali, i negoziati divennero frequentissimi tra il signor Crouy-Chanel ed i principali capi ungheresi, come lo provava del resto, la lettera diretta dal general Klapka ai principali giornali d’Italia.

Bisogna notare che in questa lettera il generale Klapka, che si considerava come il vero capo dell’emigrazione ungherese, dava al principe di Crouy il titolo di principe di Crouy di Ungheria.

Informazioni che credo esatte ci permettono di dire che tutti i capi ungheresi pensavano come il generale Klapka, ad eccezione di Kossuth, che persisteva a tenersi lontano dal principe di Crouy, e che non avrebbe accettato il nuovo programma della costituzione del regno sotto la forma monarchicocostituzionale.

Infine per far ben comprendere l'importanza di questo dissenso, sembrava che una casa bancaria avesse offerto ai capi dell’emigrazione ungherese una somma di pi� milioni sulla firma collettiva di Crouy Chanel, Klapka, Turr, Kossuth e Pulski, e, ben inteso, sotto parecchie condizioni, delle quali � inutile intrattenere i nostri lettori.

Era facile comprendere che il partito d’azione non tarderebbe a trar partito da questi elementi rivoluzionarii, i quali sperando in forza della comune simpatia verso l'Austria d’essere utilizzati dal Governo Italiano, vedevano invece rigettate da questo le loro offerte.

Garibaldi che abbiamo lasciato malato a Brescia, aveva interrotto il suo viaggio in Italia per l'organizzazione dei tiri nazionali, ed erasi recato a Trescorre al centro della societ� emancipatrice Italiana. Col� eransi stabiliti dei rapporti fra lui ed i diversi capi del movimento Europeo, ed era stato ideato un piano d’azione, di cui il giornale Opinion Nationale pubblica i particolari, e che noi riprodurremo senza per� assumere alcuna responsabilit�.

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Trattavasi, da una..............................................per fare una diversione, e, dall’altra, di prestar mano forte ai cristiani della Turchia per abbattere un giogo abborrito, ma i capi della spedizione non voleano sbarcare sulle rive turche o austriache della penisola orientale che per passare il Danubio, dopo aver messo a fuoco l'impero ottomano. Sollevare in massa gli Ungheresi, gli Slavi ed i Rumeni delle provincie meridionali dell’Austria, che avrebbero trascinato probabilmente gli Czechi della Boemia ed i Polacchi, prendere poi di rovescio l'esercito austriaco della Venezia, tale era il grandioso piano della progettata spedizione. Calcolavasi, in una parola, sopra una conflagrazione generale, per ricostituire di un medesimo colpo l'Italia e tutte le nazionalit� europee.�

I patrioti italiani, aggiunge l'Opinion Nationale, non potevano supporre, � vero, nel governo francese il desiderio di assecondarli, ma volevano forzargli la mano; speravano, provocando una guerra generale, di mettere in tutta Europa l'assolutismo alle prese colla rivoluzione, ed erano d’avviso che l'Imperatore, di buona o mala voglia, sarebbe trascinato a seguire l'opera che stavano per inaugurare.

�Questi calcoli non erano temerari. � incontestabile, in fatti, che il governo italiano non avrebbe esitato, se avesse potuto concepire le medesime speranze.

�Vedendo la Prussia e tutta la Germania agitata dalle idee liberali, l'Austria pi� che a met� rovinata, la Russia paralizzata non avrebbe avuto pi� ardente desiderio che di marciare di concerto con la Francia e di rifare con essa la carta di Europa. Ma il gabinetto di Torino conosceva meglio che i capi della spedizione i segreti della politica e le intenzioni dell’Imperatore Napoleone.

Il Governo italiano intanto tenevasi preparato per qualunque eventualit�, e la sua polizia raddoppiava la vigilanza. Era stato osservato nei primi giorni di Maggio un movimento insolito di giovani viaggiatori che da Genova si recavano a Milano ed a Bergamo, e correva voce che fosse stato fatto un grande deposito A' armi e di munizioni da guerra. Si parlava poi nei caff� ed in altri pubblici luoghi di una prossima spedizione contro l'Austria.

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La polizia procedette in seguito di ci� a delle perquisizioni, ed arriv� infatti il 14 Maggio a sequestrare una considerevole quantit� d'armi, uniformi e di munizioni; arrest� il colonnello Nullo a Palazzolo e nella stessa notte a Sarnico il colonnello Cattabeni ed altri 55 individui, finalmente altri 14 ad Alzano Maggiore. Il Ministro dell’Interno indirizz� in data del 15 ai Prefetti del Regno la seguente circolare.

Torino 15 maggio 1862.

Il Governo � venuto in cognizione che in varie parti dello Stato alcuni sconsigliati facciano apparecchi militari, e promuovono arruolamenti clandestini per una spedizione che vorrebbero far credere intrapresa, se non consenziente, connivente il Governo stesso.

A giustificare simile impresa si pone innanzi un nome caro al paese e tenuto in grande considerazione dal Governo, e si tenta con ci� indurre credenza che l’insensato tentativo venga dal medesimo eccitato e diretto.

Il Governo crede avere giusti motivi per riputare insussistente qualunque compartecipazione dell’illustre generale ad imprese di simil fatta, le quali ad altro non potrebbero condurre che a compromettere gravemente quanto finora col senno e col valore l’Italia ha conseguito.

Ella pertanto, signor prefetto, con quell’intelligenza e zelo per la pubblica cosa di cui gi� diede distinte prove procurer� di convincere i suoi amministrati come il Governo, lungi dal tollerare, condanni questi deplorabili tentativi, e come sia risoluto a non recedere da alcun mezzo per impedirli e per reprimerli mantenendo salda i' autorit� della legge.

Il sottoscritto confida che la S. V. anche in questa circostanza user� della massima vigilanza affine di venire in cognizione di quanto in codesta provincia si potesse tentare per tradurre in atto simili disegni, nulla omettendo per impedire coi consigli e, quando occorra, colla forza ogni fatto tendente a mettere in pericolo l'ordino pubblico ed il rispetto dovuto alle leggi.

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Informandosi a queste istruzioni la S. V. vorr� sollecitamente porre in uso i mezzi ch'ella riterr� pi� acconci all’uopo per recare a conoscenza del pubblico la ferma volont� del Governo in questo argomento.

Pel Ministro

Il Direttore generale FONTANA.

Alla notizia di questi arresti, il deputato Brofferio si rec� a Trescorre presso di Garibaldi, che trov� esasperatissimo per la trista piega, che avevan preso gli affari. Di l� il Generale scrisse la lettera seguente e part� subito per Bergamo.

Trescorre 16 Maggio 1862

Mei cari amici

Io vi consiglio di lasciarvi condurre, e vi autorizzo a dire, che siete stati chiamati a Bergamo da me.

La Nazione poi, non ne dubito, vi sar� grata dello slancio vostro patriottico, e della vostra abnegazione.

Vi saluto tutti, e sono con affetto

Vostro per la vita

G. GARIBALDI

Il generale si port� tosto dal sig. prefetto ove stette per pi� di un'ora, indi retrocesse a carrozza scoperta fra gli entusiastici evviva della popolazione che si era affollata appena sentitone l'arrivo. Prese stanza dal signor Sindaco Camozzi.

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Replicatamente dovette presentarsi alla finestra, chiamatovi dai saluti del pubblico che in onta a dirotta pioggia costantemente s'intrattenne. Dalla finestra disse brevi ma energiche parole, e congratulossi di trovarsi fra i Bergamaschi in questo giorno anniversario della battaglia di Calatafimi; rese grazie delle fattegli dimostrazioni di simpatia, annunzi� la cattura del suo amico Nullo accusato da falsi calunniatori di mazzinianismo, assicur� che il Nullo � uno dei pi� prodi campioni della nostra indipendenza e che spese tutta la sua vita per la salvezza del paese e per l'amore del suo re. Confort� alla calma ed alla tranquillit� la popolazione, ed assicur� che si sarebbe adoperato con ogni suo potere, perch� questo nostro concittadino e suo amico fosse quanto prima restituito alla libert�.

All’annuncio di questo arresto la popolazione che aveva gi� subodorato dalle voci circolanti il fatto, si mise a gridare di volere in libert� il Nullo. Alcuni individui provveduti di bandiere tricolori percorsero le vie gridando: vogliamo libero il Nullo, e giunsero formanti una turba di popolo fino nelle sale della prefettura e di l� nelle carceri pretoriali per tentare la liberazione dell’arrestato. Ma ben presto giunsero sul luogo le autorit� civili e persuadettero la folla di desistere da ogni schiamazzo, giacch� il Nullo non era detenuto in questa citt�. Questo bast� perch� la folla si disperdesse tosto. Alcune altre torme per� si erano formate in altre parti della citt�, cosi che il sig. prefetto credette opportuno far intervenire la truppa, e due compagnie del reggimento 14. furono schierate in piazza Garibaldi e due alla Regia Prefettura per contenere e sedare i tumulti che gi� erano dileguati, n� minacciarono di avere conseguenze.

Mentre per� la popolazione di Bergamo cedendo alle insinuazioni dell’autorit�, aveva impedito che avvenissero deplorabili conflitti, le cose passarono molto diversamente a Brescia.

Lo stesso giorno verso le ore otto pomeridiane una riunione di individui che and� sempre crescendo, trasse alla prigione della Pretura Urbana, ove stavano rinchiusi il Nullo e compagni �gridando Viva Garibaldi! Nullo in libert�!�

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Volevano la escarcerazione di quest'ultimo; poi la riunione si dette a percorrere la citt�, e vennero pure sotto il palazzo di prefettura ripetendo sempre le stesse grida.

Al primo annunzio di cotale disordine, l'autorit� ordinava un picchetto della guardia si portasse alla predetta prigione per custodirla. Furono richieste, oltre alla guardia nazionale, due compagnie di linea, l'arma dei reali carabinieri, e la forza di pubblica sicurezza.

Ma mentre si dava esecuzione a queste disposizioni, la riunione fattasi pi� grossa, trasse di nuovo alla predetta prigione, e ne sforz� la porta esterna.

I soldati che vi erano a guardia e che erano schierati al di dentro, vedendosi siffattamente assaliti, per propria difesa fecero fuoco, e poi facendosi innanzi dissiparono la folla.

Quattro furono i colpiti, dei quali uno mor� immantinente, due in seguito, ed il quarto ferito. Avvenimento lamentevolissimo; ma di chi la colpa?

Intanto i carabinieri reali accorsero alla predetta prigione ove and� pure una compagnia della linea, l'altra venne al Broletto, e in seguito riunitosi buon numero di guardie nazionali e calmatesi le cose, le truppe si ritirarono, e fu affidata la custodia della carcere alla guardia nazionale.

Affinch� poi la giustizia avesse immediatamente il suo corso, fu richiesta l'autorit� giudiziaria perch� procedesse come di legge; e difatti il procuratore di Stato e tre consiglieri del tribunale si dettero, appena ricevuto l'avviso della prefettura, a compilarne l'istruzione.

In seguito di questi fatti, il Generale Garibaldi pubblic� nel giornale Diritto una protesta veemente contro la forza armata che aveva agito contro la popolazione di Brescia, ma gli agenti del Governo gli risposero energicamente nella Gazzetta di Brescia. Noi riporteremo il testo di questa interessante risposta.

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Generale!

Lessi non senza sorpresa, anzi con meraviglia la protesta che prorompeva dal vostro animo pur troppo esulcerato dai dolorosi fatti che contristarono la citt� di Brescia la notte delli 15 corrente.

Conoscendo la rettitudine del Vostro cuore esitai per un momento a credere Vostra la protesta inserita nel num. 139 del giornale Diritto, ma la Vostra sottoscrizione, — la riproduzione che se ne fece da qualche giornale — i funesti effetti di discordia fra truppa e popolo, che dessa ha incominciato a produrre, mi fecero credere all’evidenza ed alla verit�.

Siccome da alcuni giornali inconsideratamente, e senza alcun fondamento si disse che chi aveva comandato il fuoco era stato un aiutante maggiore del 19. fanteria — Siccome nella Vostra protesta chiamate sgherri mascherati quei soldati che furono destinati alla custodia del carcere — Siccome, chi comand� la strage Voi lo proponeste per boia.... — Siccome l'aiutante maggiore incaricato solamente di condurre il picchetto alla custodia del carcere era io, perci� mi far� un dovere d’informarvi minutamente dell'accaduto, assicurandovi da soldato d'onore che desso sar� la precisa e genuina esposizione dei fatti.

Alle 8 e 1|2 circa della fatal notte un delegato di Pubblica Sicurezza mi avvis� che il prefetto sig. Natoli aveva bisogno di parlarmi; in men di 5 minuti ero al suo ufficio, e mi fu data la seguente consegna che io mi pregio di trascrivervi:

� Al signor ufficiale comandante la gran guardia di Brescia.

La si richiede a voler immediatamente spedire 12 nomini cono un sergente a custodia delle prigioni della pretura urbana.

Brescia 15 maggio 1862.

Il Prefetto

F, NATOLI.�


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Io mi portai subito alla gran guardia, ed ottenni dall’ufficiale comandante quel posto 8 soldati, un caporale, ed un sergente, che condussi a custodia delle prigioni. Col� raccomandai al capoposto sergente Perina di usare moderazione, parole di conciliazione ('ci� che fece), e di non ricorrere all’ultima ragione se non quando o il carcere fosse invaso, o le porte forzate. Quel che poi si oper� da una moltitudine di giovani sconsigliati, quel che poi avvenne, Brescia, Italia, tutti sanno. A Voi intanto vel dica la bajonetta di un soldato ritrovata nella notte dalla guardia nazionale, e restituita al comando del 19.. fanteria dietro ricevuta dell’aiutante maggiore in 1. capitano sig. Ferretti, vel dica il kepi della sentinella rovinato da non riconoscersi. Quel che poi fa maraviglia si � che Voi, o generale, prestando fede solamente a lusinghiere asserzioni, dal 15 al 19 non siate venuto a cognizione della verit�.

Ora che avete sentito la veridica esposizione del fatto, Voi che siete il secondo soldato d'Italia, (ed il primo � il Re), Voi che conoscete cosa sia la custodia di un carcere, vorreste ancora chiamare sgherri mascherati quei soldati che d’altro non son rei che d'aver adempiuto al loro dovere? Continuerete ancora a proporre, per Boia.... quell’aiutante Maggiore che, eseguiti i comandi, si ritirava in quartiere, e partecipando il tutto al suo comandante di corpo si metteva in attesa di ulteriori ordini? Osereste ancora paragonare il doloroso incidente di Brescia con le terribili carneficine di Varsavia?

Generale, Voi in un momento di dolore prorompeste in accenti A' ira; diceste parole che desolarono, ed amareggiarono il cuore dell’Armata, e di ogni buon Italiano. Il vostro animo per� � troppo nobile, Voi siete troppo grande perch� non vogliate riconoscere un torto, ed un torto gravissimo, che bugiarde e menzognere dichiarazioni solamente, ed un istante di dolore Vi fecero commettere.

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Cos� facendo Voi, o Generale riparerete un atto d’ingiustizia, inviterete Popolo e Truppa alla concordia, della quale si ha tanto bisogno in questi momenti, farete un'azione gradita al Sovrano, e quando la voce del Re, ed il rombo del cannone annuncieranno alle Venete Lagune l'ora della finale liberazione, vedrete, o Generale, che Noi e Voi saprem tutti fare il nostro dovere.

Gradite, ecc.

Brescia 21 maggio 1862.

Il luogoten. ajut. magg. in 2do del 19 fant.

LUIGI DUCE

A questa lettera rispose nuovamente il General Garibaldi nel modo seguente:

Egregio signor Duce Luigi

aiutante maggiore in 2. do nel 49. o fanteria

Brescia.

Non avevo bisogno della lettera vostra per essere persuaso che nessuno degli appartenenti alla valorosa ufficialit� dell’esercito avrebbe ordinato, n� ha ordinato il fuoco contro inerme moltitudine di cittadini.

Quanto alla verit� dei fatti accaduti in Brescia la notte del 15 corr., spero che risulter� evidente per tutti dalla instruttoria processuale degli auditori militari.

Vi saluto distintamente.

G. GARIBALDI.

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Tutti i giornali che si occuparono di questa protesta non poterono dissimulare il rammarico che provarono per quest'atto inconsiderato del generale Garibaldi che versava un'ingiusta accusa contro soldati, che sono pur soldati italiani, i quali eseguirono fedelmente la loro consegna per impedire che non fosse impunemente violata la maest� della legge. La Gazzetta officiale del Regno rispose alla suddetta protesta colla seguente nota:

�Dalle relazioni ufficiali pervenute al Ministero risulta che nella sera del 16 a Brescia un assembramento di 'forse 300 persone gitt� abbasso la debole e mal sicura porta che d� accesso alle carceri, e irruppe sotto l'atrio.

Il picchetto di guardia, composto di 8 uomini e comandato da un sergente, croci� la bajonetta, e quando gli irrompenti tentarono strappar loro di mano le armi fece fuoco.

Dopo ci� que' soldati coll’aiuto di quattro carabinieri armati di sola sciabola ricacciarono la folla dall’atrio, e sciolsero l'assembramento in istrada.

Il picchetto dei soldati non us� le armi che all’estremo, quando l’adempimento del loro dovere e la difesa personale lo esigevano imperiosamente.

Essi sono soldati di quel glorioso esercito a cui l’Italia deve la sua esistenza e nel quale tutte le nostre istituzioni hanno la pi� sicura guarentigia; ed il paese respinger�, ne siam certi, le contumelie, di cui son fatti segno in alcune linee del Diritto di questa mattina.

Al postutto un processo fu gi� istituito, e le circostanze relative a quei fatti saranno fra poco messe in piena luce.�

783

Intanto il generale Durando, comandante del secondo corpo d’armata, diram� ai suoi soldati il seguente ordino del giorno:

Soldati!

L'allarme di questi giorni � cessato. Vi ringrazio di quanto avete fatto mentre esso durava: la vostra condotta fu quale io me l'aspettava, quale la volevano il re ed il paese. La prontezza dei militari movimenti, la vostra abnegazione nel sopportare le fatiche imposte dalle celeri marcie, e specialmente il vostro risoluto contegno, hanno prevenuto gravi sciagure all’Italia nostra. La Provvidenza volle risparmiarci la dura prova, alla quale il nostro dovere ci chiamava, facendo rivivere la santa parola di concordia fra tutti gl'Italiani, alle aspirazioni dei quali unico � lo scopo; e la legge fu rispettata.

Dimenticate questo breve passato, e tornate volenterosi alle interrotte istruzioni, per prepararvi al giorno in cui avremo a fronte i nemici d’Italia; e se oggi otteneste l'approvazione del re e della patria, potrete allora meritarne la riconoscenza.

Il Generale d’armata

Comandante il 2.� corpo d’armata

GIOV. DURANDO

La Gazz. Militare Italiana pubblic� il seguente dispaccio scritto dal ministero della guerra al generale Durando a proposi. to dei suddetti avvenimenti e della protesta del generale Garibaldi:

Il sottoscritto non pu� a meno di tributare encomii alla E. V. per Io solerti ed energiche misure con cui ella seppe prevenire ed arrestare un inconsulto tentativo che avrebbe potuto mettere a repentaglio la sicurezza dello Stato.

784

�La prego di voler esternare alle truppe tutta la soddisfazione del governo pel fermo contegno da esse mostrato negli ultimi avvenimenti.

a Le parole violente de! generale Garibaldi contro alcuni soldati che si trovarono nella dura necessit� di usare le armi per mantenere la consegna, commossero a buon dritto, non solo la E. V. mn tutto l’esercito.

Avendo per� il generale Garibaldi dichiarato in uno scritto posteriore che non fu sua mente offendere l'esercito, io sono certo che i militari porranno in obblio il malaugurato incidente, sacrificando all’amore della patria concordia il loro giusto risentimento.

�Certamente il soldato italiano non agogna altre lotte che sulla frontiera e sui campi di battaglia, ma custode della legge egli deve e sa tutelare l'ordine pubblico, e il soldato che adempiendo il suo dovere mantiene forza alla legge trover� sempre l'appoggio del governo o l'approvazione del Paese.

Il Ministro A. PETITTI.�

Infine la Gazz. uff. del Regno d’Italia parl� cosi: I dolorosi avvenimenti, che si compirono negli ultimi giorni, porsero occasione a taluni d’insinuare, che il Governo vi fosse stato sino ad un certo punto connivente, s� da accusarlo d’incertezza e titubanza nei provvedimenti, che la condizione delle cose poteva richiedere.

Quanto alla prima accusa il Governo crederebbe di offendere la propria dignit� e la lealt� di cui si pregia, se discendesse a rispondervi. Dinanzi al Parlamento sapr� far conoscere quanto franca e sincera sia stata la sua condotta.

785

Riguardo ai provvedimenti egli aveva un doppio dovere. Il primo era quello di mandare a vuoto ogni disegno che potesse compromettere la sicurezza dello Stato e turbarne l'ordine interno. A questo egli � convinto di avere soddisfatto pienamente, ed ba la fiducia di avere per se l'approvazione di tutta la Nazione, poich�, non appena uscirono dall’ombra i preparativi della sconsigliata spedizione e la legge venne offesa con arruolamenti e con illecite riunioni, la mano sua intervenne ed ogni tentativo rimase senza effetto.

L'altro dovere che gl'incombeva si era di mantenere l'autorit� della legge nelle sanzioni penali s� tosto che il pericolo fosse vinto. A ci� egli pure soddisfece; poich� non esitava a denunziare all’Autorit� giudiziaria i fatti avvenuti e consegnava nelle di lei mani coloro che furono arrestati nell’atto che la spedizione si preparava. All’Autorit� giudiziaria sta ora il procedere o punire tutti coloro che dall’istruttoria risulteranno colpevoli. Essa compir� certamente l'alta sua missione con quella alacrit� ed imparzialit� che le si addice, senza distinzione alcuna, e col pensiero, che dinanzi alla legge tutti sono perfettamente uguali e che non vi pu� essere differenza veruna tra cittadino e cittadino.

Del resto, l'unanime disapprovazione del Paese contro si folli tentativi ci accerta che niuno si attenter� a rinnovarli, e non sar� pi� turbata quella calma che solo i nemici d’Italia possono rallegrarsi di veder compromessa.

Tutta la linea del Tirolo e notabilmente dalla parte del Lago di Garda fu dal giorno 16 Maggio occupata immediatamente da numerose truppe Austriache. Tutti i soldati erano stati armati ed equipaggiati come in tempo di guerra. Un ordino del giorno indirizzato ai Cacciatori (F�ger), gli esortava a marciare risolutamente. Secondo quest'ordine del giorno la strada di Milano era nuovamente aperta all’armata austriaca dalla rivoluzione di Bergamo e di Brescia.

La situazione era certamente grave per un Governo che come quello d’Italia cominciava allora a costituirsi, e che neppure era stato ancora riconosciuto da tutte le grandi potenze continentali.

786

Fortunatamente la larga base del suffragio universale, sulla quale erano fondati i destini della nazionalit� italiana, aveva mostrato fino all’evidenza che la forza del principio democratico era un elemento d’ordine e di conservazione. Per questo importa alla storia di ben determinare la verit� dei fatti ed affinch� i lettori possano essere in grado di ben giudicare questo tentativo del partito d’azione contro un governo unito dal voto nazionale ci � indispensabile di porre loro sott" occhio il rapporto del Prefetto della Provincia di Brescia, la lettera che Garibaldi diresse al Presidente della Camera elettiva e le discussioni che questa lettera suscit� nel parlamento italiano.

E primieramente diamo luogo al rapporto del Barone Natoli Prefetto di Brescia.

Eccellenza

Mi onoro di riassumere in questa relazione quanto ho esposto al Ministero co' miei precedenti rapporti intorno al fatto succeduto in Brescia la sera del 15 cadente e chiuso sventuratamente con un miserando caso.

Il 14 maggio avveniva l'assembramento di Sarnico. Il prefetto di Bergamo credeva che l'assembramento fosse avvenuto invece nella Provincia di Brescia, a Palazzolo. Dicevasi esservisi riunite duecento persone, e verso col� essersi inviste armi e vestiti. Poi saputa meglio la cosa, e volendo agire sopra a Sarnico, mi chiese due compagnie di soldati, che gli mandai immantinente.

Alle ore 9 pom. del 14 il prefetto di Bergamo mi fece il seguente telegramma:

�Ricevuto dispaccio d’oggi relativo a Sarnico: era gi� informato ed aveva provveduto. In conseguenza della nota riunione furono arrestati tenente colonnello Nullo ed il sig. Ambiveri proprietari di Bergamo. Dipendendo Palazzolo da codesta prefettura disposi per essere tradotti a Brescia, per impedire qui dimostrazione partito d’azione.�

787

Risposi cos�.

�Il dubbio della dimostrazione del partito d’azione vi � �ancora qui. Per ragione di prudenza prego inviare gli arreni stati a Milano o a Torino. Risponda subito.�

Di tal dispaccio detti pure comunicazione al ministero.

Alla mezzanotte il prefetto di Bergamo mi telegrafava:

�Non vi � dato per dimostrazione, indizio; misura di �prudenza per essere possidenti di Bergamo. Rispondo letto per �esser tardi e solo. Domani vi telegrafo l'occorrente e daremo �disposizioni secondo vostro consiglio.�

Il mattino del 15 per altro telegramma il prefetto di Bergamo dicevami.

Per la traduzione dei due possidenti di Bergamo e degli �altri arrestati scrissi al ministero chiedendo pronti provvedimenti ti. N. 55 gi� arrestati a Sarnico. Qui popolazione tranquilla. S� agisce per� con attivit� ed energia.�

Or quanta non dovette essere la mia sorpresa, allorquando nella mattina stessa del 15 giunsero in Brescia i due prigionieri!

Intanto in quello stesso giorno scoppiava in Bergamo la dimostrazione che tutti sanno. Scopo la libert� di Nullo; fu facile acchetarla. Quando si seppe che Nullo era in Brescia la dimostrazione si sciolse da s�.

Sventuratamente il prefetto di Bergamo non credette avvisarmi del fatto seguito; e la tranquillit� che io supponeva mantenuta in Bergamo era per me argomento che nulla di dispiacevole sarebbe avvenuto in Brescia, dove i due arrestati aveano minori relazioni.

Intanto il governo avendo ordinato che i signori Nullo e Ambiveri fossero inviati in Alessandria, il prefetto di Bergamo alle ore 7 e 15 pomeridiane mi fece quest'altro telegramma:

�Di conformit� disposizioni Ministero Interni i signori Nullo ed Ambiveri debbono essere tradotti domani mattina col convoglio primo ad Alessandria. Prego di disporre perch� l'ordine venga eseguito puntualmente con tutta riserva.�

788

Tali furono i rapporti ch'io ebbi nei giorni 11 e 15 maggio col prefetto di Bergamo, intorno alla venuta in Brescia dei signori Nullo e Ambiveri.

I due prigionieri giunti cos� inaspettatamente furono tradotti nelle prigioni dette della Pretura Urbana, che sono prossime al palazzo del Municipio, ove sta a guardia un posto di militi nazionali. Chi lo scort� lasciolli col�, scodo quella la prima prigione in cui s'imbatt� per la via. Io seppi del loro arrivo, quando gi� erano rinchiusi in quella.

Se mi fosse stato avvisato il loro arrivo, avrei disposto altro locale; ma una volta rinchiusi alla pretura, trasportarli altrove di pieno giorno poteva essere cagione di qualche inconveniente.

Or nei giorni 14 e 15 maggio, vedendo le cose che accadevano nella Provincia di Bergamo, pensai, oltre quanto aveva disposto per la Provincia a me affidata, d'intrattenermi col Comandante la Guardia Nazionale di Brescia intorno alle condizioni particolari della citt�, non perch� alcuno potesse dubitare dell’illuminato patriottismo di essa, ma perch� potendo accadere che qualche fanatico vi seminasse il disordine, era mio dovere prendere concerti col capo della Milizia cittadina.

E il Comandante della Guardia Nazionale di Brescia, colonnello conte Fenaroli, il giorno 14 a particolare conferenza invitai. Discorremmo lungamente, e poich� egli mi disse che la sera di quel giorno doveva andare a Milano, lo pregai restasse in Brescia.

Il 15 ci rivedemmo pure pi� volte, da ultimo alle ore 4 pomeridiane.

Nelle quali conversazioni lo richiesi se nella citt� apparissero segni, o corressero voci di agitazioni, 'ed egli assicurommi essere tutto tranquillo, n� esservi alcun indizio dal quale potesse arguirsi il contrario.

Parlammo in seguito sul da farsi, se mai qualche perturbazione succedesse, e fummo d’accordo che, venuto il caso, tigli metterebbe in armi la Guardia Nazionale per accorrere ove il pericolo apparirebbe.

789

Da ci� si vede clic io non solo non rifiutai la cooperazione della Guardia Nazionale, ma che fu mia l'iniziativa delle discorse conferenze.

N� io avrei potuto avere ragione di rifiutare la cooperazione di un Corpo distintissimo per l’istruzione, la disciplina e l'attaccamento alle nostre istituzioni.

Intanto tutti i rapporti che io mi ebbi nel corso del giorno 15 mi assicuravano la calma della citt�. Cos� mi diceva la Questura, cos� mi diceva l'Arma dei Carabinieri Reali, cosi mi diceva il Comandante della Guardia Nazionale; ed ei doveva di certo esserne convinto, essendosene andato in campagna alle ore 7 pomeridiano di quel giorno. E se si aggiunga che le altre autorit� del paese tanto militari che civili di qualunque ordine, non escluso il Municipio, niun avviso contrario mi mandassero, io aveva ogni ragione per credere che i rapporti di quei primi bene si apponessero.

In questo stato di cose parve a me che ricorrere a misure allarmanti, mentre il paese era affatto in calma, sarebbe stata opera imprudente e provocatrice. Oltre che erano gi� alcuni giorni che quattro o cinque compagnie di fanteria ed uno squadrone di cavalleria stavano consegnati in quartiere, e colla Guardia Nazionale, cerne dissi innanzi, i concerti erano gi� stabiliti.

Ma era destinato altrimenti!

Alle ore 8 pomeridiane un attruppamento inaspettato comparve davanti alle prigioni della Pretura Urbana, gridando: Viva Garibaldi! Nullo in libert�! Dipoi venne alla Prefettura, gi� fatto pi� grosso, come suole avvenire in simili casi, ripetendo le stesse grida. Credetti non dover compromettere l'autorit� governativa venendo a parlamentare con un attruppamento che chiedeva da me la liberazione dei prigionieri, cio� la violazione de'  miei doveri di rappresentante del Governo. Dopo il doloroso caso � agevole disapprovare la mia condotta; ma se l'autorit� pubblica fosse stata in me vilipesa, quale responsabilit� non avrei io assunto davanti il Governo e davanti al Paese?

790

Al primo annunzio di cotale disordine io detti le seguenti disposizioni:

1. Spedii un messo alla Gran Guardia della Guardia Nazionale, perch� la milizia prendesse le armi. L'ufficiale che vi avea comando rispose voler un ordine del suo superiore; cercassero del colonnello. Il messo si dette a ricercarlo in diversi luoghi, ma invano: egli, come ho detto, era andato in campagna.

2. Ordinai che una compagnia di linea corresse alle prigioni della Pretura Urbana, un'altra venisse al Broletto. Dir� appresso il perch� richiesi questa seconda compagnia.

3. Per dare poi alle prigioni anzidette immediato soccorso, ordinai che vi andassero dodici uomini della Gran guardia militare. Quest'ultimo ordine fu concepito cos�:

Al sig. Ufficiale comandante la Gran Guardia di Brescia

�La si richiede a volere immediatamente spedire dodici �uomini con un sergente a custodia delle prigioni della Pretura �Urbana.

Brescia 15 Maggio 1862.

Prefetto

NATOLI

Questa pattuglia, quantunque in minor numero di quanto doveva essere, giunse subito sul luogo, e si un� ad un drappello di Carabinieri Reali che gi� vi erano.

4. Richiesi pure l'arma dei Carabinieri Reali.

Inoltre io poteva fondatamente credere che tanto i militi nazionali del palazzo municipale quanto qualche pattuglia della Gran guardia accorressero alle prigioni della Pretura: quelli perch� vicinissimi alle prigioni; la pattuglia perch� la Guardia Nazionale accorre sempre nei luoghi ove accadono disordini.

791

Intanto l'attruppamento, per non dar tempo a provvedimenti governativi, torn� nuovamente alle prigioni, le aggred� ed avvenne quel fatto doloroso che tutti lamentiamo e i cui particolari saranno messi in chiaro dal processo che si sta istruendo.

Il fatto avvenne con rapidit� incredibile, e quando giunsero i Carabinieri e la compagnia della linea, esso era accaduto. Questo forze stettero sul posto quasi fino alla mezzanotte; dipoi si ritirarono e furono rimpiazzate da una compagnia di Guardia nazionale che di gi� erasi riunita.

Ma non deggio tacere che in tutto questo avvenimento il contegno della popolazione di Brescia fu ammirevolissimo.

Or si volle dire che io ne' casi del 15 maggio la Guardia nazionale di Brescia non volli richiedere, anzi apertamente rifiutai! In verit� avrei potuto non richiederla confidando nello conferenze tenute nei 14 e 15 maggio col conte Fenaroli; ma pure fu maggiore la mia diligenza e oltre gli avvisi de quali sopra � parola, scrissi al Comandante della Guardia nazionale la seguente lettera:

Brescia, il 16 maggio 1862.

�Invito la S. V. a voler far mettere immediatamente sotto �le armi un battaglione di Guardia Nazionale con ordine di �portarsi sotto l’atrio del palazzo Municipale. Favorisca accu sare ricevuta della presente.

Il Prefetto

NATOLI

Ma sventuratamente i concerti presi li 14 e 15 e gli ordini emanati la sera del 15 non poterono ottenere effetto per l'allontanamento da Brescia del Comandante la Guardia Nazionale, fatto che io ignorava n� poteva supporre.

792

� dunque completamente falso ci� che si � affermato che il Fenaroli mi offrisse per tre volte il concorso della Guardia Nazionale, e che io lo ricusassi.

Il colonnello Fenaroli la prima volta che venne da me nella sera del 15 maggio fu verso le ore 11. Erano in mia casa molte persone, e ben mi ricordo che qualcuno disse al sig. Fenaroli: Ella giunge assai tardi.

� poi tanto vero che la sera del 15 richiesi la milizia cittadina che nel primo telegramma che feci al Governo, annunziando la dimostrazione, espressamente dissi di aver richiesto la Guardia Nazionale.

Ora dir� il perch� feci venire al Broletto quella compagnia di soldati dei quali sopra � parola.

L'edificio del Broletto contiene molti offici pubblici: tribunale, censimento, tasse, cassa provinciale, polizia municipale, questura, offici di Prefettura. Vi sono inoltre le carceri del detto Broletto, ove sono rinchiusi 130 carcerati.

Scoppiato il tumulto correva a me si o no il dovere di pensare alla custodia di questo edil�zio? Fu questa quindi e non altra la ragione che m'indusse a chiamare nel luogo una compagnia di linea, che vi stette altronde pochissimo tempo.

Questi sono i fatti seguiti in Brescia la notte del 15 cadente. fatti dolorosi in qualunque luogo, dolorosissimi in questa nobile citt� che ha saputo sempre congiungerc l'amore della libert� coll’amore dell’ordine, e che tanti e s� stupendi sacrifizi ha fatto in tutti i tempi per la causa nazionale.

Brescia, il 26 maggio 1862.

Il Prefetto

NATOLI


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793

Nella tornata del giorno 5 di Giugno il Presidente della Camera dei Deputati diede lettura della seguente lettera di Garibaldi:

Si fa un gran movimento di attenzione, le tribune pubbliche sono gremite di gente.

Tutti i ministri sono presenti.

�Torino, 3 giugno 1862.

Onorevole signor Presidente

�Nell’atto in cui la Camera dei deputati ripiglia i suoi lavori, mi credo in obbligo di dare ai miei colleghi qualche spiegazione intorno alla ingerenza da me presa nelle cose pubbliche in questi ultimi giorni.

�Lasciai Caprera chiamato dal ministro Ricasoli, che si mostrava disposto ad occuparsi seriamente dell’armamento nazionale.

Il nuovo ministero, costituitosi poco dopo il mio arrivo nel continente, mi mantenne il mandato che io aveva avuto per promuovere gli esercizii del tiro a segno; mi diede inoltre larga speranza che esso si sarebbe in ogni altro modo energicamente adoperato per ottenere la definitiva costituzione di questa nostra Italia una ed indivisibile, quale essa venne solennemente proclamata coi plebisciti delle provincie meridionali. Le fatte promesse stavano per avere un principio di esecuzione nella creazione di due battaglioni di carabinieri genovesi, il cui comando doveva essere affidato ad un ufficiale che gode di tutta la mia fiducia.

�Appena sparsa la notizia di questa organizzazione, i generosi giovani accorsero da ogni provincia d’Italia ad arruolarsi in Genova.

�Non avendo pi� luogo la presa deliberazione, la maggior parto degli accorsi, fornita di mezzi sufficienti, ritornava ai proprii domicilii.

794

�Qualche centinaio rimaneva, cui il ritorno in casa troppo ripugnava, o perch� non sapevano pi� adattarsi all’assoluta inoperosit� cui erano stati per l'addietro condannati, o perch� coll’abbandono dei mestieri e delle professioni avevano perdute le risorse con le quali campavano prima.

�Consigliai quei cari e generosi giovani a raccogliersi in alcuni luoghi della pacifica Lombardia, nei quali si doveva provvedere al loro mantenimento con ispontanee oblazioni di buoni cittadini, mentre essi si sarebbero esercitati viemmeglio alle armi in aspettazione di futuri avvenimenti.

�Il governo equivoc� fatalmente intorno allo scopo di questi depositi.

�I cari giovani colti senz'armi, e senza che avessero data spinta alla menoma apparenza di disordine, sono ora in gran parte incarcerati e sotto processo, unitamente al colonnello Nullo, uno dei pi� benemeriti comandanti del cessato esercito meridionale.

�I giornali che pretendono rappresentare il pensiero del governo diedero a pretesto delle ordinate coercizioni un tentativo d’invasione che stesse per farsi nel Tirolo.

a Niente di pi� falso.

�Il concetto di quella spedizione non � che un sogno.

�Quei buoni giovani non avevano altra missione che di esercitarsi alle armi, e le armi raccolte non erano che quelle necessarie per siffatti esercizi.

�I miei colleghi possono ben capire quanto abbiano dovuto esser dolorosi i tristi fatti che seguivano gl'ingiusti sospetti.

�Spetta al parlamento il correggere questi fatali errori.

�Noi gridavamo ai quattro venti della Penisola: Italia e Vittorio Emanuele. Ed oggi, comunque sia, a qualunque costo, noi rinnoviamo lo stesso grido: Guai a chi tocca il concetto salvatore!... Guai a chi volesse disgiungere il re dalla nazione, il popolo dall’esercito]

�Ma per fertilizzare l'unione del re e della nazione a comune salvezza, per unificare e rendere invincibili le forzo dell’esercito e del popolo, bisogna compiere i' armamento da tanto tempo sospirato.

795

�La Svizzera e la Prussia possono dare armati in tempo di guerra oltre il quindici per cento della popolazione.

�Date ai liberi cittadini d’Italia, strettamente uniti intorno al loro valoroso monarca un'organizzazione simile a quella della Svizzera e della Prussia, o voi sarete sicuri di sottrarre la Corona ed il popolo a qualunque illegittima influenza, ed allora s� che forse senza versare nuovo sangue, e per la sola potenza morale di un re appoggiato a tutte le forze vive della nazione, noi otterremo il compimento dei nostri pi� caldi voti, Italia una ed indivisibile sotto lo scettro costituzionale di Vittorio Emanuele. �Diversamente l'Italia non pu� quietare. Essa tende verso la sua unificazione come ogni ponderabile verso il centro della terra. un'agitazione febbrile e sempre crescente spinge la nostra giovent� a compiere la grand’opera.

�L'inazione non � rimedio al male. Essa � sorgente di ogni possibile disordine. In un paese inspirato dal sentimento della nazionalit�, gli uomini dell’ordine sono quelli che si affaticano per la redenzione della patria. La resistenza passiva non pu� non mutarsi in reazione. Chi vuole opporsi di fronte al generoso movimento, assume tutta la risponsabilit� delle disgrazie che ci possono minacciare.

�La prego, signor Presidente, di comunicare alla Camera questi pensieri, eh' io sottopongo alle serie di lei meditazioni�. Presidente del Consiglio. Avrei desiderato che il generale Garibaldi avesse espresse in persona le sue opinioni. Allora sarebbe stato assai pi� agevole rispondere; ora io debbo usare somma riserva. Egli accenna al motivo per cui si part� dall’isola di Caprera. Io non so che sia succeduto prima ch'io fossi ministro; io lo trovai gi� sul continente incaricato di provvedere all’armamento. Egli ha perfettamente ragione quando parla delle promesse del ministero; ma questo indic� pure la politica che intendeva seguire. Dice che aveva cominciato ad effettuar le promesse coll'istituzione dei carabinieri genovesi.

Debbo dire come passarono le cose.

796

Temevasi che le Provincie meridionali fossero molto compromesse, e venne a me l'onorevole Castagnola, e mi disse che parecchi individui del corpo dei carabinieri genovesi intendevano di combattere i malandrini nelle provincie meridionali; non aver altro scopo. m'informai se vi potesse esser qualche pericolo nella formazione dei battaglioni e venni assicurato di no. Quindi pensai di valermi della facolt� datami dalla legge di organizzar battaglioni di guardia mobile.

Questo furono le intelligenze fra il governo e quelli che fecero la proposta della formazione di que' battaglioni. Nel momento che il governo aveva fatto cessare il dualismo tra i due eserciti, non intendeva certamente dar origine ad un dualismo nuovo. Esso non voleva andare certamente oltre ci� che gl'impone la legge, ma disse anzi voler aderire nel suo programma. Si disse che nelle provincie di Bergamo e Brescia non facevano altro che addestrarsi alle armi, ma mentre si sta formando il processo non posso riguardar la condizione di quegl'infelici che si trovano in carcere. Non ho mai creduto che il Diritto e l’Unit� Italiana siano organi del governo, ed essi soli dissero che avevano dritto di far l'invasione. (Applausi) Si, signori, vogliamo l'armamento, ma in modo regolare, e secondo la legge e la volont� del Parlamento. Ci� dichiarammo espressamente e in tal modo potremo raggiungere il nostro scopo di rendere l'Italia una e indivisibile:

Crispi. Non intendo metter in causa alcuno dei nostri colleghi n� entrare nella formazione dei battaglioni dei carabinieri. Ma giacch� il ministro accenn� all’opinione di alcuni giornali, non posso lasciar sotto silenzio alcuni fatti che il ministro deve conoscere meglio di me. Parler� con riserva.

Rattazzi. Parli, parli con franchezza.

Crispi. L'affare del Tirolo � una favola. (Rumori) Sono venuto alla camera per adempire un dovere sacro. (Applausi)

Presidente Le tribune debbono tacere.

Crispi. l’affare del Tirolo � un colpo montato per venir alla camera con qualche progetto fatale forse alla libert�. Garibaldi non pens� mai a far passar la frontiera austriaca. C'erano altri progetti che conosce il ministero.

797

Rattazzi. Non � vero.

Crispi. � verissimo. Lo scopo era oltre il mare. Si ricorder� che nei mesi di aprile e maggio aveva tenuto colloquii con personaggi e promesso denari.

Voci. Parli, parli.

Crispi. Uno di questi personaggi disse non posso prender tutto il milione; prender� 600 mila lire. Ha il desiderio, ma non l'audacia n� il coraggio. Si fanno complotti, e quando le cose vanno male si ritira e se ne giova per far dei colpi di mano di polizia, che nei tempi attuali possono metter in pericolo la libert� della patria. Sapete come venne al potere il ministro Rattazzi. Per me non trovo differenza tra il suo programma e quello del predecessore. Ci voleva un battesimo: si fe' girare una lettera del generale Garibaldi. Vi sono mezzi d’ispirare una certa confidenza. In tutti questi intrighi vi sono nomi superiori a cui � forza inchinarsi. Si fece dai giornali strombazzare la notizia della scoperta della cospirazione per fare mostra di energia. m'arrester�, perch� nella grave questione si potrebbero compromettere i destini dell’avvenire, e perci� prego la camera a nominar una giunta per far un'inchiesta, la quale esamini se vi sia stata colpa.

Rattazzi. Risponder� colla calma che nasce dalla sicura coscienza di aver sempre proceduto lealmente tanto cogli amici quanto cogli avversarii.

L'onorevole Crispi disse che il governo intendesse far altro che combattere il brigantaggio. Quando venne a me il sig. Garibaldi per esser nominato luogotenente colonnello nel corpo dei carabinieri genovesi, gli feci promettere che altro non avrebbe cercato che combattere i briganti. E ci� avendo egli fatto, ne proposi la nomina al re. Dice pure il sig. Crispi che s'invent� la fiaba della spedizione per aver motivo di presentare una certa legge. Ma prima di questi fatti era essa gi� nell’intenzione del governo. Ho detto gi� di non voler oggi aggravare la condizione di coloro che si trovano oggi sotto processo, desidero anzi che siano dichiarati innocenti; ma ripeto che il Diritto e l'Unit� Italiana, che non sono certamente organi del governo, dichiararono pure che avevasi il dritto di valicare la frontiera austriaca.

798

Si disse ohe non volevano recarsi in Austria, ma intendevano recarsi oltremare. Veramente io non comprendo come per imbarcarsi lasciassero Genova e si portassero verso le montagne del Tirolo. (Risa)

S'inganna il sig. Crispi e non pu� affermare che io abbia mai aderito a qualunque spedizione di qua o di l� dal mare. Non volli mai che si turbassero lo nostre relazioni internazionali, e al solo governo s'aspetta ordinare spedizioni. Ben lungi dal promettere milioni dissi di non potere disporre di nulla. Se alcuno voleva recarsi all’estero avere cercato dal Parlamento i mezzi. Questa � la sola promessa che feci.

Quando era a Napoli, ho risposto che nelle nostre circostanze non credeva si dovesse dare alcun mezzo. Mi maraviglio come dopo tante spiegazioni date, il signor Crispi venga ancora colle sue allegazioni. Se l'onorevole Crispi vuole far accuse, le faccia in pubblico, non voglio esser accusato a porte chiuse (approvazione), ma alla luce del sole. Credo che la camera non farebbe atto costituzionale creando una giunta per investigare gli atti che sono ora materia di un processo. Il ministro sar� sempre disposto a rispondere sul suo operato.

Depretis. Il sig. Crispi volle farmi un rimprovero perch� rimasi al ministero. Mi sono sempre vantato dell’amicizia del generale Garibaldi por cui ho la massima riverenza. Il paese intero e il governo gli debbono i massimi riguardi, ma la stessa amicizia che ho per lui m'impone di non mancar al debito mio, dopoch� venni al potere. La sola linea di condotta che debbo seguire � non mancar al paese. Il governo � solo giudice dell’iniziativa nella cosa pubblica, e in ci� non resto dubbioso, ci� proclamo altamente. Assumo l'accusa ben volentieri, se mi si vuole accusare per tale motivo.

Castagnola d� dei ragguagli sulla composizione e sugli atti dei carabinieri genovesi e sulla parte che egli prese per dar loro una nuova destinazione.

Bertolami. Sarebbe fatale il silenzio del Parlamento e non sincero, perch� la gravit� dei fatti non pu� essere disconosciuta. Tacendoci, mancheremmo al nostro dovere, quindi m'accingo a parlare.

799

Su quanto s'� udito non si pu� formare giudizio, perch� gli uni affermarono, gli altri recisamente negarono. Voglio la luce perch� la pace del paese sarebbe impossibile se il paese non sapesse dove sta la colpa.

Richiamo la vostra attenzione su fatti pubblici. Le relazioni fra il gen. Garibaldi e il presidente del consiglio non sono recenti. In una tornata si credette che il commendatore Rattazzi alimentasse nel Garibaldi speranze che il governo non credeva poter approvare. Dimando quale era la linea di condotta che separava lui dagli uomini che erano al potere. Mi si diceva che il governo di allora non teneva in bastante considerazione un elemento importante della nazione. Diceva egli, essere necessaria la conciliazione, e si disse ergano di essa. Egli doveva essere l'angelo che avrebbe riuniti tutti. E appena venuto egli al potere, si disse da tutti che egli avesse detto al generale Garibaldi, essere necessaria maggior energia per far fronte al nemico, insufficiente essere stato il precedente governo. La sua idea era una promessa. Cito fatti che sono corsi per le bocche di tutti. (Rumori e denegazioni)

Voci, parli.

(Rattazzi pronuncia qualche parola di diniego).

Bertolami. Non credo dover togliere od aggiungere nulla a quanto bo detto.

Il generale Garibaldi credette dover appoggiare il gabinetto Rattazzi che gli faceva esplicite promesse. Dimando ora quali furono i primi atti di questo gabinetto. La fusione degli eserciti, che egli credette ottima cosa per riunir tutte le forze. Ma caddi dalle nuvole quando vidi i due decreti sui carabinieri genovesi. Dice il ministro che non sono sossopra che guardia nazionale; ma il deputato Castagnola ci disse che avevano servito la rivoluzione col generale Garibaldi e che erano tal forza che non voleva essere dispersa. Ma la legge sulla guardia nazionale l'abbiamo, e il ministro non pu� colla sua volont� alterarne la natura. Perch� dovevano fare una eccezione pel corpo che trovavasi in Genova? Come mai un governo che pu� disporre di trecento mila uomini intendeva mandar quel corpo nell’Italia meridionale?

800

A Genova tutti credevano che il governo fosse, connivente, perch� esso deve saper tutto. Perch� non prevenne, perch� non adoperava? Il pi� gran dovere � pur quello di prevenire. Giunse all'alto improvvisa la notizia che il governo schernisse duecento o trecento individui.

Il governo non seguiva la legge perch� non portava la mano sui capi. E i capi si conoscevano, e non � possibile che la loro dichiarazione non fosse pel ministro, che conosce la legge, un indizio per tradurli in giudizio. Il gen. Garibaldi faceva una marcia trionfale in Lombardia, e doveva quindi credersi affatto consenziente il governo. Non veggo quindi l'esecuzione della legge, ma un ammasso di contraddizioni, che � reso ancora pi� chiaro dalla lettera d’oggi. Scongiuro quindi il Parlamento a non lasciare questo argomento nell’ombra. Alla nazione non importa che al banco dei ministri segga questo o quello, a me non importano le persone, parlo nell’interesse del paese, cui sta a cuore che si dileguino le accuse. Lo nostre deliberazioni non possono nuocere all'andamento della giustizia. Saranno solo inviolabili i ministri? Il Parlamento ha da giudicare, la verit� si deve conoscere, e solo quando avremo ottenuto questo scopo, ci potremo presentare alla nazione quali suoi rappresentanti.

Nicotera afferma che il sig. Rattazzi fece delle promesse. Viene quindi a censurare la condotta del ministero relativamente alle provincie napoletane, e si trattiene specialmente sul fatto della guardia nazionale, che avrebbe comandato il fuoco sulla popolazione inerme, che altro non faceva che gridare Viva Garibaldi (Vociferazioni). Conchiude col dimandare al ministro se l'ordine partisse dal governo e chiede spiegazioni sullo scioglimento della quarta legione della guardia nazionale di Napoli.

Rattazzi. Mentre si discutono gl'interessi generali del paese, mi meraviglio che si mettano in campo discorsi famigliari tra deputato e deputato, e se ne faccia argomento di discussione pubblica. Quando si discorre famigliarmente, talvolta si scherza, e si dicono cose che si manterrebbero meglio se si sapesse che debbono recarsi in pubblico. Sarebbe un precedente pericoloso se si ammettesse tale tema di discussione.

801

Non mi ricordo precisamente di tutte le frasi da me proferite. Quando si tratta di toccare le persone delle provincie meridionali, il ministero si trova sempre nella massima perplessit�, perch� contradittorie sono le informazioni che riceve da diverse parti.

L'ultimo giorno che il re trovavasi a Napoli, s'ebbe la notizia che molti stranieri avevano immaginata una dimostrazione, in seguito ai fatti di Bergamo e Brescia, e per chiedere la liberazione dei prigionieri. Cercai il modo di mandare a monte una s� sconveniente dimostrazione, e dissi che essendo essa contraria all'ordine pubblico, se volevasi fare, si dissipasse l’assembramento dopo le volute intimazioni pubbliche. La legge, dissi, prescrive i modi e le forme, e l'autorit� adoperi secondo la legge, e cos� la guardia nazionale cui spetta specialmente quell'ufficio. Non consta a me che siasi dato ordine di far fuoco; mi duole siasi accusato il venerando Topputi. Le relazioni ch'io ebbi sono diametralmente contrarie. La guardia nazionale non avendo fatto fuoco, n� prima n� dopo, e solo impedita la dimostrazione non ha veruna colpa. (Approvazione) Si sciolse la quarta legione, la quale altro non fece, dicesi, che protestare; cosa permessa. Il sig. Nicotera confonde le proteste che si fanno dagl'individui con quelle che si fanno dai corpi. Gl'individui possono essere impuni, ma i corpi non possono collettivamente protestare. Se ammettessimo ci� non vi sarebbe pi� disciplina. Che diverrebbe la guardia nazionale, tutela delle nostre istituzioni, se ammettessimo tali proteste? Bene dunque adoper� il governo facendo sciogliere quella legione.

