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Diversi anni fa ebbi l'occasione di scambiare alcune riflessioni con Angela Pellicciari sul tracollo del Regno delle Due Sicilie e sul comportamento dell'esercito. Lei disse che restava aperto - in parte come un vero enigma - il problema dell'esercito, i tanti tradimenti, gli errori, le incomprensioni.

Personalmente credo che la questione dell'esercito non possa essere ridotta ad una pusillanimità od ai tradimenti di alcuni ufficiali, ma vada inserita nelle vicende del regno a partire dalla rivoluzione francese prima e dal periodo muratiano poi.

Senza tralasciare la Sicilia, punto cardine per la sopravvivenza dello stato napolitano dopo l'occupazione inglese. Durante la quale l'isola vide un flusso notevole di denaro legato alla corte napoletana e all'approvvigionamento delle truppe inglesi. A cui vanno aggiunte le illusioni autonomistiche legate alla costituzione del 1812, una costituzione scritta sulla falsariga di quella inglese.

Presentiamo alcune opere di ufficiali coinvolti nelle polemiche sul crollo della regno e sull’atteggiamento dei vertici dell’esercito.

Zenone di Elea – Agosto 2017

COMENTI SULLA STORIA DEL CAV. DE SIVO DAI 1847 1861

COMENTI CONFUTATORII DEL TENENTE GEN. GIOSUÈ RITUCCI

SULLA CAMPAGNA DELL'ESERCITO NAPOLITANO

IN SETTEMBRE E OTTOBRE 1860

trattata nella storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861

DI GIACINTO DE SIVO

Pubblicata in Roma, Verona, e Viterbo nel 1866-67

PRECESSI DALLA CORRISPONDENZA SECOLORO TENUTASI

NAPOLI

STABILIMENTO TIPOGRAFICO DELL’ITALIA

Via Pisanelli Num. 23 p. p.

1870

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AI LETTORI

La sera del 31 Gennaio 1870, al consueto tiro del cannon della nave, che l'ora ai marinai della ritirata annunzia, naturalmente spegneasi una vita, che in varie fazioni di guerra, molti altri ben diversi tiri mortiferi, avevan rispettato più volte. — Giosuè Ritucci, Tenente Generale al ritiro, già del disciolto esercito delle Due Sicilie, dilettissimo mio rispettabile suocero, di anni 76 circa, travagliato da lungo, fiero, tormentoso morbo, rendeva in quel punto la sua bell'anima al Creatore, munito dei conforti di nostra Santa religione, e coverto dell'aureo manto della sacra benedizione di S. S. Pio IX. — Egli rassegnato, e piamente spirava, fra le pietose cure, e le affettuosissime braccia di sua sconsolata cara famiglia, alla quale, per la specchiata onestà, e dilicatezza somma da lui mai sempre careggiata in vita, non altro retaggio legava in morte, che il solo inapprezzabile tesoro della Virtù dell'Onore; benché l'eminentissime militari cariche dal prefato degnamente sostenute, oltre ai distinti cavallereschi ordini nazionali, ed esteri, ond'era sì colmo, avrebber potuto apportargli tai beni di fortuna, da renderlo agiato non solo, ma al par di molti anche opulento. — Il sullodato defunto, alquanti giorni pria della finale sua dipartita, a sé chiamatomi presso il letto del dolore, dopo breve familiare dialogo, con ferma voce conchiuse, caldamente a me raccomandando voler prender cura di alcuni già ammaniti suoi scritti, che per la stampa bramava fosser dati alla luce. Poch'istanti allor tacque; ma lentamente rianimandosi quindi, riprese, che la lunga affernazione da lui sperimentata tra i miglioramenti, e le recrudescenze dell'ostinato suo malore, e le mediche proibizioni alla soverchia sua applicazione allo studio, permesso non avevagli di portar all'opera sua l'ultima mano, affin di migliorarne lo stile, e mondarla delle prolissità, e ripetizioni, di cui egli comprendeva quella peccare: comeché dessa non altro considerar si dovesse, che un immaturo frutto della ferrea volontà, e dello sforzato riluttante ingegno di punzecchiato veteran di onore, e non già parto di ben versato erudito scrittore. Novella sosta fec'egli allora. Indi con maggior lena seguendo, esternò non esser pretensione in lui di acquistar fama di autore, che indotto lo avesse al suo storico disadorno lavoro; ma prepotente cagione di difender sua condotta, e fama cui molto ei teneva, per serbarle quali già sempre furono in sua lunga militare carriera, irreprensibili, ed incontaminate. Mentre invece grave discapito ne soffrivan desse, qualora taciuto egli si fosse, dalle travisate narrazioni, dagli erronei giudizi, dagl'immaginari fatti, che a confusione del vero col falso, pubblicati rinvenivansi nella Storia del Cavalier Giacinto De Sivo, dal 1847 al 1861: storia ch'egli, il Ritucci, imprendeva a rischiarare, ed a confutar insieme coi leali ragguagli de' cennati suoi scritti. —A quella insinuante venerata voce, al lusinghiero fiduciale incarico, in circostanza sì imponente, ed amara, io con la filiale deferenza, onde usato mi era ad ascoltar sua parola, ed a subirne la possanza, titubante, e commosso accettai, e solennemente promisi. Ma mentre col pensiere ponderava ad un tratto la responsabilità che sembravami assumere, per la pubblicazione promessa di fatti a me ignoti, il mio buon suocero soggiunse, essersi già da lui pregato a volersi degnare di gentilmente assistermi, e coadiuvarmi nell’affidatami commissione, l'egregio amico Cavalier Giovanni De Torrenteros, già Ufficiale Superiore di Stato Maggiore del napolitano esercito, il quale cortesemente ne aveva ben accolto l'invito. a quel testimone più oculare delle patite belliche vicende, a quel chiaro nome, al noto merito, che le vaste sue cognizioni letterarie tanto distinguono, destossi in me all'istante il coraggio per l'esecuzione, ove disgraziatamente avessi dovuto occuparmene.

Infatti, scorsi pochi dì dal riportato triste colloquio, la funesta sventura, sì fortemente temuta sulla vita dell’amato mio suocero, si avverò fatalmente; e dopo pochi altri giorni consacrati allo sfogo d’inevitabil dolore, io affiancato dal bello ingegno del prelodato amico, entrambi riuniti, ci diemmo attentamente a percorrere le vergate pagine dell’onorevole trapassato, ed a formarvi i progetti per la loro pronta, e miglior possibile tipografica impressione. E quantunque nel complesso della su mentovata opera avessimo noi rimarcato a vicenda alcun che, desiderabile, a nostro credere, di esser altrimenti, o per nulla trattato, pure ci siam guardati, e scrupolosamente astenuti di apportarvi l'ancorché menoma alterazione, o rettifica, reputandolo sleale diportamento, ripugnante alla probità, alla coscienza, e tale da tradir il semplice nostro speciale mandato

Cosicché interamente spogli da qualsia responsabilità sotto ogni aspetto; a sdchitarci di nostra accettazione, e della data sacra promessa, per ì pubblici torchi, e nella sua integra, ed intatta originalità, oggi l’opera in parola, francamente agl'indulgenti lettori presentiamo.

Napoli 1° Maggio 1870.

Bartolomeo Albanese

N. B. Il controsegnato egregio Generale à voluto impartirmi elogi ch'io non sento affatto di meritare! Debbo però sottoscrivermi a tutte le altre circostanze ch'egli ai lettori veridicamente espone.

Giovanni de' Torrenteros.

PRELIMINARE

Fin da Agosto 1861 reso edito io ave» in Napoli un mio riscontro all'opuscolo anonimo col titolo: Campagna dell’Esercito Napolitano dal 1° Ottobre 1860, fino al cominciamento dell'assedio di Gaeta, narrata da un testimone oculare; ed alcuni rimarchi (rimasti fin ora inediti, ma che vanno al presente in istampa) dovetti pur fare in Settembre 1862 all’opuscolo del brigadiere Giuseppe Palmieri, che ha per titolo: Cenno storico militare dal 1859 al 1861. Questi miei elementi sono necessari a percorrersi in pria, perché sovente richiamati nella Corrispondenza e nei Comenti che imprendo qui a trattare.

Informato da pubblici giornali, che il Cavaliere Giacinto de Sivo scriveva in Roma la Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, non frapposi tempo ad acquistarne i primi due volumi, e sciente che là trovavansi miei detrattori impegnati a malignare la non poca parte a me spettata sostener vi, specialmente nelle fatali avventure del 1860 e nei due primi mesi del 1861, opinai fare arrivare al menzionato autore pochi cenni riguardante i miei concetti ed il mio operato nel corso di questi ultimi pubblici rivolgimenti, per chiamare la sua attenzione a non fars'indurre in errore da chi poteva aver male apprezzate le cause di quei dispiacevoli risultamenti, o che poteva essere interessato a snaturare il corso di quegli avvenimenti, col mezzo più breve e più facile di gravarne il peso su di unica vittima che gli era più in uggia, per così coonestare gli errori o le colpe di gelosi o di pretesi saccenti. Ne seguì corrispondenza, ed in questa dilucidati, non senza l'appoggio di più documenti, tutt'i dubbi, difficoltà, e prevenzioni avverse, motivate da quell'autore, fino a dichiararsene convinto e soddisfatto. Dalla stessa ho dovuto accorgermi ch'io non m'ingannava: dei maligni lo avevano già indotto a credermi l'efficiente delle sventure toccate al nostro Esercito sul la linea del Volturno; e più a pormi fin'anco in vista d'intenzionato a tradire! e ch'egli, in conseguenza, su tali dati disposto era a modellare le sue assertive, se pur modellate non le avea.

