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Gaetano Filangieri e la ricerca della felicità di Zenone di Elea [Aprile 2022]

Vita ed opere di Gaetano Filangieri: Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito

RIFLESSIONI POLITICHE

Su L’ULTIMA LEGGE DEL SOVRANO

Che riguarda la riforma dell’Amministrazione della Giustizia

DEL CAVALIERE G A E T A N O  FILANGIERI

NAPOLI

NELLA STAMPERIA DI MICHELE MORELLI

MDCCLXXIV

Con licenza de' Superiori


Nec vitia nostra, nec remedia pari

possumus.Liv. Lib. I

A SUA ECCELLENZA

IL SIGNOR

MARCHESE TANUCCI

CAVALIERE DELL'INSIGNE ORDINE DI S. GENNARO, CONSIGLIERE, É PRIMO SEGRETARIO DI STATO DELLA MAESTA' DEL RE DELLE DUE SICILIE, DEL RIPARTIMENTO DI STATO, DEGLI AFFARI ESTERI CASA REALE SITE REALI, SUO GENTILUOMO DI CAMERA E SOPRINTENDENTE GENERALE DELLE POSTE.

Ogni Uomo destinato dalla Provvidenza ad illuminare una Nazione co’ suoi talenti, e ad ornarla colle sue virtù, è nel dritto d’esiggere gli omaggi del Cittadino dabbene, e del fiero Patriota.

Io veggo in Voi, o Signore, quest’Uomo, e simile a’ Giovani Guerrieri dell’antica Roma, i quali offrivano d Generali per pegno del loro valore quei giavellotti, e queste corone, che quei Generali istessi avean loro donate sul campo di battaglia; Giovane ancor io offro a V. E, un picciol libro, dove se alcuna verità si legge, nacque prima nel vostro petto, e quindi l’ascoltai da Voi con quel nobile trasporto col quale l’Anime grandi non sogliono pronunciare, che la verità.

I pomposi titoli di un Uomo innalzato alle prime cariche dello Stato; le speranze, che suole ispirare l’amicizia di un Ministro, e tutti gli altri sterili ritrovati dell’ambizione, e dell’interesse, sono alcun molle, che non sogliono urtare il cuore de Filosofi.

Misero questo Scrittore, che fa dell'arte di pensare un traffico infame detti adulazione. lo mi processo co' secoli avvenire, che ricordando al Pubblico chi Voi siete, il mio oggetto non è di far l’eloggio d’un Uomo, ma di scrive e una lezione la più utile per gli Stati, e per tutta intera l’Umanità.

É cosa facile il ritrovare in un Ministero i talenti che si richieggono per un Uomo di Stato. La Natura provvida in tutte le sue creazioni, ci offre con splendidezza questi Esseri, de' quali l’Umanità ha bisogno. La Francia ha veduto sotto il suo Cielo, cento Rechelieu, e cento Magzarini; ma quest’istessa Nazione può appena contare un Sully, ed un Colbert. Questo addiviene, perchè la virtù, come dice uno Scrittore Filosofo, abbita rare volte tra il tumulto. Essa si nasconde nella solitudine dove gode di vivere in silenzio; e per possederla bisogna, per così dire, esiliarli dall’Universo. Non per tanto fra l’estensione immensa de' Secoli, si veggono da tempo in tempo alcuni Genj rari, che fra le cure penose del Governo degli Stati, hanno tenuto un commercio sublime con essa.

Tale fu nella Capitale del Mondo quel Console altrettanto virtuoso, che eloquente; tale in Inghilterra il Cancellier Bacone, che superò il suo Secolo e mostrò a' Secoli avvenire la strada, che dovevano seguire; Tale in Francia il Cancellier de l’Hopital, e tale siete ancor Voi, o SIGNORE, giacché io non temo di unire il vostro a questi celebri Nomi, non altrimente che fece l’eloqente Thomas descrivendoci le virtù del Cancellier d’Aguessau.

Un Ministro, che unifica a’ talenti d’un Uomo di Stato, le virtù private d un Cittadino, è un dono, che la Provvidenza non si compiace d accordare, che a que’ Principi, che l’han meritato colle loro virtù. Il benefico Arrigo meritò il Duca di Sully; Colbert parve, che fosse nato per render più grande il Secolo di Luigi; e questi nostri due Regni destinati a cambiar d’aspetto sotto il governo di due PRINCIPI VIRTUOSI, hanno ottenuto un Ministro, che fritto corrisponde alla gran macchina, ch'essi volevano innalzare. Bisogna dire, che questa forza, che sa gravitare gli Astri gli unì verso gli altri, aggisce anche su le grandi Anime, e fa, che esse si attraggano a vicenda nella loto sfera.

Quando io ho detto, che Voi foste il Ministro dì CARLO, come ora lo siete di FERDINANDO, debbo tacermi, perchè qui deve finire il Vostro eloggio, che v’indrizza un Cittadino, che Vuol esser grato al Benefattore della Patria.

D. V. E.

Umiliss. Divotiss. Servo

Cavalier Gaetano Filangieri

LEGGE

D E L N O S T R O SOVRANO

Che riguarda la riforma dell’amministrazione della Giustizia

Continue emendo contro i Tribunali le querele de' litiganti, o prevenuti dal proprio diritto, o impegnati a prolungare i giudizj, ha finalmente risoluto il RE di darvi il più efficace riparo, ed il più proprio per togliere alla malignità, ed alla frode qualunque pretesto, ed assicurare nell’opinione del pubblico la esattezza, e religiosità de' Magistrati. Vuole adunque il RE anche sull’esempio, e sull’uso de' Tribunali più rinomati, che in qualunque decisione, che riguardi o la causa principale, o gli incidenti, fatta da qualunque Tribunale di Napoli, o Collegio, o Giunta, o altro Giudice della stessa Capitale, che abbia la facoltà di decidere, si spieghi la ragion di decidere o sieno i motivi, su’ quali la decisione è appoggiata. Incaricando S. M. per rimuovere quanto più si possa da’ Giudizj l’arbitrio, ed allontanare da’ Giudici ogni sospetto di parzialità, che le decisioni si fondino non già sulle nude Autorità de' Dottori, che hanno pur troppo colle loro opinioni, o alterato, o reso incerto,, ed arbitrario il dritto, ma sulle leggi espresse del Regno, o comuni: e quando non vi sia legge espressa pel caso di cui si tratta, e si abbia da ricorrere all’interpetrazione, o estensione della legge, vuole il RE, che questo si faccia dal Giudice in maniera, che le due premesse dell'argomento sieno sempre fondate nelle leggi espresse, e letterali; o quando il caso sia in tutto nuovo, o totalmente dubio, che non possa decidersi né colla legge, né coll’argomento della Legge, allora vuole il RE, che si riferisca alla M. S, per attendere il Sovrano Oracolo. Nel tempo stesso poi che S. M. ha proveduto al decreto dei Magistrati col risolvere, ed ordinare, che le decisioni così ragionate si stampino, ha pensato ancora al minor dispendio delle parti,volendo che se ne faccia la stampa privativamente dalla sua Stamperia Reale col pagamento di un carlino, per ogni dieci copie stampate, quando la decisione non patti il mezzo foglio, e così a proporziona di uno o pia fogli, e di maggior numero di copie, che bisognassero alle Parti, e colla prevenzione ancora, che quando gli Atti si faranno gratis per la povertà del litigante, la qual cola si deve spiegare in fondo della Decisione, anche la stampa si farà gratis, ed affinché questa sovrana risoluzione sia esattamente osservata, vuole il RE, che la Decisione la quale non sia così stampata, non faccia passaggio in cosa giudicata e si abbia per non fatta, e dichiarando ancora S. M, che per la solennità delle notifiche di tali Decreti così stampati, debbano le stampe essere sottoscritte dal Giudice, o dal Commissario della Causa, e dallo Scrivano, o Attitante.