Dico poi al sig. Bertolami che quando si tratta di lanciar accuse ai ministri non si raccolgono le dicerie della piazza. Non mancai alle mie promesse di cercar l'unit� ed indivisibilit� di Italia, intorno a cui possiamo differir solo sui mezzi.

Dissi nettamente che non avrei tollerato spedizioni, bench� dicessi che a chi volesse uscire disarmato dallo Stato si sarebbero forniti dei mezzi. Le finanze debbono annualmente dare tre' milioni per provvedere all’emigrazione e se si pu� trovare mezzo di provvedere altrimenti agli emigrati, non so perch� si debba trascurare.

802

Il governo deve organizzare 220 battaglioni di guardia mobile, e si applicava la legge colla formazione dei battaglioni dei carabinieri genovesi. Se il signor Bertolami legger� i decreti, vedr� che altro non si fece. Egli poi mi fece accusa di non avere prevenuto, ma doveva per far ci� avere qualche indizio.

Furono arrestati quelli che furono colti in flagrante e non gli altri. Ora procede l'autorit� giudiziaria, e proceder� con tutta giustizia.

Credo aver risposto a tutte le accuse. Spero che la camera terr� conto della mia moderazione.

Bertolami fa qualche nuova osservazione.

Conforti risponde a qualche accusa mossagli dal signor Nicotera. Accoglier� le suppliche dei Napoletani che meritano considerazione, die' egli, ma la maggior parie riferisconsi a domande di denaro o d’impieghi. I dispensati dal servizio levarono certo a cielo i loro martiri. Per la medesima causa non posson ora fare nuove mutazioni nei magistrati napoletani. Il governo si appresta a rendere grandissimi servizi e vantaggi alla citt� di Napoli coi grandiosi lavori pubblici e le istituzioni di credito.

Crispi insiste sulle sue accuse.

Rattazzi. Persiste il sig. Crispi sulla complicit� del ministero, pur dicendo che non pu� indicar i testimonii. Ma la salute dello Stato non pu� esser messa in pericolo per fatti compiuti. lo lo sfido a provare i fatti che egli allega, io dichiaro che mai non permisi che altri facesse spedizioni da qualunque punto del territorio. Quanto al milione che il sig. Crispi insinua che offrissi, dissi che se si trattava solo di sussidio e non vi fisse pericolo per lo Stato, non dissentiva. E il sig. Crispi non dovrebbe poi ignorare che ultimamente, per le speciali circostanze del paese, non poteva concedere un centesimo.

BOGGIO

803

Sedeuta del 4 giugno

Presidente TECCHIO.

Si riprende la discussione sui fatti esposti nella lettera del gen. Garibaldi.

Boggio dice che dalla discussione d’ieri non � uscita luce che valesse ad illuminare la Camera; biasima il generale _ Garibaldi per avere scritto una lettera invece d’intervenire egli stesso alla Camera. Non si meraviglia delle accuse mosse dal deputato Crispi e dalla sinistra, ma piuttosto che da qualche banco della destra sia sorto un'eco a quell'accuse. I impressione prodotta dalla discussione d’ieri � penosa, e l'interesse dello Stato non ne ritrae alcun vantaggio.

Esamina la proposta d’inchiesta fatta dal deputato Crispi e la combatte perch� non servirebbe che a prolungare l'incertezza e la sfiducia nel paese, la debolezza del governo. Per conseguenza voter� contro di essa. � necessario che eliminata l'inchiesta, la Camera dia un voto franco ed esplicito d’approvazione o di disapprovazione al ministero. A ci� si riduce la questione. La questione non � ministeriale; essa � pi� elevata: si tratta di sapere se il paese � governato, si tratta di por fine ad uno stato d’incertezza, giacch� il governo non pu� vivere d’espedienti.

Non pone in dubbio la lealt� del generale Garibaldi e del deputato Crispi; ma essi s'illusero e probabilmente male interpretarono quanto dal ministero veniva loro detto negli abboccamenti che avevano insieme, intendendo pi� di quanto loro veniva promesso.

Crede che realmente si tentasse una spedizione nel Tiralo. Erano preparate persino le ambulanze. E poi perch� Garibaldi si sarebbe dichiarato complice d’un'impresa che ora dichiara essere immaginaria? Perch� egli che non teme il pericolo, avrebbe voluto avere la sua parte in un pericolo che non esisteva?

Trova fra i due discorsi del deputato Crispi delle contraddizioni.


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804

Che cosa significa la frase da lui profferita: starno garibaldini e sventuratamente abbiamo una disciplinai Quando non esistono pi� distinzioni fra i cittadini di diverse parti d’Italia perch� ve ne saranno delle nuove di garibaldini e... non saprei che dire...

Una voce. Boggiani. (Ilarit�)

Boggio. I boggiani conservano il loro libero arbitrio mentre i garibaldini hanno una disciplina. E se non aveste questa disciplina, avreste qualche rimorso di meno pei fatti di Sarnico. (Rumori a sinistra).

Scendendo quindi a confutare molte osservazioni del deputato Crispi, dico che a rendere necessaria una legge sulle associazioni, non si richiedeva il fatto di Sarnico, ma bastavano l'assemblea di Genova ed i comitati di provvedimento. Difende il ministero dalla taccia d’aver cospirato col partito d’azione nel fatto presente. Poco importa che si sieno meditate altre spedizioni, per esempio, nell’America settentrionale, ma ci� che preme di sapere si � se il ministro sia stato complice di una spedizione in Italia, d’una spedizione atta a compromettere il paese.

L'onorevole Crispi fu sublime di malizia parlamentare. (Ilarit�) Ecco quale fu la sua fatica. Temendo che il ministero si rinforzasse e che la maggioranza Io appoggiasse, gli gett� in faccia il rimprovero di essere complice del partito d’azione. Ci� fu abile, e se si scriver� una storia della tattica parlamentare, il suo discorso vi sar� inserito come un modello del suo genere. (Ilarit�)

Combatte quindi le cose dette dall’on. Bertolami, il quale ha unito i suoi sforzi a quelli della sinistra quantunque non ne divida le opinioni.

Conchiude respingendo i mezzi termini. Se il ministero ha tenuto un tale contegno da lasciar credere a taluno che avesse dato speranze al partito avanzato, gli � perch� quando venne al potere, non lo si volle appoggiare francamente e si segui rispetto a lui il sistema seguito rispetto al gabinetto Ricasoli

Massari interrompe.

Boggio. � facile interrompere, ma non bisogna dimenticare la storia. Dica l'onorevole Massari qual forza hanno dato al gabinetto Ricasoli i voti da esso ottenuti con grandissima maggioranza.

805

Con questo sistema noi commettiamo un suicidio politico e daremo soddisfazione all’onorevole Crispi, il quale vuole appunto che la maggioranza ora scissa non si ricomponga. Il conte di Cavour tanto fece, in primo luogo pel suo grande ingegno, e poi perch� era appoggiato da una maggioranza compatta.

Esorta la Camera a dare un voto esplicito di fiducia al ministero, e fa voti affinch� nel partito conservatore rinasca la concordia.

Massari (per un fatto personale) dichiara di non essere stato mai nel numero di coloro che diedero voti equivoci al ministro Ricasoli; anzi propose un voto esplicito quando si tratt� dei comitati di provvedimento e vi si oppose appunto l'onorevole Boggio.

Boggio. Io non poteva accordare un simile voto ad un ministero che non godeva la mia fiducia.

Chiaves. La miglior prova che sul ministero non deve pesare alcuna risponsabilit�, � appunto la diversit� delle accuse che gli vengono fatte. Dicono alcuni: avete cospirato con noi ed avete fatto bene, ma avete poi fatto arrestare i cospiratori ed avete fatto male. Dicono altri: avete fatto male a cospirare e bene ad arrestare.

Ammessa l’ipotesi che il governo avesse promesso il milione per una spedizione, � certo che egli doveva essere giudice del tempo e del luogo in cui dovesse effettuarsi. Cos� avvenne sotto il ministero Cavour. Non era dunque in arbitrio di chi riceveva quella somma di fare la spedizione a suo capriccio. � poi strano che il deputato Crispi denunzi uno perch� fu suo complice. (Movimento.)

E concorde con Boggio nel credere che il ministero deve essere forte e non si deve rinnovare l'esempio d’un ministero che venne a dichiarare per bocca del suo presidente che si era dimesso, perch� da mesi e mesi si avvedeva di non aver l'appoggio dei Parlamento, con pericolo di udirsi a rispondere: E so non avevate tale convinzione, perch� siete rimasti al potere?

Vi ha un partito che ha un duplice scopo: completare l'Italia e rovesciare quindi l'attuale sistema di governo. (De Boni chiede la parola) Questo partito � un pericolo pel paese, deve esser guardato in faccia quantunque non abbia rappresentanti in Parlamento, dev'esser debellato.

806

Esso fa buon mercato della legge, della libert�, dello Statuto, e, all’ombra del primo degli scopi suaccennati, lavora precipuamente ad ottenere il secondo. Io non credo veramente ci� che si dice da alcuno che esso preferisca dieci milioni d’Italiani costituiti in repubblica a venticinque milioni in monarchia

Voci a sinistra. � calunnia, non � vero (Rumori, agitazione).

Presidente. Perdonino, il deputato Chiaves ha dichiarato che questo partito non ha rappresentanti in Parlamento.

Crispi Siamo pi� costituzionali del deputato Chiaves (Agitazione)

Chiaves rammenta ci� che si narr� generalmente delle discussioni dell’assemblea di Genova, nella quale si grid� prima d’ogni altra cosa: Viva Mazzini, e si pose innanzi tutto in discussione il suo richiamo.

Un altro fatto che merita considerazione si � il rimpianto destato in un certo partito dalla fusione dell'esercito meridionale nel regolare e la cura che quel partito pone nel mantenere a lato dell’esercito regolare una forza che non obbedisce certamente n� al Re, n� al governo. Nasce il sospetto che vogliano servirsi di questa forza per rovesciare un giorno la monarchia. Costoro gridano, � vero, Italia e Vittorio Emanuele, ma bisogna gridare Viva il principio e non solamente Viva l'uomo, per quanto grande egli sia. D’altronde costoro gridano anche Viva Mazzini, il quale non ci si fa credere che sia monarchico costituzionale. Bisogna gridare Viva la monarchia costituzionale, bisogna attenersi al plebiscito e gridare Viva l'Italia una sotto la monarchia nazionale di Vittorio Emanuele e la dinastia di Savoia(Viva agitazione).

Cavour e Garibaldi insieme uniti non avrebbero potuto fare l'Italia senza la dinastia di Savoia che � la nostra guarentigia in faccia all’Europa. Garibaldi lo sa e sono convinto che anche fatta l’Italia la monarchia nulla avrebbe a temere da lui. Ma si pu� affermare altrettanto di tutti quelli che dicono di essere con Garibaldi?

Accenna a coloro che vorrebbero la dittatura con Garibaldi. (violenta interruzione = Miceli protesta) Io rispetto tutte le opinioni e si deve rispettare anche la mia.

807

Discuterei il Re se si allontanasse dalla costituzione, posso adunque discutere anche Garibaldi ed il suo partito. (Approvazione) lo amo innanzi tutto la libert�. Per me la dittatura � peggio che il governo assoluto. Tra la dittatura ed il regno di Carlo Felice preferisco questo ultimo. (Bravo)

Confido che il ministero sapr� essere fermo ed energico contro questo partito; se qualcuno presenter� un ordine del giorno in tal senso, avr� il mio voto. (Approvazione)

De Boni (per una mozione d’ordine) chiede che significhino le idee, le suggestioni e le accuse del deputato Chiaves. Io non ho inteso nulla. (Ilarit�) Domando che non si esca dalla questione come ha fatto l'onorevole preopinante. (Ilarit�, interruzione)

Pres. spiega che Chiaves non � uscito dalla questione.

Bixio. Chiamatovi dal Presidente del Consiglio, testimonier� prima due verit�. La prima � questa, che il Presidente del Consiglio, richiesto del permesso di organizzare una spedizione, vi si rifiut� ricisamente, dicendo che non avrebbe dato mano a spedizione di sorta.

In seconda � che, avendo il Presidente del Consiglio invitalo il sig. Menotti Garibaldi a dare la sua parola d’onore che egli avrebbe porto la dimissione tosto che le sue opinioni politiche pi� non gli permettessero di servire il Governo, il sig. Menotti diede la sua parola d’onore.

L'onorevole Rattazzi diceva che gli arrestati erano stati colti armati.

Rattazzi. � stato un equivoco di parole, che mi affretto a rettificare.

Bixio. L'onorevole Boggio ripet� che erano stati colti in flagranza a Sarnico; l'onor. Chiaves parl� pure del tentativo armato di Sarnico, che non � vero.

Se fossi ministro, non permetterci ad alcuno di fare qualche cosa senza il mio permesso. Ma i giovani arrestati lo furono illegalmente. La condotta del prefetto di Brescia � inesplicabile. La sola mancanza d’uomini politici a Torino ha potuto permettere questi arresti. Non c'era. ragione.

Ora risponder� all’onorevole Crispi. Io devo dichiarare che la condotta da lui tenuta ieri � stata incredibile (attenzione).

808

Ha detto cose che non hanno fondamento alcuno. Ma in certi momenti, certi uomini dimenticano la loro testa, e in questo momento trovossi ieri l'onorevole Crispi.

L'on. Crispi parl� della disciplina d'un partito.... Io credo che se qualcuno vuol essere disciplinato � lui solo. Garibaldi non � uomo di partito, lo si vuol far diventare un uomo di partito, ma egli non lo �: n� lo sar� mai (Benisssimo).

Garibaldi non � uomo di partito: non dev'esserlo, non pu� esserlo, non lo sar� mai. (Benissimo) Quando Garibaldi sapr� di essere nelle mani di un partito, egli vi lascier� con un palmo di naso (Ilarit�).

un'altra dichiarazione debbo fare; ho un debito da compiere. Io so positivamente che il ministero non sapeva nulla del pensiero del generale Garibaldi. Io era stato da lui invitato a parlare dei suoi pensieri coll'on. Depretis, mio amico; ma io rifiutai, perch� vi sono cose che non si possono dire ad un amico quando � ministro.

Ho quindi la convinzione che il gen. Garibaldi non comunic� ad alcun membro del gabinetto il pensiero che aveva a me comunicato.

E se il mio amico Guerzoni pubblic� una lettera, ch'io chiamer� per lo meno imprudente, nella quale si dice che il ministero sapeva qualche cosa, io debbo dichiarare che il mio amico Guerzoni non la seppe da me.

Io doveva dir questo, per quanto mi possa costare il farlo. (benissimo)

Petruccelli. Io non so quale impressiono avr� fatto in altri la discussione a cui assistiamo; io ne ho provato una tristissima. L'accusa e la difesa, tutto mi parve d’un'estrema debolezza e caduto in un mare di pettegolezzi e di personalit�. Se io avessi dovuto votare ieri dopo la lettera del generale Garibaldi, avrei condannato il ministero; ma oggi trovo nella coscienza pubblica e nella mia ragione di esitare.

Procedendo poi l'oratore trova che nelle attuali condizioni il meglio si � di appoggiare il ministero, quantunque egli che parla abbia la missione di demolirlo.

809

Garibaldi ha commesso un errore di ottica.. Invece di guardare a Venezia avrebbe dovuto guardare a Roma. Un tentativo su Venezia dest� generale indignazione in Europa; un tentativo su Roma avrebbe avuto un'eco di simpatia perfino in Francia. (Agitazione)

Crispi (per un fatto personale). L'amico mio Bixio mi ha attribuito a crimine la mia attitudine nella presente quistione, l'onorevole Petruccelli ha detto che all’udire il mio discorso credette che parlasse Normamby o Rechberg; il deputato Boggio vide nel mio discorso molta malizia parlamentare, il deputato Chiaves fece allusione a me parlando dell’assemblea di Genova.

Devo dare alcune spiegazioni.

Io ho imputato il governo non per aver cospirato, ma per aver punito ci� che non era cospirazione, per aver fatto arrestare tanti giovani, mentre da gran tempo era a parte do' segreti che potevano essere utili al paese. Io non posso dimenticare che sono in carcere Nullo e l'infelice Cattabene, (rumori) sul quale si fa pesare una orribile accusa, da cui ho fiducia sia per venire assolto, e che dovea appunto essere a capo di uno di quei corpi che erano destinati a prender parte alla spedizione. (Sensazioni, rumori)

Garibaldi non appartiene ad alcun partito, ci� � vero, ma personifica in qualche modo il popolo; or bene, il popolo deve avere la sua iniziativa come l'ha in Inghilterra, dove l'opinione pubblica concorre a far le leggi. E in Italia il popolo manifesta appunto le sue per mezzo di Garibaldi.

Presidente. Lo richiama alla questione personale.

Crispi dice esservi. Garibaldi adunque � l'uomo del popolo; l'uomo dell’iniziativa legale. Questo � il concetto che ho io di Garibaldi ed in questo senso mi dissi garibaldino.

Entra quindi in molte spiegazioni intorno ai partiti in Italia ed alla diversa forma dei plebisciti. La repubblica � uno spauracchio per chi non vuol andare avanti. Ma noi vecchi repubblicani abbiamo ora accettato lealmente il principio monarchico a condizione che I ' Italia si faccia — Se no, no.

Chiaves (per un fatto personale) d� alcune spiegazioni in risposta a Petruccelli e Crispi.

810

De Boni crede anch'egli come Boggio che si debba dare un voto franco ed esplicito di fiducia o di disapprovazione, quantunque collo stesso Boggio non sia d’accordo nel ritenere che il miglior governo sia quello che ha miglior forza di repressione. A questo modo il miglior governo sarebbe quello di Ferdinando II. Dichiara poi che quanto a lui non ha alcuna fiducia nel presente ministero. Parla in mezzo alle conversazioni particolari e alla disattenzione della Camera.

Boggio (per un fatto personale) Non ho mai detto che il miglior governo sia quello che possiede in maggior grado la forza di repressione, ma ritengo che il miglior governo, anzi il solo possibile, � quello che pu� e sa far rispettare le leggi. E lo dichiaro tanto pi� volentieri inquantoch� ieri alcuno ha affermato che la guardia nazionale e l'esercito devono spezzare le armi prima di adoperarle contro il popolo tumultuante. (Applausi).

Nicotera (per un fatto personale). Non � la prima volta che l'onorevole Boggio fa dire agli altri ci� che non hanno detto. Io ho affermato che la guardia nazionale deve spezzare le armi pri ma di adoperarle contro il popolo inerme che fa valere i propri diritti come faceva il popolo di Napoli nell'ultima dimostrazione ch'ebbe luogo in quella citt�. Io ammetto che possa usare le armi per disperdere il popolo che tumultua contro la libert� e non altrimenti.

Boggio. Tutte le opinioni sono libere. Secondo me, l'esercito la guardia nazionale quando sono sotto le armi devono ubbidire e non discutere gli ordini dei loro superiori. Altrimenti non esisterebbe pi� disciplina. {Applausi)

Pres. Sono prevenuti al banco della presidenza i seguenti ordini del giorno:

1. �La Camera, visto che gli atti del ministero non gli danno dritto alla fiducia dal paese, passa all'ordine del giorno.

Mordini. Nicotera, Miceli,

Bertani, De Boni, ecc.

811

2. �La Camera, udite le spiegazioni date dal ministero sugli ultimi avvenimenti, approva il suo operato e confidando ch'egli coll’autorit� della legge manterr� sempre illese le prerogative della Corona e del Parlamento, passa all’ordine del giorno.�

Minghetti, Assanti, Valerio,

Susani, Bubani, Paternostro,

Allievi e moltissimi altri.

3. �La Camera deplora gli ultimi avvenimenti, e ferma sul proposito che l'ordine, gl'interessi del paese e la dignit� del governo restino inviolati, passa all'ordine del giorno.�

Finzi, Scalini. Pinelli, Bernardi,

Lanza Gio. ed altri.

4. �La Camera deplora gli ultimi avvenimenti, e confida nell’operato energico del governo, perch� sia mantenuta illesa l'autorit� delle leggi, e passa all'ordine del giorno.

Mosca, Massarini, De Filippo,

Mazza Pietro, ecc.

5. �La Camera ordina un'inchiesta parlamentare sulla condotta del potere esecutivo anteriormente e durante i casi di Sarnico e Palazzolo, e passa all’ordine del giorno.�

Crispi.

812

Rattazzi (segni d’attenzione), dopo un breve esordio continua:

Se la discussione si fosse limitata ai soli fatti di Sarnico, io avrei rinunciato a parlare, perch� dopo la franca esposizione del deputato Bixio credo che la Camera sar� convinta nel ritenere nessuna complicazione del governo nei fatti anzidetti.

Per�, tanto dai banchi della sinistra, come da quelli della destra, si sono severamente accusati gli atti del governo. Si disse che noi non abbiamo adempito al nostro dovere; che abbiamo fatto promesse tali, dalle quali soltanto, essendo mancate, derivarono i deplorabili avvenimenti di Brescia; ci si accus� che nulla abbiamo fatto nell’ordine amministrativo; che, respinti i principii liberali, siamo stati retrivi.

Prima di tutto mi � necessario rispondere all'on. Massari, che mette in dubbio la sincerit� dell’origine del presente ministero. Come pu� muoversi sospetto sulla nostra origine? Forse siamo noi che abbiamo fatto cadere il ministero Ricasoli, o non furono i suoi stessi amici, come disse egli stesso? Noi non siamo responsabili che di aver accettato il ministero, e la nostra origine � la pi� pura che vi sia, perch� parte dalla fiducia della Corona. E vero che � necessario anche l'appoggio del Parlamento; e noi lo abbiamo domandato e so rimanemmo al potere lo facemmo perch� la Camera ci diede codesto appoggio.

L'on. Massari parlando della questione romana, disse che dopo tante promesse siamo ancora al punto in cui ci trovavamo tre mesi or sono. Signori, io non ho mai detto con volo profetico che andremo a Roma immediatamente, bens� dichiarai che la quistione romana deve sciogliersi con mezzi morali e diplomatici, i quali per loro stessi non determinano il tempo preciso. Se non siamo in Roma pu� esserne fatta accusa al governo? Il governo � certo di aver fatto uso tanto dei mezzi morali che dei diplomatici.

Quanto ai primi l'Italia deve indicare all’intera Europa esser sua ferma intenzione di aver Roma per capitale.

813

Io credo che il fatto del viaggio del Re nelle provincie meridionali e toscane, il modo con cui fu accolto, e le grida entusiastiche delle popolazioni, sia un mezzo potentissimo per raggiungere la meta delle nostre aspirazioni ed un gravissimo colpo al partito retrivo, che ha la sua sede in Roma.

Noi non abbiamo nemmeno omesso i mezzi diplomatici; non abbiamo omesso di far conoscere il pericolo immenso che ridonda all’Europa dal tenere insoluta la questione romana. Ma non son cose codeste che si possano sciogliere n� in tre n� in quattro mesi. Anche la Francia ha lo stesso interesse di noi; e certamente non possiamo far colpa al governo imperiale se si mostra qualche volta esitante.

Quanto a Francesco II, neppure abbiamo tralasciato di fare tutto quello che era possibile per allontanarlo dalla capitale d’Italia e speriamo che questo giorno non sia lontano. Ma non � la materiale presenza di lui che turba la tranquillit� interna; quando potremo impedire il brigantaggio, per noi poco importa che Francesco l� resti a Roma o se ne vada altrove. Ora sono state prese le opportune precauzioni dal comando militare francese per cooperare a questo scopo.

La presenza della flotta francese nelle acque napolitane � d’altronde una nuova protesta del governo imperiale contro le inique arti del Borbone per mantenere l’inquietudine ed il disordine nelle provincie napoletane.

L'on. Massari disse nel corso della sua accusa contro il gabinetto, che nulla si � fatto nelle provincie meridionali. Ma era necessario che il governo prendesse una conoscenza personale con le dette provincie. Non � che da pochi giorni che siamo ritornati da quei luoghi. L'impazienza del deputato Massari si moderi e stia sicuro che dal canto mio nulla tralascier� per far quei cambiamenti, che saranno richiesti dalle circostanze.

Quanto alle leggi liberticide, delle quali ci si fa autori, dir� che il governo � fermo ne' suoi principii di progresso e di libert�. Noi siamo figli della democrazia e della libert�; siamo usciti dalle sue file, abbiamo combattuto per essa. Ma libert� non � licenza.

814

Quando ci siamo decisi di presentare la legge sulle associazioni, lo abbiamo fatto per rendere un omaggio appunto ai principii liberali, per salvare la libert�.

Quando l’Assemblea emancipatrice ci vien dicendo che essa � moralmente sovrana, domando io quale sar� l’autorit� del Parlamento? Se dunque io, fermo nel pensiero di mantenere le nostre istituzioni, mi sono indotto a presentare una legge che impedisca che alcuni uomini si arroghino il mandato di parlare a nome del paese, non mi si accusi di voler uccidere la libert�.

Mi si dice che io sono pauroso. Il deputato Bertani vedr� che quando si presenter� l'occasione io non avr� paura; Se ho paura, ho paura per le improntitudini, alle quali pu� lasciarsi trascinare una giovent� inesperta; ho paura che possa esser compromessa la pace e la concordia di cui abbiamo tanto bisogno; � la paura di ogni onesto cittadino, di quanti amano la libert� ed il paese.

Giustifica il decreto di fusione dell’esercito meridionale, e quanto all’armamento, dice:

Il deputato Massari s'inganna quand’egli dice che noi colla istituzione dei due battaglioni di carabinieri genovesi abbiamo richiamato il dualismo, perch� la legge autorizza il governo a formar corpi distaccati. Il governo dal canto suo non manc� di far conoscere che aveva l'intenzione di armare alacremente.

Ma in pari tempo manifest� che voleva riservarsene l'iniziativa perch� deve rispondere dell’armamento e della disciplina. Qualora noi abdicassimo a questa prerogativa, inseparabile ad ogni governo, saremmo deboli rispetto a noi stessi e di fronte a tutta Europa.

Nel mio programma dissi che il governo intendeva bens� d’armare, ma che intendeva di riservarsene l'iniziativa. Io non feci promessa in senso contrario; la mia dichiarazione fu esplicita e formale innanzi al Parlamento ed al paese.

Signori, quello che dissi allora lo ripeto oggid�. Noi siamo disposti a provvedere all’armamento nei limiti della legalit�; ma non lascieremo che alcuno prenda la mozione e l'iniziativa, come non lascieremo che alcuno con atti incomposti voglia compromettere la sicurezza del paese.

815

Il Parlamento pu� star tranquillo che il governo non piegher� su questo proposito. Qualora ci� fa cesso, mancherebbe al primo e pi� grande dei suoi doveri. Non lo permetteremo nemmeno quando anche i tempi non fossero calmi e normali, come sostenne l’onorevole Berta ni. Pu� darsi che il governo in tempi anormali debba ricorrere a mezzi rivoluzionarii, ma il movimento devo stare sempre nelle mani di lui. (Bene) Ad ogni modo non potrebbe mettersi a capo del movimento chi si proclama rappresentante del popolo, senza averne il mandato. (Bene)

Non � a maravigliarsi se il piccolo Piemonte, che aveva lo scopo di fare l’Italia, si sia servito di mezzi anche rivoluzionarii. Egli si esponeva al pericolo di perdersi, ma aveva innanzi a so la prospettiva di far grande e libera l'Italia. In politica i mezzi si scambiano e si agitano a seconda delle circostanze. Ora siamo 22 milioni d'Italiani. � vero che altri quattro gemono sotto una dura schiavit�. Dovremo noi avventurare la sorte di questi 22 milioni, quando siamo certi che in brevissimo tempo raggiungeremo lo scopo che ci siamo prefissi? No, o signori, la sarebbe questa la peggiore delle politiche. Io ho l'intima convinzione che colla pazienza noi vinceremo le grandi difficolt� che ci stanno dinnanzi. Noi dobbiamo occuparci di costruire il nostro esercito, di fondare la nostra organizzazione ed allora potremo pi� facilmente toccare la meta. Con questa prospettiva, lo ripeto; vorremo avventurare le sorti di quanto abbiamo sino ad ora ottenuto?

Senza essere provocatori, quando noi continueremo nella via che abbiamo sino ad ora battuta, l'Europa terminer� col riconoscerci e col dare alla nostra causa il suggello della sua approvazione. (Bene Bravo).

Quanto agli ordini del giorno stati presentati, io non posso accettarne alcuno che non porti il suo giudizio sull’operato del ministero. � necessario che il ministero abbia un voto franco e deciso. Altrimenti mancherebbe di quella forza che gli � necessaria.

Respingo quelli dei deputati Crispi, Bertani e Finzi, questo ultimo perch� deplora e non deplora; non si sa se deplori il fatto della spedizione o l’operato del ministero.

816

Dichiaro invece di accettare quello dell’onorevole Minghetti e di parecchi altri, perch� chiaro e preciso, e non lascia alcuna incertezza.

Pres. Il dep. Paternostro ha la parola.

Voci. La chiusura.

Crispi parla contro la chiusura. Subordinatamente domanda che gli si accordi la parola per un fatto personale.

Altri deputati la chiedono per lo stesso oggetto.

Crispi comincia a parlare per un fatto personale.

Permettetemi di esaminare il discorso dell’onorevole presidente del Consiglio e quello del deputato Bixio.

L'onorevole ministro neg� l'aver promesso un milione per tutt'altro scopo che per agevolare l'uscita dallo Stato agli emigrati. Dove dovevano andare? A colonizzare l’America od a civilizzare l'Africa?

L'altro giorno l'on. ministro disse che non poteva opporsi a che parecchi individui si recassero fuori dello Stato, ma che non avrebbe assolutamente permesso si facesse una spedizione. Il che in altri termini vuol dire: �Fate, ma io non devo entrarci. (Rumori prolungati ed interruzioni)

Il sig. Rattazzi neg� l'esistenza del dispaccio, al quale feci allusione l'altro giorno, e mi domand� se io ne conoscessi un altro in senso contrario. Sissignore, io ne conosco un altro ed � quello che spedi da Napoli, cos� concepito:

�Sospendete sino al mio ritorno.�

Per di pi�, quando il messaggere all’alto funzionario che gli partecip� il telegramma, disse. �Tutto � dunque finito?� l'alto funzionario rispose. �che il generale continui a raccogliere uomini ed armi, e quando Rattazzi verr�, si combiner�. (Sensazione)

CRESPI

817

Il dep. Bixio ha declinato...

Bixio (interrompendo violentemente] Io non ho declinato mai nulla....

Crispi. L'on. Bixio ha declinato di parlare all'on. Depretis, lo ha detto lui stesso ieri l'altro. Ebbene, io vi so dire che altri gli hanno parlato.

Voci. I nomi: (rumori) Votate l'inchiesta e saprete tutto. (Rumori prolungati)

L'on. Chiaves mi chiese l'altro giorno, credendomi compartecipe col governo, qual nome dovesse darsi ad un complice che partecipasse il suo compagno di complicit�. Io dal canto mio chiedo all’onorevole Chiaves qual nome deve darsi a quell'agente del potere che s'insinua nelle societ� segrete, e poi il giorno dopo riveste l'uniforme e fa arrestare i membri delle societ� stesse. Ci� pu� dirsi abbia fatto il governo (Rumori prolungati).

L'onorevole deputato Chiaves parlando di un certo partito....

Voci. Al fatto personale. E' tempo.

Pres. L'onorevole Chiaves, parlando di repubblicani, ha detto che di questi non havvene alcuno in questo recinto; non posso adunque ammettere che avesse voluto parlare di lui.

Crispi continua a dire che gli uomini del partito repubblicano hanno accettato il programma: Vittorio Emanuele Re d’Italia,

Risponde anche al deputato Bottero per ci� che concerne il suo viaggio in Sicilia. Garibaldi, egli dice, arriv� in Napoli il 7 settembre 1860, le sorti delle provincie meridionali furono assicurate il 2 ottobre; il sig. Bottero abbandon� Palermo il 4 settembre per un certo timor panico, di cui io non gli fo colpa. Egli s'imbarc� sul Monzambano per timore che il terribile Crispi lo divorasse.

Conchiude:

Signori della maggioranza, se voi date un voto di fiducia al presente gabinetto, date uno di quei tanti voti, sotto i quali � caduto il povero barone Ricasoli. Se dovessi analizzarvi ad uno ad uno, non vi troverei d’accordo sui grandi principia (Voci, siamo tutti d’accordo).

817

Queste voci le intesi tante volte fuori di qui, ma questo Parlamento non � l'Arcadia.

Se la maggioranza vota pel ministero Io fa sapete perch�? perch� teme il peggio.

Se volete che l'Italia sia redenta, bando agli equivoci. Se voi date un voto di fiducia al governo, lo farete vivere per pochi giorni ed alla prima occasione lo ucciderete.

Bixio. La situazione che abbiamo ora � avvenuta per gli errori di tre uomini politici, il prefetto di Bergamo, quello di Brescia, ed il direttore generale di polizia, e per errore del ministro che non ha accettato le dimissioni del secondo (Voci. Ha fatto bene).

Del resto, io quel che dico lo dico in un modo sacramentale. Ebbene; io mi sono recato tre volte dall’on. Presidente del Consiglio per vedere se ci appoggiasse in una spedizione, che non occorre indichi per dove, dacch� non faccio il delatore, e sempre mi disse di no, e nell’ultima volta mi spieg� anche le ragioni.

Quanto al ministro Depretis ripete quello che ha detto i' altro giorno.

Dice che il generale Garibaldi ha ricevuto una somma, non importa che dica quale, e sopra invito del ministero, si obblig� a farne quell'uso che il governo avrebbe voluto.

Del resto, l'Inghilterra cospira contro di noi a Malta, la Francia cospira contro di noi a Marsiglia, l'Austria a Trieste e noi?.... Il sig. Crispi che ha cospirato per tanto tempo dovrebbe sapere che i segreti dei complici, qualora ve ne siano, non devono svelarsi. Io poi ho l'intim� convincimento che il ministero non sapeva nulla affatto della spedizione. Quanto poi al sig. Natoli, io lo conosco personalmente, � un buonissimo patriota, ma non uomo politico; quanto al duca di Cesar�, che io non conosco affatto, meriterebbe di essere mandato.... dove?.... Io lo manderei all'arcipelago della Carolina. (Ilarit� generale prolungata).

Conchiude col dimostrare l'inutilit� della inchiesta, la cui proposta, secondo l'oratore, dimostra poco patriottismo.

Rattazzi soggiunge qualche parola che ci � perfettamente sfuggita.

819

Bertani invita l'on. presidente del Consiglio a dichiarare che esso oratore non ha mai cospirato contro l'autorit� e le leggi dello Stato, a cui pare voglia alludere col recente suo discorso.

Rattazzi dice che non ha inteso parlare di lui interpellanti;, bens� in generale della associazione unitaria che si proclama moralmente sovrana.

Venendo al dep. Crispi, � nuovo negli annali parlamentari, che un deputato getti sul capo dei ministri la pi� grave delle accuse, quella cio� di fingere di cospirare per gittar quindi in un carcere gl'inesperti, che facevano parte della cospirazione. Lo si invita a pronunciare nomi e luoghi ed egli si cela dietro all'inchiesta. Ed � con questo che egli accusa un gabinetto? Io mi appello al buon senso della Camera (bene, bravo).

Passa ad esaminare ci� che disse l'on. Bixio e dichiara alla Camera che al generale Garibaldi due volte soltanto diede denari, una di 5000 per l’istituzione dei tiri e l'altra di 6200 per sopperire alle spese della sua missione.

Difende l'operato dei prefetti di Bergamo e di Brescia che dal canto loro hanno fatto quello che era possibile per impedire ogpi dimostrazione.

Depretis. (min. dei lavori pubb.) Se il sig. Crispi con le sue parole ha inteso che altri sono venuti a me, dopo che l’on. Bixio ne declin� l'onore, io lo smentisco recisamente. (Crispi. Non ho inteso questo).

Quanto al viaggio del sig. Bottero in Sicilia dice che la spedizione era gi� finita.

Bottero. Nulla dir� dopo quello che disse l'on. ministro dei lavori pubblici.

Del resto poi risponder� all’on. Crispi, che quando io partii da Palermo, egli non era pi� ministro e quindi non pi� in grado di far paura a chicchessia.

Bertolami, Cadolini e Crispi parlano per un fatto personale.

820

Pres. Sono stati presentati altri tre ordini del giorno:

�La Camera, in attesa, delle risultanze del processo inizia�to sugli attimi avvenimenti ed intese le dichiarazioni del mini�stero, passa all’ordine del giorno.

L'ordine del giorno puro e semplice.

Ricciardi.�

La Camera, disapprovando qualunque atto di iniziativa tendente a diminuire l’autorit� costituzionale del governo, passa all'ordine del giorno.

Broglio.�

Rattazzi. dichiara di non accettare alcuno di questi nuovi ordini del giorno.

L'ordine del giorno puro e semplice non � appoggiato. S� domanda l'appello nominale.

Sorge questione su quale degli ordini del giorno stati presentati debba farsi l'appello nominale. Finalmente si conchiude per l'ordine del giorno, accettato dal governo.

Finzi chiede di sviluppare il suo ordine del giorno.

Broglio appoggia la domanda, invocando la ragione ed i precedenti della Camera.

Hanno la parola i deputati Boggio, Lafarina, Massari, il presidente del Consiglio, il ministro dei lavori pubblici ed altri.

Finzi dichiara che qualora non gli si voglia permettere lo sviluppo della sua proposta, la ritira.

La Camera glielo accorda.

Finzi sviluppa il suo ordine del giorno. Esso mira a tener alta la bandiera dell’ordine, ma non esprime fiducia nel ministero. Siamo in presenza di opposte dichiarazioni, fra le quali sono ancho quelle di Garibaldi, che ha detto di esser d'accordo col ministero. La presente discussione non induce in noi alcuna certezza intorno ai fatti accaduti. Noi deploriamo ci� che � avvenuto d’inconsiderato da parte degli autori dei fatti di Sarnico.

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Il ministero non pu� esigere un trionfo, giacch� non esce assolutamente scevro di colpa dalla discussione.

Esamina la condotta politica di alcuni degli uomini che siedono ora al potere. Dice ch'essi facevano parte dell’antico nucleo che faceva opposizione a Cavour. Passa quindi a rassegna i principali atti del presente ministero, e ripete che non lo rendono meritevole della fiducia del Parlamento.

Rattazzi nega che Garibaldi abbia scritto che il ministero era d’accordo con lui.

Sviluppano i loro ordini del giorno dei deputati Broglio Minghetti e Mosca.

Sono posti ai voti o respinti gli ordini del giorno i deputati Finzi e Mosca.

L'ordine del giorno Minghetti posto ai voti � approvato per appello nominale con 189 voti contro 33. s'astennero 28.

Votanti per il si. —, Alfieri, Allievi, Ara, Arconato, Visconti, Assunti, Audinot, Avezzana, Baldacchini, Ballanti, Baracco, Belli, Beltrami, Beretta, Bertea, Berti, Bertini, BertiPichat, Bancheri, Bielli, Boggio, Boncompagni, Borella, Borgatti, Boromeo, Borsacchi, Bottero, Braico, Brida, BrigantiBellini, Brignone, Brioschi, Brunet, Budani, Cagnola, Camerata, Canalis, Cupone, Cappelli, Caracciolo, Caso, Cassinis, Castagnola, Castallani-Frantoni, Cavallini, Ccdrelli, Chiapusso, Chiavarina, Chiaves, Conforti, Coppiuo, Correnti, Cossilla, Costa Antonio, Cugia, Cuzzotti. D’Ayala, Deandreis, De Blasii, De Cesare, De Filippo, De Pazzi, De Peppo, Depretis, Dorucci, Fabricatore, Fabrizzi Giovanni, Falconcini, Farina, Farini, Ferracci�, Gabrielli, Gadda, Galeotti, Genero, Gherard, Giacchi, Ginori, Giorgini, Giovio, Gravina, Grillenzuni, Guglianetti, Iacini, Iadopi, Lanciano, Leardi, Leo, Leopardi, Levi.

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Maceri, Maggi, Malenchini, Mancini, Mandoj, Marchetti, Maresca, Martinelli, Messolla, Mautino, Mazza Pietro, Mazzoni, Melegari L. A., Mellana, Menotti, Mezzncapo, Michelini, Miglietti, Minghetti, Mischi, Moffa, Molfino, Mongenet, Monti, Monticelli, Monzani, Morandini, Morelli Donato, Moretti, Morini, Negrotto, Nelli, Ninchi, Nisco, Oytana.

Palomba, Panattoni, Pasini, Paternostro, Pelosi, Pepoli G., Persano, Pescetto, Petitti, Pezzani, Picca, Piroli, Pironti, Pisani, Poerio, Porsenti, Reali, Ranco, Rapallo, Rattazzi, Restelli, Rabatti, Ricci G., Ricci M., Ricci V., Robecchi, Ror�, Rovera, Raschi, Sacchero, Salvoni, Sancuinetti, Sanseverino, Santocanale, Saracco, Scaiabelli, Sella, Silvani, Silvestrelli, Solaroli, Soldini, Spaventa, Spinelli, Stocco, Susani, Tecchio, Testa, Tonelli, Tonello, Torelli, Tornielli, Torre, Torrigiani, Trezzi, Vecce, Valerio, Varese, Vegezzi S., Vergilli, Viora, Visconti, Zanolini.

Votanti per il no. —Bertani, Cairoli, Calvino, Crispi, De Boni, De Luca, Finzi, Fraccacreta, Friscia, Gallenga, Gallo, Lazzaro, Libertini, Martina, Mazziotti, Melegari Luigi, Miceli, Mordini, Musolino, Nicotera, Regnoli, Sanna Sanna, Sirtori, Sparoni, Tenca, Massari, Toscanelli.

Astenuti: Boiardi Tiberio, Bixio, Bonghi, Broglio, Busacca, Camozzi, Cantelli, Ciccone, Cipriani, Ferrari, Gigliucci, Grossi, Guerrieri-Gonzaga, Lacaita, Lanza Giovanni, Maccabruni, Massa, Massarani, Morelli Giovanni, Mosca, Pinelli, Polti, Rasponi, Ricciardi, Robecchi Giuseppe, Scalini, Ugdolena Ugoni.

La seduta � levata alle 6 1|2.

L'energia che mostr� il Governo italiano, e l'approvazione che aveva dato il paese alle misure prese da quello in s� difficili circostanze produssero un eccellente impressione in Europa. La Francia e l'Inghilterra si affrettarono di manifestare la loro soddisfazione al Governo italiano. L'Imperatore Napoleone incaric� M. De Thouvenel Ministro degli affari esteri di complimentare il Commendatore Nigra ambasciador d’Italia a Parigi.


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823

Il signor Benedetti egualmente ebbe a Torino un dispaccio, che l'autorizzava a testimoniare la vera soddisfazione del suo Governo a quello d’Italia pei fatti di recente avvenuti.

L'Imperatore dei Francesi nello stesso tempo profitt� di quell’occasione per rinnovare i suoi tentativi presso la Prussia e la Russia onde impegnarle nell'interesse della pace d’Europa a riconoscere il regno d’Italia, ed a conferirgli cos� una nuova forza onde poter resistere al partito rivoluzionario. Si sper� anche un istante che il Capo dell’impero Francese volesse prendere egli stesso in tal circostanza qualche importante deliberazione intorno alla questione romana, poich� in questo stesso tempo i partiti retrogradi preparavano a Roma serie dimostrazioni in favor del principio del dritto assoluto e della causa del poter temporale, come vedremo nel capitolo seguente.

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CAPO XIII

SOMMARIO

I. GRANDI PREPARATIVI IN ROMA PER LE FESTE DELLA CANONIZZAZIONE DEI MARTIRI DEL GIAPPONE, E PER L'ASSEMBLEA DEI VESCOVI — IL GOVERNO ITALIANO PROIBISCE AGLI ORDINARII DEL REGNO DI RECARSI A ROMA IN TAL CIRCOSTANZA. — NOTIFICAZIONE DI TAL DIVIETO FATTA DAL MINISTRO GUARDASIGILLI ALL’ARCIVESCOVO DI SALUZZO — PROTESTE DIVERSE CONTRO TAL PROIBIZIONE REDATTE IN FORMA DI LETTERE INDIRIZZATE AL PAPA — RICEVIMENTO ED ATTI DEI VESCOVI STRANIERI A ROMA — I PRELATI VOTANO UN INDIRIZZO AL PAPA FAVOREVOLE AL MANTENIMENTO DEL POTERE TEMPORALE — BREVE DESCRIZIONE DELLE FESTE DELLA CANONIZZAZIONE DEI MARTIRI DEL GIAPPONE — CONCISTORO DEL 9 GIUGNO — ALLOCUZIONE DEL PAPA PRESENTAZIONE DELL'INDIRIZZO DEI VESCOVI — RISPOSTA DEL PONTEFICE — SONTUOSO BANCHETTO NELLA BIBLIOTECA VATICANA — FESTA RELIGIOSA E POLITICA AL CASTRO PRETORIO — PARTENZA DEI VESCOVI — I LEGITTIMISTI RACCOLTI IN ROMA FIRMANO UN INDIRIZZO A FRANCESCO II — BUON NUMERO DI COSTORO RECASI A LUCERNA PRESSO IL CONTE DI CHAMBORD — II. PROTESTA DEL GOVERNO ITALIANO CONTRO L'INDIRIZZO DEI VESCOVI FIRMATO A ROMA — DISCUSSIONE DI TAL PROTESTA NELLA CAMERA DEI DEPUTATI — SUA PRESENTAZIONE AL RE VITTORIO EMANUELE — CIRCOLARE DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA E DEI CULTI DEL REGNO D’ITALIA

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— III. IL MINISTRO DEI CULTI IN FRANCIA PROIBISCE EGUALMENTE CON UNA CIRCOLARE LA PUBBLICAZIONE DELL’INDIRIZZO NEI MANDAMENTI E NELLE PASTORALI DEI VESCOVI FRANCESI — LA RUSSIA SI DETERMINA A RICONOSCERE OFFICIALMENTB IL REGNO D’ITALIA — L'INGHILTERRA STIMOLA IL GOVERNO FRANCESE A RITIRARE LE SUE TRUPPE DA ROMA — SUNTO DELLE NOTE INGLESI SU TAL SOGGETTO.

CAPO XIII.

Si facevano intanto a Roma preparami per una grande manifestazione politica e religiosa. La santa sede non si preoccupava solamente della canonizzazione dei martiri del Giappone; ma sperava eziandio di promuovere in tal circostanza una solenne dichiarazione in favore del potere temporale dall’Episcopato cattolico raccolto in Roma. Sin dal principio di maggio un numero considerevole di legittimisti e di zelanti difensori del trono e dell’altare s'erano riuniti a Roma da tutte le parti d’Europa, e trasportati in folla a Porto d’Anzio dove trovavasi a villeggiare il Papa. Col� per cura principalmente di Monsignor De Merode era stato costruito con grandi spese un campo per le truppe pontificie, e pi� giorni di seguito furono passati fra le riviste, le feste, lo acclamazioni incessanti, gl'indirizzi simpatici tanto a S. S. Papa Pio IX. quanto all’exre ed alla exregina di Napoli.

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S� il Governo Francese che l'italiano non s'erano ingannati intorno all’oggetto principale delle cerimonie che si preparavano a Roma e della convocazione dei Vescovi di tutta la cattolicit�. Noi abbiamo gi� riferite le osservazioni e le dichiarazioni apposte du1 Ministro dei Culti dell’impero Francese al tacito permesso accordato ai Vescovi di quella nazione di corrispondere all’invito del capo della Chiesa. Il Governo Italiano rest� fermo nella determinazione presa fino dal mese di Aprile, e gi� notificata dal Ministro Guardasigilli all’Arcivescovo di Saluzzo nei termini seguenti.

Torino li 26 Aprile 1862.

�In risposta alla pregiata Nota di V. S. Ill.ma e Rev.ma segnata in margine, il sottoscritto ha l'onore di recarle a notizia essere dal governo del re deliberato di non concedere il passaporto a quegli Ordinari del Regno, i quali divisassero condursi a Roma per la Solennit� della Canonizzazione dei martiri Giapponesi. Siffatta deliberazione venne determinata dal prudente concetto di sottrarre gli Ordinari del Regno alle conseguenze, a cui potrebbero essere esposti rimpetto ai loro diocesani se imprendessero un viaggio, in generale avversato dalla pubblica opinione.

827

Le condizioni dei tempi esigono nel reciproco interesse della Chiesa e dello stato che si evitino studiosamente tutte le cagioni onde potrebbe essere turbata la concordia fra i Vescovi ed i loro diocesani, e perci� lo scrivente ha fermo che gli Ordinari del Regno ravviseranno opportuna la accennata deliberazione del Governo del Re la quale d’altronde consona con lo spirito e coi termini stessi dell’Enciclica indiritta dalla S. Congregazione del Concilio all’Episcopato Cattolico, in cui � fatto invito di condursi in Roma a que' Vescovi che Io possono fare senza grave danno del gregge, ed � pure accennato alle circostanze che non consentono ai Vescovi d’Italia di stare lontani dalle loro diocesi. La S. V. Ill.ma e Una � pregata di dare comunicazione della cosa sovra espressa ai suoi venerandi colleghi di questa provincia ecclesiastica torinese. Accolga Monsignore gli atti del pi� distinto ossequio.

Per il Ministro

BARBAROSSA

L'Arcivescovo di Saluzzo e sei altri Vescovi italiani credettero di dover protestare contro questa determinazione del Governo Italiano in una lettera, cho indirizzarono al Papa del seguente tenore.

Beatissimo Padre

�Framezzo alle molteplici e continue amarezze, dalle quali, in questi tempi calamitosi e difficili, � accompagnato il nostro pastoral ministero, dolcissimo conforto ci recavano le compitissime lettere dell’Emo Cardinal Prefetto della Sagra Congregazione del Concilio colle quali a nome e d’ordine della Santit� Vostra ci invita a recarsi a cotesta Metropoli dell’orbe cattolico, onde intervenire ai due semipublici Concistori, ed assistere in seguito alla grande, straordinaria e commoventissi e ma solennit� della Canonizzazione dei martiri Giapponesi o del Beato Michele de'  Santi.

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�Il corrispondere a tale carissimo invito della S. V. pi� a che lo adempimento di un nostro sacro dovere, era per noi l'appagamento di un vivissimo desiderio del cuor nostro, e un giocondissimo piacere perch� si porgeva propizia l’occasione di venire a tributare alla Santit� vostra l'omaggio sincero della nostra figliale devozione e l'attestato di quell'inviolabile attaccamento a cotesto Cattedra Apostolica ed al successore di S. Pietro nel quale riponiamo la nostra gloria e troviamo la forza necessaria al disimpegno dei pastorali nostri doveri, nella fiducia che non dovesse esser dinegata quella libert� che vedranno concessa ai Vescovi delle altre nazioni, ci andavamo con tutta alacrit� disponendo al Santo e vivamente bramato pellegrinaggio. Ma pur troppo ci vedemmo con nostra sorpresa troncate a a mezzo le nostre speranze e falliti i nostri disegni da chi credevamo di esser tutelati nell'esercizio de'  nostri diritti di cittadini, o secondati nell'adempimento di un sacro dovere che, come a Vescovi, ci corre di recarci ad limino, apostolorum.

�L'animo nostro per tal diniego venne a tale dolore a(mareggiato e trafitto che ci mancano le parole a spiegarlo; e questo dolore vieppi� si accrebbe, perch� la fattaci proibizione oltre che ci priva della soave ambita consolazione di vedere soddisfatto un ardente nostro desiderio, ci toglie altres� l’opportunita di presentare alla Santit� vostra gli atti di profonda venerazione e di filiale ossequio dei nostri Diocesani attaccatissimi anche alla Santa Sede ed all’augusta Sacra Vostra Persona, e di riportarne in mercede l'apostolica Vostra Benedizione, che � l'oggetto pi� caro dei loro o dei nostri voti.

�Chiusa per tal modo la via di venire noi pure con tanti specchiatissimi e venerandi Prelati dell’Orbe cattolico, a faro corona alla Santit� V. in uno dogli atti pi� solenni e memorandi del glorioso Vostro Pontificato, invidiando la loro sorte avventurata, cerchiamo un lenimento al nostro dolore nel prostrarci in ispirito ai piedi della Beatitudine V.

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e rinnovandolo le pi� sincere proteste di quella devozione profonda e affettuosissima riverenza che ci rende comuni le gioie e le afflizioni della V. S. e e' inspira una illuminata obbedienza a tutte le decisioni che dalla medesima siano per emanare.

