Eleaml - Nuovi Eleatici



LA CIVILTÀ CATTOLICA

ANNO UNDECIMO

VOL. VI.

DELLA SERIE QUARTA

ROMA

COI TIPI DELLA CIVILTÀ CATTOLICA

1860

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Luglio 2016

LE ANNESSIONI ED IL SUFFRAGIO UNIVERSALE

Chiunque ha qualche pratica nella storia antica e moderna non può ignorare, come usurpazioni e spogliamenti vi si scontrano abba stanza frequenti in tutti i tempi negli ordini politici, come i registri criminali serbano memoria di spogliamenti e di usurpazioni più an cora frequenti negli ordini privati e domestici. Anzi, appena schiuso questo nostro secolo, se ne ebbero a vedere tanti e così precipitosi e così svariati, che per avventura nessuno dei trapassali ne avea visti in sì gran numero ed in così breve volgere di tempo.

Tuttavolta che volete? abbiamo un bel confortarci colle memorie del passato, dicendo a noi stessi che, al trar dei conti, ciò che è appena si divaria da ciò che fu! Niente affatto! La grande usurpazione consummata in questi giorni, benché non nuova nel suo genere, benché prevista, benché aspettata anche dai meno accorti, sta avendo l'effetto che hanno sempre le immani ingiustizie, destando un tremito d’indegnazione dall'un capo ali1 altro dell'Europa, quasi fosse riuscila nuovissima ed inopinata; e tutti, come smarriti, chieggono a sé medesimi che vorrà essere di una società, nella quale così solenni spoliazioni possonsi impunemente perpetrare con (anta impudenza da una parte, e con tanta connivente noncuranza dall'altra?

Né crediamo che i padri nostri ed i più attempati tra noi pensassero e dicessero diversamente, quando, colla sola prepotenza delle armi, vedeano molti Principi sbalzati dagli aviti loro troni, e province ed interi Stati aggiunti o tolti a cui più talentava, colla norma del solo interesse di chi prepoteva. E pure il mondo è restato in piedi, ed ha avuto agio di respirare per mezzo secolo, prima di rivedere qual che cosa di somigliante.

Ma se l'atto compiutosi il 18 di questo Marzo nella reggia di Torino non ha nulla di nuovo in sé medesimo né nella riprovazione incontrata dalla parte di ogni animo onesto e cattolico; ò certo ben nuova al tutto la maniera, onde quell'atto è stato compiuto, sia quanto ai principii che si sono invocati, sia quanto ai falli, onde si è preteso onestare in faccia all'Europa lo spogliamento del debole a profitto del forte. Ed appunto quella nuova maniera, secondo che pare a noi, può fornire al filosofo cristiano la materia a molto gravi e profittevoli considerazioni; le quali, nell'universale sgomento per la ingiustizia trionfante, possono essere di non piccolo conforto nel presente ed ispirare altresì più fondata fiducia di un migliore avvenire. Il regno di Cristo non è regno di forza, ma di verità; e quando la prevalenza di quella fosse accompagnala da una più splendida manifestazione di questa, noi, lungi dal rammaricarcene come di una iattura, quasi ce ne vorremmo rallegrare come di un acquisto.

Ora se la Sovranità temporale dei romani Pontefici, nell'assoluta e piena sua integrità, fu in alcun tempo chiarita essere un bisogno, un voto, una volontà risoluta di tutto l'Orbe cattolico, ciò è avvenuto appunto in questo, nel quale una fazione sacrilega ha materialmente stremata di un terzo quella Sovranità e si apparecchia a fare man bassa sul resto; se ci fu mai tempo, in cui il diritto dei legittimi Principi spossessali apparve più fulgido, esso è appunto questo, in cui una mano rapace si stende a ghermirne la corona; se vi fu mai circostanza, in cui il preteso suffragio universale si è mostrato essere una sceda, una derisione, uno scherno, essa è al certo questa, nella quale gli architetti ed i caporali delle Annessioni sono stati, loro malgrado, costretti a fare strazio miserando e vergognoso mercato appunto di quel suffragio universale, che si millantano essere la loro forza ed il più saldo loro puntello. E cosi in tutto codesto scompiglio d’idee e di fatti noi scorgiamo qualche cosa di nuovo ad incremento di quel regno della verità, la quale per regnare sopra le intelligenze non ha uopo, che di essere conosciuta. E così nel medesimo trionfo dei nemici della Chiesa i veraci figli di questa possono trovare qual che ragione di benedirne la Provvidenza.