RIFLESSIONI POLITICHE

Su L’ULTIMA LEGGE DEL SOVRANO

Che riguarda la riforma dell'amministrazione della Giustizia

PARTE PRIMA

INTRODUZIONE

Non è questa la prima volta, che le migliori istituzioni abbiano urtata la publica opinione. L’istoria è piena di simili avventure. Niuna cosa apparve più insopportabile a Germani, dice Tacito, che il Tribunale di Varo (1)

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Il semplice disegno di voler ristabilire fra gli Spartani l'osservanza d’alcune leggi di Licurgo costò la vita al Re Agis (2); e non vi volle altro, che un progetto di riforma nell'amministrazione del Governo, per rendere odioso a’ Cartaginesi il nome d’Annibale, e per bandire dalla patria un Uomo, che aveva portata la guerra fin sotto le mura del Campidoglio. La libertà istessa parve insopportabile alle Nazioni, allorché per istabilirla bisognava estirpare alcuni disordini, che il tempo, e l’interesse avevano introdotti.

Roma oppressa dal giogo della Tirannia, cercava anche spesso con trasporto la libertà de' suoi Padri. Due Principi gliel’offerirono; ma essa non era più in istato né di conoscerla, né di riceverla. I Romani avrebbero voluto esser liberi in mezzo a’ disordini del dispotismo più oltraggioso.

Quello era lo stato di Roma; sotto l’Imperio di Trajano, e di Marco Aurelio. Chi fa che non sia anche questa la nostra condizione sotto il governo DEL PIÙ BUONO DEI PRINCIPI?

Lo Stato deplora contro l'amministrazione della giustizia. Lo querele dei Cittadini sono giunta fino al Trono. Un Ministro Filosofo propone al Principe il rimedio più opportuno. Le sue mire sono meno dirette a curare il male, che a prevenirne le cagioni; e ’l docile SOVRANO generalmente si determina a farlo eseguire.

La Folgore è scoppiata; la percussione si communica; lo scuotimento si fa sentire dappertutto; l'edificio Forense è crollato; la Magistratura è fiata richiamata alla prima istituzione; il sovrano Impero delle Leggi, si è fortunatamente ristabilito; e la forte de' Cittadini s’è già siffatta.

Ma molto lontano dalle speranze del SOVRANO il volgo più che mai deplora; la disperazione si fa vedere fu 'l volto d’una porzione dei Cittadini; e non fo quale strepito ha di nuovo risvegliata la classe dei declamatori. I soli Filosofi fanno eco a questa voce (aiutare, e spargono dappertutto gli eloggj del PRINCIPE, che è stato il primo a proferirla.

Io non farò dunque altro che unire la mia vóce a questa di questi Cittadini benifici, facendo vedere in queste poche riflessioni, l’utilità di questa legge della quale tanto li parla, ma che pochi hanno intesa.

E’ da sperarli, che il Publico non vorrà leggere quest’operetta collo spirito della Satira. Il solo oggetto, che mi propongo deve almeno prevenire in mio favore gli amatori della libertà civile.

Le mie mire sono pure. Né l’adulazione, né la speranza d’ottenere la pubblica approvazione mi hanno indotto a scrivere. Ogni Autore, che urta un’opinione ricevuta dalla maggior parte, non può meritare questo rimprovero. Il bene dello Stato è la sola causa di questa produzione. In ogni Nazione vi sono alcuni momenti, nei quali i Cittadini incerti della loro forte, gustano la sete dell’istruzione. In questi momenti un Filosofo, che morirà loro la verità, può produrre gli effetti più salutari.

La morte di Lucrezia rendé a Roma la libertà, perchè Bruto s’avvidde, che in quest’istante i Cittadini farebbero stati docili alla voce dell'istruzione. Dell’istessa maniera Trasibulo (3) liberò Atene dell’oppressione dei trenta Tiranni, e della maniera istessa io spero di rendermi utile alla mia Patria mostrandole i suoi interessi in un tempo, nel quale una benefica mano ci offre una specie di Libertà, che noi non sappiamo conoscere, e della quale potremmo esser privi, per un effetto della nostra ignoranza.

lo mi consacro solennemente allo Stato, e mi ci consacro quasi nei primi anni della mia vita, anni, di floridezza, e di fatica... Non mi hanno potuto arrestare le voci confuse della moltitudine, che anzi han fatto, che m’affrettassi a rendere alla Patria questo picciol sacrificio fra ’l corso di pochi giorni (4).

Riceva dunque questa benefica Madre il giuramento, che ora le so di non viver, che per lei.

Quest’operetta sarà divisa in due parti. Nella prima farà vedere, come tutte le parti di questa legge sono dirette a proteggere la libertà sociale. Nella seconda poi io risponderò alle obiezioni, che mi si potranno addurre riguardo alla sua applicazione.

§ I

Spirito di questa legge:

Nei Governi dispotici gli Uomini commandano, nei governi moderati commandano le leggi, diceva, uno Spartano ad un Satrapo di Persepoli, che paragonava il governo di Persia a questo d’una Monarchia bene istituita. Quella semplice verità proferita da un’anima libera, è il solo oggetto dell’ultima legge del nostro SOVRANO, che riguarda la riforma nell'amministrazione della giustizia.

In una legge cosi semplice, e così chiara, è cosa troppo facile il penetrare nelle mire del Legislatore.

L’arbitrio giudiziario, è questo che si cerca d’estirpare. Bisogna dunque torre a’ Maggistrati tutto questo, che li rende superiori alle leggi. Ecco il fine di questa legge; vediamone ora i mezzi.

Il Re, vuole, che tutto si decida fecondo un testo espresso: che il linguaggio del Magistrato sia il linguaggio delle leggi; che egli parli allorché esse parlano, e si taccia allorché esse non parlano, o almeno non parlano chiaro; che l’interpetrazione sia proscritta (5) l’autorità dei Dottori bandita dal Foro, e ’l Maggistrato costretto ad esporre al Pubblico la ragione della sentenza.

Quelli sono gli argini, che il Sovrano ha innalzati contro il torrente dell’arbitrio. Dovendo dunque raggionare di questa Legge, io comincerò dal premettere alcuni principe fondamentali dai quali si dedurrà come per conseguenza la necessità, che ci è ne’ Governi moderati di estirpare l’arbitrio giudiziario, e l’efficacia dei mezzi, che il Sovrano ha impiegati per ottener questo fine.

§ II

Principi fondamentali.

NON deve recar meraviglia te la maggior pane degli Uomini quali sempre s’inganna nella ricerca del vero. Il raggìonare a posteriori è stato in tutti i tempi, il difetto della loggica volgare. Io abbandono dunque volentieri questo metodo, e penetrando nei principi fondamentali della Politica, proccurerò di Sviluppare queste conseguenze, che isolate sembrano paradossi alle menti non avvezze a calcolare.

Due cose compongono la libertà politica dei Cittadini in ogni specie dì Governo. La Sicurezza e l’opinione di questa sicurezza. L’una è nel fatto, e l’altra è nell’immaginazione (6).