�Degnatevi o Beatissimo Padre gradire questi nostri senti, menti e frattanto impartite, ve ne supplichiamo a noi, al nostro clero ed ai fedeli affidati alle nostre cure l'apostolica Vostra benedizione.

�Saluzzo 1 Giugno 1862.

Vescovi della Provincia ecclesiastica di Torino

Giovanni Arcivescovo di Saluzzo Dee.

F. Modesto Vescovo D’Acqui

Luigi Vescovo d'Ivrea

Giovanni Tommaso Vescovo di Mondov�

Clemente Vescovo di Cuneo

Giovanni Antonio Vescovo di Suza

Gli arcivescovi di Pisa, e di Lucca, ed i Vescovi di Livorno, di Brescia e di Volterra, alcuni altri Vescovi delle provincia annesse, ed un gran numero di quelli delle provincie meridionali protestarono egualmente sotto forma di una lettera al Papa, ma in termini assai pi� vivi ed acerbi di quelli test� riferiti.

Intanto fino dai primi giorni di Giugno pi� di 300 Vescovi si trovavano riuniti in Roma. Il giorno 3 Monsignor Dupauloup Vescovo (l'Orleans predic� a S. Andrea della Valle a favore della Chiesa d’Oriente, ed il suo discorso fu di tanto in tanto, ad onta del rispetto dovuto al luogo santo, interrotto da plausi e da viva;

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tanto grande era l’entusiasmo di quei cattolici stranieri, che in quel giorno erano in folla raccolti intorno la cattedra del Vescovo d’Orleans. L'elemosino raccolte al fine del discorso ascesero a pi� di 5000 franchi. Anche un altro Prelato Francese Monsignor G. B. Leonard Bertaud Vescovo di tutte pronunci� un discorso in una sacra funzione che ebbe luogo al Colosseo la sera del 5 Giugno, innanzi a pi� di 20 mila uditori. In tale occasione per� accaddero delle risse particolari fra soldati francesi e Zuavi pontificii e ne segu� perfino un duello. L'Arcivescovo di Parigi Card. Morlot che fu detto latore di una lettera autografa dell’Imperatore al Santo Padre, si tenne costantemente in un attitudine di singolare riserva in tutto il tempo del suo soggiorno a Roma.

Il 6 di Giugno tutti i Vescovi si riunirono nel Palazzo Pamphili abitato dal Cardinale Wiseman, onde formolare insieme e firmare l’indirizzo, che doveva esser presentato al Papa. Tre progetti d’indirizzo furono presentati ai dignitarii della Chiesa. Il primo redatto da Monsignor Gerbet vescovo di Perpignano in collaborazione con Mr. Veulliot parve troppo accentrato; il secondo dovuto all’eloquente penna di Monsignor Dupanloup conteneva mediante una delicata allusione, un ringraziamento alla Francia, che occupando militarmente Roma aveva preservato il Papato da pi� gravi disastri; ma i Vescovi d’Austria e di Spagna fecero rigettare questo secondo progetto; dicendo che non si poteva ringraziar la sola Francia d’una protezione che i loro Governi avrebbero egualmente accordato alla S. Sede. Il terzo progetto d’indirizzo, che fu accettato era stato redatto dal Cardinal Wiseman, e noi riferiremo il testo pi� sotto quando parleremo del Concistorio del 9 Giugno.

Quantunque non entri nel programma della nostra Cronaca della Guerra d’Italia il racconto di fatti di un ordine meramente religioso, stimiamo tuttavia opportuno di dar qualche cenno della festa della canonizzazione dei martiri Giapponesi, che fu causa della riunione in Roma di tanti Prelati e di tanti individui venutivi da tutti i punti dell’universo.

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La ceremonia della canonizzazione era stata fissata pel giorno 8 Giugno festa della Pentecoste, ma il Papa aveva fatto distribuire a ciascuno dei Prelati fin dal momento del loro arrivo in Roma diversi donativi, fra i quali una superba medaglia di grande dimensione rappresentante da un lato l'effigie di Pio IX, o dall’altro la Basilica Ostiense nuovamente riedificata. Una meda glia eguale ma di minor dimensione, fu pure per ordine del Papa distribuita a tutti i sacerdoti delle diverse nazioni che eransi recati in Roma, ed erano stati gi� ricevuti in udienza solenne nella cappella Sistina il giorno 6 giugno. Anzi in tal circostanza Pio IX diresse loro un discorso esortandoli ad essere nell’esercizio del loro ministero apostolico vere lampadi destinate a guidare verso la verit� i popoli giacenti fra le tenebre delle perverse dottrine del secolo.

Giunse finalmente il giorno della solenne cerimonia, e le artiglierie pontificie ne salutarono l'aurora con ripetute salve mentre venivano inalberati sui bastioni del castello S. Angelo gli gonfanoni della Santa Chiesa. Una folla compatta circolava per le vie della citt� fin dal primo mattino e diriggevasi verso la Basilica di S. Pietro. Si contavano a Roma in tal giorno pi� di 60 mila forestieri avidi tutti della curiosit� di vedere le particolarit� della festa che si apprestava in quell'immenso tempio, e fra questi vi furono moltissimi che per timore di non poter occupare un buon posto cominciarono a muovere verso il Vaticano fino dallo tre ore del mattino, quantunque la funzione non dovesse aver principio che alle sette. La Basilica Vaticana era stata veramente decorata con un apparato straordinario. Era stata sospesa sulla facciata della medesima un immensa tela rappresentante i santi martiri del Giappone nella gloria del Paradiso. Il portico era egualmente ornato da altri grandi quadri, l’interno della Chiesa poi era scintillante tutto pel numero immenso di lumi, di specchii e di grandi doppieri a cristallo faccettati. Di� principio alla cerimonia una processione, alla quale presero parte tutti gli ordini religiosi, e tutti i Prelati invitati a recarsi a Roma in tal circostanza. Il Papa era portato in sedia gestatoria. Dopo cantati diversi inni alla Vergine, le litanie dei Santi ed il Veni creator,

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il supremo Pontefice colla mitra sul capo ed in piedi sul trono pronunzi� il solenne decreto, che dichiarava ascritti nel numero dei Santi i [martiri del Giappone, e Michele Desanctis. Ebbe principio il canto dell’inno Ambrosiano e quindi la messa solenne appena il Pontefice fu rivestito dei suoi pontificali ornamenti. AH' offertorio ebbe luogo secondo il rito l’offerta della cera del pane, del vino, dell’acqua, di due tortore, e di due colombe, o di diversi altri uccelli, i ceri del peso di 60 libbre ornati di pitture, i pani l'uno inargentato dorato l'altro; l'acqua ed il vino in vasi egualmente inargentati e dorati, gli uccelli finalmente rinchiusi in gabbie di prezioso metallo riccamente lavorate. Secondo il rituale il celebrante deve aprire le gabbie, e dar la libert� agli uccelli nel momento stesso che vengono offerti. Terminata la messa il Papa fu portato in sedia gestatoria fino alla cappella della piet�, dalla quale mont� di nuovo nei suoi appartamenti.

L'Infanta di Portogallo Donna Isabella Maria, tutta l’ex corte di Napoli, il corpo diplomatico, ed un considerevole numero di distinti personaggi stranieri assistettero a tal cerimonia, alla quale avevano preso parte 43 cardinali, 5 patriarchi 53 arcivescovi, e 186 Vescovi; in tutto 287 grandi dignitarii della Chiesa. La sera insieme alla cupola di S. Pietro come nei giorni di solennit� furono splendidamente illuminate le caso dei Gesuiti, ed i conventi dei Francescani e dei Trinitarii Scalzi.

Nella mattina del giorno seguente 9 Giugno ebbe luogo il Concistoro, nel quale il Papa pronunci� la seguente allocuzione.

Venerabili Fratelli

�Di grandissima letizia fummo compresi, venerabili fratelli quando potemmo, coll’aiuto di Dio, decretare gli onori ed il culto dei Santi a ventisette invittissimi eroi della nostra divina religione, assistendo Voi al nostro fianco, Voi che adorni di egregia piet� e virt�, chiamati a parte della nostra sollecitudine in tanta asprezza di tempi, e combattenti per la Gasa d’Israele, siete a Noi di sommo sollievo e di somma consolazione.

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�Dio volesse che, mentre siamo inondati da questo gaudio nessuna causa di dolore e di tutto ci contristasse. Imperocch� non possiamo a meno di addolorarci fortemente e di angustiarci nel vedere i tristissimi e non mai abbastanza deplorati mali e danni, con cui adesso la Cattolica Chiesa e la stessa civile societ� in miserando modo sono oppresse e travagliate con grandissimo detrimento delle anime. Imperocch� voi sapete ottimamente, Venerabili Fratelli, l'orribile guerra fatta contro la Cattolica Chiesa da quegli uomini che, nemici della Croce di Cristo non sostenendo la sana dottrina e congiunti in nefande societ�, ignorano tutto, bestemmiano, e con male arti di ogni genere tentano di scuotere i fondamenti dell’umana societ� e di imbevere le menti d’ogni sorta di errori, di corrompere gli animi e staccarli dalla cattolica religione.

�Questi astutissimi artefici di frodi e fabbricatori di menzogne non cessano di richiamare dalle tenebre i pi� mostruosi errori gi� tante volte confutati da sapientissimi scritti e condannati dal gravissimo giudizio della Chiesa, ornarli di nuove e fallaci forme e disseminarli ovunque ed in tutti i modi. Con questa funestissima e diabolica arte contaminano e deturpano la scienza delle cose tutte, diffondono un veleno mortifero a rovina delle anime, una sfrenata licenza di vivere, e fomentano tutte le malvagie cupidit�, sovvertono l'ordine religioso e sociale e si sforzano di estinguere ogni idea di giustizia, di verit�, di diritto di onesta e di religione, ed irridono, disprezzano, combattono i santissimi dommi e la dottrina di Cristo.

�Inorridisce e rifugge l’anima e paventa di toccare anche lievemente i principali e pestiferi errori con cui siffatti uomini in questi miseri tempi sconvolgono tutte le umane e le divine cose.

�Nessuno di Voi ignora, Venerabili Fratelli, che da siffatti uomini � totalmente distrutta quella necessaria coesione che, per volere di Dio, stringe l'uno e l'altro ordine, il naturale ed il soprannaturale, e che parimente da essi � del tutto mutata, sovvertita, cancellata la vera e genuina indole della divina rivelazione, l'autorit�, la costituzione e la potest� della Chiosa.

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�Ed a tale temerit� di pensare si spingono che non temono negare ogni verit�, ogni legge, ogni potere e dritto di divina origine. N� meno si vergognano di asserire che le scienze filosofiche e morali al pari delle leggi civili possano e debbano far senza della divina rivelazione e della ecclesiastica autorit�, e la chiesa non essere una vera e perfetta societ� onninamente libera n� per proprii e costanti diritti dal suo divin fondatore conferitile, costituita, ma appartenere alla civile podest� definire quali sieno i dritti della Chiesa ed i limiti entro cui questi dritti possono esercitarsi. Quindi perversamente argomentano che il potere civile abbia facolt� di immischiarsi nello cose che alla religione ed allo spirituale governo si appartengono ed anche impedirle, per modo che i Sacri Antistiti ed i fedeli popoli minori e meno liberi, scambievoli comunicazioni abbiano col Pontefice di Roma per dritto divino Sommo Pastore di tutta la Chiesa in guisa che disciolta ne vada quella necessaria strettissima concessione che per divina istituzione dello stesso Cristo Signore deve essere tra le membra del mistico corpo di Cristo ed il venerabile suo Capo. N� per nulla temono con tutto l'inganno e il dolo diffondere nelle moltitudini che i sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbano da ogni dritto e dominio temporale essere affatto esclusi.

�Con somma impudenza inoltre non dubitano asserire che non solo a nulla giova la divina rivelazione, ma nocevole anzi riesce all’umano perfezionamento, e che la stessa rivelazione divina � imperfetta e quindi soggetta ad un continuo ed indefinito progresso, che al progredire della umana ragione corrisponda. N� si peritano quindi di gridare che le profezie ed i miracoli registrati nelle Sacre Carte sono poetici commenti, i sacrosanti misteri della nostra divina fede la somma di filosofiche investigazioni, e che i divini libri dei due Testamenti' contengono miti inventati ed orribile a dirsi! che fino lo stesso Signor Nostro Ges� Cristo � una mitica finzione.

�Perlocch� questi turbolentissimi cultori di perversi dogmi vanno bestemmiando che le leggi morali non abbisognano della divina sanzione e nessun bisogno esservi

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che le umane leggi si conformino al dritto naturale o tirino da Dio la loro forza di vincolare, e conseguentemente asseriscono non esistere alcuna legge divina.

�Inoltre osano mettere in dubbio ogni azione di Dio sugli uomini e sul mondo e temerariamente affermano che l’umana ragione, senza avere alcun rispetto a Dio, � unico arbitro del vero e del fallo, del bene e del male, e la stessa umana ragione fanno legge a se stessa sufficiente per sua naturale virt� a curare il bene degli uomini e delle popolazioni.

�Quando poi perversamente cercano dalla nativa forza della umana ragione derivare tutte le verit� religiose, allora ad ogni uomo attribuiscono una specie di primario dritto pel quale possa liberamente pensare e parlare di religione e rendere a Dio quell'onore e quel culto che a talento suo giudica migliore.

Ma in verit� giungono a tale empiet� ed impudenza che si sforzano di invadere il Cielo e torre di mezzo Dio stesso. Imperocch� con grande malvagit� e con pari stoltezza non temono di asserire che non esiste alcun supremo, sapientissimo e provvidentissimo Nume divino distinto da questa universita di cose, e Dio essere lo stesso che la natura delle cose, e perci� soggetto a mutamenti, e Dio realmente esser fatto neh" uomo e nel mondo, e tutto essere Dio, ed avere la stessissima sostanza di Dio ed una sola e medesima cosa esser Dio col mondo, e quindi lo spirito colla materia, la necessit� colla libert�, il vero col falso, il bene col male, il giusto coll'ingiusto.

Del che certamente nulla vi ha di pi� stolto, di pi� empio, di pi� ripugnante contro la ragione medesima. Quanto alla autorit� poi ed al diritto cos� temerariamente sentenziano, che asseriscono impudentemente l'autorit� non essere altro che la somma delle forze materiali ed il dritto consistere nel fatto materiale, e tutti i doveri degli uomini essere un nome vano e tutti gli umani fatti aver forza di dritto.

�Accumulando poi commenti a commenti, deliri a deliri, e conculcando ogni legittima autorit� ed ogni legittimo diritto, ogni obbligo ed ogni dovere, non dubitano di sostituire falsi e mentiti dritti in luogo del vero e legittimo e sottomettere l’ordino morale al materiale.


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N� conoscono altre forze se non quelle che sono poste nella materia, ed ogni disciplina ed onest� collocano nell'aumentare a qualunque modo le ricchezze e nel godere di ogni illecito piacere.

�E con questi nefandi, e abbominabili principii difendono, esaltano fomentano il reprobo senso della carne ribelle allo spirito, o gli attribuiscono naturali doti e dritti che dicono essere conculcati dalla cattolica Dottrina, disprezzando in tutti il precetto dell’Apostolo che dice: Se vivrete secondo la carne, morrete; se poi collo spirito mortificherete i fatti della carne, vivrete.

�Inoltre si studiano d’invadere i dritti d’ogni legittima propriet� e vanamente fingono ed immaginano un certo diritto da nessun limite circoscritto, di cui credono fornito lo Stato della repubblica e che ritengono esser origine e fonte di tutti i dritti.

�Mentre questi principali errori della et� nostra con dolore e rapidamente riassumiamo, dimentichiamo di passare in rivista, Venerabili Fratelli tutte lo altre pressoch� innumerabili falsit� e frodi a Voi benissimo conto e manifeste colle quali i nemici di Dio e degli uomini si sforzano di turbare e mettere sossopra tanto le umane quanto le sacre cose. E sotto silenzio passermo le molteplici o gravissime ingiurie, calunnie, improperii coi quali non intralasciano di vituperare e perseguitare i sacri ministri della Chiesa e questa sede Apostolica.

�Nulla diciamo della veramente iniqua ipocrisia colla quale in Italia specialmente i capi e satelliti della rivolta e del disordine vanno dicendo volere che la Chiesa goda della sua libert�, mentre con audacia affatto sacrilega ogni giorno pi� calpestano le leggi e i dritti tutti della Chiesa, e le tolgono i beni ed in ogni modo tormentano i sacri Antistiti e gli uomini della Chiesa nobilmente fungenti ai loro offici, e gli alunni degli ordini religiosi e le vergini sacre a Dio violentemente strappano dai loro cenobi, dei loro beni li spogliano e nulla di intentato lasciano per ridurre ed opprimere in turpissima schiavit� la Chiesa.

�E mentre uno speciale piacere proviamo per la desideratissima presenza Vostra, Voi stessi vedete quai libert� abbiano i venerabili Fratelli che sono vescovi in Italia, i quali valororosamente e costantemente combattendo le battaglie del Signore non poterono,

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con sommo dolore dell’animo Nostro, per causa degli avversari, a Noi venire o intrattenersi ed assistere a questo Consesso che sommamente desideravano, come ce lo fanno manifesto colle loro lettere piene di amore e di ossequio per Noi e questa S. Sede, gli Arcivescovi e Vescovi della infelice Italia.

�Nessuno parimenti dei portoghesi Antistiti voi vedete qui presenti, e non poco ce ne duole, vista la natura delle dificolt� che si opposero a che potessero prendere la via di Roma.

�Dimentichiamo altres� di rivedere tutte quelle tristi ed orrende cose che da codesti cultori di perverse dottrine si commettono con incredibile tutto Nostro e Vostro e di tutti i buoni. Nulla parimenti diciamo dell’empia cospirazione e delle prave macchinazioni e insidie di ogni genere con cui vogliono distruggere e sovvertire il principato di questa apostolica Sede.

�Giova piuttosto quanto a ci� ricordare il mirabile consenso con cui voi stessi cogli altri Venerabili Fratelli Sacri Antistiti dell’universo orbe cattolico non mai tralasciaste, e con lettere a noi mandate e con pastorali ai fedeli, di scoprire e confutare tali fallacie, ed insieme insegnare che questo civile principato della S. Sede fu dato al Romano Pontefice per consiglio della divina provvidenza e che � necessario affinch� lo stesso Romano Pontefice, non mai soggetto ad alcun principe o civile potest�, possa in pienissima libert� esercitare per l'universa Chiesa la suprema potest� di pascere e di reggere il gregge del Signore, e provvedere al maggior bene, al vantaggio ed ai bisogni della stessa Chiesa e dei fedeli.

�Ci� che abbiamo finora deplorato, Venerabili fratelli, presenta certamente un luttuoso spettacolo. Imperocch�, chi non vede che in tanta iniquit� di malvaggi dommi, in tante scellerate macchinazioni il cristiano popolo sempre pi� miseramente si corrompe ed � spinto a rovina, e la cattolica Chiesa, e la sua salutare dottrina e i venerandi diritti o le leggi ed i sacri ministri sono combattuti, e perci� tutti i vizi o tutto lo scelleragini imperversano e si propagano, e la stessa civile societ� ne � agitata?

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�Noi pertanto, memori del nostro apostolico ministero, e solleciti della spirituale salute di tutti i popoli a noi da Dio affidati, = non potendo altrimenti, per servirci della parola de'  santissimo nostro predecessore Leone, reggere i popoli a noi commessi se non teniamo dietro a quelli che sono corrompitori e corrotti collo zelo della fede del Signore, e se non togliamo dalla sane menti colla massima severit� questa peste affinch� non si propaghi pi� largamente, = in questo amplissimo vostro consesso innalzando l'apostolica nostra voce prescriviamo e condanniamo tutti i mentovati errori ripugnanti non solo alla cattolica fede e dottrina, allo divine ed ecclesiastiche leggi, ma ancora alla sempiterna e natural legge e giustizia ed alla retta ragione.

�Voi, Venerabili Fratelli che siete il sale della terra, i custodi ed i pastori del gregge del Signore, vivamente incitiamo ed esortiamo affinch� secondo l'esimia vostra religione ed il vostro zelo episcopale continuiate, come finora faceste con somma lode dell’ordine vostro, con ogni cura, diligenza e studio a rimuovere i fedeli a Voi commessi da siffatti pascoli avvelenati ed a combattere e sgominare colla voce e con opportuni scritti tanti mostri di perverse opinioni. Imperocch� sapete benissimo trattarsi di cosa somma quando trattasi della causa della santissima fede nostra e della cattolica chiesa e della sua dottrina, della salute dei popoli, e del bene e della tranquillit� dell’umana societ�.

 Impertanto per quanto Voi potete, non tralasciate mai di tenere lontano dai fedeli il contagio di tanta maligna peste, cio� togliere dalle loro mani i perniciosi libri e giornali, ed assiduamente imbevere ed erudire quei fedeli nei santissimi precetti della augusta religion nostra, ed esortarli ed ammonirli affinch� da quei maestri di iniquit� fuggano come alla vista di un serpente.

�Mettete tutte le cure e i pensieri Vostri a fare che il Clero santamente e dottamente si educhi e di ogni virt� risplenda affinch� la giovent� d’ambo i sessi agli onesti costumi, alla piet� e ad ogni virt� costantemente si formi, o che salutare sia il sistema degli studi.

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�E con ogni diligenza guardate ed invigilate che nello insegnamento delle belle lettere e delle pi� gravi scienze qualche cosa non mai irrompa contraria alla fede, alla religione ed al buon costume. Virilmente operate, Venerabili fratelli, e non disanimatevi mai in questo grande perturbamento e perversit� di tempi, ma forti del divino ajuto, o imbracciando contro chicchessia l’inespugnabile scudo della giustizia e della fede, ed impugnando la spada spirituale ch� � la parola di Dio, non tralasciate di opporre i vostri sforzi a tutti i nemici della Chiesa Cattolica e di questa Apostolica Sedo e rintuzzarne gli strali, frangerne l'impeto.

�Frattanto noi, sollevati gli occhi al cielo, non cessiamo giorno e notte, o Venerabili Fratelli, nell’umilt� del nostro cuore di pregare e scongiurare incessantemente con fervidissime preci il clementissimo padre delle Misericordie e Dio di ogni consolazione che dalle tenebre fa splender la luce e che pu� dalle pietre far sorgere i figli di Abramo, affinch� per i meriti dell’Unigenito Figlio Suo Signor nostro Ges� Cristo voglia porgere la soccorritrice sua destra alla cristiana e civile repubblica, e sperdere tutti gli errori e le empiet�, e col lume della sua grazia divina rischiarare le menti di tutti i fuorviati, convertirli e chiamarli a se, affinch� la sua santa Chiesa consegua la desiderata pace, e dovunque abbia di giorno in giorno incrementi maggiori e prosperamente si afforzi e fiorisca.

�Ed affinch� possiamo pi� facilmente conseguire quelle cose che domandiamo e cerchiamo, non cessiamo di valerci primieramente per interceditrice presso Dio dell’Immacolata e Santissima Vergine Maria, la quale misericordiosissima ed amantissima madre di noi tutti sempre conquise tutte quante le eresie, e di cui non havvi presso Dio alcun patrocinio pi� diretto. Chiediamo anche i suffragi tanto di S. Giuseppe sposo della medesima Vergine, quanto dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e di tutti i celesti e di quei principalmente che test� ascritti alle glorie dei Santi onoriamo e veneriamo.

�Ma primacch� Noi facciam fine, non possiamo ristarci dall’attestare e confermar nuovamente che proviamo una somma consolazione mentre godiamo del giocondissimo cospetto

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di Voi tutti, o Venerabili Fratelli, i quali fermamente stretti con tanta fede, piet� e riverenza a Noi e a questa Cattedra di Pietro, e adempiendo al Vostro ministero vi vantate di procurare con ogni studio la maggior gloria di Dio e la salute delle anime, e che non cessate di lenire e sollevare con tutti i mezzi le nostre angustie e amarezze con animi concordissimi e con cura ed amore ammirabili unitamente ai Venerabili fratelli vescovi e fedeli di tutto l'orbe cattolico.

�Perloch� manifestiamo pubblicamente anche in questa occasione i sensi del nostro amantissimo e gratissimo animo verso di voi, e tutti gli altri venerabili fratelli e fedeli. Ma domandiamo da voi che quando sarete tornati alle vostre Diocesi vogliate annunciare in n ostro nome questi sensi dell’animo nostro ai fedeli modesimi affidati alla vostra vigilanza, e farli certi della nostra paterna affezione verso di loro e dell’apostolica benedizione che partita dall’intimo del cuore e congiunta coll’augurio di ogni vera felicit� a voi stessi, o Venerabili fratelli e ai medesimi fedeli altamente godiamo d’impartire.�

Terminata l'allocuzione il Cardinal Mattei accompagnato da alcuni membri dell’Episcopato s'avanz� fino al piede del Trono di Sua Santit� e dopo letto rimise nelle mani del Papa, l'indirizzo dei Vescovi, del quale abbiamo gi� parlato, e che era concepito nei seguenti termini.

Beatissimo Padre

Dappoich� gli Apostoli di Ges� Cristo nel sacro giorno della Pentecoste stando in orazione assieme a Pietro il capo della Chiesa ricevettero lo Spirito Santo, e forti del di lui impulso agli uomini di pressoch� tutte le nazioni nella santa citt� convenuti, a ciascun di loro nel suo parlare annunciarono la mirabile potenza di Dio, non mai, a credere nostro, fino al giorno d'oggi tanti dei loro eredi ed in cos� solenne ricorrenza stettero attorno al venerando sucessore di Pietro, che pregava, ne ascoltarono la parola, ne rinvigorirono il governo.

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E come per gli Apostoli, in mezzo ai pericoli della nascente Chiesa, nulla di pi� giocondo poteva venire che di assistere al primo Vicario di Cristo in terra di recente ispirato dallo Spirito Divino, cos� per noi presenti tra lo angustie della Santa Chiesa, nulla di pi� antico o di pi� santo poteva essere che deporre a'  piedi di Tua Beatitudine tutta quanta la venerazione e la piet� che per la Santit� Tua sentiamo nei nostri petti, ed insieme alla unanimit� dichiarare quanta ammirazione nutriamo per le preclare virt� per cui va distinto il Sommo Pontefice nostro, e con quale animo a tutti gli insegnamenti dell’altro Pietro ed a quanto tanto fermamente volle stabilito e confermato noi ci attenghiamo.

Un nuovo ardore infiamma i nostri cuori, una pi� fulgida luce illumina le nostre menti, un pi� santo amore ci empie l'anima. Noi sentiamo le lingue nostre accese dalle fiamme di quel sacro fuoco, che a Maria, circondata dagli Apostoli, accendevano il cuore di pi� ardente desiderio per la salute degli uomini e spingevano gli stessi Apostoli a predicare le grandezze di Dio.

Infinite grazie rendendo quindi a Tua Beatitudine per averci permesso in questi difficilissimi tempi di venire attorno al Pontificio Soglio per consolarti afflitto e manifestarti l’animo nostro e del clero e del popolo alle nostre cure commesso, a Te concordi di mente e ad una voce acclamiamo ogni felicit�, ogni bene augurandoti.

Vivi lungamente, Santo Padre, e mantienti a reggere la Santa Chiesa. Continua, come fai, a difenderla colla tua energia a dirigerla colla tua prudenza, ad ornarla delle tue virt�. Prendici come il buon Pastore coll’esempio; pasci del celeste pascolo le pecore e gli agnelli, coll’acqua della celeste sapienza dissetali;

Perciocch� Tu a noi sei Maestro di Sana dottrina, Tu sei contro di Unit�, Tu immancabile lume dalla Divina Sapienza preparato ai popoli. Tu sei la Pietra, e il fondamento di questa

Chiesa contro cui giammai proveranno le porte dell’Abisso. In te udiamo Pietro che parla, ne' tuoi comandi obbediamo a Cristo. Noi Ti ammiriamo in mezzo a tante molestie e procelle con serena fronte ed imperturbato animo adempiere invitto ed austero la parte del tuo sacro ufficio.

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Tuttavia mentre tante giustissime ragioni di andare gloriosi noi abbiamo in questi fatti, non possiamo a meno di volgere gli occhi alle cose tristi. Imperocch� da ogni parte alla mente nostra si presentano immani le scelleraggini di coloro i quali questa bellissima terra d’Italia, di cui tu, Beatissimo Padre, sei Capo e decoro, miseramente devastarono, e lo stesso principato Tuo e della S. Sede, dal quale come da natio fonte sgorg� ogni preclaro esempio di civile societ�, sforzansi di sperperare e dalle fondamenta sovvertire. Perciocch� n� il perenne dritto dei secoli, n� il diuturno pacifico possedimento, n� finalmente i trattati dall’autorit� di tutta Europa sanciti e confermati poterono impedire che ogni cosa sossopra si mettesse e tutte si sprezzassero quelle leggi che finora aveano fatto la forza degli Imperi.

Ma per venire pi� specialmente alle cose nostre, noi vediamo Te, Beatissimo Padre, di quelle provincie, per mezzo delle quali e alla dignit� della S. Sede ed alla amministrazione di tutta la Chiesa con tanta equit� provvedevi, spogliato per nefanda scelleraggine di uomini usurpatori i quali non vantano la libert� che per servirsene a far velo alla loro malizia. Alla quale iniqua violenza avendo la Santit� Tua con invittissimo animo resistito, crediamo doverti rendere grandissime grazie a nomo di tutti i cattolici.

Perciocch� noi riconosciamo il Principato Civile della S. Sede come una certa necessit� e per manifesta provvidenza di Dio istituito, n� dubitiamo di dichiarare che nel presente stato delle umane cose questo Principato civile � del tutto richiesto pel buono e libero Governo della Chiesa e delle anime.

Era per certo necessario che il Capo di tutte le chiese, il Bomano pontefice non fosse suddito ad alcun principe, anzi ospite di nessuno; ma, sedente nel proprio dominio e regno, fosse padrone di se stesso, e con nobile, tranquilla e piena libert� tute lasse e propugnasse la fede Cattolica e reggesse e governasse la Repubblica Cristiana.

Chi potrebbe negare, che in questo conflitto d’interessi, opinioni ed istituzioni umane, sia necessario conservare in mezzo all'estrema Europa, fra i tre continenti del vecchio mondo

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una specie di luogo sacro e sede augustissima donde pei principi e pei popoli a vicenda si levi una grande e potente voce, la voce della giustizia e verit�, senza preferenze, senza servilit�, senza che alcuno possa col terrore soffocare o con qualunque altra arte attorniarla?

Chi avrebbe potuto questa volta stessa fare che gli Antesignani della Chiesa sicuri da ogni parte del mondo qui accorressero per trattare con Tua Santit� di cose gravissime, se da tante e diverse regioni provenienti avessero in questi luoghi trovato un principe dominante il quale od avesse i loro principi in cospetto od a quelli inviso e sospetto ci fosse? Altri sono i doveri del cristiano, altri del cittadino: non ripugnanti tra loro, ma pure diversi, a compiere i quali come sarebbero riusciti i Vescovi se in Roma non fosse un Principato Civile qual � quello dei pontefici, immune affatto da ogni estero diritto e per certo modo centro di universale concordia che nulla ha della umana ambizione, che nulla macchina pel terreno dominio?

A libero pontefice e Re veniamo quindi liberi come pastori alle cose della Chiesa, come cittadini alle cose della patria, bene ed equamente provvedendo, senza postergare n� i diritti di pastori n� quelli di cittadini.

Le quali cose cos� essendo, chi mai oser� impugnare quel tanto antico principato per tanta autorit� e tanta forza di necessit� costituito? Qual mai altro potere gli si pu� paragonare, se egli ha quell'umano diritto in cui � posta la sicurezza dei principi, la libert� dei popoli? Qual altro potere tanto venerabile o santo? Quai mai, sia nei pi� remoti, sia nei pi� recenti secoli, Monarchia o Repubblica pu� gloriarsi di diritti tanto augusti, tanto antichi, tanto inviolabili? Le quali cose, se una volta ed in questa S. Sede vengano ad essere tenute in non cale e conculcata quel principe del suo Regno, o qual Repubblica del suo territorio potranno essere sicuri? Impertanto, Santissimo Padre, per la Religione, ma eziandio per la giustizia e pei diritti che tra le genti costituiscono il fondamento delle nuove cose, contrasta, combatti.

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Ma di questa tanto grave causa appena conviene farne altre parole a noi che con grande frequenza Ti abbiamo inteso non tanto disputarne, quanto ammaestrarci. Perciocch� la Tua voce, quasi tromba sacerdotale, squillante a tutto l'Orbe, ha proclamato che fu propriamente per ispeciale consiglio della Provvidenza che il Romano Pontefice, che Cristo costituiva Capo e Centro di tutta la sua Chiesa, avesse un principato Civile�.

Noi tutti pertanto teniamo per cosa certa che questo reggime temporale della S. Sede non le sia derivato da fortuna, ma le sia stato concesso da speciale divina disposizione e per lunga serie d’anni le fu confermato e conservato, quasi per miracolo dall’unanime consenso dei regni e degl'imperi.

Con alto e del pari solenne eloquio dichiarasti �che Tu volevi conservare e costantemente difendere inviolati il Civile Principato della Chiesa Romana e tutti i suoi temporali possedimenti e diritti che all’Orbe Cattolico appartengono; che anzi spettava a tutti i Cattolici la tutela del Principato della S. Sede e del patrimonio del Beato Pietro; e che Tu eri pronto a morire piuttosto che abbandonare questa causa della Chiesa di Dio e della giustizia.

�Ai quali preclarissimi detti acclamando e plaudendo rispondiamo che noi Teco siam pronti a subire il carcere e la morte; ed umilmente Ti preghiamo che irremovibile Ti mantenga in tale costanza e saldissimo proposito, fatto spettacolo agli Angeli ed agli uomini di animo invitto e di somma virt�. Ci� da Te chiede la Chiesa di Cristo pel cui felice Governo molto provvidentemente fu dato ai Romani Pontefici un principato Civile, la quale per modo intese che a lei spettava questa tutela, che in un tempo in cui l’Apostolica Sede era vacante, ed in grandissime angustie, i padri del Consiglio di Costanza deliberarono, come consta da pubblici documenti, di amministrare in comune tutti i possedimenti temporali della Chiesa Romana; ci� domandano i fedeli di Cristo dispersi per ogni parte del mondo, che vogliono liberamente a Te venire e liberamente alle loro coscienze provvedere; ci� finalmente chiede la civilt� che sente pel sovvertimento del Tuo governo scalzarsi le sue fondamenta.

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�Ma che pi�? Tu alfine un giorno con giusto giudizio condannando gli scellerati rapitori dei beni ecclesiastici e tutti gli atti loro irriti e nulli� proclamasti le azioni tutte da essi intentate affatto illegittime e sacrileghe;� e dichiarasti quegli stessi rei di tali misfatti per merito e per diritto incorsi nelle pene e nelle censure ecclesiastiche.

Codeste tanto gravi parole della Tua bocca, questi tanto illustri fatti � dover nostro con riverenza accogliere e rinnovare ai medesimi un pieno assenso. E come avviene che pel Capo dolente si condolgono tutte le membra del corpo cui egli va unito per la connessione delle membra e della cui vita vive, cos� � mestieri che noi dividiamo il tuo sentire. Perci� in questa Tua afflizione acerbissima noi a Te ci uniamo per modo che quanto ti avverr� di soffrire, altrettanto noi pure per consenso di amore soffriremo. Infrattanto supplichiamo Iddio perch� metta fine a tanto iniquo turbamento di cose e la Chiesa Sposa del suo Figlio, tanto miseramente spogliata ed oppressa, al primiero decoro e libert� restituisca. Ma non ci fa meraviglia vedere con tanta acrimonia ed ostilit� attaccati ed impugnati i diritti della Sede Apostolica.

Gi� da molti anni tale giunse la insania di non pochi uomini, che non solo si sforzino di rigettare le singole dottrine della Chiosa o metterle in dubbio, ma propongosi togliere di mezzo ogni ferit� cristiana e la Cristiana Repubblica. Quinci quegli scelleratissimi tentativi di una vana scienza e di una falsa erudizione contro le dottrine delle Sacre Carte e la loro inspirazione; quinci la malsana premura d'imbevere di tutti gli errori del secolo la giovent� sottratta alla tutela della Chiesa o separata bene spesso da ogni religiosa istituzione; quinci le nuove e perniciosissime teorie sull’ordine politico e religioso, che d’ogni parte si diffondono; quindi l'abito in molti, segnatamente in questi luoghi di sprezzare l'Autorit� della Chiesa, usurparne i diritti, conculcarne i precetti, vilipenderne i ministri, deridere il Culto e tenere in onoranza e lodare gli errori religiosi, anzi, quegli ecclesiastici che si incamminano nella via di perdizione. Venerabili Antistiti e Sacerdoti di Dio vengono esautorati, costringonsi ad esulare o sono tratti in prigione;

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ch� anzi davanti ai tribunali civili, per la costanza nell’adempimento del loro sacro ministero, vergognosamente vengono tratti.

Gemono le spose di Cristo espulse dai loro tetti, quasi consunte d’inedia o preste ad esserlo; i religiosi vengono costretti a rientrare nel secolo; violente mani dilaniano il patrimonio della Chiesa, un torrente di pessimi libri e giornali e stampe nuove continua asprissima guerra alla fede, ai costumi, alla verit�, al pudore stesso.

Ma chi tali cose macchina perfettamente conosce essere nella Santa Sede come in fortezza inespugnabile la robustezza e le forze di ogni verit� e giustizia per respingere gli impeti dei nemici; quivi essere la specula dalla quale i vigili occhi del Sommo Custode di lontano scoprono le insidie per annunciarle a'  suoi commilitoni. Quindi l’implacabile odio, quindi l’insanabile livore, quindi il continuo studio di uomini scelleratissimi per deprimere la Santa Chiesa di Roma e la sua Sede e, se mai lo si potesse, rovesciarla.

Chi, Beatissimo Padre, in vista di tali cose od anche al semplice racconto, potr� trattenersi dal pianto? Da giusto dolore quindi compresi al cielo leviamo le mani con tutto l'affetto della mente implorando quel Divino Spirito. il quale in questo giorno santific� ed afforz� un d� la nascente Chiesa governata da Pietro, ora con Te Pastore, con Te Duce la protegga, l'aggrandisca e glorifichi...

Testimone dei voti che facciamo sia Maria da Te solennemente in questo luogo decorata del titolo di Immacolata; testimone sieno queste sacre ceneri dei venerati Patroni della Chiesa Romana Pietro e Paolo; testimoni sieno je venerande spoglie di tanti Pontefici Martiri e Confessori, che fanno santa questa terra che premiamo; testimoni infine particolarmente ci stanno questi

Santi per sovrano Tuo giudizio oggi stesso ascritti all’Ordino degli Abitatori del Cielo, che sotto nuovo titolo cominceranno oggi a proteggere la Chiesa o ad offrire dai loro altari all’Onnipotente le prime preghiere anche per la tua salvezza.

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Quindi in presenza di tutti costoro, noi Vescovi affinch� l'empiet� non simuli di ignorarlo od osi negarlo condanniamo gli errori che Tu condannasti, e le nuove peregrine dottrine che in danno della Chiesa di Ges� Cristo si propalano, detestiamo e rigettiamo, riproviamo e condanniamo i sacrilegi, le rapine, le violazioni dell'ecclesiastica immunit� ed altre nefandit� commesse contro la Chiesa e la Sede di Pietro.

Questa protesta, che domandiamo venga inscritta nei pubblici atti della Chiesa, anche in nome dei nostri fratelli assenti apertamente proferiamo; sia in nome di quelli che fra tante angustie per forza trattenuti oggi stanno silenziosi e piangenti, sia per quelli che da gravi cure o da cattiva salute impediti non poterono oggi trovarsi con noi. Aggiungiamo di pi� a noi il fedele Clero nostro ed il popolo i quali animati dallo stesso nostro amore e dalla stessa pia riverenza nostra per Te splendidissimamente comprovarono la loro premura e colle non mai interrotte preghiere e con quella frequentissimamente ammirabile larghezza delle offerte per l'obolo di S. Pietro, molto bene conoscendo coi loro sacrificii doversi curare che nel mentre si provvede alle necessit� del Supremo Pastore si guardi anche salvare la di lui libert�.

Dio volesse che tutti i popoli cospirassero a porre in sicuro questa causa comune di tutto l'orbe cristiano, anzi di ogni ordine sociale!

Dio volesse che intendessero ed apprendessero i Re e le secolari potest� che la causa del Pontefice � la causa di tutti i Principi e di tutti i Regni, e dove tendano i nefandi sforzi dei loro avversari e finalmente riparassero gli estremi danni!

Tanto da Dio piangendo, Beatissimo Padre, con ogni forza e dal cuore preghiamo, mentre a'  Tuoi sacri piedi prostrati da Te domandiamo quella forza celeste che l'Apostolica e paterna Tua benedizione pu� impatire.


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Sia dessa abbondante e largamente dagli intimi penetrali del cuor Tuo sgorgante, per modo che non solo noi, ma anche gli assenti fratelli dilettissimi ed i fedeli a noi affidati irrighi e bagni. Sia tale che molca e lenisca i dolori nostri e di tutto il Mondo, le infermit� sollevi, l'opera ed il lavoro fecondi ed affretti pi� felici tempi alla Santa Chiesa di Dio.

Roma 8 giugno 1862.

Seguono le firme di 2 Cardinali e 244 Vescovi.

Il Santo Padre rispose nei seguenti termini:

�I sensi da voi finora espostici, Venerabili fratelli e diletti figli, ci hanno riempiuto il cuore di grandissima contentezza, poich� sono essi un pegno del Vostro affetto per questa Santa Sede ed uno splendidissimo attestato di quel vincolo di carit� in virt� del quale non solo si congiungono fra loro i Pastori della Chiesa Cattolica, ma si attengono eziandio strettamente a questa cattedra di verit�. Da ci� appare manifestamente essere con noi Dio autore di pace e di carit�. E se Dio � con noi, chi sar� contro di Noi? Sia dunque lodo, e onore e gloria a Dio; pace, gaudio e salate a voi; pace ai vostri cuori., salute ai fedeli di Cristo affidati alle vostre cure; gioia a Voi e a quelli, affinch� insieme coi Santi esultiate cantando il cantico nuovo nella casa di Dio per tutti i secoli dei secoli.�

Dopo il Concistoro i Prelati furono riuniti dal Papa a splendido banchetto nella biblioteca Vaticana; Le tavole drizzate sotto la doppia nave di quell'immensa sala, che Sisto fece costruir sotto la direzione e sui disegno dal celebre Fontana, formavano un circolo nel centro del quale ergevasi il trono pontificale.

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Oltre agl'innumerevoli tesori artistici, che gi� trovavansi in tal sala erasi creduto opportuno di trasportare in tal circostanza tutte le pi� sfarzose ricchezze che trovansi disseminate nei diversi palazzi pontificii, e ci� offriva agli sguardi uno spettacolo veramente incantevole. Chiuso il Concistoro gl'illustri convitati si portarono nell’immensa biblioteca, i cui grandi armadi tutti aperti presentavano ai loro sguardi tesori senza numero di scienza e di ricchezze letterarie. A due ore precise giunse il Papa., ed ebbe principio il banchetto. A cinque ore il caff� ed i sorbetti furono serviti nel Giardino detto di Belvedere.

Nell'indomani e nei giorni seguenti i prelati stranieri riuniti nelle sale del Palazzo Altieri messo a loro disposizione ricevettero per parte degli amici pi� devoti del Governo pontificio le pi� vive testimonianze di simpatia. Gi� il Senato Romano con deliberazione del 22 Maggio aveva accordato a tutti i prelati stranieri, la cittadinanza e la nobilt� romana, ed una lapide era stata posta per eternare la memoria di tal deliberazione. Una commissione composta dei principi Orsini e Camillo Massimo, di Monsignor Negroni ed altri venne ad offrire ai Vescovi il disegno d’una medaglia che era stata fatta coniare in loro onore. Questa medaglia rappresentava da un lato la religione che guarda nel velo i 27 martiri Giapponesi rappresentati da 27 stelle. Dall’altro lato si leggeva un iscrizione commemorativa. Gli allievi del collegio Romano e delle altre case dei Gesuiti eseguirono degl'inni composti per le circostanza, e presentarono ai prelati col� raccolti, come un, espressione della giovent� romana un indirizzo di ringraziamento e di omaggio alla religione ed al poter temporale.

Finalmente alle feste della Canonizzazione fu posto un termine con una solennit� religiosa e militare che ebbe luogo il giorno 12 Giugno al Macao, antico Castro pretorio di Tiberio, dove per cura di mons. De Merode proministro delle Armi pontificie, dovevasi edificare una nuova caserma per le truppe del Papa. In quel giorno fu posta dallo stesso Pio IX la prime pietra di tal edilizio in mezzo ad un immensa folla di spettatori. Allorch� dopo la cerimonia della benedizione, le truppe sfilarono innanzi al Papa, si udirono frenetiche grida di Viva il Papa re, e Viva l'esercito pontificio specialmente allo sfilar dei Gendarmi e degli Zuavi.

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Queste stesse grida con un raddoppiamento di forza si facevano sentire dietro la carrozza di Sua Santit�, quando rientr� in citt�. Vedevasi uu immenso numero di preti francesi coperti di polvere, e grondanti sudore correre dietro le carrozze pontificie agitando con una mano il bianco fazzoletto e coll’altra sostenendosi la sottana onde non fosso loro d’imbarazzo nel correre. Assistettero a questa cerimonia l'Arcivescovo di Malines, quello di Lione Cardinal Bonale, quello di Praga, il Cardinal Gouyet di Rheims, il Card. Nyeman di Wenstminster il Cardinal Donnet di Bordeaux, il Card. Morlot di Parigi, e i Vescovi di Nimes d’Orleans di Ncwyorck di Tarragona e di Dublino.

Il partito legittimista francese aveva presa grandissima parte a queste dimostrazioni. A Marsiglia, quando avvenne la partenza dei Vescovi per Roma, era stata prodotta una viva agitazione e per l'esaltazione che i comitati realisti avevano eccitato in una parte della popolazione, e per l'indignazione del partito democratico, costretto ad esser spettatore delle dimostrazioni dei legittimisti, che si compievano liberamente sotto gli occhi della polizia. I, ' autorit� governativa per evitare un conflitto che avrebbe potuto avere serie conseguenze ordin� ai comandanti dei battelli a vapore sui quali rimpatriavano i Vescovi ed i Preti reduci da Roma di operare lo sbarco de'  loro paseggieri durante la notte. Questa misura non fu del tutto inutile per conservare la tranquillit�, quantunque un gran numero di ecclesiastici e di legittimisti avesse preso per rientrare in Francia altra strada, cio� quella della Svizzera, dove eransi recati a prestare omaggio al conte di Chambord (che essi chiamano Enrico V), e che dimorava allora a Lucerna. Da quest� citt� il conte di Chambord scrisse poi una lettera che ha tutto l'aspetto di un programma del partito legittimista, e che noi prendiamo dall’Indipendenza Belgia, per porla sotto l'occhi dei nostri lettori.

Prima di tutto propone il quesito so i suoi aderenti debbano o no prender parte ai pubblici affari sotto il reggime napoleonico e si pronuncia per l’astenzione dicendo che avvi assoluta impotenza di operare cosa alcuna di bene.

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Sostiene che sotto la monarchia del luglio potevano, conservando il loro carattere, ed il loro colore politico, sedere nelle Camere e nei Consigli provinciali, ora non lo possono pi�.

Che con questo non devesi pretendere che il partito abbia abdicato alla sua influenza, perch� appunto questa astenzione � una grande manifestazione della propria esistenza, una splendida protesta.

La lettera del conte di Chambord entra poi a parlare della quistione romana e dell’attinenza di questa colle sorti del partito legittimista.

Su questo crediamo opportuno riferire le parole testuali del manifesto legittimista:

.... �Un discorso detestabile avea rivoltato tutte le coscienze oneste (il discorso del principe Napoleone). Nell'opinione pubblica si era manifestato un certo movimento. Le questioni secondarie scomparivano dinanzi alla grande quistione che aveva riempiuto la discussione dell’indirizzo: non trattavasi pi� che dell’indipendenza della Santa Sede, del rispetto della sua sovranit�, del cattolicismo e della civilizzazione cristiana minacciata.

�In nome dei pericoli della Chiesa mi si chiedeva di agire sui realisti affinch� la Chiesa fosse difesa per le elezioni da tutti coloro che le sono affezionati, mentre tutti quelli che odiano, o pei quali essa � semplicemente un ostacolo, si erano uniti per distruggerla. Si aggiungeva che il nostro interesse politico e quello del nostro partito troverebbe preziosi ed incontestabili vantaggi nella riunione sullo stesso terreno dei realisti e degli uomini esclusivamente religiosi che loro facevano appello e che si meraviglierebbero giustamente di non veder ascoltato questo loro appello.

�Di queste preoccupazioni, quella dei pericoli e degl'interessi della Chiesa, fu la sola a cui rivolsi la mia attenzione.

 Non ist� bene di confondere imprudentemente la religione e la politica: ci� nuoce alla religione non meno che alla politica. Nulla � di sua natura pi� delicato a trattarsi che il concorso dei partiti politici alla difesa della Chiesa.

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Il timore che il cattolicismo venga usufruttato dalla politica, timore che alla sua volta � usufruttato da una insigne malafede, ha esistito lungamente nel paese, ha per molto tempo mantenuto nell’esitazione e nella diffidenza molti cuori generosi e puri. Pi� di qualunque altro ho io ammirate le voci eloquenti che, quando si discusse l'indirizzo hanno s� energicamente rivendicato i diritti della Santa Sede. Ma in realt� ci� che costituisce la forza principale dei difensori della Chiesa che salirono a quelle tribune per un istante rialzate, si � che essi parlavano contro i loro sentimenti politici, sotto la sola ispirazione delle loro coscienze. Cos� non potevano essere sospetti; cos� si trovava ridotta a nulla la vecchia tesi d’un'agitazione politica sotto la maschera delle apprensioni della fede religiosa. Ma le prevenzioni sono spente per sempre? Sono esse per sempre scomparse? No; esse rinascerebbero non appena se ne desse loro un pretesto.

i Consultato dai miei amici sulla via da seguirsi ho risposto; poich�, malgrado le condizioni ineguali e pericolose, nello quali sono stati posti ad arie gli uomini devoti, come voi, agi' interessi religiosi, vogliono tentare la lotta sul terreno elettorale e chiedono perci� il vostro concorso, non rifiutate in modo assoluto di prender parte a questa lotta che avrei riputato pi� saggio di declinare. L� dove crediate che sar� tentata con qualche ragionevole probabilit� di successo, recate, se � reclamato, il concorso dei vostri voti; ma evitate scrupolosamente d’impegnare la bandiera della vostra opinione; entratevi senza secondi fini, e scegliete uomini devoti all’unico interesse che vi spinge senza per� accettare per candidati gli avversari dei vostri principii politici. Nell'interesse religioso come in quello della nostra causa, non ponete innanzi le vostre candidature, ed ecco il consiglio che debbo darvi.�

Prima di lasciar Roma tutti questi partigiani del dritto divino avevano firmato un indirizzo, redatto da un certo conte Brunet, col quale s'invitava Francesco II a non abbandonar la citt� eterna. L'ex re di Napoli aveva risposto che egli non ne uscirebbe che col Papa, del quale era pronto a difendere i diritti fino all’ultima stilla del suo sangue.

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Se i nostri lettori si ricordano ci� che in un precedente capitolo narrammo dei passi diplomatici fatti dal Governo Francese per ottener l'allontanamento di Francesco II da Roma sar� loro facile di comprendere quanto questi intrighi dovevano rendere difficoltose le relazioni del nuovo ambasciator di Francia de Levalette col governo pontificio. L'Inghilterra stessa aveva fatto prova d’influire direttamente sull’ex re di Napoli per indurlo a partire da Roma, ed a tale scopo aveva avuto luogo fra Francesco II ed il Signor Odo Russell un colloquio, che non produsse verun risultato.

II.

Le cose avvenute in Roma avevano destato in Italia un immenso fermento. Specialmente l'indirizzo dei Vescovi al Papa era stato cagione dell’esaltazione degli spiriti. Il parlamento italiano non tard� ad occuparsi di s� importante questione, ed il 15 giugno fu presentato alla camera dei Deputati la seguente mozione.

�I sottoscritti, di fronte alla dichiarazione dell’episcopato straniero riunito in Roma, propongono che la Camera voti un indirizzo al re, nel quale si raffermi il diritto d’Italia al possesso di Roma sua capitale, e si dichiari la necessit� d’una soluzione della questione romana, conforme al voto del 27 marzo 1861 per la pace d’Italia e di Europa.�

Firmati Farini, Poerio, Cassinis, Minghetti, Trezzi, Giovanni Morelli, Grossi, Audinot, Toscanel li, Grella, Pasini, Giorgini, Pisanelli, Decesare, Malenchini, De Filippo, Leopardi, Imbriani, Ciccone, Pantaleoni, Massari, Galeotti, Broglio, Berti Pichat, Allievi, Baldacchini, Spaventa, Guerrieri, Finzi, Bonghi, Fenzi, Ninchi, D’Ancona, Gigliucci, Caracciolo, Silvestrelli, Martinelli, Alfieri, Pelosi, Tiberio Berardi, Michclini, Cagcola, Tonello, Catelli, Giovanni Fabrizi, Rasponi, Boncompagni, Arconati, Salvagnoli.

