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Gaetano Filangieri e la ricerca della felicità di Zenone di Elea [Aprile 2022]

Vita ed opere di Gaetano Filangieri: Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito

LETTERA

di

Giuseppe Grippa

AL SIG. CAVALIERE D. GAETANO FILANGIERI

Sull'esame de' alcuni suoi progetti politici

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SALERNO IL di’ 14 AGOSTO 1782



LETTERA

AL SIG. CAVALIERE D. GAETANO FILANGIERI

Sull'esame de' alcuni suoi progetti politici

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SALERNO IL di’ 14 AGOSTO 1782

Veneratiss. Sig. Cavaliere

Oso scrivervi, benché il mio nome vi sia ignoto ma nella Repubblica delle Lettere ciò non viene vietato.

Io ho letto i due primi Tomi usciti alla luce della Vostr’Opera intitolata La Scienza della Legislazione e confesso con ingenuità, che i pregi, che l'adornano sono tali e tanti, che non ho potuto non rimanerne sorpreso. Ma poiché le umane produzioni, per ammirabili, che siano non vanno quasi mai scompagnate da difetti, e da errori, figli legittimi del nostro finito essere; e di più essendo la Vostr’Opera di un tal genere, che non può non interessare ognuno, giacché ha per oggetto la riforma delle leggi; quindi è che non vi dovete crucciar meco, se, dopo d’avervi retribuita quel la giustizia, che meritate, mi prendo la libertà di dirvi, senza mancare alle leggi della decenza, ed a quel rispetto, che vi si deve, d’aver trovato della durezza in varie cose di essa, e precisamente in alcuni progetti, che avanzate: de' quali ne imprendo qui ad esaminare solamente alcuni de' più interessanti per le Società d’Europa, ed in particolare per le Monarchie, come quelli, che, messi in pratica, le ridurrebbero, come a me pare, nel più tristo stato, che possa mai darsi. Vediamolo.

Voi progettate cosi nel cap. 4, come net 36 (10) del II Tomo l'assoluta dismissione, finanche ne’ corpi feudali, de Majorascati, de' Fedecommessi, e delle Sostituzioni, senza usare alcuna riserba, e senz’avere alcun riguardo né alla classe delle persone, né alla natura de' diversi Governi. E tutto ciò voi progettate, cosi per togliere gli ostacoli, che si oppongono al progresso della popolazione, annoverati nel 3 e 4 capo del Tomo citato, e quai mezza proprio per ottenere l'equabile diffusione delle ricchezze in uno Stato, siccome dite nel cap. 36 come pure, perché credete, che la legge de' majorascati sia ingiusta, e parziale. i Fratelli (Voi dite nel cap. 4.) privati da un altro fratello del comodo, che godevano nella casa patenta, non veggono in lui, che un usurpatore, che li opprime, e li spoglia di un bene, al quale essi avevano un diritto comune. Costretti a mutilarsi, essi maledicono il momento, che li ha veduto nascere, e la legge, che li degrada. E nel cap. 36. ripetete: Non hanno questi (cioè i Secondogeniti) un dritto comune all'eredità del Padre? Qual principio eterogenee all'investitura d’un feudo si può trovare nella persona et un Cadetto? in somma volete dinotarci, che le leggi che permettono i majorascati, i fedecommessi, e le sostituzioni, difettano in politica, perché sono d’ostacolo alla popolazione, ed all’equabile diffusione delle ricchezze in uno Stato e di più, che sia priva di bontà assoluta quella, che permette i majorascati, perché offensiva de' dritti de' Secondogeniti. Or io sarei ben da poco se negassi, che i majorascati, i fedecommessi, e le sostituzioni siano d’ostacoli all'accrescimento della popolazione, ed all’equabile diffusione delle ricchezze in uno Stato. Anzi dico di più, che essendo la maggior parte de' beni delle famiglie sottoposti a tali leggi, e per ciò suor di commercio, la Società ne risente non picciol danno. Né qui finisce, molti inonesti uomini, che godono tali beni, si danno, ordinariamente per vizj, a contrare de' debiti, o pure a fare delle vendite fraudolenti, colla sicurezza, che le loto possessioni non possono uscire dalla famiglia e ciò colla rovina di tanti poveri creditori e degl’innocenti compratori. Tutto ciò è vero, né io l’ignoro, né io nego; ma il rimedio, che voi proponete è troppo violento, quando non abbia delle riserbe, e de' riguardi, Cosi alle classe delle persone, come agli ordini de' Governi. Passiamo ad esaminarlo. Ma prima convien vedere se la legge de' majorascati sia priva, o no di bontà assoluta: cioè se sia veramente offensiva de' dritti de' Secondogeniti, e se faccia loro bene, o male.

In termini di legge di natura, benché gli uomini, cresciuti di numero, non potettero più mantenersi nella primiera universale comunion di beni, ma, per. economico espediente, e di comun consenso, o espresso, o tacito, dovettero venire alle assegnazioni delle proprietà pur è suor di dubbio, che nelle morti de' proprietarj i beni tornano, pel primitivo dritto di natura nel patrimonio comune. Ond’è, che noi né la facoltà di testare, né il dritto di succedere ab intestato riconosciamo dalla natura; ma tale facoltà, e tal dritto l'abbiamo ricevuto, o per quel patto de' Popoli, che si è detto, o per vigore delle leggi civili, regolate dagli uomini con principj politici. in forza dunque di quelle leggi noi oggi (io scrivo una lettera e non un istituto; e perciò non entro a far menzione di quello, ch’è stato in altri tempi, e presso altre Nazioni) abbiamo la piena libertà di testare a favore di chi ci piace e come ci piace di tutto ciò ch’è nostro libero, purché il testamento non sia inofficioso. Dunque se un Padre di famiglia istituisce un majorascato diseredando tutti gli altri suoi figli, a’ quali altro non lascia, che o la sola legittima, o qualche congruo assegnamento, questi non possono lagnarli d’essere stati lesi in alcuno loro naturale, o civile dritto.

Ma, si dirà, la natura raccomanda ad un Padre egualmente il suo primogenito, che gli altri figli tutti; egualmente i maschi, che le femmine. Perché dunque, potendo, per qualunque dritto si voglia, testare delle sue proprietà, non trattarli tutti egualmente? Perché questa si odiosa predilezione? A ciò rispondo con un filosofo Sovrano (11), che “Chiunque si è presa la pena di esaminare le leggi con uno spirito filosofico, ne avrà senza dubbio trovate molte, che a primo aspetto sembrano, contrarie all’equità naturale, e che tuttavia non io sono; mi contento io (dice il Sovrano filosofo) di citare il dritto di primogenitura; egli sembra, che niente sia più giusto, quanto il dividere egualmente la successione paterna tra tutti i suoi figli; ciò non ostante l’esperienza pruova che le più ricche eredità suddivise in molte parti riducono a capo di tempo le più opulenti famiglie all’indigenza; ond’è, che i Padri si sono meglio contentati diredare i loro secondogeniti, che preparare alla loro casa una, sicura decadenza.”

Ad un Padre provido, Veneratissimo Signor Cavaliere, son a cuore non solo i suoi figli, ma tutt’i suoi discendenti. La natura stessa, che gli spira dell’amore per i primi, lo accalora ancora per i secondi, facendogli riguardare tutti come suoi figli quelli, che da’ figli suoi nascono. Or se le divisioni, e suddivisioni de' beni dopo poche generazioni riducono le più opulenti famiglie all’indigenza; e le alienazioni de' medesimi le portano alla povertà di qual altra maniera mai si può da un savio Padre di famiglia corrispondere all'anzidetto dolce dettame della natura, se non con lasciare i suoi beni sottoposti alla legge del majorascato, e d’uno stretto fedecommesso? Non è vero sorse, che cosi i beni si perpetuano nelle famiglie? E che cosi le famiglie acquistano del lustro? Le ricchezze quando sono bene amministrate, producono nuove ricchezze e coll’opulenza si sanno de' matrimonj vantaggiosi; si acquistano de' feudi si entra nell’Ordine de' Patrizj si facilita la strada agli onori; si giugne in somma alla nobiltà cioè a quell’Ordine luminoso carico di prerogative, di distinzioni, di preferenze, e di vantaggi. A tutto ciò sono a parte i Secondogeniti. Per loro, illustrati dallo-splendore delle proprie famiglie,. e sostenuti dalle opulenze delle proprie case, sono le Commende i Baliaggi, la Sovranità di Malta, e tanti altri Ordini Cavallereschi. Per loro è la preferenza sopra le pensioni, i beneficj, le Abbadie, i Vescovadi, gli Arcivescovadi, le Prelature, le Porpore, la sacra Tiara. Per loro, egualmente che per i primogeniti, sono i più distinti posti della Milizia, mandando in dietro, in concorrenza, ogn’altra classe di persone. Per loro vi sono ancora de' luoghi negli onori, e posti delle Corti. Per loro sono più facili a conseguirli i lucrosi officj di pubblica amministrazione. Per loro, per finirla se lasciassero l’ozio, la scherma, il ballo, la musica, il cavalcare, e si dessero allo studio della Giurisprudenza, sarebbero le Toghe. E se essi privi di proprietà e perciò costretti a mutilarsi, maledicono (come Voi dite) il momento che li ha veduto nascere e la legge che li degrada ciò dipende da un grossolano loro errore,cioè di credere, che le loro case starebbero in quello splendore, in cui si ritrovano, e nel possesso di quei beni, che godono, se quel savio loro Antenato, un secolo, due secoli, tre secoli a dietro e che so io, non avesse soggettato i suoi beni alla legge del majorascato, e del fedecommesso. io non 60 decidere, se sarebbero venuti al mondo que’ secondogeniti, che vi son oggi, se nelle loro case non vi fossero i majorascati, ed i fedecommessi perché allora regolati i matrimonj altrimenti, altri sorse, e non essi sarebbero venuti tra i viventi. So di certo però, che o essi, o altri, che vi fossero, non i starebbero certamente in quello splendore, e grandezza, in cui oggi sono; ma caduti nell'oscurità, e nella bassezza mangerebbero pane di stento, e di sudore; e calpestando fango in mezzo alla folla de' plebei, anderebbero cercando da vivere, e Dio sa in che modo. Che benedicano dunque i loro antenati; che benedicano il momento, che li ha veduto nascere che benedicano la. legge, che li sostiene; che benedicano i majorascati, ed i fedecommessi giacché tutto il loto buon esser d’oggi da questi lo riconoscono (12). Ma che si lagnino de' loro Padri, soltanto quando questi non hanno pensato efficacemente, e con sollecitudine a dar loro fituazione; o per mancanza di conoscenza de' proprj doveri o per una inescusabile spensieratezza; o per una balordaggine intollerabile o per non interessarsi, perché bisognava togliersi qualche comodo, e privarsi di qualche piacere o per un male inteso amore di non allontanarseli da lato, per far loro intraprendere un’utile carriera, li lasciano crescere nell'ozio, e nella dappocaggine; o finalmente per un disdegno, nascente da un sondo di superbia, e d’invidia, che non potendoli far comparire come gli altri più ricchi di loro, e non potendo ottenere quello, che hann’ottenuto gli altri di condizione più distinta (giacché non vogliono riconoscere misura con chi sia loro di sopra, ma solo cogl'inferiori) si contentano meglio di farli rimanere in una perpetua abjezione. Talvolta però bisogna, che si lagnino di loro stessi, perché non di rado accade, che un Padre si dà tutta la cura per fituarli, e che a loro, pieni di svogliataggine per tutto ciò, che richiede una minima applicazione, piace solo il bel tempo, l'amore, il giuoco, i vizj, quasichè non convenisse loro altro mestiero, che solo quello dell'ozio, e d’una vita da balordi, senza badare alle proprie circostanze. Di ciò, e non d’altro debbonsi lagnare. Credo d’aver provato a bastanza la bontà assoluta della legge de' majorascati, e de' fedecommessi: passo ora a provare, che non è priva nemmeno di bontà relativa in alcuni Governi e ché non difetta in politica tuttocchè sia d’ostacolo alla popolazione, e che produca degli altri mali ancora.