Or queste due parti componenti la libertà dei Cittadini sono cosi strettamente unite fra loro, che non si potrebbe separar l’una dall’altra, senza distruggere la libertà istessa.

Che giovarebbe ad un Uomo il non poter esser molestato da persona, se egli fosse sempre agitato dal timore di perdere in ogn’istante la sua vita, la sua robba, è ‘l suo onore?

Per ottenere questo fine, i primi istitutori delle societā, ebbero ricorso alle leggi, le quali inoltrando ai Cittadini i loro dovente costringendoli ad adempierli colla minaccia delle pene, ispirano nel tempo istesso questa placida confidenza, che nasce dall’opinione di non poter esser molestati, operando fecondo il lord dettame. Premessi questi principi, io vengo alle conseguenze.

§ III

CONSEGUENZA PRIMA:

L’arbitrio giudiziario e incompatibile colla libertà civile.

SE la libertà de' Cittadini e poggiata fu la gran base delle leggi, non vi vuol molto a vedere, che quanto maggiore farà il loro vigore, altrettanto crescerà la forza della libertà istessa. Ma l’arbitrio de' Magistrati è Contraddittorio alla forza delle leggi (poiché cosa è arbitrare, se non dispensare, o almeno modificare questo, che la legge ordina?); dunque la libertà de' Cittadini sarà minore, a misura, che l’arbitrio giudiziario sarà maggiore.

Mi io preveggo, che questa semplice conseguenza dedotta da un principio egualmente semplice non farà verun urto nell’animo di coloro, che avvezzi a sentire di continuo, che il sommo dritto è rare volte disgiunto da una somma ingiuria credono, che l’equità sia diversa dalla giustizia, e che il dovere del Magistrato sia di supplire coll’equità al giusto rigore delle leggi. Questo misterioso ritrovato, atto a nascondere le ingiustizie più manifeste, si è ora fatto vedere dai Filosofi in tutta la sua deformità. La Filosofia ha già da gran tempo dimostrato, che l’equità è inseparabile dalla giustizia, e che questo, che non è giusto, non può mai divenir equo.

Ma questa specie d’equità, inseparabile dalla giustizia, non è quella, che l’ambizioso Magistrato si fa gloria di seguire. Per distendere i limiti del suo potere, per nascondere il sacrilego attentato, che si la alle leggi, bisognava che egli chiamasse in soccorso un equità arbitraria, la commoda flessibilità della quale fosse atta a ricever tutte le impressioni della sua volontà.

Or questa specie d’Equità, che incollante nelle sue regole, si fa, per cosi dire, una bilancia particolare, ed un peso proprio in ogni Causa,è questa,dalla quale la maggior parte delle Nazioni è stata così funestamente tradita, e questa equità è questa che Tullio rinfacciava ai Magistrati di Roma nell’epoca fatale della decadenza della libertà. I nostri Maggiorati, dice quest’Oratore, Filosofo, hanno Tempre in bocca l’equità, nel tempo stesso, che le oppressioni si fan sentire dapertutto, e vi si fecero sentire da che questo pernicioso istrumento dell’arbitrio de' Giudici penetrò il Foro di Roma.

Regola generale: dove ci è tale equità, ci è arbitrio, e dove ci è arbitrio, non ci può esser libertà.

Un’occhiata filosofica gittata sull’istoria de' primi secoli di Roma, basterà per ricrederci dell'implacabile dissonanza dell’arbitrio colla libertà.

Nei tempi posteriori alla Monarchia allorché il Senato voleva renderli il despota de' Romani, vidde nell'arbitrio giudiziario il mezzo più sicuro per conseguir le sue mire. Le Leggi Regie, la cognizione delle quali era presso i soli Patrizj, erano divenute l’istrumento di questa fatale arbitrio i Il mistero, col quale essi le tenevano nascoste al Popolo, li aveva renduti non solo necessarj in tutte le magistrature, ma aveva dato loro il mezzo per giudicare arbitrariamente di tutte le controverse, che si agitavano fra i Cittadini, senza che questi avessero potuto né anche conoscere le loro oppressioni.

Ecco perchè il Senato eluse per lo spazio di più anni le preghiere de' Tribuni, che gli cercavano, in nome del Popolo un Codice di leggi, che fosse palese a tutti i Cittadini.

Non si può leggere senza fremito questo tratto dell'Istoria di Roma, che riguarda l’Epoca dell’incertezza del dritto. Per non pendermi in un racconto, che mi farebbe inutilmente dilungare, io mi contento solo di dire, che il dispotismo degli Ottimati si era renduto così insopportabile, che il Popolo era in istato d’invidiare la sua condizione lotto il governo dello stesso Tarquinio. Per ricrederli di questa verità basta leggere in Dionisio la risposta data ai Legati del Senato da un Plebeo chiamato Lucio Giunio, nel tempo della prima secessionedella Plebe nel Monte Sacro. Noi non abbiamo mai sofferte imiti oppressioni, diceva questo Plebeo, né da’ Re né da Tarquinj istessi (7).

Io finisco questa importante verità, con una breve riflessione che appena voglio accennare per fere, che colui che legge l’esamini, e ne deduca queste conseguenze, che il buon senso farà per ispirargli. Quale è questa causa, che rende i governi dispotici incompatibili colla libertà de' Cittadini? L’arbitrio del Despota. Datemi dunque un Governo, nel quale i Magistrati possono arbitrare, e voi mi darete nel tempo istesso un corpo di despoti, il quale renderà il governo altrettanto peggiore del dispotismo assoluto, quanto il numero de' Magistrati supera questo dell’unità. E cosa facile ritrovare un despota, Uomo da bene; ma è quasi impossibile di ritrovare l’istessa moderazione in un corpo intero di Magistrati; e questo non solo pel numero, ma anche perchè le cause che possono indurre un Magistrato ad abusare del suo ministero, sono presso a poco infinite, in confronto di queste che possono agire nella persona d’un despota.

Il Tribunale Supremo degli Efori stabilito in Sparta, è una pruova di questa verità. Questo Tribunale quantunque comporto da’ più rispettabili Cittadini di Sparta, divenne dopo qualche tempo il Tribunale delle oppressioni, perchè poteva arbitrare (8).

La più ingiusta sentenza, dice Plutarco (9) colla quale si condannava a morte il Re Agis, fu proferita, ed eseguita alla presenza degli Efori.

§ IV

II CONSEGUENZA

L’arbitraria interpretazione delle leggi si oppone a’ principi della libertà sociale

Ecco l’altra conseguenza, che io deduco da’ prìncipi, che ho premesso. Se la sicurezza de' Cittadini non solo, ma l’opinione ancora di questa sicurezza costituiscono la libertà sociale; come mai potrà ottenerli questa opinione, quando ognuno è conscio, che la sua tranquillità può esser turbata dalla venale interpetrazione d’un Giudice, o dall’ignoranza d’un Magistrato? L’uniformità, e l’eguaglianza, sono i caratteri più interessanti delle leggi. Or supponiamo i Magistrati egualmente giurisperiti, ed i Giudici egualmente incorruttibili, non per questo il dritto d’interpretare lo spirito della legge, lascerà di distruggere questa uniformità tanto necessaria per la libertà sociale. La maniera di pensare degli Uomini varia in milli modi. Le nostre cognizioni, e le nostre idee hanno un reciproco ligame. Ma dalla combinazione di queste idee, nasce una somma di risultati molto più complicata di questa che l’aritmetica fa nascere dalla combinazione de' numeri. L’interpretazione dunque della legge farebbe l’effetto d’una di queste combinazioni. Or chi potrebbe mai presumere di serbare l’uniformità, nell’effetto senza prevenire il divario presso a poco infinito delle cause, che lo producono?