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Audinot riassume in poche parole i violenti concetti e lo frasi violente contenute nel recente indirizzo dei vescovi, che ora si trovano in Roma, quindi continua:

Quelle frasi, o signori, e quei concetti sono una offesa alla nazionalit� italiana, al trono di Vittorio Emanuele, al trono ed alla persona di Napoleone III nostro augusto alleato. Le popolazioni italiane non sentono affievolito il loro. diritto, n� si smuovono dal loro proposito di voler Roma per capitale: sanno cho i destini d’Italia devono compiersi e si compieranno. E noi, rappresentanti del popolo italiano, mancheremmo al nostro dovere, se non innalzassimo una voce di protesta contro queste esorbitanti dichiarazioni dell’episcopato.

L'indirizzo che vi proponiamo � un atto solenne e nazionale, superiore a tutti i partiti politici, col qual atto ci raggruppiamo intorno al trono di Vittorio Emanuele, vindice di tutti i gridi di dolore che sono partiti e partono dalle diverse parti della penisola italiana e gli diciamo:

�Sire, l’Italia tutta quanta � con voi; con voi � il diritto e la giustizia; Sire, perseveriamo.� (Applausi)

Santocanale Io domando la chiusura perch� queste son verit� che non si discutono.

Rattazzi. Io credo completamente superfluo l'indirizzo perch� le parole dei vescovi non hanno scemato la nostra fede sull’avvenire; perch� il diritto che hanno gli Italiani di aver Roma per capitale sar� soddisfatto. Qualora per� la Camera creda che questo indirizzo sia una protesta all’indirizzo dell’episcopato il governo di buon grado vi si associa.

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Voci. La chiusura.

Bixio contro la chiusura.

Io domando che cosa si direbbe se i Romani una bella mattina prendessero tutti quei 244 vescovi che hanno firmato l'indirizzo e li cacciassero nel Tevere? (Ilarit� generale)

Pres. Parli contro la chiusura.

Bixio. Mi basta; ho detto. (Risa)

Musolino. l’indirizzo mi pare una cosa superflua perch� gi� abbiamo detto tante volte che vogliamo Roma per capitale. Secondo me ci vuole ben altro, ci vuole una riforma, la secolarizzazione del clero. (Rumori) Io invito il ministero a dirmi se abbia intenzione di far questo. (Rumori)

Ricciardi. Nessuno s'incaricherebbe in Italia di una scomunica minore o maggiore... (Rumori)

Pres. Ma questo � il merito....

Sineo. Ho un argomento buono contro la chiusura ed � questo, che si fa una proposta senza che venga discussa.

Sarebbe pericoloso isolare una tale proposta; per avere effetto deve essere accompagnata dai fatti, deve quindi come ogni altra proposta essere passata agli ufficii.

Hanno la parola gli onorevoli Panattoni e De Blasiis, che appoggiano la chiusura.

Chiaves. Quando si hanno 300m. soldati, non si protesta contro i preti. Questo voto � una dichiarazione bella e buona d’impotenza. (Bene bravo)

Si oppone quindi alla chiusura.

Nicotera Parla nello stesso senso del deputato Chiaves, dicendo che gl'Italiani devono protestare colle baionette alle porte di Roma, schiacciando colla forza gli oppressori dei Romani.

Rattazzi. l’indirizzo che si farebbe al Re non avrebbe quel senso a cui si vuole attribuire da taluno che avversa la chiusura.

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Io non so se questa proposta avrebbe dovuto essere votata formalmente ed unanimente. Per cui faccio appello al patriottismo dell’onorevole Chiaves e di tutti gli onorevoli membri dell’estrema sinistra ad unirsi alla stessa, perch� l'indirizzo a S. M. altro non � che una manifestazione per parte della rappresentanza nazionale, della ferma intenzione di voler confermato il voto del 27 marzo 1861 e di persistere nella volont� di aver Roma per capitale.

Crispi. Non credo che nessuno sia discorde in questo recinto nel voler Roma per capitale. Capisco anch'io che non. dobbiamo limitarci ad una semplice protesta; ma, dacch� si tratta di volere confermare un voto gi� espresso, non credo che ci� sia superfluo perch� sar� sempre bene di affermare il pi� che � possibile all’Europa che vogliamo Roma unicamente per l'Italia (Bene, bravo).

Invito quindi i miei amici politici a votare unanimi in favore della mozione test� letta. (Applausi)

Nicotera. Io voter� la proposta, ma dichiaro che � inutile perfettamente, perch� noi dobbiamo protestare colle baionette (Rumori).

Miceli. E siamo stanchi di queste affermazioni (Rumori prolungati; il presidente suona il campanello; Miceli continua a parlare tra i rumori della Camera; non sentiamo che quati sole parole i Francesi se ne vadano Voci gridano: all’ordine.

Pres. Alla proposta venne fatta un'aggiunta dal deputato Chiaves cos� concepita:

�La Camera sebbene sia convinta che la dichiarazione dei vescovi non pu� recar offesa al dritto della nazione, ecc.�

Chi l'approva s'alzi. Non � approvata. Posta ai voti la proposta anzidetta, � approvata alla quasi unanimit�, perch� soli rimasero seduti gli onorevoli Lazzaro, Ferrari e Ricciardi.

Pres. Ora dimander� alla Camera come intenda procedere alla nomina della Commissione.

Crispi. Io propongo che sia incaricato il presidente della Camera.

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Bixio. Io propongo che sia incaricato a redigere la proposta il dep. Pinelli, (Ilarit� generale e prolungata)

Pinelli. In qualunque senso l'onorevole Bixio abbia proposto me per nominare la Commissione, dichiaro di non accettare.

Bixio. A vero dire ho proposto il generale Pinelli, perch� credo che un buon corpo d'armata sotto agli ordini suoi darebbe frutti migliori di un indirizzo. Il generale Pinelli deve credere che io non ebbi altri fini.

Pinelli. Son persuaso della intenzione dell’onorevole Bixio, ma d’altro canto faccio osservare che quand’anche la Camera credesse d’ordinar questo, io non potrei egualmente accettare, perch� il mio indirizzo politico non soddisfa il governo. (Risa prolungate)

La Camera decide d’incaricare il presidente della nomina della Commissione. Risulta cos� composta:

Boncompagni, Farini, Ricci Vincenzo, Crispi e Allievi.

Questa Commissione present� alla Camera nella tornata del 18 Giugno il suo progetto d’indirizzo, che lesse il deputato Boncompagni dalla tribuna, e che era concepito in questi termini.

�SIRE!

�Vescovi quasi tutti stranieri all’Italia, raccolti a Roma per una solennit� religiosa, lanciarono contro la patria nostra contumelie rese pi� gravi dalla negazione del nostro diritto nazionale e dall’invocazione della violenza straniera.

�All’inaudita dottrina che vuol Roma mancipio dell’orbe cattolico, e i fini della religione incompatibili con l'indipendenza della Penisola, noi rispondiamo, o Sire, raccogliendoci intorno a voi, e proclamando agl'Italiani ed ai Romani che siamo risoluti mantenere inviolato il diritto della nazione e quello della sua metropoli tenuta a forza sotto una signoria, a cui essa ripugna.

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�Noi ci ispireremo, o Sire, a quella irremovibile costanza di cui siete cos� grande esempio alla nostra patria ed al mondo. Ai nostri nemici, quai che essi sieno, noi opporremo la serena fiducia del popolo italiano nella giustizia della sua causa, nell'efficacia de'  suoi liberi ordinamenti, nel valore dell’esercito e dei cittadini, pronti a concorrere con esso alle battaglie nazionali, e sopratutto, o Siro, nel vostro valore, nella vostra lealt�, nella riverenza che ispira universalmente il nome vostro.

�Sono queste le ragioni per cui l'opinione universale delle genti civili sente ora di dover ammettere l'Italia fra le nazioni signore di s�.

�Certi di vedere uniti a noi quanti per natura e per diritto appartengono all’Italiana famiglia, crediamo non lontano il momento in cui saranno tronchi gl'indugi che si frappongono all’adempimento del voto che acclam� Roma capitale del Regno.

�Le parole che risuonavano test� al Vaticano dichiarano impossibili i temperamenti, per cui la diplomazia cred� conciliabile col poter temporale che manomette Roma il diritto d’Italia medesimato in quello della vostra Corona. Cotesto linguaggio non ci sgomenta; esso ha tolto ogni motivo a quelle esitazioni che mettono o dura ed ardua prova la moderazione del vostro popolo.

�Mentre prelati stranieri, immemori della natura tutta religiosa e spirituale del loro augusto ministero affermano tanto solennemente un voto di reazione politica; mentre dai luoghi governati a nome del pontefice uomini scellerati portano la desolazione nelle provincie meridionali del regno, l'Europa dovr� pure convincersi che la vostra autorit�, o Sire, e quella delle leggi del libero popolo, a cui � gloria avervi a capo, possono solo dare pacifico assetto alle cose di Roma, liberando l’Italia e l'Europa da quella confusione di poteri e da quel conflitto che conturba lo coscienze e mette in pericolo la pace del mondo.

Dopo tale lettura il deputato Curzio chiese la parola per opporre all’indirizzo la questione pregiudiziale.

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Curzio. Nulla di pi� inopportuno, nulla di pi� impolitico di questo indirizzo....

Voci. Alla questione pregiudiziale.

Curzio. Abbiano pazienza e vedranno che mi occuper� di questo (Voci No, no.)

Conchiude col proporre che l’indirizzo venga stampato, distribuito ai deputati per farne oggetto di una larga discussione.

Boncompagni. Mi oppongo alla proposta dell’on. Curzio perch� l'indirizzo fu ordinato da un voto della Camera, � la conseguenza di questo voto.

Pres. Stando al regolamento non vi � obbligo di trasmettere l'indirizzo agli ufficii. Se la Camera per� lo crede, lo si potr� fare No, no)

Curzio. Io non ho inteso che sia trasmesso agli ufficii, bens� di stamparlo e distribuirlo ai singoli deputati.

Lazzaro. L'on. Boncompagni ha detto che non si pu� discutere l'indirizzo, perch� implicitamente fu approvato da un voto della Camera. (Rumori)

Boncompagni. Io ho detto che l'indirizzo contiene le ideo manifestate dal voto della Camera. Potranno essere state esposte �on termini pi� o meno soddisfacenti, ma le idee sono quelle.

Lazzaro appoggia la proposta Curzio.

Decesare. Il concetto fu approvato all’unanimit� meno tre. Una discussione quindi sarebbe di parole, nulla pi�.

Io prego la Camera a votare com'�.

Deboni. Io appoggio la proposta Curzio, prima di tutto perch� noi dobbiamo spiegare i nostri voti. Il contenuto dell’indirizzo potrebbe lasciare qualche cosa da desiderare. Il problema romano � tutto, e noi non dovremo discutere?

Rattazzi (pres. del Cons. Non saprei veramente che cosa potremo ricavare da una discussione. Il concetto fu approvato: tratterebbesi adunque di vedere se sia bene o male espresso.

Una discussione non sarebbe che politica, ed io dichiaro altamente alla Camera che una discussione politica in questi momenti sarebbe sommamente inopportuna.

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Prego adunque la Camera a votare l'indirizzo tal quale venne proposto.

Voci. La chiusura.

Lazzaro. E questa la seconda volta che si vuole strozzare una questione importante. La chiusura � pericolosa.

Boggio. Se l'on. Lazzaro vuol sollevare una discussione sulla questione romana, sa anch'egli che lo pu� fare, ogniqualvolta lo voglia, mediante un'interpellanza.

Qui si tratta di fare un atto di forza, un atto morale politico.

Impariamo dai nostri nemici: leggete i giornali teocratici di Torino e specialmente quelli di stamattina, i quali affermano che quando si tratta di Roma nel Parlamento italiano vi ha la confusione, e gi� preconizzano scandali in occasione della lettura dell’indirizzo. Siamo d’accordo, o signori, nell’affermare il nostro diritto! (Rumori a sinistra)

Deboni. Tutti siamo d’accordo.

Musolino dico che � assolutamente adesso che si deve parlare di Soma.

L'indirizzo � vago, � scolorato ed afferma con termini generali il nostro dritto a Roma.

Conchiude coll’appoggiare la proposta Curzio.

Paternostro. Domanda la chiusura sulla discussione della chiusura. (Ilarit�)

Ricciardi domanda la parola contro la chiusura (Veci: Ai voti!)

La proposta Curzio � respinta a fortissima maggioranza.

Tecchio. Ora metter� ai voti l'indirizzo.

Plutino. L'indirizzo contiene un passaggio in cui panni si dica che noi delle provincie meridionali tolleriamo di essere massacrati dai briganti. (Rumori: ilarit�) Desidero che si legga nuovamente.

La Camera decide che sia letto di nuovo.

Il presidente Io legge. (Attenzione) Durante la lettura Brofferio domanda la parola.

Pres. Chi approva l'indirizzo si alzi. Brofferio. Ho domandato la parola. Pres. Durante la prova nessuno pu� parlare. Miceli. � questa la prima volta in cui non si pu� discutere un indirizzo. (Rumori)

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Pres. Dopo che io avr� pubblicato l'esito della votazione, allora l'on. Brofferio potr� parlare.

L'indirizzo � approvato alla quasi unanimit�. Brofferio. Quando non si vuol discutere, era perfettamente inutile una seconda lettura.

Lazzaro risponde qualche parola al deputato Boggio per un fatto personale.

Petruccelli. Io chiedo alla Camera di voler fissare un giorno prima della chiusura della sessione, onde discutere la questione romana.

Rattazzi. Dal momento che il dep. Petruccelli vuole sia fissato un giorno prima della chiusura della sessione, parmi che questo sia contrario agli usi parlamentari.

Bertolami dice essere sommamente importante una discussione su questo argomento.

Salvagnoli propone che la discussione sia rimandata a quando sar� discusso l’esercizio provvisorio.

Ara si oppone olla proposta dell’onorevole Salvagnoli. Toscanelli si maraviglia come un deputato che sedette per tanto tempo nel Parlamento subalpino si opponga a quanto chiese l'on. Salvagnoli, mentre in occasione dell’esercizio provvisorio devono svolgersi tutte le quistioni che interessano il paese.

Rattazzi. l’esercizio provvisorio non diede mai luogo a questione politica, inquantoch� lo si ritenne un atto di amministrazione.

Io mi oppongo alla proposta dell’on. Salvagnoli prima di tutto perch� una discussione sulla questione romana sarebbe sommamente inopportuna, in secondo luogo perch� il termine sarebbe assai breve, dovendosi votare quella legge entro il mese corrente.

Signori, ho gi� detto pi� volte che la questione romana deve sciogliersi con mezzi morali e diplomatici. Ora se si volesse ad ogni tratto che il governo comunicasse alla Camera tutte le fasi in cui si trovano le trattative diplomatiche, non riusciremmo a nulla. Dichiaro che io non potrei entrare in questo argomento nel termine che si vuol assegnare.


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Salvagnoli Dopo le dichiarazioni dell’on. presidente del Consiglio ritiro la mia proposta.

Lanza sostiene le dichiarazioni dell’on. presidente del Consiglio di non fare per ora questa interpellanza.

Boggio propone l'ordine del giorno puro e semplice.

Crispi. Questo periodo di sessione pu� essere abbastanza lungo. La questione romana � di tale importanza, che occuparcene non � mai inopportuno. La dignit� del Parlamento dipende dalla soluzione pi� o meno lontana della questione stessa. Comprendo che l'on. presidente del Consiglio potr� avere dei motivi diplomatici che lo consiglino ad una data riserva, ma comprendo altres� che la Camera deve avere il diritto ed il dovere di avvisare al modo in cui Io scioglimento deve essere affrettato.

La questione romana riflette l'interno nostro ordinamento, perch� la questione della capitale � una delle causo principali del malumore nelle provincie napoletane (Rumori).

Conchiude coll’opporsi all’ordine del giorno puro e semplice.

Rattazzi. Dopo che la Camera ha solennemente dichiarato di voler Roma per capitale, credo che una discussione ulteriore non ci darebbe risultati maggiori, anzi io credo che porterebbe un danno sensibile ai mezzi diplomatici.

Prego per quanto so e posso la Camera a non insistere pi� oltre.

Il Presidente legge i seguenti ordini del giorno:

La Camera, prendendo atto delle dichiarazioni del mini�stro, relative alle trattative diplomatiche sulla questione romana �passa all’ordine del giorno.�

GUERRIERI.

�La Camera, invitando il ministero ad esporro lo stato �della questione romana prima che termini la presente sessione, �passa all’ordine del giorno�.

SIRTORI.

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(Voci. La chiusura).

Sirtori svolge il suo ordine del giorno. Non � senza trepidazione che io prendo la parola in tale questione; trepidazione che ritengo divisa dalla grande maggioranza della Nazione. Il presente gabinetto non ispira fiducia ad alcuno ed ognuno crede che sia venuto al potere per arrestare la quistione romana (Voci. S�, si; no, no; rumori prolungati. Applausi dalle tribune; scampanellate).

Il gabinetto Ricasoli era in sospetto di voler spingere troppo la questione romana; si voleva arrestarla. Il gabinetto Ricasoli sapeva coltivare tutte le alleanze; il gabinetto Rattazzi si separ� da esse per mettersi alle dipendenze di una sola potenza in Europa (Rumori prolungati; violente denegazioni. Tutti i ministri sono in piedi: Rattazzi e Depretis protestano colle parole e coi gesti; Applausi dalle tribune; ammonizioni e scampanellate; molti deputati chiedono la parola. Ristabilita la quiete, l'oratore continua):

Io rispetto tutti coloro che compongono il ministero; dir� di pi� che qualcuno di essi mi � amico. un'alleanza esclusiva non � un'alleanza, � una dipendenza. Quale era lo stato delle alleanze sotto la cessata amministrazione? Eravamo in buona armonia collo maggiori potenze. Ora quale � l'opinione di queste potenze? Hanno l'opinione che l'attuale gabinetto si sia messo d'accordo con una potenza soltanto, prima di salire al potere. Tutta l'Europa lo guarda con diffidenza. La Camera, il Parlamento lo subisce lo tollera forse temendo il peggio; e non e' � alcuno che non lo riguardi come una sventura nazionale. (Rumori prolungati a destra.)

O l'attuale ministero non significa che lo statu quo assoluto od un sistema di transazione, che tutta la nazione riprova.

Io espongo la mia opinione, che oso dire della maggioranza della nazione. (Voci, No, no.)

Molti giornali, che rappresentano i' opinione di certi governi prima che cadesse il ministero passato, misero innanzi una specie di programma, misero in prima linea la questione di Venezia, consigliando di abbandonare quella di Roma e tutti quei giornali preconizzavano al potere l'attuale amministrazione.

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Ora domando io se il presente gabinetto pu� sciogliere la questione romana. Lo sfido a diroso tale questione ha proceduto di un passo.

Che l'attuale ministero infatti voglia abbandonar la questione di Roma per darsi unicamente a quella di Venezia, basti il riflettere, che egli, compartecipe della spedizione di Sarnico (rumori) tent� con quella di deviare l'attenzione dell’Italia e dell’Europa dalla citta che noi abbiamo proclamata e vogliamo nostra capitale.

Assolutamente l'attuale ministero mi ispira la massima sfiducia. Se crede di poter dire al Parlamento ed alla nazione di volere lo scioglimento della questione, se crede di poter indicare cosa abbia fatto sino ad ora per giungere a tale scopo, lo faccia prima che si chiuda la presente sessione.

Rattazzi. Noi ci siamo sobbarcati a questo grande ufficio di governare la cosa pubblica, colla coscienza di noi stessi, colla speranza di giungere a compimento di quanto tutti gli italiani vivamente ed ardentemente desiderano.

L'on. Sirtori dice che siamo una dipendenza dello straniero. (Con forza) Respingiamo recisamente questa asserzione; (bravo) noi non ci ispiriamo che al sentimento del nostro dovere, ali' interesse del paese e chiunque sostiene che noi siamo dipendenti da una potenza straniera, quegli ci calunnia (Con forza: bene)

V onorevole Sirtori soggiunse che noi abbiamo abbandonato le alleanze, che sostenevano l’Italia, prima che noi andassimo al potere. Ci� non � vero. Noi abbiamo coll’Inghilterra quelle stesse relazioni di simpatia che avevamo prima che cessasse la precedente amministrazione. Se le altro potenze d’Europa non ci sono pi� amiche, non si sono fatto nemmeno pi� avverse, ed io spero che quanto prima la Camera potr� averne una prova. Non sono io che ho dichiarato di sciogliere la questione romana d’accordo colla Francia; fu la Camera, fu il Parlamento nazionale. (Bene, bravo)

Non fu il governo che cerc� di deviare l'attenzione dalla questione romana colla spedizione di Sarnico. Sa l'onorevole Sirtori, chi fu? Lo domandi alla Unit� Italiana, lo domandi al Diritto.

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Quanto alla compartecipazione del governo in questa implosa, il governo crede di aver gi� dato le opportune spiegazioni.

1 onorevole Sirtori dice che la Camera ci tollera, quantunque conosca in noi una sventura nazionale, temendo di peggio. Quest'accusa non cado sopra di noi, bens� sopra la Camera, la quale se nell’attuale governo conosce una sventura nazionale, deve dargli un voto chiaro e preciso di sfiducia, di biasimo. (Bene) Ma fintantoch� non lo d�, noi siamo autorizzati a credere, che godiamo la fiducia del paese. (Bene, bravo)

Sirtori. l’on. presidente del Consiglio ha giudicato amaramente le mie parole e diede ad esse una estensione maggiore di quella che avevano infatti. (Rumoriprolungati)

Io chiedo all'on. presidente del Consiglio se possa essere in grado di far una esposizione chiara e netta dello stato della questione romana.

Rattazzi ripete quanto ha detto pi� sopra, che cio� non � opportuno di fare un'esposizione, quando sono pendenti trattative diplomatiche.

Petruccelli. Certamente io non aveva intenzione di portare su questo campo la questione; ma dacch� vi � stata portata, io ritiro la mia proposta, riservandomi di riproporla quando meglio lo stimer� opportuno. (Bravo)

Presidente. Dacch� l’onorevole Petruccelli ha ritirata la sua proposta, domando all’onorevole Sirtori se ritira anche la sua.

Sirtori. No; la mantengo.

Valerio. Dacch� la proposta principale � stata ritirata, domando alla Camera se le altre due sieno accessorie? (Voci, No, no)

Boggio ripropone l'ordine del giorno puro e semplice.

Brofferio. Io non sono ministeriale, e probabilmente non o sar� mai; (ilarit�) ma il ministro Rattazzi � uscito dalle file della democrazia, come sono uscito io; il ministro Depretis ed il ministro Durando sono miei antichi amici, ed io finch� vedo quegli uomini al potere, non posso ritenere per un solo istante che siano disposti a far atto contrario alla causa dell’unite italiana. (Bene, bravo) Se nulla hanno fatto in tale questione i ministri Cavour e Ricasoli, si potr� accusare il ministro Rattazzi di nulla aver fatto neppur egli?

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lo condanno di una sola cosa il ministro Rattazzi; di accogliere cio� troppo facilmente le proposte dell’on. Boggio che per tre volte quest'oggi ha proposto in quistioni importanti l'ordine del giorno puro e semplice.

Boggio dice di aver proposto l’ordine del giorno puro e semplice, perch� si rientri finalmente in una via che solo pu� darci qualche cosa.

� approvato l’ordine del giorno puro e semplice.

L'Indirizzo votato dalla Camera dei deputati fu presentato al re Vittorio Emanuele da una commissione la mattina del 22 Giugno dopo che il Presidente della medesima si ebbe data lettura il re rispose alla deputazione che la Camera aveva ragione di essere commossa che egli rimarrebbe saldissimo nei propositi che aveva fiducia di veder presto adempiuto mediante il concorso illuminato ed il buon senso della nazione, i voti della quale sarebbero tanto pi� facilmente esauditi, quanto pi� si terrebbe lontana dalle idee esagerate e dai partiti estremi. L'indomani il barone Tecchio presidente della Camera rese conto alla medesima della presentazione dell'indirizzo a sua Maest� col seguente discorso.

�Mi � grato ufficio di annunciare alla Camera l'accoglienza fatta da S. M. il Re d’Italia alla deputazione incaricata di recarle '' indirizzo approvato nella tornata del 18 giugno corrente.

�S. M. ha ricevuto la deputazione alle ore 10 1|2 di ieri mattina.

 Assistevano all’udienza i signori ministri.

�Lessi l'indirizzo che voi avete deliberato.

�S. M. dapprima, sorridendo cortesemente, ci disse che non appena sent� la Camera aver stabilito di presentargli un indirizzo nelle attuali contingenze di Roma, gli venne quasi in pensiero che la Camera dubitasse ch'egli abbia potuto chinarsi alla politica dei vescovi (Bravo, Benissimo).

�Indi con fermo accento espresse i concetti che, come meglio io sappia, ho raccolti e vi riferisco:

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�L'Italia ormai deve essere certa de'  suoi destini. Il Re spera che questi siano prossimi a compiersi. Ma, per giungere pi� presto alla meta, il Re crede necessaria la calma, la tranquillit�, crede che i partiti estremi, anzich� giovare all’Italia, renderebbero impossibile l'attuazione dell’opera che fu s� lungamente preparata, e per la quale s'incontrarono tanti pericoli e si sostennero tante fatiche. Il Re ha fede nel senno della nazione, la quale sempre, ad ogni bisogno, gliene ha dato prove luminose. �Io col mio ministero (cos� il Re conchiudeva) sono pronto a procedere arditamente nella via che ci condurr� al conseguimento di quel fine che � nel voto di tutti; e non dubito di fare assegnamento sull’intera nazione.

�Pochi giorni dopo questo voto del parlamento, il ministro dei culti e della giustizia indirizz� ai procuratori generali presso le corti supreme e d’appello del regno la circolare che segue.

Torino 3 Luglio 1862

Nelle prime parole ch'io ebbi l'onore di rivolgere ai signori procuratori generali delle Corti supreme e d’appello del regno nella circolare del 19 aprile scorso, raccomandai loro di tenere stretto riguardo delle condizioni dei tempi nel vigilare la condotta del clero e nel reprimerne le esorbitanze, assicurandogli la sua piena libert� nell’ordine spirituale, ed impedendo ad un tratto ch'esso ne abusi a scapito della libert� di tutti e ad offesa delle libere istituzioni.

Recenti fatti, i quali attestano che una parte dell’episcopato o del clero dura pertinace ad avversare il governo nazionale e a mettere con ci� in pericolo l'ordine pubblico, esigono ch'io rinnovi e rafforzi tali raccomandazioni.

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Ci furono prelati, che nella ricorrenza della festa nazionale, cogliendo pretesto dal silenzio della legge, la quale non vuole imporre ci� che credette dover essere manifestazione spontanea dei sentimenti pi� famigliari a ministri della religione ed a cittadini, resistettero al pio voto delle popolazioni, che i riti religiosi consacrassero la civile solennit�, e scagliarono ecclesiastiche pene e censure contro quei parrochi e sacerdoti che non dubitarono di secondarlo. Altri ce ne furono, che precorsero con indebite dichiarazioni, ovvero con adesioni ancor pi� indebite si associarono a quell’indirizzo dell’espiscopato al Sommo Pontefice, che offende cosi audacemente il diritto nazionale, e con esempio inaudito invade e calpesta le civili ragioni, contro il quale gi� i rappresentanti della nazione hanno fatta s� dignitosa e solenne protesta. N� forse � vano rumore la voce corsa, che la Corte di Roma, continuando in quel suo deplorabile sistema di confondere ci� che la costituzione stessa della Chiesa essenzialmente distingue, sia per far legge a tutto il clero d’aderire a quell’atto sostanzialmente politico; atto che non s'attienne n� ai dogmi ne alla disciplina della Chiesa cattolica; atto che i suoi autori non poterono confortare con alcuno di quegli argomenti a cui devesi appuntellare qualsivoglia cattolico insegnamento; atto che facendo fondamento sopra una quasi necessit� mai definita e a cui ripugnano le tradizioni de'  secoli pi� illustri nella storia della Chiesa, per bocca di prelati la maggior parte stranieri e non chiamati ad altro che a reggere la Chiesa di' Dio, presume decidere una questione politica d’importanza suprema per l'Italia e deciderla contro il voto di 22 milioni d’Italiani.

Ben � vero che a tali esorbitanze fa contrasto il contegno d’una gran parte di vescovi e sacerdoti, i quali professano che la Chiesa deve rattenersi nei suoi limiti spirituali ed ossequenti alle leggi del regno, conoscendo ch'esse assicurano loro la libert� di che hanno bisogno per adempiere agli alti uffici del loro ministero, si mostrano rigidi osservatori dei loro dov�ri di ecclesiastici e di cittadini, e fanno cos� palese, esser calunnia inventata dallo spirito di parte, che le legittime franchigie della Chiesa siano nel regno poste in non cale e calpestate.

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Ma a fronte dei fatti sovraespressi e d’altri ancora che intervengono in varie provincie del regno, e che, sebbene men gravi, non lasciano d’essere segno della summentovata ostilit� di una parte del clero, mentre da un canto riescono a turbare le coscienze e dall’altro ad irritare il sentimento nazionale, il governo del Re non pu� rimanersi dal cercar modo che siano repressi. A ci� devono bastare le leggi vigenti in ciascuna parte del regno, quando siano vigorosamente applicate; n� certo i poteri dello Stato esiterebbero a sancirne di nuove ove quelle si chiarissero insufficienti, massime in riguardo a quo' capi che toccano le pi� strette ragioni del nostro politico e civile ordinamento e le maggiori necessit� dell’ordine pubblico. Solo � mestieri frattanto che le leggi vigenti abbiano tal pronto, severo e spassionato eseguimento, da cui venera rimosso ogni dubbio che manchino al governo i mezzi di reprimere e colpire siffatte esorbitanze, o clic, nell’usarne, trascenda i limiti segnati da quelle istituzioni onde � tutela la libert� d’ogni ordine di Cittadini.

Ed � perci� ch'io ho reputato dover far nuovo appello allo zelo operoso e alla prudente energia dei signori procuratori generali del Re presso le corti supreme e d’appello, dai quali in cosa di tanto momento mi riprometto il pi� fidato concorso. Attendano essi con la maggior cura a vigliare qualsivoglia atto, scritto o discorso del clero che esca dai confini delle sue funzioni spirituali o che tramescoli a queste la manifestazione pubblica di principii e sentimenti ostili al governo nazionale, e quando ne abbiano positiva notizia non pongano tempo in mezzo a farne soggetto di regolari procedimenti. Non � mestieri che per ci� essi chieggono istruzioni al potere esecutivo; dappoich� lo leggi vigenti devono somministrar loro in qualsivoglia caso ogni necessario indirizzo; n� all’uopo occorre altro, n� altro il governo del Re esige che l'applicazione delle leggi stesse al di fuori d’ogni quistione d'opportunit� o convenienza. Procaccino che i procedimenti come siano iniziati vengano condotti con pieno ordine e con la maggiore sollecitudine in guisa che la repressione tenga prontamente dietro all’abuso, ed appaia determinata dall’urgente bisogno d’assicurare l'ordine pubblico.

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E non omettano ad un tempo d’essere liberali d’assistenza e presidio a que' sacerdoti, che rispettabili per costume e per esatto adempimento de'  loro doveri, vengano fatti segno a pene e censure dai loro Superiori ecclesiastici, solo perch� professano devozione al governo nazionale, e non si rimangono dal compiere i loro obblighi di cittadini e di Italiani.

I signori procuratori generali presso le Corti supreme e di appello vorranno dare istruzioni conformi alle sovraesposte agli uffiziali del pubblico ministero da loro dipendenti.

Il guardasigilli ministro segr. di Stato

di grazia e giustizia e dei culti

RAFFAELE CONFORTI

III.

Anche il Governo Francese per mezzo di una circolare del ministro dei culti ai Vescovi notific� loro che l'autorit� politica aveva ricevuto l'ordine d’interdire tutte quelle pastorali, nelle quali fossero esposte e spiegate le dottrine contenute nell’indirizzo dell’Episcopato al Papa firmato a Roma, non avendo detto indirizzo ottenuto il placet governativo, come si richiedeva dall’osservanza del concordato colla S. Sede. Finalmente il governo dell’Imperator Napoleone ottenne dalla Russia il riconoscimento del Regno d’Italia, come si vedr� nel capitolo seguente.

In quanto all’Inghilterra, essa faceva di tutto presso il governo Francese onde ottenere la cessazione dell’occupazione di Roma, come risulta da un dispaccio di Lord Russel a Lord Cowley, del quale diamo un analisi estratta dall’Exprey.

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Al Conte Cowley

Per quello che riguarda il dispaccio di V. E. in data 14 maggio vi dir� che una guarnigione mista franco-italiana a Roma non sarebbe conveniente. Meglio varrebbe che si permettesse alle truppe italiane di occupare tutto lo Stato Romano sulla riva sinistra del Tevere e che i Francesi occupassero la regione del Vaticano, Civitavecchia ed il patrimonio di S. Pietro sulla destra riva del Tevere.

Se questa combinazione si accettasse come temporario accomodamento, il Papa sarebbe protetto, la dignit� del Principe Sovrano riconosciuta, ed ulteriormente il Re d’Italia ed il Papa troverebbersi riconciliati per la forza dello circostanze. Il signor Thouvenel non dovrebbe chiudere gli occhi sui pericoli della situazione presente.

Eccoli

1. Il governo francese rendesi impopolare per gli Italiani e soprattutto pei Romani;

2. Nessun ministro Italiano, sia Ricasoli o Rattazzi o chi si voglia altri non pu� efficacemente sorvegliare i mazziniani, i quali ottengono per conseguenza una illegittima influenza.

3. Potrebbe ad ogni momento scoppiare una guerra, le cui vicissitudini potrebbero stringere l'imperatore o ad abbandonare I opera sua in Italia o difendere la indipendenza Italiana a costo di una grande e sanguinosa guerra.

L'Inghilterra lungi dallo impacciare la marcia della Francia desidera coadiuvarla per trovare uno scioglimento alla questione Italiana.

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In un susseguente dispaccio il conte di Cowley dice che M. Thouvenel pensa che la combinazione suggerita da Sua Signoria non verrebbe accettata da nessuna delle parti. Il Papa dichiara non volere sapere di alcuno aggiustamento che non gli renda i suoi possedimenti perduti, ed il governo italiano rifiuta di sanzionare qualunque combinazione che non riconosca Roma per capitale d'Italia.

Il conte Russel risponde.

Io non ho mai pensato che il Papa accetterebbe la combinazione. Sappiamo benissimo che lo stesso aggiustamento liberale del 1815 provoc� le proteste del cardinale Consalvi relativamente a Ferrara e Comacchio.

In conseguenza il Papa dovr� esigere la restituzione di Bologna ed Ancona, ma non si ha mestieri domandargli il suo consenso, pi� che non siasi praticato per Bologna.

Ricorder� V. E. che appena le truppe austriache lasciarono Bologna, la citt� non volle pi� riconoscere la sovranit� del Papa. Cos� avverrebbe di Roma se i francesi ne partissero.

Quanto all’assenso del Governo Italiano, V. E. sapr� che il Governo della Regina propone questo piano come temporanea combinazione.

Se si proponesse un definitivo aggiustamento, non v'ha alcun dubbio che un Ministero Italiano esiterebbe o rifiuterebbe di sottoscriverlo.

Ma quale temporaneo aggiustamento non vi ha chi non creda che lo sgombro di Roma, Velletri e Frosinone, e della sinistra riva del Tevere, non sarebbe premurosamento accolto dagl'Italiani.

Napoli con piacere vedrebbe un governo, la cui sede fosse a Roma, e l'accusa che un ministero Torinese tenti piemontizzare l'Italia cadrebbe di per se.

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In data 28 maggio lord Cowley informa il nobile conte di avere avuta una nuova conversazione col ministro Francese. Il sig. Thouvenel us� diversi argomenti per provare, come egli diceva, i diritti del Papa e dimostrare che le pretese avanzate dal governo Italiano di avere Roma per capitale d’Italia erano assolutamente insostenibili davanti all’ordinaria interpretazione del diritto internazionale.

Non entro nei particolari di questo argomento, perocch� era facile convincersi che non aveano peso sul Governo Imperiale quando le Legazioni l'Umbria e le Marche, la Toscana, Napoli e Sicilia venivano annesse alla Sardegna. Non faccio che menzionarli a V. S. per provarle ad esuberanza (con sincero rincrescimento, il dico) la poca speranza che devesi avere di modificare con discussioni e rimostranze la condotta che il Governo dell’Imperatore � deciso a seguire nella questione Papale.

Lo scioglimento ne fu abbandonato, almeno per quanto puossene giudicare dalle apparenze, al Papa, ed io non veggio altra sicura politica da seguire in Italia che sforzarsi a consolidare l'amministrazione dei paesi di cui ora si compone. Essa otterr� cos� forza all’interno, ispirer� fiducia all’estero e sar� pronta ad approfittare di ogni favorevole occasione per dare compimento alla sua unita mostrando la verit� del proverbio, che l'unione fa la forza.

Al 2 Aprile il conte Russell fece osservare questo:

Il Sig. Thouvenel non parla pi� delle, difficolt� di persuadere il Governo Italiano ad accettare le condizioni suggerito dal Governo della Russia. Non trattasi pi� di sforzare il Papa ad abbandonare il suo potere temporale e rimanere in Italia nella condizione di suddito di un altro sovrano.

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Tutta la questione � di sapere se il Papa avendo perduto la Romagna, le Marche e l’Umbria conserverebbe tutto il territorio occupato dai Francesi e se questi non occuperanno pel Papa che il Patrimonio di S. Pietro, compresovi il Vaticano.

Astrazion fatta da ogni differenza tra un monarca protestante ed un monarca cattolico romano, egli � chiaro che questo principio in tal modo sviluppato e in contradizione coi principii in ogni altro luogo sostenuti tanto dalla Francia che dall’Inghilterra. Roma � terra straniera. I Romani non devono aver nulla a dire e le truppe straniere hanno tutto a dire. Quanto alla forma del suo governo, un tale sistema non potrebbe essere di lunga durata. E troppo direttamente contrario alle massime del diritto internazionale ed ai voti del popolo Italiano.

Tuttavia non desidero che V. E. intavoli una polemica a questo proposito. Ma d’altra parte il governo francese non deve rimproverare al governo d’Italia l’assenza di tranquillit� nelle Provincie del Sud, finch� la bandiera francese incoraggiera la corte di Roma a mantenere un asilo dove tutti i capi briganti trovano un rifugio e dove si preparano colle loro bande ad invadere provincie pacifiche. Voi non leggerete questo dispaccio al sig. Thouvenel, ma potrete dirgliene la sostanza.

Il dispaccio di sir Hudson dell’8 maggio traccia un quadro favorevolissimo dello stato delle cose in Ancona ed in altre citta d’Italia. L'aspetto delle citt� delle Marche e dell’Umbria, egli dice, � quello di citt� che sono state chiamate a nuova vita. Il paese che si stende da Ancona alla frontiera pontificia attende con impazienza il compimento delle ferrovie gia cominciate. Al Tevere cambia la scena e noi entriamo nel deserto.

Il contrasto � evidente tra il fertile giardino delle Marche e dell’Umbria, abbellito da buone cascine e da case di campagna ben tenute, e la Campagna desolata, tra la vita delle citt� e la silenziosa via che conduce a Roma. � chiaro che la ragione della loro separazione � stata l'inettezza ed il rifiuto di Roma di camminare con esse nella via del progresso; esse l'hanno oltrepassata, lasciandola indietro a gran distanza. Roma potr� riunirsi a loro, ma esse non faranno mai volontariamente ritorno a Roma.


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CAPO XIV

SOMMARIO

I. I PRINCIPI REALI PARTONO PER LA SICILIA — GARIBALDI PURE VI SI RECA ED ASSISTE IN LORO COMPAGNIA A PARECCHIE FESTE POLITICHE E MILITARI — I PRINCIPI PROSEGUONO IL LORO VIAGGIO; GARIBALDI RIMANE A PALERMO, E VI PRONUNCIA VIOLENTI DISCORSI — LETTERA DI L. MURAT. — INTERPELLANZE MOSSE DAI DEPUTATI NEL PARLAMENTO ITALIANO AL MINISTERO, E RISPOSTA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO — DISORDINI IN PI� CITT� D'ITALIA — MISURE ENERGICHE PRESE IN TALI CIRCOSTANZE DAL GOVERNO ITALIANO — I PRINCIPI REALI VENGONO A NAPOLI — DESTITUZIONE DEL PREFETTO DI PALERMO PALLAVICINO — ORDINE DEL GIORNO DEL COMANDANTE LA GUARDIA NAZIONALE DI PALERMO E PROCLAMA DEL REGGENTE LA PREFETTURA DI DETTA CITT� — IL RE VITTORIO EMANUELE INVIA UNO DEI SUOI AIUTANTI DI CAMPO A GARIBALDI PER RICHIAMARLO A PI� PRUDENTI CONSIGLI — PROCLAMA DEL RE AGL'ITALIANI — ORDINE DEL GIORNO DEL MINISTRO DELLA GUERRA ALL'ESERCITO — IL GENERAL CUGIA NOMINATO PREFETTO DI PALERMO SPEDISCE AL GEN. GARIBALDI IL DUCA DELLA VERDURA ED IL DEPUTATO Li LOGGIA LATORI DEL PROCLAMA DEL RE — L'EX-DITTATORE NON VUOL CEDERE, E SI STABILISCE A CORLEONE COI SUOI VOLONTARII — II. LA RUSSIA E LA PRUSSIA RICONOSCONO IL REGNO D’ITALIA — NOTE DIPLOMATICHE SODDISFAZIONE DEGL'ITALIANI PER QUESTO RICONOSCIMENTO — ANNUNZIO OFFICIALE DEL MATRIMONIO DELLA PRINCIPESSA PIA COL RE DEL PORTOGALLO — INDIRIZZI DI FELICITAZIONE AL RE VITTORIO EMANUELE —

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III. APPRENSIONI DESTATE NEL GOVERNO PONTIFICIO DALLA NOTIZIA DEI MOTI E DEI PROGETTI DI GARIBALDI — LETTERA SCRITTA DALLA SICILIA AL SANTO PADRE; MANIFESTAZIONI LIBERALI A ROMA — MISURE PRESE DALL'AUTORIT� FRANCESE DI CONCERTO COL GOVERNO ITALIANO ONDE PREVENIRE QUALUNQUE SORPRESA — UNA DIVISIONE NAVALE SORVEGLIA LE COSTE MARITTIME DELLO STATO PONTIFICIO — ORDINE DEL GIORNO DI MONS. DE MERODE PROMINISTRO DELLE ARMI ALLE TRUPPE PONTIFICIE — SPIEGAZIONI DOMANDATE DAL GABINETTO DELLE TUILLERIES A LORD PALMERSTON SULL’INVIO DI UNA SOMMA CONSIDEREVOLE FATTO A GARIBALDI DALL’INGHILTERRA — RISPOSTA DEL MINISTRO INGLESE.

CAPO XIV.

Se la maggioranza del popolo italiano, dopo la viva emozione provata pel tenore dell’indirizzo dei Vescovi, erasi a poco a poco rassicurata, fidando nell’energico patriottismo del suo governo ed era rimasta soddisfatta della novella affermazione che il parlamento aveva fatto dei suoi diritti su Roma, non fu cosi del partito d'azione il quale senza commuoversi punto della riprovazione universale, colla quale era stato accolto dalla nazione il deplorevole ed imprudente tentativo contro il Tirolo, si apprestava di gi� a nuove imprese.

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Ma il Governo vegliava attentamente le sue mosse, e quando Garibaldi manifest� il desiderio di ricominciare il giro per l'Italia, gli fu fatto considerare che la sua presenza specialmente nelle provincie limitrofe all’Austria poteva dar luogo a gravi difficolt� a causa dell’agitazione che vi avrebbe destato, e gli fu proposto, poich� i figli del re Vittorio Emanuele erano sul punto di recarsi in Sicilia, ed il Principe Umberto teneva la presidenza della Commissione per l'istituzione dei tiri nazionali, di congiungersi a loro, e di render pi� solenne e gradita alle popolazioni, mediante il comune concorso della loro popolarit�, una istituzione s� eminentemente patriottica. Questo suggerimento piacque senza dubbio all’ex-dittatore, poich� arrivato ch'ei fu a Genova, mand� avviso al ministro della Guerra ch'egli non farebbe che toccare Caprera, donde muoverebbe per Palermo per aprire il tiro nazionale sotto gli auspicii del Principe ereditario. Quest'omaggio reso da Garibaldi ai figli del re Vittorio Emanuele tranquillizz� il governo, ma non gli fece smettere la vigilanza.

Difatti se da un lato i Reali Principi dal momento che giunsero in Sicilia furono l'oggetto delle pi� sincere, splendide ed universali ovazioni, che sarebbe andar troppo per le lunghe volerne qui fare il racconto, dall’altra parte Garibaldi coi suoi discorsi fece prestamente intendere che le idee sue e del partito d’azione, ch'egli rappresentava, non si erano per niuna guisa modificate. Da alcuni estratti dei fogli Siciliani, che riportiamo, potranno i nostri lettori persuadersene agevolmente.

S. A. R. IL PRINCIPE UMBERTO

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Il Precursore cosi descriveva l'apertura del Tiro:

�Dopo avere i Principi (e fu in essi gentile pensiero J visitato col generale l'istituto fondato da questo, vennero con lui al Piano di S. Erasmo, per inaugurarvi il bersaglio, dove stavano attendendoli il Municipio, la Direzione dell’Associazione del Tiro, la Guardia Dittatoriale, una eletta schiera di signore ed una moltitudine infinita di popolo.

 Al suono della marcia reale i Principi e il Generale si recarono ad ispezionare il bersaglio e riconosciuto che tutto era a dovere fu dato il segno con un colpo di cannone e si die principio al tiro.

i Il miglior colpo fu fatto dal Principe Umberto che fu il primo, dopo lui spar� il principe Amedeo, poi Garibaldi che pure fece un bel colpo, indi si fecero nvnjiti gli altri bersaglieri che diedero buona prova di s�.

�Partiti i principi frammezzo le acclamazioni, fu ia solita ressa di popolo intorno a Garibaldi che se lo disputava per averne un bacio, per toccarne le mani e le vesti, per udirne una parola. E fu a gran stento che la G. N., e la guardia dittatoriale mentre suonavasi il suo inno, e la folla, immenso coro, ne intuonava il ritornello, lo portarono al padiglione e di l� nella carrozza, che per il corso Garibaldi lo restituiva all’Albergo.

Il Corriere Siciliano ci informava della festa di commiato data dalla Societ� Palermitana ai Principi.

A questa festa interveniva il fiore della cittadinanza di Palermo ed immensa folla assisteva attorno al padiglione sotto cui si protrassero le danze dalle 9 alla mezzanotte. I principi elargirono a diversi filantropici scopi 4120 franchi.

Lo stesso foglio ci faceva sapere che il generale Garibaldi dall’albergo della Trinacria ove dapprima era alloggiato, pass� ad abitare la stessa stanza nel Padiglione di Porta Nuova che occupava al tempo della sua Dittatura.

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Un commovente aneddoto, seguito nella visita che il Generale fece allo stabilimento delle Trovatello di S. Spirito, viene narrato dal Precursore.

Le fanciulle ricoverate salutarono il Generale col cantargli il suo inno. Finito il canto, una di esse, che di particolare predilezione amava un suo canarino, si fece innanzi al Generale colla gabbia ove viveva l’idolo della sua infanzia e graziosamente presentandolo al Generale, pregavalo a volere per amor suo accettare questo che sopra ogni altra cosa a lei era carissimo. Il Generale commosso prese in mano la gabbia, ringrazi� la donatrice e riponendole tra le mani il presente, pregavala a volerglielo gelosamente custodire fino al suo ritorno da Roma e Venezia, che sarebbe venuto a cercarlo, e bene badasse che le ne avrebbe chiesto conto.

Il giorno 28 i RR. PP. essendo partiti da Palermo per continuare la loro gita nella Sicilia, il comandante della guardia nazionale di questa citt� present� al generale Garibaldi tutti gli Ufficiali della Milizia; nel giorno 1 luglio poi essendo intervenuto al teatro, che porta il suo nome, l'ex dittatore vi fu accolto e continuamente festeggiato con evviva cui presiedeva sempre il pensiero ili Roma e Venezia.

Il Precursore che ci forniva i ragguagli della festa serale fatta al Generale, cos� ci riferiva le parole da lui dette al popolo in quella circostanza:

Alla fine del primo atto il Generale, rispondendo agli applausi prorompe.

�Viva il popolo del Vespro Siciliano... L'Italia spera che ne far� un secondo se ne avr� il bisogno.�

PRINCIPE AMEDEO

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Dopo una breve pausa, nella quale l'entusiasmo divenne delirio, si alz� di nuovo e parl�:

�Quando ho chiamato il popolo siciliano popolo dalle grandi iniziative, non ho fatto che palesare ci� che sentiva nel profondo del cuore... un popolo generoso come questo ben pu� dirsi ch'� il popolo delle grandi iniziative.

�Con ci� non intendo per� derogare in nulla al nostro programma, ma rammentare quella iniziativa popolare che vi fece liberi, che ci condusse di gloria in gloria, rannod� gl'Italiani in unica famiglia...

 Il programma che ci rese vittoriosi fin oggi, io ve ne assicuro, ci render� vittoriosi in appresso...

 Esso � Italia e Vittorio Emanuele.

�Coloro che vogliono sostituirvi un diverso programma cercano la disunione, suscitano le gare municipali; essi vi condn cono al dispotismo.

�Il fascio romano che noi abbiamo formato � il simbolo per cui sorsero le legioni romane, che passeggiarono sul mondo vittoriose.

�L'Italia conta adesso 25 milioni... essa e pi� forte di quanto lo possono credere i nostri potenti vicini.

Essa non passeggier� pi� conquistatrice come Roma; ma � abbastanza forte per reclamare i suoi proprii diritti e quelli ancora di tutti i popoli oppressi, perch� i principi d'Italia sono solidali con quelli dell’umanit�.

E una vergogna che con 25 milioni d’Italiani vi siano ancora dei fratelli schiavi... Si, � una vergogna, ma per coloro che ci tennero inerti fin qui... E noi, noi libereremo Roma e Venezia... ve ne rispondo!

E quantunque avanzato in et�, spero anche di coadiuvare alla liberazione degli altri popoli oppressi ---!

—E noi anche con voi, proruppe il popolo, con voi a Roma, con voi a Venezia, con voi per tutto il mondo.�

Ciononostante queste parole da noi riferite erano ancora ben lungi dall’essere cos� virulente ed ingiuriose al governo francese come quelle che furono da lui pronunciato il 4 luglio al Foro Italico di Palermo in occasione d’una rivista della guardia Nazionale. Eccole:

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Popolo di Palermo,

Le vostre aspirazioni sono le aspirazioni di tutta la penisola.

— Tutti gli italiani siano concordi in un solo volere — la unit� della patria. — Ma non parole, fatti e proteste — non scritte

— di un popolo forte che vuole liberare i fratelli che gemono coi ceppi ai piedi.

Il padrone della Francia — il traditore del 2 dicembre colui che vers� il sangue dei fratelli di Parigi — sotto il pretesto di tutelare la persona del papa, di tutelare la religione, il cattolicismo, occupa Roma. Menzogna, menzogna! egli � mosso da libidine, da rapina, da sete infame d’impero; egli � il primo che alimenta il brigantaggio.

Popolo del Vespro, popolo del 1860, bisogna, � necessario che Napoleone sgombri Roma. Se � necessario si faccia un nuovo Vespro.

Ogni cittadino a cui sta in cuore la emancipazione della patria si prepari un ferro. Forti e compatti noi potremo combattere e vincere le pi� grandi potenze.

Il murattismo non sarebbe in Italia che un proconsolato di Napoleone — il borbonismo lo conoscete — egli indica la cuffia del silenzio, le persecuzioni, la carcerazione... la morte.

Il re papa — o il papa re = � la negazione dell’Italia.

Il governo non � forte abbastanza — per iscuotere il giogo della Francia — bisogna che il popolo colla sua compattezza, colla sua energia lo appoggi.

Mettiam nelle bilancie della diplomazia ferri arruotati, e la diplomazia allora rispetter� i nostri diritti, ci dar� Roma e Venezia.

Il programma con cui passammo il Ticino, con cui sbarcammo a Marsala,

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ITALIA E VITTORIO EMANUELE,

deve essere sempre il nostro programma, con esso andremo a ROMA e VENEZIA.