E’ una verità nota a tutti, che una legge per dirsi buona dee serbare varj rapporti, e principalmente alla natura del Governo di quel Popolo, a cui si promulga. Le leggi, che garantiscono i majorascati, ed i fedecommessi non sono certamente per i Governi dispotici (13) perché in questi e la vita, e le robe si posseggono in una maniera precaria. E’ da esaminarsi soltanto se tali leggi convengano, o no alle Repubbliche, ed alle Monarchie. io non nego, che il proibire assolutamente i majorascati, ed i fedecommessi nelle Democrazie sia savia cosa perché in esse la sorte de' Cittadini bisogna, che li eguagli per quanto più si può onde una tale proibizione non solo è, utile, ma necessaria ancora. Mi oppongo solo in sentire, che si voglia far estendere questa proibizione nell'Aristocrazie, e nelle Monarchie ancora. il Signor di Montesquieu dice (14), che due cose sono perniciose nell'Aristocrazie, la povertà estrema de' Nobili, e le loro eccessive ricchezze.ilrimedio che propone per moderare le loro ricchezze è che debbano le leggi togliere fra Nobili il dritto della primogenitura, affinché colla continuadivisione delle successioni, le fortune tomino sempre nell'uguaglianza;e di piùprecetta, che si proibiscano le sostituzioni, le chiamate, le adozioni.Questo rimedio sarebbe ottimo per le Aristocrazie elettive a forma di quelle degli antichi tempi; ma per le Aristocrazie accreditarie, come son oggi quelle di Genova, e di Venezia, è assolutamente pessimo. Un tal rimedio guarisce un male, e ne produce due, uno peggiore dell’altro. il primo è, che porta le famiglie alla povertà, cosa perniciosa nell'Aristocrazia, come dice lo stesso dotto Scrittore# Ed il secondo è, che aumentando eccessivamente il numero de' Nobili, e questi divenuti. tutti miserabili, per le continue divisioni, e(: )suddivisioni de' beni, e per la proibizione dello sostituzioni, delle chiamate, e delle adozioni, l'Aristocrazia si convertireinfallibilmente in una Democrazia, o cadrà in qualche altro male peggiore. Ed ecco con questa legge distrutta la natura del Governo. Né poi è vero ciò, ch’egli riferisce nella nota al luogo citato, sull’autorità di Amelot de la Houssaye, cioè, che in Venezia siano proibite le primogeniture; ma e queste, ed i fedecommessi, e le sostituzioni, e le chiamate sono dalle leggi non solo permesse, ma protette di più. Le sole adozioni si ritrovano, non già proibite, ma decadute, e per fatto estinte, non restando, che fiduciariamente nel Popolo, come in ogni altra parte d’Europa è accaduto.

In quanto poi alle Monarchie (questa specie di governo interessa più d’ogni altra il nostro argomento, perche i più degli Stati d’Europa si reggono in tal forma) non potendosi negare, che l’Ordine de' Nobili sia assolutamente necessario, io non so a verun modo comprendere, come mai quest’Ordine possa reggere senza la legge de' majorascati, e de' fedecommessi. La Nobiltà, quando non è sostenuta dalle ricchezze, è un’ombra senza corpo, ma distruggendo i majorascati, ed i fedecommessi, si distruggono le ricchezze: dunque la Nobiltà diviene un fantasma. in questo caso, dove risiederà il decoro della Monarchia, il quale richiede (come Voj dite, parlando di tal Governo, nel cap. 10 del primo Tomo), che vi sia un corpo di Nobili che rifletta su la Nazione lo splendore, ch'egli riceve dal Trono, se quest’Ordine vien composto da una ciurma d’oscuri Tapini, atta solo a sparger tenebre? Dove sarà quella forza necessaria, che le sole ricchezze danno, affinché quel Ordine situato (come seguitate a dire nel luogo citato) tra il Monarca, ed il Popolo indebolisca gli urti, che questi due corpi si potrebbero dare, se vien debilitato a tal segno dalla miseria, che va cadendo per la fame? Una delle due, Veneratissimo Signor Cavaliere: o l’Ordine de' Nobili è necessario nella Monarchico no. Se non è necessario, che si aboliscano i majorascati, ed i fedecommessi. nulla importa. Ma s’è necessario, come assolutamente lo è (15), colla dismissione de' majorascati, e de' fedecommessi la Monarchia cade.

Né vale ciò, che avete scritto nel sopraccitato cap. 36. discendendo al particolare de' feudi, cioè:

“Che non mi si opponga (Voi dite) l'impossibilità d’abolire i maggiorati ne’ paesi, dove ci son feudi. O una famiglia ha un sol feudo, ed allora è giusto, che la baronia sia del primogenito, ma i fondi del, feudo potrebbero esser divisi egualmente agli altri fratelli. O una famiglia ha più feudi, ed in questo caso, perché non ripartirli fra tutt’i figli? Non hanno questi un dritto comune all'eredità del Padre? Qual principio eterogeneo all'investitura d’un feudo si, può trovare nella persona d’un Cadetto.

Un gran feudatario può più facilmente divenire un oppressore, che un feudatario d'un sol feudo. Aumentandosi dunque il numero de' feudatarj, il Principe avrebbe tanti difensori di più in tempo di guerra, ed il Popolo avrebbe tanti oppressioni di meno in tempo di pace.”

Perdonatemi, Signor Cavaliere, se vi dico, che il Vostro discorso non regge. il credere, che i figli hanno un dritto comune all’eredità del Padre, è un inganno.

Ho già dimostrato da principio, che la Natura non dà a’ figli alcun dritto in questo. Ma la divisione de' beni le leggi intorno a tal divisione la successione dopo la morte di colui, a cui toccò questa divisione tutte quelle cose non possono essere state regolate se non se dalla Società, e per conseguenza dalle leggi civili, di. rette dagli uomini con principj politici. Or sc le leggi delle presenti Monarchie d’Europa, dove si vive col dritto de' Franchi, vogliono, che ne’ feudi succeda il primogenito ad esclusione di tutti gli altri fratelli, a cui altro non assegnano, che la sola vito-milizia dov’è dunque il dritto comune di questi all’eredita del Padre? Su quale legge, domando, questo dritto, che voi asserite, è fondato? Niun principio eterogeneo certamente vi ha, per cui un Cadetto non possa essere investito d’un feudo, o di un sondo feudale ma la ragione, e l’esperienza persuade, che dopo poche generazioni, ponendo in pratica la divisione, che Voi progettate, a’ primogeniti non rimarrà altro, che la sola giurisdizione (dove i Feudatarj tuttavia l’esercitano; e dove no, rimarrà loro il solo, e nudo nome di Baroni) e per sondo di rendita non avranno altro, che la sola Mastrodattia. i Baroni dunque, ridotta a questo termine la cosa, non saranno altro, che tanti proprietarj Mastrodatti (16); tanto più, che Voi non volete neppure, che si riuniscano i beni divisi, perché progettate anche la dismissione delle sostituzioni, Quali ajuti mai dunque potranno costoro date al Principe in tempo di guerra, se in tempo di pace manca loro da mangiare? Non è l'istesso, Veneratissimo Signor Cavaliere, possedersi uno o più feudi da un solo, che possedersi da più, come Voi progettate, Colle divisioni crescono del pari le famiglie, e colle famiglie i bisogni; a segno, che quello, ch’era superfluo per una famiglia sola, non basta per molte. Quell’ajuto, che in tempo di guerra può dare al Principe un solo Barone ricco, non possono certamente darglielo più poveri uniti insieme. Le scienze politiche, egualmente che le fisiche, sono scienze di esperienza. Una delle principali cagioni della decadenza de' Longobardi in quelle nostre Provincie su appunto l'aver usata quella divisione nella successione de' feudi, che Voi ora progettate. Mi rimetto a quanto ne dice di tal decadenza l’Autore della nostra Storia Civile ed in particolare a quanto scrive nel §. I. Delle leggi feudali particolari del Regno, messo in seguito del cap. 5. del lib. XI. in quanto poi all’oppressioni, che Voi dite, mi riserbo parlarne da qui a poco.

Per ultimo, domando, dismessi i majorascati, ed i fedecommessi, che ne saremo di tanti Titolati, cioè di tanti Principi, Duchi, Marchesi, e Conti, divenuti tutti bisognosi? E che di tanti Baroni, e Patrizj, caduti nell'indigenza? Avvezzi costoro, per educazione, ad idolatrare il fastoso superbo idolo della Nobiltà, eretto nel magnifico Tempio della fantasia, pretenderanno, che a tal Nume si sagrifichi, o a spese del Sovrano, o a spese del Popolo, o a spese di quei Monti di Misericordia e di Pietà, destinati non già a pascere la voluttà de' Nobili, tanto più oziosi, quanto più miseri; ma a soccorrere quegli onesti Cittadini carichi di famiglie, i quali han vissuto sempre colle loro onorate fatiche, e che poi, o per la vecchiaja, o per qualche male, che li ha lasciat’inabili, han bisogno d’ajuto per vivere. Destinati, io dico, non già a mantenere il fasto de' Nobili ed i loro capricci ma a sovvenire quelle povere vedove co’ loro pupilli, acciocché, per l’indigenza, non cadano in disonestà, ed affinché possano sostentare ed educare i loro figli, e renderli utili alla Patria. Destinati, per finirla, a dotare tante orfane Donzelle, acciocché non si prostituiscano, ed affinché possano prender marito, e con ciò contribuire alla grand’opera della popolazione; e non già ad alimentare un’Ordine di persone, da cui la popolazione è oppressa, quando la medesima lo deve mantenere a proprie spese. il male, che porta ad una Società una moltitudine di Nobili miserabili, è maggiore di qualunque altro male. i majorascati dunque, ed i fedecommessi non si possono, né si debbono togliere in una Aristocrazia ereditaria, ed in una Monarchia; se non si voglia e l’una, e l’altra distruggere. Credo d’averlo provato a bastanza. L’istesso dico di quel governi misti, i quali han bisogno dell'ordine de' Nobili, per mantenere la loro costituzione.

La verità finalmente m’ induce a dire, per conchiusione di quanto ho sin’ora escogitato, che il rimedio, che Voi proponete, per guarire i mali, che sanno alla popolazione i majorascati, ed i fedecommessi, produce de' mali di gran lunga maggiori di quello, che volete guarire: dimodoché Voi occidete l’infermo, volendolo liberare dal male, che soffre. Ma non contenta di questo solo micidiale rimedio, passate a darne un altro, non meno serale per le Monarchie: ed è il seguente.

Nel sopraccitata cap. 4, seguitando a progetto per l’aumento della popolazione, Voi cosi dite:

“Non minore è l'ostacolo, che vi oppone la proibizione d’alienare i fondi feudali. Se il sistema de' feudi potesse mai combinarsi colla prosperità de' Popoli, colla ricchezza degli Stati, colla libertà degli uomini, questa sola istituzione basterebbe per renderlo pernicioso, e funesto. Un supposto interesse del Principe sa che resti immutabilmente segregata dalla circolazione de' contratti una gran porzione del territorio dello Stato. Tutto quelle, ch’è terreno feudale, non si può né vendere, né dare a censo perpetuo, né alienare. Questi sono per lo più terreni oziosi, che potrebbero dare un gran prodotto allo Stato, se la legge, che proibisce l’alienazione de' fondi fondi feudali. non li privaste di quella coltura, ch’è sempre languida, che non può mai essere attiva, quando non è unita a’ preziosi dritti del. la proprietà. Molti terreni incolti sarebbero, coltivati, molte braccia mercenarie diverrebbero proprietarie, se il fisco, abolendo questa legge perniciosa, facesse all'utilità pubblica un tenue sacrificio, del quale egli sarebbe il primo a risentirne i vantaggi. Se nella devoluzione de' feudi egli perderebbe come uno, egli guadagnerebbe come cento ne’ progressi della popolazione, e dell'agricoltura, sempre relativi a’ progressi della proprietà.”

Sicché Voi, Signor Cavaliere, nel divieto fiscale di potere alienare i fondi feudali vi riconoscete due mali il primo, che restino i medesimi immutabilmente segregati dalla circolazione de' contratti ed il secondo, che i territorj feudali rimangano incolti, a cagione appunto della loro inalienabilità. A dirvi il vero, io non trovo affatto sussistente, che perché i territorj feudali non si possono alienare, perciò i medesimi rimangano incolti. Se fosse vero, che l'inalienabilità producesse l’abbandono de' territorj, tutti quelli parimente, che si ritrovano soggetti a fedecommessi, dovrebbero patire l’istessa sciagura, perché niente cambierebbe il motivo dell'abbandono, o che il divieto di poterli alienare venga dal fisco, o da un testatore antenato. Ma Voi troverete costantemente de' territorj feudali, de' territorj non feudali, ma soggetti a’ fedecommessi, e de' territorj liberi ben coltivati come per contrario ne troverete di tutti questi abbandonati alla pigrizia, ed alla sciagura. Secondochè dunque i possessori de' medesimi sono uomini industriosi, o dappoco, cosi Voi vedete i terreni coltivati, o non coltivati. Che percià la dappocaggine di chi possiede, e non il divieto fiscale, sa che alcuni territorj feudali rimangano incolti. Ogni volta, che vedete un territorio non coltivato, sia feudale, sia non feudale, ma soggetto a fedecommesso; domandate al padrone: tu perché non coltivi il tuo terreno? Non sentirete, vi assicuro, che non lo coltivi, perché non lo può alienare. L’inalienabilità porta seco là conservazione de' beni nella famiglia. E quai uomo è cosi sciocco, ed iniquo, che abbandona i suoi terreni, perché vien costretto a conservarli a se, a’ suoi figli, a’ suoi nipoti a’ suoi successori, e congiunti? La devoluzione al fisco, non è neppure la cagione dell'abbandono de' territorj feudali, perché questa non si verifica, se non se dopo l’estinzione della famiglia fino al grado conceduto. Adunque persuadetevi, Signor Cavaliere, che l’unica causa dell'incoltura de' terreni è la balordaggine di chi li possiede. Come pure bisogna, che vi persuadiate, che nel Mondo vi sono stati, vi sono e vi saranno sempre degli uomini savj, e degli stolti; il pretendere, che tutti gli uomini siano savj, è pretendere un impossibile; sicché indispensabilmente dovete vedere de' territorj incolti, 0 che vi siano, o che non vi siano feudi.