Io dimando: Se la volontà del Legislatore è una, e per conseguenza una la legge, da che poi deriva; che noi vediamo di continuo due Tribunali, che si contradicono, e due sentenze, che a vicenda si annullano, e si distruggono? Io lo ripeto; è un errore egualmente in morale, che in poi litica il distinguere l’Equità dalla Giustizia, Quello che è giusto è equo, e questo che è ingiusto non può mai divenire equo.

Allorché Francesco Primo Re di Francia s'impadronì della Savoja, i novelli Magistrati, che vi stabilì si allontanarono alquanto dalla lettera della legge, facendo sempre valere l’Equità. I sudditi, che cominciarono a sentirne il peso, pregarono il Re di proibire a’ suoi Magistrati d’esser equi.

A dire il vero, il linguaggio fa improprio, ma il senso della domanda era troppo ragionevole. Equità, interpretazione, arbitrio non sono altro che voci sinonime, allorché si vogliono considerare rapporto agli effetti, e ci è un concatenamento così reciproco fra loro, che se la Politica potesse sempre ridurli a calcolo, l'Aritmetico ne farebbe nascere una progressione, il primo termine della quale sarebbe l’Equità, e l'estremo, il Dispotismo.

Ciro nella sua fanciullezza fu punito, per aver giudicato ingiustamente una controversia fra due Cittadini. Un Giovane di alta statura, che aveva una corta veste, essendosi imbattuto con un altro meno alto di lui, la veste del quale era troppo lunga per la sua persona, gliela tolse, e lo covrì colla sua. Dopo questo cambio le due vesti perfettamente rispondevano alla statura di ciascheduno.

Il Giovane Ciro destinato a giudicare di questa azione, credette doversi assolvere il Giovane, che aveva tolta all’altro la veste, seguendo i principi dell'Equità. Allora il suo Direttore, dopo averlo acremente ripreso gli diede un insegnamento, che dovrebbe rimanere impresso nella memoria di coloro che esercitano il sacro ministero della Giudicatura. Ricordatevi, o Signore, gli disse, che non è né l’Equità, né la convenienza, ma la sola giustizia è questa, che deve decidere della proprietà delle cose (10).

§ V

Riflessioni su i Romani

Io mi confermo sempre nemici principi, allorché veggo, che si combaciano colle vicende di questo Popolo. Ne’ tempi, nei quali Roma era libera, le leggi erano inviolabili. Ogni modificazione, ogni picciola alterazione era proibita a’ Magistrati, il ministero de' quali, era semplicemente diretto alla cognizione del fatto, ed alla litterale applicazione della legge. Così anche ne ragiona il dotto Bon. (11).

Più! Io veggo nelle Finzioni di Leggi, così frequenti presso i Romani una pruova di questa verità. Essi si contentavano alle volte piuttosto di finger quel che non era che di alterare, o almeno di modificare la Legge con una interpetrazione, che poteva discostarsi dal senso espresso delle parole. La Legge per esempio preferì ve va, che il tentamento non potesse aver vigore di legge, fe non quando il Testatore era Cittadino Romano (12).

Or si sa, che tutt’i prigionieri lasciavano d’esser Cittadini nel tempo della loro prigionia. Dunque durante questo tempo, essi non potevano testare. Ma siccome il sistema delle Leggi Romane era l’incoraggire i Cittadini alla guerra, era facil cosa facilmente l’interpetrare lo spirito di questa legge, supponendo, che ella noti poteva comprendere nella regola generale coloro, che erano divenuti prigionieri difendendo la Republica. Ma questa interpetrazione avrebbe alterato il senso espresso delle parole della legge. Al contrario l’interesse pubblico voleva, che questi testamenti avesseno vigore, per non dare al soldato una ragione di temere maggiormente i mali, che porta seco la prigionia. Or per prevenire l’uno, e l’altro difendine, si ebbe ricorso ad una finzione, colla quale si fingeva, che il legamento fosse anteriore alla prigionia, e che il follato folte morto, nel momento, nel quale cadde fra le mani degl’inimici (13).

Ecco come i Romani si contentavano piuttosto di finger quel che non era, che di ricorrere ad una interpetrazione, che avrebbe potuto alterare il senso della legge.

§ VI

Altre ragioni, per le quali l’arbitraria interpetrazione delle leggi deve essere proibita a Magistrati ne’ Governi Moderati

Molto mi sta a cuore di rassodare questa verità. Di tutte le parti che compongono la Legge del Sovrano, lo credo, che, questa sia la più interessante, e la meno conosciuta. Osserviamo dunque lotto un altro aspetto questa importante verità Dalla costituzione istessa de' Governi moderati io dedurrò la necessità, che ci è di proibire a’ Magistrati l’interpetrazione arbitraria delle leggi.

Tutte le diverse operazioni del Corpo Politico d’ogni Governo si comprendono fotto tre dalli, che io chiamofacoltà.

La facoltà legislativa, la facoltà esecutiva delle cose, che dipendono dal dritto delle Genti, e la facoltà esecutiva di queste, che dipendono dal dritto civile, ossia la facoltà di giudicare.

Ognuno fa, che la diversa costituzione de' Governi moderati dipende dalla diversa distribuzione di queste facoltà, le quali portano seco una ferie di dritti, e di prerogative, che sono di loro natura incommunicabili.

Ho detto incomunicabili, poiché siccome la costituzione de' Governi moderati richiede, che queste facoltà fieno separate; separati dovranno ancora essere i diritti, che ne nascono. Io mi spiego: In tutti i Governi, moderati la facoltà di giudicare non può edere unita. alla facoltà legislativa (14).

Sarebbe inutile dimostrare questa verità dopo che tutti i Politici l’ànno adottata, come un principio incontrastabile. Nelle Monarchie, per esempio, ove l’emanazione delle leggi è fra le mani del Sovrano, i Magistrati non possono esser nel tempo istesso legislatori, perchè sono Giudici. Dunque neppure i dritti, che si competono al Sovrano come Legislatore, possono appartenere a’ Magistrati come Giudici. Or fra la somma de' dritti, che competono al Sovrano come Legislatore, ci è particolarmente questo d’interpetrare le leggi, tanto queste, che egli stesso ha emanate, quanto le anteriori (15).

Quello dritto dunque non si potrà trasferire a’ Magistrati, senza urtare la costituzione istessa del Governo, e senza ledere i dritti del Sovrano.

I Principi che han bene intesa l’arte del Governo, han conosciuta questa verità, e fin dal nono secolo Carlo Magno conobbe quanto l’arbitraria interpetrazione delle leggi, unita alla facoltà di giudicare, offendeva i veri dritti del Principe, e la libertà del Cittadino. Nella riforma, che egli fece della legislazione de' Longobardi, volle, che ne’ casi, ne' quali la legge era oscura, si ricorresse al Sovrano per interpetrarla (16).

Quale sarà dunque il ministero de' Magistrati? Quello che il Nostro Sovrano ha con tanta chiarezza determinato nella legge, della quale io ragiono. Cognizione del Fatto, applicazione litterale della legge: ecco a che si riducono tutti i doveri d’un Giudice.

