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Gaetano Filangieri e la ricerca della felicità di Zenone di Elea [Aprile 2022]

Vita ed opere di Gaetano Filangieri: Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito

DISSERTAZIONE POLITICA

IN RISPOSTA ALLA LETTERA DI D. GIUSEPPE GRIPPA

INDIRIZZATA AL CAVALIERE FILANGIERI

DI GIUSEPPE COSTANZO

IN CATANIA 1785



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NELLE STAMPE DI FRANCESCO PASTORE

CON APPROVAZIONE

Ad Rev. D. Joseph Exgeneral: Sancti

Cl. R. Rectorem noftri Episcopalis

Seminarii, & nostrum Examinat Synodalem.

CONRADUS M. EPISCOPUS CAT.

IN esecuzione dei comandi di V. S. Ill.ma e Revma, ho seriamente letto la Dissertazione del Dottore in ambe le leggi D. GIUSEPPE COSTANZO in risposta alla lettera di D. Giuseppe Grippa al Cavalier Filangieri; e niente vi ho trovato contro la Religione, il Principe, ed il buon costume; che anzi ho osservato contenere un fondo di piacevole erudizione: il perché, giudicandola profittevole a' leggitori, stimo potersi dare alle pubbliche stampe.

Giuseppe Santi C. R.

Esaminatore Sinodale.

Stante supradicta approbatione

IMPRIMATUR

CONRADUS M. EPISCOPUS CATAN. BOCCADIFUOCO PRO ILL. DE AVROLDI PRESIDE

AVVISO

L’impegno di rispondere alla lettera del Signor D. Giuseppe Grippa indirizzata al Cavalier Filangieri, mi obbliga ad intraprendere quegli sviluppi, che forse mi faranno credere invogliato di distruggere il luminoso corpo della Nobiltà. Ma io non ho dubbio di protestare a chiunque s'imbatterà in questa mia Dissertazione, che non ho giammai concepito progetto si strano, e pernicioso, che seco menerebbe la distruzione non che delle Monarchie, ma degli stati benanche aristocratici, e dei popolari governi. (1) Sostengo soltanto, che la dismissione delle primogeniture; ed il ripartimento de' feudali fondi, o de' loro frutti in tutta la famiglia, debba in ogni conte promuoversi in disimpegno degl’indispensabili voti della natura, e della più saggia, e profittevole politezza.

Non ho sofferto con indifferenza il sentimento del sopradetto Signor Grippa, che fa dipendere l’intero Splendore della Nobiltà dalle frabocchevoli sostanze, e dal popolo di più feudi. Sarebbe questo uno Jplena 1 tolu Splendore precario; contingente, a cui aspirar può non solo un animo nobile colle virtuose gesta ma il più sordido bifolco, e l’industrioso plebeo. Le magnanime imprese, e le occupazioni in vantaggio dello fato formano il vero decoro della classe de' Nobili (2) Sintantoché sederà sopra il trono un saggio Monarca, che sa ricompensare le generose virtù de' meritevoli soggetti, la classe de' Nobili sarà mai sempre florida, e luminosa.

Le ricompense poi delle fatiche, gli acquistati patrimonj, non solo per le voci della natura, ma per profittevole principio di politica devono fra tutti i figli ripartirsi, per non promuovere l’ozio de' primogeniti, che anneghittiti all’ombra degli agi non s'impegnano ai vantaggi dello stato (3).

Non sono i feudi, e le primogeniture, che distinguono il corpo della nobiltà dalla plebe, e lo rendono risplendente, ma le intraprese, come poc'anzi accennai, in vantaggio del Monarca. Una persona, che s'interessa negli affari del Sovrano, e che vanta una serie di immeritevoli, e virtuosi Antenati e incomparabilmente più nobile d'un dovizioso Barone, che altro non trova ne' suoi maggiori, che tanti acquistatori industriosi di ricchezze.

Un Quinzio Cincinnato, un Marco Curio poveri Cittadini di Roma, con le loro azioni illustrarono più ďogni altro la Republica, ed occuparono nella classe de' Patrizj un posto più decorato del dovizioso Verre. La multiplicità de' feudi, e delle ricchezze riconcentrate nel solo primogenito contribuiscono, vero, ad onta dell’oppio de' possessori, allo splendore fisico delle famiglie, ma intepidiscono i principi della nobiltà morale, ch'è quella soltanto, che distingue i meritevoli soggetti dalla plebe, ed attrae a le la venerazione del popolo Conchiudo intanto, che non pretendo la decadenza di un corpo cosi rispettabile, e necessario, ma vorrei più colto, che fosse combinato con i principi della natura, e della più vantaggiosa politica.

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Io non pretendo far ľelogio alla scienza della Legislazione del Cavalier Filangieri. L’uniforme consenso di tutti i letterati,. l'approvazione de' Sovrani che a seconda del piano in quest'opera delineato, incominciano a muovere le molle del governo politico, e la felicità finalmente de popoli, che di giorno in giorno sviluppasi, sono elogio bastante, e decoroso compenso alle fatiche d'un Vo. no, che profondendosi negli studi della politica, ha voluto sacrificarsi ai vantaggi della società. Né pure mi ha caduto in pensiero di tessere l’apo logia ad un' opera così compita che tra gli errori, che se le attribuisco no, lo farei un torto alla celebrità della stessa, se pretendessi sostenerla col debole appoggio del mio suffraggio. Ma vedendo indirizzata al Cavalier Filangieri una lettera, in cui vengono attaccati i punti più interessanti, che formano il più luminoso ornamento del suo Codice politico, per rendere un omaggio alla verità ho voluto trattenermi su l’esame di questi punti; lusingandomi, che mi si farà giustizia dalla Republica delle lettere, mentre con uno studio così innocente procuro cooperarmi ai comuni vantaggi.

Nel capo IV. del tomo II. per pro muovere la diminuita popolazione, pro pone il Cavalier Filangieri il disfacimento de' majorascati de’ fidecommessi, e delle sustituzioni, come quelle, che al conjugio destinando i soli primogeniti, obbligano ingiustamente i miseri cadetti ad un perpetuo celibato. Pro getto sì bello, fondato sulla naturale equità, e che scuoter dovrebbe l’animo di que' Sovrani, che s'impegnano mai sempre alla prosperità dello stato, in sì fatta guisa a varie costituzioni di governo contrario si crede, che non già un politico dogma, ma si considera più di leggieri un grossolano erro re da bizzarro ingegno, e da fantastico movimento prodotto. Esaminiamolo adunque, e sulle prime impegniamoci a conoscere l’ingiustizia assoluta de' majorascati, e de' fidecommessi riguardo alle leggi di natura, e la loro poco influenza nelle varie costituzioni di governo. E giacché l’Autore della lettera indirizzata al Cavalier Filangieri, considerando il di ritto di testare per una invenzione çi vile, e politica, non astringe i Testatori ad uniformarsi alle voci della natura, incominciamo dallo esaminare con accuratezza, fe la facoltà di testare, ed il diritto di succedere ab intestato dalla natura provenga.