In quanto poi al male, che produce l'inalienabilità de' fondi feudali alla circolazione de' contratti, io non so, né posso negarlo ma dico solo, che non potendosi togliere tutt’i mali dal mondo, senza cadere, in parecchi casi, in mali peggiori; perciò la prudenza vuole, che, quando si tratta di guarire mali politici, si vada cauto, e non si precettino de rimedj soverchio violenti, affine d’evitare alcune irreparabili e funeste conseguenze. il rimedio, che Voi proponete di annullare il divieto Fiscale dell'alienazione de fondi feudali, unitamente all’altro (di cui da principio si è parlato) della dismissione de' majorascati, de' fedecommessi, e delle sostituzioni, porta direttamente, ed in un modo pronto, e sollecito alla distruzione intera del sistema feudale, ed alla totale rovina de' Baroni. Che sia vero ciò, immaginatevi per poco annullati i majorascati, i fedecommessi, le sostituzioni, ed il divieto fiscale di alienare i fondi feudali e in un subito vedrete l’Ordine de' Baroni ridotto ad un’estrema miseria, a cagione delle continue divisioni, e suddivisioni (senza speranza di mai più riunire i beni divisi per la mancanza delle sostituzioni) e delle giornaliere alienazioni de' fondi, a misura, che andrà crescendo la loro miseria sicché le Comunità verranno (per quanto si può desiderare) facilitate a potersi redimere dalla loro giurisdizione: ed ecco distrutto in breve tempo il sistema feudale ed ammiserati i Baroni. E questo veramente è l'unico mezzo per distruggerlo, né ad altro si dovrebbe ricorrere, se convenisse farlo: imperciocché il pensare di poterlo abolire a forza di devoluzioni, senza mai più vendere i feudi devoluti è un pensar vano. Questo modo richiede de' secoli per eseguirsi; e col tempo, cambiando capo il governo si cambia anche modo di pensare: oltrecchè i bisogni, che potrebbero sopraggiugnere allo Stato, sarebbero che nuovamente si esponessero venali. Ma quando le Comunità si ricomprano da loro stesse, senza sofferire una crudeltà, non hanno timore di essere mai più rivendute.

Voi in somma, Signor Cavaliere, formate per me un punto di maraviglia Voi, dico, che siete d’una Famiglia di antichissimi Baroni del nostro Regno, com’è nota, e per la Storia nostra, e per lo corpo delle nostre Prammatiche Voi siete cosi avverso al sistema de' feudi, che da ogni luogo della Vostr’Opera scagliate de' fulmini distruttori? Bisogna credere, che gran virtù si annidi nel Vostro cuore, che per amore dell'Umanità non vi curiate della distruzione della Vostra Casa! Una suggestione però mi vorrebbe far credere, che non è tutta virtù quella, che appare in Voi in questo particolare; ma che vi sia anche un poco di crepacuore in vedervi Cadetto e che perciò progettate alla maledetta contra de' feudi. Ma poiché vogliono, che si abbia a prendere sempre tutto per il meglio, non acconsento perciò a tale tentazione, e credo alla Vostra virtù. Mi dovete nondimeno permettere, che io vi dica, che i Vostri progetti, giacché portano alla distruzione del sistema feudale, ed alla rovina de' Baroni; in cambio di giovare nocciono. Voi, per altro, mostrate d'esser persuaso del contrario ma io non comprendo, come mai possiate cosi pensare; tuttochè mi sia noto, che uno spirito d’antifeudalità è quasicché generale. Conviene perciò entrare in questo importantissimo esame, cioè se la dismissione de' feudi e la rovina de' Baroni sia 0 no giovevole a Popoli delle Monarchie, per poter decidere poi de' Vostri progetti. Si venga dunque all'esame.

Domando, in primo luogo, qual condizione sia migliore, quella de' sudditi de' Principi Europei, o quella de' sudditi de' Principi Asiani? La risposta già io l’immagino. La condizione, mi si dirà, degli Europei è impareggiabilmente migliore di quella degli Asiani. Ottimamente. Ma vorrei sapere, onde nasca questa differenza? Perché la Natura, mi si replicherà, e la Costituzione di questi due Governi è diversa: Si è? Dunque, io ripiglio, la Natura, e la Costituzione de' Governi de' Principati d’Europa è migliore di quella de' Principati dell'Asia. Sicuramente, sento dirmi. Ma in che consiste la differenza di queste due Costituzioni? La differenza è grande, mi si risponde, e consiste questo. i Principati dell’Asia sono assolutamente dispotici; cioè in essi si governa senza leggi, e senza norma, ma tutto si sa ad arbitrio, a capriccio e perciò tutto è tirannia, tutto è barbarie, tutto è crudeltà: niuno in questi Governi è sicuro della sua vita, e delle sue robe. Ma ne’ Principati d’Europa (toltone però i dominj del Turco) non è cosi. in questi si governa con leggi fisse, e stabilite, il Principe sa la legge, ma non giudica ed i Magistrati sono quelli, che giudicano, ma non fanno leggi, Sicché in questi Governi tutto è certo, tutto è sicuro, tutto è stabilito: ognuno è padrone della sua vita, e delle sue robe, purché osservi le leggi. Che felice stato! Ma domando, il Principe può fissare le leggi? Si, ma non senza proporsi un fine di felicità pel suo Popolo, Pub cambiare i Ministri, ancorché siano perpetui, per disposizione di legge Si, ma non senza ragione, e causa cognita. Tutto va bene. Ma desidero sapere, chi «legge i Ministri? il Principe, Chi li paga? il Principe. Chi li promuove, e premia il Principe, il Principe dunque sa tutto questo? Si, il Principe. E la potestà esecutrice in mano di chi stà? in mano del Principe, E le rendite dello Stato? Pure. E l’armi? Parimente. Ditemi, Signor Cavaliere, le procedure del Principe son sottoposte ad alcun sindacato? No. E mi sapreste Voi dire, come mai una Costituzione di Governo cosi fatta non degeneri in un dispotismo orientale; giacché, per disgrazia dell'Umanità, tutti gli uomini sono portati ad abusare del loro potere? Ma non occorre, che vi travagliate a darmi la risposta, perché da me stesso ne ho capita la ragione, Badate se dico bene. i Principati d'Europa non cadono nel dispotismo de’ Governi dell’Asia, a cagione del sistema de feudi, e dell'Ordine de' Baroni. Si tant’è, Signor Cavaliere, e sentite come.

L’Ordine de' Baroni, da che si sono introdotti feudi in Europa, è quello, che forma l’Ordine dell’alta Nobiltà, Quest’Ordine è potentissimo per due cagioni; la prima, per i ricchi matrimonj, che possiede; e la seconda. per le grandi popolazioni, che gli stanno soggette. i più ricchi, ed i più distinti per nascita di quest’Ordine sono quelli, che formano la Corte del Principe. Questi lo servono in guerra, ed in pace. Questi lo consigliano nel Gabinetto, Questi sono i suoi Compagni, ed Amici (17). Questi in somma sono quegli, che formano l’ornamento del Trono e che, situati tra il Monarca, ed il Popolo, indeboliscono gli urti, che questi due corpi si potrebbero dare. Un Principe, il quale poco conoscesse i suoi veri interessi, dimodochè non contente di comandare Uomini liberi, volesse rendere schiavi i suoi Popoli con introdurre il dispotismo tirannico dovrebbe, per ciò fare, prima distruggere il Baronaggio, e poscia sottometterebbe tutti a’ suoi voleri. Ma questa è un’impresa ardua, e nell’esito dannosa al Principe stesso; perché in appresso gli mancherebbero que’ fidi, ed impegnati Vassalli, che per sostegno suo egualmente, che di se stessi, si mantengono sempre divisi e discordanti dal Popolo, per cui nelle antiche occorrenze i furiosi sforzi di questo vanno a voto. Dunque il Baronaggio è quello, che formando la difesa del Principe, ed un ostacolo al Popolo rivoltoso, sa si che il Principe lo sostenga, e l'onori; ed in tal modo non trascorra al dispotismo ed alla tirannia. E Voi, Signor Cavaliere ponete in dubbio che il sistema de' feudi formi la prosperità, e La libertà de' Popoli? E Voi volete loro togliere con i Vostri progetti il baluardo della loro salvezza? Tutt’i mali, che Voi riconoscete nel sistema de' feudi, tutti spariscono al solo aspetto del gran vantaggio della libertà, che loro reca. Le Vostre declamazioni adunque contra di esso, benché nate da retto e sincero cuore, sono tutte inopportune, ed ingiuste; ed i Vostri progetti di che merito sieno, lo lascio decidere a Voi.

Prima però di passar oltre, bisogna, che io prevenga un'opposizione, che mi si potrebbe fare, per parte Vostra: ed è la seguente. Mi potreste Voi dire: la Costituzione delle presenti Monarchie d’Europa richiede si bene un’Ordine di Nobiltà, perché altrimenti non può reggere ma non è affatto necessario, che quest'Ordine debba essere di Baroni, i quali sono tanti barbari oppressori de’ loro sudditi, Ed in fatti, che non vi sia questa necessità, i Goti, da cui riconosciamo le Monarchie fondate sopra un corpo di Nobiltà (18), non conobbero mai feudi (19).

A quest’opposizione, che mi potreste fare, rispondo. I. Che se i Goti non conobbero feudi, non ammiserarono però l'Ordine della Nobiltà, come Voi volete fare colla dismissione de' majorascati, de' fedecommessi, e delle sostituzioni. La miseria, Signor Cavaliere, lo ripeto, accioché ve ne persuadiate, distrugge la Nobiltà e la Nobiltà distrutta distrugge la Monarchia. II. Che il Regno de' Goti, precisamente in Italia, su di corta durata (20), e perciò non può servirci d’esempio per conoscere, se, un Ordine di Nobiltà non feudataria, sia valevole a sostenere una Monarchia per lungo tempo (21). All'opposto abbiamo un’esperienza di dodici secoli compiti, da che i Franchi nelle Gallie, ed i Longobardi in Italia introdussero i feudi (22), che le nostre Monarchie si mantengano nell'intero loro vigore, Dunque non è prudenza tentare altro sistema; giacché quello de' feudi si è conosciuto buono per la conservazione delle medesime, e per la difesa della libertà de' Popoli.

Per rispetto poi all’oppressioni, che Voi dite trattandosi di materia di fatto, non posso sapere ciò, che accade da per tutto, perché non son presente in tutti luoghi. Onde mi restringerò a dirvi soltanto quello, che so, in ordine a questo punto, del nostro Regno. Dico dunque esser vero, che molti de' nostri Baroni, in tempo, che in Napoli non vi era il Sovrano, Ceno stati tanti tiranni despoti de' loro Sudditi, e tanti crudeli oppressori de' loro concittadini, a segno, che non ritroverete vecchio alcuno, che non ve li contesti e che non vi faccia de' racconti da farvi raccapricciare; ma oggi, per nostra buona sorte, non sono più tali. La presenza del Re ha abbattuti tali infami mostri dell’Umanità, e gli ha ridotti ad esser Uomini ragionevoli, e ad operare come si dee. Tra gli infiniti vantaggi, che il nostro Regno ha ricevuti dall'avere il proprio Sovrano, non è l’ultimo certamente questo d'aver veduta repressa la barbarie de' Baroni. Sicché, Signor Cavaliere, questo è un male, che si sente solamente in que’ Regni, dove il Principe non fa residenza; ma dove sia il Sovrano, i Baroni non sono né tiranni ne’ loro scudi, né oppressori nella loro Patria.

Non Vorrei però, che da questo ne tiraste Voi la conseguenza con dire dunque i miei progetti possono aver luogo in que’ Regni dove i Principi non sono presenti. No Signor Cavaliere, neppure in questi. i Vostri progetti non solo distruggono i feudi, e con loro i Baroni, 9 qualunque altr’Ordine di nobiltà già l’abilita ma tolgono ancora a questa la possibilità di potervi essere per l’avvenire. Quando le ricchezze sono passeggiere nelle famiglie, non possono né conservare il lustro a quelle, che l’hanno acquistato né farlo acquistare a quelle, che non hanno avuto mai: per lo che tutte diventeranno popolane. Or in uno Stato, dove non esiste un corpo di Nobiltà speciosa, e dove il Principe non può esser presente, ma deve, per necessità, porvi un supremo Ministro, che faccia le sue veci in questo Stato, dico, chi mai impedirà, che il Governatore non abusi del suo Ministero? E chi frenerà mai le furie del Popolo nel caso, che questi dia in trasporti per il mal governo? il Principe, sta lontano, onde non può né saper tutto, né provedere a tutto. immaginatevi dunque, Signor Cavaliere, in quali sconcerti, e disordini può cadere uno Stato di questi. Una delle due,o il Ministro, a guisa d’un Bassa Turco, opprimerà il Popolo o il Popolo, togliendo il Ministro dal Mondo, si sottrarrà dall’obbedienza del Principe. La Nobiltà dunque, e sia di Baroni, in questi Stati, più che in altri, è necessaria, per la conservazione appunto dello Stato stesso. Ma, sento ridirmi, i Baroni opprimono, quando il Sovrano non è presente. Ed io ripeto, che non tutt’i mali si possono dal Mondo togliere, senza cadere, in alcuni casi, in mali peggiori.