Essendo questo quaderno destinato a giungere fra le mani della maggior parte dei nostri lettori il Sabbato santo, quasi ali1 ora medesima che la Chiesa, smessa la mestizia dei giorni di passione, in tuona il suo festoso alleluia, noi vorremmo davvero recar loro qual che cosa di lieto. Ma se, quando essi ci leggeranno, le pubbliche faccende staranno come ora che scriviamo, pur troppo dobbiamo dire che la potestas tenebrarum del Venerdì santo si allarga ed afforza ognora più, senza che per ora umanamente apparisca onde e da cui si possa attendere il vederla fiaccata. E nondimeno anche così, se non il trionfo della fazione, la maniera stessa, onde quella ha trionfato, sta riuscendo, quale non fu forse mai, di maraviglioso incremento al regno della verità il quale, come dicemmo, è propriamente il regno di Cristo. E quando mai si riconobbe più chiara e si proclamò più alto la santità del diritto, in quella appunto che si calpestava il diritto? o quando mai si spregiò con maggiore impudenza il voto delle moltitudini nell'atto stesso che s'invocava e si voleva satisfatto?

Il decreto di Annessione, con ingenuità portentosa, si appoggia sull’essersi dovuto accettare l'offerta, che i popoli della Italia centrale fecero di quelle province al Governo sardo. Ma è forse nuova nel giure naturale e nel civile, che l'accettazione, per essere legittima, deve supporre altresì legittima l'offerta, quale certo non può essere, ogni qual volta la persona offra non il suo, ma l'altrui? Che se altri offerisce cosa che in nessuna guisa non è sua, sanno anche i bimbi che è ladro chi offre non meno che chi accetta.

Ora qual diritto poteano avere, non diremo già i popoli dei Ducati e delle Legazioni, ma i faziosi che ne usurparono il governo? Lasciamo stare e la mala contentezza dei popoli e la perversa signoria e le tirannidi e le incapacità assolute di governare. Oggimai sappiamo tutti, quelle essere state lustre e commedie e infingimenti, a cui se pochi credettero prima dell'Annessione: questa compiuta, nessuno più crede, in quanto tutti toccano con mano da cui ed a cui profitto furono eccitate quelle grida di dolore, alle quali la Monarchia sabauda dovea provvedere col ghermire i dolenti. A sentire quella fazione, Francesco V, austriaco, governava alla tedesca; la Reggente di Parma, francese, governava alla francese; il Granduca, benché lorenese, governava alla italiana e Pio IX, benché italiano, non sapea governare in nessuna maniera le Romagne. Ora a così svariate esigenze non si è applicalo che un rimedio solo: l'Annessione; la quale tutte in un fascio le ha dichiarate province subalpine. Segno manifestissimo che se Roma fosse stata governata come Firenze, e Modena come Parma, si saria fatto né più né meno di quello che si è fatto, perché la maniera del go verno non era che un puro pretesto; e sei sapevano ottimamente quei medesimi che più si riscaldavano nel recarlo in mezzo.

Tuttavolta sia stato quello non un pretesto, ma una ragione più o meno fondata. Che ne vorreste inferire? il supporre che la mala signoria, vera o pretesa, possa conferire ad un popolo il diritto di ribellare al proprio Principe, per annettersi ad altro cui crede meglio, sarebbe ammettere nel suo più crudo significato il mostruoso principio della sovranità popolare; cioè sarebbe uno scardinare dalle sue fondamenta la società, e toglierle ogni consistenza, ogni durata. Allorché si è discussa l'Annessione della Savoia alla Francia, il Constitutionnel, organo ufficioso del Governo francese, ha saputo intendere e dire, che, trattandosi dei grandi interessi delle grandi nazioni, si potea, anzi si dovea passar per sopra al voto popolare ed intendersela a quattr'occhi tra Governo e Governo; e Napoleone III nel ricevere la deputazione savoina ha data la cosa per fatta, anche colla possibilità che il volo popolare vi si rifiuti. Ora, senza negare i privilegi delle grandi nazioni, potrebbe permettere l'articolista che si voglia lo stesso per l'interesse della società umana, di cui fan parte le nazioni grandi e le piccole. Ma soprattutto ci permetterà di volerlo per la grande società cattolica, della quale la Francia medesima è un membro, precipuo quanto volete, ma non certo unico. Pertanto se, per assicurare la grande nazione collo incorporarsi le pendici occidue delle Alpi marittime e delle Cozie, par giusto non far capitale del volo dei Savoini, anche sul volo dei Romagnoli, se voto si fosse stato, si sarebbe potuto passar per sopra, affine di assicurare gl'interessi spirituali di ducento milioni di Cattolici.

Ad ogni modo, prescindendo eziandio da questo riguardo religioso della quistione, e considerandola sotto il solo aspetto del giure sociale e politico, quale Potenza, sia pure la Francia ed il Piemonte, sarebbe disposta ad abbandonare una parte, quanto che piccolissima, dei proprii Stati, per la sola ragione che gli abitatori di quella si avvisarono un bel giorno che o da sé soli, od annettendosi ad altri ne starebbon meglio?