Recedendo gli Uomini dalla società primiera, introdotte le proprietà, e i domin; incominciò ciascheduno tal mente ad investirsi d'un pieno diritto sulle porzioni assegnateli, che lo arbitro divenendo del proprio patrimonio ne può a suo talento disporre, pur che agli altri non tolga, o impedisca l’esercizio de' loro diritti sulle respet tive assegnate porzioni. (4) La natura nascente, che cresciuto il numero degli Uomini, dando più oltre un passo, li spinge alla divisione, e trasferisce in ciascheduno il diritto di alienare, lascia dalla volontà loro dipendere, il modo, la maniera, il tempo, e le condizioni, con cui voglio no, che negli altri passassero i loro proprj beni. (5) Ecco d'onde i feritori sopra le leggi della natura cavano l’origine del testamento. Non consistendo questo in altro, che nel trasferimento delle cose, la di cui accettazione si differisce sino dopo la morte del trasferente, (6) ed essendo ciò un modo semplicissimo, e naturale di trasferire, come tutti convengono, (7) sembra indubitabile, che dalle semplici leggi della natura il testamento discenda, ed abbattendoli indi nelle varie popolazioni, di nuove solennità, e varie forme si adora e si rinveste. (8) Il diritto poi di succedere ab intestato, è più incontrastabilmente vero, che dalla semplicità naturale la sua origine riconosca: Imperocché ripugnerebbe al senso comune, che dopo la morte d'un Padre, d'un, congiunto, i di lui beni con industriosi ed accuratezza conservati, ed accresciuti,છે anzicché appartenere a coloro, à cui con indispensabili uffizi, e stretti vincoli di carità il defunto era a stretto, e che devono dalla perdita rin francarli; ritornassero nella comune massa; e considerandosi disperse, ed abbandonate fossero all’occupazione soggette.

Quella natura, che c'inculca la felicità dei figliuoli, che ci sprona all'industria, per sostenere la nostra famiglia, se dopo la morte del Padre negherebbe ai figli il diritto di succedere, inciamperebbe sicuramente nella più mostruosa contradizione. (9)

Sembrami di aver bastantemente di mostrato, che alla natura appartenga la facoltà di testare, ed il diritto di succedere ab intestato. Passiamo ora à conoscere, se un Padre testando nel semplice stato naturale, penetrato solo tanto da naturali relazioni, debba egualmente istituire i suoi figli in ere di; vediamo, se tutti i figli hanno un pieno, ed uguale diritto sulla paterna eredità; e dietro questi sviluppi, conosceremo tosto l’ingiustizia assoluta di quelle leggi, che riguardano i majorascati, ed i fidecommessi.

Per comprendere le pure voci del la natura, per penetrare a fondo la viva naturale inclinazione, esaminiamo la successione intestata, dove di venendo la natura dispensatrice dell’eredità di uni Padre defunto, incapace di soccombere alle umane passioni, spiega il suo vero carattere, ed al disfacimento si attiene di que' doveri, che imprime mai sempre nel cuore dell’Uomo. Infallibile maestra, costante sempre, ed uniforme, per isvelare con più aperto linguaggio, qual sia la naturale ripartizione, che far l debba da un Padre, ecco come la devoluta eredità ai figliuoli distribuisce, e dispensa: avendo, ella dice, i figliuoli diritto eguale sulla eredità paterna, vengano tutti, e maschi, e femmine, e grandi, e piccoli a conseguire egualmente la loro porzione. Quanto si osserva in più luoghi, che il maschio alla femmina se preferisce, che il primogenito esclude i fratelli minori, come un parto delle convenzioni delle genti, delle leggi civili, e della politica, io non lo riconosco (10) E le leggi stesse civili, quantunque volte alterate non sono da particolari statuti, mancando la paterna disposizione, non possono sfuggire le pure voci della natura; il perché dividono egualmente la paterna eredità fra i figliuoli. (11) Qual diritto adunque può concepirsi in un Padre, quando sostenuto non sia dalle leggi politi che, d'inegualmente dividere fra figliuoli i suoi beni? Tutti sono naturalmente eguali, (12) scorre nelle loro vene lo stesso sangue paterno, han no fondatamente la stessa speranza sulle paterne sostanze, (13) quella relazione, che passa fra il primogenito, ed il Padre, passa in simigliante maniera fra il Padre, ed i secondogeniti, la natura esclama indistintamente: Amate i vostri figli. Qual diritto pero tanto avete voi, o Padri di famiglia, di sacrificare all’indigenza una truppa di figliuoli, di mutilare tanti poveri cadetti, ai quali la natura vi astringe coll’istessi uffizi, che dovete ad un vostro primogenito? Se il diritto d'esse re istituito, è un effetto della carità paterna, pensate, che siccome questa carità influisce egualmente su tutti i figli, così debbę lo stesso effetto in tutti produrre. Voi adunque, col tra scegliere un solo, tutti gli altri avvilite, e la intiera naturale economia confondere, & perturbate. Eh vergognatevi una volta di vostre ingiustizie! Le pure macchine, le irragionevoli creature, da istinto naturale regolate soltanto, dimostrano verso i figliuoli eguale premura; (14) e voi abusando della ragione, per vane idee di fatto, per politiche contemplazioni, per una condannabile vanità di perpetuare nel la discendenza la fama, fare a voi stessi violenza, e restringete ad un solo primogenito i paterni doveri, che sopra tutti i figli dovrebbonsi diffondere.

Repugna adunque alle naturali leggi l’ingiusta instituzione de' fidecommessi, repugna il majorascato, e le sustituzioni; ed il progetto di disfarle a i più sani diritti della natura si rende conforme.

Il Filosofo Sovrano (15) allor quando approva i majorascati, e i fidecommessi, suppone l’Uomo nello stato della società civile, e politica; nel puro stato naturale il padre non ha il diritto di sacrificare un solo secondogenito per sostenere più secoli il lustro di sua famiglia, e perciò il diritto delle primogeniture riguardo alla natura sarà sempre ingiusto, e violento.