Pervennero con ritardo i volumi seguenti, e percorsi questi mi avvidi ch'egli avea potuto correggere le sue asserzioni a mio riguardo, purgandole dal veleno della calunnia più efferata; ma non aveva riformate convenevolmente le sue tesi, piantate a velare il merito dei miei concetti e disposizioni, fino a caratterizzarmi più impavido soldato che veggente Capitano, ad oggetto forse di non far sorgere in vista i veri errori o colpe militari, che han contribuito a perdere la Corona con l'autonomia dei regno e la legittima dinastia.

In tal modo parrai ch'egli abbia non ben corrisposto alla indipendenza e giustizia messa a base della sua prefazione, e risultato sia poco coerente alle sue stesse conclusioni nella terza, ed ultima sua lettera del 17 Aprile 1866. Egli nella difficoltà del suo cammino ha dovuto appoggiarsi alla Prudenza, come si vedrà che io stesso lo consigliava allorché m'invitava a considerare la difficile sua posizione; ma questa l'ha non poco forviato dal sentiero della Verità, che non dovea disperdere.

La storia, dacché i moderni han diradate le tenebre dell’antichità, raccoglie le verità che nascono da' fatti e dallo studio della sperienza. I fatti contingenti dell'uomo non seguono la costanza e l'uniformità delle leggi della natura: i motivi dunque determinanti la volontà, l'occasione e le difficoltà seguir non possono l'ordine impreteribile ch'è nelle leggi fisiche. Dalla sperienza se ricavar si possono verità particolari, relative, pretender non si debbono le verità generali o assolute. La filosofia della storia dunque sta nello studio della sperienza, che determinar deve i limiti tra' quali debbes'intendere il vero suo principio. L'autore privo di esercizio nelle belliche materie, si è creduto sovente nel caso di far giudizio e ragionamento sopra inesatte e false concezioni; né ha saputo dividere e valutare le difficoltà ne' diversi loro oasi, ed è cosi caduto nella omissione de' più sani principi della logica artificiale o acquisita, e quindi, in paradossi militari!

Vero è che lo storico non può, non deve dilungarsi in particolarità; ma quando si azzarda a caratterizzare il Condottiero di una guerra, i generali, e lo stato maggiore, l'è debito di sottoporre al pubblico le peculiari ragioni a carico o discarico, onde questo misurar ne possa il valore. Egli non è stato tanto oculato nel discendere a particolarizzare e dar merito a gesta brigantesche. Così nell'atto che danna, lodevolmente, la inaudita ferocia colla quale si è senza forma di giustizia insanguinata questa infelice terra; con penna poi grondante sangue disapprova il misurato mio comportamento, tenuto per principio, ad oggetto di non pormi in opposizione colla dimostrazione di umanità che guidato avea il clemente ed ingannato Sovrano ai più duri sacrifici nell’appartarsi dalla Capitale, e per compromettere la mia responsabilità, e l'onore dell'esercito di cui era al comando, e ciò, fino a biasimarmi perché voleva ch'io imitato avessi un Marcello invece di un Fabio ().

Conobbi questo felice scrittore il 1857 in Maddaloni, ov'egli avea palazzo e beni, e ne concepì vantaggiosa stima per le non comuni sue belle qualità di cuore e di mente, che in vero me lo facevano considerare ben degno di posto amministrativo più elevato di Consigliere d'Intendenza ch'egli in quella provincia occupava.

L'ho sempre riputato di carattere franco, vivace e risentito, e perciò fiducioso io era della promessa nella sua prefazione, di non cedere a riguardi in onta della verità. — Non vi ho trovato sul conto mio la piena sua parola, né riguardante altri, oè tampoco nella descrizione ed apprezzamento de' fatti. Egli divenuto adepto de' miei detrattori, attratto forse da quelli, limitato non sii è a qualche sentimento opposto alla divergenza delle nostre convinzioni (son sue parole nella corrispondenza); egli, in onta ad ogni ragionevole mia aspettativa, a forza di reticenze, di anacronismi, di fisime, di sofismi ed altre non poche antilogie, assunto si è da romanziere più che da storico a snaturare i fatti o l'importanza di essi, per esser coerente alle sue prestabilite tesi; tendenti a calar cortine innanzi ad ogni merito che potesse riguardarmi, ed a gravarmi di colpe o torti dichiarati o presunti. Egli da callido assume autorità dommatica, affasoia generali e stato maggiore senza distinzione nei sistematici suoi asserti ideali, per aggiogare al suo carro tutte le verità che non l'accomodano: ed io coerente alle protestazioni fattegli nel discutere un nostro dissentimento strategico, come si leggerà nel mio 1.° riscontro dilucidativo fattogli li 17 Gennaio 1866, §. 5°; mi risolvetti subito di non soffrire i suoi incompetenti giudizi, ma di sottoporli a quelli del pubblico e dei veri scienti in guerra, anche de' spassionati posteri, ai quali tramandate, avrei le ragioni stesse che a lui aveva indirizzate. Informato della spiacevole prematura sua morte, innanzi di cogliere alcun frutto, tampoco morale, delle sue penose lucubrazioni, sostai dai presi determinamenti, ed invece rivolsi miei voti ali Altissimo perché l'avesse in gloria, e profondesse a larga copia le sue grazie a vantaggio della dolente di lui famiglia.

Se trattassesi di sole gare personali, avrei dato ben fine così al mio proposito. Ma le verità rimarrebbero mal tramandate alla Storia, con detrimento della fama de' più validi e fidi, degni ben altrimenti dell'umana stima, non esclusa la mia ché più addentata; a reggere la quale ho sacrificata la intera vita fin dall’inizio della pubertà con ogni annegazione; offerenda troppo penosa, alla quale l'animo mio non si sente punto disposto. Tanto dunque, per l'interesse della storia, che colla dote delle occorse verità, è di scuola nell'avvenire; quanto pel decoro di chi ben corrispose al suo compito, e del mio nome, maggior retaggio che dopo tante sofferte vicissitudini lasciar mi è dato alla mia prole; sarò a manifestare, scevro di acerbità, represso il mio giusto sdegno,. al tribunale della pubblica opinione, massimamente di chi si esercita nella scienza delle armi, questo mio carteggio con Comenti, ne' quali farà coda il mio Stato di servizio, onde non mi si assegni posto più elevato o più basso di quello che, non da lui, che ritengo per incompetente, ma dal pubblico si giudicherà essermi dovuto.

Dchito mi è però il dichiarare, che ne' miei proponimenti non vi ha luogo veruno la gara letteraria. Nella laboriosa mia carriera, intento essenzialmente allo studio del meglior da fare, mancato mi è il tempo e l'occasione di esercitarmi quanto desiderato avrei alle delizie delle belle lettere, comunque ne avessi sempre distinto il pregio.

Invito quindi il cortese lettore a non seguirmi che nella esposizione, comunque accozzata, dei miei concetti ed opere, ch'è quanto mi propongo di rassegnare al pubblico giudizio.

Pochi documenti che ho creduto più opportuni ad aversi sott'occhio in questa lettura, trovansi qui inseriti in ordine cronologico dopo i Comenti.

CORRISPONDENZA DEL TENENTE GENERALE GIOSUÈ RITUCCI 

COL CAV. GIACINTO DE SIVO

Rimessi va che Ritucci gli fa di un Cenno storico riguardante la sua persona ec.

Gentilissimo Signor Cavaliere

Dal momento che ho avuto il bene di fare acquisto del 1.° volume della sua lodevole storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, ho concepito l'utilità di farle giungere un cenno storico riguardante la m»a persona, per la non poca parte avuta nella cosa pubblica in occasione degli ultimi rivolgimenti politici: cenno atto ad offrirle una più spianata traccia noll'approfondire informazioni su quanto mi riguarda l’ho creduto per piumosi di non essere più a tempo, stante che mi si faceva sperare sempre prossima l'uscita alla luce de' susseguenti volumi, come n'ebbi il secondo.

Instruito che gli altri non potevano ottenersi prima di Natale, che vale prima di Gennaio del venturo anno, mi sono determinato a rimetterlo qui compiegato, onde possa avvalersene colla giustizia ed imparzialità che le sono di guida a formare, sulla importanza complessiva dei fatti, il raffinalo suo pensiero da tramandare alla Storia, in corrispondenza del suo annunziato proposito di biasimare il male a vantaggio della giustizia e dell’onore. Un cenno pressoché simile mi trovo di avere già rimesso ad altro storico che me ne fece richiesta. Le minuzie che vi s'incontrano sono riportale a solo oggetto di offrire il quadro veridico delle cose, con tutte le opportune ombre, per facilitarle le indagini.