Or a dirvi il vero, Signor Cavaliere, io stupisco, come mai a Voi il dispotismo non rechi alcuno spavento; giacché i Vostri progetti, come ho fatto vedere, aprono al medesimo un’ampia strada, Ma, presso a poco, se non m’inganno, credo d’averne capita la ragione. Vol avete per vero, che i costumi ingentiliti del nostro Secolo indeboliscano il dispotismo e percià nol temete. Ecco come dite nel principio dell'introduzione alla Vostr’Opéra. il dispotismo ba bandita nella più gran parte dell'Europa l'anarchia feudale, ed i costumi hanno indebolito il dispotismo.

Non son io per negarvi, Veneratissimo Signor Cavaliere, che le buone cognizioni, rettificando le menti, ed i cuori degli uomini, sanno che questi diventino virtuosi nell’azioni, gentili ne’ costumi, e moderati nell’esercizio del loro potere; dimodochè tutto quello, che sa di dispotismo tirannico, tutto da loro viene abborrito. Ma neppur Voi mi potete negare, che nascono degli uomini al Mondo di una struttura, e di un temperamento tale, che, per quanto mai possono ricevere dei benigni influssi da un secolo culto, sempre si manifestano incacaci di sociali virtù, di gentilezze, e di moderazioni. Or se per avventura uno di questi ascendesse al Trono, cosa n’avverrebbe, io vi domando? i costumi indebolirebbero il dispotismo, o il dispotismo distruggerebbe i costumi? i costumi, Signor Cavaliere, ed il dispotismo si distruggono a vicenda, secondochè gli uni succedono all’altro o l’altro agli uni. Adunque vi bisogna altro per conservare la libertà de' Popoli, e non fidare solo ne’ costumi d’un secolo ingentilito. Come neppure bisogna fidar troppo alla virtù degli uomini; perocchè questi sono soggetti ad una folla immensa di passioni, e son capaci d’istantanei cambiamenti. Misera è sempre la condizione d’un Popolo, quando la sua libertà dipende unicamente dalla virtù di chi lo regge. Questa è una libertà precaria, non già stabile. Gli uomini han sempre bisogno di freno, per ben oprarsi, o che sieno virtuosi, o che no. Acciocché dunque vivano sicuri i Popoli delle Monarchie della loro libertà, non bisogna togliere quegli ostacoli salutari, che inducono i Principi ad operare con moderazione tanto più, che questa ridonda ancora in vantaggio, e gloria de' Principi stessi: come in fatti i Principi d’Europa si pregiano d’esser moderati.

Non disapprovo però il passo dato da Sovrani di disarmare i Baroni, e di armarsi essi. Questo è stato il più gran colpo, che avessero potuto mai fare; e la più savia risoluzione, che avessero potuto mai prendere; tanto per il loro vantaggio, quanto per il bene de' Popoli. Cosi i principi si sono assicurati su i Troni (23). Cosi i Popoli hanno acquistato quella pace, senza la quale non possono essere prosperosi. Cosi son finite le avanie, e le oppressioni de’ Baroni. Cosi il loro dispotismo si è estinto, e la loro tirannia è cessata. Cosi finalmente è terminata quell’anarchia feudale, di che tanto vi consolate (24). Ma che poi, per non averne conosciuto il modo, con cui è stata distrutta, vi siete dato tanto a declamare, nel cap. 7 del I. Tomo, contra Carlo VII Re di Francia, per essere stato il primo Principe, che siasi armato: ed in seguito tutti gli altri (25). Or ridotta a questo buon termine la cosa, che altro si pretende? Dismettere assolutamente il sistema de' feudi, il quale forma la base, sopra di cui poggiano tutte le Monarchie d’Europa; e far che quelle precipitino insieme con quello? Vi ricordo, Signor Cavaliere, quella regola fondamentale di Politica, che la Legislazione non dee distruggere la natura del Governo, ma dee solo emendarne i difetti (26).

In verità, veneratissimo Signore, che se io non fossi più che persuaso, che Voi altro non avete avuto in mente, che di giovarci, direi che artatamente avete avanzati quei progetti sotto un’apparenza di bene, per voglia di veder rovinate tutte le Monarchie d’Europa tanto più, che Voi non contento solo di togliere con tali progetti il più valido ostacolo al dispotismo tirannico, facendo da buon Politico, passate poi a dargli una vigorosa spinta, per accelerarlo nel moto: ed ecco come.

Nel cap. 33 del 2. Tomo, dove si parla Degli straordinari bisogni dello Stato, e della maniera di provvedervi, Voi dite, com’è in fatti, che la guerra ha in tutt'i luoghi, ed in tutt'i tempi richieste maggiori spese, che la pace. Dopo di ciò passate a far menzione de' modi tenuti per provvedervi; cioè, oltre delle tasse straordinarie costumate farsi in tutt’i tempi, di quello praticato dagli antichi d’ammassare de’ tesori in tempo di pace e di quello usato da moderni delle prestanze. E finalmente dopo aver detto varie cose su questi modi tenuti, cosi Voi conchiudete.

“Se il sistema dunque di ricorrere a debiti, è il più pernicioso per la nazione se l’aver un tesoro ozioso, come l'avevano gli antichi, nuoce al commercio, ed all'industria, togliendo una gran porzione del numerario dalla circolazione; se la politica non permette sempre d’innasprire il Popolo con tasse straordinarie, che finissero col bisogno, (che sarebbe per altro il rimedio più giusto, e 'l meno pernicioso di tutti gli altri) se tutto quello, che si è sin’ora pensato da’ governi, è o pericoloso, o pernicioso; bisogna dunque pensare ad un metodo tutto nuovo, per provvedere agli straordinarj bisogni dello Stato. io credo (Voi dite) d’averlo trovato.”

“Qual è la causa (Voi domandate) che rende oggi pernicioso il sistema degli antichi? Si è detto il dover tenere tanto numerario segregato dalla circolazione. Se dunque si potesse avere un tesoro che non fosse ozioso, se si potessero avere delle somme considerabilissime sempre pronte senza toglierle dalla, circolazione, noi potremmo conseguire tutt’i vantaggi della politica degli antichi, senza incorrere negl'istessi inconvenienti. Come dunque fare per combinare due oggetti cosi opposti tra loro? Niente di più facile (Voi, dite). Quella somma, che l'economia dell'amministrazione potrà in ogni anno risparmiare, in vece di seppellirla in un tesoro, che si dia, in mono di quei cittadini che la ricercano, e che possono ipotecarla supra un sonda stabile, che rimarrà inalienabile finché la somma non farà stata restituita al creditore che questo prestito si faccia col patto di restituire la somma al fisco in qualunque tempo, ed in qualunque circostanza farà per ripeterla; e finalmente che niuno interesse si esiga per la somma data in prestito.”

“Questo sacrificio (continuate a dire) sarebbe necessario, perché moltiplicherebbe le richieste, e per conseguenza permetterebbe al Principe di scegliere sempre quelle, nelle quali il suo credito sarebbe meglio cautelato.”

“Egli potrebbe servirsi anche di questo mezzo per premiare i cittadini benemeriti dello Stato, giacché non è piccolo beneficio, che si reca, dando una somma in prestito senza il minimo interesse, Ecco come si potrebbe avere un tesoro, senza togliere neppure la, minima parte del numerario dalla circolazione. Questo sarebbe, è vero, un tesoro metafisico ma che diverrebbe reale subito, che i bisogni dello Stato lo richiederebbero. Che, se il bisogno è cosi grande, che le somme, versate dal governo non bastano per provvedervi, il solo espediente, al quale in questo caso si deve ricorrere, sono le tasse straordinarie. Quando il Popolo vede, che il governo ha tentate tutte le strade per non aggravarlo, quando vede, che il positivo bisogno dello Stato ricerca il suo soccorso, egli non, ardirà di reclamar contro una tassa, la quale per onerosa, che sia, è sempre possibile, quando non è, che per un dato tempo quando non darà più del bisogno.”

Questo Vostro progetto, Signor Cavaliere, è bello, e buono in apparenza, come gli altri due, che abbiamo di sopra esaminati; ma in realtà contiene intrinsecamente tanti inconvenienti, che lo rendono dannoso per le Società, rovinoso per i debitori del fisco, inutile per gli Stati, e pernicioso all'eccesso per i Popoli. Ed acciocché ne possiate chiaramente, e pienamente conoscere la mostruosità, bisogna, che mi permettiate, che io lo esemplifichi sui Regno di Napoli; e che lo immagini messo in pratica da che questo Regno non ha più guerre; cioè dall’anno 1742, in cui le truppe del nostro Re si ritirarono dalla campagna di Lombardia, in seguito di quella di Velletri.

Da tal tempo sin oggi ne sono scorsi 36 anni. Sicché se altro non si fosse messo a cumolo da’ nostri Sovrani, usando dell'economia nell'amministrazione dell’erario, che soli ducati 500000 ogn’anno; avremmo a quest’ora l'ingente peculio di 18. milioni di ducati. Dovendosi dare questi a prestanza, giusto il Vostro progetto, senza interesse alcuno; non vi ha dubbio, che da tal tempo sin’oggi si sarebbero intieramente impiegati. il fisco, dovendo esigere, com’è giusto, della sicurtà per questo danaro, non dico già, che non darebbe cento senza ricevere l’ipoteca di mille, ma solo, che si contentasse del doppio avremmo perciò a quest’ora renduti inalienabili, come Voi progettate, il valore di 36 milioni di ducati di fondi stabili, e certamente i migliori.

Or polio ciò, chi non vede, che questo Vostro progetto sa pienamente a calci coll'altro testé esaminato? Voi in quello maledite il divieto fiscale di poter alienare i fondi feudali, perche restano immutabilmente segregati dalla circolazione de*contratti; ed in questo progettate l’inalienabilità de' fondi ipotecati, dimentico affatto de' danni, che ne riceverebbe la Società? Questi danni, Signor Cavaliere, si possono solamente soffrire quando vanno accompagnati con un utile maggiore, e che sia certo, e sicuro; ma in ogn’altro caso si saranno sentire nella piena loro forza, e vigore; e perciò saranno intollerabili. Ma veggiamo, se sia sicuro il vantaggio, che si ricava da questo Vostro progetto.

Immaginiamo, per poco, che il nostro Sovrano stesse oggi nelle circostanze di dover indispensabilmente dare, o ricevere la guerra. Posto ciò, intimerebbe subito a’ suoi debitori la restituzione delle somme ricevute a prestanza; e poiché il bisogno non ammetterebbe dilazione, perciò sarebbero i medesimi messi in mora. Or questi non tenendo certamente nel forziere il danaro ricevuto, dovrebbero uscire in piazza a cercarlo. Ed ecco il principio d’una dolorosa scena. Le somme, che si cercherebbero, sarebbero grandi; il numero delle richieste sarebbe grandissimo; il bisogno non ammetterebbe dilazioni; e perciò il tempo prescritto sarebbe breve; il fisco che minaccerebbe de' sequestri, e forse di peggio a’ suoi debitori, perché stimolato dall'urgenza del danaro tutte quelle cose insieme sanno capir subito ad ogn’uno, in quali critiche circostanze si ritroverebbero i poveri debitori, e se benedirebbero, o maledirebbero l’ora, in cui presero dal fisco tal danaro a prestanza. Sarebbero costretti in somma o a fare de' contratti rovinosi, o ad essere rovinati dal fisco. E se Voi mi direte, che il Principe potrebbe con una legge dare la norma a’ tali contratti, fulminando delle pene severe a chi si volesse approfittare del tempo, e fare degl'inonesti negoziati; io vi risponderà, che questa legge rovinerebbe maggiormente i debitori del fisco, perche cosi non troverebbero più danaro in piazza; ed il Principe, dopo che l'avrebbe spogliati de' beni ipotecati, sarebbe costretto ad uscire egli stesso in piazza a cercare delle prestanze con dare in pegno le rendite dello Stato; ch’era quello appunto, che Voi volevate evitare. A questi stesso espediente dovrà venire ancora il Sovrano ogni volta che le somme, che bisognassero per la guerra, fossero esorbitanti, per cui si dovessero cercare alle piazze straniere. Sicché dunque il vantaggio, che ci promettete col Vostro progetto, rimane nell'immaginazione; ma sarebbe vera, certa, ed inevitabile la rovina de' debitori del fisco. Quello che si è esemplificato sui Regno di Napoli vale proporzionatamente per ogn’altro luogo.

Che vi pare, Signor Cavaliere, va cosi la faccenda? Cioè, che il Vostro progetto è dannoso per le Società, rovinoso per i debitori del fisco, ed inutile per gli Stati? E pure il suo maggiore inconveniente non l'abbiamo ancora svelato. Questo consiste in essere pernicioso all'eccesso per i Popoli, perchè dà l'ultima mano al dispotismo tirannico. E che sia cosi,vi vuol poco a conoscerlo. Combinate insieme il presente con i due progetti antecedenti da noi esaminati, e subito ve ne renderete sicuro. Quelli due soli, messi in esecuzione, bastano, come ho fatto vedere, per introdurre il dispotismo tirannico nelle Monarchie d’Europa; aggiuntovi poi quello terzo, la cosa va all'ultima sua perfezione: ed eccone la ragione.