Provata ad evidenza l’ingiustizia assoluta delle primogeniture, e de' fidecommessi, passiamo ad esaminare, se siano almeno utili, e possano sostenersi riguardo alla natura del governo. E giacché l’autore della lettera escludendo dalle democrazie le primogeniture, le desidera soltanto nei governi Aristocratici, e nelle Monarchie, restringiamoci perciò ad esaminare, fe utili queste siano, e necessarie in tali governi. Quindi, se noi sviluppando i principi della più sana politica, faremo conoscere, che nulla, o poco influiscono alla costituzione della più regolata Aristocrazia, ed al sostegno del monarchico impero, che anzi poco adatte, e più tosto perniciose si rendono, dovrà allora assolutamente abbracciarsi il progetto del Cavalier Filangieri, per ristorare maggiormente nella nostra Europa la decaduta popolazione.

Il principio stesso di virtù, che forma l’essenza delle Democrazie secondo il sentimento del celebrato Montesquieu è la base, ed il sostegno dell’Aristocratico impero (16).

Questo principio, che consiste nel la moderazione de' singoli, e nella modestia degli ottimati, (17) non potrà giammai costituire una perfetta Aristocrazia, supporta la legge delle primogeniture. Dapoiche altieri divenendo i primogeniti per il cumolo delle ricchezze, che va tutto a restringersi nelle loro mani, e gonfi per la loro smisurata grandezza, e potestà, riguarde ranno gli altri Cittadini, come tanti enti subordinati alle stravaganze del loro capriccio: (18) Sbandita l’uguaglianza, legge fondamentale d'ogni ci vile società, secondo i principi dell’antica legislazione de' Greci, (19) le ricchezze divise a pochi individui strascineranno il governo Aristocratico nel disordine, e confusione della Oligarchia per sì, e tal modo, che di tempo in tempo il tutto anderà a tracollo, e rovescio. (20) Giacché i principj della vera politica ci suggerisco no, che quanto più un'Aristocrazia s'avvicinerà alla Democrazia, conservando l’equilibrio frà i Cittadini, tanto più farà perfetta, e diverrà meno tranquilla a misura, che accosterassi alla Monarchia, ponendo nelle mani di pochi tutte le ricchezze dello stato. (21) La decadenza adunque della perfetta costituzione Aristocratica sará il primo risultato della legge primogeniale. Passiamo ora agli altri svantaggi, che non sono di meno considerazione.

In qualunque maniera considerar si voglia il sovrano potere nell’Aristocrazia, o nelle mani de' soli nobili primogeniti, esclusi gli altri, o nel corpo intero della nobiltà, assurde sempre mai faranno, e perniciose le leggi primogeniali. Nel primo caso un piccolo spazio dividerà l’Aristocrazia dalla tirannide. Imperciocché potenti divenendo i pochi proposti all’impero, non trovando nel corpo indigente, e spostato degli altri nobili, forze bastanti a resistere, facilmente, come dice Aristotile nei libri sulla Republica al cap. 8. proromperanno nelle violenze, e soperchierie. L'odio implacabile, la cui sorgente non estinguerassi giammai, terrà sempre in agitazione, ed inquietudine i principali ordini di questo stato. (22) Tanti infelici secondogeniti saranno costretti a chinar la fronte ai cenni di que' Sovrani, che colle loro dovizie rendono più insoffribile l’alterezza, e l’orgoglio, e per la inegualità sbandirono dal loro cuore qualunque moderazione, e ritegno; e quinci vedendo se stessi impotenti a resistere alle loto prepotenze, dovranno abbandonarsi alla disperazione più livida, e rabbiosa. (23) Nel secondo caso poi, la legge conterrebbe un assurdo manifesto mentre del sovra no potere partecipi farebbe quegli Uomini, che non possono prendere alcuno interesse per lo stato. Una ciurma d'indigenti, che non vagliono punto a sostenere le loro intraprese, sempre di mala voglia s'accoppierà ai più potenti; e ritenendo di sovranità il semplice nome, formerebbe un corpo corrotto sempre, e pericoloso. (24)

Il disfacimento de' fidecommessi, e delle sustituzioni, non istrascinerà seco certamente la decadenza della nobiltà sovrana. Questo corpo, siccome influisce colla virtù sulla felicità di tutto il popolo, così debbe a spese del pubblico sostenere lo splendore del suo sovrano governo; né dee fondare la sussistenza nel possesso delle strabocchevoli ricchezze private, ma nelle massime virtuose e nella moderatezza. (25)

In riguardo poi alla Monarchia, io non nego, che un corpo di nobiltà generosa debba in questo stato tramandare negli ordini inferiori lo splendore del trono. Tutte le preeminenze, le cariche, gli ordini cavallereschi, lo pensioni, gli onorevoli impieghi sono necessarj nello regno Monarchico, per mantenere sempre elastica la molla di quell’onore, che ne forma la base. (26) Ma che ne' soli primogeniti facciano lo scolo tutte le ricchezze private, questa sembrami una legge, che non solo niente influisce alla monarchia ma ne intepidisce ben anche il suo vero principio.

Ricchi strabocchevolmente i Primogeniti in forza delle sostituzioni, e dei fidecommessi, ed anneghittiti all’ombra degli agi, e comodi; (27) o non s'impegnano alle azioni generose colla toga, e col fago, o pure d'avanzar gli altri invogliati, coll’oro, e colla potenza cercano d'oscurare il merito di que' soggetti, che aspirano a vantaggi diffusi dal trono col solo appoggio della virtù. Nel primo caso le Primogeniture, che soffocano gli stimoli agli onori, ed alle preeminenze, fono alla monarchia svantaggiose. (28) Nel secondo poi un ridicolo, e stolto onore producono, e la virtù depressa, la quale abbenché non fosse il vero principio, non è dell’intutto esclusa dalla Monarchia, non formerà mai de' buoni Cittadini: lo struggimento all’incontro dei fidecommessi, stabilendo fra tutti uguale destino, più agili renderebbe le molle, che vigoroso tengono il monarchico impero. Gli onori, le preeminenze, gli ordini onorevoli, che dal Sovrano si dispensano a coloro, che hanno saputo procacciarseli, sbandito l’argine dell’eccessive ricchezze, e della sproporzionata potenza, impegnerebbero ciascheduno alle nobili, e generose imprese. Allora i principi del vero onore muoverebbero egualmente tutti: I secondogeniti anzicché sequestrarsi per indigenza ne' chiostri, sostenuti dall’eguale ripartizione, accrescerebbero con nuove famiglie la popolazione. E quindi il trono fiancheggiato da più Cittadini, che s'impegnerebbero sempre a delle virtuosissime gesta, formerebbe più cospicua, e luminosa la maestà del Monarca.