Io lever� l'Italia da questa inerzia in cui giace; io verr� con voi, io vi sar� compagno nell’ultima lotta.

Io torno a raccomandarvi la concordia; � necessario che si eviti la guerra intestina. Errori n'abbiamo fatti tutti. — Tutti vogliamo I ' emancipazione d’Italia — se siamo discordi in qualche cosa non monta, siamo tutti fratelli.

Ci� che aveva soprattutto esasperato vivamente l'animo del Garibaldi contro il governo Francese ad onta degl'immensi favori resi all’Italia dall’imperator Napoleone, era stata a quanto dice vasi, una lettera del principe Luciano Murat del seguente tenore.

Parigi, 25 Giugno 1862

Caro Duca,

Credo utile ed opportuno rispondere alle proposte d’alcuni che da me vennero, dicendosi rappresentanti di politiche associazioni. Voglio formularvi la mia opinione e farvi testualmente conoscere, per iscritto, la risposta da me data verbalmente a questi inviati, acciocch� non vengano snaturate le mie parole, frantesi i miei intendimenti.

A coloro che mi fanno continua ed urgente premura di recarmi nel regno delle Due Sicilie, osservando che chiamato ed aspettato ivi sono da un partito pronto a sormontare le consorterie e le sette che vanno tiranneggiando, predando e insanguinando l'infelice nostro paese, risposi;

Che dall’acquisto d’un regno nell’interesse mio e de'  miei, non procede la responsabilit� della cura che assumerei delle agitate sorti di tanta parte d’Italia;

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Che l'animo mio rifugge al pensiero di suscitare un partito, il quale, per quanto rette e savie fossero le sue intenzioni, vincendo, aggraverebbe forse i vostri mali, percuotendovi di nuove e profonde piaghe;

Che vado s� altero dello splendore della paterna rimembranza, che a niun prezzo vorrei oscurarla della minima ombra d’odio cittadino;

Che nondimeno, se, in virt� dell’ordinarsi spontaneo d’un partito nazionale, a me, potente di tal rimembranza, s'aprisse la via di pacificare il regno delle Due Sicilie, liberandolo da estranea dominazione e restaurandone l'autonomia, io sarei felice d’accingermi e darmi tutto a tanta impresa;

Che ben comprendevo come il popolo delle Due Sicilie intendesse a ricuperare la sua sovranit� senza per� disgiungersi dagli altri popoli d’Italia, desideroso anzi di ristringersi con loro in alleanza difensiva e in qualsiasi ordine di guarentigie nazionali contro lo straniero.

Quanto a coloro che paiono convenire nello stesso pensiero, e m'inviano deputati per sapere s'io e mio figlio in caso di felice successo, daremmo alla Sicilia la costituzione dell’anno 1812, io ho risposto.

Il rispetto delle pubbliche libert� ch'io professo, maggiore � del vostro. Comprendo che un re, il quale, pel sangue suo, rivendica l'eterno diritto divino, conceda di sua propria individua autorit� uno statuto al suo popolo: ma non comprendo che tale autorit� si arroghi un principe assunto al trono dalla volont� nazionale, scevra, immune d’inganni di macchinati spaventi, e d'ogni genere di corruzione. Veramente, quando si mutano gli stati per ordinarli a libert�, ai soli eletti dal suffragio universale appartiene il supremo diritto di dettare il nuovo patto sociale, e il principe scelto dal popolo, fatto esecutore della legge, dee schiettamente accettare il patto o respingerlo, dee accettarlo senza occulte mire e provvedere che sia fedelmente, religiosamente effettuato; ove lo respinga, scenda in pari tempo dal trono.

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Tale, o caro duca, � la mente mia; tale fu la mia risposta; in questa parola compendier� quanto dissi e quanto ora v'ho scritto: non sar� mai strumento d’alcun partito; il pensier pubblico, la volont� nazionale saranno sempre la mia legge e la scorta mia.

Ricevete ec.

Firmato L. MURAT.

Questa lettera non aveva in se nulla di serio perch� sapevasi da tutti che a Napoli i cos� detti Muratisti non eran che borbonici mascherati, e non ne sarebbe stato certamente tanto esaltato l'animo di Garibaldi, se gi� il partito d’azione non fosse stato determinato a seminar nuovi elementi d’agitazione. Noi vedremo infatti al pi� presto scoppiare turbolenze in diverse parti del regno, a Milano, a Parma, a Cremona contemporaneamente, e come u� eco delle filippiche pronunziate dall’ex dittatore delle due Sicilie.

Sulla dimostrazione avvenuta la sera del 16 in Milano troviamo la seguente relazione in quella Gazzetta:

Saputosi che si era organizzata una dimostrazione per lo sgombro di Roma, e nel dubbio che potesse venir rivolta contro il console francese qui residente, il governo pigliava le pi� larghe misuro per impedire almeno che quelle dimostrazioni avessero luogo alla residenza del consolato francese.

La guardia nazionale veniva chiamata sotto le armi verso le 6 ore; e non appena avea occupati i posti assegnati e specialmente gli sbocchi delle vie che danno all’abitazione del console, un centinaio di persone, la pi� parte ragazzi con in mano fiaccole accese e qualche trasparente collo scritto: viva Garibaldi, scesero il corso di Porta Venezia, ma come furono al ponte trovarono varie compagnie di guardia nazionale che sbarrarono loro il cammino: apertosi per� un varco e in mezzo a grida confuse e senza eco nella popolazione giunsero fino alla colonna del leone sul corso Vittorio Emanuele sempre accompagnato da una colonna di guardia nazionale.

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L�, sboccando una nuova compagnia di guardie dalla via del monte Napoleone che ne era gremita, la comitiva delle fiaccole dopo un'ostinata lotta in cui venne sgominata, rinunzi� pel momento a recarsi all’abitazione del console, e raggiunta nel frattempo da una banda musicale, prese per il borgo Monforte, avviandosi al palazzo del prefetto. Ma ivi pure trovavansi altre compagnie di guardie nazionali e solo a una deputazione fu permesso di avanzarsi fino al palazzo.

La banda suon� l'inno di Garibaldi, si grid� a Roma, si applaud�, ma quando il gruppo delle fiaccole e dei trasparenti volle ritornare, trov� la strada occupata da una colonna di guardie. Allora pensando deludere le precauzioni del governo, la comitiva scese lungo la riva del naviglio verso Porta Vittoria e di l� sbocc� di nuovo per la contrada del Durino sul corso Vittorio Emanuele, in faccia all'abitazione del console francese, meta del viaggio.

Ma la via era tutta irta di baionette e in quella sopraggiunse anche uno squadrone di lancieri che si arrest� sul sito. I lancieri che arrivarono a carriera furono accolti con strepitosi evviva a Garibaldi, alla truppa, ma non per questo i portatori delle fiaccole e i loro seguaci vollero sgombrare. Fecero anzi parecchi ostinati tentativi di penetrare nella via del Monte Napoleone, ma trovando un muro di guardie nazionali, e sgominati dallo squadrone di lancieri che li caric� proprio coi riguardi dovuti a tanti enfants gat�s, dovettero rinunciare al loro progetto, e infatti dopo varie evoluzioni dei lancieri, preceduti dall'ufficiale di questura che intimava lo sgombro, si avviarono verso il duomo senza essersi mai ingrossati oltre il loro numero primitivo. La banda musicale che li seguiva si ritir� volontariamente alo comparire dei lancieri, e le compagnie di guardie nazionali che trovavansi alla prefettura vennero a raggiungere quelle schierate nella contrada del Monte.

La comitiva percorse quindi la corsia del Broletto e sbocc� al Ponte vetro, dove incontr� altre compagnie di guardie nazionali e lo squadrone di lancieri. La banda venne nuovamente dispersa n� pi� pot� raggomitolarsi.

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Furono fatti alcuni arresti, si spensero le fiaccole e furono asportati dalla questura i trasparenti. Ricomposta verso le undici la quiete, il prefetto ed il sindaco si condussero a far visita al console francese.

Anche a Brescia, tra il mattino del sabato (12) e la notte susseguente si temea qualche tumulto come quello di Cremona. Parlavasi di un'irruzione di contadini in citt�, col solito pretesto del grave prezzo del grano. Verso la mezzanotte, dal 12 al 13 furono tirati tre colpi di fucile contro una pattuglia di guardia nazionale presso la contrada di S. Luca.

Lungo la via del Domo si radunavano gruppi minacciosi di tristi arnesi che all’avvicinarsi della guardia nazionale simulando di contendere fra loro, escivano in termini di vituperio, ed in fischi diretti alla milizia cittadina.

Gravi disordini sotto altro pretesto avevano turbato profondamente nei giorni 7 ed 8 Luglio la tranquillit� della popolazione di Cremona.

Da giorni si andava susurrando che gli operai avrebbero chiesto giustizia intorno alle mercedi, all’adequazione degli stipendi o dei valori delle cose mangerecce, e circa i rapporti della moneta austriaca colla italiana. Luned� mattina infatti i muratori si misero in isciopero; e qualche centinaio di essi si raccolse in Piazza Grande e dintorni ove stanziarono capannelli fino a sera. Il municipio avviava gi� le pratiche per pigliare in esame i loro lamenti specialmente riguardo ai capi mastri, dai quali si dicevano essi sagrificati, e si presumeva che tutto sarebbe finito mediante l'intervento dell’autorit� cittadina interprete di una conciliazione sensata fra gli opposti interessi. Luned� stesso bastava infatti una sola compagnia di milizia nazionale a guardia degli uffizii municipali, n� s'ebbe a lamentare il bench� menomo disordino o provocazione di sorta.

Il marted� mattina invece l'agitazione si fe' straordinaria, e incominci� a tradursi in atti sediziosi deplorabilissimi. Sull’alba una mano di forsennati imprese a girare per la citt�, obbligan. do i muratori delle fabbriche e gli operaj delle officine a desistere dal lavoro, non risparmiando violenze

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contro chi dichiarava non volerne sapere, essere contenti dei loro stipendi, ecc. Si and� pure alle filande, e se ne strapparono fuori le donne, con minaccie e schiamazzi contro chi non avesse seguito lo sciopero. E cos� gi� per tempo si emp� la Piazza Grande e le adiacenze di una folla, che via via dalle parole minacciava di passare agli atti e d’invadere il palazzo municipale. Verso le otto s'incominci� infatti a levare i ciottoli del selciato sul mezzo della piazza, e a minacciare con ondate di plebe di sorprendere e di sfondare il piccolo drappello di guardia nazionale che vi si trovava di picchetto.

A quel pericolo imminente, le di cui conseguenze sarebbero state incalcolabili, alle sassate che gi� incominciavano a piovere, la compagnia di guardia nazionale (3. a] non avea altra lusinga di salvezza che nella carica, e nel fare sgomberare coll’audacia la piazza. E cos� fece con un impeto irresistibile, e quantunque con pochi militi a passo di corsa vi riusci in un attimo. Non si ebbe a lamentare alcuno ferito. Poco dopo sopravvennero altre compagnie, e finalmente tutta la legione. Allora nelle vicine contrade, i monelli si posero a disselciare la via e a gettare sassi provocando la guardia nazionale. Due o tre cariche fatte con molta energia e con uguale prudenza dalla quinta compagnia sgombrarono le adiacenze della piazza. Quattro militi furono malconci dalle sassate, nessuno del popolo tocc� la bench� minima scalfitura, tanta fu la prudenza della guardia nazionale.

Furono chiamate le truppe di presidio, un battaglione di fanteria e un pugno di cavalleria; e vennero prese tutte le precauzioni militari per la sicurezza e il buon ordine della citt�. N� si ebbe pi� a lamentare alcuna violenza. Il prefetto, il municipio, il comando militare, i reali carabinieri non mancarono di adoperarsi onde far cessare l'agitazione e impedire che il disordine pigliasse pi� ampie proporzioni. Il luogotenente generale Stefanelli attraversando in divisa la piazza, fu acclamatissimo. La presidenza della societ� operaia, il municipio ed alcuni autorevoli cittadini interposero i loro buoni ufficj per appianare ogni difficolt�.

La situazione si faceva tanto seria per l'Italia che il suo parlamento non tard� a preoccuparsene.

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Nella tornata del 14 Luglio i Deputati Boggio ed Alfieri mossero delle interpellanze al Presidente del Consiglio dei Ministri intorno ai discorsi di Garibaldi in Sicilia. Noi lo riportiamo testualmente giusta il nostro costume.

BOGGIO. Ad onta che io non vegga presente l'on. presidente del Consiglio de'  ministri, a cui ho intenzione di muovere un interpellanza, ho preso tuttavolta la parola per esporla con preghiera agli onorevoli suoi colleghi che siedono al banco dei ministri, di volergliela comunicare onde si ponga in grado, se per avventura nol fosse ancora, di darmi una soddisfacente risposta.

La mia interpellanza racchiude tre distinte domande:

La prima se il governo avesse conoscenza della intenzione del Generale Garibaldi di recarsi, come ha fatto recentemente in Sicilia, di soggiornarvi — e di compiere atti tali, quali sono quelli che egli test� compieva a Palermo.

Secondo, come avvenne che gli accennati atti fossero presenziati da quel rappresentante del potere esecutivo.

Se il governo abbia provveduto od intenda di provvedere a che altri e sia puranco il generale Garibaldi, prendano l'iniziativa di determinazioni, che ad altri non ispettano che alla concorde, riflessiva e moderata volont� del Parlamento e del Re.

Le ragioni che mi muovono a questa interpellanza sono omai note a tutti, per cui mi dispenso volentieri dall’addurle.

Continua citando il Diritto, in cui si leggono alcuni brani di discorsi che sarebbero stati tenuti dal generale Garibaldi a Palermo dinanzi ad un popolo numerosissimo.

Si arresta a fare alcune considerazioni sulle significative la cune che intercedono in questi discorsi e sulta dichiarazione con cui quel giornale conchiude.

Domanda se la legge abbia da rimanere impotente dinanzi a tali manifestazioni, che alimentano una agitazione pericolosa e che compromettono la regolare azione del governo, la situazione del paese, l'avvenire della nazione.

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L'oratore conchiude col domandare se sia conveniente lo attendere sei giorni, come richiederebbe la massima adottata circa le interpellanze, per uscir dalla inquietudine e dalla incertezza in cui fatti s� gravi gettano la nazione ed i suoi rappresentanti.

SELLA (ministro delle finanze) ritiene che appena venga l'on. presidente del Consiglio dei ministri sia pronto a rispondere.

ALFIERI accenna come egli pure abbia da muovere all’on. presidente del Consiglio dei ministri le medesime interpellanze presso a poco che espose l'on. preopinante.

CRISTI. La Camera ha deciso che le interpellanze abbiano ad avvenire la domenica esclusivamente.

I discorsi a cui ha accennato il deputato Boggio li ho letti non solamente nel Diritto, ma in tutti i giornali del mezzogiorno di Italia. Li ho valutati, e non ci so vedere alcun pericolo nel ritardo anche di sei giorni a conoscere la opinione del ministero sul conto di essi.

Garibaldi non � ufficiale dell’esercito, il quale sia a peso del bilancio dello stato...

PRES. lo interrompe per dire che la questione pel momento si limita a sapere se le interpellanze debbano avvenire oggi piuttosto che domenica, che � il giorno prestabilito alle medesime.

CRISPI. Ed appunto io voglio provare che non ci � pericolo nel ritardo. Ma, perch� non mi si permette di discorrere su questo proposito, mi limiter� a dire che questo bisogno non e' �, perch� sopra un privato cittadino, quale � Garibaldi, le leggi conservano il loro impero, senza che ci sia bisogno di pensare a provvedimenti straordinarii.

BOGGIO. Ho detto che desidero avere una risposta soddisfacente dall’on. presidente del Consiglio dei ministri e ministro dell’interno sui punti che ho esposti. Solamente dietro le dichiarazioni di questo di essere o meno pronto a rispondere pienamente, sar� il caso d’interrogare la Camera se voglia che si proceda oltre a queste interpellanze oggi stesso, o se si abbiano a potrarre alla ventura domenica.

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GALLENGA, Anch'io avevo le medesime intenzioni dell'onorevole preopinante circa allo interpellare i ministri sui fatti esposti.

Io son d’avviso per� che se i discorsi stampati nei giornali l'Opinione e il Diritto di questa mane ed attribuiti a Garibaldi, sono realmente di lui, non si possano protrarre le interpellanze.

Frattanto entra il presidente del Consiglio dei ministri.

ALFIERI. Credo di non dover differire la mia domanda, dacch� � presente l'onorevole presidente del Consiglio dei ministri.

Parole amarissime furono pronunciate, che trovarono un'eco dolorosa in tutta Italia (no no. dalla sinistra) s�, suonarono funeste (no, no, dalla sinistra) e le pronunciarono le labbra di un uomo, che ha gi� acquistato un'immensa autorit� morale per i servigi eminenti resi al suo paese. (Le parole, le parole, dalla sinistra) Tali parole sono state pronunciate in mezzo ad una folla straordinaria. Io richiamo su questo fatto l'attenzione del Parlamento e del governo.

E ci� che rende il fatto ancora pi� grave si � che la presenza di un alto funzionario del governo lo ha in tal modo consacrato

CRISPI ed altri. Le interpellanze si deggiono fare la domenica; altrimenti l'accordare a taluno che possa rompere il divieto di farne nel corso della settimana, � un privilegio...

BOGGIO ed altri della destra rispondono a un punto solo.

Si grida dall’una parte e dall’altra in modo da non poter comprender nulla.

IL PRES. cerca di dominare il tumulto colla sua voce e con delle strappate di campanello. Impone silenzio a tutti, altrimenti minaccia di levar la seduta.

A poco a poco si ristabilisce la calma.

ALFIERI continua invitando il ministero od a smentire la presenza del rappresentante del governo sul luogo e nel tempo che Garibaldi tenne al popolo i discorsi di cui � questione; o che infligga al rappresentante medesimo un severo biasimo per il suo strano contegno dinanzi a chi si fece ad ingiuriare pubblicamente un governo straniero, nostro alleato.


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Se il ministero non � in grado di dare una pronta risposta, determini il tempo in cui potr� darla.

Del resto l'oratore conchiude cedendo la parola all’onorevole Boggio dacch� l'oggetto della loro interpellanza � identico.

RATTAZZL (Attenzione) Lo cose toccate dall’onorevole Alfieri sono gravissime, to desidero di risolvere prontamente il quesito.

BOGGIO. � convenuto pertanto che, dacch� l'onorevole presidente del Consiglio dei ministri � presente, ed ha fatto la dichiarazione che tutti hanno udita, ho facolt� di non enunciare semplicemente, ma di svolgere completamente le mie interpellanze.

L'oratore prende le mosse da un atto firmato Garibaldi, Campanella ed altri, che porta la data del 15 giugno 1862 (Rumori, interruzioni)

PRES. Non interrompano, altrimenti levo la seduta, e la responsabilit� cada su chi colle sue grida provoca questa estrema misura.

BOGGIO riprende la parola.

Legge e prende in esame le frasi dell’atto citito.

Tesse indi la storia dello improvviso arrivo di Garibaldi in Sicilia in un momento meno opportuno, quale fu quello in cui vi erano appena sbarcati i lift. Principi.

Domando se il governo sapesse del viaggio del generale. Non gi� che dovesse impedirlo, perocch� Garibaldi � libero di muoversi senza il beneplacito di chi sia, come il primo o come l'ultimo cittadino.

Domando! se il governo conoscesse le intenzioni di Garibaldi di continuare in Sicilia la peregrinazione interrotta in Lombardia in forza degli avvenimenti che tutti conoscono.

Che sui suoi passi poi si accalchi una folla plaudente non � che un omaggio meritamente reso ai suoi meriti; ma che in compenso del bene che ha fatto al paese egli pretenda di avere il diritto di compremetterne le sorti, � troppa pretesa.

Noi non dobbiamo lasciarci trascinare nella via del disordine dell’anarchia. Io non intendo discutere le intenzioni: Ma queste sono le conseguenze a cui egli ci condurr�.

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Io compiango il suo accecamento. (Oh! oh! risa dalla sinistra) L'argomento, o signori, � un argomento di pianto, o non di risa, per le conseguenze funeste che possono apportare queste improntitudini.

Io domander� alla coscienza del paese se la ingratitudine non sia un delitto che arreca le pi� dolorose espiazioni. Si � insultato l'imperatore Napoleone, che a nostro beneficio non solamente us� la diplomazia, ma che fattosi guerriero coraggiosamente, audacemente, temerariamente espose la vita e la corona perla nostra indipendenza. (Applausi)

L'oratore a questo punto legge il seguente periodo del discorso di Garibaldi.

�Il padrone della Francia — il traditore del 2 dicembre — colui che vers� il sangue dei fratelli di Parigi — sotto il pretesto di tutelare la persona del papa, di tutelare la religione, il cattolicismo, occupa Roma. Menzogna, menzogna! egli � mosso da libidine di rapina, da sete infame d’impero, egli � il primo che alimenta il brigantaggio.

�Popolo del Vespro; popolo del 1860, bisogna, � necessario che Napoleone sgombri Roma. Se � necessario, si faccia un nuovo Vespro.�

Quindi soggiunge:

Si possono lasciar passare parole simili senza protesta?

Non sono per� i discorsi di Garibaldi dei quali io domando conto al governo, ma bens� della presenza del marchese Pallavicino rappresentante del governo. Io rispetto il martire dello Spielberg; ma non intendo che egli abbia da crearsi una linea di condotta politica diversa da quella del ministero che lo prepose al governo della Provincia di Palermo.

Domando per ultimo quali provvedimenti abbia preso o stia il ministro per prendere onde un privato chiunque siasi, non si arroghi quel diritto d’iniziativa che solo spetta al governo: domando tutto ci� onde calmare le apprensioni del paese. (Bravo)

GALLENGA. Compreso dalla pi� alta ammirazione per Garibaldi, io non potrei a suo riguardo usare il linguaggio dell'onorevole preopinante.

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Tanto meno poi perch� io non ho prove irrefragabili della autenticit� dei discorsi attribuiti al generale.

Domando quindi all’onorevole ministro dell’interno se per relazioni d’ufficio possa affermare la verit� dei discorsi in questione.

Non io, ma la Camera giudicher� la condotta di Garibaldi. Io desidero sapere se il ministro lo sa, con quali intenzioni sia venuto da Caprera la prima volta Garibaldi sul continente.

Accenna alla missione governativa della istituzione dei tiri nazionali.

� egli partito con lo stesso scopo, a quanto da qualche parte si assevera, anche per la Sicilia?

RATTAZZI (presidente del Consiglio dei ministri). Prima di tutto ringrazio gli onorevoli interpellanti della occasione offertami di protestare anche dal banco dei ministri per le parole pronunciate contro l'imperatore Napoleone. (Interruzione dalla sinistra). Io non posso affermare le parole testuali. Assicuro per� che il Generale Garibaldi si lasci� trasportare a parole che suonano ingiuriose all'imperatore; senza che io ne possa precisare il tenore.

� un fatto questo constatato dai giornali, come dalle autorit� governative. Colla mia protesta io credo d’interpretare il sentimento di tutto il paese. Come ben disse l'onorevole Boggio, l'imperatore pose a repentaglio la sua corona, espose la sua vita per noi e non cessa dallo aiutarci, anche recentemente coi mezzi diplomatici. L'Italia non pu�, non deve essere sconoscente.

Premessa questa protesta, vengo a rispondere sul punto della consapevolezza del governo intorno al viaggio del generale Garibaldi, ed alle intenzioni che ve lo determinarono. Il governo non lo apprese che il giorno che part� da Caprera.

Il governo non gli diede incarico di instituire i tiri nazionali in Sicilia.

Io deploro che nella occasione che furono pronunciati quei discorsi, fossero presenti le autorit� governative.

Ci� significai al prefetto di Palermo, da cui attendiamo lettere con le particolarit�, che non abbiamo peranco ricevute.

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Perci� non posso prendere provvedimenti prima che i fatti non sieno appurati.

Se vi sar� stata colpa, il governo non mancher� al debito suo.

Non mi consta per� in nessun modo che il Generale Garibaldi abbia intenzione di procedere ad atti compromettenti la sicurezza dello Stato.

Assicuro ad ogni modo che tutte le disposizioni pi� opportune furono prese onde sventare quo' tentativi che abusando del nome del Generale si volessero fare.

Il Governo � conscio della grave responsabilit� che su lui pesa, e non verr� meno al suo c�mpito.

CRISPI. Io non posso dissimulare che lo parole di Garibaldi sieno gravi, se sono genuine. Per� Garibaldi non � un diplomatico; � un gran patriota, � un soldato. Certamente che un ministro d'Inghilterra, per esempio, avrebbe saputo esprimere la medesima idea, togliendo tutta l'asprezza della forma, da cui non seppe spogliarla Garibaldi, il quale ha un'opinione propria, libera ed indipendente sulla condotta di Napoleone. La suprema necessit� della patria e l'obbligo che prima di ogni altro hanno gl'Italiani di redimerla, potrebbero fors'anco porci a fronte di quelli, a fianco dei quali abbiamo altre volte combattuto.

Il Governo ed il Parlamento hanno dichiarato di voler andar a Venezia e a Roma.

Il dissenso non � che sul momento pi� opportuno e sui mezzi. Chi approva la linea di condotta tracciata da questo ministero, e chi no. E un'opinione che a Garibaldi, come a qualunque altro � lecito manifestare. D'altra parte sapete cosa Garibaldi � andato a fare in Sicilia? A rinfocolare il sentimento dell’unit� che l'Isola, sfiduciata dai governanti che succedettero al dittatore, stava forse per perdere.

Descrivo a lungo la situazione degli animi in Sicilia.

Circa allo coincidenza della sua presenza con quella dei RR. Principi dice che quella non fece che contribuire all’incremento ed alla espansione di quell'affetto che lega quelle popolazioni al Re eletto da esse ed alla di lui dinastia.

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Accenna al pericolo di una guerra civile se il governo prender� dello misure contro Garibaldi o anche semplicemente contro il suo amico Pallavicino. (Oh! Oh!) Per governare la Sicilia � necessario l'appoggio di Garibaldi. (Oh! Oh!).

Signori, io conosco quell’isola perch� vi sono nato, perch� vi ho vissuto a lungo, perch� la ho governata.

Conchiude distinguendo la Francia dall’Imperatore e dice che, sorelle per origini o per aspirazioni, la Francia e l'Italia staranno sempre al lato quando si tratti di combattere per la libert�.

RATTAZZI (Ministro) Respinge per l'onore della Sicilia il dubbio mosso dall’onorevole Crispi circa alla guerra civile. Che se Garibaldi fece dei prodigii in Sicilia, egli lo deve alla magia del concetto unitario e del suo grido di guerra — Italia e Vittorio Emanuele.

SANGUINETTI. Colle dichiarazioni dell’onorevole presidente del Consiglio di cui mi dichiaro soddisfatto, come credo lo sia pure la Camera, io stimo esaurito l'incidente.

Propone l'ordine del giorno che � adottato.

In seguito di queste interpellanze il Marchese Pallavicino prefetto di Palermo offr� le sue dimissioni, e pubblic� il 18 Luglio il seguente proclama.

Cittadini,

Domani � un fausto giorno. Onoriamo il nostro Garibaldi festeggiando il suo d� natalizio; ma onoriamolo come vogliono essere onorati gli uomini della sua tempra. Non vani clamori e puerili dimostrazioni. I tempi richiedono virt� patriottiche e propositi generosi. Senza Venezia e senza Roma; noi abbiamo un Regno italico, ma non l'Italia — Facciamo una volta l'Italia: l'Italia da noi sospirata, ma non ancora interamente posseduta! E noi la faremo gridando armati e concordi — Da Susa a Trapani Viva l'Italia una con Vittorio Emanuele Re Costituzionale e suoi legittimi discendenti! Viva Garibaldi!

Palermo 18 luglio 1862.

Il Prefetto:

GIORGIO PALLAVICINO

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Intanto i Principi Reali, terminato il giro della Sicilia, si diressero a Napoli dove la popolazione li attendeva con impazienza.

Verso le ore 5 1|2 la squadra portante i Principi Reali appariva alla punta della Campanella e con gran velocit� camminando indirizzavasi per Napoli.

A quella vista la piro fregata Costituzione, la corvetta Caracciolo, ch'era di guardia al porto militare, e gli altri legni nazionali qui ancorati, non che i due vascelli inglesi, che erano in rada, pavesavansi a gran gala.

Frattanto la guardia nazionale, accorsa numerosa sotto le bandiere colla tenuta di parata, le truppe della guarnigione e e del R. Navi si schieravano lungo le vie e le piazze per dove aveva a passare il corteggio delle LL. AA. RR.

Arriv� in rada prima il Tuchery che portava S. A. il principe Umberto, indi il Governolo che aveva a bordo i principi Amedeo ed Oddone. Le LL, AA. RR. furono salutate dalle salve delle batterie dell’Uovo e della Lanterna, e dei legni da guerra nazionali ed inglesi ancorati nella nostra rada, salve che si ripeterono quando i RR. Principi discesero in gondola per isbarcare.

Ossequiati a bordo da S. E. il Prefetto generale Lamarmora, dal Vice-Ammiraglio Barone Tholosano, dal Sopraintendente o dagli ufficiali del palazzo di corte, i RR. Principi furono saltatati nell’attraversare il porto dalle entusiastiche acclamazioni dei moltissimi cittadini andati loro incontro su centinaja di lancic.

Al padiglione eretto all’Immacolatella le LL. AA, RR. ricevettero gli omaggi dal Sindaco commendatore Colonna, indi col Sindaco stesso, col generalo Lamarmora saliti in cocchio di gran gala, per le vie del Piliero, del Castello, di Fontana Medina, della Posta, di l� al palazzo d'Angri, indi a Toledo, si recarono al palazzo reale.

Lungo tutte quelle vie fu un'ovazione continua in mezzo agli evviva all’Italia, al Re, ai Principi Reali, innalzati da un'onda di popolo che accalcavasi attorno la carrozza delle LL. AA. RR.

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Le acclamazioni del popolo affollato al Largo del Plebiscito chiamarono al balcone i RR. Principi, che di l� assistettero allo sfilare delle truppe e della Guardia Nazionale.

Al calar della notte le vie della citt�, ch'erano adorne di bandiere e tappeti, si videro a un tratto illuminarsi spontaneamente; le piazze del Plebiscito, del Mercato, del Mercatello e i palazzi dei pubblici uffici sfavillavano di luce.

Sebbene il popolo napoletano non usasse di attestare con entusiastiche dimostrazioni la sua simpatia pel Governo del re Vittorio Emanuele, si temeva a Torino che Garibaldi valendosi dell’influenza che aveva a Napoli, non venisse a ripetervi i discorsi che aveva pronunziati in Sicilia. Il general Lamarmora in qualit� di prefetto apprestavasi, ad onta della sua deferenza verso l'eroe di Marsala, a fare rispettare l'ordine pubblico, e l'autorit� del governo. Ma Garibaldi non usc� dall’isola, dove continu� a pronunziare discorsi violenti in guisa che il console francese residente a Palermo si tenne obbligato d’inviare al Prefetto della citt� una vigorosa protesta per le insultanti parole dirette contro il Governo dell’imperatore Napoleone. In questa il Console minacciava, perfino di abbassare la bandiera e di lasciar la Sicilia.

Non era tempo d’esitazione; il governo italiano doveva prendere energiche misure per far rispettar la sua autorit�, e mantener l'ordine. E prima d’ogni altra cosa Vittorio Emanuele memore dei servizi resi alla nazione da Garibaldi, volle usare verso di lui i maggiori possibili riguardi, mandandogli per mezzo di uno dei suoi ajutanti di campo una lettera autografa per esortarlo alla prudenza ed alla moderazione. Fu accettata la dimissione del Prefetto Pallavicino ed il signor de Ferrari, nominato reggente di quella Prefettura, pubblic� il seguente proclama, nello stesso tempo che il gen. Medici comandante superiore della Guardia Nazionale diresse ai suoi militi l'ordine del giorno, che pubblichiamo appresso.

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Ordine del giorno

Ieri correvan voci di dimostrazioni, ed il paese ne era allarmato; ma quando vide il contegno della Guardia Nazionale, che fu superiore ad ogni elogio, la Citt� riprese il suo aspetto calmo.

La Guardia Nazionale chiamata a rinforzare i posti corse a battaglioni, e con quel fatto dimostr� quanto grandemente sente la propria missione e con quanta sollecitudine si unisce per far argine a chi per avventura osasse attentare all’ordine, alla sicurezza ed ai sacri diritti di libert�.

Quando la milizia cittadina si mostra cos� compatta, cos� unita in un sol pensiero, lo scoraggiamento entra nelle file dei nemici del paese, che non sono i soli Borboni; ma ben anche gli anarchici. Laddove le leggi non sono rispettate, tace ogni libert� e vi regna l’anarchia, che � l'arbitrio, che � il dispotismo di piazza.

Io vi ringrazio di nuovo, brava Guardia Nazionale di Palermo, e ricevete per mio mezzo i sensi di gratitudine che meritamente vi tributano le autorit� governative.

Il comandante superiore L. Tenente

Generale del Regio esercito

G. MEDICI

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Cittadini

�Il governo del Re, accettando le dimissioni di S. E. il marchese Giorgio Pallavicino, ha voluto incaricarmi di reggere provvisoriamente la provincia di Palermo.

�Non assumerei l'arduo mandato se non sapessi di poter fare il pi� largo assegnamento sul patriottismo di questa nobile popolazione, perch� soltanto col suo concorso sento che mi sar� possibile di compiere il bene gi� disposto dagli onorevoli amministratori che mi hanno preceduto, e mantenere nell’adempimento dei servizii pubblici tutta l'attivit�, la forza, e la disciplina, che la ragione dei tempi ed i bisogni del paese fanno vivamente desiderare.

�Soldato veterano della libert�, e rappresentante di governo sinceramente liberale, rispetter� e far� rispettare egualmente tutte le opinioni, tutte le individualit� e tutti i partiti che vorranno tenersi nei termini della legge, come fuori del terreno legale combatter� egualmente qualunque trascorso.

�Cosi mi propongo di soddisfare al debito mio, e cos� spero d’incontrare l'appoggio di tutti i patrioti onesti che vogliano il bene inseparabile del re e della patria.

Palermo 16 luglio 1862

Prefetto della provincia di Noto

�reggente la Prefettura di Palermo

DE FERRARI

901

Ad onta per� delle istanze dello stesso Vittorio Emanuele, ad onta dell’ordine del giorno del general Medici amico di Garibaldi, questo persist� nei suoi progetti di agitazione, e percorse la Sicilia col suo programma raccolto nelle due parole — Roma o Morte.

Abbiamo letto un grande foglio stampato a Marsala nella tipografia di Filippo De Dia in data 21 luglio 1862, colla firma" II Sindaco ANTONINO SARZANA, ed intitolato: Garibaldi a Marsala.,

In questo foglio era descritto l’arrivo di Garibaldi a Marsala il giorno 10 luglio. Le accoglienze festose, l'entusiasmo, le acclamazioni sono cose che � pi� facile immaginare che descrivere.

Garibaldi recavasi in duomo, dove fu cantato l’inno ambrosiano. Dopo la benedizione, un frate sal� il pergamo ed improvvis� un discorso. Il generalo, commosso, lo baci� in fronte, poi movevasi verso la casa che gli era stata preparata.

Fattosi al balcone, egli profferiva uno di quei discorsi accesi o violenti contro l'Imperatore dei Francesi, che pi� non potrebbesi dire. Non v'ha aggettivo odioso e obbrobrioso ch'egli abbia risparmiato.

Indi faceva una passeggiata e ritornava al palazzo baciando in volto i preti ed i frati che incontrava.

Il giorno 20 Garibaldi recavasi a visitar il tempio della Vergine, invitava il generale ed il popolo a giurare il nuovo programma — Roma o Morte ed il popolo ripeteva — Roma o Morte.

In queste dimostrazioni vi erano due cose da osservare: la prima che Garibaldi dichiarava esplicitamente doversi ricorrere alle armi per cacciare i Francesi da Roma; la seconda era l’attestazione ufficiale del sindaco.

Il sindaco, che � rappresentante governativo, fece stampare la relazione, come cosa propria colla propria firma.

In mezzo ai dubbii ed alle incertezze, che faceva nascere la equivoca condotta del partito d’azione, e le parti prese da alcuni funzionarli del Governo italiano nei fatti che si rimproveravano a Garibaldi, era necessario che la voce imponente e venerata del capo dello Stato si facesse udire.

902

Il proclama di Vittorio Emanuele venne a dilucidare le vere intenzioni di chi aveva il mandato di promuovere e difendere la causa dell’Italia, ed a prevenire molti inganni e molti dolori.

Eccone il testo:

PROCLAMA REALE

Italiani,

Nel momento in cui l'Europa rende omaggio al senno della Nazione, e ne riconosce i diritti, � doloroso al mio cuore che giovani inesperti ed illusi dimentichi dei loro doveri e della gratitudine ai nostri migliori alleati, facciano segno di guerra il nomo di Roma, quel nome al quale intendono concordi voti, e gli sforzi comuni. Fedele allo statuto da me giurato tenni alta la bandiera dell’Italia fatta sacra dal sangue e gloriosa dal valoro dei miei popoli. Non segue questa bandiera chiunque violi lo leggi e manometta la libert� e la sicurezza della Patria, facendosi giudice dei suoi destini.

ITALIANI!

Guardatevi dalle colpevoli impazienze e dalla improvvida agitazione. Quando l'ora del compimento della grand'opera sar� giunta, la voce del vostro Re si far� udire fra voi.

Ogni appello che non � il suo, � un appello alla ribellione, alla guerra civile.

903

La responsabilit� ed il rigore delle Leggi cadranno su coloro che non ascolteranno le mie parole.

Re acclamato dalla Nazione conosco i miei doveri, sapr� conservare la dignit� della Corona e del Parlamento, per avere il dritto di chiedere all’Europa intera Giustizia per l'Italia.

Torino 3 agosto 1862.

VITTORIO EMANUELE

De Pretis — Pepoli — Sella Firmato Conforti — Rattazzi — Persano Petitti — Matteucci — Durando

La pubblicazione di questo reale proclama, che produsse una viva impressione in Europa, e prov� la forza del Governo italiano, fu seguito da una considerevole spedizione di truppe in Sicilia, e dal seguente ordine del giorno del Ministro della guerra.

MINISTERO DELLA GUERRA

Ordine del Giorno 4 Agosto 1862

Soldati!

Alcuni sconsigliati minacciano compromettere le sorti �d’Italia.

Il Re ha gi� parlato alla Nazione, e la Regale parola insegna a Voi la via a seguire. E Voi la seguirete.

Col vostro contegno, colla vostra fermezza Voi eviterete la maggiore delle sciagure, la guerra civile.

E se alla voce Sovrana le colpevoli impazienze non si calmino, per quanto doloroso possa tornarvi, Voi farete il vostro dovere.

904

Soldati!

Nella insensata impresa si invoca una solidariet� con Voi, che io, a nome vostro, respingo.

A nome vostro dichiaro, che le gloriose vostre tradizioni, la gloriosa vostra bandiera, la quale sventol� vittoriosa in cento battaglie, non sar� macchiata.

Soldati!

Il Re e la Nazione contano su di Voi.

Alle antiche, alle recenti glorie Voi siete chiamati ad aggiungerne una novella: mantenere rispettate le Leggi, incolumi i diritti della Corona.

Il Ministro

A. PETITTI

Il giorno 5 Agosto il general Cugia nuovo prefetto di Palermo giunse al capo luogo della sua nuova residenza e tutte le autorit� civili e militari andarono ad incontrarlo. Istallatovisi appena, sped� al General Garibaldi che trovavasi allora a Corleone coi suoi aiutanti, e qualche centinajo di volontarii il duca della Verdura, ed il deputato Laloggia. Garibaldi ricevette dalle mani degl'inviati del Prefetto una copia del proclama reale, ma respinse le loro istanze, o ricus� perfino di leggere Una lettera del suo amico Medici, che l'esortava a cessar dalla sconsigliata impresa. Noi dobbiamo narrare ai nostri lettori alcuni dettagli del modo col quale il Garibaldi ricevette gl'inviati del nuovo Prefetto di Palermo.

905

Il Duca della Verdura ed il sig. Laloggia erano incaricati non solo di rimettere a Garibaldi il proclama del re e l'ordine del giorno diretto dal ministro della 'guerra all’esercito, ma ancora di significare, da parte dello stesso general Cugia, l'ordine di sciogliere entro ventiquattr'ore il campo di Ficuzza e di rimandare i volontarii a Palermo, donde il Governo s'incaricherebbe di mandarli ai loro focolari.

In pari tempo il Duca della Verdura ed il sig. Laloggia erano portatori d’una lettera del comandante la Guardia Nazionale di Palermo, general Medici, il quale supplicava Garibaldi a non metterlo nella triste necessit� di dover reprimere i disordini che avessero luogo in seguito al suo contegno ostile.

Garibaldi ricevette assai bene i due inviati dal general Cugia. Egli era circondato da suoi principali ufficiali. Egli ricus� un colloquio particolare, e li preg� volessero rendere conto della loro missione in presenza di tutti.

Essendogli stato rimesso il proclama del re, Garibaldi, dopo averlo letto, croll� le spalle dicendo esser quello un documento fatto per la diplomazia, saper egli come regolarsi quanto alle intenzioni del re Vittorio Emanuele. Sua Maest�, aggiuns'egli, � stata indotta a firmare questo proclama cedendo agli scrupoli de'  suoi ministri, e per riguardo verso le potenze estere, nella stessa guisa che, due anni sono, Vittorio Emanuele avevagli scritto di rinunziare a passare lo stretto, a cagione dei negoziati intavolati allora col re di Napoli peri un'alleanza fra i due Stati. La situazione, diceva egli, era la stessa in quel momento, e siccome egli non aveva tenuto, a quell'epoca, alcun conto della lettera di S. M. egli non agirebbe diversamente oggi pel proclama.

Avendo quindi letto l'ordine del giorno del ministro della guerra, Garibaldi diede sfogo all'ira sua; egli dichiar� riconoscere bens� l'autorit� e la supremazia del re, essergli fedelmente devoto, ma non fare alcun costo de'  suoi ministri.

Quanto alla lettera del generale Medici, egli ricus� di aprirla, pregando quelli che la portavano, a rendergliela.

906

Palermo era tranquilla, ma una corrispondenza del 2 Agosto annunziava che quasi tutti gli allievi delle scuole e gl'impiegati delle amministrazioni erano partiti come volontari, che non si trovavano pi� n� sarti, n� ebanisti, n� parrucchieri n� calzolari, perch� quasi tutti avevano seguito Garibaldi. Moltissimi di costoro ricevevano il soldo d’un carlino al giorno, e dormivano per le vie di Ficuzza, citt� posta a 24 miglie da Palermo. Erano guidati da Bentivoglio. Si disse in tal circostanza che il Governo Francese avesse fatto rimettere al Gabinetto di Torino una nota, colla quale lo dichiarava responsabile delle conseguenze, che sarebbero derivate da una eventuale spedizione contro Roma.

II.

Mentre Garibaldi tentava ogni mezzo per sollevare lo spirito nazionale dell’Italia contro il Governo dell’imperatore Napoleone, questo con quella calma e persistenza che lo caratterizzano aveva ottenuto per l'Italia un immenso risultato diplomatico. Prima la Russia, e poco dopo la Prussia avevano riconosciuto il nuovo regno italiano, il quale cos� prendeva posto fra le prime potenze europee. Da questo momento si pot� con sicurezza affermare, che l'opera della unificazione dell’Italia doveva per la forza stessa delle cose necessariamente compirsi. II resto rimaneva un semplice affare di tempo. Sarebbe superfluo il fermarsi a dimostrar l'importanza di questo lieto avvenimento ci limiteremo a riportare per intero le note diplomatiche del Gabinetto di Pietroburgo e di Berlino relative a questo riconoscimento.


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907

Pietroburgo, 6  18 agosto 1862.

Signore

�Il dispaccio al nostro incaricato d’affari a Torino, in data 20 Settembre 1860, ha fatto conoscere il giudizio che S. M. l’imperatore si � fatto sugli avvenimenti compiuti in Italia e i motivi che avevano indotto il nostro augusto signore a richiamare la sua legazione da Torino.

�Distanti come stiamo dall’Italia, nessuno dei nostri interessi diretti si trovava implicato in questi avvenimenti. Noi non li dovevamo riguardare che sotto il doppio punto di vista dei sentimenti di simpatia che nutriamo per questo paese e degl'interessi generali dell’ordine e della pace in Europa.

�Si � da questo punto di vista che il nostro augusto signore si � posto, due anni or sono, per apprezzare gli affari della penisola. Si � ancora dal medesimo punto di vista che S. M. si � collocata attualmente per rendersi conto di uno stato di cose che lo sviluppo dei fatti ha profondamente modificato.

�Attualmente non sono pi� quistioni di diritto che si discutono, si � il principio monarchico e l'ordine sociale che sono alle prese colla anarchia rivoluzionaria. La corte di Torino minacciata di essere trascinata a sua volta dal partito estremo, si � vista nella necessit� di difendersi. Essa lo ha fatto con fermezza, e bench� in questa via, essa fu astretta di mettersi in opposizione di aspirazioni passionate che spingono l'Italia verso il completamento della sua unit�, essa ha trovato da parte dei rappresentanti del paese un deciso concorso che attesta il generale predominio delle idee di ordine su i trasporti rivoluzionarii.

�Queste considerazioni hanno fissata l'attenzione del governo. Il gabinetto imperiale poteva molto meno rimanere indifferente all’agitazione che ha il suo focolare in Italia, e che minaccia di straripare sul rimanente dell’Europa.

908

�Noi avevamo bisogno d’essere rassicurati su due punti essenziali: primo che la corte di Torino avrebbe la ferma intenzione di reprimere qualunque tentativo dei partiti estremi che potrebbe turbare la pace generale; secondo che egli possedeva la forza necessaria.

�Sotto questo doppio rapporto, il governo del re Vittorio Emanuele ha fornito alle grandi potenze dell’Europa assicurazioni positive.

�Egli ha dichiarato in quanto concerne le difficolt� internazionali sollevate dallo stato politico dell'Italia, che:

Appartiene alle potenze che hanno creato questo stato di cose a provvedere alla pacifica soluzione di questa grande questione.

�Egli ba aggiunto:

�Che in previsione del caso che imprudenti intraprese venissero a formarsi al di fuori dell’azione regolare dei poteri costituiti, egli si sentiva abbastanza forte per impedire che le quistioni non fossero pregiudicate da tentativi di tal natura da turbare lo stato attuale delle relazioni esistenti, e che non mancherebbe punto al suo dovere.

�Questi impegni, che la corte di Torino ha preso al cospetto dell'Europa, sono tanto pi� soddisfacenti ch'essi hanno per garanzia da una parte l'interesse della propria conservazione, e dall’altra il concorso della maggioranza dei rappresentanti del paese. Essi sono stati d’altronde confermati dalle prove materiali, che il gabinetto attuale ha dato di recente di quanto vuole e pu�, per la conservazione dell’ordine e della pace generale.

�In questo stato di cose noi abbiamo giudicato essere nostro interesse il mantenere e fortificare la corte di Torino nel terreno dell'ordine sociale ove tutti i governi sono solidali, e che per rimanere conseguenti con i principii che guidano la politica di S. M. non conveniva di rifiutare il nostro appoggio morale n� al gabinetto che aveva pubblicamente proclamato questo programma, n� alla maggioranza illuminata di un paese verso il quale non abbiamo che dei sentimenti di benevolenza e di mutua simpatia.

909

�Il nostro augusto signore ha conseguentemente deciso il ristabilimento delle sue relazioni diplomatiche con S. M. il re Vittorio Emanuele come Re d’Italia.

�Avendo il Re d’Italia scelto il generale conte Sonnaz per recarsi presso la corte imperiale onde notificare questo titolo a S. M. l'Imperatore ha dal canto suo nominato l’aiutante di campo generale Stackelberg a suo rappresentante a Torino.

�Nel farvi conoscere questa determinazione del nostro augusto signore, io debbo ripetervi che S. M. non intende n� di sollevare n� di sciogliere questione alcuna di diritto.

�Essendo i nostri rapporti ufficiali col governo Italiano in cota1 guisa ristabiliti regolarmente, voi siete autorizzato a conformarvi, mantenendo col rappresentante di S. M. il Re d'Italia se bavvenne nel luogo di vostra residenza, le medesime relazioni che voi dovete mantenere con i rappresentanti delle altre poterne amiche della Russia.

�Ricevete etc.,

GORTSCIAKOFF.�

Desumiamo dalla Gazzetta della Stella la nota del conte di Saint Simon, pel riconoscimento del Regno d’Italia. Eccone la versione:

Berlino 4 luglio.

Signor Conte,

Il governo del re Vittorio Emanuele ha confidenzialmente a pi� riprese manifestato per mezzo del suo ministro a Berlino 11 desiderio di vedere riconosciuto dal Re Nostro Augusto Signore il titolo di Re d’Italia.

Egli ci segnalava l'interesse che noi avremmo a rafforzare e consolidare nella Penisola il potere monarchico contro le tendenze anarchiche e repubblicane, ed aiutare col nostro morale appoggio

.

910

il difficile ed arduo c�mpito di ristabilire i principii d’ordine e stabiliti profondamente scossi dalla rivoluzione

Ci ha fatto nel tempo stesso rappresentare che riconoscendo l'ordine di cose stabilitosi in Italia a seguito dei grandi avvenimenti ivi compiutisi, noi potentemente contribuiremmo ad assicurare la pace generale d’Europa, poich� lo stato d’incertezza e di agitazione che eccita gli spiriti e li spinge alle stravaganze cesserebbe in seguito al riconoscimento delle grandi Potenze d’Europa e darebbe luogo alla ragione ed alla moderazione di cui la Penisola ha tanto bisogno per consolidare all’interno il nuovo edil�zio e per fare sempre pi� prevalere i grandi principii di ordine morale e sociale.

I ministri del re Vittorio Emanuele tenendo lo stesso linguaggio, sig. Conte, vi hanno pi� d’una volta assicurato non essere nelle intenzioni del governo di Torino di far valere colla forza delle armi certo pretese territoriali generalmente considerate come facienti parte del programma del Regno d’Italia e che eglino stessi non rinegano in teoria, ma che questo governo � fermamente risoluto a mantenere la pace coi suoi vicini e lasciare all’avvenire ed ai mezzi delle negoziazioni e del naturale sviluppo delle cose lo scioglimento delle questioni di cui trattasi. Una ve ne ha che specialmente interessa la Prussia, quella che si riferisce agl'interessi ed alla sicurezza della Confederazione germanica.

� la questione della Venezia. Non � mio intendimento, signor Conte, di qui trattare codesta questione sotto il punto di vista strategico e di esaminare se il possesso della Venezia � necessario per assicurare il sistema di difesa militare della Germania meridionale. Non trattasi qui che del fatto, che i vigenti trattati assicurando codesto possesso all'Austria e che il tentativo di toglierlo colla forza potrebbero facilmente, mettendo in paricollo il territorio federale, trascinare la confederazione germanica nella lotta e generare cosi una conflagrazione nella quale la Prussia, nella sua qualit� di membro della Confederazione, non potrebbe rimanere estranea.

911

Egli � in vista di queste possibili eventualit�, le cui conseguenze probabilmente funeste all’avvenire della nuova monarchia italiana, e che non sfuggirono alla perspicacia degli uomini di Stato, che consigliano il Re Vittorio Emanuele, che noi abbiamo sinceramente applaudito al linguaggio pieno di saviezza e fermezza che il gabinetto di Torino tenne in una recente occasione in cui la petulanza del partito rivoluzionario minacciava la pace.

Questa attitudine del governo di Torino, se sia assicurata per l'avvenire, ci darebbe le guarentigie che noi desideriamo e delle quali abbisogniamo per regolarizzare le nostre relazioni con lui riconoscendo il nuovo titolo assunto da Vittorio Emanuele e che noi fin qui esitammo a riconoscere a causa delle pretese che pareva implicasse dei dubbi che potevasi nutrire sulle conseguenze che il governo della prefata Maest� contasse dedurne per la sua condotta avvenire pressoch� espressamente dichiarando che noi non vogliamo, n� possiamo pregiudicare i diritti dei terzi, che si trovano lesi per i fatti che ebbero luogo nella Penisola, noi abbiamo tuttavia sempre riconosciuto che non aspetta a noi farli valere ed opporci alle conseguenze degli avvenimenti compiutisi senza il nostro concorso, e che coloro i quali vi avevano un interesse speciale non hanno potuto impedire.

Se dunque, signor Conte, il governo di Torino vuol darci, nella forma che creder� pi� conveniente, sulle sue intenzioni riguardo a Venezia ed a Roma, delle assicurazioni che da noi si possano riguardare come guarentigie sufficienti per noi, e che siano in pari tempo capaci di rassicurare i nostri confederati e la parte della nostra propria popolazione che potrebbe vedere ne' nostro riconoscimento un approvazione anticipata di avvenimenti futuri che essa teme, io sono autorizzato dal re, nostro augusto signore, ad incaricare V. E. di dichiarare al governo di S. M. il re Vittorio Emanuele, che S. Maest� � pronta a riconoscere il titol di re d’Italia.