Ella, nella sua avvedutezza e rettitudine, saprà esser prevenuto verso quei saccenti detrattori interessati, coi quali costà molto facilmente potrà incontrarsi; e ponendo a calcolo tutti gli estremi, contro i quali ho dovuto tener forte, fido che si convinca d'essere stata quella campagna del 1860 molto eccezionale, che non ha riscontro nella Storia!

In ogni modo accolga che mi ripeta con tuttala inalterabile stima.

L'Umil. mo servo ed amico

GIOSUÈ RITUCCI

P. S. Questo incartamento fu consegnato al suo signor fratello per mano del comune amico, col quale ha ella avuta corrispondenza.

Mentre credeva che fosse a lei pervenuto, mi fu in Novembre dallo stesso amico restituito, che, ad onta della semplicità ed innocenza dello scritto, mancava al signor fratello di lei opportunità di spedirlo con sicurezza, prevenendomi che per la posta non avrebbe' avuto forse sicuro corso. Egli, il comune amico, mi fece leggere il di lei riscontro ad una prevenzione ch'egli stesso le ne dava, dal quale desunsi la bontà mostrata ed il desiderio di avete questi elementi, per la maggior esattezza della Storia. Mi sono accinto rintracciare una occasione particolare: non prima mi è riuscito di averla; ora mi si presenta il viaggiatore che si compiace prendersene l'assunto, e me ne avvalgo, nella speranza che questo incartamento giunga ancora a tempo da esserle utile. E come le mie preghiere restano le stesse dietroscritte, senza variazione, ho preferita questa soggiunta, anzi che rifare la lettera, per meglio offrirle l'andamento dell'identico corso del ritardo.

Sono sempre con inalterabile stima, augurandole buon principio d'anno.»

Napoli il 26 Dicembre 1865.

Suo Umilissimo servo ed amico

GIOSUÈ RITUCCI

Cenni storici riguardanti la mia persona (Tenente Generale Giosuè Ritucci) che chiariscono le cose da me concette ed operate nel corso de' pubblici rivolgimenti del 1860 e principio del 1861, nel Reame delle Due Sicilie.

§ 1.°

(A) Era io al comando della Brigata de' Granatieri della Guardia, in Napoli, allorché, con Ministeriale del 31 Marzo 1860, venivami conferito il Comando Superiore delle tre Calabrie in sostituzione del Brigadiere „Caracciolo Santo Vito, chiamato alla Ispezione e Comando della Gendarmeria Reale. Il martirio di un orribile flemmone mi obbligava postergarne la partenza, con Real permesso. Il 19 Aprile riceveva in Napoli stesso la nomina a Maresciallo di Campo. Il 2 Maggio, colla piaga ancora aperta, mi recai in Calabria, fissando il mio quartier generale in Monteleone, ove mi attendeva il Generale Caracciolo Santo Vito, e dopo le primordiali cognizioni, ed avviati i diversi rami di servizio, presi a correre le Provincie, per meglio accertarmi dello spirito pubblico, conoscere le autorità da vicino, aprirmi qualche relazione, accertarmi de' maggiori bisogni delle popolazioni, e prevedervi, per quanto era nelle mie facoltà, ec. ec. Pochi malfattori erano in campagna, la cui persecuzione fu più spinta, con qualche risultato. Verificai immensi abbandoni, tra quali quelli che osservai con dolore in tutt'i forti, massimamente lungo il Faro, la maggior parte dei quali anche aperti. Il Genio ed i Comandanti delle armi nelle provincie alligavano a loro giustifica la mancanza de' mezzi. —Feci subito por mano ai provvedimenti più urgenti, e mi diressi gerarchicamente al Ministero della Guerra, per le disposizioni che gli appartenevano. La massima forza nelle Calabrie non eccedeva quattro sparuti battaglioni, che avevano molti coscritti di pianta, mezza batteria di montagna, uno squadrone di gendarmeria a cavallo, e diversi piccoli, posti sparsi di gendarmeria a piedi: gli urbani alquanto sconfidati, per l'ascendenza dello spirito rivoltoso, incessantemente soffiato dalla corrispondenza di Sicilia, per la poca forza attiva, e pel difetto di buone armi. La deficienza di cereali sperimentata in quell'anno, e lo scandaloso monopolio nella distribuzione pei comuni, de' molti che ne spediva il Governo da Napoli, ad onta delle più rigorose misure, concorreva ad incitare un malcontento. Il Governo avea emesso dapprima disposizioni per dar lavoro ai proletari: ne chiesi di più, e più ne furono emanate: ma l'effetto non corrispondeva equabilmente nelle Provincie e nei distretti; le radici della zizzania disseminata dalla rivoluzione si erano bene propagate sotterra. — Più misure presi pel buon andamento dei diversi rami governativi, e qualche vantaggio l'ottenni, ma non quanto si richiedeva: la partenza me ne fece abbandonar le fila.

(B) Dai dati con cura attinti, ed orientatomi sul procedere di Garibaldi, fui il primo a rappresentare il vero piano che quel rivoluzionario avrebbe messo in atto per invadere questa parte del Regno lo stesso che per le Calabrie realmente eseguì; e tra più provvedimenti che chiedeva, vi era quello di un aumento sufficienze di forza, con qual che altro generale di fiducia, maggior artiglieria, alquanta cavalleria, e uno stato maggiore; poco corrispondendo al bisogno la limitatissima truppa esistentevi, e l’opera di pochi uffiziali sedentari che avea al mio seguito. Disposi la riunii ne di tutta la Gendarmeria a piedi in forti distaccamenti, che avessero potuto tener mano all’ordine nei capi luoghi, ed a garentire le rimesse di somme, e di prigionieri: Feci occupare i due punti interessanti di Tiriolo e Soveria Mannelli, oltre gli altri che già si tenevano, e prescrissi un servizio di forti colonne mobili, per quanto potei.

Disposi uno spurgo ed un aumento di Urbani, contando sulle armi che mi si promettevano da Napoli, ed un servizio di maggior vigilanza sulle Coste.

(C) Nel correre le provincie, e nei miei manifesti, avea sempre in mente di fare amici al Real Governo, di alzare il velo delle magagne, per destare l’accorgimento de' padri di famiglia e della gioventù avverso alle lusinghiere promesse, che covrir dovevano il fine de' rivoltuosi, di ésiutorare Dinastia regnante e Governo, per espoliare il Regno ed asservirlo. Quegli atti non erano al certo sfoggi di eloquenza; la mano da cui sortivano era troppo incallita alle armi; ma battevano al chiodo, e solo gl'inganuati nonne seppero comprendere il merito. Niuno maledì il mio procedere: solo on cartello nei primi di Giugno, se mal non rammento, ano niuno ed in istampa, preveniva la gioventù di non dare ascolto alle mie Cantilene; cartello che m'indusse a ripeterle con maggiori dimostrazioni, che non ebbero riscontro.

(D) Da Napoli mi si accertava che sarebbesi provveduto alla spedizione di maggior forza, e da Sicilia passa vano per allora a Reggio quattro Compagnie. Rapportava l’indispensabilità di formare una Guardia Urbana mobile, chiedendone le istruzioni ed una corrispondente estensione di potere: le ebbi subilo con una espansione ài di là delle mie aspettative, confidandomisi la latitudine di stabilirne il Regolamento, e farlo tosto porre in atto; di far la nomina di tutte le cariche, senza, eccezione, di stabilire una tariffa per tutt'i gradi, tanto in servizio che fuori, ponendosi a mia disposizione tutte le pubbliche casse delle tre provincie, e di stabilire le forme amministrative, onde inviare mensilmente a Napoli, da me vidimati i documenti di esito, per ritenersi come riconosciuti; e mi si spediva il 1.° Tenente Federico Fiore del 3° Battaglione Cacciatori () per essermi coadiutore in tanto affare. Rimarcai l'incompetenza di quell'aiuto. Ritenni con mano ferma la parte dispositiva, avvalendomi di quell’uffiziale per ¡spedirlo a prendere tassativamente qualche informazione, o recare qualche ordine sul]' oggetto, ed assicurarsi dell'adempimento. Formai con non poca cura e previdenza le norme per la nomina de' semplici urbani e de graduati, le relazioni di servizio e di dipendenza cogli altri urbani e con la truppa, le tariffe per tutti, le forme amministrative, e quant'altro facea d’uopo pel buon'andamento di quell'amministrazione.