L’ordine della nobiltà, che non verrà certamente a rovesciarsi, anche dietro la dismissione de' majorascati e de’ fidecommessi, farà sempre un corpo intermedio atto ad indebolire gli urti fra il Sovrano, ed il popolo. Questo corpo illuminato dai raggi del trono, se a tal segno diverrebbe potente, che resister potesse alle procedure del Monarca, farebbe il più pericoloso strumento della oppressione del popolo, e sosterrebbe viva nello stato la sorgente dell’Anarchia. La classe de' Magistrati nelle cui mani risiede il potere esecutivo è bastante per equilibrare l’autorità dello stato, ed è l’unico freno contro gli abusi, che potrebbero introdursi. (29) Egli è poi un pregiudizio il più condannabile, credere interamente rovesciata, e distrutta la Nobiltà, tolta la legge delle Primogeniture. La nobiltà Romana risplendette più secoli; e pure ignoti furono in Roma i fidecommessi, e i majorascati, come rilevasi dalle leggi stesse Romane. (30) Le classi de' Nobili esistevano nelle Itali che regioni prima di Pipino, e Carlo Magno; (31) ) sebbene dopo le conquiste di questi Imperadori principiarono le primogeniture nell’Italia. (32) Finalmente, ancorché l’istituzione delle primogeniture, e dei majorascati in qualche maniera contribuisca alla conservazione delle famiglie, pur tuttavia del la vera nobiltà non forma l’essenza'; ed aboliti i fidecommessi, la classe de Nobili nel suo splendore sussiste. (33)

Non è meno alla natura conforme, e vantaggiosa l’uguale ripartizione de' feudi, e de' loro frutti, che per promuovere la popolazione propone il Cavalier Filangieri. La ricompensa d'un Padre, che in disimpegno del Monarca, occorse a più scabrosi perigli con la spada alla mano, il premio, che gli si retribuì per le continue occupazioni, e per le intraprese in vantaggio del Trono, non vi ha ragione, perché influir debbano soltanto nel primogenito colla esclusione di tanti innocenti cadetti. Eccone il perché: Non essendo i feudali fondi un beneficio ristretto nella persona di colui, che seppe procacciarselo, ma di venuti ereditari, e 'trasmissibili, per le ragioni addotte nella prova dell’ingiustizia assoluta de' fidecommessi, debbono fra tutti i figliuoli ugualmente ripartirsi. La barbara, ed inconsiderata legge dei Franchi, vera sorgente, secondo le istorie, della velenosa peste de fidecommessi nei beni privati, (34) è la legge più ingiusta, e parziale, che possa immaginarsi in qualunque governo. Dapoiché coll’assegnamento di scarse vitalizie quote, priva gl’innocenti secondogeniti dal diritto comune all’eredità del Padre. (35)

La totale decadenza poi, a cui ridotto si vuole il Baronaggio, dietro l’uguale ripartizione frà i figli, è sicuramente iperbolica, ed esagerata. So ben io, che più non potrà un primogenito profondere delle migliaja nelle delizie d'una villa, nei superbi arredi d'uno smisurato palagio, più non potrà scialacquare considerevoli somme in cene, in festini, in giuochi, in bagordi, ma trovo ben anche non restar per questo nell’oblio sepolto il di lui splendore, Il possesso d'un solo feudo, una porzione di quegli averi, che andavano interamente a cumularsi nelle sue mani, gli manterrebbero una 'mensa frugale, un moderato corteggio, e lo renderebbero più attivo alle intraprese, per promuovere l’accrescimento del patrimonio in vantaggio di sua prole.

Ma si conceda pure contro le voci della natura la disuguaglianza fra i figli; si sacrifichino i principi della equità naturale a' numi tutelari della pretesa politica; in sostegno della nobiltà ereditaria, s'attribuisca al capo del la famiglia dovizioso patrimonio per sostenere lo splendore nello stato; ma qual legge, qual politezza può con in differenza tollerare l’intera depressione d'una ciurma d’infelici secondogeniti ti per lo inalzamento d'un solo: Per ché scarse, e vitalizie porzioni devono essere, il retaggio di colui, che ha diritto uguale col primogenito sull’eredità del padre comune?(36)

Perché coll’assegnamento di tenuissimo, e scarso patrimonio devono inabilitarsi gl’innocenti cadetti ad indossare il peso di una famiglia. Sembra, che la legge civile, e la politica s'impegnino a gara in distruggere i diritti di tanti innocenti; dapoicche colla invenzione di nuove cautele, e con mille tortuosi raggiri spogliano i secondogeniti da quelle legittime, e naturali porzioni, che la sola politica per altro senza l’appoggio della legge civile non avrebbe avuto coraggio di strascinare nelle mani d'un avido primogenito. (37) Che si conceda pure al capo della famiglia un più ubertoso patrimonio, ma si ammettano intanto gli innocenti cadetti ad una moderata fortuna.

Grande farebbe il profitto, che dal la moderata ripartizione ritrarrebbe il Monarca. Divenuti tutti i figli proprietarj, e possessori dell’eredità del Padre comune, non essendo dall’eccessive ricchezze stimolati alla vita molle, e deliziosa, né avviliti dalla scarsezza, avranno mai sempre avanti gli occhi le generose azioni, le onorevoli imprese de? loro antenati; colle quali impegnandosi in vantaggio del Sovrano, giunsero al conseguimento di tante preeminenze, di tanti onori, e di tutti quei beni, che tramandarono a' loro posteri e descendenti. Animati da sì gloriosi esempli, e spinti da occulta forza a rendersi agli altri superiori, s'invoglieranno a render felici coll’accrescimento del patrimonio i propri figli; più non isfuggiranno i perigli del campo con delle prestazioni, ma impugnando il loro braccio in servizio del Sovrano faranno risplendere quella virtù, che nel sangue gli tramandarono i loro antenati. Ciò non è tutto: invece di darsi in braccio all’ozio, alla mollezza, per risentire i vantaggi del trono, collo studio della politica, e del diritto publico, con l'assistenza, e col consiglio procureranno segnalarsi sotto gli occhi del Monarca; le preeminenze, gli onori, le ricchezze, che sbandita la prepotenza, non possono altrimenti conseguirsi, che calcando il sentiero della virtù, appianarebbero la vera strada alla gloria; e finalmente la gara di tanti bravi Cittadini, che cospirarebbero tutti colle foro forze allo splendore del trono renderebbe la Monarchia più perfetta, e più rispettabile. (38)