Dismessi i majorascati, i fedecommessi, e le sostituzioni, ed abolito il divieto fiscale di poter alienare i fondi feudali, e con ciò rendute passeggiere le ricchezze nelle famiglie; abbiamo detto, che rimane distrutto ogn’Ordine di Nobiltà, e perciò tutti gl'individui d’uno Stato diventeranno popolani. Su quello piede, fate che ’l fisco dia de' molti milioni a prestanza con esigere, com’è giusto, dell'ipoteche; chi non vede ora quali, e quanti mai possono essere i pretesti, per ispogliare i sudditi della proprietà de' lord beni, e fare, che tutto cada in mano del fisco. (27)? Altro non vi vuole, per ciò eseguire, che la sola volontà d'un Principe che non foste ben consigliato, e diretto da’ suoi Ministri. L’invidia, compagna indivisibile dell'uomo, sarà in questo caso, che chi niente possiede guardi con piacere lo spoglio degli altrettanto più che manca quella affezione, che suole avere il basso Popolo, per le famiglie illustri della sua Patria giacché di queste niuna più n’esisterà, nel modo, che abbiamo detto. La plebe, è vero, che abborrisce, ed odia la Nobiltà in generale, (e non senza ragione)ma per certe famiglie particolari nutrisce della grande affezione, e si pregia, che le medesime adornino la sua Patria sicché lo spoglio di quelle non saprebbe guardare con indifferenza, come sarebbe d’ogn’altra.

Ma Voi mi direte, che in ogn’altro paese può mancare la Nobiltà, fuorché in quelli, dove le famiglie Nobili sono ascritte, come in Napoli, ne’ Sedili, o pure in altro modo sicché quelle non si confonderanno mai colle popolane. Questi Nobili, Signor Cavaliere, ridotti miserabilissimi con i Vostri progetti, sapete cosa mi sembrano? Mi sembrano tanti Vampiri di Moravia cioè tanti famelici cadaveri ambulanti, i quali, come quelli, cercherebbero di nutrirsi del langue de' vivi, ma che poi, ad un semplice cenno del Sovrano, nel modo stesso che si racconta di quel parto di fantasia, dando loro una lanciata nel petto, si vedrebbero interamente estinti.

Ed ecco, Veneratissimo mio Signor Cavaliere, in che tristo stato si ridurrebbero le Monarchie dEuropa (e se per consenso poi tutte l’altre Società di essa), se questi Vostri progetti fossero messi in pratica. L’Europa, che mai non ha goduto, come in questo Secolo, una pace, una tranquillità, una prosperità, ed una felicità simile a quella, che sta godendo, frutti tutti di quella coltura, che l’avanzamento delle scienze le ha dato l’Europa, io dico, si vede oggi insidiata da un figlio delle Muse con alcuni progetti, che non tendono, che a rovinarla sotto nn aspetto di bene; e perciò tanto più perniciosi, quanto più lusingano l’immaginazione. io per altro non temo punto delle triste loro conseguenze, perché sto sicuro, che la saviezza, la moderazione, e la virtù de' presenti Principi d'Europa non permetteranno mai, che sieno eseguiti. i Sovrani di questa felice parte della Terra han conosciuto ad evidenza, che la loro felicità dipende da quella de' loro sudditi; che la loro sicurtà dipende da quella de' loro Popoli e che la vera loro grandezza consiste in comandare uomini liberi, e non schiavi.

E’ forza dunque, Signor Cavaliere, che Voi confessiate d’esservi ingannato in avanzare tali progetti. Né vi giova il dire d’aver ciò fatto pel desiderio di veder tolti i mali, che sanno alle Società d’Europa i majorascati, i fedecommessi, le sostituzioni, il divieto fiscale di poter alienare i fondi feudali, e le somme, che si prendono da’ Principi a prestanza in occasione di guerre; perché dovevate sapere, come filosofo, che non tutt’i mali si possono dal mondo togliere senza cadere in alcuni casi in mali peggiori.

La moderna Metafisica ci ha fatto conoscere, che deliravano que’ filosofi dell'antichità, i quali dicevano, che i mali derivavano da una malvagia divinità, dalla materia eterna ed indomabile, dalle eterne tenebre, dalla guerra de’ Giganti contro Giove, dalla temerità di Prometeo, e da altre simili ciance ma ci assicura che la sola, e vera cagione di essi, sieno Metafisici, sieno Fisici, sieno Morali, sieno Teologici, sieno Politici, e quell’istessa, da cui dipende ogni nostro bene, cioè la legge Cosmologica di collisione; e che perciò sono cosi inerenti alla natura del Mondo, che non si possono da questo togliere senza distruggere il Mondo stesso (28).

Non è però, che molti di essi non si possano o interamente, o in parte evitare: ed in questo appunto consiste l’officio del filosofo, di conoscere cioè, quando, e come si possa ciò fare, senza cadere in mali peggiori che vale a dire ridurre i mali al minimo possibile, in cui consiste la felicità di questa nostra vita. Ma il pretendere di voler togliere tutti tutti i mali dal Mondo; o pure, come Voi vi compromettete, di sbarbicare tutt’i mali politici dalle Società d'Europa, è una dolce, ma vana lusinga, la quale non serve ad altro, che a far cadere il Mondo, o una parte di esso in mali peggiori. io non ho avuto in mente di passare a rivista tutti Vostri progetti ma sappiate, Signor Cavaliere, che la maggior parte di essi pecca appunto in questo. Abbiate, vi prego, come un assioma politico, che il massimo de' mali, che possa soffrire un Popolo, è quando in testa a chi lo governa salta il pensiero di volerlo liberare da tutt'i mali. Ma veggiamo se io sappia ritrovare un rimedio capace a minorar quelli, di cui Copra abbiamo favellato, giacché si è detto, che non si possono interamente togliere.

Ed in prima, per minorare i mali, che nascono da’ majorascati, e da’ fedecommessi, bisogna( )procedere con prudenza, e saviezza: ed ecco come. Non si devono affatto toccare i majorascati, ed i fedecommessi, che si trovano già istituiti, perché ogni novità, che si faccia circa a questi è o ingiusta, o imprudente. Dismetterli tutti, si è detto, che non si può: ed oltre alle tante ragioni di sopra addotte, vi è anche quella, che sarebbe un ingiustizia il privare i chiamati al godimento de' medesimi d’un dritto da loro acquistato con piena forza di legge. Dismetterli in parte, cioè quelli d’alcune famiglie, che meritano meno riguardo, sarebbe un’imprudenza, perché disgusterebbe gli animi d’una gran parte degl'individui dello Stato, vedendosi trattati da meno degli altri e questi veramente con ragione maledirebbero la legge, che li degrada. Bisogna dunque lasciarli finire da loro stessi coll'estinzioni delle famiglie; e sc questo si reputa un rimedio lungo, bisogna persuadersi, che i mali cronici cosi si curano. Deesi in somma pensare solo al futuro, e non al passato; e qui anche bisogna avere alcuni riguardi. Proibire assolutamente, che per l'avvenire non si postano più istituire majorascati, e fedecommessi, non va bene. Le Aristocrazie ereditarie, le Monarchie, ed alcuni Governi misti han preciso bisogno de' Nobili le famiglie, che vi sono, andranno estinguendosi da tempo in tempo adunque necessita sorrogarne delle nuove: tanto più, che non bisogna togliere a niuno la ragionevole speranza di giugnere a quet’Ordine invidiato. Ma la Nobiltà per reggere ha bisogno, come si è detto, di ricchezze permanenti, dunque solo a coloro a quali si permetterà d’entrare in tal Ordine dovrebbesi accordare la facoltà d'istituire majorascati, e fedecommessi, e proibirla a tutti gli altri.

Ed a chi mai si permetterà d’entrare nell’Ordine de' Nobili? Qui debbono le leggi seriamente badare, per togliere gli insopportabili abusi. La Nobiltà, se si pone mente alla moltiplicità delle prerogative, che dà, in una Società, a chi ne va adorno, è un bene inestimabile. E se quello bene non si conosce da chi lo possiede, e se disprezzasi da chi non lo gode; dipende che i primi non sanno, che significhi il non averlo e che i secondi, o disprezzano ciò, che invidiano, o mascherano l'invidia con una affettata filosofia: giacché i veri filosofi pratici sono assai pochi. Se dunque è cosi, che la Nobiltà è un gran bene; e che quanto dà di prerogative ad un individuo, tanto ne toglie dalla massa comune de' dritti di tutti gli altri dell'istessa Società conviene perciò, che quello bene non si accordi, se non se solo a quelle persone che hanno prestato de' distinti, e non ordinari servizi allo Stato.

Per non dilungarmi di vantaggio, e per non divertirmi dal mio argomento, non entra ad individuare con precisione quali debbano essere quelli servizj, e quali le persone, a cui si dee un tanto bene: imperciocché dovendo ragionare il mio sistema su di ciò, e precisamente per quello, che occorre nelle Monarchie, dove la faccenda è molto inviluppata, mi dipartirei troppo dal mio proposito, ond’è che passo innanzi. Bramerei però veder trattato dalla Vostra elegante penna quest’argomento, cioè degli abusi, che vi sono in entrare nell'Ordine della Nobiltà e della maniera di toglierli. il quale argomento, secondo il mio debole pensare, non è de' meno interessanti; e pure sin’ora non mi è a notizia, che sia (lato da Politico alcuno trattato.

Ridotti in somma, come si è detto, i majorascati, ed i fedecommessi ad i soli Nobili; e corretti con una savia legge gli abusi, che vi sono in entrare nel loro Ordine; cosi il male, che fanno alla popolazione, viene a ridursi al minimo possibile ed al minimo possibile ancora, in tal modo, riducesi l'altro, che sanno arrestando il commercio de' beni, senza intanto distruggere gli Ordini de' Governi. Quel che si è detto de' majorascati, e de' fedecommessi, val detto ancora delle sostituzioni,

Per rimediare poi all’eccessive ricchezze de' Nobili nell’Aristocrazie ereditarie, non si dee togliere il dritto delle primogeniture, né de' fedecommessi, né delle sostituzioni, né delle chiamate, né delle adozioni, niente in somma di quanto precetta il dotto Autore dello Spirito delle Leggi ma basta solo, che si limitino le somme de' majorascati, e de' fedecommessi, e cosi si rimedierà al male.

Per le Monarchie pero non è affatto da pensare a limitazione alcuna, perché come il fasto forma una parte della potenza di tali Governi cosi non sono da toccarsi quelle famiglie, che contribuiscono al decoro del Trono. E poi, parliamo sui vero, ed a sangue freddo, quanti sono (eccettuati i Luoghi Pii, e gli Ecclesiastici, di cui io non parlo, perché non appartengono al mio argomento, e per non entrare in discorso di moda) i gran proprietarj in ogni Monarchia? Nella nostra certamente, che sa oggi poco meno di cinque milioni d’abitanti s parlo solo del Regno di Napoli) sono assai pochi, a segno, che si possono da ognuno facilmente numerare quelli, che veramente possonsi dire gran possessori, e questi ritrovansi solo nella Capitale mentre i mediocri, e piccioli proprietarj sono innumerabili, cosi nella Capitale, come nelle Provincie tutte del Regno.

Per rimediare a’ debiti, che si fanno su i beni soggetti a’ fedecommessi, ed alle vendite fraudolenti, che si sanno de' medesimi; l'unico efficace rimedio è quello d’ordinare che ogni Comune debba fare un pubblico registro di tutte le possessioni, che sono nel suo distretto; ed ivi notare distintamente tutti censi, pesi, ed obbligazioni, che vi sono annessi, e quali di esse son soggette a’ fedecommessi, e quali no. Cosi finirebbero tutte le frodi, e la maggior parte ancora delle liti ne’ Tribunali (29).

Questi sono i rimedj, per minorare, quanta sia possibile, i mali, che sanno all'Europa i majorascati, i fedecommessi, e le sostituzioni. Passo ora a vedere, che si può fare degli altri.

In quanto al divieto fiscale di poter alienare i fondi feudali, si è detto di sopra, che un solo è il male, che produce, di toglierli cioè dalla circolazione de' contratti. Male in vero non picciolo, ma male necessario, come di sopra si è fatto vedere per la conservazione delle Monarchie. Né io saprei in che modo mai si possa questo diminuire senza ammiserare i Baroni né sin a quai segno si possa minorare la forza di questi, che le Monarchie non ne abbiano a sentire del nocumento. Sicché essendo quello uno di que’ mali, che non si possono né interamente né in parte dal mondo togliere senza cadere in mali peggiori, perciò con viene non toccarlo.

Finalmente per provvedere agli straordinari bisogni dello Stato, ed in particolare a quello della guerra, essendosi dimostrato, che la maniera la più funesta sia quella, che Voi progettate perciò non è da tenerne conto alcuno Tanto più, che non so con quai buona regola d’economia si possa progettare d'impiegare delle somme cosi ingenti senza ricavarne alcun frutto mentre non vi è Stato oggi in Europa, che per cagione delle passate guerre non abbia de' gran debiti contratti con aver dato in pegno le pubbliche rendite. Perché dunque non dispegnorar quelle col danaro, che si può risparmiare in tempo di pace coll'economia dell'amministrazione? Qual altro progetto più savio di quello si va cercando? Aumentandosi cosi le rendite dello Stato, i Sudditi verrebbero ad essere risparmiati da’ nuovi aggravj in tempo di pace; ed in tempo di guerra, ricorrendo nuovamente alle prestanze, si soddisferebbe al bisogno, senza pensare ad altro; o al più con aggiugnervi qualche tassa straordinaria, ma che finisse col bisogno stesso, a tutto s’adempirebbe, senza cadere in alcuno degli inconvenienti né degli antichi, né de' moderni, di cui sopra si è fatto menzione. Se coloro, che hanno la cura di governare i Popoli, non,si determinano a questo salutare espediente, gli Stati andranno sempre di male in peggio sino alla loro totale rovina.