Ma in quanto al maneggio delle somme, vista l'insufficienza degli ufficiali messi al. mio seguito, non al grado di sostenere tanto pondo, per esser tutti più che, carichi di occupazione; considerando che un'involontario errore avrebbe potuto dar motivo di sospetta delicatezza delle persone elette a portarne il carico, non senza ombra per me stesso, e partendo dalla massima inalterabile, che non sempre basta di essere esatto, quando non si toglie anche il mezzo di concepire de' sospetti; guidato da tali considerazioni, elessi i tre Intendenti a miei delegali per la riscossione ed amministrazione delle somme nelle rispettive provincie, provveduti essi di maggiori aiuti; stabilendo le norme come essere informato all’istante di ogni estrazione e come pervenir doveanmi regolarizzati li doppi stati nominativi di pagamento, pel dippiù da mia parte: del tutto esponeva ragionato rapporto al Governo, su del quale non ebbi contrarietà.

(E) Giungevano da Napoli delle armi e delle munizioni, che faceva passare agl'Intendenti e Sotto Intendenti per la distribuzione. — La nuova del richiamo delle truppe da Palermo, e dell'abbandono di Catania rianimava sempre più il partito rivoluzionario, e mi obbligava a maggiori precauzioni ed energia. Sia per queste, o sia l'effetto di un piano prestabilito di non compromettersi fino allo sbarco di Garibaldi nel continente, veruna dimostrazione o tentativo armato vi fu, che avesse meritato fino allora l’impiego della forza. (F) Dovrei esibire in appoggio dell'esposto qualche documento: non ne ho, ché non ebbi la previdenza di portarmene nel lasciare quel comando, nel cui archivio tutti rimasero: negli archivi di quelle tre Intendenze, e de passati Ministeri della Guerra, della Polizia e delle Finanze se ne potrebbero forse rinvenire, stimandosi necessari.

§ 2.°

(A) Io mi trovava in Nicastro allorché mi giunse la comunicazione della data Costituzione, e con pena vedeva lo sforzo che si poneva a detrarne il merito (). Era passato a Catanzaro quando mi perveniva telegraficamente la nomina di Ministro di Guerra, il 28 Giugno, colle premure di accorrer subito in Napoli. Il portafogli della Guerra non recò gradimento veruno al mio cuore, prevedendo le difficoltà che si sarebbero opposte alla debole mia opm, in epoca di eccessi e di partiti, memore di quelli che tanta perturbazione cagionarono nel 1848, cosicché in me restò dubbia l'accettazione per molti istanti. Risolvetti di fare il meglio che sapessi, nella retta via, e corsi al novello mio destino: m'imbarcava al Pizzo, ed 1° di Luglio fui in Napoli, ov'era atteso. Il primo atto del Ministeri Spinelli, riunito la stessa sera dopo il mio arrivo, fu la riconferma della Costituzione del 1848 — Mi attendeva un'ordine ben calcolato di lavoro nel Consiglio de' Ministri, per la discussione degli urgenti decreti, o articoli di legge, che a giro i diversi Ministri avessero presentati, per indi passarli all’approvazione Sovrana, fino all'apertura delle Camere; ed in modo da lasciare il tempo sufficiente a ciascuno di occuparsi del proprio dipartimento, e che il punto di mira di tutti fosse l'immegliamento de' rispettivi rami nel senso costituzionale, da che conseguito ne sarebbe il buon prodotto della macchina governativa. — Nulla di tutto ciò. Le maggiori ore della giornata si passavano al Consiglio de' Ministri; ove con loquacità o garrulità molte quistioni si mettevano sul tappeto, ma poche e misteriose n'erano le risoluzioni. Le mene occulte influivano per intorbidare ogni retto proponimento: il nome di Villamarina era frammisto in tutte le vertenze, anche in cose assolutamente interne, in modo da stomacare. Vedeami cosi obbligalo ad abbandonar la maggior parte de' disbrighi del proprio Ministero al Direttore ed ai capi de' Dipartimenti, in opposizione al mio proposito. Non per tanto più lavori mi diedi ad intavolare pel riordinamento, e completamento delle diverse parti dell’esercito,. e materiali di guerra alterati; instituiva una Commissione presieduta dal Tenente Generale De Sauget, per molti articoli; e più provvedimenti pur emisi ne' diversi rami di amministrazione, senza dimenticare le diurne udienze a soddisfare il pubblico, per quanto poteva.

Mi proponeva di sottoporre al Consiglio de Ministri, per la disamina e risoluzione, o per la riprodottone all'apertura delle Camere, un lavoro già rassegnato «1 Sovrano per mano di S. A, R, il Conte di Trapani, prima che partissi per le Calabrie, col seguente titolo:

Pensieri del Generale Giosuè Ritucci tendenti a migliorare la condizione degli ufficiali militari di ogni rango al ritiro ed ai posti sedentari mercé, due clementi tratti di Giustizia distributiva; non che quella delle famiglie superstiti militari; il tutto gravando di poco o di nulla la Finanza. () Le fortificazioni formavano non meno oggetto de' miei pensieri, con più altri riguardanti l’amministrazione in guarnigione ed in campagna; () il personale ed unica organizzazione della fanteria, ec. ec. , da svilupparli nel prosieguo ad offerta di tempo.

(B) Il Re, con animo deliberato a mantenere largamente l'ampiezza dello Statuto accordalo, non abituato fino allora ad udire osservazioni costituzionali, non poteva essere del tutto indifferente alle prime che pel ramo militare doveano essere sommesse dal mio labbro; ed io coli dolore me ne accorgeva, comunque le accogliesse colla massima clemenza.

Feci le mie premure per l'invio di forza imponente nelle Calabrie: non ebbi veruna parte né alla; proposta de' generali, né alle disposizioni di movimenti delle truppe che vi si spedirono. Il generale Clarv, dopo ritiratosi da Catania, chiedeva da Messina instruzioni pel modo a tenere. Gli risposi di mantenersi in una Difensiva Attiva fino ad altre instruzioni. Faceva pensiero d'ingrossare, e ben corredare quel Corpo di esercito, per fargli riprendere l'Offensiva, guidato da lui o da altro Comandante di fiducia del Re, () per combattere Garibaldi in Sicilia stessa. Ne rapportava al Sovrano, che non lo disapprovava; ma io non ebbi mai più parte a disposizioni belliche, tanto che dovetti dolermi d’ignorare finanche la dimora dei diversi corpi. () Fui estranio in conseguenza all'ordinamento bensì di un Corpo di esercito disponibile sotto il comando del Maresciallo di campo Alessandro Nunziante.

—All'opposto nel Consiglio de Ministri si motivava il divieto a ciascun Ministro di conferire particolarmente col Re, ma solo col Consiglio stesso, per quindi recarsi questo in Corpo a presentarne i convenuti al Sovrano.

Non potetti addivenirvi, sostenendo che in una Monarchia costituzionale il Ministro non può disconoscere il Sovrano, massimamente nel ramo militare, quando con articolo espresso dello Statuto, come il nostro, il Re riservava a sé il Comando Superiore di tutte le forze di terrà e di mare. In tali contrarietà vidi bene che l’opera mia non era quella che si desiderava, e mi considerai nel grado di dovermi Forse dimettere dal Ministero. I Marescialli di campo Pianelli e Nunziante già da più tempo miravano a quella sedia; le file di Pianelli giunsero a toccar meglio le corde sensibili: il 14 Luglio a sera il Presidente de' Ministri mi faceva arrivare la comunicazione del Real Decreto, col quale il Re, a di lui proposizione, mi discaricava, per effetto di mia domanda, dalla carica di Ministro Segretario di Stato pel dipartimento della Guerra, che si passava al Pianelli! Presso a poco lo stesso avveniva al Ministro dell'Interno e Polizia, Del Re, supplito da D. Liborio Romano! — Così in quel Ministero Spinelli fu esagerato il colore in tutt'i rami con accorta unione di più opportuna capacità ().

§ 3.°

(A) Fui in procinto di chiedere il mio ritiro, ma non mi si lasciò tempo: il Re ebbe la bontà di farmi subito interpellare se avessi accolto con piacere il Comando della piazza e provincia di Napoli.

I momenti erano supremi! Abbandonare on giovane sventurato Monarca male accerchiato, non consentiva il mio animo: volsi pensiero alla cosa pubblica; quindi con supremo sforzo del cuore m'indussi ad accettarlo; e presto mi fu conferito con Real Rescritto del 15 Luglio stesso, in luogo del Maresciallo di Campo Viglia. Ed il Re, per dimostrarmi il suo Sovrano gradimento sulle cariche occupate, come ben mi espresse a voce, mi conferiva colla data del 16 la Commenda con placca del Real Ordine di Francesco 1.°.