Se questo sognassero di fare oggi la Corsica o l'Alsazia o la Lorena a rispetto della Francia, noi siamo sicuri che quelle province non avrebbero risposta guari diversa da quella, che ebbe Genova da Vittorio Emmanuele, quando quella parte degli Stati sardi fé vista di volere ridivenire l'antica repubblica.

La risposta la portarono i bersaglieri e le bombe del Generale La Marmora. Ma pei Ducati e per le Legazioni si dovette invece dare risposta di accettazione, di plauso, di ovazione, pel grande motivo che i bersaglieri e le bombe stavano non contro i felloni ma pei felloni, o piuttosto stavano per chi coglieva il frutto della fellonia. Questo è chiamare le coso coi nomi loro. Quelle altre fiabe dei popoli che fremono pei governi inetti o tiranni, non poteano dare diritto ai popoli di ribellare e mollo meno potean darlo ad un Governo straniero di usufruttuarne le ribellioni. Ma la cupidigia smisurata d'ingrandimento, antica piaga di quel piccolo Stato (), congiuratasi colla rivoluzione, è riuscita in no me di un Monarca a far trionfare un principio il quale, attualo nella sua ampiezza, sarebbe il sepolcro di tutte le monarchie, cominciando da quella che blandisce il principio in casa altrui, credendosi folle mente di non vederlo germinare nella propria.

E vi è di più. Quando l'Italia centrale era già ribellata ed i legittimi poteri ne erano nel fallo interamente scomparsi, i diritti dei Du chi e soprattutto del Pontefice furono solennemente riconosciuti nei preliminari di Villafranca, furono riservati dai due Imperatori nel trattato di Zurigo, e quanto al Pontefice segnatamente, Napoleone III  ha detto e ridetto essere il diritto di lui sopra le Legazioni, ancorché ribellate, evidente ed incontrastabile. Ora egli è manifesto che quel diritto riconosciuto, almeno in sentenza di chi lo riconosceva, rendea vana e diciamo ancora fellonesca qualunque deliberazione in torno alla nuova persona, a cui quel diritto si dovea conferire; co me sarebbe appunto la deliberazione che volesse farsi in Torino per iscegliersi un nuovo Principe: stante che ivi è già uno, a cui compete il diritto di principare. Se separate i due elementi, onde etimologicamente consta la voce deliberare (de e liberare), vi accorgerete che quello è l'atto, onde l'uomo si toglie dalla libertà, in cui si trova, determinandosi ad uno degli estremi, tra i quali prima pendeva incerto. Quell'atto dunque suppone essenzialmente la libertà; ed intendiamo della libertà morale nel giro dell'onesto, non della fisica, onde lo scherano si delibera di svaligiare od assassinare il viandante. Se dunque un diritto riconosciuto nel Principe toglie ai sudditi ogni libertà di deliberare intorno al proprio governante; e con quella toglie loro anche il diritto di offerire a cui stimano meglio quello che non è loro; il volere riconoscere al tempo stesso il diritto nel Principe, e la facoltà nel suddito di offerire il Principato, è tanto mostruosamente illogico, quanto sarebbe ammettere nel padrone di casa il diritto di abitarla come sua, ed all'ora medesima riconoscere in un altro qualunque la facoltà di cacciamelo, per mettercisi esso in vece di lui. Or questo se può tornar comodo all'intruso, non pare che faccia grande onore al buon senso di chi, per quella via, si credesse aver composto insieme il diritto di proprietà e la cupidigia del latrocinio.

Nondimeno cosiffatti scambietti di parole elastiche, ordinati a cogliere il vanto di rispettare la giustizia, senza perdere il fruito sperato dal manometterla, hanno qualche scontro nella storia, e l'hanno men raro nel vulgare arrabbattarsi dei furbi a danno o beffe dei deboli e dei semplici. Quello che non ha esempio, e dicemmo essere al tutto nuovo nelle Annessioni di che trattiamo, è la incredibile baldanza, onde, nel farle e nel lasciarle fare, si è non curata, anzi si è aperta mente schernita una pubblica opinione ed un suffragio così vera mente unanime ed universale, che per avventura nei tempi moderni non se ne potrebbe additare un altro da farne una coppia. Ora se in questa meravigliosa unanimità ed universalità noi vediamo un acquisto insigne del mondo cattolico, che non mai si è mostralo cosi uno nel pensare, intorno ad un punto non certo dirottamento di fede, e così animoso e cosi fecondo a recare all'aperto spiegatamente i proprii pensieri; vi vediamo all'ora stessa un giusto giudizio di Dio a svergognamento ed infamia della iniquità, ridotta a calpestare, quasi suo malgrado, in faccia al mondo i medesimi suoi idoli. Gran cosa! e che parrebbe incredibile se non l'avessimo sotto degli occhi! dopo oltre ad un secolo di educazione volteriana, dopo oltre a mezzo secolo di maledizioni e di calunnie gettate a piene mani sopra i Pontefici, il loro Principato civile e, come piuttosto sogliono dire per istrazio, sopra la Curia romana, ad un pericolo che minaccia quella male odiata Istituzione, l'Europa si scuote dall'un capo all'altro, fino nelle intime su libbre: e della Istituzione stessa proclamala necessità e la sapienza, riconosce il diritto che essa ha ad essere man tenuta intera, e con quanti mezzi ha in suo potere dichiara di volerla ad ogni patto mantenuta.