Volete Voi, Signor Cavaliere, formare de' progetti d’economia per uno Stato, e volete non isbagliarla? Fate com’io vi dico: Proponetevi per modello uno de' più savj capi di famiglia, che potete conoscere nella Società; e badate come costui regoli l’economia di sua casa. Dovendo poi progettare, progettate a norma di quanto avete imparato da tal modello; e state sicuro, che non la sbaglierete. L’economia pubblica è l’istessa dell’economia d’una famiglia privata, colla sola differenza, che passa tra ’l grande, e ’l picciolo, Cosa sarebbe, domando, un savio uomo, se la sua casa si ritrovasse aggravata da debiti? Ad altro certamente non baderebbe, che a mettersi in economia, ed a liberarla da questo morbo micidiale. Si faccia dunque lo stesso per uno Stato, che ritrovasi in simili circostanze. i debiti siccome distruggono le più opulenti famiglie, cosi rovinano ancora i più ricchi Stati, quando cessato il bisogno, per cui si son fatti,non si pensa subito a dismetterli (30). L'uomo savio istesso non esiterà punto ne’ gravi straordinarj bisogni di sua famiglia a far anch’egli de debiti, ed a vender pure,se la necessità lo richiede, ma cessata questa, subito si darà a rimettere la sua casa nel primitivo stato. il male dunque non consiste in far de' debiti pe’ bisogni, ma dipende dal non toglierli, quando questi son cessati. Perché dunque quelli,’.che governano i Popoli non debbono regolarsi a norma degli uomini savj? E se Voi mi direte, che questo non è sperabile: io vi replicherò, dunque gli Stati andranno sempre di male in peggio sino alla loro totale rovina.

Or quello progetto di torre dagli Stati i debiti che si trovano già fatti, e di farne degli altri subito che il bisogno lo richiede, viene attaccato per l’una, e per l'altra parte. Voi dite nel sopraccitato cap. 33. del 2. Tomo I:

“Io non entra ad esaminare, se il Sovrano, abbia, o no il dritto di farlo (cioè di far debiti) se la Corona essendo ereditaria, e l’amministrazione assoluta; se il Principe non avendo il dritto di disporre della successione al Trono; se una perpetua sostituzione, togliendo all'usufruttuario della corona la proprietà de' fondi, e proibendogli di disporne, o nella totalità, o nelle parti non entra (Voi dite) ad esaminare, se quello titolata passeggero, che non può alterar l’ordine della sua successione, né dare a’ membri avvenire dello Stato, che governa un altro Sovrano, se non quello, ch’è dalla legge chiamato dopo di lui al Trono, possa egli eludere, quella disposizione, obbligando la Nazione j, intera pei suoi debiti, e consumando anticipatamente le rendite de' suoi successori col caricare di debiti l'erario, h proprietà del quale è della Corona, e il sol uso di chi la porta. io lascio a’ politici (Voi seguitate a dire) l’esame di questa interessantissima questione, che un secolo di discussioni, come questo, non lascerà di risolvere; e mi piace, di nascondere il mio giudizio su quest’oggetto, ecc.”

Altrj poi esclamano contro alla dismissione di questi debiti pubblici, esponendo la rovina di tante case particolari, che o interamente, o in parte cosi sussistono (31). Conviene dunque rispondere a quelle due opposizioni. Ed in prima dico, che se la dismissione di questi debiti conteneste dell’ingiustizia in questo caso non vi G dovrebbe affatto pensare. Ma qualora con espresso patto di redimersi quando-cumque da tali debiti lo Stato ha contrattato con suoi creditori sparisce perciò ogn’ombra d’ingiustizia nella dismissione de' medesimi. La questione dunque si riduce solamente ad esaminare, se il bene pubblico dev’esser preferito al privato, o questo a quello. Ma quai questione è mai questa? E chi mai ha messo in dubbio, che il bene pubblico dev’essere sempre preferito al privato, quando non vi è ingiustizia per alcuno particolare? Sicché dunque per questa parte siamo fuori di controversia (32).

In quanto poi alla Vostra difficoltà, vi rispondo, che se la questione si dovesse risolvere da’ Giureconsulti sulle ragioni da Voi addotte, certamente si direbbe t che i Principi non possono, per le guerre, far debiti a conto dello Stato ma dovendosi discutere da’ Politici, i quali esaminano le cose sott’altro aspetto, il decreto perciò sarà altrimenti. Ecco come la discorrerà un Politico. La guerra, egli dire, o è giusta, e ragionata, o capricciosa, ed ingiusta. Se la guerra è ingiusta, se la guerra. è capricciosa, il Principe non può né deesi farla né a spese sue, né a spese de' suoi successori con lasciare de' debiti allo Stato. Ma se la guerra è giusta, se la guerra è ragionata, sia offensiva, sia difensiva, perché non può fare in nome dello Stato, tuttocchè la Corona sia ereditaria, quei debiti, che bisognano, per sostener la medesima? Non è vero sorse, che un Principe serbando a se lo Stato, ed i suoi dritti con una guerra difensiva, serba e l'uno, e gli altri ancora a’ suoi successori? Non è vero pure, che rivendicando il medesimo con una guerra offensiva dalle mani o d’un’invasore, o d’un usurpatore ciò, che al suo Stato, o di proprietà, o di dritti è stato tolto, viene nel tempo stesso a riacquistare tutto ciò ancora per chi gli succede al Trono? E s’è cosi, come non si può negare, non vi è male dunque, che questi soffrano de' debiti fatti per quelle. E poi essendo la guerra un male, a cui sono soggetti tutti i Popoli, né potendosi sempre da chi governa evitare, per qualunque prudenza, e moderazione venga da loro usata perciò ogni ragion vuole, che l’esorbitanti straordinarie spese, che bisognano per la medesima, vadano a conto dello Stato. Ma si è detto, che niun modo, per provvedervi, è. più acconcio di quello de' debiti (purché i Principi si facciano un indispensabile dovere di toglierli colla maggior efficacia, subito che la pace ritorna); dunque svaniscono tutte le opposizioni mentovate.

Questi sono i rimedj, che io ho saputo ritrovare, per minorare que’ mali, di cui sopra abbiamo favellato, giacché si è detto esser del numero di quelli, che non si possono interamente dal Mondo togliere, senza cadere in mali peggiori. Di qualunque valore mai sieno questi rimedj da me progettati, li sottometto pienamente, e di buon animo alla Vostra savia censura; e mi reco a gloria, se, conoscendoli Voi difettosi, vi benignate di correggerli. Per non abusarmi della Vostra bontà, tralascio l’esame di tutti gli altri Vostri lusinghieri progetti bastandomi d’avervi fatto conoscere, con que’ pochi, che ho esaminato, in che grave pericolo Voi ponete l’Europa tutta, pel soverchio zelo di vederla liberata da’ mali. Non credo, che vi vogliate crucciar meco, per essermi a tanto avanzato; giacché quello stesso zelo, che ha animato Voi per vedere l'Europa liberata da’ mali, che soffre ha animato me ancora, per sottrarla da’ pericoli, a cui la veggo esposta. La cosa dunque mi giustifica da se stessa.

Prima però di finire, mi dovete permettere, che io faccia menzione d’una Vostra asserzione intorno alla popolazione de' paesi feudali; poiché i due primi progetti, di cui sopra abbiamo discorso, concernono appunto l'accrescimento della popolazione. Nel cap. 3 del II. Tomo, opponendovi a coloro, che sostengono, che la miseria non sia d’ostacolo alla popolazione, e che per provarlo ci sanno allontanare dalle captali, e ci portano ne’ paesi soggetti al dominio feudale, dove ci additano i più miserabili, e ci san vedere, ch’essi son quelli, che meno sanno privarsi del matrimonio, cosi Voi vi lasciate a parlare. Se i matrimonj (Voi dite interrogando) fossero in questi paesi cosi frequenti, non dovrebbe forse la loro popolazione crescere in ogni giorno? Da che deriva, che a misura che noi ci allontaniamo dalle Capitali, noi troviamo la desolazione nelle campagne? Da che deriva, che la loro popolazione in vece di crescere, si vede sensibilmente diminuire? Bisogna dunque dire, o che il fatto non è vero, a che i figli i che nascono da questi infelici conjugi periscono nell’aurora istessa de' loro giorni, o che il germe fecondatore è sterile, allorché è inaridita dalla miseria.

Non è affatto mia intenzione di entrare in questa contesa, cioè se la miseria, sia a no d’ostacolo alla popolazione ma solo mi oppongo alla Vostra asserzione, che ne’ paesi feudali (di cui si parla) la popolazione in vece di crescere si vede sensibilmente diminuire. io non so, Veneratissimo Signor Cavaliere, come mai avete potuto avanzare una simile proposizione. Voi è vero che parlate in generale de' paesi feudali di tutta Europa; ma usando quel termine sensibilmente, fate credere ad ognuno che Voi appoggiate la Vostra asserzione sui Regno di Napoli. imperciocché la prima delle condizioni necessarie, che si richieggono nelle sensazioni, e appunto quella, che l’oggetto sentito sia presente a’ sensi. Ma di tutta Europa il solo Regno di Napoli è presente a’ Vostri sensi. Adunque su di questo Voi fondate la Vostra generale proposizione. Conviene perciò, in onore del vero, che io vi faccia conoscere quanto sia salso, che la popolazione de' paesi feudali del nostro Regno, in vece di crescere, si veda sensibilmente diminuire. Ma poiché in alcune materie, quando si discorre con principj astratti, o su fatti, che tanto coda l’asserirli, quanto il negarli, come non v’ha errore, che non si possa sostenere, né verità evidente, che non si possa contrastare; quindi è che nella presento occorrenza ho stimato, lasciando ogn’altro principio, di ragionare solo su fatti innegabili.

Nella pagina 151 del Calendario della Corte del corrente anno 1782 noi abbiamo la popolazione del nostro Regno dalla Pasqua del 1766 alla Pasqua del 1781. Nella Pasqua dell’anno 1766 la popolazione del nostro Regno;( )inclusavi la Capitale, era di 3953098, e quella della Capitale sola era di 337095. Nella Pasqua poi dell’anno 1781 la popolazione del Regno, e Capitale insieme era di 4677821.; e quella della sola Capitale era di 383915. Sicché nel termine di quindici anni la popolazione della sola Capitale è cresciuta di 46820; e quella del Regno, e Capitale insieme e aumentata di 724723. L’accrescimento dunque della popolazione delle sole Provincie nel dato tempo è di 677903 (33). Domando al Signor Cavaliere, quello strabocchevolissimo aumento di popolazione fatto nelle nostre Provincie nel termine di soli 15 anni, in quali paesi si è fatto? Non è vero forse che le Comunità del nostro Regno, tra Città, Terre, e Castelli, sono 1922? (34); e che di quelle, nel corrente anno, solo 124 sono di Regio Governo (35) e che tutte l’altre, cioè 1798, sono Baronali? Non credo, che per mantenere la Vostra asserzione vogliate dire, che tale accrescimento di popolazione siasi fatto solamente in quel picciol numero di paesi Regj, che si è accennato imperciocché l’intera loro popolazione forse si, forse no, giugne a quel numero, di quante le Provincie sono cresciute. E poi, se ciò il voglia supporre (il che non è), ne verrebbe in conseguenza, che l’accrescimento della popolazione proporzionatamente per tutto il Regno, nel dato tempo, avrebbe dovuto essere circa a 10 milioni (36). E vi pare, che il genere umano moltiplica a questo modo? Cioè, che nel termine di 15 anni, meno di 4 milioni d’uomini, quant’erano nell’anno 1766, diventino 14 milioni? Ma lasciamo stare le ragioni astratte, perché ho promesso, in questo argomento, di parlare solo su fatti innegabili. Osservate, vi prego Signor Cavaliere, le liste della popolazione, che si mandano alla Corte nella Pasqua d’ogn’anno da ciascheduna Diocesi del Regno, e vedete se ne’ paesi feudali la popolazione, in vece di crescere, si vede sensibilmente diminuire? Se forse ne’ feudi di Vostra Casa, per qualche disgrazia, sia ciò avvenuto, avete fatto male a generalizzare la Vostra proposizione. Tanto più, che nelle nostre Provincie, e perciò ne’ paesi feudali, non solo è strabocchevolmente cresciuta la popolazione, relativamente al numero degli abitanti, nel solo picciol tempo di 15. anni; ma di più è aumentata in una ragione molto maggiore di quella, ch’è avanzata nella sola Capitale. Per assicurarvi di questa verità, fate una regola di proporzione, come 337095 (popolazione della Capitale nella Pasqua dell'anno 1766), a 3616003, (popolazione delle sole Provincie nello stesso tempo) cosi 46820, (accrescimento nella Capitale sin all’anno 1781), al quarto proporzionale; che per quarto termine avrete 502236. Questo in somma sarebbe l’aumento delle Provincie proporzionato a quello della Capitale. Ma si è detto, che le provincie sono accresciute di 677903, cioè di 175667 più di quello che porterebbe la proporzione anzidetta, Dunque nelle nostre Provincie, ed in conseguenza ne’ nostri paesi feudali, l’aumento della popolazione non solo è esorbitante molto, ma ancora è in una ragione assai maggiore di quello della Capitale (37).