In quel medesimo giorno 15, in cui fui nominato al Comando delle armi nella piazza e provincia di Napoli, vi avvenne, non so come, né da chi promosso, il ben noto eccesso, che non saprei come nomare se dimostrazione riazionaria contro i facinorosi disturbatori dell’ordine pubblico, o altrimenti, eseguiti massimamente, dai Granatieri della Guardia, che non si tennero da insultare, manomettere ed insanguinare qualche pacifico cittadino, solo perché asportatore di un qualunque bastone. Le informazioni su tale avvenimento mi davano elementi da far procedere a carico di un Sergente della Guardia, che chiesi fosse stato sottoposto al competente Consiglio di Guerra di quell'Arma, come inizio della procedura, facendomi poco imporre dalle contrarietà della gerarchia della Guardia, sostenuta dal Tenente Generale Selvaggi. Fui tacciato d'imprudenza. Ma era necessario che calmassi il pubblico con un tratto di giustizia, almeno nella forma; che apprestassi alla guarnigione un esempio di rigorosa disciplina; e che convincessi molti ch'io non era l’uomo da sapere reggere la maschera di Arimane. Quella processura non potà venire a fine durante quel mio Comando, dopo del quale null'altro ne ho conosciuto. Generalmente si sa che i Granatieri della Guardia, per savia prudenza, furono traslocati a Portici sotto aspetto di punizione, d'ordino del Sovrano.

(C) Si volle il 14 di Agosto lo stato di assedio. In una Capitale tanto popolosa e di tanto commercio; con tanta influenza ostile straniera, con una Prefettura di polizia lasciata da un Liborio Romano, e da lui tuttavia dipendente; con occulti comitati che riunivansi in casa di funzionari esteri, che doveano essere rispettati, ed ove accorrevano finanche persone a cui si spalancavano le porte in Corte; in un bollore settario ausiliato bensì dalla gente trista in armi, resa ardita dal Romano, la cui voce primeggiava ad un dipresso nel Consiglio de' Ministri, appo il Sovrano e presso l'ingannato pubblico; mancante io, per difetto di tempo e di occasioni, della conoscenza delle autorità ne' diversi rami; non avendo a mia disposizione altri mezzi che limitato numero di uffiziali invalidi per vecchiaia o per acciacchi, salve poche eccezioni; guidato da queste considerazioni, e da altre che stimo dovere abbreviare, credetti che con un rigore molto spinto avrei arrestato il corso in tutti gli affari, ed inasprita anzi che frenata la effervescenza popolare.

In tanta emergenza l'effetto avrebbe potuto sortire inverso dello scopo prefisso, dando luogo a maggior soffio estero, ed a catastrofi nella Capitale e nelle adiacenze, suscettibili a dilatarsi, con danno del pubblico e del Trono; e perciò mi tenni nella via media che generalmente si conosce, l’unica nella circostanza giudicata da me possibile, e che non è sempre la peggiore, quando gli estremi non sono sottomessi a giusto calcolo.

(D) Non mancava di recarmi alla presenza del Re, tutte le volle che poteva e che me n'era dato l’accesso, e sempre più avea la pena di convincermi che il Sovrano era tratto in incanni. Dopo l'attacco sostenuto dal Colonnello Beneventano Bosco fuori Milazzo, e la sua prigionia fatta da Garibaldi in quella Piazza, per lo strano comportamento del Maresciallo Clarv, che lo spinse tant'oltre senza conveniente sostegno; il Re mi confidava che era suo divisamento richiamare da Messina tutta la forza stimala superflua alla valida difesa di quella Cittadella. — Sommisi che un sistema costante di ritirata dovea necessariamente rendere ardito il partito di azione, tutt'i tristi, pronti sempre ad ingrossare il disordine, ovunque si annuncia, per profittarne, ed ¡scoraggiare le truppe, con pericolo della Corona. Dopo le catastrofi delle Calabrie, non saprei precisarne il giorno, () fuvvi alla presenza del Re un Consiglio di Generali coll'intervento del Presidente de' Ministri, e del Commendatore Cianciulli. onde discutersi il da farsi; mi vi trovai ammesso. Quest'ultimo Cianciulli parlò molto e bene nel senso d'incontrare e combattere Garibaldi; il Presidente Spinelli si trovò impegnato e sostenne in qualche modo lo stesso, almeno nella forma; diversi sentimenti si esternarono da alcuni Generali; io mi sconfidai di prendervi parola ().

Nulla ei conchiuse, ed il Consiglio si sciolse. Mi rimasi all’ultimo, e con me il Tenente Generale De Sauget.

Richiesto allora particolarmente dal Re, rassegnava il mio parere di far marciare un'altra forte Divisione, o piccolo Corpo di esercito ad incontrare Garibaldi per combatterlo, guidato da Generale del quale potesse fidarsi, () a cui accordar si avrebbero dovuto alti poteri, e ritenere riunita in Napoli e nei dintorni tutta la residuale truppa disponibile, per l’ordine della Capitale, e per valere ove più occorresse; indipendentemente dall'impiego di ogni altro mezzo atto a ridestare nelle popolazioni l'amore alla legittimità.

Il Tenente Generale De Sauget, concorde all'idea di un Corpo di esercito operante, opinava che gli ordini di ogni movimento dovessero partire unicamente dal Re. Non mi estendo a comenti su i due pareri. Io era nell'intendimento che il Generale abile e fedele non avrebbe dovuto essere inceppato: Inabile o infedele, avrebbe ingenerate nuove sventure, comunque e qualunque fossero gli ordini da cui dover dipendere.

§ 4.°

Non so se Colpo di Stato, o altra operazione in seguito si opinasse, per meglio assestare l'ordine in questa città, per la concorrenza di che credettesi meglio corrisponder vi potesse il Maresciallo di Campo D. Raffaele Conte di Aragona di Cutrofiano; e per tanto il 27 Agosto mi veniva ordinato di ceder subito quel Comando della provincia e Piazza di Napoli al cennato Maresciallo Conte di Cutrofiano; ciò che all'istante fu eseguito, con mia sorpresa bensì, ma senza pena, tranne quella che mi cagionava la costante continuazione dei tranelli, che trascinavano la macchina del Governo alla per dizione.

Lo stesso dì 29 Agosto altra Ministeriale mi comunicava il comando del Re, che assumessi provvisoriamente il carico della Ispezione della Cavalleria di Linea, durante l'assenza del Maresciallo di Campo Conte Statella. —Niuna variazione ebbe luogo all'ordine di cose da me rimaste col Comando delle armi nella Capitale e provincia, ed il Maresciallo di Cutrofiano dopo tre giorni dovette lasciarlo, per cederlo all'altro Maresciallo Cataldo!

§ 5.°

(A) Il 2 Settembre ebbi il Comando della Divisione di fanteria della Guardia, il cui quartier generale era in Portici.

Il giorno 3 vidi il Sovrano, che mi accolse colla consueta sua amabilità, nulla confidandomi delle sue vedute. Si erano riunite due Divisioni di truppe nelle posizioni di Salerno, sotto gli ordini del Maresciallo di Campo Gaetano Afan de Rivera, per opporsi a Garibaldi, che si dubitava si avanzasse con rivoltosi ingrossati dalla parte di Eboli. Sembrava che il Re volesse così attenersi in parte al succennato mio umile suggerimento, e più a quello del De Sauget.

Il giorno 4, mentre attendeva invano di rivedere il Re, seppi in Corte che quelle truppe andavano a ricevere l'ordine di ritirarsi, lasciando in tal modo sempre più libera la strada alla marcia di Garibaldi, che si avrebbe dovuto invece rintracciate e respingere: ormai sono di pubblica ragione le gherminelle che in allora si usavano per ottener quello intento. Fattosi tardi} e non avendo potuto più rivedere il Sovrano, mi recai dal General Maggiore Principe d’Ischitella, che avea più libero accesso in Corte, ad istanzarlo d'impiegar la sua parola presso del Re, onde tentare di dissuaderlo da quel fatale sistema di ritirata, ch'io attribuiva a magagna de' tristi. Il Principe d’lschitella, che parmi nulla ne sapesse, si penetrò della cosa, ed all’istante chiamò per vestirsi; ed io corsi al mio posto a Portici, per tenermi colla Divisione pronto a tutti gli eventi.

(B) Il 5 Settembre mi arrivava in Portici l'ordine di recarmi a Nocera colla Divisione che mi dipendeva, e con una batteria che vi era attaccata, per ivi congiungermi alle troppe che si ritiravano da Salerno col Maresciallo di Campo Gaetano Afan de Rivera. Mi posi in marcia lo stesso dì, e giunsi a Nocera a sera avanzata, ove arrivato già vi era il detto Maresciallo colla truppa dotto i suoi ordini, oh'ebbe minor estensione a percorrere. La notte mi perveniva altr'ordine di maroiar l'indomani colle tre Divisioni riunite per Caserta, ove pervenute mi sarebbero analoghe instruzioni; e l'indimani, giorno 0, all'alba fummo tutti in marcia sullo stradale di Caserta, e vi arrivammo a buon mattino.

Dopo le prime disposizioni di sicurezza, prendeva le mie misure per occupare le più convenienti posizioni, e disponeva il meglio per assicurarvi il servizio di sussistenza, in attenzione d'istruzioni; ivi conoscendo che il Re colla famiglia Reale si era già recato a Gaeta.