Deh! chi mai avrebbe supposto in questa società decrepita e mezzo scettica, per cosa che si attiene quasi esclusivamente al Cattolicismo, tanta forza di convincimento, tanto vigore e diremo anzi tanto zelo di recarlo all'aperto'? E pure tant'è! il mondo dovrà maravigliarsi di sé medesimo del trovarsi tanto più cattolico che esso medesimo non si pensava; ed i meno credenti debbono convincersi per nuovo argomento, che la società cristiana è governata da un pensiero arcano, il quale spira quando, come ed in cui vuole quella specie di universale commovimento, che è foriero quasi sempre di grandi concetti e di più grandi fatti: Mens agitat molem.

Le associazioni colle loro lettere, i meetings colle loro deliberazioni, gl'Indirizzi, le condoglianze affettuose, i conforti filiali, le offerte di sussidii d’ogni maniera, che affluiscono da tutti gli angoli della terra al Vaticano, sono oggimai cosa tanto smisuratamente vasta, che il solo volerne trarre il computo vincerebbe ogni pazienza. E che di remo della stampa, la quale nella moderna civiltà è riputata essere la ministra più legittima e più fida di quella reina del mondo che è la pubblica opinione? In tutti gì idiomi e massime nei più conosciuti è stato in questi ultimi mesi un tal diluviaro di opere, di opuscoli, di articoli d’ogni sesto e di ogni stile, intorno alla Sovranità temporale dei Pontefici che a memoria d’uomo non se n' era mai veduto un somigliante. Ora, per quel molto che ne abbiamo visto, noi possiamo far sicurtà che, se si eccettui 1! Italia, in gran parte della quale la libertà libertina ha tolto agli onesti ogni facoltà di manifestare i proprii pensieri, nel resto del mondo sopra sei scritti, cinque almeno sono per la verità e per la giustizia, ed appena uno se ne potrà contare pei loro contrarii. Aggiungete ora che tra quelli si noverano gli uomini più cospicui per dottrina e per pratica di pubblici affari, per carichi sostenuti e per meriti, più insigni; aggiungetevi le lettere Pastorali e i Mandamenti dei Vescovi della Cattolicità, dei quali rari assai han taciuto, moltissimi hanno ripetutamente e prolissamente parlato; aggiungete che nella parte ostile, se tolgansi i conosciutissimi faziosi, il resto sono scrittori ufficiali od ufficiosi della risma del signore La Gueronnière, del quale recavano i giornali, che avea ricevuto ordine di tenersi paralo a dettare un nuovo opuscolo, nel quale egli stesso non sa ancora la parte che saragli ingiunto di sostenere, ma sa benissimo che dovrà sostenerla con profondo e coscienzioso convincimento; se, diciamo, a quella manifestazione aggiungete le ricordate considerazioni, voi vi scorgerete un tal conserto universale ed unanime, che davvero farebbe increscere di sé chi si ostinasse a vedervi solo il commovimento di una parte del mondo cattolico. Una parte! e che altro vi vorreste trovare, se il ciel vi salvi, per riconoscervi il tutto?

Il Pontefice, l'Episcopato, i cleri, quanto vi ha di più specchiato, di più vivo, di più attuoso nel mondo cattolico, tutti si sono dichiarali colle opere e colle parole. E si vorrà dire che tutto ciò è una parte, della quale si potrebbe per avventura non fare alcun capitale, solo perché vi manca un pugno di ambiziosi sacrileghi e scomunicati?

Eh! no! il siluit terra a facie eius fu già detto di qualche tiranno orientale, ricordato dalle Scritture, e non si è perduta la memoria di qualche cosa di analogo che la generazione presente ricorda di aver veduto. Ma questa volta la Provvidenza ha risparmiato al mondo quel silenzio innanzi alla forza, il quale, fosse per impotenza o per codardia, era sempre svilente. La terra non solo non siluit, ma ha parlato e gridato, sta parlando e gridando quanto non fece giammai; e, salvo i paesi, nei quali una mano di ferro ha imbavagliate le bocche e legate le penne, per tutto, dove la parola cattolica non è legata, vi è un tale accordo di riprovazione sopra l'assassinio consummato a danno della Chiesa ed a vilipendio della giustizia, che i prepotenti di un giorno ne debbono essere impensieriti, né possono alla nefanda loro opera augurare vita più lunga di quello che può avvenire ad ogni cosa non pur violenta, ma conosciuta universalmente per tale. Soprattutto è da benedire la Provvidenza che la iniquità, balda e feroce della opinione universale, di cui si professa codardamente ligia ed idolatra, per venire ai suoi biechi intendimenti sia stata costretta di calpestar bruttamente appunto quella universale opinione sopra la quale ha preteso di appoggiarsi.