912

Vogliate, sig. Conte, fare la comunicazione precedente al generale Durando, lasciandogli copia di questo dispaccio, e ricevete le assicurazioni rinnovate ecc. ecc.

BERNSTORFF

A S. E. il conte Brasier

de S. Simon a Torino

Nota del conte Bernstorff al conte Brasier

de Saint Simon

Berlino, 21 luglio 1662

Signor Conte

Il re Vittorio Emanuele diresse al re uno scritto, in cui S. M. viene ricercata di riconoscere il titolo di Re d’Italia assunto da quel Sovrano.

Contemporaneamente, il Gabinetto di Torino, in risposta a un mio dispaccio del i corrente, ci fece una comunicazione, la quale � destinata a tranquillarci intorno alle sue intenzioni riguardo alle questioni veneta e romana.

In un dispaccio del 9 corrente, che il signor conte De Launay fu incaricato di consegnarmi, il signor ministro degli affari esteri, riferendosi a una circolare del 20 marzo a. e. del Gabinetto di Torino, si esprime riguardo alla Venezia �toccare a quelle potenze, che produssero tal condizione di cose di pensare alla pacifica soluzione di questa importante questione.�

Il signor gen. Durando aggiunse, che �prevedendo il caso di imprudenti intraprese, che al di fuori dell’azione delle autorit� costituite si organizzassero, il Governo dichiar� nella medesima Nota (del 20 marzo) di sentirsi forte abbastanza

913

per impedire che gli si prenda la mano nello scioglimento della questione veneta con intraprese, le quali potrebbero scuotere l'attuale stato delle relazioni sussistenti, e si vedr� che il Governo non sar� inferiore al suo compito.�

�Questi obblighi, continua il ministro, che il regio Governo assunse verso se stesso e rimpetto a tutte le potenze, e che non ha riguardo di rinnovare qui solennemente, furono sempre osservati, e, per ci� che riguarda specialmente la Germania, esso ne diede una prova nella pronta e completa soppressione del tentativo apparecchiato al nostro confine contro alcuni punti del Tirolo. La fortezza dimostrata dal Governo verso i partiti estremi, l'illuminato concorso prestatogli dal paese nell'adempimento del suo dovere, devono servire ai Governi ansiosi di mantenere l’ordine e la pace in Europa come irrecusabili documenti per tranquillarsi completamente intorno alla situazione d’Italia, la quale del resto venne ripetute volte fatta conoscere dal regio Governo.

Per ci�, che riguarda la questione romana, il signor geo. Durando cosi si esprime: �Gli uomini di Stato, che dal 1859 in poi si seguirono in Italia alla direzione del governo, riconobbero tutti e annunciarono apertamente davanti al Parlamento nazionale e all’Europa che siffatta questione non poteva essere sciolta che con mezzi morali e per la via diplomatica. Oggi abbiamo da aggiungere, che noi aspettiamo fidenti i risultati di questa politica inesorabilmente segnata dalle discussioni del Parlamento.�

Noi prendiamo con soddisfazione atto di queste dichiarazioni del governo di S. M. il re Vittorio Emanuole, tanto riguardo a Venezia che a Roma.

S. M. il Re nostro graziosissimo signore, dopo ricevute queste espresse assicurazioni da parte del Gabinetto di Torino, risolvette di riconoscere il titolo di Re d’Italia.

C importa per� che in seguito a questa risoluzione, il nostro riconoscimento non venga interpretato falsamente.

Il regio Governo in nessun tempo fece mistero delle sue opinioni intorno agli avvenimenti che accadono nella penisola.

914

La ricognizione della situazione, che ne fa la conseguenza, non dovrebbe perci� valere quale una guarentigia di esso e nemmeno come una postuma sanzione della politica seguita dal Gabinetto di Torino. Ancor meno abbiamo noi intenzione di pregiudicare questioni, che riguardano i terzi e di rinunciare a una piena libert� d’apprezzamento riguardo ad eventualit�, che potrebbero modificare I ' attuale condizione delle cose.

Se io in un momento cos� importante mi tengo obbligato di non lasciar sussistere il menomo dubbio intorno al senso, in cui noi intendiamo di riconoscere il titolo di re d’Italia, l'atto stesso del riconoscimento parla alto abbastanza per dimostrare l'interesse, che noi prendiamo all'Italia e alla consolidazione di un regolare ordinamento di cose nel suo interno, come allo sviluppo della sua potenza e indipendenza all’estero. Possa questo eminente documento dei nostri benevoli sentimenti diventare ricca sorgente di felici risultati per le nostre reciproche relazioni.

V. E. vorr� leggere questo dispaccio al signor generale Durando e lasciargliene copia.

Riceva ecc.

BERNSTORFF.

Il riconoscimento del regno d’Italia per parte delle due grandi potenze del Nord produsse in Europa una sensazione profonda e l'Italia ne fu vivamente soddisfatta. Nelle pi� grandi citt� si fecero delle luminarie. A Roma la popolazione liberale fece presentare al Conte Kisseleff ambasciatore di Russia presso la S. Sede, un magnifico mazzo di fiori rarissimi stretto da un nastro a colori italiani. Questo mazzo di fiori unitamente ad un sonetto, che esprimeva la riconoscenza dei Romani verso l'Imperatore Alessandro, fu presentato al Conte Kisseleff a Frascati dove egli trovavasi a villeggiare.

S. A. R. LA PRINCIPESSA MARIA PIA

915

L'ex re di Napoli al contrario alla prima notizia che ebbe del riconoscimento del regno d’Italia per parte della Russia, rimand� al Sovrano di questa nazione la decorazione dell’aquila nera, che eragli stata inviata al tempo dell’assedio di Gaeta. Nello stesso tempo che l'Italia si elevava al rango di grande potenza europea, la dinastia di Savoia si univa pel matrimonio della Principessa Pia, coll’illustre casa di Braganza. La figlia del re Vittorio Emanuele re d’Italia era per salire sul trono del Portogallo.

Se i principii del diritto pubblico moderno hanno introdotto l'elemento popolare a confermare, avvalorare ed all’uopo creare in certe circostanze il lustro e l'autorit� del principato, essi non hanno fatto offesa alla tradizione ed all’antichit� delle ragioni reali assunte e mantenute in conformit� delle leggi, delle nazionalit� e della trasmissione dinastica. E non � senza una grande e profonda ragione provvidenziale che venga un'alleanza ad un tempo popolare e dinastica a stringersi tra le due pi� antiche stirpi monarchiche dell’Europa.

La casa di Savoja che vide la sua dominazione svolgersi a poco a poco dalle montagne della Svizzera verso la bella penisola era una profuga dell’Italia nel secolo X dove Berengario Marchese d’Ivrea ebbe per un tempo la corona e rappresent� il principio della nazionalit� contro la dinastia dei Borgognoni. Cinquant'anni dopo troviamo il nipote di lui Ottone Guglielmo, e poi Umberto Biancamano signori della Savoja e chiamati ancora re; e poco appresso Susa e Torino e tutto il principato di qua dai colli, come allora si diceva, ubbidire alla stirpe Sabauda. Se non manc� fra quegli antichi chi abbia pagato un tributo alla triste indole dei tempi, famosa per� nell’andare de'  secoli fu per generose indoli e per pietose imprese la famiglia dei conti, poi duchi di Savoja, poi Principi di Piemonte, e duchi d’Aosta, e la met� del secolo XV li vide vicini ad esser richiamati al trono di Lombardia. Ond’� che Vittorio Emanuele II non � il primo della sua stirpe che abbia veduti i suoi dominii stendersi dall’Alpi all’Adriatico, e che abbia avuto felice esito nelle quistioni coi signori dell’Italia del mezzogiorno.

916

Sull’estremo confine dell’Occidente, alle prese coi Saraceni d'Africa che dominavano da tre secoli le pi� belle contrade della Spagna, poco dopo i tempi di Ottone Guglielmo e di Umberto Biancamano, si travagliava con animosi compagni un altro cavaliere predestinato ad un regno che doveva diventare nell’ordine dei tempi il primo regno della Cristianit�. Allo splendore delle gesta del grande Emanuele preludeva col senno e con la mano Enrico di Borgogna, e suo figlio Alfonso fin dal 1139 sui campi di Ourique otteneva nobil premio della vittoria dovuta al suo valore il titolo di re dai suoi compagni d’armi e soldati; e fin d’allora si mettevano col� le fondamenta del diritto dinastico sposato alla libera elezione dei popoli.

Quando, venuti i giorni della sventura, alle libere costituzioni delle Cortes di Lamego che avevano fondata l'indivisibilit� o l'autonomia del Regno di Portogallo fu succeduto per la forza delle armi e con dispregio del diritto Filippo li di Spagna, monarca straniero che non poteva adempiere alle essenziali condizioni di residenza e di separazione da qualsivoglia altro dominio, il Portogallo che subiva con l’ingiuria del vassallaggio la perdita delle sue pi� belle colonie (1600 j assaltate dei nemici che Filippo II si procurava in Inghilterra e in Olanda con la sua sterminata ambizione, il popolo Portoghese cerc� nella casa di Braganza i discendenti di quella di Borgogna e fece a Giovanni di Braganza in certo modo violenza per esaltarlo all’onore del regno, che i re di Spagna non gli poterono contrastare, a malgrado dell’estensione maravigliosa dei loro possedimenti.

Il secolo XIX vide in Portogallo le lotte che pur si videro altrove, ma la stirpe di D. Maria da Gloria seppe riconquistare la popolarit� compromessa dallo guerre civili del 1833, e Pedro fratello del re attuale, immaturamente rapito alle speranze della nazione, prov� ai Portoghesi con la saviezza dei consigli e col freddo coraggio dimostrato in mezzo alle calamit� dell’epidemia che metteva in fuga i principali dei varii ordini dello Stato, prov�, diciamo, che non era spenta la razza degli animosi cavalieri che avevano liberata la Spagna e messi i fari dell’incivilimento su tutte le coste dell’Africa e dell’Asia.

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D. Luigi I, che col fratello gi� re viaggiando l'Europa cerc� di erudirsi nella scienza dei fatti e nei bisogni della civilt�, segna in Portogallo un nuovo passo al progresso coll’emancipazione del paese dallo straniero negli ordini economici. La forza di espansione che quel piccolo regno ebbe prima della Spagna al tempo delle conquiste e delle scoperte, avea seguitato il solito cammino delle cose umane per due secoli decrescendo e lasciando il luogo ed il primato ad altre nazioni, quando sembrava che il potere e la prosperit� degli Stati consistesse soltanto nel dominare gli altri: e la Gran Bretagna che erasi affrettata a prendere possesso di tutti i commerci che non potevano pi� farsi da su, cambiava coi pochi vini di Oporto e di Setubal, destinati a'  suoi aristocratici signori, tutta una turba di prodotti inglesi che impedivano al Portogallo la lotta industriale. Questo stato di cose va ora a poco a poco cancellandosi e il regno portoghese risorse dalle sue calamit�.

La terra che vide Carlo Alberto sacrificare la sua corona all’avvenire di una causa che non volca pregiudicare con abbracciare una politica di reazione, vedr� ora la nipote di quel Principe cui la posterit� d� il nome di Magnanimo assidersi sul trono di quell’Emanuele il Grande, dal quale per discendenza femminile di S. Quintino prese il nome di Emanuele Filiberto. Il regno della gentilezza e della beneficenza che viene in sorte alle spose dei re sar� in Portogallo destinato alla Principessa Italiana che riunir� come un anello di fratellanza i due pi� lontani regni della razza latina in Europa.

Secondo la Gazzetta Ufficiale il 3 Agosto ebbe luogo la domanda solenne di tal matrimonio.

Alle ore 10 e mezza S. E. il visconte da Carreira, inviato straordinario di S. M. il Re di Portogallo, fu ricevuto in udienza solenne da S. M. per la formale domanda della mano di S. A. R. la Principessa Maria Pia, figlia secondogenita della M. S. a nome e per l’augusto suo Sovrano.

918

Il marchese di Breme, prefetto del palazzo, insieme coi mastri di ceremonie i signori conte di Sartirana e conte Panissera di Veglio recatosi nell'appartamento del Real Palazzo stato destinato al visconte da Carreira, lo accompagn� fino alla Camera ove stava S. M. il Re con S. A. R. la Duchessa di Genova. La il. S. era corteggiata dai Cavalieri dell’Ordine Supremo, dagli alti funzionarti della R. Casa civile e militare, dai Ministri e dai Grandi Ufficiali dello Stato.

L'inviato fu dal Prefetto del Palazzo introdotto alla presenza di S. Maest�, alla quale dopo aver presentato le sue credenziali, ebbe l'onore di fare in nome di S. M. Don Luigi I Re di Portogallo e per la stessa M. S. la domanda della mano della diletta sua figlia S. A. R. la Principessa Maria Pia, Principessa Reale d'Italia, colle seguenti parole:

�Sire

�Il Re mio signore, avendo avuto conoscenza delle virt� e qualit� eminenti della principessa Maria Pia, augusta figlia di Vostra Maest�, si � degnato onorarmi dell’importante e lusinghiera missione di domandarvi la sua mano nel suo real nome. In ci� il Re ebbe soprattutto in vista di fare la sua propria felicit� come pure quella di Sua Altezza Reale; ma altre considerazioni di grande importanza resero pi� vivi e pi� ardenti ancora i suoi desiderii di ringiovinire e di consolidare con questa nuova alleanza gli antichi via coli di parentela della famiglia Reale del Portogallo colla nobile dinastia di Savoja che � s� illustre e s� grande, non meno ne' suoi titoli antichi che per la sua gloria recente. Questi vincoli venerabili datano dal principio stesso della Monarchia Portoghese, essendo stata la Principessa Matilde di Savoia la nostra prima Regina, la virtuosa sposa del primo nostro Re, il valoroso Alfonso Enrico, ed il Re si lusinga che il ringiovanimento dei medesimi vincoli, facendo la felicit� dei due giovani sposi, e producendo rapporti di intima amicizia e di cordiale accordo fra le due Corone, avr� in pari tempo un'influenza favorevole agl'interessi ed alla prosperit� delle due nazioni.

919

S. M. ha risposto a S. E. il visconte da Carreira che accoglieva di ben lieto animo la domanda che gli veniva fatta a nome di S. Al. Don Luigi I Re di Portogallo della mano della Principessa Alaria Pia, sua diletta figlia; che con ci� era convinto di assicurare la felicit� di sua figlia. Aggiunse che i nuovi vincoli di famiglia tra le due dinastie, rinfrancando le antiche alleanze, conferirebbero potentemente alla prosperit� delle due nazioni.

Nell’uscire da questa R. udienza l’Inviato venne accompagnato dal prefetto del Palazzo nella camera di parata ove trovavasi S. A. R. la Principessa Maria Pia con S. A. R. la Duchessa di Genova, corteggiata dalle dame e cavalieri della sua Corte e dai predetti grandi personaggi di Corte e di Stato, ed ivi presentato alla Serenissima Principessa, ebbe l’onore di complire colla medesima e di ricevere la pi� gentile e cortese risposta.

Il visconte da Carreira recatosi poscia come nella precedenti udienze negli appartamenti di S. A. R. la Duchessa di Genova, fu parimenti presentato alla medesima dal marchese di Breme il quale con li summenzionati mastri di cerimonie lo ricondusse al suo appartamento.

Nello stesso giorno S. Al. fece convitare a pranzo in Corte I ' inviato di S. AI. Fedelissima, gli ufficiali del suo seguito con quelli della Legazione Portoghese. A questo pranzo furono invitate tutte le persone di Corte e di Stato che corteggiarono S. M. e S. A. R. nella circostanza summenzionata per la solenne do manda.

Il 14 Agosto il re Vittorio Emanuele fece comunicare al Parlamento il matrimonio della Principessa Pia col re Don Luigi del Portogallo. I grandi corpi dello Stato si affrettarono di rispondere a tal comunicazione reale coi seguenti indirizzi;

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INDIRIZZO DEL SENATO

Sire,

Le gioie della famiglia del Re d’Italia sono gioie della Nazione. Epper� non poteva il Senato, all'udir il fausto annunzio del maritaggio che debbe unire S. A. R. la principessa Maria Pia con S. M. fedelissima Don Luigi re di Portogallo, rinchiudere in se medesimo la letizia di cui dovea darne rispettosi significazione alla M. V. a nome di tutta l'Italia.

Questo nodo � reso auspicatissimo dalle virt� che risplendono negli augusti sposi, dal sacro culto di libert� comune ai due Regni, non meno che da alte convenienze politiche.

Il Senato non solo spera, ma presente che il nuovo legame che avviciner� le due eccelse stirpi, sar� fecondo di benefiche influenze e che Maria Pia, assisa sul glorioso trono Lusitano, rinnover� cogli splendidi esempi le illustre memorie di Matilde di Savoia, moglie di Alfonso I re di Portogallo, di Maria Isabella di Savoia, moglie di Don Pietro II.

Piaccia a V. M. di gradire la reverente espressione di questi sentimenti insieme coi voti di ogni pi� bramata felicit�.

INDIRIZZO DELLA CAMERA

Sire,

�Al grato annunzio degli sponsali di S. A. R. la Principessa Pia con S. M. il re di Portogallo, la Camera dei deputati si affretta ad essere presso la M. V. l'interprete della letizia e dei felici augurii della nazione.

�Con questa fortunata alleanza di famiglia il re d’Italia porge prezioso pegno di affetto alla illustre dinastia, al popolo generoso che ci furono amici fedeli nei giorni della sventura, che tra'  primi salutarono amorevolmente il sorgere del nuovo regno Italiano.

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Ristringendo tra loro vincoli di parentela le due stirpi regali, gi� congiunte dalla comunanza dei principii costituzionali e della illibata fede alla libert�, aumentano l’amicizia tra due popoli, cui son comuni le origini e gli istinti nazionali:

Figlia di un re e di un popolo che hanno insegnato al mondo come si formano le grandi nazioni, l'augusta giovinetta di Casa Savoia sar� degna compagna nel trono ad un principe, alle cui virt� rendono libero omaggio l’affetto de'  suoi popoli e l'ossequio delle genti civili. Sia per lungo svolgere d’anni la futura regina di Portogallo l'ornamento di quel trono ed il simbolo dell’amicizia costante tra le due Case ed i due popoli.

Argomento di soddisfazione e di orgoglio per l'Italia il fausto matrimonio � augurio delle sorti gloriose che aspettano l� risorgente civilt� latina.

Sire, le acclamazioni della nazione fanno eco al paterno gaudio di V, M. la Camera dei deputati � lieta e superba di porgervene la riverente ed effettuosa testimonianza.

Per dimostrare poi al re come queste felici nozze erano simpatiche alla Nazione, le citt� principali d’Italia non solo votarono indirizzi di felicitazione ma gareggiarono fra loro altres� a chi avrebbe inviato il pi� bel donativo alla futura regina del Portogallo. Roma non rimase seconda a niun altra citt� d’Italia. Essa fece eseguire da uno dei suoi pi� abili artisti una ricchissima cista sul modello di quelle che usavano per custodirvi il necessario da toletta le antiche matrone romane del tempo d’Augusto e questo fu il donativo della popolazione liberale. Il Papa poi in qualit� di padrino della futura regina te fece dono di un magnifico libro di preghiere preziosamente legato ed illustrato.

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III.

Se il governo italiano era preoccupato seriamente dai discorsi virulenti di Garibaldi, e dai progetti del partito d’azione, che minacciarono di far nascere una lotta fratricida fra cittadini d’una stessa patria, il governo pontificio contro del quale erano diretti tutti i piani dell’ex dittatore e del partito d’azione trovavasi in proda delle pi� vive inquietudini. Queste furono abbastanza manifestato da un articolo del Giornale di Roma, che giova riferire.

I diversi Giornali non cessano di intrattenersi dei progetti, che dicono formati dai rivoluzionari italiani in ordine ai reclutamenti garibaldini ed alle mire cui tendono. Gli attentati, che si annunziano orditi rispetto a Roma, veggonsi confermati da una lettera che, dalla Sicilia, venne diretta al Santo Padre, e della quale giova qui riprodurre il tenore:

�Beatissimo Padre.� Un figlio devoto della Santa Sede si permette umiliare ai piedi di V. S. come gi� qui in Sicilia sia preparata la spedizione contro gli Stati Romani, sotto il comando di Garibaldi. La flotta italiana ha sbarcato in queste contrade cinquemila Italiani per unirsi ai garibaldini di Sicilia. E da tutti i liberali si addita il piano seguente: s'inoltreranno questi volontarii negli Stati di Vostra Santit� eccitando ovunque la rivoluziono fino alle porte di Roma.

�Allora il comitato occulto di Roma (che forse ci sar�) provocherei un'intera sommossa popolare: si former� la dittatura; plebiscito; annessione. Ma che far� la truppa francese?... Si vorr� forse metter in effetto quel famoso piano concepito da chi ben si conosce?...

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Checch� sia per avvenire, noi, Beatissimo Padre, preghiamo continuamente Iddio affinch� in questi frangenti voglia comunicarle quei lumi e quelle ispirazioni che possano abbisognarle. — Non occorre assicurare la Vostra Santissima Persona che la maggioranza de! nostro popolo, sinceramente cattolico, piange e geme sopra le angustie di Vostra Santit�, ma sotto l'oppressione della tirannia piange e geme nel silenzio.

�lo imploro la benedizione della Santit� Vostra e nel baciarle i Santissimi Piedi mi dichiaro.�

Lo apprensioni che dovevano necessariamente risultare da questa corrispondenza venivano accresciute dallo stato degli animi a Roma. Appena furono conosciuti i progetti di Garibaldi moltissime citt� d’Italia fecero delle dimostrazioni in senso favorevole ai progetti dell’ex dittatore, e colle grida — Roma o morte —. I liberali romani non potendo gridare, vollero per� fare anch'essi una dimostrazione nelle sere del 5 e del 6 Agosto mediante lo scoppio di petardi e l'accensione di fuochi di Bengala tricolori in molti punti della citt�. Gran numero di cittadini e specialmente di femmine facevano mostra nei loro vestiari dei tre colori italiani. La pulizia pontificia fece molti arresti, e fra lo persone imprigionate si trovarono la moglie e la figlia del portiere dell’Ambasciata Russa, perch� s'erano mostrate al pubblico passeggio con sciarpe, nelle quali spiccavano troppo vivamente i tre colori, bianco, rosso e verde.

Il Governo francese che non riteneva di grande importanza i progetti di Garibaldi, erasi sforzato di rassicurar la santa sede, e per dare maggior peso a queste assicurazioni aveva spedito un nuovo distaccamento di truppe a Roma con altri pezzi d’artiglieria e di pi� aveva fatto partire da Tolone una divisione navale destinata a guardar le coste degli stati pontificii. Questa divisione che doveva agire di conserva con una squadra Italiana si componeva di sei legni da guerra

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cio� dello due pirofregate il Descartes e il Gomer, e di quattro Avvisi a vapore, il Gregois, il Castor, il Brandon, il Rodeur, che portava la bandiera del Comandante Capitan di Vascello Potheau. Era stato dato ordine nello stesso tempo alla squadra di evoluzione sotto gli ordini dell’ammiraglio Rigault di Genoully di mostrarsi nelle acque di Napoli.

Nell’interno poi dello stato pontificio il capo dell’armata d’occupazione aveva preso d’accordo col governo italiano tutte le misure necessarie a prevenire ogni sorpresa sia dalla frontiera toscana, sia dalle provincie napoletane.

Le truppe pontificie furono poste sotto il comando dell'autorit� militare Francese che assunse con ci� la responsabilit� di assicurare la tranquillit� e, l'integrit� del territorio, ed a questo fine Monsignor De Merode pro-ministro delle armi del Papa pubblic� allo sue truppe il seguente ordine del giorno.

Ordine dell’Eccmo Ministro delle Armi

del giorno 49 luglio 1862

�Lo scrivente avendo ricevuto dall’Eccellentissima Segreteria di Stato una comunicazione secondo la quale l'armata francese prende l'intera responsabilit� di quanto possa accadere sul confine dello Stato Pontificio nelle Provincie di Frosinone e Velletri, la guarnigione di Alatri che occupa il posto pi� avanzato di questo confine, raggiunger� lo stato maggiore del battaglione cui appartiene in Ferentino. Un tale movimento verr� effettuato con la pi� breve dilazione.

I comandanti del reggimento di linea e del battaglione cacciatori saranno incaricati a somministrare degli stati nominativi dei sott'ufficiali, caporali e soldati che desiderano servire come sussidiarii per un tempo indeterminato nella gendarmeria, conservando il proprio uniforme.

Avranno soldo eguale alla gendarmeria, meno la massa che verr� conservata colla tariffa dei loro corpi.

DE MERODE

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Intanto per� che venivano adottate di comune accordo fra il Gabinetto delle Tuileries e quello di Torino queste misure di prudenza, a Garibaldi erano trasmesse dall'Inghilterra rilevanti sommo di danaro, onde Favorire la sua impresa. Si assicura che il Governo Francese domandasse a questo soggetto delle spiegazioni a Lord Palmerston, e che il Ministro inglese gli rispondesse che realmente erano stati mandati d'Inghilterra tre milioni, ma che egli non poteva porvi impedimento, come non aveva potuto opporsi alla spedizione fatta recentemente al Papa l'un milione e mezzo di franchi. Soggiungeva il Ministro inglese — Una stessa libert� essere in Inghilterra per tutti, e che sarebbe ingiusto chiamare responsabile il Governo inglese delle simpatie destate dalle diverse questioni che si agitano in Europa — Il Gabinetto delle Tuileries dov� tenersi pago di questa risposta.


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CAPO XV

SOMMARIO

I. GIUDIZII DELLA STAMPA INTORNO ALLA LEVATA D'ARMI DI GARIBALDI — NUOVI TENTATIVI PER INDURLO A RECEDERE DAI SUOI PROGETTI — LETTERA DI LUIGI MERCANTINI AUTORE DELL’INNO DETTO DI GARIBALDI —RIUNIONE DI DEPUTATI NEL PALAZZO RICCARDI A FIRENZE — I VOLONTARI VENGONO ALLE MANI COLLE TRUPPE REGOLARI A S. STEFANO — MARCIA DI GARIBALDI — SI SPERA UN ISTANTE CH'EGLI SIA PER CEDERE — QUESTA ESITAZIONE NON E' CHE UNO STRATAGEMMA PER FACILITARSI LA MARCIA SOPRA CATANIA — OCCUPAZIONE DI QUESTA CITT� — IMPROVVISA PARTENZA DI GARIBALDI PER LE CALABRIE — SUO SBARCO A MELITO INTERPELLANZE NEL SENATO ITALIANO SUGLI AVVENIMENTI DI SICILIA — MISURE PRESE DAL GOVERNO — SCIOGLIMENTO DELLA SOCIET� EMANCIPATRICE ITALIANA — DECRETO CHE DICHIARA IN ISTATO D’ASSEDIO LE PROVINCIE MERIDIONALI — IL GENERALE LAMARMORA VI E' NOMINATO COMMISSARIO STRAORDINARIO — SUO PROCLAMA ARRESTO DEI DUE DEPUTATI MORDINI E FABRIZI ORDINATO DAL LAMARMORA — IL GENERAL CIALDINI, E L'AMMIRAGLIO PERSANO PARTONO PER LA SICILIA — GARIBALDI DOPO IL SUO SBARCO A MELITO, 81 ACCAMPA NEL PIANO DI ASPROMONTE — IVI � ATTACCATO DAL COLONNELLO PALLAVICINO — � FERITO — RAPPORTI OFFICIALI DI QUESTI FATTI PROCESSO VERBALE DELLO STATO DI SALUTE DI GARIBALDI — CONCLUSIONE. —

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CAPO XV

I.

Dopo la risposta fatta da Garibaldi agli inviati del general Cugia nuovo prefetto di Palermo, che gli avevano comunicato il proclama reale, non eravi pi� dubbio alcuno che l’ex-dittatore fidando sull’immensa popolarit� del suo nome, voleva forzare il governo italiano, e lanciarlo nei perigli d’una spedizione contro Roma, e per ci� stesso contro la Francia. Appena resa manifesta questa intenzione dell’ex-dittatore, e veduti i pericoli ai quali esponeva l'Italia l'insano progetto, tutta la stampa europea alz� la voce per biasimare energicamente la sua condotta o per scongiurare se fosse possibile i disastri della guerra civile che ne sarebbe stata la conseguenza. Alcuni brani dei principali giornali chiariranno meglio di quello che noi potremmo fare i nostri lettori sulla situazione di quei giorni.

Sotto il titolo la Crisi, la Monarchia Nazionale stampava il seguente notevole articolo:

Si a parlato di messaggieri spediti al generale Garibaldi e di trattative con lui avviate sulle basi di alcune proposte.

Appena occorre dire che queste voci sparse ad arte da partiti ostili al Governo sono destituite d’ogni fondamento.

La condizione respettiva del generale Garibaldi e del Governo italiano � chiara e netta.

Il generale Garibaldi usurpando le prerogative della Corona e del Parlamento ha raccolto intorno a se armi ed armati per tentare una spedizione che porrebbe a cimento le sorti dell’intera nazione.

Il Re col proclama del 3 agosto ha richiamato Garibaldi e i suoi seguaci all’osservanza dello statuto, avvertendoli che altrimenti la responsabilit� delle conseguenze e il rigore delle leggi cadrebbero su di loro.

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Ci� posto, al generale Garibaldi non rimanevano che due vie: o piegare il capo alla voce del Re, o resistere ad essa.

Il Governo non aveva che un partito a prendere: eseguire puramente e semplicemente il proclama del Re.

Il generale Garibaldi non ha ottemperato agli ordini del Re e alle deliberazioni del Parlamento. Laonde il Governo ha preso tutti i provvedimenti necessarii per costringere Garibaldi e i volontari al rispetto della legge disperdendoli, occorrendo, con la forza.

Ecco tutto; all’infuori di ci� non v'ha pi� verit�.

Il governo non poteva e non doveva far che questo. Il governo non aveva proposte a fare, ne patti a proporre, ne accomodamenti a negoziare. Non si patteggia sul rispetto della legge; con chi si rivolta alla legge, qualunque siano le suo intenzioni, non v'ha che una severa ammonizione, e poscia l’uso della forza.

Di certo, niuno pi� del Ministero ha desiderato che il generale Garibaldi, venendo a consigli ragionevoli, piegasse il capo agli ordini del Re, ai voti delle due Camere; niuno pi� di lui si � associato di gran cuore alla voce intera della nazione che, facendo eco alle nobili e ferme parole del Re, consigliava il generale a deporre le armi e a sciogliere la riunione dei volontari; niuno pi� di lui ha desiderato che il generale Garibaldi ascoltasse i consigli dei suoi amici che spontaneamente si recavano a lui per pregarlo di desistere dalla meditata impresa. Ma altro � accogliere nel proprio cuore questi desiderii, questi voti, queste speranze altro � venire a patti, altro � il proporre concessioni, altro � negoziare dei componimenti con chi sta in armi contro la podest� legittima.

Discendendo a patti il Ministero avrebbe perduto non solo se stesso ma la monarchia e l’Italia.

A che punto saremmo noi ridotti se l'audacia d’un generale bastasse a dettare gli ordini al Governo, al Parlamento, alla Nazione?

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Oggi Garibaldi e' impone d’andare a Roma, anche contro le baionette della Francia; domani un altro generale, ci trascinerebbe oltre al Mincio ad affrontare impreparati l'Austria e fors'anche la Confederazione germanica; un terzo generale pretenderebbe di dare alla Corona i suoi ministri In breve una

transazione con Garibaldi ci metterebbe sopra una via, a capo della quale troveremmo la guerra civile, l'anarchia, il disfacimento d'Italia.

Il Ministero non pu�, non deve e non vuole transigere con chi non riconosce gli ordini del Re, del Parlamento. La sua divisa, come il suo stretto dovere � di mantenere contro chicchessia l’autorit� delle leggi. E nell’adempimento di questo suo mandato egli non ha avuto n� pu� avere esitazioni o dubbi di sorta.

Un giornale si maravigliava ieri che dopo undici giorni, dacch� il proclama reale � stato pubblicato, i volontarii non siano. ancora stati dispersi, e di gi� argomentava che la situazione di Sicilia fosse ben grave.

Questo giudizio va lontano dal vero. Gli undici giorni trascorsi dalla pubblicazione del proclama sono stati indispensabili al movimento che le truppe dovevano eseguire per circondare da ogni parte i volontarii; e preclusa ogni via di uscita dall’isola, intimare loro di cedere, o disperderli occorrendo con la forza.

In questo mezzo il Parlamento, l'Italia, e l'Europa si sono pronunziati solennemente contro Garibaldi; il Governo italiano ha potuto mostrarsi longanime senza dar sospetto di debolezza o di esitazione; si sono tentate tutte le vie d’una soluzione pacifica; si � porto il modo a molti volontari di fare atto d’ubbidienza al Re, abbandonando il corpo al quale appartenevano. Questi sono vantaggi incontestabili derivati dall’indugio di alcuni giorni.

Ma ci affrettiamo a dichiarare che un'ulteriore e soverchia dilazione renderebbe pi� difficile la condizione attuale delle cose, incoraggicrebbe la resistenza alla legge, nuocerebbe al credito e alla fama del Governo.

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Se le nostre informazioni non errano, la soluzione della crisi � assai vicina. I intimazione ai volontarii di cedere all'autorit� legittima sotto pena di vedersi dispersi con la forza � imminente, se gi� non e stata fatta.

Noi siamo dunque al colmo della crisi. Anche in questo estremo momento noi conserviamo la speranza e facciamo i pi� ardenti voti, che il generale Garibaldi spezzi la sua spada anzich� volgerla contro petti italiani, e riconoscendo il suo errore ceda all’impero della legge. Che so la nostra speranza e i nostri voti dovessero andare delusi, ci conforta la fiducia nel trionfo della legge, all’infuori della quale non v'ha salute per l'Italia.

I giornali francesi riproducevano il programma del re Vittorio Emanuele agl'Italiani ed erano unanimi nell'approvarne il linguaggio pieno di calma e fermezza e di dignit�, quale si conviene al sovrano d’una grande nazione.

Il Constitutionnel aggiungeva �L'Italia comprender� queste parole, e noi speriamo ancora che il generale Garibaldi stesso s'inchiner� dinanzi ad esse.

Il Journat des Debats considerava che la lotta tra il ministero italiano e Garibaldi prossima ad impegnarsi sarebbe una grande sventura.

La Patrie chiamava il proclama del re la risposta la pi� autorevole e la pi� degna che si potesse fare agli eccitamenti di Garibaldi.

L'elevato linguaggio di S. M. � destinato a commuovere profondamente la pubblica opinione, e la rammentata gratitudine verso la Francia aumenta ancora, secondo il citato giornale, il nobile carattere di questo manifesto.

L'Opinion Nationale biasimava i progetti di Garibaldi, e lo incitava a fare una spedizione, sulle coste orientali dell’Adriatico.

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Il Siecle cos� si esprimeva:

�Non cercheremo di nascondere la nostra tristezza alla vista della situazione d’Italia. Se vi � un popolo che meriti sfuggire a codeste interne lotte che d’ordinario accompagnano le rivoluzioni, questo popolo si � l'Italiano per certo. Quanto pu� domandarsi di abnegazione, pazienza, moderazione ad una nazione, l'Italia l'ha. data, non solo alla Francia ch'era in diritto d’esigere simili sacrifizi, ma ben anche all’Europa. Il momento sembra arrivato, ove il frutto di tanti sforzi sta per essere perduto.

L'alleanza tra le due forze sulle quali s'appoggiava la rivoluzione italiana � forse definitivamente infranta? Ne dubitiamo ancora; il patriottismo sar� forte abbastanza d’ambo le parti per impedire una rottura. Supponiamo pertanto che arrivi il contrario; quali saranno i veri vincitori dopo la battaglia? L'Austria e il Vaticano. In quanto alla Francia, ella arrischicrebbe di perdere in Italia quel prestigio che a tanto prezzo d’oro e di sangue ha conquistato.

�Il potere temporale pi� raffermato che mai nei suoi rifiuti, l'Austria pi� minacciante, i principi spossessati pi� aspri nella loro aspettativa, il brigantaggio rinascente nelle provincie meridionali, la sorte della Penisola rimessa in quistione, tali sarebbero i risultati della lotta che si annuncia. La Francia su cui riverserebbesi la pi� gran parte di risponsabilit� nei deplorabili avvenimenti che si possono paventare in questo istante, la Prussia e la Russia che riconobbero or ora il regno di Vittorio Emanuele, hanno forse inteso farsi un giuoco di quel riconoscimento? Quelle potenze certamente non hanno voluto, fra gli attuali perigli, sottomettere l'unit� italiana a qualche novella prova, ahim� ella ne ha fin troppo subite! quella cui sommetterebbesi oggid� non sarebbe che la pi� deplorabile, la pi� fatale di tutte le guerre civili.

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�Abbiamo fede nel patriottismo di coloro i quali hanno fatto l'Italia, che non vorranno distruggere la loro opera gloriosa. Il Re, il Parlamento, milioni di loro concittadini, domandano che posino le armi e rispettino la legalit�; che obbediscano e mettano fine alla pericolosa crisi ov'essi possono eclissarsi in un colla patria loro e si creeranno una forza immensa per l'avvenire!

Se la strana situazione nella quale si trova l'Italia rende la stampa liberale francese indulgente per i proclami del partito dell’impazienza, conviene aggiungere che tutti i veri amici dell’indipendenza italiana hanno approvato il proclama firmato dal re Vittorio Emanuele. Il suo governo, attorniato da tante difficolt� interne ed esterne, ha preso il buon mezzo d’assicurarsi la pubblica simpatia col dichiarare nell'ultima seduta della Camera dei deputati che non farebbe venni colpo di Stato, e chela conservazione dell'ordine nella crisi attuale non nuocerebbe in nulla alla confermazione della libert�.�

Da un lungo articolo del Times togliamo quanto segue;

.... Niuno, per mezzo di un servizio qualunque, sia pur esso eminente, pu� acquistare il diritto di chiedere ad un paese il sacrifizio di se stesso. Il governo d'Italia � legato da un primo e pi� sacro dovere al popolo, con cui ha comuni i destini che nol sia con Garibaldi, o con qualsiasi altro cittadino: ma esso deve questo a Garibaldi, di non agire nel caso suo in fretta e con violenza, e fin tanto che la sua condotta � suscettibile di dar interpretazioni, lasciargli il benefizio che pu� derivargli da un dubbio. Gli spartani non procedettero contro Pausania, infino a che fu impossibile di mettere in dubbio la sua intenzione di tradire la repubblica, e quando fu accusato Soult dinanzi a Napoleone, questi rispose che null’altro avrebbe a memoria che la vittoria di Austerlitz. La politica pronta e vigorosa era a prima giunta impossibile. Era necessario dar tempo a Garibaldi di far passi tali che non lasciassero pi� alcun dubbio riguardo alle sue intenzioni: era altres� necessario per appagare i non pochi suoi amici e ammiratori, che ha cosi nell'esercito come tra personaggi influenti per tutto il paese, che il governo non si poneva

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in un'attitudine di ostilit� contro Garibaldi, fino a che quest'uomo fuorviato gli avesse tolta la scelta Garibaldi non ha probabilit� d’intimidire l'esercito francese fuori di Roma, come intimid� il Borbone fuori di Napoli; fra lui e i Francesi non esiste cordialit� di sorta. Essi non hanno dimenticata la difesa di Roma del 1849; essi tutti provano il disprezzo dei soldati regolarmente disciplinati per le forze tumultose insurrezionali, e molto meno � verisimile che abbassino dinanzi a popolaccio italiano quelle aquile ch'essi portaron senza scrupolo sui cadaveri dei loro proprii concittadini. Se Garibaldi riuscisse ad eludere l'esercito del Re d’Italia, ei correrebbe non a liberar Roma, bens� alla distruzione di se stesso e a quella de'  traviati che lo seguono.

Il Re d’Italia sa queste cose per filo e per segno. Ei sa che nulla pu� rafforzar tanto il possesso della Francia in Roma, e confermare la vacillante opinione della Francia a questo riguardo quanto un tentativo qualsiasi a forza armata. A lui ripugna il vedere i due poteri ai quali ci debbo il trono— l'esercito francese e la insurrezione italiana — in mortale conflitto fra loro colla assoluta certezza che l'elemento italiano vi perir�. Una catastrofe di questa fatta porter� con le animosit� il raffreddamento di amicizie, cui egli, sovra ogni altr'uomo di questo mondo, ha ragione di deprecare. Il partito ultraliberale italiano sarebbe reso odioso per sempre; il Re d’Italia regnerebbe secondo tutte le apparenze, anche pi� che al presente, per la grazia dell'Imperatore dei Francesi, e l’Imperatore acquisterebbe un pretesto, se pur ne cerca uno, per prendere possesso armato di un paese il cui governo � inabile di governare. L'uomo che nulla ha da guadagnare e tutto da perdere colla sua ribellione forsennata non possiamo credere che sia complice.

A questa solenne manifestazione della pubblica opinione si aggiunsero le istanze degli amici di Garibaldi, e dei rappresentanti della nazione. Il 17 Agosto fu tenuta al palazzo Riccardi in Firenze per invito del Marchese Nicolini una riunione di tutti i capi delle diverse frazioni della maggioranza liberale.

Dopo breve discorso dell’egregio sig. Nicolini il quale annunziava, che scopo dell’adunanza era di devenire ad una conciliazione e cos� evitare il pericolo della Guerra Civile,

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presa la parola il deputato Cipriani, per sviluppare un indirizzo da firmarsi concepito da'  suoi amici politici, e da presentarsi al generale Garibaldi onde riponesse la spada nel fodero per sguainarla a miglior tempo.

Quest'indirizzo come disse l'onorevole sig. Cipriani, doveva essere iniziato in Firenze, per norma delle altre citt� d’Italia.

Presero quindi parte alla discussione varii intervenuti, fra i quali il deputato Guerrazzi invitato per telegrafo, l'avv. Puccioni direttore del giornale la Nazione, ed altri. l indirizzo, non trovando favore, fu dal sig. Cipriani ritirato ed invece fu approvata la proposta Martinati, di nominare cio�: una commissione di 7 individui composta di tutte le frazioni liberali onde provvedere al mezzo di avere Roma senza indugio.

L'onorevole Guerrazzi, approvando la proposta Martinati, voleva si ponesse ai voti anche un'altra proposizione e fu questa: che gli Italiani facessero appello al Re affinch� in esecuzione dei plebisciti chiamasse i Rappresentanti della Nazione col suffragio universale, e interrogasse la schietta o sincera volont� del paese, dinanzi alla quale sarebbe stato legale ed onorato per tutti lo aderirvi.

La scelta cadde sui signori avv. Martinati — prof. Pacini — avv. Marazzoli — avv. Carrara — Losavio — Camporeso e Nicolini.

Guerrazzi = Puccioni e Cempini, bench� approvassero la proposta, rifiutarono per� di far parte della Commissione.

La seduta principi� alle 8 e mezzo e termin� alla mezza notte.

Kossuth il gran patriota ungherese, amico di Garibaldi stim� egli stesso suo dovere di scrivergli una lettera piena di saggi consigli.

Anche il poeta nazionale Luigi Mcrcantini, l'autore di quell'inno di Garibaldi, che ha acquistato tanta celebrit�, indirizzava al generale Garibaldi la seguente nobilissima sua lettera che noi togliamo dal Corriere dell’Emilia.

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Illustre generale Garibaldi,

Vi ricordato del giorno che, passando da Genova prima che incominciassero lo gloriose battaglie, mi domandaste l'Inno che preso poi il vostro nome? Or bene: con l'animo commosso e straziato per le sciagure di cui veggo minacciata la patria, io vi chieggo ora una grazia: se per estrema sventura avvenisse che i fratelli combattessero contro i fratelli (rabbrividisco al pensarlo), io vi prego che voi ordiniate che nessuno osi d’intuonare un inno consacrato dal sangue di tanti eroi, morti pugnando contro lo straniero con quella canzone sul labbro.

Mi confido che voi lo farete. Il mio inno dico:

�I martiri nostri son tutti risorti�

ed io in questo momento terribile li veggo rinchiudersi tutti nello loro tombe e piangere; mentre i farisei e gli Austriaci ridono, aspettando ansiosi l'ora del fratricidio. Iddio ci aiuti e salvi la nostra patria.

Bologna, 24 agosto 1862.

LUIGI MERCANTINI

Parecchi membri del Parlamento italiano si recarono presso Garibaldi per tentare di fargli abbandonare i suoi progetti, ma egli per eccesso appunto di patriottismo erasi fatto ribelle alla propria patria.

Nel 10 agosto s'impadron� a Caltanisetta di tutti gli oggetti militari che trovavansi nei magazzini del Governo, cio�: 257 cappotti, 265 paia di pantaloni, 44 paia di scarpe, 310 berretti di fatica, 200 giberne, 6 tamburi, 6 trombe, 6 cassette di cartucce, 22 fucili, mutande, camicie, cravatte nere, gamelle, bidoni, ecc. in una parola tutto ci� che nei magazzini si trovava pel valore di circa L. 14 mila.

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Nella lettera con cui Garibaldi facevasi a chiedere la consegna di tali oggetti al sotto commissario di guerra del presidio, che ho avuto sotto occhio, � detto: che essendo a di lui conoscenza trovarsi nei magazzini e effetti militari appartenenti all’� esercito meridionale, egli li domandava prendendo su di s� e ogni responsabilit� di tale consegna.�

L'impiegato dell’amministrazione militare rispondeva per lettera rifiutandosi alla consegna senza un deciso ordine dei suoi superiori; ma Garibaldi gli rinviava la stessa sua lettera scrivendogli in margine: gli oggetti domandati mi sono indispensabili, (dunque ad ogni costo mi siano consegnati.� A tale intimazione il sotto commissario di guerra recavasi presso Garibaldi e dichiarava di addivenire alla consegna di quanto gli era stato richiesto, solo perch� costrettovi colla forza, protestando contro di ci� altamente. Poi all’atto della consegna redigevasi di tutto un apposito processo verbale segnato da Garibaldi e dal sotto commissario di guerra da cui risultava esplicitamente: 1. il rifiuto del sottocommissario alla prima domanda, 2. la decisa intimazione di Garibaldi, e la consegna fatta suo malgrado dal sotto commissario di guerra perch� a forza costrettovi.

Gi� dal 9 Agosto aveva avuto luogo un leggero scontro fra lo truppe regolari italiane, ed i volontarii di Garibaldi a S. Stefano nei dintorni di Girgenti. Secondo le pi� accreditate versioni di� causa a questo conflitto la richiesta di due soldati disertori fatta dal loro capitano al Colonnello dei volontarii Bentivoglio. Dalle acclamazioni si venne facilmente alle vie di fatto; ma i soldati italiani bench� in numero molto inferiore (erano appena 200) misero in fuga circa mille volontarii.

Il Governo italiano, conosciuta quest'azione energica delle sue truppe, volle immediatamente premiarla accordando la medaglia d’argento del valor militare al maggiore Niccola De Franzino al tenente Monteverdo Battista ed ai carabinieri Francesco Scabarozzi, Michele Checchi, Antonio Lavigno ed Onofrio Battista, quest'ultimo comandante dei cavalleggeri di Rivona. La Gazzetta militare italiana pubblic� nello stesso tempo molte menzioni onorevoli per lo stesso fatto.

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Nello stesso giorno che i suoi volontarii comandati dal Bentivoglio venivano alle mani colle truppe regolari a S. Stefano, l’ex dittatore trovavasi a Rocca Palomba, dove, pronunci� una breve ma violenta arringa contro la Francia, dicendo — Io ho l'appoggio dell’Inghilterra. Ci bisogna Roma ad ogni costo; distrugger� l'Italia che ho fatta avanti di cedere. — Questo discorso veniva pronunciato un giorno dopo che il General Cugia prefetto di Palermo aveva pubblicato il suo primo proclama concepito nei seguenti termini.

Palermitani!

Un sentimento di devozione al Re ed alla patria mi indusse ad accettare il nobile ufficio di reggere la prefettura di Palermo. Nell’adempimento del difficile incarico io mi affido alle vostre virt� cittadine.

Da gran tempo imparai ad ammirare la generosa iniziativa di questo popolo in tutte le patrie imprese, la sua indomabile fermezza, l’abnegazione, i suoi sacrifici. Da gran tempo fui persuaso che la Sicilia, per la sua posizione, per la ricchezza del suo suolo, per l'ingegno de'  suoi abitatori, � destinata ad un avvenire di prosperit� e di grandezza.

Ma per giungere a tal fine era necessario che essa facesse parte della gran patria italiana, con l’ordine, con la sicurezza pubblica e con la buona amministrazione; questo � ci� cui dobbiamo intendere insieme con tutte le forze.

Fatalmente al momento che giungo tra voi, deplorabili illusioni hanno suscitato un'agitazione di cui lo scopo � generoso bens�, e voluto da tutti, ma che si traduce in atti opposti alla legge, e gi� severamente condannati dalla parola del Re e dal voto del Parlamento.

In questa dolorosa circostanza la mia linea di condotta � inalterabilmente tracciata. Far� rispettare la legge.

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Palermitani!

Nativo di un'isola sorella, scendendo in queste rive, mi parve di toccare il suolo natio; e l'affetto mi fa sperare d’intendere i vostri bisogni ed i vostri desiderii. Soldato, mi presento a voi col solo titolo di aver combattuto anch'io per la libert� e la indipendenza nazionale.

Estraneo ai partiti, io invoco il concorso e la cooperazione di ogni ordine di cittadini. La spero da tutti coloro che hanno voluto Italia una sotto la Monarchia costituzionale di Re Vittorio Emanuele e dei suoi successori.

Il Prefetto CUGIA.

Verso il giorno 11 Garibaldi trova vasi a Castrogiovanni, dove vennero alla spicciolata o congiungersi a lui altri volontari, dei quali il numero totale si elevava appena a tremila. Egli tenne quel posto fino al giorno 17 per guadagnare Piazza. Il 16 Menotti con cinquecento uomini travers� Leonforte dirigendosi verso Argiro. Il General Ricotti inviato di recente in Sicilia part� il giorno 18 di Caltanisetta senza colpo ferire con una colonna di truppe, marciando su Castrogiovanni, intanto che il General Mella con un altro corpo armato, stabilivnsi ad Aderno dove convengono le due strade, delle quali l'una porta a Catania l'altra a Messina. Lo scopo di questi movimenti delle truppe regolari era d’impedire l'arrivo dei nuovi volontarii a Catania, e di circondare il nemico onde costringerlo a ceder le armi senza molto spargimento di sangue.

La sera del 15 Agosto Garibaldi sia che avesse compreso l'abilit� e Io scopo di quelle mosse, sia che fosse rimasto commosso dalle suppliche, che una deputazione dei pi� ragguardevoli cittadini di Palermo era venuta a porgergli al suo campo; sembr� per un momento disposto a cedere le armi.

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Lo stato delle sue finanze inoltre, se ne dobbiamo giudicare da due lettere riportate dal Morning Star, delle quali segue il tenore, gli presentava i pi� grandi imbarazzi.

All’editore dello Star.

�Signore.

�Degnatevi, so vi piace, inserir la seguente lettera che ho ricevuta da Garibaldi, e alla quale io rispondo con gioia soscrivondo per mille lire sterline (26,000 f.)

�Io ricever� qualunque altra sottoscrizione.

�Elm House, Senforth, presso Liverpool.

�Londra 21 agosto.�

Palermo.

Caro amico Stuart,

Mi abbisogna per Roma un imprestito di 20,000 lire. (500,000 fr.) Vi spedisco i titoli.

�Io lo dimando all’Inghilterra perch� in Italia l'operazione non pu� farsi oggi senza mettere in pericolo il segreto che � necessario a'  miei piani. Io per� lo far� seguire da un altro imprestito in Italia.

�Ho fiducia che i miei amici in Inghilterra m'aiuteranno in ci�, e sovra tutti, ho fiducia in voi.

Tutto vostro.

G. GARIBALDI

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Per� queste esitazioni avevano uno scopo ben diverso da quello che erasi potuto da principio supporre. Nel mostrarsi disposto ad abbandonare i suoi progetti, ed a scendere a trattative col generale Cugia, era suo scopo guadagnare tempo onde assicurarsi i mezzi di arrivare a Catania, sperando potersi di l� gittare quanto prima nella Calabria.