Nelle ore pomeridiane mi spinsi di corsa a Capila, ove seppi ch'era il Sotto Capo dello Stato Maggiore con porzione di questo Corpo, per avervi lumi, e vi ebbi il primo avviso di dover prendere posizione dietro la linea del Volturno: erasi fatta sera avanzata; faceva muovere le truppe a Brigate la mattina del 7 a prim'ora, mentre faceva tenere perlustrata più che altra, la volta di Napoli e di Nocera, e vigilata la ferrovia, senza arrestarne ancora il corso; destinando le forze di tutt'i posti e pattuglie riunite a chiudere la marcia da dietroguardia, dando tempo ai resti di cavalleria, ch'erano ancora in Caserta ed in Santa Maria d'eseguire il loro movimento. Alle ore 7 e 3[4 antimeridiane mi arrivava da Gaeta la prima segnalazione telegrafica dal Re, ed alle ore 8 antimeridiane la seconda, ambe contenenti il riepilogo del Comando che io serbar doveva di quel residuale Esercito, e le prime istruzioni dirette di prendere posizioni militari adatte su quella linea, o più indietro, con libertà di azione; di completare lo Stato Maggiore con intelligenti uffiziali, riordinare la truppa che si andrebbe raggranellando, e di fargli arrivare rapporti di ogni novità.

Documenti N. 1 e 2.

(C) Avrò nella esposizione fin qui ecceduto forse in particolarità che saranno giudicate oziose, mentre all’opposto avrò lasciate lagune di altre peculiari che si sarebbero attese con interesse. Privo di elementi confermativi, ho dovuto attenermi ad una narrativa delle cose che mi hanno riguardate, ed essere in queste spoglio di reticenze naturali: vi si potrà attingere quello che più convenga; altri forse offriranno di più.

§ 6.°

(A) Una esposizione progressiva di tutto che avvenne a quell'Esercito di operazione, durante il mio Comando, mi obbligherebbe ad estendere un giornale a forza di memoria, senza completo appoggio di documenti, che non ho tampoco, perché rimasti nell’archivio di quel Comando in capo, nel cederlo al Tenente Generale Salzano; dovrei ad un dipresso fare una Cronaca. —Questa è già compilata da più di un'anno e mezzo dal Tenente Colonnello di quello Stato Maggiore Giovanni Delli Franci, il quale nel corso del 1863 ne spargeva finanche manifesto al pubblico; opera che potrebbe apprestare, senza tema di fallo, quanto fa d'uopo. Fin ora però non l'ha dato ancora alla luce, non so per sue ragioni (). In tale stato di cose non mi resta che rimettere un mio opuscolo edito di Agosto 1861, di riscontro ad un anonimo, per valere nel caso che non l'abbia lei scorso, e copia di un altro riscontro inedito fatto al Generale Giuseppe Palmieri, con seguente corrispondenza, per attingervi quel che vi è, nell'ipotesi che non ne abbia lei cognizione, dai quali elementi potrassi non meno rilevare quanto fa al caso, senza che mi dilunghi in ripetizioni, e così limitarmi ad aggiunger qua solo compendiate quelle dilucidazioni su' miei concetti ed opere, che non appariscono sufficientemente dagli stessi, nò da altri scritti usciti fin'ora alla luce, per quanto nella ritirata mia vita ne sappia, riguardanti quella gloriosa e sventurata campagna del 1860 e 1861.

E conseguentemente sono a dire, che riunito d'ordine Sovrano dietro la linea del Volturno quel residuale Esercito, composto da Corpi e da molle frazioni che non peccavano di fellonia, o che poterono sfuggire in vari modi ai funesti esempi del tradimento de' loro comandanti; furono da me impiegati i primi giorni a riconoscere le posizioni, le sinuosità ed il letto del fiume; a ripartir le truppe colle analoghe istruzioni, perché il nemico da dovunque si presentasse fosse energicamente respinto dalla massima t'orza; alle misure opportune per inuagliare l'Esercito, privo di riserve di viveri di sorta alcuna; a far ritirare la scafa di Cajazzo, ed il ponte a battelli di Triflisco, pel vantaggio troppo marcato della riva sinistra del Volturno sulla destra molto sottomessa in quei punti, ed anche per ordine espresso del Re; a far tagliare la ferrovia proveniente da Napoli, verso l'estremo raggio di attacco della Piazza di Capua; alle providenze per riorganizzare le svariate frazioni di ogni arma, provenienti da più direzioni, incomplete d'armi o inermi affatto, e mancanti di abiti, di biancheria e di calzatura, e per rivestirle e riarmarle; a rialzarne lo spirito, e far loro riacquistare la perduta fiducia nei superiori; a disporre lo stato di assedio nella Piazza di Capua, che proclamato non si era da quel governatore Maresciallo di campo Pinedo, e stabilirvi le calcolate prescrizioni pei casi di allarme e di attacco da qualunque fronte o lato venissero; a ri vistare la detta Piazza, oltremodo abbandonata, e disporvi i più pressanti lavori, per ridurla non solo nello stato di respingere un colpo di mano, ma di presentare tutta la possibile resistenza anche in caso di formale attacco e di assedio, e perciò riarmarla, e porne a buona disposizione le munizioni; a provvedere alle più acconce e meno onerose misure per un aumento di viveri nella stessa, che ne difettava presso del tutto; a ripartire i Comandi secondari, le artiglierie, le scorte, il servizio amministrati ec, ec. ec.

(B) La mattina dell’8 mi fu rapportato che il Governatore della Piazza era molto malato. Fui a vederlo al termine del giro di quella Piazza, e lo rinvenni a letto vomitando, e con accesissima febbre, tanto che io offriva all’agitatissima sua famiglia delle medicine omiopatiche, nel caso si risolvessero a preferirle, e disponeva che fino al suo ristabilimento il Brigadiere De Cor né ne prendesse l’interina firma.

Più al tardi mi arrivava segnalazione telegrafica da Gaeta, di spedirlo colà per esser sottoposto a giudizio. Ciò mi fece gran senso; e come da poco io stesso lo avea lasciato nel cennato abbattimento, lo enunciai in riscontro pel filo elettrico, accertando che avrei dato esecuzione all'ordine, tosto che sarebbe stato nel grado di reggere al viaggio; e sul dubbio di qualche calunnia, mi stimai in dovere di aggiungere che fino a quell’istante non era a mia conoscenza indizio veruno di reità contro quel Generale. — Fui forse troppo di buona fede, per non averlo fatto guardare nello stato di arresto. — Quale fu la mia sorpresa il dimani mattina, allorché mi si rapportava che il Governatore era sparito colla famiglia!—Dopo un giorno o due egli faceami arrivare senza data un biglietto col quale, ad un dipresso, si confessava manchevole, e ne chiedeva scusa, ma che aveva dovuto così procedere, comunque malato, per isfuggire agli effetti pericolosi di ordita calunnia, su di che si sarebbe saputo ben giustificare a tempo opportuno. Egli pare che scrivesse da Santa Maria, già invasa da rivoltosi. Quel biglietto fu da me tosto sommesso originalmente con rapporto per espresso a Sua Maestà a Gaeta. Nelle ore pomeridiane del 0 stesso pervenne il nuovo Governatore Maresciallo di campo Salzano nella Piazza, e subito si pose in possesso del suo esercizio.

§ 7.°

(A) Garibaldi informato che il paese tra Maddaloni, Caserta e Santa Maria erasi abbandonato dalle truppe regie, come forse si attendeva, ne fece a gradi occupare ed afforzare i punti più interessanti. Non tardarono i suoi tentativi di sorpresa e di passaggio, ora in un punto ed ora in un altro della linea del Volturno, sempre falliti con perdita, per la più accorta e valida resistenza. Il 19 settembre, a giorno inoltrato, Garibaldi diede effetto con molta forza ad un vigoroso e concertato attacco generale di sorpresa, tanto verso la Piazza di Capua, che su tutta la linea del Volturno non solo, ma anche dal lato di Roccaromana e Pietra Vairano per accennare a Teano. Da per ogni dove i garibaldiani si battettero col massimo ardimento, determinazione, ostinazione, e potrei dire anche con accanimento: ma da per ogni dove furono vigorosamente respinti con immensa loro perdita, non senza lasciare un centinaio circa di prigionieri, il Maresciallo di campo al ritiro Francesco Rosaroll, entusiasmato dai colpi di fuoco, si spiccava tra gli avamposti, rinforzati e diretti dal Tenente Colonnello Matteo Negri, per aggiungere l'opera sua ad animarli e guidarli, e vi fu ferito da colpo di fucile alla spalla dritta. Presenziai all'azione nella Piazza di Capua fino ai assicurarmi dello esatto procedimento della guarnigione a sostenerne la difesa o poi lasciatane la intera cura al Governatore, corsi ad accertarmi dell’operato in tutta la linea, seguito da parte dello Stato Maggiore e da uno squadrone di scorta, massimo verso Triflisco, dalla cui direzione più sentivasi il cannone. In ogni punto ebbi il piacere di trovare eseguito con esattezza e validità quanto a ciascuno competeva; cosicché il nemico, dopo molte ore di sforzi, avvicinatosi il sole all’occaso, si pose da ogni parte in ritirata. Dagl'immensi cadaveri rimasti, specialmente innanz'il fronte della Piazza, si conobbe che vi erano anche de' soldati abigliati da garibaldiani ().