Il quale stupendo consentimento del mondo cattolico, in voler salva al Pontefice romano la piena integrità dei suoi possedimenti, non si saprebbe intendere come mai non siasi trovato in quelle pro vince solamente, la cui scissione dovrebbe ledere quella integrità, e mettere a ripentaglio tutto il resto. Più poi è incredibile che siavisi trovato il pieno ed unanime consentimento precisamente nel contrario, come si è trovato nei due Ducati e nella Toscana l'unanime consentimento all’Annessione.

Vi pare? la Toscana (per dire solamente di questa) il giardino d'Italia, la cui capitale è un museo, la cui storia, dopo Roma, è la più splendida che abbia l'Italia, signori sì! la Toscana spasima di diventare provincia subalpina, e non sa requiare se, invece dei suoi Principi naturali e sovrani, non le sia mandato dal piè delle Alpi un proconsole come ad Aosta o ad Ivrea.

Credereste? nella famosa votazione appena se ne rinvennero poc'oltre a diecimila, a cui calesse della propria indipendenza civile: tanto tutti spasimavano e farneticavano per l'Annessione! E se le metropoli fecero a pugni per diventar province, non ci sarà grande maraviglia che le province s'accordassero tanto agevolmente a cangiare metropoli; sicché nelle quattro Legazioni, sopra 203,384 voti raccolti, appena se ne trovarono 254, non diremo pel Papa, che il solo proporlo, a detta del Farini, avrebbe eccitato tumulti, eccidi, finimondi; ma pel regno separato. Guardate pochissima voglia di autonomia! poco più dell'uno per mille vogliono essere autonomi! I mille sopra uno si contentano di essere automati, e gridano una voce:

Annessione.

E perciocché questo suffragio universale è stata la commedia, innanzi a cui con molto i sussiego si sono inchinati gli usurpatori, affine di onestare l'usurpazione, non sarà fuori proposito dirne qual che parola, perché si vegga die, se questa volta la genie onesta e cattolica è stata altamente offesa nelle sue più legittime affezioni e nei suoi più santi convincimenti, essa è stata ben lungi dal restar vittima delle giunterie e dei tranelli, messi in opera per abbindolar la; ed in sustanza essa fu oppressa ma non gabbala. Ora, messa in salvo la verità di dritto e di fatto, l'oppressione passaggiera dalla parte dei prepotenti non deve ispirare sfiducia, e molto meno dovrebbe creare scandalo. Gli adoratori della Sapienza incarnata e confitta in croce debbono star paghi al possedere la verità; ma quanto al vederla prevalere di fatto sopra la forza, essi non debbo no ignorare che Cristo ha lasciato spesso quella temporanea prevalenza ai suoi nimici, cominciando da sé stesso. ed in sé stesso.

Già fu detto che vigorendo i diritti incontrastati ed incontrastabili di un Principe legittimo, il solo recare in mezzo quella deliberazione è fellonia, siccome quella che suppone la libertà in cosa, nella quale, pel dovere di rispettare l'altrui diritto, non vi è e non vi può essere libertà veruna. Ma via: si supponga un tratto, per argomentare ad hominem, che vi fosse quella libertà. Como è stata essa rispettata dai poteri intrusi? come è stata esercitata dai cittadini? sicché nella costoro deliberazione si potesse fondare un diritto di offerire la Signoria sopra quegli Stati, conferendo altrui quello di lecitamente accettarla. La violenza fu esercitata con sì aperta e svergognata audacia, che neppure furono mantenute quelle vulgari apparenze, onde suole circondarsi l'ipocrisia. Chi ha letto l'ultimo dispaccio del Cardinale Antonelli a Monsig. Nunzio di Parigi (e tutti lo han letto benché nessuno vi abbia finora risposto), vi ha dovuto scorgere delineate, con forza non meno che con moderazione, le scellerate mene, onde il partito piemontese ha apparecchiato di lunga mano quelle province all'ambita Annessione. Che se tanto potè e strapotè quel partito sodo gli occhi dei medesimi Governi legittimi, i quali se non sempre riuscirono a porvi un limite, riuscirono quasi sempre ad imporre ai mestatori un lai quale pudore ed il, bisogno di far coperto; deh! che sarà state, quando il vero padrone delle province era quel partilo, o piuttosto era quel Governo sardo che sottentrò di fatto e si mantenne solo in luogo dei Sovrani, per opera in gran parte sua, spossessati? Ella è cosa oggimai esploratìssima che una votazione fatta sotto l'influenza operosa di un Governo, eziandio nei paesi meglio esser citati nelle lotte elettorali, è pressoché impossibile che riesca a rovescio di ciò che vuole il Governo stesso. Né per altra ragione Napoleone III non ha voluto che i Savoini dessero il voto per la loro annessione alla Francia, prima che la Francia si fosse già annessa la Savoia: tanto gli parve difficile che le moltitudini diano il suffragio ad altri che a chi presentemente comanda! Pensate voi ora se ciò saria stato possibile in paesi che di elezioni non sanno nulla, tra popolazioni insuete ed ignare della vita pubblica e sotto la prepotente influenza di uomini rotti ad ogni violenza, ed i quali a tutti i mezzi, onde può aiutarsi un Governo dispotico, aggiungevano tutti gli ardimenti ed artifizii, di che sono capaci le fazioni! Tra tali circostanze intimare una votazione a suffragio universale appena potea essere altro, che una derisione ed uno scherno; e se la diplomazia vorrà inarcare lo ciglia sopra l'accordo unanime e farvi grande assegna mento, tal sia di' lei. Ma il buon senso cattolico non è disposto a la sciarsi cogliere a coteste scede; e, guardando le cose pel verso loro, non vi ravviserà altro, che una pagina aggiunta alla eterna storia delle umane furfanterie. La parola è dura, ma è vera; e Io spettacolo della iniquità trionfante ci lascia poca voglia di ammorbidire le parole dure con lenitivi di blandi sinonimi o di cortesi aggettivi.