§ VII

Ragioni che hanno indotto il SOVRANO a costringere i Magistrati d’esporre la ragione della sentenza, e di mettere in istampa i loro decreti. Utilità di questa determinazione dedotta dagli istessi principi.

Ecco un altro rimedio, contro l’arbitrio de' Magistrati.

Quando il Giudice sa di dover esporre la ragione della sentenza, quando fa,che questa ragione deve esser dedotta dalla legge; quando sa, che questa legge non può essere interpetrata a capriccio, io non trovo un velo, che possa nascondere l'ingiustizia della sua sentenza. Ma oltre a questo ci è un’ altro vantaggio. Se l’opinione della propria sicurezza è la base della liberti sociale, come lì è dimostrato (17), e fe questa opinione è relativa alla somma, e all’indensità degli ostacoli, che un Cittadino deve superare per violare i dritti d’un altro Cittadino,io non trovo mezzo più opportuno per fomentare questa salutare opinione riguardo a’ Magistrati, quanto questo di costringerli a dar ragione al Pubblico della giustizia delle loro decisioni. Ho detto al Pubblico, poiché non ad altro oggetto il Sovrano ha determinato, che le sentenze dovessero esser date alle stampe, fe non per maggiormente richiamare l’attenzione de' Magistrati nell’esercizio d’un ministero, dal quale dipende la forte, e la tranquillità de' Cittadini. Non è una persona sola, che deve esser persuasa dalle fallaci induzioni d’un Giudice corrotto; ma è un Pubblico intero, inesorabile ne’ suoi giudizj, che deve esaminare le sue decisioni. Niuna colà ha data tanto da temere anche agli animi più intrepidi quanto la pubblica Censura,

Da che dunque deriva, che questa determinazione del Sovrano ha trovati tanti contradittori? Saranno forse costoro eccitati dall’ignoranza de' Magistrati? Io mi guarderei bene dal proferire una simile calunnia, che mi renderebbe esecrabile nel tribunale della Verità. Il Corpo de' nostri Magistrati composto da’ più rispettabili Cittadini dello Stato, è nel dritto d’esiggere la pubblica venerazione. Bisogna pure confessarlo. La giustizia ha rare volte veduto ne’ suoi Ministri tanta esattezza, è tanta integrità. Le loro mani pure, ed innocenti offrono un culto piacevole a’ ludi occhi. Desinati a serbare il sacro deposito delle leggi, essi si fanno un delitto d’ignorarle. Cosa dunque di più facile per un Magistrato di quest’indole, che di sostenere la sua sentenza col soccorso di queste leggi, dalle quali è dedotta?

Che poi questa parte della legge del Sovrano abbia più delle altre incontrati tanti contradittori, non deve recar meraviglia, quando si riflette al solito destino della novità, che è stata pur troppo l’oggetto della decisione della maggior parte degli Uomini.

§VIII

La legge del Sovrano sarebbe stata bandita dal foro l’autorità de’ Dottori.

Un gran numero di privati ed oscuri Interpetri, che l’umanità vidde nascere ne’ secoli dell’ignoranza, quali sempre opposti tra loro, formano quel caos infinito d’opinioni, che rendono così dubbia, e così incerta la Giurisprudenza della maggior parte dell’Europa.

Ma i nostri Tribunali particolarmente ci hanno offerto fino a questo punto uno spettacolo che dovea muovere la compassione de' Filosofi. Era senza dubbio cosa umiliante il vedere in questi secoli illuminati un Magistrato chinare il capo al solo nome di Bartolo, farsi un delitto di ripetere ad un paradosso d’Ageta, ed ascoltare con tanta venerazione un'opinione di Claro, con quanto rispetto uno Spartano avrebbe in. altri tempi consigliati gli Oracoli della Sacerdotessa d’Apollo.

Quali mali non ha prodotti nel nostro Foro questo erroneo sistema di giudicare? Io lascio volentieri a’ Politici più pazienti, e più moderati quest’esame, che mi farebbe innoltrare in un dettaglio, nel quale forse non saprei contenermi; dico solo, che la legge del Sovrano farebbe data inconseguente, fe non avesse bandita del Foro l’autorità di quest’Interpetri. Ed in fatti io non so intendere come mai si potrebbe torre da’ tribunali l’arbitrario giudiziario, senza prescriverne prima la causa, che lo protegge, e lo nasconde. Volete voi gittate a terra un edificio? estirpatene le pietre angolari, e voi lo vedrete subito crollare. Or le pietre angolari dell’arbitrio giudiziario, sono l’autorità de' Dottori. La diversità delle loro opinioni, dà Tempre al Magistrato uri velo da nascondere le sue oppressioni. Ecco perché l’immortale Leibniz consigliava, che si fossero bruggiati tutt’i farraginosi Volumi di quest’Interpetri.

Noi sappiamo dell’Istoria della Giurisprudenza, che Giulio Cesare proibì a’ Giureconsulti di rispondere in materia di dritto. Le decisioni erano divenute arbitrarie fotto la protezione di quest’interpetri.

Ma quest’imperatore non fece, che impedire per poco tempo i progressi del male. I disordini riacquistarono il loro vigore fotto l’Impero di Augusto, il quale rimise i Giureconsulti nell’antico possesso, quantunque con qualche restrizione (18).

I mali che nacquero da questa fatale libertà, durarono fino a’ tempi di Giustiniano, il quale finalmente istruito dall’esperienza, volle che a niuno fosse lecito di commentare il nuovo Corpo del dritto da lui promulgato. Ma il fanatismo de' commentari non si sviluppò mai con tanta forza, quanto dopo quest’utile proibizione

L’Italia, la Francia, la Spagna, e particolarmente la Germania, viddero nascere tanti Commentatori, i quali nell’illustrazione delle leggi Romane inventarono tante limitazioni eccezioni, ed amplificazioni, che diedero a’ Magistrati il mezzo d’eludere il vero senso di queste leggi. Io non so dunque intendere, come debba parer strano ad alcuni, che il nostro SOVRANO, l’oggetto del quale è di ristabilire il visore delle leggi, seguendo le mire dell’istesso Giustiniano, abbia tolto ogni peso all’autorità di quest’Interpetri. Un Principe illuminato, che ha avuto l’arte di rendere egualmente glorioso il suo nome nelle Reggie de' Principi, che ne’ gabinetti de' pacifici Filosofi, ha da più anni conosciuta questa verità, ed i suoi sudditi han già gustati gli effetti salutari della Filosofia (19).

PARTE SECONDA

INTRODUZIONE

SI RISPONDE AD ALCUNE OBBIEZIONI CHE SÌ POSSONO ADDURRE RIGUARDO ALL’APPLICAZIONE DI QUESTA LEGGE.

§ I

Prima obiezione che riguarda la lentezza de Giudizj

E questa legge ha vigore, dicono alcuni, il Magistrato dovrà impiegare maggior tempo per interporre una semenza. Io lo concedo, ma sarà forse questo un male?

Una legge di Solone proibiva a’ Giudici di render più giudizj nell’istesso giorno (20).

Quello Legislatore canosceva benissimo quanto sia da temersi l’errore nella persona d’un Giudice, e quanto una certa lentezza ne’ Giudizi sia da preferirli ad una fretta apportatrice di rovine, e d’intrighi.