La inalienabilità inoltre de' fondi feudali, non arreca alla popolazione minori svantaggi dell’ingiusta istituzione de' majorascati, e de' fidecommessi. Imperciocché la debole coltura di que fondi, che ne vendere, ne a censo conceder si possono, intiepidisce le pu re fonti del commercio; il commercio intepidito allontana dallo stato le ricchezze; (39) e la miseria, che serpeggia, strascina in decadenza la popolazione, perché tanti poveri Cittadini, che, appena da se soli possono sostenersi, restano scoraggiati d'indossare il peso d'una intera famiglia col matrimonio. (40)

Egli è un errore il credere puro effetto d'oscitanza, e dappocaggine la sterilità delle campagne, tolta la facoltà d'alienare. Un possessore diventi, trenta, e più feudi inalienabili, o non potendo nella loro cultura impiegarsi le concede a pigione, o pure d'accurato padre di famiglia diportandoli, ne imprende l’amministrazione economica. Nel primo caso, l’avido colono non profonde il suo denaro per rendere acconcie le terre da intralciati vepri, e duri bronchi imboschite; diseccar non cura le limacciose paludi, ma furiosamente scagliandosi su i terreni ubertosi, li sforza, e mugne per ricavare in pochi anni i più gran di vantaggi; guarda con occhio indifferente gli isteriliti campi; non pensa punto all’incolte boscaglie; e fratanto la cultura o sforzata, o negletta fa risentire i svantaggi dell’indigenza. Necessità poi quasi irreparabile avvilisce la coltivazione delle terre, allor quando un possessore di sterminati inalienabili fondi, imprende da per se stesse la loro economica amministrazione. Il frutto di questi fondi, che viene in parte diminuito dalle spese necessarie per la coltura delle terre atte a produrre, svanirebbe dell’intutto, quante volte impiegar si volesse alla sterminazione delle boscaglie, e degli spineti. La fastosa sussistenza d'una famiglia è incompatibile con le spese, che debbano farsi per promuovere l’agricoltura. Se domandate ad un Barone, perché lascia tante terre incolte', non vi risponde, che l’inalienabilità lo impedisce, ma dirà sicuramente, che il prodotto de' fondi appena basta alla sussistenza di sua famiglia; e poi quando anche attender volesse ad ogni costo al miglioramento delle campagne, l’assenza personale lo scoraggiarebbe ad intraprendere un'impresa, che interamente dipende dalla volontà de' suoi fattori Il solo mezzo d'allontanare svantaggi sì dannevoli, ritrovar si può nella facoltà d'alienare. Quel tratto di sterile terra, quella incolta boscaglia venduta, o concessa ad un cittadino, ad un industrioso Padre di famiglia colla legge della meliorazione, diverrebbe in poco tempo, il più ubertoso vigneto, la più deliziosa campagna; i pregevoli diritti della proprietà impiegherebm bero con ogni ardore alla cultura, le braccia del contadino, e della sua famiglia; l’industria sviluppandosi da per tutto, e l’agricoltura incoraggiata farebbero rifiorire il decaduto commercio. In questa guisa le ricchezze cominciano a rientrare nello stato, e la indigenza sbandita alletta i Cittadini al conjugio, e rinforza la popolazione. (41) Tre sono i vantaggi, che produce la facoltà d'alienare i fondi feudali. Vantaggio del pubblico,, che fà risentirsi colla popolazione, coll’industria, colla perfetta agricoltura. Vantaggio degli stessi Baroni, i quali ricaverebbero frutto da quelle terre, che nella sterilità sepolte inutilmente posseggono. Vantaggio finalmente de' privati Cittadini, che coll’acquisto de' di ritti di proprietà, rendono più sicura la sussistenza Il mezzo più efficace, che hanno adoperato i politici per ristorare la des caduta popolazione è stato mai sempre sa ripartizione delle terre. (42) Questo mezzo, quante volte la legge ingiungne l’inalienabilità de principali fondi del lo stato, si rende inutile, ed inefficace.

Che la sterilità poi della maggior parte de' campi sia l’effetto del poco numero de proprietarj, ce lo rende indubitabile la esperienza. Non solo i Baroni, che strabocchevoli, e nume rosi fondi posseggono, incolta lasciano la parte maggiore delle campagne, ma quelli ancora, che d'un solo feudo, ďun sol fondo sono investiti, non posso no dello stesso intraprendere interamente la coltivazione.

Teme l’Autore della lettera l’intesa decadenza del Baronaggio, per la divisione fra tutti i figli dei beni feudali, e per la concessa facoltà d'alienare. Io non lo nego, che a questi stabilimenti succeder debba lo struggimento del feudale sistema; Sostengo però, che non per questo non debbano ascoltarsi le saggie, e politiche voci del Cavalier Filangieri. Questo corpo, che credesi il sostegno, e la base della Monarchia esaminiamolo di grazia nella sua origine suoi progressi, e ritroveremo senza meno, che riesce allo stato di perniciosa influenza.

Non trovasi ne' Codici della politica l’istituzione de' corpi feudali per rendere più vigorose, e sussistenti le Monarchie, Una barbara incursione ne fu la sorgente. (43) I principali capi, di quei quei popoli del settentrione, che inondarono l'Europa, temendo dietro le conquiste le terribili invasioni di nuovi avventurieri, incominciarono a far si de' fedeli compagni colla ripartizione de’ campi. (44) Ecco l’origine del feudale sistema, che produsse la più mostruosa confusione nell’interno dello stato, ed illanguidì, e trasse in decadenza le forze esteriori; S'indebolirono i vincoli dell’unione sociale, e si sparsero da per tutto i principi della più viva anarchia; l’esteriori imprese riuscivano languidissime; dapoiché l’impero smembrato nelle usurpate giurisdizioni, non potette più riunire sotto il comando d'un solo le sue forze. (45) Furono più funesti i progressi, e le conseguenze di questa corrotta politica; alla potenza de Baroni, che di giorno in giorno cresceva succedette l’usurpazione; i feudi, che da principio erano amovibili, divennero ereditarj; incominciò ne' vassallaggi l’esercizio della giurisdizione, ed il potere legislativo; (46) i Duchi, i Marchesi, i Conti alla prima ufiziali del Re, proposti soltanto all’amministrazione della giustizia, divennero in breve i padroni de' loro ducati, de' loro Marchesati, e delle loro Contee. (47) Or qual vantaggiosa influenza aver pose sono nelle odierne Monarchie con istabili, e fisse leggi governate, ed a cui è sottoposto lo stesso Monarca, questi corpi potenti, necessarj soltanto in quel le barbare circostanze dell’occupata Europa? Per sostenere l’equilibrio fra il Sovrano, ed il popolo, non vi è bisogno di smembrare la giurisdizione del regno, di tollerare i lampi dell’antica feudale Anarchia. Il corpo de' Magistrati depositari del potere esecutive è argine valevole allor quando incominciano ad introdursi nello stato perniciosi abusi, ed innovazioni.