La prima cosa, i pretesi Governi, in cui e per cui si votava, stabilirono gli estremi della deliberazione: Annessione o Regno separato, dichiarando anticipatamente nulli tutti i voti che fossero dati fuori di quelli, fosse pure per la legittimità del proprio Sovrano; di qualità che dovea riputarsi di per sé invalido appunto quello, che solamente sarebbe stato conforme a giustizia ed a coscienza. Supponete, esempligrazia, che sopra i 203,384 voti, che diconsi raccolti nelle Legazioni, due terzi avessero portato Pio IX, il dottor Farmi, per rispetto al suffragio universale, con poteri discrezionali, non si sa quando e da cui conferitigli, avea già stremato d’ogni valore quei suffragi; ed alle gravissime difficoltà, inerenti a quell'atto di dichiararsi fedele, avea aggiunto forse la massima del saperlo inutile che se si trovan rarissimi che vogliano farsi eroi per ottenere qual che bene, non crediamo possibile che altri voglia arrischiarsi a quell’estremo, per fare alto nullo. E come il Farmi in Bologna, tal fece il Ricasoli in Firenze.

Almeno, stando pure tra quei due estremi, si fosse data qualche balìa d'influire nella scelta! Ma pensate! i pretesi Governi fecero di quella influenza un monopolio più assai rigido ed assoluto, che non è quello dei sali e dei tabacchi. Interdetta la stampa e la paro la a chiunque non era per l'Annessione; se non fosse che il Ricasoli, più generoso del Farini in opera d’ironie beffarde, concedette agli avversarti quella libertà per la notte precedente alla votazione, e lo fé sapere solamente la sera. Nel resto il tempo utile fu solo per essi, e fu usufruttuato nella maniera più ampia e più vigorosa che si potesse. Editti, bandi, gride del Governo e dei suoi cagnotti tapezzavano le strade, le botteghe e fino le porle delle chiese, in quella che giornali, opuscoli, fogli e foglietti in un senso solo mondavano le città ed il contado; costituiti comitati per l'Annessione in tutti i Comuni e mandati in ciascuno, a confortarne le salutari influenze, i venti ed i trenta uomini in armi, che erano più del bisogno per isgomentare le pacifiche popolazioni rurali; proscritti o messi in carcere quanti erano in voce di non parteggiare per ciò che volevano i padroni; ed i nobili ed i possidenti fedeli e cattolici essendo quasi tutti dovuti uscire dal paese, la classe numerosissima dei contadini restò alla balìa dei pochi possidenti e nobili devoti al Piemonte; i quali non perdonarono ad insinuazioni, a comandi, a minacce e perfino a scacciamenti dalle proprie terre, perché i loro dipendenti votassero per l'Annessione. Ma forse non vi era bisogno di tanto, veduto l'impossibilità in che versava la moltitudine, non che di deliberare, neppure di capire quello di che si trattava; ed i più vi furono carrucolati con astuzie che sarebbon ridicole, se non si vedesse come le ridicole ciurmerle servano di pretesto a consummare inique e sacrileghe spoliazioni. Già la sola scheda a stampa che si potesse avere alla mano, era la voluta dai faziosi, i quali, porgendola alla gente del contado, che per la più parte non sapean leggerla, e mollo meno sariano state capaci di apparecchiarsene un' altra, a tali davano ad  intendere che era domanda per avere il pane a miglior mercato; a tali altri che dovea gettarsi nel)1 urna, pena uno scudo di multa e tanti giorni di carcere a chi mancasse; e pensale se la povera gente non dovea mettersi ai piedi le ali! Che più? Non vi mancarono casi, in cui fu detto quel brandello di carta contenere il voto pel ri torno dell'antico Governo; non vi mancarono in cui chi balenava innanzi ad un allo riprovato dalla propria coscienza fu minacciato dì morte col pugnale alla gola e schiaffeggiato impunemente. Nulla poi diciamo delle vessazioni, di cui fu segno il clero, dal quale non imperando cooperazione a loro modo, i padroni vollero almeno assi curarsi che non ne avrebbero a temere di contrarie.