A dirla poi come penso, non così volentieri m’induco a credere, che la Legge del poltro SOVRANO sia il fatale intoppo del disbrigo delle Cause. Il dover decidere fecondo l’espresse parole delle leggi, è l’operazione più facile per un Magistrato, o versatissimo nel dritto, o pieno di buona volontà a voler imparare quello che non sa in quei libri della Civile Sapienza, che formano tutta la legislazione d’un Popolo. Gl’intoppi della Giustizia, sono le inutili procedure, e le scaltre invenzioni de' Padroni delle Cause.

L’orribil mostro della Cicana, e non la nuova Legge del SOVRANO è qullo, che può rendere ben pasciuti i difensori delle liti, ed alimentare l’insaziabile ingordigia di pochi uomini, colle sostanze di più migliaia di cittadini. Per deplorare un limite disordine, non vi vuol altro, che avere un’anima.

Un gran Re, che visse per accrescere lo splendore al suo Regno, conobbe questo male, e ne cercò i rimedj. Nel 1667 il gran Luigi pubblicò un Ordinanza, che forma una parte del suo Codice nella quale vien compreso lo stabilimento d’una procedura uniforme, e molto accorciata in tutto il Regno della Francia. Lo stesso ha fatto il Re di Prussia in un Piano, ch'egli propose al suo gran Cancelliere (21).

Ma un’ altra riflessione mi lì presenta in questo punto. Se è permesso alla Politica di penetrare nell’avvenire con un presagio fondato sopra alcuni dati, de' quali non li può dubitare, io ardisco, di presaggire, che i litigi dureranno meno, se questa legge sarà religiosamente osservata.

Due sono particolarmente gli ostacoli, che impediscono ne’ nostri Tribunali il disbrigo delle Gau« fe: la moltipliche de' rimedj, de' quali una delle parti può far ufo per render nulla la sentenza e la moltipliche delle liti.

Io dimostrerò prima d’ogn’altro, che in molti casi il ricorso a questirimedj sarà meno frequente, e quindi farò vedere, che si scemerà il numero delle liti, se questa legge avrà vigore.

Per tre ragioni si ricorre a questi rimedj. O perché uno de' litiganti crede, che la sentenza sia ingiusta, 0 perchè spera di ritrovare Giudici più parziali, o finalmente perché crede, che gli renda conto di dilungare il corso della lite. Or niuna di queste tre ragioni può oggi indurre un attore escluso nella prima istanza dalla sua pretenzione a farne uso, allorché la Causa dipende immediatamente dal dritto. Basta ricordarsi di quel che si è detto riguardo alle circostanze, che secondo la Legge del SOVRANO debbono accompagnare ogni sentenza, per ricrederti quanto sia imponibile al Magistrato d’arbitrare in questi casi.

In quelle Cause, nelle quali la controversia nasce dal fatto, il Magistrato può nascondere la sua ingiustizia, alterando, o ravviluppando il fatto istesso. Ma in queste che dipendono assolutamente dal dritto, o la legge parla chiaro, ed allora il Magistrato non può alterarla; e la legge è oscura tanto, che l’ambiguità del senso darebbe luogo all’arbitrio, ed allora dovendosi ricorrere all’autorità suprema, il Magistrato non può far altro,che dedurre la sentenza dall’espressa interpetrazione, che ne darà il SOVRANO. Premessi questi dati, io non so intendere quale speranza polla allora indurre l’Attore a ricorrere a quei rimedi che la legge gli offre, per render nulla la sentenza. Ecco come nelle liti che dipendono dal dritto, il corso delle Cause spesse volte anzi s’accelera, che si ritarda.

Riguardo poi alla moltiplica delle liti, vi vuol poco a vedere quanto questa Legge debba necessariamente libernarne il numero. Una collante, e trista esperienza ci ha pur troppo istruiti col fatto, che la maggior parte dell’azioni, che s’intentano ne’ nostri Tribunali, sono piuttosto poggiate su la frode, e l’intrigo, che fu la semplice verità Il voler dire che le molte liti sieno l’effetto del temperamento nazionale, è un linguaggio, che dovrebbe mal comportare la placidezza de' nostri cittadini. Basta osservare i costumi delle Nazioni, per ricrederli che questo disordine regna dappertutto, dove l’amministrazione della giustizia è cosi difettosa come lo-era da nostra, prima di questa salutare riforma. La Pomerania, dice Formey (22), veniva chiamata Terra litigiosa, per gli continui litigi che in questa Provincia si promovevano. Appena il Gran Federico ebbe perfezionato il suo piano di riforma, che per ricrederli de' vantaggi, che racchiudeva, volle, che questa Provincia fosse la prima a sperimentarlo, come questa, nella quale le liti erano più frequenti. L'esecuzione corrispose alle speranze del SOVRANO, e le liti divennero in ogni giorno più rare.

Il languore delle leggi, la forza della cabala, e l’incertezza del dritto sono queste fangose vene, donde forge il gran torrente delle liti Io lascio volentieri a colui che legge l’esaminare in che ragione dovrà diminuirsi presso di noi il numero delle liti dopo una riforma diretta a ristabilire il vigore delle leggi, A bandire la cabala, ed a render più sicuro un dritto, che l’autorità degl’Interpetri forensi, pasciuti di barbarie, aveva renduto cancellante, ed alterato.

§ II

Obiezione, che si fa riguardo a’ casi non compresi nella legge

Io sento dire dappertutto: la nostra leggislazione crescerà all’infinito. Se ’l SOVRANO ha voluto che il Magistrato ricorra all'autorità suprema; si vedranno nascere tante leggi particolari s quanti cali si ritroveranno non compresi nelle leggi anteriori.

Io rispondo a questa obbiezione colla regola generale, che nella necessità de' mali bisogna sempre scegliere il minore. La molteplicità delle leggi è un male; ma il dare a’ Magistrati il dritto di decidere de' casi non compresi nella legge, è certamente un male maggiore.

La più ingiusta sentenza mette sempre al coverto un Giudice in? giusto, quando non ha la legge, che lo dirigga. Or la sicurezza dell’impunità è certamente il peggior male, che si possa tollerare nella società. Date anche all’uomo più onesto la Sicurezza di rimaner impunito, e voi lo metterete net rischio di divenire l’uomo il più corrotto, e ‘l più malefico .

Nel tempo della Teocrazia degli Ebrei, Mosè dopo aver stabilite in ogni Città un Tribunale composto di sette giudici, volle, che ne’ casi, ne’ quali essi non potevano essere condotti dalle leggi, ricorressero al Sinedrio, il quale avrebbe sviluppati i loro dubbj (23).

L’oggetto di questo stabilimento di Mose, era senza dubbio diretto a prevenire l’abuso, che un Giudice corrotto poteva fate del silenzio delle Leggi; e questo è anche lo spirito di questa determinazione del nostro SOVRANO. Il Gran Federigo ha prescritto l’istesso come si può vedere nella Prefazione del suo Codice (24).

Io ho detto, che la moltiplicità delle leggi è un male, e che conviene tollerarlo per iscansarne uno maggiore, quale è questo di permettere a’ Magistrati di giudicare arbitrariamente de' casi non compresi nelle leggi. Ma ci farebbe mai un rimedio atto a prevenir l’uno, e l’altro disordine; voglio dire un rimedio, onde supplire al difetto delle leggi, senza moltiplicarne il numero? Quella utile ricerca farà l’oggetto del seguente articolo.