Il dispotismo Asiatico non derive sicuramente dalla mancanza del corpi baronali, ma la debolezza, connatura le alla nazione per l’influenza del clima, non potendo resistere alle forze dei freddi contigui popoli, sepellisce gli Asiatici nella più deplorabile servitù, e li tiranneggia col dispotismo. (48) Non verrà poi ad indebolirsi la potenza reale disfatto il baronaggio; le stazioni de' feudatari, che erogavano in sostegno delle truppe del Sovrano, possono supplirsi coll’imposizione d'un tributo sopra quelle terre, che traggono l’origine dal Regio Demanio, e che si ritrovano nelle mani di più possessori. I Popoli de' Vassallaggi, che si armavano ai cenni del privato Barone, non possono sfuggire i comandi del Sovrano, nelle cui mani stà la vera sorgente del potere; ed i Nobili stessi ancorché sciolti dal giuramento per la dismissione feudale, trovando nelle magnanime imprese il solo mezzo di ascendere alle preeminenze; agli onori, alle cariche, non lasciarebbero d'impiegare il loro braccio in disimpegno del Trono. Ma terminiamola una volta, e ponghiamo fine all’esame politico di questo primo punto. Noi bilanciando i comodi ed i svantaggi delle primogeniture, de' fidecommessi, e delle costituzioni feudali, conosceremo ad evidenza, che i supposti vantaggi di queste istituzioni, quando anche reali fossero, e di profittevole influenza, potrebbonsi supplire con altri politici espedienti; Ma gl’incomodi all’incontro, che producono, sono allo stato perniciosi, ed irreparabili.

Esaminiamo sulle prime i vantaggiosi risultati di queste leggi, riguardo ai semplici principi dell’equità naturale. Uno io ne scorgo, che non isfugge dal penetrante occhio dell’Autore della lettera, il sostegno cioè dell’intera descendenza. Un Padre di famiglia, che costituisce un fidecommesso in vantaggio del Primogenito, prepara agli ulteriori discendenti quel le quote, che forse non troverebbero, divisi i beni fra i figli. I svantaggi però, che producono, molti sono, ed insoffribili: l’impedimento della propagazione, mentre tanti secondogeniti fono obligati a seppellire nel corpo la loro posterità; il sacrifizio di tante donzelle; la corruzione della gioventù, che si dá in braccio alle più schifose lascivie, non potendo gustare gl’innocenti piaceri del sacro talamo, e finalmente la infelicità de' figliuoli di primo grado.

La indigenza degli ulteriori descendenti è incerta, supposta anche l’uguale ripartizione; la industria de’ respettivi genitori, le loro generose azioni, la naturale attività, sono tutti mezzi efficaci per aumentare il patrimonio in vantaggio della prole, e per allontana: re gli incomodi dell’uguale ripartimento. Ma che diremo poi della natura impedita a legittimamente rinovellarsi: Come si compenserà la rovina di tante donzelle, e di tanti giovani? E come finalmente potrà ripararsi alla infelicità di quei figliuoli di primo rango, che dopo la morte del Padre commune, furono spogliati di que' comodi, e piaceri, che tranquillamente godevano?

Il passaggio, che fassi dallo stato di abbiezione allo stato vantaggioso, produce nell’Uomo, secondo i principi della filosofia, la più viva sensazione di, piacere. Ma la decadenza all’incontro, dal comodo stato primiero in un altro di miseria, e d'avvilimento, risveglia nel cuore le più sensibili idee dell’infelicità. (49) Dietro questi principi, qual sarà mai la sventura di que' miseri cadetti, che dai vantaggi della casa paterna, caddero nella più deplorabile abbiezione, e nella dura forte d'esser tiranneggiati dai loro primogeniti? Perdettero colla perdita del Padre tutte de speranze d'ascendere a quei vantaggi, che l’Autore stesso della lettera, crede bastante compenso alle disgrazie degl’innocenti secondogeniti. Il Primogenito stimolato dalla zare i propri figli, non profonde le ricchezze per promuovere la fortuna de decaduti fratelli. Mirate adunque, o fondatori dei fidecommessi, dove precipitare il vostro sangue per provvedere all’incerta indigenza degli ulteriori descendenti! Voi pensando immolare al sacro. Nume dell’equità, obbligate la natura a prorompere ne' più vivi risentimenti.

Li buoni effetti delle Primogeniture, de' fidecommessi, e de' feudi in riguardo alla politica, possono ridursi a tre. Allo splendore delle famiglie nelle Monarchie; all’equilibrio del potere ne’ governi; e all’assistenza, che aver può il Sovrano nelle intraprese.