Questo piano gli riusc� pienamente in grazia del vivo desiderio che avevano i Generali Italiani di terminar la campagna senza effusione di sangue. Entrato Garibaldi a Catania, mentre il Prefetto ne usciva rifugiandosi sulla fregata Duca di Genova, vi proclam� un governo provvisorio di sua scelta. Questo per� fu l'ultimo dei suoi successi, poich� in questo frattempo era stato mandato da Torino il general Cialdini per ricevere dalle mani del general Cugia i poteri militari, non lasciando a quest'ultimo che le attribuzioni civili: L'ammiraglio Persano era sostituito al comando del contro ammiraglio Albini. Nello stesso tempo era decretato dal Governo Italiano lo stato di assedio e notificato il blocco della Sicilia a tutte te potenze. Le acque di Catania erano sorvegliate da due vascelli, mentre un considerevol corpo d'armata avanzavasi per circondare la citt�. La guardia nazionale componevasi in attitudine di energica fedelt� al Governo ad onta che s'adoprassero loro tutti i mezzi per indurla ad unirsi dai Garibaldini nella ribellione. Si tent� perfino di persuaderla che il re Vittorio Emanuele era segretamente d’accordo con Garibaldi. Intanto questo crasi impadronito del telegrafo e delle pubbliche casse, aveva imposte requisizioni di cavalli, di vetture e di fucili, proibitele comunicazioni con coloro che erano fuori della citt� e fatte innalzare numerose barricate. Tutti questi decreti erano emanati dall’ex dittatore — in nome di Vittorio Emanuele re d'Italia in campidoglio.

Cotesti attentati contro l'ordine pubblico e contro l'autorit� costituzionale diedero occasione alle seguenti interpellanze nella tornata del Senato italiano del 20 Agosto.

Il Senatore Giulini interpell� il ministro sulle gravissime contingenze che tenevano agitato il paese. Un cittadino illustre che ha bene meritato del paese, e dal quale � amato, commette un atto che altrimenti non pu� designarsi che col nomo di ribellione.

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Nel suo amore per l'Unit� Italiana, unita che noi tutti desideriamo, temporariamente interpretando l’entusiasmo del paese si incaric� di decidere lo sorti della Nazione.

Il Re ed il Parlamento espressero la loro volont�, ma il generale Garibaldi seguito da alquanti giovinetti pieni di illusioni, persiste nella sua ribellione e mette la Sicilia in uno stato gravissimo.

Una delle principali citt� dell’Isola sarebbe anzi venuta in potere di Garibaldi; io prego il ministro di volerci comunicare quello notizie che egli ha ricevute.

Rattazzi. Il Governo crede che Garibaldi sia veramente entrato in una via di ribellione. Le condizioni della Sicilia sono gravi, ma il Governo ha fiducia di vincere ogni difficolt�.

Io non posso dare notizia esatta perciocch� il telegrafo non trasmise che quella dell’occupazione di Catania fatta da Garibaldi, il quale entrando in questa citt� senza fortificazioni e quasi sguernita di truppe interruppe le relazioni con tutti gli altri punti. Si ebbero vaghe notizie da Messina, ma su queste non pu� fondarsi il Ministero; cionondimeno dir� quanto io solino all’entrata di Garibaldi in Catania.

Garibaldi trovavasi, alcuni giorni sono, a Caltanisetta e non si era certi della direzione che egli volesse prendere. Egli era inseguito da due colonne, quella del generale Ricotti che era lontana dai volontari] di due marcie solamente, e quella del generale Molla che tenevasi sulla strada di Messina, credendo che Garibaldi mirasse a questa citt�. Garibaldi profitt� di tali circostanze e si diresse su Catania dov'egli ha potuto entrare senza difficolt�. Ci� che avvenne di poi � ancora ignoto.

Si sono prese disposizioni perch� le nostre truppe vadano a Catania; la flotta si trova in quelle acque ed impedir�, senz'alcun dubbio, all’insurrezione di propagarsi, ed al generale Garibaldi di passare sul continente.

Ho tutta la fiducia che fra pochi giorni la Sicilia sar� rientrata nella tranquillit� e che ogni stato di ribellione sar� cessato.


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Giulini. Io credo di rendermi interprete dei sentimenti del Senato e del paese, che in queste manifestazioni parziali ha costantemente dimostrato come la maggioranza delle provincie del continente disapprova gli avvenimenti di Sicilia, dichiarando che la nazione non riconosce in alcun cittadino il diritto di mettersi al disopra dello leggi, quand’anche egli avesse reso i pi� grandi servigi al paese.

Propongo per conseguenza l'ordine del giorno seguente:

�Il Senato, convinto che il Ministero agir� nelle gravi circostanze, attuali colla massima energia per far rispettare la legge da chiunque, e lasciare tutta l'integrit� alla dignit� della Corona e del Parlamento, passa all'ordine del giorno�.

Rattazzi dichiara accettare quest'ordine del giorno che conferir� maggior forza al Ministero per agire in conformit� delle leggi o secondo i desiderj della maggioranza della popolazione.

Il Senato adotta all'unanimit� l'ordino del giorno del senatore Giulini.

Il ministro Rattazzi aveva preso le misure opportune anche prima di quest'ordine del giorno votato dal Senato. Convinto dai rapporti che gli erano pervenuti, la societ� emancipatrice italiana residente a Genova essere il centro del movimento insurrezionale che turbava s� profondamente la tranquillit� pubblica, decise ad urgenza di sciogliere questa societ�. Riportiamo il decreto relativo.

Ministro segretario di Stato

per gli affari dell'interno.

Ritenuto che l'associazione politica stabilita in Genova col titolo di Associazione emancipatrice italiana e le altre societ� con varie denominazioni che da quella dipendono o sono in rapporto con essa, hanno in questi ultimi tempi professato tali principii e,

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diffuse tali massime che intendono immancabilmente a compromettere la sicurezza dello Stato; e si adoperano d’altronde con tutti i modi a promuovere una funesta agitazione ed a spingere i pi� avventati ad un'azione che minaccia l'attuale ordine di cose;

Che pertanto corre stretto debito al governo di porre un argine a questi fatti ed a tutta questa opera sovversiva, per la quale appunto si inizi� di recente un procedimento penale a seguito di un manifesto diretto dalla Societ� emancipatrice predetta alle altre associazioni democratiche datato di Genova add� 10 del corrente mese;

Per questi motivi, prevalendosi del diritto che spetta al governo di adottare le misure necessarie per tutelare la sicurezza pubblica, massime nelle attuali straordinarie contingenze, ordinando anche lo scioglimento di quelle societ� onde derivano cosi gravi ed urgenti pericoli;

DECRETA:

Art. 1. La societ� emancipatrice italiana di Genova e tutte indistintamente le sue affiliazioni, qualunque sia la loro denominazione, sono disciolte.

Art. 2. I prefetti e sottoprefetti nelle respettive giurisdizioni sono incaricati dell’esecuzione del presente decreto.

Dato in Torino add� 20 agosto 1862.

 Il ministro

U. RATTAZZI.

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Nello stesso tempo per fare un gran colpo e frenare i trasporti del partito d'azione, dando prova dell’energia del Governo, Tu sottoposto alla firma del re il decreto col quale venivano poste in stato d’assedio le provincie meridionali. Crediamo di non dovere omettere la riproduzione del relativo rapporto presentato al re. e firmato da tutto il consiglio dei ministri.

Relazione a Sua Maest�

SIRE,

Il generale Garibaldi, posti in dimenticanza i doveri del cittadino, ha alzato in Sicilia la bandiera della ribellione. Il Vostro Nomo e quello d’Italia stanno ancora ad illusione dei semplici su questa bandiera, ma non servono pi� che a velare gli intenti della demagogia europea, al servizio della quale egli sembra aver oggi posto il suo braccio e la sua rinomanza.

Il grido di Roma o Morte e le insensate contumelie contro il glorioso Vostro alleato accolte con plauso dai soli nemici della libert� e dell’unit� d'Italia, divengono sulle sue labbra la causa che pi� ritarda il momento in cui, secondo il voto solennemente espresso dalla Nazionale Rappresentanza, la sedo del Governo Italiano sar� stabilita nella Citt� Eterna.

Pertinacemente sordo alla voce del dovere egli non si � commosso al pensiero di accendere la guerra civile in seno alla patria sua; la vostra parola un di si rispettata � stata senza effetto sopra di lui un'azione pi� energica � divenuta necessaria.

I rappresentanti del Governo in Sicilia meno facili ad obliare i servigi resi da questo generale in omaggio ai sentimenti del paese verso di lui, e soprattutto in considerazione della singolare benevolenza onde era onorato da V. M., hanno usato a suo riguardo di una tolleranza che in altri casi sarebbe stata riprovevole.

I mezzi di repressione ordinaria che bastarono ad impedire i tentativi, onde non ha guari fu minacciata a pie' delle Alpi Tirolesi la sicurezza e la pace dell’Italia, sono oggi inadeguati al fine.

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Ora che ogni speranza di ravvedimento � venuta meno, e che la ribellione � aperta, il Governo fallirebbe alla vostra fiducia ed a quella che cogli ultimi suoi voti gli manifestava il Parlamento, ove non proponesse a V. M. di dar forza ai proprii sentimenti e di adoperare tutti i mezzi di cui in virt� delle leggi e per la naturale ragione delle cose l'Autorit� Reale � fornita, al fine di rintuzzare su tutti i punti l'audace rivolta e per instaurare l'impero delle leggi depresse ed oltraggiate in tutta l'isola. Si tratta, o Sire, di serbare incolumi contro tutti i nostri nemici, i principii proclamati nei plebisciti, di assodare la unit� del Regno, e di mantenere aperta all’Italia la via de'  suoi alti destini. Sarebbe colpa il recedere dinanzi alle esigenze di simile posizione. E obbligo indeclinabile dei vostri ministri di provvedere a questi intenti. Gli imminenti pericoli, e l'indole delle offese ond’� minacciata la patria legittimano di per se stessi i provvedimenti che essi sottopongono alla Vostra approvazione. Alzando una bandiera contro la Vostra, armando i cittadini contro le vostre fedeli truppe, il generale Garibaldi si � posto contro Io Stato. Egli e quanti lo seguono si sono messi in aperta ostilit� colla legge, d'onde la necessit� di trattare il paese che occupano come un paese tenuto o minacciato dal nemico. Eppertanto Vi proponiamo, o Sire, di mettere l'isola di Sicilia in stato d’assedio per tutto il tempo in cui vi durer� la ribellione, fino a che le condizioni dell’ordine non vi sieno ristabilite.

Il vostro Consiglio assume francamente la risponsabilit� di questi provvedimenti eccezionali, perch� scorge in essi il modo pi� sicuro di ristaurare pi� prontamente nelle Provincie sconvolte dai ribelli il regno delle leggi e della libert�, come di farvi cessare le terribili ansie cui danno cagione i pericoli e le minaccie della guerra intestina.

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Essi varranno altres�, o Sire, a tutelare la Monarchia rappresentativa che tutti abbiamo giurato di mantenere, a rimuovere un gravissimo ostacolo al compimento dell'Unit� Italiana, ed a rassodare tatti gli elementi della gloria e della prosperit� nazionale.

U. Rattazzi — G. Durando

A. Petitti — R. Conforti

C. Matteucci — Depretis

Di Persano — Quintino Sella.

Il giorno dopo fu pubblicato il decreto ed il general Lamarmora prefetto di Napoli fu investito di tutti i poteri civili e militari nelle provincie meridionali. Appena il detto Generale assunse le funzioni del Commissario straordinario, pubblic� il seguente proclama.

Italiani delle Provincie Napolitane!

Uomini sovversivi associatisi ad una setta fatale all’Italia violando lo Statuto fondamentale del Regno, sprezzando gli ordini del Re e i voti del Parlamento, sotto pretesto di affrettare il compimento della Patria Unit�, hanno riuscito ad accendere la guerra civile nella vicina Sicilia. Garibaldi, loro duce, dopo aver innalzato lo stendardo della rivolta, compromesso una patriottica, ricca, popolosa citt�, abbandonati i giovani inesperti ed illusi che seco avea tratti, si � gettato sul continente e minaccia travolgere nell'anarchia anche queste Provincie; il Governo ha il sacrosanto dovere di salvare il paese da simile sciagura, di mantenere incolumi i diritti della Corona ed impedire che siano compromessi i principii consacrati dallo Statuto e dai Plebisciti; il Governo ha quindi il diritto di valersi di mezzi eccezionali per soffocare la rivolta ovunque si manifesti.

In virt� pertanto dei pieni poteri statimi conferiti con Real Decreto del 20 corrente, dichiaro:

1. Il territorio delle sedici Provincie Napolitano ed Isole dipendenti � posto in istato d’assedio;

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2. I Generali comandanti le divisioni o zone militari riuniranno nei limiti delle rispettive circoscrizioni territoriali i poteri politici e militari;

3. Qualunque attruppamento fazioso o riunione tumultuante saranno sciolti colla forza;

4. Tanto l'asportazione quanto la detenzione non autorizzata d’armi d’ogni specie sono vietate sotto pena d’arresto, ed i detentori dovranno perci� farne la consegna entro tre giorni dalla pubblicazione di quest'ordinanza al rispettivo od al prossimo Comando militare;

5. Nessuna stampa, pubblicazione o distribuzione di giornali fogli volanti o simili pu� aver luogo senza una speciale autorizzazione dell’Autorit� politica locale, la quale avr� inoltre facolt� di sequestrare, sospendere o sopprimere qualsiasi pubblicazione;

6. La presente ordinanza sar� immediatamente pubblicata nei luoghi e modi soliti per tutte le predette Provincie.

Cittadini!

Questi temporanei eccezionali provvedimenti non isvieranno il corso regolare della giustizia, ne incagleranno menomamente l'andamento della cosa pubblica e dei privati interessi, ma colpiranno soltanto i cospiratori e perturbatori che troppo fin qui abusarono delle nostre franchigie; non dubito che le Guardie Nazionali tutte penetrandosi dell’alta loro missione, pi� ardua e pi� importante, quanto pi� sono gravi le condizioni del Paese, sapranno compierla con quella divozione ed abnegazione di cui diedero gi� si luminose prove. Confido finalmente che tutti saranno meco persuasi essere questo nella presente dolorosa situazione il solo mezzo di sortire dai pericoli che ci circondano e di giungere pi� prontamente alla meta cui tutti aspiriamo.

IL COMMISSARIO

delle Provincie Napolitane

ALFONSO LA MARMORA

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La notizia della proclamazione dello stato d’assedio in tutte le provincia meridionali produsse nelle popolazioni un effetto favorevolissimo. In moltissime citt� l'ordine pubblico era stato turbato dalle manifestazioni del partito d’azione colle grida di Roma o morte. Anche a Napoli da principio tranquilla incominciarono le agitazioni.

Una dimostrazione aveva avuto luogo al teatro dei Fiorentini il giorno 11 Agosto. Era stato domandato l’inno di Garibaldi, e mentre questo veniva eseguito dall’orchestra, si videro piovere dall’alto della sala infinite cartoline col ritratto dell'ex dittatore, e col motto — Italia e Vittorio Emanuele a Roma con Garibaldi! — Il partito d’azione aveva intenzione rinnovellare queste dimostrazioni, ma il general Lamarmora lo prevenne pubblicando un energico proclama seguito dal seguente ordine del giorno.

Relazione del maggiore Pozzolini a S. E. il

generale La Mormora.

Eccellenza,

Il 16 o 17 agosto il deputato Fabrizi alle 4 circa del mattino tenne nel mio uffizio in Adorno, domandandomi un salvacondotto per s� e per il suo segretario onde poter oltrepassare i nostri avamposti sulla strada verso Regalbuto. Risposi che le comunicazioni non erano interrotte, e che passando tutti quelli che erano armati, egli pure non avrebbe incontrata difficolt�.

Nella notte che Garibaldi entr� in Catania, io dietro i concerti presi col generale Mella, attraversai tutta la colonna dei garibaldini onde recarmi in Catania per corrispondere anche una volta con Palermo e fare uscire tutte le truppe che si trovavano in Catania.

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AI mio escire fui arrestato e condotto da Garibaldi,

Trovai l'anticamera piena di volontarii in camicia rossa e parecchi deputati vestiti in borghese: vi riconobbi Mordini e Fabrizi.

Al mio uscire dalla stanza dove stava Garibaldi con cui ebbi un colloquio che non riferisco perch� lo reputo inutile, Mordini e Fabrizi fra gli altri m'indirizzarono la parola.

Io continuai a parlare con Mordini degli affari del giorno, della fatalit� di una guerra civile, dei mezzi per evitarla.

Dissi a Mordini che io sapeva che individui del suo partito politico eccitavano i soldati alla diserzione, che se questa fosse accaduta, non reputava possibile la dissoluzione dell’esercito, e che in ogni caso questo risultato sarebbe stata la pi� grande sventura nazionale.

Mordini mi rispose che essi non eccitavano i soldati alla diserzione, ma che nello stato attuale delle cose o il governo cedeva, o l'esercito andava in dissoluzione.

Dopo pochi momenti, di nuovo introdotto da Garibaldi, fui messo in libert�, e ne approfittai per raggiungere in Misterbianco il generale Mella.

Dopo un'ora circa fu annunziata una deputazione che veniva da Catania, ed io, dietro invito del generale, fui presente al ricevimento di quella deputazione.

Essa era composta di 8 o 10 deputati al Parlamento nazionale, fra i quali Fabrizi, Mordini, Cadolini, Battaglia: non credo vi fosse Calvino.

Mordini prese pel primo la parola, e disse che essi deputati al Parlamento nazionale venivano, non mi ricordo bene, se a pregare, consigliare o invitare il generale Mella a non attaccare la citt� di Catania, onde evitare il disastro di una guerra civile nelle mura di una popolosa citt�.

Il generale Mella rispose che egli non attaccava la citt� perch� egli non ne aveva ricevuto l'ordine, e che in ogni caso la responsabilit� dei disastri sarebbe caduta su chi violava le nostre leggi e si atteggiava a nemico del governo e del Re.

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Parecchi deputati, Cadolini fra gli altri, presero la parola; Mordini poi disse non volere in quel momento fare una questione politica; solo scopo della loro missione esser quello di evitare lo spargimento di sangue.

Risposi io a Mordini che nessuno in quel momento voleva sollevare una questiono politica. Essi quantunque deputati, non avere in quel momento nessuna importanza governativa o politica superiore a quella di qualunque altro cittadino, poich�, quantunque fossero 8 o 10 deputati, il Parlamento � unit� che non ha frazioni, ed il generale Mella dal canto suo null'altro compito aveva che obbedire agli ordini che avesse ricevuto, qualunque essi fossero.

Seguitando poi il colloquio da solo a solo con Mordini, ritornai sulla sua ipotesi dello scioglimento dell’esercito.

Gli dissi che eccitando alla diserzione qualche soldato non facevano che rovinare l'esistenza di un individuo, ma che l’esercito nel suo insieme rimarrebbe compatto contro qualunque seduzione, e che le sue asserzioni di poche ore fa non si sarebbero avverate.

Mi rispose Mordini ch'egli non desiderava lo scioglimento dell’esercito, ma che il governo piegasse, che Garibaldi voleva evitare qualunque combattimento con l'esercito, ma che credeva che vi sarebbe riuscito.

La deputazione part�: dopo non ho pi� veduto Mordini.

Il maggiore di stato maggiore

G. POZZOLINI.

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Relazione del generale Arborio Mella.

Eccellenza,

In adempimento all’invito nel telegramma del 9 corrente di V. E., diretto a questo sig. prefetto, mi onoro farle conoscere come il giorno 16 caduto agosto trovandomi in posizione con le mie truppe in Adern�, nella sera vi si fermassero varii deputati, fra i quali intesi nominare Mordini e Fabrizi, che reca vansi al campo di Garibaldi presso Regalbuto; essi s'intrattennero con borghesi ed ufficiali, quindi nella notte partirono. Nella mattina susseguente numero 14 ufficiali del 4 reggimento diedero la loro dimissione, e ci� mi fece meraviglia, giacch� i savi ragionamenti tenuti dal loro colonnello impedirono fino a quel giorno gli ufficiali di quel reggimento a seguire il mal esempio di 16 ufficiali del 3 che il giorno prima facevano eguale domanda.

Il mattino del 19 pure agosto, mentre la mia colonna marciava su Catania inseguendo quella di Garibaldi, che di poche ore mi precedeva ed era gi� entrata in citt�, il sig. Fabrizi mi fe' chiedere di lasciargli depassare la testa della mia colonna annunziandosi nella qualit� di deputato al Parlamento. A tutta prima risposi negativamente; avendo poi il medesimo insistito, gli accordai di passare solo; al che egli rispose esser in compagnia del suo segretario e da questo non volersi dividere, e che in ogni modo se ne rendeva risponsabile. In questo frattempo la mia colonna entrava in Misterbianco, ed io accordava a quel deputato e suo segretario di proseguire celermente la loro strada per Catania.

In quella stessa mattina, 19 agosto, mentre con la mia truppa io aveva preso posizione a Misterbianco, venne da me una deputazione di varii signori, in numero dagli otto ai dieci, qualificandosi deputati al Parlamento ed aventi la medaglia di distinzione, per� protestando non esser dessi riuniti in modo ufficiale, ma solo al buon fine d’evitare grave danno

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alla citt� di Catania, venivano a scongiurarmi acci� volessi risparmiare l'attacco di viva forza contro la citt� dove i garibaldini da poche ore vi stavano e gi� costruivano le barricate.

Qualcuno di questi signori (di cui non conosco il nome) mi mosse lagnanze per parte di Garibaldi, perch� io aveva arrestato circa un centinaio dei suoi rimasti indietro nella maggior parte ragazzi e disarmati, dicendomi che il Garibaldi avrebbe usato meco di rappresaglia ritenendo i bagagli e le persone che dentro Catania si trovano in quantit�, ed avrebbe impedito l'uscita ai viveri; mandai quindi liberi tutti gli arrestati, e dalla citt� non venne data alcuna molestia alle persone: venne accordato il passaggio ai bagagli, ed i viveri furono somministrati alta mia truppa dal commissario di guerra locale.

E a mia conoscenza che mentre il maggiore di stato maggiore sig. Pozzolini si trovava in Catania per mio ordine, fu chiamato presso Garibaldi, ed in un colloquio col deputato Mordini, riferendosi alla posizione acquistata in Catania dai ribelli, gli disse:� Al punto in che ora stanno le cose, o che il Governo � con noi, o l'esercito si scioglie.�

Questo � quanto io posso dire in ordine allo invito fattomi dall’E. V.

Il generale

ARBORIO MELLA

Pochi giorni innanzi che fosse pubblicato quest'ordine del giorno era accaduto a Napoli un gravissimo fatto; cio� l'arresto ordinato dal generale La Marmora dei due deputati al parlamento italiano Mordini e Fabrizi. La loro improvvisa partenza da Torino per Palermo subito dopo pubblicato il proclama reale, la dimostrazione ostile al governo avvenuta in Palermo subito dopo il loro arrivo, la loro presenza in Catania nei giorni 14 e 15, e la loro riapparizione a Napoli in coincidenza dello stesso sbarco di Garibaldi in Calabria che noi siamo per narrare,

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infine la loro intimit� coll’ex dittatore congiunta colle note loro opinioni politiche, tutte insieme queste considerazioni fecero decretare dal Generale Lamarmora l’arresto dei due deputati nel tempo che vigeva lo stato d’assedio. Certo l’arresto di duo persone inviolabili, come sono i rappresentanti della nazione, era un fatto gravissimo, che solo una ragione poteva giustificare, cio� la pubblica salute. Le circostanze parvero senza dubbio tali al Gerale Lamarmora ma vivissimi reclami furono indirizzati da vari deputati al presidente della Camera elettiva, protestando contro codesto disprezzo dell’inviolabilit� dei rappresentanti della nazione. Citiamo testualmente la protesta come la risposta del presidente della Camera il Barone Tecchio.

Onorevolissimo Sig Presidente

della Camera dei Deputati,

Dopo l'arresto dei deputati Fabrizi e Mordini, si sparse la notizia di altri arresti eseguiti o ordinati di membri della Camera; e qualche giornale di Napoli annunzia ben anche che si minacci di assoggettare i due primi al giudizio di un consiglio di guerra.

�I sottoscritti dolorosamente sorpresi da tali nuove, e pi� ancora dal silenzio del Ministero, il quale mentre l’opinione pubblica � agitata dal timore che la inviolabilit� costituzionale dei membri del Parlamento non sia rispettata, tace tuttora e lascia ignorare in che consistano specificatamente i fatti criminosi nella cui flagranza quei rappresentanti della nazione si pretendono caduti in arresto, credono adempiere ad un comune dovere, rivolgendosi, senza distinzione di parti politiche, al presidente della Camera, acci�, per la dignit� dell’Assemblea ed a tutela delle sue prerogative e garantie, si compiaccia di scrivere ai ministri dell’interno e della giustizia, richiedendo dai medesimi precisi schiarimenti sopra avvenimenti di cotanta importanza.

�Torino, 1 settembre 1861. �

(Seguono le firme di 29 Deputati)

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Risposta dell’onorevole Presidente della Camera commendatore Tecchio:

Torino 5 settembre

Onorevole Signore,

�Oggi, verso le ore 6 pomeridiane, mi fu consegnato uno scritto, colla data del primo corrente, firmato dalla S. V. e da altri 28 deputati, a ciascuno dei quali reputo opportuno di dirigere la presente.

�Non appena veduto il telegramma che annunzia l’arresto (27 agosto) dei deputati Mordini e Fabrizi, mi recai presso il Presidente del Consiglio dei ministri, e gli chiesi la cagione di un fatto s� doloroso. Codesta domanda io feci di mio proprio moto, — senza solennit� di formo o di titoli, — come deputato che non pu� non avere a cuore la sorte de'  suoi colleghi, — come deputato cittadino che non pu� non essere geloso dei diritti consacrati negli articoli 26 e 45 dello Statuto.

�Il presidente del Consiglio, dopo avere accennato che egli non crede che a tenore dell'articolo 45 la prerogativa dei deputati si possa invocare nel tempo della proroga della sessione della Camera, mi rispose che il generale Lamarmora, regio commissario straordinario, aveva decretato quell'arresto per essere stati colti i deputati Fabrizi e Mordini in flagrante reato. Non ispecific� propriamente l'indole del reato ed i caratteri della flagranza: nondimeno, e parlando e tacendo, mi diede abbastanza a conoscere che si trattava di partecipazione o complicit� negli ultimi moti dell’altro nostro collega, il generale Garibaldi. — Posto ci�, non mi rimaneva ad esprimere salvoch� il desiderio e la speranza che le sinistre apparenze al pi� presto si dileguassero.

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� Della mia domanda e dell’avuta risposta non tenni mistero. Comunicai l'una e l'altra ai varii deputati che. negli scorsi giorni mi interrogavano se nulla io sapessi di detto arresto: tra gli altri, le comunicai a non pochi degli onorevoli che sono firmati allo scritto test� consegnatomi.

�Questa mattina ho mosso eguale domanda, ed ebbi eguale risposta in quanto al recente arresto del deputato Calvino.

�Ora la S. V., con 28 onorevoli colleghi, accennando all’arresto dei deputati Fabrizi e Mordini, alla corsa notizia di altri arresti eseguiti ed ordinati di membri della Camera, e all'annuncio dato da qualche giornale che si minacci di assoggettarne alcuni al giudizio di Consigli di guerra, si rivolge al Presidente della Camera, acci� per la dignit� dell’assemblea, e la tutela delle sue prerogative e garentie, si compiaccia di scrivere ai ministri dell’interno e della giustizia, richiedendo dai medesimi precisi schiarimenti sopra avvenimenti di cotanta gravit�.

�Mi stimo in debito di notare:

�Che, a mio avviso il Presidente della Camera non ha veste o dritto di parlare e scrivere �i ministro in nome della Camera, quando questa non abbia deliberato sulla materia;

Che, giusta il regolamento, il Presidente non pu� portare la parola in nome della Camera se non in conformit� del sentimento dalla medesima espresso (articolo 10);

�Che giusta lo Statuto, ogni riunione ed ogni deliberazione della Camera durante la proroga della Sessione tornerebbe illegale e nulla (articolo 49);

�Che quindi mi sarebbe attualmente impossibile di provocare dalla Camera una deliberazione sulla materia a cui riguarda lo Scritto dei 29 onorevoli deputati;

�Che, d’altro canto, non oserei sostenere che i 29 soscrittori (per quantunque autorevoli) costituiscano una rappresentanza morale della Camera: massimech� parecchi altri deputati sono in Torino; e questi allo Scritto non diedero il loro nome; ed anzi mi consta di taluno che, invitato a firmarlo, si rifiut� per rispetti di prudenza politica e d’ordine parlamentare;

956

�Che siccome tutti abbiamo sacra ragione e supremo interesse di esigere che il potere esecutivo si mantenga ne' limiti delle sue attribuzioni a seconda dello Statuto, cos� anche il Presidente della Camera dee ben guardarsi dall’arrogare a se stesso una facolt�, o dall’assumere una funzione che lo Statuto non gli concede;

�Che procedendo altrimenti, io temerei di esporre il Presidente della Camera (non parlo della mia persona � al pericolo che i ministri gli dessero una lezione di diritto costituzionale, della quale, per verit�, si deve supporre che il Presidente non abbisogni.

�Ma se codeste ragioni mi disconsigliano dallo aderire ufficialmente e nel carattere di Presidente al voto dei 29 onorevoli io. scrittori, la coscienza mi all'erma che essi, non meno d’ogni altro, devono esser certi che non desister� da quelle istanze officiose che meglio possano giovare alla dignit� dell’Assemblea ed alla tutela delle sue prerogative e delle sue guarentigie, intento comune e di tutti i deputati e dell’Italia che tutti abbiamo l'onore di rappresentare.

�Duolmi di non aver potuto sentire la opinione degli egregi miei colleghi dell'uffizio di Presidenza, de'  quali non sono presenti in Torino se non i signori Poerio e Massari, gi� firmati allo scritto. La opinione dell’uffizio mi sarebbe di grande conforto nelle difficili contingenze di questi giorni.

�Del resto, sar� mia cura di notificare agli onorevoli deputati gli schiarimenti o i ragguagli che mi venissero forniti dai signori ministri intorno alla materia che tanto ci preme.

�Gradisca la S. V, i sensi del mio ossequio.

�S. TECCHIO.

957

In somma il governo preoccupavasi gravemente di mostrarsi innanzi alle potenze europee completamente opposto ai progetti di Garibaldi. I dispacci diretti dal Presidente del Consiglio dei Ministri al Prefetto di Palermo manifestano quale fosse l'intimo pensiero del governo italiano. Li riportiamo fedelmente.

Al Prefetto di Palermo, 16 giugno.

Ricevuto di lei lettera 9 corrente e dispaccio. Usi la necessaria energia prevenire ogni disordine e non dubiti che sar� approvato. Per Pantelleria s'intenda colf autorit� militare per inviare la forza sufficiente a reprimere.

Temo che ai partiti avversi si aggiunga quello d’azione, � indispensabile che sia sorvegliato e quando occorra contenuto.

Firmato U. RATTAZZI

Al Prefetto di Palermo, 16 giugno.

Medici accetta comando guardia nazionale. Partir� fra tre o quattro giorni. Non dubitate che nei provvedimenti energici troverete ogni appoggio.

Firmato: U. RATTAZZI.


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958

Al prefetto di Palermo 10 luglio.

Il governo � dolente del discorso di Garibaldi contro l’Imperatore, e non comprende come le autorit� locali abbiano assistito senza nulla osservare, trattandosi di un'offesa diretta contro il capo di una nazione alleata. Attendo da lei pi� precisi ragguagli per vedere ci� che dovr� farsi. Quanto agli arruolamenti di cui si parla, mi sembra che non dovrebbero occorrere istruzioni. La legge non permette ad alcuno di fare arruolamenti il cui dritto spetta esclusivamente al Governo. A lei, come a tutti i funzionarii, incombe lo stretto dovere di far rispettare la legge, ed impedire che venga in qualunque modo violata.

Firmato: U. RATTAZZI.

Al prefetto di Palermo 14 luglio.

Faccia sequestrare il numero dell’Unit� Italiana che riferisce il discorso di Garibaldi contro i' imperatore: uguale sequestro dovr� ordinarsi contro gli altri giornali che per avventura stampassero lo stesso discorso.

Firmato: U. RATTAZZI.

Al prefetto di Palermo 14 luglio.

Si concerti coll'autorit� militare e provvedano in modo

efficace a che in qualunque evento nella temuta dimostrazione di domani resti forza alla legge.

Firmato: U. RATTAZZI

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Al Prefetto di Palermo 22 luglio.

Non pu� esitarsi a promuovere il processo per gli arruolamenti se ve n'� materia: � questo un dovere indeclinabile dell’autorit� giudiziaria. Non credo che questo processo possa dar luogo a disordini, in ogni caso il ministro della guerra invier� cost� un rinforzo di truppe per qualunque evenienza.

Firmato: U. RATTAZZI.

Al prefetto Deferrari a Palermo e al prefetto

di Trapani.

Torino, 27 luglio.

In vista delle voci che corrono di prossime spedizioni per Roma, sar� conveniente ch'Ella pubblichi un proclama nel quale dica essere informato il Governo di queste mene e sentire l’obbligo di prevenire gl'illusi, che si useranno tutti mezzi per impedire che si comprometta cos� l’ordine pubblico. Intanto se Ella scorger� che realmente si tenti di fare un imbarco per le coste pontificie od in qualunque modo per recarsi nel territorio ora soggetto al Papa, converr� che cerchi ogni via per opporvisi. Quando non si potesse impedire l'imbarco, la nostra flotta dovr� esserne tosto avvertita, affinch� arresti le navi.

Firmato U. RATTAZZI.

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Il prefetto reggente rispondeva che la pubblicazione del proclama temeva potesse dar luogo a gravi inconvenienti. E il Ministero gli telegrafava cos�:

Torino, 28 luglio,

Al prefetto reggente Palermo

Se crede poco conveniente proclama nel senso indicato, ae no astenga: ma necessaria somma vigilanza: come pure si deve impedire ogni imbarco d’uomini armati.

Firmato: U. RATTAZZI.

In riscontro, il prefetto Deferrari mandava il seguente dispaccio:

Non manca n� energia, ne risolutezza, ma sommetto che ordinando arresti incontreremo urti e resistenza assai forte e far� bisogno venir all’uso delle armi con molto spargimento di sangue. Domando mi si dica netto se ho da spingere le cose a questo estremo.

DEFERRARI

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Ora che conosciamo la volont� decisa del governo e lo spirito che animava f armata italiana, torniamo a Catania presso Garibaldi, la cui posizione diveniva ad ogni istante. pi� critica, circondato com'era da parte di terra dalle due colonne dei generali Molla e Ricotti, e sorvegliato da quella di mare dalla squadra del contrammiraglio Albini, della quale aveva preso comando l'ammiraglio Persano, e che componevasi del re galantuomo vascello di linea, della pirofregata Duca di Genova in stazione a Catania e delle corvette Cristina Zeffiro Aurora e Valoroso poste fra Termini e Cefal�, della pirocorvetta 5. Giovanni a Girgenti, della pirofregata Maria Adelaide, e dei brigantini Colombo Eridano Daino a Palermo, e della pirofregata Vittorio Emanuele, Italia e Garibaldi fra Catania e Scaletta. Sarebbesi potuto credere che Garibaldi vedendosi cos� circondato fosse per cedere le armi, ma l'eroe di Marsala non aveva ancora esaurite tutte le sue risorse. Nella notte del 23 Agosto egli s'impadron� di due battelli a vapore delle poste francesi che trovavansi nel porto, ed usc� con essi da Catania. Le du�fregate Duca di Genova e Vittorio Emanuele che avrebbero potuto chiudergli il passo, esitarono a causa della bandiera francese inalberata sulle navi fuggitive. Fu telegrafato a Torino per sapere se dovevasi in tal circostanza adoperare la forza. Ii ministro della guerra rispose immediatamente a questa domanda con un dispaccio fulminante che ordinava d’impadronirsi dei due vapori ad ogni costo. Ma allorch� questo dispaccio pervenne olla flotta, Garibaldi trovavasi gi� lontano. I comandanti delle due fregate furono messi agli arresti e la Gazzetta Ufficiale pubblic� la seguente nota.

Nella sera di ieri l'altro (24 corrente) Garibaldi s'impossess� di due vapori postali che erano nel porto di Catania, fi' imbarc� sopra i medesimi con una parte dei suoi volontari lasciando il grosso della sua banda in Catania. Egli ne part� malcontento e sfiduciato perch� la popolazione catnnese non gli si era mostrata favorevole, non gli diede aiuto e danaro, e tutte le persone notabili se ne erano fuggite.

Nel porto di Catania si trovavano in quella sera le due fregate il Vittorio Emanuele e il Duca di Genova.

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Il Governo non sa ancora positivamente come sia avvenuto che i comandanti di queste duo fregate non abbiano impedito l'imbarco di Garibaldi dopo gli ordini precisi ed assoluti che si erano dati per questo oggetto. Il Ministro della Marina nel giorno successivo ha fatto immediatamente arrestare quei due comandanti, ordinando la loro traduzione a Genova affinch� sieno sottoposti al Consiglio di guerra.

Il Governo � deciso di procedere con la pi� grande severit� e far applicare indeclinabilmente la pena contro coloro che risulteranno colpevoli di avere trasgredito gli ordini ricevuti.

Ieri mattina (25) le truppe occuparono tosto la citt� di Catania e fecero prigionieri circa 800 dei volontarii che erano rimasti e che non si poterono sbandare. Cos� anche in Catania come in tutta l'isola � ora perfettamente ristabilita l'autorit� del Governo del Re.�

Fu creduto da principio che i due comandanti delle fregate che erano di stazione a Catania fossero d’accordo con Garibaldi ma dall’inchiesta che se ne fece, risult� dipoi che il solo rispetto alla bandiera francesi; che portavano i due vapori postali, li fece esitare e favor� cos� la fuga dei Garibaldini. Stimiamo indispensabile al corso della nostra storia di riprodurre il deposto dal Capitano del vapore L'Abatucci, che porta gran luce su di un (atto che sembr� da principio cinto di tenebre e di mistero.

Partii da Messina il 22 agosto 1862 a mezzogiorno. A cinque ore della sera arrivai nella rada di Catania. Allorquando passai vicinissimo alla fregata italiana il Duca di Genova, ancorata nella rada suddetta, vari ufficiali sulla sua dimetta mi fecero segno di fermarmi. Obbedii tosto. Un momento dopo un canotto si stacc� dal suo bordo con un ufficiale. Giungendo vicino a me, l’ufficiale mi chiese se non avessi nessuna lettera per il suo comandante. Gli dissi che non avevo alcuna lettera particolare, ma che io era un battello postale, che quindi avea a bordo i dispacci, le valigie, merci e passeggicri. L'ufficiale mi fece segno di continuare il mio cammino.

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Un momento dopo io detti fondo nel porto di Catania. Durante tutto il mio soggiorno in questo porto, mi si lasci� tranquillissimo; nessun sospetto era sorto nel console o nell’agente della compagnia Valery. Nondimeno sapendo che la citt� di Catania era occupata dai garibaldini, io mi consegnai a bordo con tutto l’equipaggio.

All'indomani, domenica, un'altra fregata italiana la Maria Adelaide arriv� nella rada. In quello stesso mattino a sci ore uscivo dalla mia camera, allorch� vidi il vapore il Dispaccio con delle sentinelle garibaldine a bordo.

Questo battello era entrato nel porto all’alba del giorno e per conseguenza lo credetti noleggiato da Garibaldi. Nel mattino stesso per� seppi che quel battello era stato sequestrato da Garibaldi e senza occuparmi d’altri dettagli mi disponeva a partire al mezzogiorno.

Verso dieci ore del mattino, Garibaldi usci dal piccolo forte con un'imbarcaione del paese, pass� vicino al Dispaccio, parl� a varii de'  suoi ufficiali che stavano a bordo dello stesso e poscia si diresse in rada prendendo la direzione della fregata inglese.

Verso undici ore del mattino, nel momento in cui il mio equipaggio virava sull'ancora, avendo terminato l'imbarco delle mercanzie e dei passeggieri, io diedi ordine al macchinista di prepararsi. Non attendeva pi� che il mio agente ed i dispacci, quando in un momento vari ufficiali e sessanta garibaldini si presentarono lungo il bordo per invadere il mio battello. Io feci tosto issare la mia bandiera nazionale al grand’albero, malgrado che ne avessi gi� un'altra alla poppa, ed impedii loro di montare a poppa.

Nel medesimo momento, malgrado la resistenza del mio. equipaggio, uno degli ufficiali portanti le insegne di colonnello, forz� la consegna senza voler rispettare la bandiera, e d’un solo salto mont� a bordo dicendomi, in presenza di tutto il mio equipaggio e di tutti i miei passeggieri, che per ordine di Garibaldi veniva ad impadronirsi del mio battello, impedendo l'operazione degli apparecchi, dovendo il battello restare a suoi ordini.

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Io feci un moto di resistenza, ma l'ufficiale mi rispose di non lasciarmi trasportare dalla collera, giacch� esso aveva ordine d’impiegare la forza contro la minima resistenza per parte mia. Nello stesso momento diede l’ordine ai suoi volontari di montare a bordo e poso sentinelle dappertutto, fin'anco nelle macchine.

Fui tosto ad avvisare il mio console, accompagnato da un ufficiale di Garibaldi per sorvegliarmi. Arrivando presso del console, l’ufficiale mi lasci� alla porta e mi aspett� nella contrada.

Tosto dinanzi al mio console feci una protesta per iscritto, ed il console me ne rilasci� una ricevuta. Il console scrisse subito una lettera a Garibaldi e questi mand� una risposta che il console conserv� e di cui ignoro il contenuto. Dopo di ci� uscii. seguito da principio dall’ufficiale.

Nel corso della giornata un canotto eho io ho supposto del porto, portante bandiera italiana di guerra alla poppa, sort� dal porto dirigendosi verso la rada. Supposi che il canotto andasse a prevenire i comandanti delle fregate dell’invasione del mio battello per parte dei garibaldini. In questo momento tentai di sortire con uno de'  miei canotti, ma le sentinelle che avea a bordo ed i battelli carichi di volontari che giravano nel porto, m'impedirono di metterlo in mare. Ho sempre conservato il mio segnale di soccorso al grand’albero affinch� le fregate potessero vederlo: le fregate, che dal mattino si tenevano sotto vapore facevano delle evoluzioni in tutta la rada.

Verso le quattr'ore della sera una di esse, il Duca di Genova, venne a collocarsi all’imboccatura del porto ad una distanza di circa cinquecento braccia e lasciando rinculare dritto al vento il suo albero di poppa bordato. La fregata rest� in quella posizione circa una mozz'ora, e potei osservare in questo frattempo varii ufficiali sulla dunetta con dei binoccoli che stavano riguardando a tutti i movimenti che si facevano allora nel porto. Dopo ci� and� a raggiungere l'altra fregata.

In questo momento Garibaldi ed i suoi volontarii aveano gi� invaso la strada del porto e le barche dei bagni di mare e da ogni parte si sentiva musica, dimostrazioni, acclamazioni da tutta la popolazione:

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— Viva Garibaldi La gran gettata del porto ed il forte in demolizione erano invasi dalla popolazione, il mio segnale di soccorso sempre issato al grand’albero ed il mio battello posto quasi a mezzo il porto, e, lo ripeto, la bandiera al grondo albero potevasi distinguere in due leghe di fuori al largo. Era la sola che sventolasse nel porto. Gli ufficiali di questa fregata erano in situazione da distinguere i movimenti dei garibaldini; ma nessuno volle vederli.

A sei ore di sera, un officiale di Garibaldi, colonnello di grado, venne ad annunciarmi che da quel punto egli prendeva il comando del mio piroscafo, e che senza suo ordine non si doveva far cosa alcuna. Pochi istanti dopo, il battello che difficilmente pu� trasportare 600 uomini, fu invaso da 2000 volontarii all’incirca.

Nel momento dell’imbarco (erano le 6 della sera) la detta fregata continuava a dirigersi verso il porto, e venne a collocarsi assai dappresso. Dopo di che tutte e due si diressero di conserva fuori del golfo di Catania.

Alle 11 di sera, dopo l'imbarco dei volontarii, l'ufficiale mi. fece salire sulla passerella accompagnato da lui e da qualche soldato; e mi ordin� di prepararmi alla partenza. Io gli risposi che, in mezzo a due mila uomini che e' erano sul ponte, erami impossibile trovare i marinai, che non erano che nove. A questa mia risposta egli ordin� ai volontarii di girare il bordo.

L'ancora fu bentosto levata. Egli mi ordin� di mettere la macchina in movimento ed io dovetti obbedire. Il macchinista, che egualmente era sorvegliato dai volontarii, obbed� immediatamente, e ci ponemmo in cammino. Dopo alcuni secondi io arrestai la macchina.

Per� tutti i volontarii di Garibaldi non poterono trovar posto sui due vapori. Pi� di ottocento rimasero a Catania, dove furono fatti prigionieri appena vi entrarono le truppe regolari, e rinchiusi poi in pi� fortezze dei dintorni. Un piccolo numero giunse a fuggire internandosi su due piccole navi che tentarono invano di approdare a Reggio, cannoneggiato com'erano dalle fregato che sanzionavano in quei paraggi. Garibaldi con i suoi due vapori sopraccaricati di tanti volontarii,

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quanti avevano potuto contenerne, approd� sulla spiaggia di Melito nella provincia di Reggio la sera del 25 Agosto. La mattina del successivo giorno 26 si mise in movimento cogli uomini che gli rimanevano verso Aspromonte.

Alla notizia della fuga di Garibaldi dalla Sicilia il partito di aziono tent� di fare una dimostrazione a Messina, ma il General Cialdini che vi era arrivato nella mattina, fece pubblicare il seguente ordine del giorno:

Il generale d’armata regio commissario straordinario per te provincie siciliane ai comandanti delle divisioni e sotto divisioni militari ed ai comandanti di corpi di truppa.

Avendo notizie di bande armate che ancora percorrono le campagne della Sicilia e delle Calabrie, avanzi della spedizione di Garibaldi, ovvero malviventi che coprono, con apparenza d’intendimenti politici, malvagi propositi, ho preso i necessari concerti col commissario straordinario per le provincie napolitano, e porto ora a conoscenza della S. V. le seguenti determinazioni, che Ella si compiacer� di far tosto pubblicare per mezzo de'  sindaci in tutti i Comuni posti nel territorio del suo comando, ovvero nei quali le venga fatto di prendere stanza.

Art. 1. Tutti coloro che saranno presi vaganti ed armati nelle campagne e nei villaggi senza che possano giustificare la loro presenza in quei luoghi, saranno considerati e trattati come briganti.

Art. 2. Gli avanzi delle bande Garibaldine saranno considerati come prigionieri di guerra, e come tali trattati, quando si vengano a consegnare ad un'autorit� militare nel termine di cinque (5) giorni dalla pubblicazione del presente manifesto, scorso il qual termine, cadranno sotto il disposto dell’art. 1.

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Art. 3. La data della pubblicazione del manifesto por l'effetto di cui nell’articolo precedente, sar� apposta in calce del medesimo dall’ufficiale, che ne avr� ordinato la pubblicazione.

Dato a Messina, add� 27 Agosto 1862.

CIALDINI

Il General Cialdini, conosciuta appena la partenza di Garibaldi pel continente, non perdette un istante di tempo, ed imbarcossi per Reggio con un rinforzo di truppa. L'ammiraglio Persano egualmente giunto a Messina prese il comando della squadra ed indirizz� al capo delle truppe di terra una lettera del seguente tenore:

� Le ingiungo di reprimere colla forza ogni riunione illegale. Tenga le truppe consegnate e pronte a muovere al primo cenno; eseguisca senza esitanza gli arresti che crede opportuni; chiami a s� le persone pi� autorevoli e loro dica da parte mia che sapr� nell'interesse dello Stato ed in obbedienza al Re reprimere ogni disordine. Chi mi conosce sa che non uso indietreggiare.

�Io rendo lei responsabile della minima esitazione nell'agire. Cittadino di Messina, io conosco la devozione della guardia nazionale al Re ed allo Statuto; militare, conosco il valore e la fedelt� delle nostre truppe; quindi colla forza ond’ella dispone, nulla hassi a temere purch� non vi sia perplessit� nell'azione.

�Il Governo tiene per fermo che l'ordine pi� rigoroso sar� mantenuto.�

Tre giorni dopo il suo sbarco a Melito, Garibaldi con duemila cinquecento volontari erasi accampato sul piano di Aspro monte, dal quale spediva bande ed emissarii in tutte le direzioni, onde sollevare il paese, e procurar vettovaglio delle quali le sue truppe erano presso che interamente sfornite.

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Nel frattempo il colonnello Pallavicino che comandava a Reggio un distaccamento composto di dieci battaglioni dei quali duo erano di bersaglieri, stava combinando un doppio mezzo di difesa, quando il 28 Agosto ricevette un dispaccio del commissario generale Lamarmora, che gli ordinava di arrestare senza por tempo in mezzo la marcia di Garibaldi.

Egli rispose �che avrebbe fatto il suo dovere.� Appena giunto ai piedi della forte posizione scelta da Garibaldi, fece deporre i zaini ai suoi soldati e mosso senz'altro all’assalto, previa solo la intimazione della resa che venne respinta dal medesimo. I volontarii furono i primi a cominciare il fuoco, vedendo i bersaglieri avanzarsi risolutamente verso di loro. Pochi dei soldati risposero, e solo quando furono a fiore del piano della posizione fecero una scarica generale e si slanciarono poscia alla baionetta. La lotta fu accanita, terribile da ambe le parti che dur� anche dopo la caduta di Garibaldi.

Garibaldi appena fatto prigione manifest� il suo desiderio di essere trasportato a bordo di un vascello inglese per poi andarsene in Inghilterra. Pallavicini intanto il fece condurre nel forte di Scilla, aspettando gli ordini superiori che furono, come gi� sapete, per l'invio del medesimo e dei suoi alla Spezia. Garibaldi fu poscia trasportato a bordo del Duca di Genova, comandata dal secondo della Maria Adelaide, e sulla stessa fregata venne pure imbarcato Menotti suo figlio ed altri 7 suoi compagni di sventura. — La pi� stretta sorveglianza fu ordinata su di loro, congiunta per� ai pi� delicati riguardi. Fino ad ora i prigionieri fatti ascendono a 2200 di cui un 220 sono disertori dell’armata.

Per favorire la diserzione nella truppa il partito di azione sborsava 100 franchi per ogni soldato che passava sotto la sua bandiera.

I Rapporti officiali del General Cialdini e del colonnello Pallavicino, che riportiamo qui appresso, completeranno il racconto di quella deplorabile lotta.

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Messina, 2 settembre 1862.

Partito il 24 dello scorso agosto alle 6 pomeridiane da Genova alla volta di Sicilia, e colla notizia che Garibaldi era sempre a Catania, da cui non sembrava potesse uscire, volli dapprima toccar Napoli onde conferire col generale La Marmora a rimanere seco lui d’accordo per ogni possibile eventualit�. All’alba del 26 sbarcavo a Napoli onde conferire col generale La Marmora, quando appresi come contro ogni ragionevole aspettazione Garibaldi fosse uscito dal porto di Catania su due vapori postali francesi, a bordo dei quali aveva imbarcato quanta gente poteva capirvi, raggiungendo cos� la spiaggia di Melito, laddove aveva preso terra co' suoi.

Io non aveva realmente dal Governo altro mandato fuorch� quello di battere Garibaldi in Sicilia. Tale mandato poteva dunque considerarsi siccome cessato dal momento che Catania occupata dal generale Ricotti era rientrata nel dominio del Governo e che Garibaldi trovavasi in Calabria, terra sottoposta al comando del generale La Marmora.

Ma pure la gravit� delle circostanze consigliava che il generale La Marmora non abbandonasse Napoli e provvedesse ad impedire qualsiasi tentativo d’insurrezione nella Basilicata e nelle Calabrie Ulteriore 2. a e Citeriore; mentre in pari tempo altri assumesse la direzione delle truppe raccolte e da raccogliersi nella estrema Calabria Ulteriore l.a

Accettai questa seconda parte, ed a mezzogiorno salpando dal golfo di Napoli, giunsi alle 6 del mattino seguente a Messina. Informatomi dello stato delle cose, e delle truppe e delle risorse d’ogni genere disponibili, lasciati gli ordini opportuni, mi recai a Reggio. Ivi seppi che Garibaldi erasi spinto sino in vicinanza di quella citt�, nella lusinga di farla insorgere ed impadronirsene facilmente; ma egli era stato gagliardamente respinto dal colonnello Carchidio, lasciando in potere dei nostri una quarantina di prigionieri, fra cui alcuni ufficiali. Il colonnello Carchidio del 32. fanteria in tutte le misure da lui prese aveva spiegato somma intelligenza e fermezza�

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Trovavansi raccolti in Reggio dieci piccoli battaglioni, dei quali due di bersaglieri, e quattro pezzi di montagna tratti da Messina: mancavano i necessarii muli, sicch� pei loro trasporto furono requisiti alcuni cavalli del paese.

Lo spirito delle truppe eccellente.