§ III

Necessità di un Censore di Leggi

Intendimento umano si ristringe dentro una certa sfera. Un oggetto complicato difficilmente si rappresenta alla mente dell’Uomo con tutta la sua chiarezza. Il tempo sviluppa l’intrigo, e spesso gli errori aprono la brada alle verità. Il vuoto di Gassendo rassodato dall’immortale Neuton riempie lo spirito di cognizioni, e di sapere. Un sistema erroneo che vuole, che l'Universo non contenga niente, mette questo Genio creatore in istato di ridurre a calcolo tutti i movimenti della Natura. Questo è il destino delle scienze complicate, fra il numero delle quali la scienza della legislazione ottiene il primo luogo. Un Legislatore, che emana una legge, può egli avere innanzi agli cicchi tutti i cali particolari, che vi si debbono comprendere? Al contrario non vi vuol molto a vedere, che uno di questi casi, che sfugga dagli occhi del Legislatore, la rende imperfetta.

La Politica non ha ancora ritrovato un rimedio a questo disordine. Balla por mente su ’l sistema presente de' Governi d’Europa, per vedere quanto noi siamo ancor lontani dal ritrovarlo.

Se un disordine si fa appena sentire in una Nazione, una nuova legge si emana. Essa non ha per oggetto, che quel caso particolare, che potrebbe essere facilmente compreso in una legge anteriore, alla quale non mancano, che due o tre parole per accennarlo. Ma il destino delle legislazioni è di correre sempre innanzi, senza mai rivolgersi in dietro. Ecco la causa dell’immenso numero delle Leggi, che opprimono i Tribunali d’Europa, e che rendono lo studio della Giurisprudenza simile a quello delle cifre de' Cinesi, i quali dopo uno studio di venti anni appena hanno imparato a leggerle.

Quale sarebbe dunque il mezzo da riparare a’ necessarj difetti delle leggi, senza moltiplicare all’infinito il numero delle leggi particolari? Stabilite un Censore, la cura del quale sia di supplire al difetto delle leggi, rendendole applicabili a quei cali, che il Legislatore non ha prevenuti, e di far vedere al Legislatore vivente, quali sono queste che dovrebbero esser derogate, perché divenute inutili, o pernicioso per le necessarie vicende delle cose umane. Con questo mezzo voi eviterete la molteplicità delle leggi particolari, delle quali sono pieni inoltri codici,'metterete un ostacolo all’antinomia, effetto necessario del loro gran numero, e ritardare la decadenza del Codice, come questa che viene più d’ogni altro accelerata dall'inutilità delle leggi antiche.

§ IV

Riflessioni su i Romani

Mi si permetta una brieve digressione molto opportuna per dar maggior peso ad una verità così interessante come questa.

Io ho detto, che la cura di questo Censore non dovrebbe esser soltanto diretta a supplire ai difetto delle leggi, ma anche a mostrare al legislatore vivente, quali sono queste che dovrebbero, esser derogate, perché divenute inutili, o perniciose, per un effetto delle necessarie vicende delle cose umane.

Per meglio sviluppare questa verità, io ricorro all'istoria d’un Popolo, le leggi del quale superando gli ostacoli del tempo, e della Filosofia, conservano ancora il loro vigore nella maggior parte delle Nazioni Europee.

I Romani avevano un Censore de' costumi: Essi avrebbero dovuto anzi avere un Censore di leggi.

La loro legislazione ammirabile nel tutto, era difettosa nelle parti.

Questi difetti non venivano curati; e questa è la ragione, per la quale le loro leggi erano spesse volte in contradizione co’ loro coltomi, e collo fiato della Nazione. Le leggi suntuarie de' Romani nel tempo di Cesare avrebbero potuto convenire a’ Romani del fecondo, e terzo secolo (25), e pure esse facevano una porzione del Codice della Nazione, nel tempo, che cinquantamila dramme appena ballavano per somministrare le spese d’una cena che Cicerone, e Pompeo chieggono a Lucullo, avendolo colto all’improvviso. Fra lo strepito d’una truppa di servi, che formavano l’accompagnamento giornaliero de' Cittadini dì Roma, le leggi prescrivevano una frugalità, che i Romani disprezzavano, e che le ricchezze della Nazione non potevano tollerare.

Un Censore avrebbe sicuramente fatto vedere la necessità, che ci era di derogare queste leggi, e di emanarne altre più adattabili allo flato, nel quale era in quel tempo la Nazione.

Le Leggi Agrarie, e le leggi che regolavano le usure appresso quel Popolo, mi aprirebbero la strada a mille altri esempj atti a meglio sviluppare l’istessa verità, se io non temessi di stancare chi legge, al quale ho per costume di falciar sempre qualche cosa da penare.

§ V

Altra obiezione

Le Nostre leggi, dicono alcuni, sono piene d’antimonie e di contradizioni. Dovendosi decidere fecondo la legge; in mezzo a tanti intrighi come potrà il Magistrato trovare la verità?

A questa obiezione io rispondo con un Canone della Loggica legale.Ne casi di Antinomia, la legge posteriore deroga sempre l’anteriore.

Se a’ Sovrani si appartiene il dritto dì derogare le leggi; quando una legge posteriore si oppone ad una legge anteriore, si deve supporre, che il Legislatore abbia tacitamente derogata l’antica.

Trovata l’epoca delle due leggi, che si contraddicono, l’intrigo si scioglie, e l'antinomia dispare.

Io non so se qui si possa pronunciare impunemente il quod erat demostrandum dei Matematici.

§ VI

Altra obiezione

L’Interpetrazioni de' Dottori sono di molto soccorso a’ Magistrati nell’applicazione delle leggi; perché dunque proscriverle? Ma questa objezione nasce da una falsa supposizione, tutta aliena dallo spirito della legge del Sovrano.

Il Re proscrive l’autorità de' Dottori, ma non credo, che ne proscriva lo studio, e la lettura. Che immerso nella Biblioteca forense, il Magistrato si faccia pure un dovere di consigliare quando gli piaccia, i polverosi volumi di Bartolo, e di Baldo. Per profittare delle loro interpetrazioni, non è necessario di dire: io decido così, perchè questa è l’opinione de' Dottori.

§ VII

CONCHIUSONE

Dopo aver analizzate tutte le parti dì questa legge; dopo d’aver fatto vedere come tutte queste parti stabiliscono, e proteggono la libertà sociale, e dopo averne dimostrata la facile applicazione nel nostro Foro, io non credo, che vi bisognerebbe altro per ricredere il Pubblico dell'utilità ch’essa racchiude. Ma il cammino della verità, dice un Filosofo, è molto lento. Essa non si propaga che con alcune ondolazioni quasi insensibili. Se un fatto si fa cadere nel centro d’un lago, le acque, separandosi. nel punto del contatto, formano un cerchio, il quale subito racchiuso in un altro più grande, e questo egualmente circondato da altri cerchi più estesi, i quali da momento in momento moltiplicandoli, ed ingrandendoli, vanno finalmente ad urtare nella riva, dopo aver comunicato il mo. to a tutta la mafia. dell’acqua.

Ecco gli effetti che questa legge del SOVRANO ha prodotti nella poltra Patria. La pietra è caduta; il primo cerchio si forma da’ Filosofi. Il termine de' mali, che opprimevano lo Stato è troppo piacevole, per una classe d’Uomini cosi feribile. Essi spargono dappertutto i vantaggi, che questa legge porta seco, ed a misura, che la loro voce si propaga, i cerchi concentrici si moltiplicano, i vortici si riproducono, e la verità si fa meglio conoscere. Per accelerare questo moto io ho d» te fuora queste Riflessioni.