I svantaggi però, che producono, sono sicuramente innumerabili: la diminuizione de popoli, la decadenza dell’agricoltura, e del commercio, la de pressione della virtù, l’ozio, il livore, l’anarchia, la prepotenza, e mille altre funestissime conseguenze. Lo splendore delle famiglie nella Monarchia, anziché con il cumolo delle private ricchezze nelle mani d'un solo, può sostenersi ben di sovente colle pensioni, cugli averi impartiti dal trono dietro le nobili imprese, e le generose gesta in vantaggio del Monarca. L’equilibrio del potere viene più costo sostenuto dall’uguale ripartizione nelle Aristocrazie; dapoiché i nubili colle mediocri ricchezze sono più inclinati alla modestia, ed alla moderatezza. (50) Nelle Monarchie, quante volte il Sovrano abusar volesse di quelle leggi, che fono il fondamento del suo reame, troverebbe un freno bastante nel corpo intermedio de' magistrati; la potenza della nobiltà in questo caso anziché sostenere lo stato, lo distruggerebbe con più violenza; (51) e l'assistenza finale mente nelle intraprese, potrebbe il Monarca procacciarsela, anche disfatto il Baronaggio, retribuendo a ciascheduno, che impegna il valoroso suo braccio, le proporzionate ricompense. (52) Ma come si risarciranno le provincie spopolate? L’agricoltura avvilita, il commercio intepedito, la virtù depressa, l’ozio, il livore, la prepotenza? Oh le gravi funestissime conseguenze irreparabili delle primogeniture, e de' fidecommessi conducenti tutte lo stato a rovina, e tracollo! Non fu adunque fantastico movimento, non trasporto d'accesa immaginazione che indusse il Cavalier Filangieri, a progettare la dismissione de’ fidecommessi, e de’ feudi, per ristorare una volta, principalmente nella nostra Eųropa, la decaduta popolazione. La sola Sicilia, piccolo punto riguardo all’intera Europa, in que' remoti tempi, in cui sotto l’oppressione de' tiranni ignote erano le primogeniture, e le leggi feudali, in sì fatta guisa nella popolazione abbondava, che le sole Città di Siracusa metter potevano in piede un esercito di cinquantacinque mila Uomini; (53) numero, che appena potrebbe sostenere al presente tutto l’intero Regno. Che gli si retribuisca pertanto ad un sà degno Cavaliere la dovuta giustizia, mentre con sé vantaggiosi progetti, s'impegna all’ingrandimento della società, e colle continuate applicazioni non lascia di sacrificarsi in vantaggio del Trono. Passiamo ora all’esame dell’altro progetto del Cavalier Filangieri, che non solo inutile si crede, e pernicioso, ma contrario altresì, ed opposto agli altri suggerimenti dello stesso.

Nel Capo XXIII, del tomo 2 parlando il Cavalier Filangieri degli straordinari bisogni dello stato, e della maniera di provvedervi, per non astringere il Governo a contrarre de' debiti, affin di non irritare i popoli con le continuate prestanze coattive, e per non intepidire il commercio coll’ammasso d'un ozioso tesoro, propone il più adeguato progetto:

Quella somma, Egli dice, che l’economia della amministrazione potrà in ogn'anno risparmiare, invece di seppellirle in un tesoro, che si dia in mano di que’ Cittadini, che la ricercano, e che possono ipotecarla sopra un fondo stabile, che rimarrà inalienabile, finché la somma non sarà restituita al creditore, che questo prestito si faccia col patto di restituire la Somma al Fisco in qualunque tempo, ed in qualunque circostanza sarà per ripeterla, e finalmente, che niuno interesse si esigga per la somma data in prestito.

Questa fruttuosa politica proposizione, che combina il sistema degli antichi governi col vantaggio della circolazione, e del commercio, ecco come dee concepirsi. Tutto quel denaro, che soprabbonda, dedotte le spese nicessarie allo stato, e dietro l’espignorazione de fondi Demaniali; che forse obligati erano per le urgenze del Monarca, questo denaro, toltane una parte per le inaspettate circostanze, e per gli avvenimenti intempestivi, invece di sepellirli in un tesoro, profitterà impiegandosi al commercio, ed alla circolazione. Il Signor Filangieri, che propone generali progetti di politica, non è astretto, a suggerire tutte le limitazioni, che dipendono dalla prudenza, e dalle private ragioni de' Governi. Egli condanna; è vero, gli oziosi tesori, ma non coll’idea, che interamente si privino gli stati del pubblico erario, mo to più, se fono alle inaspettate invasioni sottoposte, attesa la situazione del paese; ma tutte quelle somme, che si cumulano per sostenere o una lunga impresa, o un assedio di più anni, per non restare nell’ozio sepolte, come praticavano gli antichi Imperadori, (54) che si impieghino col porsi in mano di benemeriti Cittadini per li vantaggi del commercio.

Questo progetto, che ingiugne l’inalienabilitá di que' fondi, che assicurano le somme dello stato, non é punto contrario, a tutto ciò, che propone il Cavalier Filangieri circa la facoltà d'alienare: i fondi feudali. Qui tratta si d'una inalienabilità temporale, che non priva interamente la società della circolazione de contratti, ma che più lentamente le ne fa risentire i vantaggi. Or questa tepidezza scomparisce; qualora considerar si vogliono, le conseguenze dell’invigorito commercio: Le ricchezze, che entrano nello stato, dietro il traffico di tante somme, promuovono il lusso, e le arti, ed assicurano a' Cittadini: la sussistenza. L'incomodo dell’indebolita circolazione de' fondi al fisco obbligati, viene assorto da' vantaggi maggiori, e più lucrosi, e perciò la società, ed il Fisco, che trovano altrove più copiose sorgenti di ricchezze, non si risentono alla perdita di meno profittevole entrata. La inalienabilità feudale non trova nelle sue conseguenze più vantaggioso compenso, ma in qualunque aspetto considerar si voglia, si rende allo stato dannevole, e perniciosa.

Non inciampa adunque il Cavalier Filangieri in proposizione opposta, e contradittoria, ma considerando i resultati dell’uno, e dell’altro progetto, della feudale inalienabilità ne propone il disfacimento, e l’altra all’incontro con ogni ardore la suggerisce.

Il solo dubbio di questo progetto, si ravvolge in riguardo alla difficoltà di riscuotere tante somme impiegate al traffico nelle intempestive, ed inaspettate circostanze. Ma svanisce quante volte si riflette su di esso con quella conveniente prudenza, che accennai. E quando anche poi il riserbato denaro alle indigenze dello stato non bastasse, senza rovinare i debitori del Fisco, potrebbe il Monarca ricorrere per ultimo asilo a quegli espedienti, che trovandosi esausto l’erario suggerisce la necessità; (55) obbligando i debitori morosi al sofferto interesse: In questo caso, le prestanze coattive sarebbero tollerabili, perché troppo rare, e li debitori, perdendo soltanto il frutto, che dalla circolazione ritrassero, resterebbero ne' propri beni poco danneggiati. Apportando adunque la dismissione de' fidecommessi, delle sustituzioni, e de 'corpi feudali i più interessanti vantaggi allo stato non essendo lo Impiego delle pubbliche somme al commercio per la società pernicioso; non potrà negarsi, che ingiustamente furono attaccati i più luminosi politici progetti, che il Cavalier Filangieri con saggio zelo propone, affine di promuovere la popolazione, il commercio, e l’agricoltura.