(B) Annebbiava questa brillante giornata la poca fermezza dimostrata dal Tenente Colonnello Ferdinando La Rosa, che stando postato a Caiazzo col 6.° Battaglione Cacciatori di suo comando, nel vedere approssimare dalla direzione di Amoroso una colonna di rivoltosi, abbandonò Caiazzo prima del loro arrivo, senza combattere, in opposizione degli ordini che aveva, e prese posizione alla Piana, per impedire, come impedì, che uscissero dallo sbocco dello stretto che presenta quella strada.

Caiazzo fu subito afforzato dal nemico con replicate barricate, e fuochi incrociati dalle diverse case ed edifici che ne dominano l'ingresso, e con aumento di altri battaglioni. Doveasi rioccupare.

Il Brigadiere Filippo Colonna, Comandante della 2a Divisione di Cacciatori, a cui era affidata la linea del Volturno da Triflisco a Cajazzo, senza attendere miei ordini disponeva da sé il mattino del 21 Settembre, che lo stesso Tenente Colonnello La Rosa col 6.° Battaglione ai suoi ordini, rinforzato dal 4.° Battaglione cacciatori, comandato dal Tenente Colonnello Giovan Battista Della Bocca, due plotoni di cavalleria e mezza batteria di montagna, si recasse a riprendere quella posizione, ove raccolti ormai si erano quattro battaglioni di garibaldini con riserva di munizione (). Nel recarmi ad invigilare il buon andamento delle cose da quel lato il mattino stesso verso le ore 8 o 9 antimeridiane, seguito da pochi uffiziali dello Stato Maggiore, e da due plotoni di cavalleria di scorta, e per dare a quel Generale riservate istruzioni per la ripresa appunto di quella Città nel dimani, il Generale Colonna mi rapportava a voce le disposizioni da lui date, di che spedito ne avea rapporto scritto al Comando in capo in Capua.

Giudicai all'istante l'insufficienza di quella male azzardata misura; spedi di galoppo l’ordine al Brigadiere De Mechel di partire subito per raggiungermi a Cajazzo colla intera sua brigata di tre Battaglioni carabinieri esteri e la corrispondente batteria da campo di sei pezzi rigati, che all'oggetto richiamata e pronta teneva in Capua a dippiù della guarnigione; e raccolto mezzo Battaglione dell’8° Cacciatori, comandato dall’Aiutante maggiore Fondacaro, che all'istante era più alla mano, gli diedi ordine di seguirmi a marcia forzata a Cajazzo, ove l’attacco dovea esser molto inoltrato.

Il Generale Colonna rimaneva coi due Principi Reali, D. Luigi Conte di Trani e D. Alfonso Conte di Caserta, che recati si erano in quel Campo, e che, verso la fine dell’attacco in Caiazzo vi si estesero, e coi medesimi, dopo l'assalto, facean ritorno. —Tra i feriti nostri che conducevansi all’ambulanza, incontrai al piede della salita di Cajazzo lo stesso Tenente Colonnello La Rosa su di una branda, mortalmente colpito da palla di fucile. Par che fatalmente così, lo sventurato, pagasse a caro prezzo il fio del suo errore!

Gli attacchi de' cacciatori regi erano sostenuti ed animatissimi; ma la difesa degli avversi, garantiti dalla posizione e dai ripari, era ostinata e viva tanto che ne lasciava molto dubbio il risultato. Entrato in azione quel mezzo battaglione che mi seguiva, alla direzione superiore del quale, e dell'artiglieria, vi assegnava il Maggiore Giovanni Delli Franci dello Stato Maggiore ch'era presso di me, l'attacco rinvigorì, e la vittoria arrise ai regi: assaltate ed aperte barricate, vi prese parte anche quel poco di cavalleria, compresa la mia scorta; ed i garibaldiani incalzali negli edilizi e nelle case, come all'esteriore per le strade, si posero in precipitosa ritirata, inseguiti, lasciando moltissimi morti e feriti, e circa 370 prigionieri, compresi questi ultimi; trai quali molti Uffiziali, ed il Comandante di Battaglione Cattabene ferito; che vi comandava superiormente ().

Qualche abitazione all'ingesso, ch'era stata occupata da combattenti avversi, messa era in fiamme.

La brigata estera arrivava al piede della salita di Caiazzo dopo cessata l'azione.

Per salvare quella Città dalle conseguenze funeste già iniziate di un assalto, disposi che la brigata De Mechel ne occupasse la posizione, ritenendosi per poco quel mezzo battaglione cacciatori napolitano, e vi si stabilisse militarmente con qualche trinceramento, dipendendo dal Generale Colonna; ed i due battaglioni cacciatori che avevano aperto lo attacco scendessero alla Piana, per riprendere il 4 ° le sue incumbenze, ed il 6.° essere adibito dal Comandante di quella Divisione, Generale Colonna. ! feriti avversi e prigionieri furono trasportati e scortati a Capua, ed io vi rientrava a notte scura, dopo di essermi assicurato dell'adempimento di tutto.

(C) Sarebbe stato quello il momento più opportuno di prendere l'offensiva, per marciare sopra Napoli; ma pendeva la Sovrana risoluzione sul Piano da eseguire, come sono per esporre.

§ 8.°

(A) Da più giorni si trattava di dover prendere l'offensiva per impor l'ordine alla Capitale. —Tra i più famosi Capitani de' vari tempi, il più grande e più prossimo a noi, Napoleone 1.°, ci ha lasciate tra le sue sentenze le due seguenti:

«Un pian de campagne doit avoir prévu tout ce que l'ennemi pout faire, et contenir en lui même les movens de le déjouer.

Les plans de campagne se modifient à l’infini selon les circonstances, le génie du chef, la nature des troupes, e la topographie du théâtre de la guerre».

«A la guerre le chef seul comprend l'importance de certaines choses; et il peut seul, par sa volontà et par ses lumières supérieures, vaincre et surmonter toutes les difficultés.»

Guidato da tali ed altri ammaestramenti di più trascendentali Capitani, aveva offerto il 18 Settembre il mio Piano di operazioni, nei soli movimenti generali, con tutte le considerazioni che mi credetti in dovere di presentare, calcolate sulla forza delle diverse arme componenti quel residuale Esercito; sulla mitezza de' mezzi di ogni natura; sullo stato morale delle scandalizzate truppe e delle diverse classi gerarchiche; sulla istruzione ed esperienza di guerra delle medesime; sul quadro topografico del teatro di operazioni, prese in ¡speciale considerazione le strade che da Capua conducono a Napoli; sulle risorse ed ostacoli che avrei dovuto incontrare; sulla disposizione politica delle popolazioni in quell'agro da percorrere, e massimamente di Napoli; sulla contrarietà, tolleranza o adesione straniera al mio operare; sul numero e composizione del nemico, per quanto poteva essermi noto; sulle sue posizioni, ripartizione ed attitudine, ec. ec. —Trattavasi di avanzare verso la Capitale coll'intero Esercito in tre colonne, per tre strade pressoché parallele ed a breve distanza, direttrice quella per S. Tammaro ed Aversa, onde occupare le posizioni dominanti di Capodimonte ed altre, da dove chiamare la Capitale all'ordine. —

Ed In ciò seguiva inoltro 1 dettami di Logistica () dell'Arciduca Carlo d'Austria, che così si esprime: «Quanto pronto e deciso è duopo che sia un Generale in Capo nel tempo della battaglia, tanto prudente e circospetto bisogna che si mostri nel determinare e noll'eseguire la sua marcia.

«Dal fine dipendono, l'ordine di marcia, la scelta del terreno, non che il numero delle Colonne in cui deve procedere l'Esercito, e le armi da cui ciascuna di esse esser deve composta.

«In ogni caso, sarà ben marciare in tante Colonne quante sarà possibile poterne fare, ma in a modo però che ognuna non sia tanto debole da non poter bastare a sé stessa; le distanze fra a le medesime debbono essere tali che esse possano reciprocamente sostenersi, e comodamente a procedere». ()

Non mi estendeva alle ben concepite misure di second'ordine, cioè per tener forte il punto intermedio di Aversa, ed aperta per quanto possibile la comunicazione con Capua, se non per la Direttrice, per le strade secondario, ponendo a profitto la buona disposizione di tutti quei paesi; per la ripartizione, piazzamento, attitudine e sussistenza delle truppe; per fortificare alle spalle più che alla fronte gli accessi delle posizioni, tenendo tra di esse libera comunicazione, ed altro. Mi proponeva di presentarmi alla Capitale colla massima fermezza ed operosità, ma da leale e fido Generale, amante del vero bene del proprio paese, coerente alla clemenza del Sovrano dichiarata col suo manifesto del 6. Settembre, onde avere a tutto costo la sottomissione della Città, e l'allontanamento del nemico, evitando, per quanto possibile forse, i tristi effetti dell’inasprimento de' partiti, e della manomessioue della plebe, sempre proclive al saccomanno, ed a cruenti eccessi a fine di pervenirvi.