Or che vi pare, Signor Cavaliere, sono verità quelle, che si possono negare? Non è vero dunque, che ne’ paesi feudali del nostro Regno la popolazione in vece di crescere, li vede sensibilmente diminuire. Che ne sia poi degli altri luoghi d’Europa, a me non coda, e perciò io taccio (38).

Finisco, per non più tediarvi,cercandovi scusa dell*ardire, e nel tempo stesso dedicandovi la mia perpetua servitù.


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NOTE

(10) Questo capo il di cui titolo è De’ mezzi propri per ottenere l’equabile diffusione del denaro, e delle ricchezze in uno Stato, e degli ostacoli, che la presente legislazione vi oppone, per errore dello Stampatore ritrovasi messo sotto il n. 32onde si avverte, per chi mai lo voglia riscontrare.

(11) Dissertazione del Re di Prussia sopra le ragioni di stabilire, o d’abrogare le leggi.

(12) NOTA DI UN ANONIMO. Oltre a’ tanti accennati vantaggi, che apportano a’ Cadetti i Majorascati, ed i Fedecommessi, ve n’è un altro particolare per li Cadetti delle case Magnatizie, a cui non ha l'Autore badato. Le case Magnatizie sono quasi tutte cariche di debiti di grosse somme; per i quali stanno ordinariamente ipotecati quei feudi, da cui traggono tutte le loro rendite. Se si. vogliono dividere i feudi, o i fondi feudali egualmente tra tutti fratelli; la giustizia vuole, che anche i debiti sia no egualmente divisi. Suppongasi, che, fatta questa equabile divisione, la porzione spettante ad un Cadetto sia un feudo, o tanti fondi feudali del valore di 50000. ducati; e che la rata de' debiti, a lui appartenenti, ascenda a ducati 20000. E’ noto, che i feudi ordinariamente danno generi, e non altro. Or se questi generi mancheranno nelle raccolte, come pagherà il Cadetto li ducati 800. che importa l'annualità del suo debito? E come soddisferà a tutt’i suoi bisogni, precisamente se ritrovasi casata, e con figli? Allora vedrà quanto è meglio il livello in danaro contante, ch’egli tira colla maggiore ostilità ogni terzo dal suo Primogenito, e se lo gode senza pensiero, e senza peso di Moglie, e di figli; che andar cercando parteggiamento di beni. Mentre il Primogenito, col fumo della Signoria, fu da essere l’altrui esattore.

(13) in tutto il decorso di questa lettera ho seguito la comune divisone de' Governi in Dispotico, in Monarchico,in Repubblicano, ed in Misto. Se dovessi però forma re una istituzione di Scienze Politiche, mi piacerebbe dividerli solamente ne’ tre ultimi menzionati. imperciocché se il Governo Monarchico è quello, che vira retto da un solo, come ci dinota la voce Monarchia;non so capire, perché mai i Governi, che si dicono Dispotici, non abbiansi a dire anch'essi Monarchici; giacché un solo ancora è quello, che in tali Stati governa. il governare poi con leggi fisse, e stabilite; o il governare senza norma, e senza leggi, non apporta certamente divisione di generi in questi Governi ma solo sa differenziare le Monarchie in due specie: cioè in Monarchia Dispotico-Tirannica, che vale a dire dove li governa ad arbitrio, e capriccio ed in Monarchia moderato cioè dove tutto si sa con leggi stabilite. Cosi io la penso. Se poi questo mio pensate venga approvato da Dotti, non io so.

(14) Lib. 5 cap. 8. dello spirito delle leggi.

(15) La ragione dell’assoluta necessità dell’Ordine de' Nobili nella Monarchia si addurrà nello esame, che farà del secondo progetto, e nel primo soglio delle Riflessioni Critiche; nel tempo stesso che farà vedere di quali persone debba essere quest’Ordine composto, per servire a tal uopo.

(16) Si desidera sapere dal Signor Cavaliere, i figli di questa nuova razza di Baroni, che cosa si divideranno? I dritti sorte della patente del Governatore? La rendita dell'affitto della Mastrodattia? O pure i proventi Fiscali? Ma ricordisi, che si debbono mantenere gli Armigeri. Dunque si divideranno i processi dell’Archivio.

(17) L’aver io detto, che i più ricchi, ed i più distinti per nascita dell'Ordine de' Baroni sono i Compagni,ed Amici del Principe; ha servito per farmi ricevere dall’Autore dello Sbozzo del commercio di Amsterdam, e dell'Appendice contenente una breve difesa della nostra Nazione contro le incolpe attribuitele da alcuni Scrittori Esteri, un'accusa di reo di stato. io per questa carità, che mi ha usato, un tanto scienziato Uomo, me gli dichiaro molto molto obbligato; e io prego nel tempo stesso a farmi la grazia di leggere la nota alla pagina 58. con quella porzione di paragrafo, al quale si appartiene.

(18) Leggasi quanto ha scritto con somma erudizione il Signor di Montesquieu dal capo 7. sino al capo 12. del lib, XI. dello Spirito delle Leggi; ed in particolare leggasi il capo 8.

(19) Non ignora quanto si è scritto sull’origine de' feudi, So che taluni delirando hanno opinata, che i feudi sono tanta antichi quanto lo è il Mondo. Altri un poco più discreti sognando han detto, che l’origine de' feudi è da ripetersi ne’ tempi di Noè. Altri sofisticando l’attribuiscono alle Clientèle de' Romani ne’ tempi della Repubblica più remoti da noi. Altri con qualche vera simiglianza riconoscono la loro origine da Benefici militari introdotti da’ Romani imperadori. Ed altri congetturando hanno asserito (come il nostr’Orazio Montano, in praelud. feudal.)che Goti furono i primi, se non ad introdurli,almeno a gittarne i fondamenti. Quest’ultima opinione, tutto che distruggerebbe l’opposizione proposta, pure da me non viene seguita; ed unendomi alla più sana parte de Critici do per vero, che i Goti non conobbero mai feudi; e che i primi ad introdurli furono i Franchi, ed i Longobardi.

(20) il Regno de' Goti in Italia, dalla conquista di Teodorico fatta nell'anno 489, fino alla disfatta, e morte di Teja datagli nell’anno 553. dall'eunuco Narsete, Generale dell'imperadore Giustiniano, durà solo 64 anni. il Regno de' Goti nell'Aquitania, ed in Narbona dalla conquista di Ataulfo fatta nell’anno 415, sino alla disfatta, e morte di Alarico datagli nell'anno 506, o 507 da Clodoveo Re di Francia durò 91 in 92 anni. il Regno de' Goti nella Spagna, da che ivi si trasferirono dopo la morte di Alarico, accaduta come si è detto nell’anno 506, o 507, sino all’invasione de’ Saraceni, da cui ne furono cacciati, succeduta nell'anno 713, o pure come altri vogliono nell’anno 715 durò poco più di 100 anni. Non fo qui menzione della durata de' Goti nella Dacia, nella Pannonia, e nell'illirico, si perché il loro governo in tali luoghi non ebbe mai forma di Monarchia; come pure perché non furono mai Popoli liberi, ma prima stiedero sottoposti agli Unni,e poscia agli imperadori d'Oriente.

(21) Non vorrei, che qui mi si obbiettasse: come il dominio de' Goti nell’Aquitania, ed in Narbona durà 91 in 92 anni, ed in seguito nella Spagna durà anni 208, o 209, e si dice, che non può servirci d’esempio per conoscere se un Ordine di Nobiltà non feudataria sia valevole a sostenere una Monarchia per lungo tempo? imperciocché da principio il Governo Gotico dopo delle conquiste su un misto di Aristocrazia, e di Monarchie, ed il minuto Popolo vi era schiavo. A poco a poco nacque la costumanza di accordare delle lettere di libertà; ed in tal modo la libertà civile del Popolo, le prerogative della Nobiltà, e la potestà del Re si trovarono in concerto tale, che si venne a formare (dice il Signor di Montesquieu nel cap. 8. lib. XI) il migliore de' Governi, che vi sia stato sulla Terra. Sicché se il Governo Gotico da principio su un Governo misto, e che per gradi prese la forma di Monarchia; perciò non può reggere l’obbjezione proposta. Tanto più se considerasi, che i Goti nella Spagna stiedero in continue guerre, non solo co’ Francesi, per la Provincia di Narbona; ma ancora con molti Popoli della Spagna stessa tra i quali, precisamente sotto il regno di Leovigildo il Conquistatore, co’ Navarresi, e co’ Cantabri, oggi detti i Biscani. Leggasi Grozioin hist. Got, ed isidoro, in Chron. Eva 606.

(22) Giannone istoria Civile lib. IV cap. L §. III. Origine de' Feudi in Italia.

(23) Nella prima edizione di questa Lettera, per errore dello Stampatore sono mancanti le parole: Cosi i Principi si sono assicurati su i Troni. Questa mancanza rendeva difettose, ed inelegante il discorso. inelegante s perché dicendo il bene de' Popoli. Cosi i Popoli: formava dell'asprezza all’udito. Difettoso: perché essendosi detto, che i Principi aveano fatto bene a disarmare i Baroni, ed ad armarsi essi, tanto per il loro vantaggio, quanto per il bene de' Popoli: avendo espresso poi quai’ era il bene, che ne hanno ricavato i Popoli; conveniva esprimere ancora qual era il vantaggio, che ne hanno ricevuto i Principi: cioè che cosi si sono assicurati su i Troni. Difettoso però qual era il discorso, dall'essersi detto, che i Principi avendo disarmati i Baroni, ed essendosi armati essi ne aveano ricavato del vantaggio; facilmente si capiva da ogni uno, che ha letto la Storia, quai mai era stato questo vantaggio, che no aveano ricavato: cioè di essersi liberati da quei tristi scherzi, di cui la Storia n'è piena, che il Baronaggio armata loro faceva in quei tempi,che essi Principi armati non erano. Sicché se l’Autore dello Sbozzo del commercio di Amsterdam,e dell'appendice contenente una breve difesa della vostra Nazione contra le incolpe attribuitele da alcuni Scrittori Esteri, fosse stato di tanta intelligenza da capir ciò che ho detto in questo luogo, certamente, che non si sarebbe presa la pena di scrivere quella inettissima nota nella pagina 282 dell'Appendice, colla quale (perché ne’ secoli passati, come ho accennato, i Baroni armati hanno fatto de' tristi scherzi a Principi disarmati) mi dichiara reo di Stato, per aver’io detto nella pagina 47, che i più ricchi, ed i più distinti per nascita dell'Ordine de' Baroni sono i Compagni, ed amici del Principe. Chi mai l’avrebbe creduto? E pur è cosi. Ma tutto è perdonabile ad un Uomo, il quale non sa quel che scrive, né intende quel che legge. Veggasi la nota alla pagina 96.

(24) Gli Annali di tutta Europa garentiseono le mie asserzioni.

(25) Se in Europa il primo Principe, che siasi armato fu Carlo VII Re di Francia; nel nostro Regno il primo Sovrano, che abbia messo in piedi un corpo di soldatesche stipendiate indipendentemente dal Baronaggio fu l’imperadore Carlo V.

(26) Sicché se nel sistema de' feudi vi sono ancora de’ difetti, questi bisogna emendare, e non già distruggere le Monarchie. Leggasi qui appresso il Foglio i delle Riflessioni Critiche: come pure in sine di questo primo tomo il mia Progetto di riforma da farsi nella ripartizione della potestà Giudiziaria nelle Provincie del nostro Regno.

(27) il peggiore di tutti governi dispotici è quello, dove i sudditi non hanno la proprietà de' beni: ivi i medesimi sono perfettissimamente schiavi. A tale stato si ridurrebbe l’Europa tutta, se si ponessero in pratica i progetti del Signor Cavaliere.

(28) il sistema della Legge Cosmologica di collisione? per ispiegare l’origine de' mali, e l’unico vero e buono sistema di quanti se ne sono sin’oggi inventati da’ filosofi. Non nego però, che il medesimo abbia bisogno di rischiaramento, per ridurlo ad evidenza cioè a quel grado di certezza, che non se ne possa più dubitare: come se ne dubita in fatti da meriti, per mancanza appunto di necessaria chiarezza nella sua esposizione. Se il Cielo mi ha destinato più giorni, penso in appresso dare alla luce alcuni miei Opuscoli Varj; tra quali per l’appunto vi sarà una Dissertazione in rischiaramento del sistema della Legge Cosmologica di collisione, per ispiegare l’origine de' mali. Vorrei però, fra questo mentre, che alcuni Metafisici ammettessero una verità, di cui non mi pare, che ne vivano pienamente persuasi; ed è, che nel campo della loro scienza non è possibile dare molti passi sicuri, e vedere con chiarezza, e distinzione senza la scorta, e la luce della Fisica.A suo tempo lo farò loro toccare con mani.