Era giunto a Reggio poche ore prima di me il colonnello Pallavicini de'  bersaglieri, e come pi� anziano aveva preso il comando delle truppe col� riunite. Le sue prime disposizioni portavano l'impronta dell’energica risolutezza che gli � naturale. Conoscendolo da molto tempo fui lieto di trovarlo cos� opportunatamente, e gli ordinai subito di partire con una colonna di 6 o 7 battaglioni, di fare ogni sforzo per raggiungere Garibaldi che dicevasi accampato sul piano d’Aspromonte, ed inseguirlo sempre, senza dargli mai posa, se cercasse sfuggirgli, di attaccarlo e distruggerlo se accettasse il combattimento. Prevedendo anche la possibilit� di una completa vittoria, gli ordinai di non venire a patti e non accordare altro fuorch� la resa a discrezione.

Non era da credersi che quella colonna sola potesse ottenere i risultati che ottenne. Conveniva dunque di precludere a Garibaldi ogni via per internarsi nelle Calabrie Ulteriore 2.a e Citeriore; conveniva preparare e muovere altre colonne che agissero in un campo ristretto, avendo cos� le maggiori probabilit� d’incontrarlo e di distruggerlo. Garibaldi, occupando il sommo di Aspromonte e spedendo piccole bande alle circostanti marine, cercava probabilmente di sollevare il paese, di riannodare intelligenze, di accumulare risorse d’uomini, di viveri, di munizioni, di bestie da soma, e spiava il momento di potersi gettare su Reggio o su Catanzaro secondo gli avvisi che ricevesse. Questa sua sosta prolungata diede a noi tempo di preparare un doppio sistema di difesa e di offesa che doveva schiacciarlo. Secondando i miei telegrammi il generale La Marmora dirigeva al Pizzo le truppe giunte da Genova e da Napoli... Il generale Revel da me spedito con due battaglioni subitamente al Pizzo disponeva, secondo gli ordini avuti, una forte occupazione a Nicastro e a Tiriplo, facendo inoltre fortificare quest'ultimo punto importantissimo.

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Da Catania si fecero per telegrafo partire due battaglioni ad occupare Catanzaro che doveva poi essere rinforzato dal generale Revel. E cos� si otteneva nella parte pi� stretta della penisola una robusta linea appoggiata a due golfi, in ognuno dei quali la flotta spediva una fregata, cio� a dire il golfo di Santa Eufemia e quello di Squillane.

Da questa solida base dovevano partire all’incontro di Garibaldi un paio di colonne almeno, mentre il luogotenente generale Vialardi stabilito in Monteleone con forze sufficienti ebbe ordine di avanzarne una parte sino alla pianura di Gioia, per agire poi secondo le notizie e le istruzioni che ricevesse.

Desiderando per� di finirla al pi� presto, ed al fine di accumulare in questo breve spazio le maggiori forze possibili, nello stesso giorno del mio arrivo a Messina, 27, mi recai a Catania, ove giunsi a sera. Informato dal generale Ricotti dello forze di cui disponeva e delle condizioni in cui trovavasi quella provincia. conobbi che potevo trarne senza pericolo almeno quattro battaglioni per farli sbarcare dove meglio convenisse e secondo le no tizie che sarei per ricevere, tornando a Reggio ove arrivai all'alba del mattino seguente, 28.

Garibaldi occupava sempre Aspromonte; ma le bande da lui spinte intorno su di un raggio di qualche ora di distanza allarmavano il paese e lo facevano credere contemporaneamente in vari luoghi Della colonna Pallavicini, partita il giorno precedente alla una pomeridiana, niuna notizia, senonch� aver raggiunto per via una partita di Garibaldini e averne fatto prigionieri un centinaio diretti sotto scorta a Reggio.

Mentre io prendeva questo disposizioni ed avvertiva il generale La Marmora di sospendere l'invio di maggiori forze al Pizzo, egli, se non erro, ordinava scaglioni di truppe da Cosenza a Castrovillari e Potenza, e provvedeva per terra e per mare alla sicurezza di Salerno, dove Nicotera ha molte aderenze ed ove si sapevano dirette le mire di Garibaldi.

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Passai quindi nella stessa giornata del 18 a Messina onde occuparmi dello stato dell’Isola. Frattanto giungeva avviso dell’arrivo in Palermo del generale Brignone, a cui io delegava i miei poteri straordinari, onde essere libero di attendere esclusivamente alle operazioni militari.

Non tutti i seguaci di Garibaldi avevano potuto imbarcarsi sui due vapori francesi che lo portarono in Calabria.

Settecento e pi� giacevano prigionieri del generale Ricotti in Catania; qualche centinaio era stato improvvidamente rimandato a casa con foglio di via; oltre ci� un certo maggior Tressalli vagava alla testa di una banda, la cui forza, da quanto ripetutamente dice vasi, sembrava di otto o novecento uomini.

Fu dunque mestieri di concertare la persecuzione di questa banda, facendola seguire da truppe di Catania e dalle poche disponibili di Messina, non permettendo lo stato degli animi di queste citt� un soverchio allontanamento di forze.

Parve poi prudente cosa di allegerire Catania dal grave numero di prigionieri, e cinquecento ne furono imbarcati e diretti alla Spezia.

Arrivavano nel porto di Messina i quattro battaglioni tratti da Catania e che io pensava mantenere imbarcati in attesa di notizie onde averli sempre sotto la mano o pronti ad essere trasportati e sbarcati come sembrasse conveniente.

Ma nella notte dal 26 al 30 giungeva da Reggio per telegramma un succinto rapporto del colonnello Pallavicini, in cui ero avvertito del risultato straordinario e completo da lui ottenuto.

Di questo fatto d’armi che per lo sue conseguenze assume l'importanza di una battaglia, io rimetto alla Ecc. V. i due rapporti originali che ricevo in questo momento dal colonnello Pallavicini, ed ai quali mi astengo di aggiungere o di togliere una parola.

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Credo soltanto dover mio di raccomandare al Governo ed alla munificenza Sovrana questo brillante colonnello e le brave truppe che comandava, giacch� il servizio da loro reso non saprebbe essere mai sufficientemente ricompensato.

Il Generale d'Armata

CIALDINI.

A S. Ecc. il signor Ministro della Guerra

TORINO

Relazione sul fatto d'armi del 29 agosto

Reggio, 1 settembre 1862.

A norma delle istruzioni impartitemi dall’Ecc. V. il giorno 28 agosto io partiva da Reggio ad un'ora pomeridiana con una colonna di 5 battaglioni di linea e 2 di bersaglieri 6 e 25.

Mossi per la strada al mare che conduce a Gallico, e di l� mi inoltrai pel letto del fiume che ha lo stesso nome sino a due miglia di distanza dal piccolo villaggio di Padargoni, ove sorpreso dall’imbrunire accampai nella notte.

Al mattino del 29 partii per tempo dirigendomi sopra S. Stefano, ove giunsi alle 8 1|2 antimeridiane; col�, dietro le esatte informazioni che assunsi, seppi che il generale Garibaldi aveva accampato nella notte co' suoi sul piano di Aspromonte; ordinai di proseguire la marcia sino a poca distanza dal piano stesso e prima d’inoltrarmi 'feci riposare alquanto le truppe soverchiamente stanche per la lunga marcia fatta fra scoscesi sentieri. Nel frattempo seppi che solo due ore prima il generale Garibaldi era ancora accampato nel sottoposto piano di Aspromonte e conobbi che per due sentieri si poteva discendere al suo accampamento.

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Divisi la troppa in due colonne, comandate quella di destra dal tenente colonnello cav. Parrocchia, colla quale mossi io stesso, e quella di sinistra dal colonnello del 4 reggimento caval. Heberart. Le due colonne sboccarono contemporaneamente in vista dell’accampamento dei garibaldini gi� da loro abbandonato, poich� eransi posti in posizione sopra la cresta di un'erta collina a levante del piano di Aspromonte. Spedii in allora tostamente ordine al comandante la colonna di sinistra onde attaccasse di fronte i garibaldini; mentre facendo ritornare indietro la colonna di destra la spinsi con rapido movimento ad attaccare il fianco sinistro e le spalle de'  ribelli, onde impedir loro ogni ritirata: nello stesso tempo con un battaglione facevo occupare lo sbocco della vallata pel quale potevano riguadagnare il piano.

La colonna di sinistra col 6. battaglione Bersaglieri in testa e dopo un vivo fuoco, prese la posizione alla baionetta alle grida di Viva il Rei e Viva l'Italia! mentre il lato sinistro era pure attaccato dai nostri. Rimasto ferito il generale Garibaldi e suo figlio Menotti, circondati da ogni lato i rivoltosi, ogni resistenza fu resa inutile; allora i garibaldini fecero segnale di cessare il fuoco. Si venne a trattative, l'esito delle quali gi� noto all’Ecc. V.

Mi gode l'animo di poterle notificare che tutti gli ufficiali si distinsero in questo fatto per zelo e coraggio, e che tutti indistintamente i soldati delle varie provincie di Italia gareggiarono di valore e disciplina.

Non posso tacere che durante il primo attacco un'energica resistenza fu opposta dai nostri oppositori, n� io ho potuto fare a meno di compiangere che quel valore fosse spiegato in opposizione al potere legittimamente costituito e contrariamente all’interesse della Patria.

Debbo qui fare particolare menzione all’E. V. del colonnello cav. Heberart comandante il 4 reggimento di linea, il quale si distinse per intelligenza e condusse con sommo slancio all'attacco la sua colonna.

Gli stessi elogi debbo impartire al tenente colonnello cav. Parrocchia, il quale durante il combattimento mostr� sempre somma attivit� e coraggio.

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Debbo pure segnalare all’Ecc. V. la valorosa condotta dei due maggiori comandanti il 6 e 25 battaglioni bersaglieri, signor Giolitti e signor Pinelli, i quali furono sempre alla testa delle colonne animando sempre coll’esempio i proprii subordinati.

E per ultimo non posso fare bastanti elogi del colonnello cav. Carchidio, il quale aveva dato ottime ed energiche disposizioni prima della mia venuta per la difesa di Reggio e per tutelarne l'intera tranquillit�; ne posso bastantemente encomiarlo pel modo veramente intelligente ed energico col quale sempre mi second� e seppe coadiuvarmi nella spedizione che intrapresi avendo in difficilissima circostanza mantenuto la quiete in citt�.

Mi riserbo spedire all’E. V. l'elenco delle proposte per ricompense di quelli che pi� si distinsero in questo fatto, fidando nella sua approvazione.

Il maggior generale

PALLAVICINI

A S. E. il generale d’armata

ENRICO CIALDINI

MESSINA.

Rapporto particolare.

Reggio, 1. settembre 1862.

Dopo esposto all'E. V. la parte militare della giornata del 29 agosto vengo ora a descrivere circostanze e minuti ragguagli che possono avere qualche attinenza alla partita politica.

976

Anzitutto non posso tacere come appena segnalatosi dai rivoltosi di cessare il fuoco, spedii il mio capo di Stato maggiore ad intimare in nome del Re la resa al generale Garibaldi. Questi irritato rispose che non si sarebbe arreso mai e diede di mano al suo revolver; ma trattenuto da'  suoi che lo circondavano, ordin� che il mio emissario fosse disarmato e tenuto prigioniero. Ugual sorte tocc� al signor Giolitti, maggiore del 6 battaglione Bersaglieri, il quale si rec� dal generale ferito, invitato dagli stessi Garibaldini a conferire con lui. Ad entrambi dietro interposizione di chi seguiva Garibaldi e specialmente dei signori Nullo e Corte furono loro rese le armi e lasciati liberi prima che io mi recassi a parlamentare dal generale.

Invitato da questo a recarmi a conferire seco lui, mi vi recai. Appena giunto fui dai signori Corte, Guastalla e Nullo a nome di Garibaldi richiesto di proporre condizioni. Risposi, mia istruzione essere questa sola: — attaccare, battere Garibaldi o farlo prigioniero. Altra condizione non aveva a fare.

Recatomi quindi presso Garibaldi ferito, questi non mostr� risentimento verso alcuno, anzi evit� sempre di parlare di cose che potessero avere attinenza alla politica, n� estern� odio od opposizione al Governo. Tacitamente annui alle condizioni che io proponeva; chiese potersi imbarcare sopra legno inglese ed espatriare. Risposi, avrei chiesto ed atteso istruzioni in proposito. Interpellato, che si sarebbe fatto dei prigionieri, dissi che non era punto depositario delle intenzioni del Governo, ma essere particolare opinione mia che il Governo, dopo averli fatti condurre in Messina, avrebbeli forse dopo 24 ore lasciati liberi per non averli a carico.

Si convenne della resa senza condizioni. Il Generale fu trasportato attorniato dal suo Statomaggiore e da molti dei suoi ad una cascina detta la Marchesina, ove pass� la notte scortato dal 25. battaglione Bersaglieri. Al domattina fu accompagnato a Scilla, dove io l'aveva preceduto, e dove gli comunicai l'ordine governativo di essere imbarcato sul Duca di Genova.

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Egli mi fece quasi rimprovero di non avergli mantenuta la promessa di lasciarlo imbarcare su legno inglese, e mi ramment� quella che tra 24 ore i suoi seguaci dovevano essere liberi. Ho dovuto allora replicare con un certo risentimento che io nulla aveva promesso a nome del Governo; che riguardo all’imbarco dissi che avrei interpellato il Ministero di cui gli comunicava allora la risposta; che riguardo all’avvenire dei prigionieri solo avevo esternato una opinione mia propria, che punto non impegnava il Governo, dal quale io non aveva istruzioni in proposito. Allora mi si soggiunse che all'occorrenza testimoniassi avere espresso quella speranza: a che non mi rifiutai trattandosi di una privata opinione mia.

Del resto, come dissi pi� sopra, il generale Garibaldi si mantenne sempre silenzioso, e solo a parte del popolo di Scilla che stava sul suo passaggio rivolse queste parole: Non riconoscete pi� il vostro Generale?� Nessun grido segu� a tale domanda.

Il generale Garibaldi insist� verso di me perch� raccomandassi particolarmente al Governo la causa dei disertori dall’armata. Promisi che lo avrei fatto, ma che ne sperava poco buon esito, poich� conosceva le severe istruzioni in proposito.

Dei documenti ch'Ella mi richiese altri non posso trasmettere che i due qui uniti, non avendone rinvenuti altri di maggior importanza. Forse pi� rilevanti si potranno trovare in mano di ufficiali dello Stato-maggiore del generale Garibaldi, i quali non feci visitare. Altro carte, da quanto risulta da informazioni avute, furono stracciate sul sito mentre si trattava della resa.

Danari non se ne rinvennero per quante ricerche facessi: solo individualmente erano ben provvisti; seppi di poi che nella cascina ove pernott� il generalo Garibaldi fu fatta nella notte una vistosa distribuzione di danari a tutti coloro che lo accompagnarono col� in numero di circa 150.

Interrogati diversi individui perch� avessero seguitato a rimanere con Garibaldi dopo il proclama del Re, molti risposero che lo ignoravano completamente, perch� loro tenuto nascosto;


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altri asserivano aver creduto tutto fosse combinato col Governo; qualcuno disse che Garibaldi li aveva ingannati, e che da due giorni si erano avvisati dell’inganno.

Ai Garibaldini si presero tre bandiere, tutte senza lo scudo di Savoia e senza i nastri bleu. In mezzo ad una eravi il motto: Italia e Vittorio Emanuele.

I signori Nicotera, Missori, Miceli si allontanarono da Garibaldi il giorno 28, forse per preparare un movimento nella provincia; seppi ieri che Nicotera e Miceli erano a Bagnara; ne ordinai l'arresto, ma non si rinvennero ancora.

Le armi prese le faccio ritirare in Reggio presso il comando locale d’artiglieria in attesa di ordini in proposito.

Il maggior generale

PALLAVICINI.

A. E. S. il generali d’armata

ENRICO CIALDINI.

Messina.

La notizia dei fatti d’Aspromonte giunse al Ministero della guerra nella notte dal 29 al 30 agosto. Postergata ogni altra cosa, la prima disposizione che eman� dal Ministero in quella stessa notte fu un telegramma al colonnello Pallavicini per ordinare che anzi tutto si provedesse alla cura della ferita del generale Garibaldi con tutti i riguardi dovuti alla sua persona.

Il giorno 30 il generale Garibaldi imbarcato sul Duca di Genova parti alla volta della Spezia dove con tutta premura dal genio militare si provvedeva a disporre per lui il forte di Santa Maria, mentre altri locali erano preparati per gli altri prigionieri.

PALLAVICINI

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Il Ministero contemporaneamente prescriveva che tutti questi prigionieri fossero trattati con umanit�; soggiungendovi che �fra gli arrestati vi sono persone le quali per la loro posizione �in societ� sono assuefatte agli agi della vita, ed � intendimento �del Ministero che questi siano possibilmente separati dagli altri e e meglio alloggiati, come pure si ottemperi alle loro domando �affinch� mediante pagamento possano procurarsi un sostentate mento consentaneo alle loro abitudini.�

In quanto a Garibaldi personalmente si erano date lo seguenti istruzioni. �Il general Garibaldi e le persone alle quali il Governo permetter� di coabitare con lui dovranno essere trattate col massimo riguardo: essere alloggiate in Camere decenti temente ammobigliate, avere un servizio di tavola conveniente; et tuttoci� a spese del Ministero di guerra.�

Frattanto il Duca di Genova approdava alla Spezia alle oro 1 pom. del 1 settembre e siccome al forte S. Maria eravi un deposito di polveri della marina che si dovettero trasportare, ci� aveva cagionato un ritardo per cui l'alloggio pel generale Garibaldi non era ancora pronto.

Ad evitare al ferito maggiori disagi si credette opportuno stabilire che fosse trattenuto a bordo, visto che l'io due giorni al pi� l'alloggio sarebbe stato allestito.

Se non che Garibaldi il giorno 2 settembre espresse il desiderio di essere sbarcato, ed immediatamente si ordin� che fosse trasportato al Varignano, dove fu posto a sua disposizione l'alloggio stesso del comandante, prescrivendosi al luogotenente colonnello comandante il distaccamento delle truppe col� stanziato �di presiedere allo stabilimento di Garibaldi, rinnovando le raccomandazioni che fosse trattato con tutti i riguardi dovuti alla sua persona ed al suo stato di ferito.�

Pu� essere avvenuto nel primo momento che ivi non si rinvenissero tutti i desiderati medicinali, e che mancasse talun oggetto di mobiglio per le persone del seguito;

980

ma in quelle repentine circostanze niuno potr� in buona fede far colpa di ci� al Ministero; il quale senza dilazione fino dal primo di settembre aveva dato ordine che ogni cosa necessaria fosse provveduta nella vicina citt� della Spezia, e mand� il giorno 2 il colonnello Santa Rosa ed un funzionario dell’intendenza militare colle pi� ampie facolt�.

In breve tempo, tenuto conto delle non facili comunicazioni, tutte le esigenze furono soddisfatte e crediamo che lo stesso Garibaldi ebbe a lodarsi, sia del colonnello Pallavicini, sia del comandante del Duca di Genova, sia delle autorit� della Spezia.

Si � detto che i prigionieri erano tenuti sotto esagerata o troppo dura custodia; ed invece, che sotto questo riguardo lo autorit� abbiano usato eccessiva larghezza anzich� severit�, si arguisce dal fatto che Garibaldi ed i compagni suoi poterono scrivere lettere che furono stampate sui giornali.

Si disse che a Garibaldi era negata ogni comunicazione, che non gli fu concessa ancora la visita de'  suoi intimi; ed invece il Ministero accord� a molte persone il permesso di coabitare con lui e fra gli altri ai suoi figli, al suo genero signor Canzio, al cav. Deideri e sua moglie, alla signora Sckwabe, ecc.

Moltissimi ottennero di visitarlo e basti citare il generale Turr, il generale Bixio, il sig. Augusto Vecchi, il marchese Giorgio Pallavicino e la signora sua consorte ecc. ecc.

Certamente non fu permesso a quanti medici non chiamati o a quante persone sconosciute si presentarono, di poter accedere presso Garibaldi, ma Garibaldi stesso intento alla cura della sua ferita ebbe a dire al colonnello Santa Rosa di voler pure essere severo, giacch� per suo conto non poteva negare di ricevere gli accorrenti, ma la troppa folla di visitanti gli era di aggravio.

Il Ministro della guerra su cui cadeva la responsabilit� delle date disposizioni, aveva conciliato tutti i riguardi di umanit� colle cautele da usarsi verso chi � in condizione di poter essere assoggettato ad un processo.

Garibaldi trovavasi a Varignano vittima della esaltazione del suo partito d’azione, che l'aveva spinto nella via fatale, donde riusc� alla pugna fratricida d’Aspromonte.

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Per quanto gravi per� fossero i torti da rimproverarsi all’illustre vinto, il suo s� noto disinteresse, e l'eroiche gesta da lui operate in servizio della patria lo rendevano forse in questo momento pi� caro che mai alle masse popolari, le quali non vedevano in lui altro che un martire dell’indefinito aggiornamento dell’unit� italiana. Narreremo nel seguente volume quanto grande fosse il dolore provato dalle genti italiano alla triste novella del suo stato di salute che i partiti dipingevano apposta pi� grave onde eccitare le passioni popolari.

Onde dileguare tutte le incertezze su tal oggetto, il governo fece pubblicare il rapporto seguente indirizzato dal Colonnello Santa Rosa al Ministro della guerra, che abbiamo tratto dall’Italia Militare.

Varignano 14 Settembre

Giunsi al Varignano mercoled� 3 corrente, ore 6 antimeridiane. Appena fattomi riconoscere dal tenente colonnello e dal comandante locale di marina, i quali m'informarono sommariamente dello stato delle coso, mi recai dove era il generale Garibaldi e lo vidi coricato sopra un letto in ferro con materassi decentissimi e lenzuola portato con lui da bordo del Duca di Genova ed appartenenti (come seppi dopo) al sig. cav. Wright, comandante tale fregata. Il seguito suo, cio� i chirurgi ed ordinanze, avevano materassi in terra pel motivo che narrer� dopo.

Domandai al chirurgo che stava allora medicando la ferita di Garibaldi, se mancavano di qualche cosa, pregando di notarmi gli oggetti di cui avessero potuta difettare, per provvedervi, essendo intenzione del governo che Garibaldi fosse trattato con ogni attenzione e coi riguardi dovuti ai feriti.

Il professore Albanese che era presso Garibaldi mi fece osservare che le filacce somministrate dall’ospedale del Varignano erano alquanto ordinarie, e che il cerotto era composto di olio non troppo fino; notai questi due oggetti ed alcuni altri, fra i quali mi ricordo lenzuoli fini pel cambio e bende pi� larghe.

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Mi recai quindi alla Spezia, e presentandomi al sig. Prefetto per farmi riconoscere, gli rimisi la nota delle cose pi� urgenti, pregandolo di spedire con tutti, premura al Varignano ogni cosa e dove non potesse avere il tutto, mi spedisse buone e fine filacce ed unguento refrigerante fresco e fino. Il Sotto-Prefetto mi assicur� che si sarebbe subito occupato di queste provviste, e ci� fece con molta attivit�, e poche ore dopo una cassetta era spedita al Varignano e consegnata al comandante di Marina per rimetterla a Garibaldi.

Parlai della mobiglia, deficiente all’ampio alloggio del comandante della marina, che, per esser vedovo e senza figli presso di s�, fa vita celibe con la sola sua ordinanza. Mi fu detto che vi si era provvisto.

Telegrafai alla S. V. Ill.ma. per aver il permesso di lasciare presso Garibaldi i due chirurghi Basile ed Albanese e l'ufficiale d'ordinanza Basso, tutti e tre destinati a partire per Fenestrelle; appena n'ebbi risposta, la comunicai e n'ebbi ringraziamenti cordiali.

Ritornato al Varignano rientrai nell'appartamento di Garibaldi e dissi che sarebbe fra poco provvisto dei respettivi oggetti.

I due chirurghi che specialmente curavano Garibaldi, Albanese e Basile, mi fecero conoscere la"delicata e difficile posizione loro, ed il peso della responsabilit� che cadeva su loro, se essi soli dovessero visitare e continuare la cura senza un previo consulto e rapporto di professori pi� sperimentati e provetti nell’arte, e per ci� mi pregavano di far entrare i dottori Denegri e Riboli che erano sbarcati al Varignano per visitare il Generale essendone stati richiesti per dispaccio.

Alle 4 1|2 introdussi Denegri e Riboli. Assistendo alla medicatura della ferita, essi approvarono la cura dei giorni trascorsi o prescrissero si continuasse.

Furono nei giorni successivi fatti entrare tutti i professori, di cui le declinai gi� il nome con altra mia per la consulta, ed approvarono la cura, prescrivendo di continuarla.

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Dopo la consulta, Garibaldi scelse a medico curante il professore Prandina, domiciliato a Chiavari, il quale � esperto e peritissimo chirurgo.

Il prof. Prandina fu da me pregato di provvedere egli stesso a tutte le coso che potessero essere necessarie per la cura ed il ben essere del ferito, e perci� mi sono arbitrato di lasciarlo uscire dal Varignano perch� potesse provvedere buone mignatte; unguento sempre fresco, e quelli altri farmaci che richiedevano.

La biancheria fu provvista dal Sotto-Prefetto che aveva pure mandato i letti pel seguito di Garibaldi, ma questi letti con la intiera fornitura loro erano stati spediti al forte Santa Maria ove dovevano sbarcare.

Gioved� 4 corrente, al mattino, i letti erano nell’appartamento, e dopo ne furono portati degli altri; di modo che da quel giorno le ordinanze di Garibaldi dormono meglio degli ufficiali del distaccamento, accusati di aver ritenuti i letti: gli ufficiali infatti, compresi i miei segretari, dormono sopra un pagliericcio posto su quattro tavole.

Non intesi mai parlare di ghiaccio, perch� non fu richiesto; ma pure anche a questo fu pi� tardi provvisto dal comandante del porto della Spezia che pot� aver della neve, essendo cosa sconosciuta il ghiaccio in questi paesi.

Alla goffa asserzione che il 2 corrente non si ottenne un p� di pesce, non saprei rispondere se non che accusando i pescatori che non seppero pescarne, poich� per il vitto, come ebbi gi� l'onore d’informare V. S. Ill.ma., fu incaricato il trattore del Varignano di fornire quanto si domandasse, senza restrizione.

La signora Shwabe port�, quando venne, qualche pezzo di tutte e un po' di filacce; ma le signore Cairoli e Mantegazza, posso quasi certamente affermare che non mandarono n� bende, ne lenzuoli, n� filacce; le quali cose tutte furono provvisto per cura del sig. Sotto Prefetto, del comandante il porto della Spezia e del sig. professore Prandina, che trov� modo di avere ogni cosa coll'aiuto dei due sovraccennati.

Il comandante sup. militare del golfo della Spezia

Firm. SANTA ROSA

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Con questo deplorabile avvenimento si chiude la quinta parte della nostra Cronaca. Nel sesto ed ultimo volume usando la maggior brevit� possibile nel racconto dei fatti pi� memorabili degli anni 1863 e 1864, porremo termine alla nostra opera colla esposizione dettagliata della Convenzione del 15 Settembre 1864 intervenuta fra la Francia e l'Italia.


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INDICE DELLA PARTE QUINTA

CAPO I.

I — Riconoscimento del regno d'Italia per parte della Francia — Alcune nozioni di dritto internazionale in materia di riconoscimenti �E' un nuovo stato — Note diplomatiche del gabinetto delle Tuilieries a quello di Torino — Dispacci del governo dell'Imperator Napoleone alle corti di Vienna e di Roma — Il barone Ricasoli presidente del consiglio dei ministri del regno d'Italia annunzia officialmente al parlamento ed al senato l’atto di riconoscimento della Francia — Interpellanze indirizzate al ministro nella camera — Discorso del presidente del consiglio — Nota sul riconoscimento dell’Inghilterra — la citt� di Londra d� molti soscrittori al monumento da inalzarsi alla memoria di Cavour — II. Il general conte de Goyon annunzia all'armata d’occupazione di Roma la nuova del riconoscimento del regno d’Italia per parte dell'Imperatore — Avvisi agli ufficiali — Dimostrazioni a Roma in occasione dell’atto compiuto dalla Francia in favore dell’Italia — Disordini nella sera del 29 giugno — gendarme Velluti ucciso al corso, e funerali pomposi fattigli dal governo pontificio — Processo istruito contro Locatelli accusato della morte del gendarme III.......................pag.

Situazione delle provincie Napoletane, ed accrescimento delle bande Cipriano della Gala a Caserta Ordini del giorno di Chiavone a Sora Dettagli dei fatti del brigantaggio e della reazione Montemiletto, e Montefalcione Dimissione offerta dal locotenente del re conte di San Martino, accettata Nota della Gazzetta di Torino a questo proposito................................................pag.



4
CAPO II.

I. Il generale Fleury, inviato straordinario dell'Imperatore dei Francesi, giunge a Torino Suo ricevimento Inaugurazione del monumento elevato al re Carlo Alberto Discorso del ministro baron Ricasoli Negoziato del prestito di 500 milioni di lire Gran concorso di capitali Le soscrizioni superano 950 milioni di lire Decreto del ministro delle finanze per regolare la parte delle soscrizioni II. Protesta del governo pontificio e del re Francesco II contro il prestito Polemica dei giornali sugli ultimi momenti di Cavour Lettera del conte Gustavo di Cavour, fratello del defunto Il padre Giacomo � chiamato a Roma — Concistoro segreto del 22 Luglio Sunto dell'allocuzione del Papa. III. Arrivo del general Cialdini a Napoli in qualit� di locotenente del re Suo proclama ai Napolitani Lettera di Ponza di S. Martino al sindaco di Napoli, annunziando la sua dimissione e la sua partenza — Motivi di questa dimissione esposti in un'altra lettera ai conte Gallina Il partito reazionario accusa il governo italiano di atti di barbarie Risposta della Gazzetta Ufficiale del Regno Gli atti atroci degl'insorti e dei briganti spiegano le pressioni sommarie e violente Pontelandolfo e Casalduni Istruzioni date dal governo Italiano al nuovo locotenente del re = Piano di Cialdini Scoperta di conciliaboli Borbonici a Posillipo e a Portici. Arresti numerosi, e di alti personaggi

Conciliazione del partito d’azione — Abboccamento con Nicotera— Lettera di Cialdini al sindaco di Napoli sulla celebrazione dell’anniversario dell’entrata di Garibaldi — Organizzazione delle milizie cittadine — Disgusti causati dall’amministrazione spingono il locotenente del re ad offrire la sua dimissione, la quale rifiutata — Gli ufficiali svizzeri domandano al general Cialdini di permettere loro che continuino a soggiornare in Napoli — Risposta che ricevono — Note diplomatiche dell’inviato svizzero sull'espulsione di questi officiali — Vigorosa repressione del brigantaggio — Chiavone a Sora — Ordine del giorno del general Govone — Diversi fatti del brigantaggio — Rapida spedizione del general Cialdini nelle Puglie — Sbarco di marinari inglesi a Castellamare....................................pag.







54
CAPO III.

I. La camorra a Napoli Alcune parole sull'istoria di questa societ� segreta Spedienti posti in opera dal general Cialdini Festa del 7 settembre in onore dell’ingresso di Garibaldi a Napoli Festa della Madonna di pie di grotta Ordine del giorno del general Topputi Lettera del locotenente del re al sindaco di Napoli — II. Il partito Mazziniano vuol fare circolar una petizione per domandare la ritirata delle truppe francesi da Roma Circolare del ministro dell’interno Minghetti Alcuni tentativi di invasione sulle provincie del Papa Movimento mazziniano a Palermo Nota diplomatica del ministro degli esteri sulla questione romanaSmentita di questa circolare data dal cardinale Antonelli — Alcuni bersaglieri italiani penetrano dalla parte di Terracina sul territorio pontificio Un fatto simile ha luogo dalla parte d’Orvieto Ordini dell’autorit� militare francese a questo soggetto Lettera del general de Goyon al giornale l’Ami de la religion Vivo alterco fra mons. de Merode pre ministro delle armi e il generale in capo della guarnigione francese — sunto della lettera autografa dell'Imperatore al santo padre in questa occasione —Dimostrazioni fatte a Pio IX alla piazza del popolo —

III. Dimissione del com, Minghetti dal ministero dell’interno — presidente del consiglio baron Ricasoli prende la Direzione di questo ministero, e conserva per interim quello degli affari esteri — Ricevimento solenne dell’ambasciatore di francia sig. Benedetti presso S. 31. Vittorio Emanuele — L'ambasciatore di Francia chiede delle spiegazioni al baron Ricasoli sugli attacchi contro il territorio pontificio — Campo di san Maurizio — Complotto dei prigionieri napolitani a Fenestrelle — Situazione della marina italiana — Quadro delle forze navali del regno d’Italia.............pag.




104
CAPO IV.

I. Esposizioni dell'industria italiana a Firenze — S. M. Vittorio Emanuele inaugura questa solennit� nazionale — Discorsi — Visite di S. M. all'esposizione — congresso d'operai a Firenze insuccesso di questa riunione — Turbamenti in Bologna all’occasione del caro dei viveri — Proclama dell’intendente — I principali perturbatori sono arrestati, e condotti ad Alessandria — Arrivo dei principi Umberto ed Amedeo a Bologna — incidente degli archivi napolitani — Il Governo spagnuolo rifiuta di restituire ai rappresentanti all'Italia le carte dei consolati napolitani che gli erano state rimesse dall’agente del governo caduto — II. La questione romana preoccupa pi� che mai l’opinione pubblica — Molte pretese soluzioni sono messe in corso dai giornali — Allocuzione del Papa al concistoro del 30 settembre — 5� pretendeva che il padre Passaglia fosse stato inviato a Roma dal baron Ricasoli per riprendere i negoziati intrafresi dal conte di Cavour — Abboccamento delle LL. MM. l'imperatore dei francesi e il re di Prussia a Compiegne, ove � deciso il riconoscimento del regno d’Italia per parte della Prussia — Il Papa benedice a Roma le nozze d’una principessa figlia di Ferdinando II di Napoli col figlio del gi� duca di Toscana — Supplizio di Cesare Locatelli, condannato dalla S. Consulta per l'uccisione del Gendarme Velluti — Particolari di questa esecuzione — Censure della stampa liberale contro il governo pontificio riguardo a questa condanna — Lettere di Castrucci, e del direttore delle carceri di Roma.....................................pag.


















149

CAPO V.

I. Abolizione della locotenenza del re a Napoli e del governo generale di Toscana Indirizzo del consiglio provinciale di Napoli al Re Vittorio Emanuele — dimostrazioni pubbliche nell’anniversario del plebiscito Ovazioni al general Cialdini all’occasione della sua partenza Addio del locotenente del re alla popolazione napolitana Proclama del nuovo prefetto il generale Lamarmora —. La reazione spera di profittare del malcontento prodotto dalla soppressione della locoteneza — disposizione degli animi — Lettera del signor Rotrou console francese a Chieti — Tentativi del partito Borbonico — conte Alfredo di Trazegnies — spedizione deir ex capo Cartista Borjes — Istruzioni date a lui dal general Clary — Inganno di Borjes nel suo arrivo in Calabria — Suoi proclami — III. Il re Vittorio Emanuele in Ancona — Viaggio del conte Rattazzi a Parigi — Suo abboccamento con l'imperator Napoleone — Il principe Napoleone e la principessa si soscrivono per il monumento da innalzare alla memoria di Cavour — Banchetto offerto dai giornalisti liberali di Parigi al conte Rattazzi — Discorsi — Il partito legittimista � colpito da queste dimostrazioni di simpatia verso l'Italia — Alcuni membri dell’alto clero attaccano l'ordinamento preso dal governo imperiale intorno le societ� religiose — Risposta del sig. Rouland ministro dei culti al vescovo di Nimes — Circolare del ministro dei culti del governo italiano al clero d'Italia — parlamento � convocato per il 20 novembre — Belgio, il Messico riconoscono il regno d’Italia...........................................pag.


















184
 

CAPO VI.

I. Riapertura del parlamento italiano — Il baron Ricasoli capo del gabinetto depone sul banco del presidente della camera e del senato i documenti diplomatici relativi alla questione romana — I partiti preparano un violento attacco contro il ministero relativamente a questa questione — Testo dei documenti —. Sedute del partamento — Discorsi dei deputati Ferrari, Massari e Musolino, Brofferio, Ricciardi, Rattazzi, Zuppetta, Buoncompagni, de Blasis — Risposta del baron Ricasoli — Mellana, Gallenga, Conforti, Crispi parlano contro il ministero — Discussione fra i diversi ministri, e deputati dell'opposizione — Proposta di diversi ordini del giorno — Voto della camera — Alcune parole sul voto — III. La questione romana non ha fatto un passo — Il governo francese promette il suo intervento contro il brigantaggio — Istruzioni date al capo dell’armata d’occupazione di Roma, e al signor di Lavalette nuovo ambasciatore — somma che ha costato alla Francia l'occupazione di Roma dal 1849 al 1861...................... pag.












241
CAPO VII.

Il governo spagnuolo e l'Italia Seguito dell’incidente relativo agli archivi napolitani — l’ambasciatore del re d'Italia lascia Madrid Note diplomatiche del baron Ricasoli, e del sig. Calderon Collantes Interpellanze alle cortes su questa rottura di relazioni diplomatiche con ' Italia Discorso del sig. Coello avanti il senato spagnuolo Malcontento cagionato da questa rottura nella corte delle Tuilieries — II maresciallo Pelissier nel porto di Valenza — Abboccamento dell’ambasciatore di S. M. Cattolica a Roma e del conte di Trapani Offerta dei volontari spagnuoli per ajutare la reazione a Napoli Tristani arriva a Roma, e riceve da Francesco II il brevetto di generale II. Seguito della spedizione del capo carlista Borjes Sua cattura e morte Giornale interessante scritto di sua mano, e trovatogli addosso deposto negli archivi dell’estero a Torino

Dichiarazioni di Borjes al viceconsole francese residente a Chieti — Rapporto del maggiore Franchini sulla cattura e morte del capo spagnuolo, e de'  suoi compagni — Estratto della gazzetta ufficiale del regno a questo soggetto — JT1T. Nuova cospirazione borbonica scoperta a Napoli — Coalizione dei cocchieri — Arresto di parecchi capi del comitato reazionario — eruzione del Vesuvio — Della condotta dei soldati italiani e della guardia nazionale, venuti in soccorso degli abitanti di Torre del greco — La leva di 36000 uomini ordinata dal generale Lamarmora s'effettua senza difficolt�, anzi con entusiasmo. — I coscritti partono al grido di Viva l'Italia!................................pag.






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CAPO VIII.

Difficolt� Ministeriali Formazione della frazione Rattazzi I partiti profittano di queste divisioni parlamentari Il partito d’azione vota un indirizzo a Mazzini Risposta di questo Il comitato di provvedimento organizzato a Genova offre la presidenza al general Garibaldi che la rifiuta Circolare del comitato

Circolare ministeriale ai prefetti del regno intorno alle mene dei partiti Istituzione dei tiri a segno Discorso del principe Umberto Decreto regio autorizzante lo Stato a prender possesso di tutte le case delle corporazioni religiose Felicitazioni del primo giorno dell’anno a S. M. Vitorio Emanuele II. Discorso del Papa agli officiali pontifici nell’occasione della sua festa onomastica Pratiche del sig. de Lavalette nuovo ambasciatore di Francia a Roma per ottenere l’allontanamento dell’ex re di Napoli Rifiuto della corte del Papa, e di Francesco II all’ambasciatore francese III. Disordini in Sicilia Relazione della Gazzetta Ufficiale del Regno degli avvenimenti di Castellamare Interpellanze indirizzate su questo proposito ai ministri nel parlamento italiano. pag.














448
CAPO IX.

Agitazione prodotta in Italia dalla questione romana Stato di questa questione Nota del sig. Thouvenel ministro degli affari esteri del governo Francese al sig. di Lavalette ambasciatore a Roma. Risposta a questa nota La pubblicazione di questi documenti diplomatici da'  occasione a dimostrazioni in Roma in favore del potere temporale, e contro dimostrazione liberale Il governo italiano vuol far cessare quest'agitazione — Circolare del ministro baron Ricasoli —. La questione romana avanti il senato francese Ricevimento di mons. Chigi nunzio del Papa presso l’Imperator Napoleone Abbozzo della situazione politica Stato degli animi a Parigi in favor dell’Italia Turbolenze, e dimostrazioni liberali Discussione dei paragrafi dell’indirizzo relativo alla questione romana Discorsi di Segur d’Agesseau, del marchese di Boissy, di Pietri, di Larochejaquelein, di Bonjean, del cardinal Donnet. del principe Napoleone, del cardinal Mathieu, dei ministri Royer e Billault Viva impressione prodotta in Francia dal discorso del principe Napoleone Il re Vittorio Emanuele indirizza al principe un dispaccio telegrafico ringraziandolo a nome dell’Italia Appendice al capo IX Documenti sottoposti al senato ed al corpo legislativo francese sulla questione italiana, pag.















473
CAPO X.

I. Dimissione in massa del ministero Ricasoli — com. Urbano Rattazzi � nominato presidente del consiglio — Composizione del nuovo gabinetto — Appello alla conciliazione — Garibaldi � invitato a recarsi in Torino — l’exDittatore promette il suo appoggio al nuovo ministero — Adunanze della societ� detta di provvedimento tenute a Genova — Giudizi della stampa italiana su queste assemblee — L'agitazione prodotta da queste in tutti gli spiriti si estende fino nel parlamento — II generale Garibaldi � incaricato di recarsi a fondare nelle principali citt� d'Italia le scuole del tiro nazionale —II. La questione romana prosegue sempre ad agitare gli spiriti a Parigi, cagionandovi nuove turbolenze

 
Discussione del paragrafo dell'indirizzo relativo alla questione Italiana nel corpo legislativo di Francia — Discorsi di Giulio Favre, del baron David, di Keller, e del ministro Billault — Lettera autografa dell'imperatore Napoleone al re Vittorio Emanuele. — III. L'ambasciatore di Francia a Roma M. de Lavalette dopo aver presentato officialmente le sue credenziali, domanda un congedo per recarsi a render conto verbalmente a Parigi dello stato della questione romana — Arresto di Renazzi, Venanzi ed altri accusati di far parte del comitato nazionale romano — Papa in un discorso che tiene nella occasione che si reca alla chiesa della Minerva per la festa dell’annunziazione il 25 marzo, parla della questione del poter temporale — Testo di questo discorso.............................................. pag.






594
CAPO XI.

I. difficolt� incontrate dal ministero Rattazzi— Garibaldi visita varie citt� d’Italia per istituirvi i tiri nazionali — Ovazioni fatte al general Garibaldi a Pavia a Cremona a Parma ed in altre citt� — 17 governo francese comunica al gabinetto di Torino i reclami fatti dall'Austria pel viaggio di Garibaldi — Menotti � chiamato a Torino a prender il comando dei carabinieri genovesi — Fusione dei volontari coll'armata regolare — Ordine del giorno del general Sirtori —. Il ministero Rattazzi si completa entrando a far parte del medesimo il gen. Durando, Matteucci e Conforti — Trattato colla piccola Repubblica di san Marino — Morte del principe di Capua a Torino e sua rinuncia dei diritti eventuali alla corona di Napoli. — Cospirazione borbonica a Milano. — II. S. M. il re Vittorio Emanuele si reca a Napoli — Sono inviate a fargli scorta le squadre inglese e francese — Brillante festa navale data dalla flotta francese — Il principe Napoleone va a Napoli per far visita al suo augusto suocero — Nota del Moniteur francese relativa al viaggio del principe Napoleone — Recasi a Napoli il vicer� d'Egitto — Il re del Portogallo annunzia alle cortes del regno il suo futuro matrimonio colla principessa Pia, figlia del re Vittorio Emanuele — Giudizio della stampa europea intorno al viaggio del re d’Italia nelle provincie meridionali

III. Stato del brigantaggio sulle frontiere Romane Morte di Crocco La corte d’assisie di Ascoli condanna 49 briganti alla pena di morte, 25 ai lavori forzati a vita, ed altro gran numero a diverse pene Le truppe francesi a Roma arrestano alla frontiera una considerabil quantit� di uomini e di munizioni di tutti i generi situazione della Capitanata Lettera del console inglese — Arresto di Giacomo Bishop agente reazionario a Napoli........... pag.


680  
CAPO XII.

Politica dell'Inghilterra in Italia Discorso di Lord Palmerston alla camera dei comuni. — Ovazioni fatte in Italia a Lord Hudson rappresentante dell'Inghilterra. — II. La questione romana si agita a Parigi L'ambasciatore di Francia a Roma Lavalette � chiama to a Parigi dall’Imperatore Napoleone — E' ricevuto dallo imperatore — Parlasi nuovamente d’un congresso delle potenze — Anche il generale de Gojon � richiamato a Parigi— Cause de ir antagonismo fra il generale de Gojon e l’ambasciatore Lavalette — E' diminuito il contingente dell'armata di occupazione a Roma — Nota del Monitore delV armata — generale conte di Montebello � mandato in Roma in luogo del generale de Gojon — Si mantiene lo Statu quo — Nove effervescenze a questo proposito si destano in Italia — Progetti di Garibaldi Tentativi d’aggressioni contro le frontiere del Tir oh tedesco — Arresto dei colonnelli Nullo e Cattabeni. — Turbolenze a Brescia — Protesta di Garibaldi contro la condotta delle truppe italiane — Risposta a questa protesta — Ordine del giorno del G. Giovanni Durando — Attitudine dell’Austria — Relazione del barone Natoli prefetto di Brescia — Lettera di Garibaldi al presidente della camera dei deputati — Discussioni del Parlamento su questa lettera — L'attitudine energica mostrata dal governo italiano nell’interesse della conservazione della pace gli procura le felicitazioni di parecchie Grandi potenze — L'imperatore Napoleone profitta di tal circostanza per rinnovare presso la Prussia e la Russia i suoi tentativi, onde indurle a riconoscere il nuovo regno d'Italia................. pag.



















752

CAPO XIII.

Grandi preparativi in Roma per le feste della canonizzazione dei martiri del Giappone, e per l'assemblea dei vescovi — Il governo italiano proibisce agli ordinarii del regno di recarsi a Roma in tal circostanza. — Notificazione' di tal divieto fatta dal ministro guardasigilli all’arcivescovo di Saluzzo — Proteste diverse contro tal proibizione redatte in forma di lettere indirizzate al Papa — Ricevimento ed atti dei vescovi stranieri a Roma — I prelati votano un indirizzo al Papa favorevole al mantenimento del potere temporale — Breve descrizione delle feste della canonizzazione dei martiri del Giappone — Concistoro del 9 giugno — Allocuzione del Papa — Presentazione dell’indirizzo dei vescovi — Risposta del Pontefice — Sontuoso banchetto nella biblioteca Vaticana — Festa religiosa e politica al Castro pretorio — Partenza dei vescovi — I legittimisti raccolti in Roma firmano un indirizzo a Francesco II — Buon numero di costoro recasi a Lucerna presso il conte di Chambord — lI. protesta del governo italiano contro l'indirizzo dei vescovi firmato a Roma — Discussione di tal protesta nella camera dei deputati — Sua presentazione al re Vittorio Emanuele — Circolare del ministro della giustizia e dei culti del Regno d'Italia — ministro dei culti in Francia proibisce egualmente con una circolare la pubblicazione dell'indirizzo nei mandamenti e nelle pastorali dei vescovi francesi — La Russia si determina a riconoscere officialmente il regno d’Italia — l’Inghilterra stimola il governo francese a ritirare le sue truppe da Roma — Sunto delle note inglesi su tal soggetto............................... pag.  


















825
CAPO XIV.

I principi reali partono per la Sicilia Garibaldi pure vi si reca ed assiste in loro compagnia a parecchie feste politiche e militari 1 principi proseguono il loro viaggio; Garibaldi rimane a Palermo, e vi pronuncia violenti discorsi — Lettera di L. Murat.

Interpellanze mosse dai deputati nel Parlamento italiano al ministero, e risposta del presidente del consiglio — Disordini in pi� citt� d'Italia — Misure energiche prese in tali circostanze dal governo italiano — principi reali vengono a Napoli — Destituzione del prefetto di Palermo Pallavicino Ordine del giorno del comandante la guardia nazionale di Palermo e proclama del reggente la prefettura di detta citt� — Il re Vittorio Emanuele invia uno dei suoi ajutanti di campo a Garibaldi per richiamarlo a pi� prudenti consigli — Proclama del re agl'italiani — Ordine del giorno del ministro della guerra all’esercito — general Cugia nominato prefetto di Palermo spedisce al general Garibaldi il duca della Verdura ed il deputato la Loggia latori del proclama del re — L'ex-Dittatore non vuol cedere e si stabilisce a Corleone coi suoi volontarii — La Russia e la Prussia riconoscono il regno d’Italia Note diplomatiche — Soddisfazione degl'Italiani per questo riconoscimento, — Annunzio officiale del matrimonio della Principessa Pia col re del Portogallo Indirizzi di felicitazione al re Vittorio Emanuele —. Apprensioni destate nel governo pontificio dalla notizia dei moti e dei progetti di Garibaldi — Lettera scritta dal la Sicilia al Santo Padre; Manifestazioni liberali a Roma — Misure prese dall’autorit� francese di concerto col governo italiano onde prevenire qualunque sorpresa — Una divisione navale sorveglia le coste marittime dello stato pontificio — Ordine del giorno di monsignor de Merode pro ministro delle armi alle truppe pontificie — Spiegazioni domandate dal gabinetto delle Tuileries a Lord Palmerston sull’invio di una somma considerevole fatto a Garibaldi dall’Inghilterra — Risposta del ministro inglese.

pag.



















877
CAPO XV

I. Giudizii della stampa intorno alla levata d'armi di Garibaldi Nuovi tentativi per indurlo a recedere dai suoi progetti — Lettera di Luigi Mercantini autore del l’Inno detto di Garibaldi Riunione di deputati nel Palazzo Ricciardi a Firenze I volontarii vengono alle mani colle truppe regolari a S. Stefano Marcia di Garibaldi si spera un istante ch'egli sia per cedere — questa esitazione non � che nno stratagemma per facilitarsi la marcia sopra Catania occupazione di questa citt� improvvisa partenza di Garibaldi per le Calabrie Suo sbarco a Melito — Interpellanze nel senato Italiano sugli avvenimenti di Sicilia Misure prese dal governo — Scioglimento della societ� Emancipatrice Italiana Decreto che dichiara in istato d'assedio le provincie meridionali Il generale Lamarmora vi � nominato commissario straordinario Suo proclama Arresto dei due deputati Mordini e Fabrizi ordinato dal Lamarmora Il general Cialdini, e. l'ammiraglio Persano partono per la Sicilia Garibaldi dopo il suo sbarco a Melito si accampa nel piano di Aspromonte Ivi � attaccato dal colonnello Pallavicino E' ferito Rapporti officiali di questi fatti Processo verbale dello stato di salute di Garibaldi Conclusione....................pag.















921
999

NOTA PER IL COLLOCAMENTO DEI DISEGNI

NEI TOMI IV. E V.

TOMO IV.


1 Vignetta del bombardamento di GaetaPag.
2 Gen. Menobrea11
3 Pianta topografica di Gaeta15
4 Maria Sofia24
5 Prin. Savoia Garignano  30
6 Gen. Cavalli S5
7 Com. Nigra48
8 Amari57
9 Vignetta  Casa di Garibaldi a Caprera59
10 Gen. Ulloa (di Francesco II)88
11 Gen. Traversi   106
12 Benedetti   220
13 Raltnzzi  285
14 De Lagucrronniere   312
15 Do Larochejnquelin 318
16 Pietri 327
17 Billaut 339
18 Com Minghetli  362
19 Del Ro 392
20 Giulio Favre403
21 Torrearsa  434
22 L. Murat485
23 G. Toppuli 580
24 Chiavono 633
25 Della Rovere700
26 Desantis 704

TOMO IV.

1 Vignetta  riconoscimento dot regno d’ ItaliaPag.
2 Massimo Azeglio 31
3 Bastoggi 65
4 Nicolera 86
5 Gen Pinclli 101
6 M. de Merode137
7 Vignetta  Esposizione dell’ industria Italiana148
8 Gen. Clary 205
9 Gen Della Rocca 229
10 Brofferio270
11 Villamarina 285
12 Depretis326
13 G. di Trapani 385
14 Tristany 387
15 Borjes389
16 Magg Franchini458
17 De Cristhen444
18 La Farina465
19 Card Donet517
20 Gen Conte di Montebello770
21 Boggio603
22 Crispi816
23 Priuc. Umberto878
24 Princ. Amedeo880
25 Principessa Maria Pia915
26 Vignetta  Garibaldi ferito ad Aspromonte968
27 Gen Pallavicini978

Nota. I ritratti di Droyn de Lhuys, del gen. Sonnaz, del gen. Durando, di Guerrazzi, e la vignetta Garibaldi trasportato alla Spezia saranno collocati nel Tomo VI Si pubblicheranno quanto prima: la Vignetta Garibaldi ferito ad Aspromonte ed il ritratto del Princ. Amedeo.















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