Tra codeste angherie e prepotenze inaudite, a noi pare al tutto maraviglioso che sopra i 290, 613 volanti iscritti, a non meno di 87,231 pur venne fatto comunque di astenersi dal volare; anzi dovettero essere molto più, veduto che parecchi gettarono in varie urne il proprio voto, ed altri che nella stessa ne gettarono un fascetto.

Or questi che si astennero voi potete, senza tema di errore, contarli pel suffragio che meno di tutti si sarebbe voluto. E poi in ogni caso, non vi restava forse la via speditissima di corrompere lo scrutinio, non sottoposto ad alcun sindacato? la quale facilità di corruzione se pochi mesi or fa potè fruttare tutti i voti in una piena ed assoluta unanimità, non si vede perché non avrebbe potuto darla anche al presente. Ma il ridere ed il gridare che allora si fece sopra la balorda avventatezza di chi asseriva l'assoluta e matematica unanimità di tante migliaia di teste in un solo pensiero, sarà stato buono avvertimento nel presente caso, nel quale si è creduto prudente trovare nell’urna i suffragi che erano sufficienti al bisogno, lasciandone eziandio, per amore di verosimiglianza, qualche pizzico pel regno separato e pei nulli.

Condotte le cose a somiglianti termini non è meraviglia che sia si ottenuta la votazione per l’Annessione, ma saria stato somigliante a miracolo se non si fosse avuta, coni' è sempre miracoloso che applicate le cause necessarie non producano il naturale loro effetto.

Ora si applichi quel processo, che è stato adoperalo nei Ducati e più nelle Legazioni, a quale più vi piaccia città o provincia di questo mondo, e noi i entriamo pagatori che se ne avrebbe il suffragio unanime, per qualunque più sbaragliata e mostruosa annessione.

No! non diciamo per celia! Supponete, così per un' ipotesi anche stranissima, che il dottor Farini avesse abilità di trattare per alquante settimane Parigi come ha trattato Bologna, ed egli vi farebbe vedere, quasi per incantesimo, la sterminata metropoli della Senna con unanimità portentosa volare (si capisce con qualche centinaio di voti nulli) la propria annessione all’Impero cinese od alla Turchia. Oh! che? non fu riputata un giorno la Francia volere i macelli di Settembre, gli annegamenti di Nantes e le mitragliate di Lione? E forse che in questa medesima Roma, a sentire le descrizioni pie tose che ne stan facendo da due o tre lustri i libertini italiani e gli stranieri, non sarebbe cosa al tulio agevolissima spillarne un suffragio mamme di annessione, non che al Piemonte, ma al Cairo od a Bizanzio? Certo si! e già siamo usi a sentire che i Romani, piuttosto che al Papa, vorrebbero star suggelli al Sultano di Costantinopoli od al Bev di Egitto; sicché a mantenerli come stanno e, che è ancora più grave, per difendere la persona del Pontefice, vi è bisogno di una forte mano di soldatesca straniera. Ma ad ottenere dai Romani quel cotal voto, vi sarebbe bisogno di sottoporli per qualche mese alla terapeutica del medico Farini, il quale non si farebbe pregar molto per servirli dei suoi alberelli; ed allora il suffragio unanime sarebbe bello e pronunzialo: ma si capisce sempre col piccolo pizzico dei voti nulli. Tuttavolta (in che questo non facciasi, ed i Romani saranno lasciati vivere alla loro maniera, ed i protettori d’Italia lasceran loro la libertà di manifestare quello che pensano e sentono, da essi o non se ne avrà nessuna, o si avranno quelle maravigliose manifestazioni, di che siamo stati testimonii in questi giorni, e le quali potrebbero frullare molti disinganni nei politici scredenti e molla vergogna nei calunniatori, se quelli amassero la verità, e se fossero capaci di vergogna le fazioni. Non che i Romani approvino tutti gli atti governativi: ciò non succedo in nessun paese e forse neppure in alcuna famiglia di questo mondo; e quanto a non approvare questo o quell'atto, essi godono o si pigliano tanta libertà di censura, che in nessuna contrada se ne tollererebbe la quarta parte.