(29) Per l'esatto adempimento di questo precetto si dovrebbe ordinare non essere un dovere de’ possessori de’ fondi il palesare i censi, i pesi, le ipoteche, e qualunque altra obbligazione, che a’ medesimi fondi fosse annessa; ma che coloro, i quali tali dritti hanno sopra di quelli dovessero essere obbligati a questa rivela, tra lo spazio di tempo da stabilirsi dalla legge stessa; ad in caso di trascuranza dovrebbero esser privati di tutti loro dritti, e ragioni. in quanto poi alla manifestazione de' fedecommessi bisognerebbe distinguere il tempo avvenire dal passato. Per l'avvenire dovrebbero essere obbligati i Notai, che sarebbero la lettura de' testamenti, seguita la morte de' testatori, nel termine di otto giorni da che si sarebbe la dette lettura, ad andare a scrivere di loro proprio pugno con firma, e cifra nel margine del pubblico registro, l'istituzione del fedecommesso; e nel caso di trasgressione dovrebbero essere privati, durante la loro vite, dell'esercizio dell'impiego. E per ciò, che riguarderebbe il passato, le si ritrovassero tuttavia viventi i Notai. che fecero la lettura de' testamenti, dovrebbero essere i medesimi obbligati all’istessa legge, e soggetti all'istessa pena nel caso di disobbedienza 1 e se si ritrovassero morti (sieno le istituzioni de' fedecommessi di una data antica, sieno di una data recente) in questo solo caso dovrebbero essere obbligati i possessori de' fondi alla rivela de' medesimi; e trascurando di farla, dovrebbero essere dichiarati (senza ammettere per parte loro alcuna scusa, che mai potrebbero addurre, precisamente quella dell'ignoranza) rei di pubblica frode; ed in pena di tale loro debito dovrebbero essere privati, durante la loro vita, de' frutti di quei corpi, che per l’appunto si ritrovassero soggetti a’ fedecommessi, e ch’erano obbligati di rivelare: de' quali frutti (scematine prima i pesi, che forse vi potrebbero essere annessi) una metà si dovrebbe allo scopritore della frode, e l’altra metà al fisco.

(30) L’Inghilterra somministrerà alla Terra tutta la più valida pruova di tale mia proposizione, se da ora non pensa efficacemente a dismettere il suo eccessivo debito nazionale.

(31) Sempre che nella nostra Patria si parla della dismissione de' debiti pubblici, si veggono le palpitazioni, e si odono i lamenti di coloro, che tengono in pegno le rendite dello Stato: ed in vero alcuni de' medesimi, per le loro circostanze, destano la compassione in ogni petto umano. iddio, che tutto vede senza poter’essere ingannato sa, se il mio cuore è sensibile, o no a tali palpitazioni, e lamenti; ma il bene pubblico, e non uno spirito a’ iniquità, mi ha fatto avanzare questo progetto.

(32) Alcuni miei amici mi han fatto sentire, che giacché sono entrato nel progetto della dismissione de' debiti pubblici, avrebbero voluto, che io fossi entrato ancora nella disamina, se tali debiti si debbano togliere nelle somme, che furono contratti, o pure nella ragione, nella quale oggi sono. Ma io in questa discussione non ho voluto né prima né ora entrarci come estranea al mio assunto: contentandomi solo di aver fatto conoscere, che ognj buona politica vuole, che questi debiti si debbano dismettere, senza brigarmi di altro. Sarebbe desiderabile bensì che questa controversia si esaminasse accuratamente, non già ne' fori contenziosi, dove si serve unicamente alle cause; ma in qualche opera, che si dette alla luce su tal soggetto; nella quale ci si facesse sapere, senza usare alcun riguardo né per il Pubblico, né per i privati, dove pende la bilancia della Giustizia.

(33) Molti, i quali si han fatto un abito di negar tutto (perché cosi si lusingano di essere reputati uomini riflessivi) pongono in dubbio questo accrescimento di popolazione fatto nelle nostre Provincie. Ma, se non mi disconvenisse farlo in questo luogo, vorrei convincerli con una folla d’incontrastabili argomenti.

(34) Registri del Tribunale della Regia Camera della Sommaria.

(35) Calendario della Corte dell’anno 1782 sotto la voce Governi Regj. Coll'avvertenza però, che questi crescono, e decrescono di numero in ogn’anno, secondoché accadono delle devoluzioni al Fisco, o che dal fisco nuovamente si vendono in feudi.

(36) Questa quantità è il risultato di un calcolo prudenziale da me fatto: cioè come 124 (numero de' paesi, che nell'anno 1782. erano di Regio Governo), a 677903 (aumento della popolazione fatto nelle nostre Provincie dalla Pasqua dell’anno 1766 alla Pasqua del 1781); cosi 1922 (intero numero de' paesi del nostro Regno), al quarto proporzionale 7 ed ho avuto per quarto termine 10507495. Questo calcolo, per farsi esatto, si dovrebbe sapere quant’era la popolazione nella Pasqua dell'anno 1766 di quei 124 paesi Regi, che si sono mossi a calcolo. imperciocché allora si sarebbe, come la popolazione di tali paesi nella Pasqua dell’anno 1776 alla popolazione dell’intero Regno nell'istesso tempo; cosi 677903 al quarto proporzionale; ed in tal modo si conoscerebbe esattamente quanto avrebbe dovuto essere l’accrescimento della popolazione nell’intero Regno.

(37) All'aspetto di questa incontrastabile verità, che ha messo in veduta, tuttocchè la Capitale del nostro Regno sia una delle prime di Europa, in punto di popolazione, pure mi lusingo, che il Signor Cavaliere non voglia annoverare il nostro Regno tra il numero di quei paesi, che sono in istato di apoplessia, a cagione appunto che sa loro testa (com’egli dice nei capo XIV del 2. tomo) si è ingrandita a dismisura. Quando la testa cresce a proporzione del restante del corpo non vi è timore che possa cadere in un tal malore. Ma quando il restante del corpo cresce in una ragione assai maggiore della testa, che diremo allora? A lungo andare, in tal caso, bisogna temere che non cada il corpo in idropisia. Se conviene mai paragonare gli Stati al corpo umano (come par che si faccia nel capo citato) per ciò che riguarda la proporzione, che dee passare tra la testa, ed il restante del corpo stesso; prego in tal caso il Signor Cavaliere a consultare Giovanni Zanzi, il quale ha scritto appunto sulla simmetria del corpo umano; e l'assicuro, che cosi facendo gli cesseranno tutt’i suoi panici timori. Lo prego a leggere ancora L’Armonia Politico-Economica fra la Città, ed il suo Territorio del Signor Conte d Arco.

(38) Taluni, i quali si danno un’aria di stanchezza in giudicare del mento delle produzioni altrui han detto: il Cav. Filandieri ha parlato in generale delle cose, e Grippa l’ha attaccato in particolare. Questa reputazione, che mi si è data la trovo vera solo nell’esame da me fatto dell'asserzione del Signor Cav. intorno alla popolazione de' paesi feudali. E tutto che potrei difendermi, pure (acciocché non si creda, che io presuma d’essere impeccabile) rinunzio a tale difesa, e correggo il mio errore ne’ seguenti termini.

Il Signor Cavalier Filangieri nel II capo del tomo II dove parla dello Stato presente della popolazione dell'Europa, cosi s'introduce a parlare.

“Io non entro (egli dice) qui ad esaminare la questione celebre agitata da tanti scrittori, se l’Europa sia stata in altri tempi molto più popolata di quel che oggi lo è. Malgrado il soccorso, che presterebbe alle mie mire l’opinione di coloro, che si sono dichiarati in favore della maggior popolazione dell'antichità, nulla di meno, la buona sede, della quale io fo professione, non mi permette di tradire il mio sentimento riguardo a quest’oggetto. Per poco, che si faccia uso della buona critica leggendo i loro scritti, si vedrà facilmente, quanto sieno fallaci i dati su’ quali essi poggiano i loro calcoli, chimerici. Quelli del Vossio e del Wallac ristuccano ogni lettore di buon senso. Se questi due scrittori quando eruditi, altrettanto poco filosofi, e poco sinceri, avessero ottenuta una procura ad defendendum dall'antichità, non avrebbero potuto dimenticarsi cosi vergognosamente di tutte le regole della critica, né tanto abusare della storia come han fatto, molti solo dallo spirito di sistema, e da quella mania cosi come una a’ filologi, ed agli oratori, di far pompa de' loro talenti nell'intrapresa d’una cattiva causa.”

“Dopo i lumi, che il celebre Hume (Discorsi Politici Discorso X sul numero degli abitanti presso alcune Nazioni antiche) ha sparsi sopra questo soggetto, non è più da mettersi in dubbio, che malgrado la diminuzione, che ha ricevuta nel particolare la popolazione in alcune regioni dell’Europa, nulla di meno nel tutto essa è piuttosto cresciuta che diminuita.”

Or chi vi ha che non sappia (oltre dell'Autore dello Sbozzo del commenta di Amsterdam, e Appendice contenente una breve difesa della nostra Nazione contra le incolpe attribuitele da alcuni Scrittori esteri, il quale per una ignoranza senza pari, perché in alcune Monarchie di Europa sono stati risecati gli eccessi delle prerogative del Baronaggio, e sono stati tolti gli abusi, che vi erano, e perché in altre Monarchie tali prerogative sono più miti di quelle de' nostri Napoletani Baroni, si è dato vergognosamente a credere nella nota alla pagina 82 dell’Appendice, che il sistema feudale esiste solo nel Regno di Napoli, e di Sicilia, e che per tutto il resto di Europa sia estinto affatto: dimentico, ch'egli stesso nella pagina 123 del medesimo appendice ha rinfacciato al Conte di Borch la crudeltà dell'attuale dominio feudale di Polonia) chi vi ha che non sappia, dico, che il sistema feudale da dodeci secoli introdotto è comune a tutta l’Europa, eccetto che ad alcune poche, e picciole Repubbliche? Se dunque con dodici secoli di feudalità la popolazione dell'Europa è piuttosto cresciuta, che diminuita; come mai il Signor Cavaliere si potuto dimenticare si presto di una tale sua proposizione, che abbia detto nel capo immediatamente dopo, dove ciò asserisce, che ne’ paesi feudali dell'Europa la popolazione in vece di crescere, si vede sensibilmente diminuire. Or se questa non voglia aversi per una contraddizione manifesta poco però se ne discosta.

Ho corretto il mio errore. Se altro fatto io non avessi commesso nella mia opera, che questo solo sarei fortunato.


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Vita ed opere di Gaetano Filangieri [Life and works of Gaetano Filangieri]

Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito

1772 - NOTIZIE DE' LETTERATI - Della Morale de' Legislatori di Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1782 - Giuseppe Grippa - LETTERA al Cavaliere Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1784 - Giuseppe Grippa - Scienza della Legislazione sindacata HTML ODT PDF
1785 - Dissertazione politica di Giuseppe Costanzo in risposta a Grippa HTML ODT PDF
1787 - GIUSTINIANI - Memorie Istoriche degli Scrittori Legali del Regno di Napoli HTML ODT PDF
1798 - Le Spectateur du Nord: Don Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1804 - Scrittori classici italiani di economia politica - Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1813 - Biografia degli Uomini Illustri del Regno: Filangieri (Martuscelli) HTML ODT PDF
1817 - La Scienza della Legislazione del Cavaliere Gaetano Filangieri (GINGUENE’) HTML ODT PDF
1819 - BIANCHETTI - Memorie scientifiche e letterarie - FILANGIERI HTML ODT PDF
1822 - Oeuvres de FILANGIERI - ELOGE de FILANGIERI (Salfi) HTML ODT PDF
1826 - Sopra l'opera del Cavalier Gaetano Filangieri di Pietro Sghedoni HTML ODT PDF
1828 - Comento sulla Scienza della Legislazione scritto da Beniamino Constant HTML ODT PDF
1834 - Biografia degli Italiani Illustri nelle scienze, lettere ed arti HTML ODT PDF
1836 - LOMONACO - Vite degli eccellenti Italiani - FILANGIERI HTML ODT PDF
1840 - Notizie di alcuni cavalieri del sacro ordine gerosolimitano (Marchese di Villarosa) HTML ODT PDF
1844 - Vite e ritratti di illustri italiani (Filangieri di E. Carnevali) HTML ODT PDF
1852 - FILANGIERI - Delle leggi politiche ed economiche (FRANCESCO FERRARA) HTML ODT PDF
1857 - Della letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII: Filangieri HTML ODT PDF
1863 - Discorso genealogico della famiglia Filangieri (ERASMO RICCA) HTML ODT PDF
1864 - Intorno ai tempi ed agli studi di Gaetano Filangieri (PASQUALE VILLARI) HTML ODT PDF
1873 - Gaetano Filangieri o l’idea dello stato nella filosofia italiana del secolo XVIII HTML ODT PDF
1774 - GAETANO FILANGIERI - Riflessioni politiche su l'ultima legge del sovrano HTML ODT PDF
1820 - GAETANO FILANGIERI - 01 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF
1822 - GAETANO FILANGIERI - 02 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF
1872 - GAETANO FILANGIERI - 03 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF
1876 - GAETANO FILANGIERI - 04 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF














Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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