Chi sa se esse faranno per produrre l’effetto, che si desidera? Io lo spero, e questa speranza non è l’effetto d’un’ardita presunzione. Allorché un’ corpo è in moto, ogni picciolo urto, che concorre alla sua direzione, può molto accelerarne la velocità.

Giovani infelici, destinati a rampare ne’ migliori anni della vita; non vi aneliate alle confuse voci di coloro, che v inducono a tacere, allorché si tratta di sostenere la cauta del SOVRANO, e della Patria. Se essi vi diranno, che la Gioventù dovrebbe rassomigliarsi a questa scuola de' Filosofi, dove con un silenzio di più anni si comprava il dritto di parlar bene in tutto il resto della vita; rispondete loro, che debbono parlare i Giovani, allorché tacciono i Vecchi.



1 Tacito in Morib. Germ.

2 Plut. in Vita Agis,

3 Pausania.

4 L’Autore ha dovuto compire quest’Operetta fra lo spazio d’un mese.

5 Questo si deve intendere dell’interpetrazione arbitraria, così frequente net nostro Foro, non già dell’interpetrazione litterale; Ecco le parole della legge. Quando non vi sia legge espressa pel cafo di cui si tratta, e si abbia da ricorrere all’interpetrazione, o estenzione della legge,vuole il Re, che questo si faccia dal Giudice, in maniera, che le due premesse dell’argomento siano sempre fondate sulle leggi espresse, e litterali.

6 Tutti i Politici convengono in questo punto, e farebbe inutile, aggiugnere altre pruove ad una verità già dimostrata da tanti valenti Scrittori, e particolarmente dall'Autore immortale dello spirito delle leggi. Lib. XI cap. III, IV, V.

7 Dionisio antiq. rom. Lib. 6. Nostra Respublica… toto illius Imperii tempore nihil detrimenti Plebes accepis a Regibus, praesertim novissimis...

8 Questo tribunale non aveva leggi fisse, alle quali avesse dovuto unificarsi.

9 In vita

10 Diod. Sic. lib. 15.

11 Et si durum ipsis vìdeatur, quod vel in lege est expressum, vel ex justa ejus interpretatione descendit, non tamen ab eo sibi discedendum putant, ne propriam rationem ipsi praeferant legi......... Hinc cernimus quantum curae ipsis fuerit ea omnia a juris-prudentia amovere, quibus fieret, ut incerta interpretatio certis regulis praeferretur, aut aliquid ipsis legibus detraheretur. Joan. Bon in Praes. ad partem juris-prudentia G. G. Leibnizii.

12 Leggasi il primo, e secondo capo della Legge Falcidia.

13 Veggasi la legge Cornelia sotto il titolo quibus non est permissum facere sustamentum.

14 Dopo l’espulsione de' Tarquinj, il governo di Roma, come si è osservato, era piuttosto un dispotismo che una republica. Il Corpo degli Ottimati aveva fra le mani la facoltà di giudicare. Ma finché la Sovranità non si rappresentava, che ne’ Comizi per Centurie, e per curie, i nobili erano nel tempo istesso legislatori e giudici. In questi essi erano i padroni de' suffragi; ed in questi erano i padroni de' Comizi. La libertà non si fece vedere in Roma, se non che dopo l'istituzione de' Comizi Tributi, ne’ quali i patrizi non rappresentavano, che la classe di privati cittadini. Allora fu che la facoltà legislativa cominciò ad esser separata dalla facoltà di giudicare.

15 Ejus est legem interpretari, cujus est legem tendere. Questa è la massima dedotta dal dritto romano.

16 Anche nell’ordinanza del 1667. Tit. I. Articolo VII. si prescrive l’istesso.

17 § II.

18 Augusto non permise di rispondere in materia di dritto, se non a’ più celebri giureconsulti del tempo. Non ci vuol molto a penetrare nelle mire di questo imperatore. Per meglio rassodare il suo dispotismo, credè esser cosa utile l’unire ne’ suoi interessi coloro, che godeano de' vantaggi della pubblica opinione.

19 Federico re di Prussia allorché emanò il suo codice, proibì di citare ne’ processi civili l’autorità de' dottori. leggili la prefazione di questo codice § 28 numero 9.

20 Nemo judex eadem die duo reddat judicia.

21 Leggasi Formey nel Saggio del Piano di riforma nell’amministrazione della giustizia del gran Federico.

22 Formey exposition abregèe du Plan du roi pour la reforme de la justice §. XI.

23 Jofeph. Lib. 10. insiq.. ult.

24 Prefazione al codice di Federigo; §.29.

25 Le Leggi Orchia, Fannia, Didia, Licinia.


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Vita ed opere di Gaetano Filangieri [Life and works of Gaetano Filangieri]

Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito

1772 - NOTIZIE DE' LETTERATI - Della Morale de' Legislatori di Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1782 - Giuseppe Grippa - LETTERA al Cavaliere Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1784 - Giuseppe Grippa - Scienza della Legislazione sindacata HTML ODT PDF
1785 - Dissertazione politica di Giuseppe Costanzo in risposta a Grippa HTML ODT PDF
1787 - GIUSTINIANI - Memorie Istoriche degli Scrittori Legali del Regno di Napoli HTML ODT PDF
1798 - Le Spectateur du Nord: Don Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1804 - Scrittori classici italiani di economia politica - Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1813 - Biografia degli Uomini Illustri del Regno: Filangieri (Martuscelli) HTML ODT PDF
1817 - La Scienza della Legislazione del Cavaliere Gaetano Filangieri (GINGUENE’) HTML ODT PDF
1819 - BIANCHETTI - Memorie scientifiche e letterarie - FILANGIERI HTML ODT PDF
1822 - Oeuvres de FILANGIERI - ELOGE de FILANGIERI (Salfi) HTML ODT PDF
1826 - Sopra l'opera del Cavalier Gaetano Filangieri di Pietro Sghedoni HTML ODT PDF
1828 - Comento sulla Scienza della Legislazione scritto da Beniamino Constant HTML ODT PDF
1834 - Biografia degli Italiani Illustri nelle scienze, lettere ed arti HTML ODT PDF
1836 - LOMONACO - Vite degli eccellenti Italiani - FILANGIERI HTML ODT PDF
1840 - Notizie di alcuni cavalieri del sacro ordine gerosolimitano (Marchese di Villarosa) HTML ODT PDF
1844 - Vite e ritratti di illustri italiani (Filangieri di E. Carnevali) HTML ODT PDF
1852 - FILANGIERI - Delle leggi politiche ed economiche (FRANCESCO FERRARA) HTML ODT PDF
1857 - Della letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII: Filangieri HTML ODT PDF
1863 - Discorso genealogico della famiglia Filangieri (ERASMO RICCA) HTML ODT PDF
1864 - Intorno ai tempi ed agli studi di Gaetano Filangieri (PASQUALE VILLARI) HTML ODT PDF
1873 - Gaetano Filangieri o l’idea dello stato nella filosofia italiana del secolo XVIII HTML ODT PDF
1774 - GAETANO FILANGIERI - Riflessioni politiche su l'ultima legge del sovrano HTML ODT PDF
1820 - GAETANO FILANGIERI - 01 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF
1822 - GAETANO FILANGIERI - 02 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF
1872 - GAETANO FILANGIERI - 03 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF
1876 - GAETANO FILANGIERI - 04 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF











Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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