A me poi perdoni la Republica delle lettere, se immaturamente a scrivere mi accingo sulla Scienza più intricáta, e difficultosa: Io lo confesso: invaghito dalla semplicità, e ragionevolezza dell’opera d'un Cavaliere cospicuo, non solo pel puro sangue, che nelle vene gli scorre, ma ancora per i fregi delle personali virtù, che l’adornano, non potei resistere ad una lettera, che d'inconsideratezza lo attacca, e di bizzarria.

IL FINE

(1) Il Caval. Filang. Scienz, della Legislaz. t. 3. p. 1. cap. 18.

(2) Grav, de orig. Jur. Civ. lib. 3. 1 t. 2. §. 13.

(3) Plat. lib. 34. de legib.

(4) Pufendorf. de jur, nat, & gent. lib. cap. 4. 8. 5. & feq. Vattel. in animadversad §. 117. inftit. jur. nat.. & gent. Wolf. p. 11. cap. II. Cumberl. disquisit. philoph. de leg. nat. cap. 7. 9. 3. & leg.

(5) Wolf. inftit. jur. nat., & gent. p. 2: cap. 5. §. 314.

(6) Grat. de jur. bel., & pac. 6.. ult. · Wolf. insit. jur. nat., & gent. p. 3. sect. 1. cap. 5. 6. 927.

(7) Vitriar. inftit. jur. nat., & gent lib. 6.. 19. Wolf. ibid. Hein. elem.

jur. nat. lib. 1. cap. 11. 291. & 292.

(8) Vattel. ad. G. 999. inftit. jur. nat. & gent. Wolf. p. 7. cap. 5. Esame analit. del. Sistema legale lib. 3. art. 3. 9. 18. & 19. Vitriar. loc. cit. Vinn. ad princ, instit. de testam. ord. n. 34 cap. 11. Vattel. ad L. 1030. instit. jur. Nat. gent. Wolf. p. 7. cap. 5.

(9) Pusendof. de jur. nat., & gent. lib.

(10) Heinc. elem. jur. nat. lib. I. cap. II. §. 297. Pufend. ubi supra §. 8.

(11) Novel. Just. 118.

(12) Heinc. ibid.

(13) Esame anal, del sistema legale lib. 3. artic. §.. 15.

(14) Bonnet contemplaz, della nat, p. 11. cap. 8. ed ivi nella nota dell’Abb. Spallanzani,

(15) Il Re di Prussia nella dissert. Sopra le ragioni distabilire, o d'abrogare le leggio.

(16) Montesq. Esprit. des loix lib. 3. capelli.

(17) Lo stesso Montesq. nel lib. 5. al cap. 8.

(18) Hub. de jur. civitat. lib. 1. cap. 16.. § 4.

(19) Millot. stor. ant. tom. 2. Ep. 1. cap. 3. §. 2. n. 9. e tom. 4. tratt. delle leggi cap. ult. pag. 105. Toscano jur. publ. Rom. arcana lib. 1. cap. 2. §. 4. 5.

(20) Arist. lib. 5. de Repub, cap. 3. Grav. de orig. Jur. civ. lib. 3. t. 2. 9. 15.

(21) Montesq. Espirit des loix lib. 2. cap. 3. Filang. scien. della legislaz. tom. 10.

(22) Bodin. de Repub. lib. 5. cap. 2. Montesq. Esprit des loix lib. 5. cap. 8.

(23) Arist. lib. 5. de Repub, cap. 2. Bodin, nel loc. cit.

(24) Millot. stor. ant. com. 4. tratt. delle leggi cap. ult., e tom. I. del supplem. alla stor, Sez. 3. n. 66.

(25) Genoves. nella nota 1. al cap. 8. del lib. 5 dell’opera dello spirito delle leg. del Sig. Montesq.

(26) Montesq. Esprit des loix lib. 3. c. 6.

(27) Plat. lib. 34. de legib.

(28) Montesq. nel loc. cit. cap. 7

(29) Io mi astengo di diffondermi su queste idee, da poiché sono bastantemente sviluppate dal Sig. Cav. Filang, nel 18. del tom. 3. della sua legislazione.

(30) §. 1. istit. Justin. de fidecommissar. hereditat.

(31) Mugnos nel teatro genealog. delle famiglie nobili, e nella storia della famiglia Colonna.

(32) Card. de Luc. defiedecom. disc. 202., n. 10, ad 12.

(33) Grav. de orig. Jur. civ. tom. 2. lib.

(34) Card. De Luc. loc. cit. Torre de majorat. Italie cap. I. §. 8.

(35) Abbat. Genov. lez. di commerc. p. 1. cap. 5. nella nota 2. al §. 21. Lum. in cap. si aliquem. Tiraq. in tract. Primog, in principio.

(36) Esam. analit. del sist. legale lib. 3. art. 3

(37) Parlo dell’odiosa cautela detta da Angelo, e di Succino, che toglia dalle mani de' miseri cadetti la proprietà del; le stelle legitimarie porzioni.

(38) Montesq. Esprit des loix lib. 3. cap. 7

(39) Abb. Genov. lez. di commerc. Part. I cap. 8. e 16.

(40) Lo stesso Genov. al cap: 5. §, 11

(41) Millot. fupplem. alla for. tom. 3 6. 5 Genov, nel loc. cit. cap. 19.

(42) Montesq. Esprit des loix lib. 23. cap. 28

(43) Robertson nell’introduz. alla stor, del Regno dell’Imperad. Carlo V.

(44) David Hume Dissert. sopra il governo feudale. Robertson nel loc. cit.

(45) Robert. ivi

(46) Brussel Traité des Fiess lib. 3. 6. 11. 12. & 13. David Hume nel loc. cit.

(47) Sigon. de Regno Ital. lib. 4. Millos. supplem. alla stor. tom. I. e 3

(48) Montes. Espris des loix lib. 17. c. 3

(49) Baumest. inst: Mereph. de facultate cognosce. ejusq. par. super. cap. 4. per. tot.

(50) Plat. lib. 34. de legib. Arist. de Rep. lib. 5. cap. 7. Montesq. Esprit des loix lib.

(51) Lo dimostra ad evidenza il Cavalier Filang. nel cap. 18. del corn. 3.

(52) Millot stor. moder. continuaz. dell’epo. 4. cap. 6. tom. 2. Genov. lez. di comm. par, 1. cap. 15.

(53) Rollin stor. ant. t. I. lib. 2. cap. 2. cap. I.

(54) Liv. lib. 45. cap: 40, Diod. Sic. lib.; Plat. in Alcibiad.

(55) Cioè, può ricorrere alle prestanze coattive.



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1804 - Scrittori classici italiani di economia politica - Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
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Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

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