Ma quanto al Governo per sé medesimo, quanto all'esser questo com messo dalla Provvidenza al Vicario di Cristo, con tulio quel decoro, quello splendore, quella cultura e quella ricchezza che da tale con dizione si deriva, nessuno ne è più nobilmente orgoglioso dei Romani e nessuno meglio di loro lo capisce, perché nessuno ne vede e ne sente meglio e più da vicino gli effetti. E mentre una fazione grida o strepita che i Romani non vogliono più sapore dei Pontefici Re, i Romani trovarono modo di smentire solennemente quella calunnia, e mostrale al mondo che essi sono lieti e superbi di avere a loro Re il Pontefice, quanto forse nessun popolo non è del suo. Suffragio di bene altra portata, che non sono le commedie falle giocare dal Cavour per istringere le Annessioni.

Sogliono i Pontefici, nei venerdì di Quaresima, scendere col Sacro Collegio nel Tempio di S. Pietro a venerarvi le reliquie della Croce: ma è quella una visita non accompagnala da alcuna pompa, o canto, o solenne rito, ed in somma da nessuna di quelle splendide ceremonie che richiamano la moltitudine in Vaticano. E così il primo ed il secondo venerdì di questa Quaresima quella visita era stata, co me sempre, cosa al tulio privata ed appena saputa al di fuori. Or non. si sa come o da cui fu gittata voce nella città, si andasse a pregare in quella circostanza insieme col S. Padre da tutti coloro, che, con quell'atto, gli volessero significalo la loro fedeltà di sudditi e la loro religiosa affezione di figliuoli, protestando all'ora stessa contro le calunnio e le iniquità, onde i nemici della Chiesa lo han fatto segno. Non vi volle altro! al giorno consaputo, alla posta ora, l'immensa Basilica accoglieva tal folla, che appena ve ne conviene una maggiore nelle grandi solennità onde questa Roma è ammirata. Ed il numero di forse oltre a quindici mila era poca cosa, chi ne avesse considerata la qualità, onde faceva splendida pruova quel mezzo migliaio di cocchi che stanziavano nella piazza smisurata. Il fiore dei patrizi, dei ricchi, dei dotti, dei professori, di quanto vi badi più ragguardevole in Roma, e soprattutto della gioventù studiosa, era convenuto a pregare insieme col Pontefice sulla tomba degli Apostoli, perché il Signore si degni liberare Principe e popolo dalla ipocrita soverchieria di chi mai vo lesse opprimerli col pretesto di liberarli. In volto a tutti era una gioia pura e serena, una soddisfazione come di dovere nobilmente compiuto, una fiducia, la quale tutti parea volessero comunicarsi scambievolmente di un migliore avvenire. Ma soprattutto la maraviglia del trovarsi in sì gran numero, fu all'ora medesima una sorpresa ed un conforto; e come il mondo si sta maravigliando del trovarsi tanto più cattolico di quel che credeva; così Roma non sapea rivenire dallo stupore al riconoscersi tanto più papalina di ciò che sarebbesi immaginato. È tanto tempo che si sta dicendo, fino alla nausea, che i Romani sono ostili al Pontefice ed al suo Governo, che i sinceramente affezionati e fedeli si credeano oggimai di essere un pugno.

Or pensate quanto dovettero restare maravigliati al vedere che erano nientemeno che un popolo. Ed ecco il popolo (fu chi disse) cui Imperatori e Re si struggono indarno di riconciliare col proprio Principe! E pure, per tornare colà, onde divertimmo a questa digressione, e pure in questa Roma così disposta voi potreste avere qualunque voto unanime di Annessione, tanto solo che la lasciaste alla balia di quel branco di faziosi, che qui dovrebbero essere riconciliati a furia di concessioni, ma che altrove si riconciliano col deportarli a finire di stenti in qualche colonia insalubre, od in qualche isola inospitale sperduta in mezzo all'Oceano.

E perché a ciò che diciamo non manchi la controprova, va messa in nota la prodezza di che quel branco di faziosi, che rappresenta il popolo, fu capace un dì festivo dopo la splendida manifestazione del Vaticano, forse a fine di ricattarsi della vergogna che loro ne incolse. Quei valentuomini dal partito piemontese non poterono altro che riunire, al prezzo di trenta soldi per capo, un tre o quattro dozzine di cialtroni della Regola, e col vino mettere loro in corpo il coraggio che ci voleva per insultare un piccolo drappello di carabinieri. A questi per disperderli, bastarono cinque minuti, facendo loro l'onore di alquante piattonate, quando avrebbon potuto più degna mente servirli colla punta degli stivali o collo scudiscio. E nondimeno, già si sa, quei faziosi e questi cialtroni sono il popolo romano, innanzi a cui s'inchina la diplomazia, pei cui voti legittimi e non soddisfatti si ha da mettere sossopra il mondo, ed i quali se divenisser mai padroni del campo, farebbero con suffragio universale votare a Roma l'Annessione, come appunto, perché sono già divenuti padroni, l'han fatta votare nei tre Ducati e nelle quattro Legazioni.























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