Ed in quel piano non ometteva esporre, che con truppe più agguerrite avrei preferito di principiare per debellare col massimo della forza i rivoltosi nelle loro fortificazioni erette in S. Angelo ed in Santa Maria.

(B) Chiamato alquanti giorni dopo dal Re a convegno sotto Sparanisi (se ben ricordo il 23 Settembre), ove intervenne anche lo Svizzero Brigadiere De Mechel, il Sovrano, dopo avermi onorato con elogiare il mio Piano, mi est chiava la preferenza che avrebbe data all'altro col quale poi si agì. Sommisi tutte le difficoltà che mi obbligavano a scongiurare che quel Piano non avesse effetto, ed il Re si mostrò alquanto sorpreso dalla mia disapprovazione, tanto era prevenuto a favore di quello.

Chi lo propose volle fare il Napoleone, nulla curando i dettami opposti di molti altri condottieri rinomati, e bulla rammentando l'esito fatale per quello della giornata di Waterloo. Il Brigadiere De Mechel si teneva nelle mezze parole. Il Sovrano, sempre docile e buono, rimase indeterminata la discussione, per considerarla meglio in Gaeta. Altri giorni scorsero inopportunamente, dando più tempo ali avversi di munirsi ed afforzarsi ().

Il 25 Settembre mi fu finalmente ingiunto di prendere determinatamente l'offensiva il 27, salva eventualità, seguendo appunto quel Piano che il Re aveva preferito. Gli altri giorni che trascorsero fino al 1.° di Ottobre si perdettero per la inaudita indeterminazione del Brigadiere De Mechel, che doveva coagire dal lato dei Ponti della Valle, e che da Caiazzo mi lasciò due giorni senza risposta, ad onta di ripetuti messi, e della vana personale mia corsa fin là, perché noi rinvenni. Al riedere in Capua trovai sua giustifica, con che chiedeva più precise istruzioni, che poi male esegui: cose tutte che con documenti vanno ragguagliate nella Cronaca della Campagna sopraccennata, che dal redattore fu messa sotto il mio sguardo, per la parte che mi riguarda.

§ 9.°

Quest'ordine di attacco in modo sì contrario al mio convincimento, confesso che mi tenne in forse. So che si è detto, e può dirsi ancora, che dovea io piuttosto chiedere la mia dimissione: il Re costituzionale, dicesi, regna e non governa, e non avendo Francesco 2° fino allora derogata la Costituzione data, non poteva ordinare un Piano di guerra contrario alle vedute del Generale in Capo. —Anzi tutto rifletto che la dimissione domandata nel caso di darsi una Battaglia porta sempre l'impronta del dubbio di viltà, se non anco del tradimento, qualunque possano esserne le ragioni. Nel caso mio però, oltre a queste, ben altre considerazioni più delicate si presentarono alla mente. Già molti Generali aveano vilmente tradita la causa del Re e perciò del Regno, ed altri l'aveano abbandonato. Dovea volgergli anch'io le spalle nell'estremo bisogno di fidi al suo Trono?

Non ho saputo farlo, né mai lo farei, se mi trovassi altra volta in simile posizione! Non fu dunque mancanza di coraggio civile, di che qualcuno avea tentato tacciarmi; ma invece generosità d’animo, zelo, devozione al mio dovere, all'onor mio; oltre l'attaccamento che avea professato fino all’ultimo alla Dinastia, della quale seguiva la Bandiera, per il bene della Patria; né per interesse, ché mai ho appartenuto alla perigliosa casta de' favoriti ().

Ma per meglio distinguere se il Re poteva o pur no ordinare un Piano di attacco da seguirsi, qualunque avessero potuto essere le facoltà accordale al Generale in Capo di quell’Esercito, fa d’uopo rammentare che la forma di Costituzione sotto la quale si governavano tutti coloro che seguivano il Re al di là del Volturno, era la stessa del 1848, in dove il Sovrano con espresso articolo riteneva alla esclusiva sua dipendenza tutte le forze di terra e di mare.

Nella zona del Volturno a Gaeta il Re si considerava presente al residuale suo Esercito, e come Re, e come Comandante superiore dello stesso; ed io, avendo il Comando in Capo dell'Esercito di operazione nella zona del Volturno al Garigliano, doveva considerarmi per obbligo dipendente dai Sovrani cenni, tanto per mezzo del Ministro della Guerra, che direttamente. Ogni alterazione a questi concetti mi convinceva di risponsabilità. —E come mai mi avrebbe colpita, se un sinistro mi fosse avvenuto agendo in controsenso degli ordini del Re, forse anche prima discussi ed approvati nel Consiglio in Gaeta? — Ed è perciò, che dopo di aver sostenuto colla più valida fermezza il mio calcolato sentimento, mi rassegnava all'esecuzione degli ordini precisi, limitandomi alle bene espresse proteste, precisando il caso che presentiva, dello inesatto adempimento di quanto ingiunto era al Brigadiere de Mechel. —Quali e quante siano state poi la mia attitudine, le mie previdenze, le mie provvidenze, e la mia annegazione per la buona riuscita di quel Piano, gli elementi che a questa esposizione si accompagnano lo comprovano in molta parte; non che i combattenti in quella giornata del 1° Ottobre che siano scevri di prevenzione a me ostile, e più di ogni altro il Sovrano stesso ed i Principi Reali, che si degnavano farmene gli elogi,accordandomi con magnanimità ragione delle mie previsioni. Le cagioni per cui non si superò Santa Maria; e quindi non si progredì verso la Capitale, sodo espresse negli stessi elementi, oltre quanto se ne conosce dai contemporanei non preveduti testimoni oculari.

Il nemico nulla guadagnò su di noi: le perdite furono pressoché eguali, () ad onta della mal diretta e fallita cooperazione della Colonna del Brigadiere De Mechel, e dell'opera venuta meno dalle Colonne di attacco e della Riserva di fanteria della Guardia Reale.

Il risultato di quella giornata parmi perciò che possa essere per noi caratterizzato più come tentativo mancato, che quale battaglia perduta.

§ 10.°

Generalmente conosciutosi lo scoramento in cui erano caduti i Garibaldini ed i loro commilitoni,'giudicando ogni uno a posteriori, si è detto: — Ma perché l'Esercito Regio non ha ripresa l'offensiva l'indomani?

(A) «On ne va pas sur le chemin d'une Capitale, si les préparatifs ne sont conformes à la grandeur de l'entreprise.»—Il Generale francese Championnet giunse in Gennaio 1799 ad invadere Napoli con un Corpo di Esercito presso che della medesima nostra forza; ma composto di Generali, ufficiali e truppe agguerriti, superbi di vittorie, pieni di reciproca fiducia; Esercito favorito a tutta possa dalla rivoluzione di quell'epoca; e perciò provveduto di quanto si conviene per vincere, avendo in suo favore in detta Capitale il valido ed operoso partito de' Patrioti, che al possesso di molti mezzi, aveano in loro potere ben anche il Forte di S. Elmo, tenendosi con quel Generale in Capo in corrispondenza, i quali Patrioti giunsero ad attaccare di fianco ed alle spalle i realisti difensori, allorquando erano alle prese coi francesi; vittoria che il Generale francese non ottenne che solo dopo cinque giorni di accaniti combattimenti, sostenuti soltanto da popolani miseri, ignoranti, male armati e privi di disciplina, che molto sangue gliene fecero costare.

(B) Dopo l'errore dell'abbandono della Capitale, con tutt'i mezzi e risorse rimaste al nemico, e dopo l'ordinata riunione del residuale Esercito dietro la linea del Volturno, lasciandosi anche gli altri paesi di risorsa, e le posizioni tra Capua e Napoli, ove i rivoltuosi già compromessi erano piucché inebriati nello esaltamento della rivoluzione; ogni mia marcia su Napoli era imprudenza. Il nemico occupando ormai le più valide posizioni in forza, ostando, o bersagliando la marcia dell’Esercito, ne avrebbe potuto girare la coda per tagliarlo dalla sua base; avendo al fronte la compromessa Capitale con tutt'i Forti ceduti al nemico, con gli accessi di non difficile difesa, e ricca di mezzi di ogni sorta; costretto io da avvalermi di una marcia di fianco, col mare sul lato dritto, intrapresa da eseguire in parte con frantumi dell’Esercito, tra quali molti già vittime di tradimenti perciò sospettosi, guidati da Uffiziali di poca confidenza e non agguerriti; nella penuria di ogni mezzo, e più marcatamente dì viveri, di trasporti, di danari, di munizioni da guerra sufficienti per tutt'i calibri, e di ricambi per la,fanteria, non che di una prestabilita corrispondenza che assicurasse la cooperazione di onesto partito di reazione; nella mancanza non solo di una Marina militare, che coadiuasse le operazioni del Regio Esercito, e lo provvedesse del bisognevole che non potesse ottenersi per terra, avendo all’opposto il rischio del opera della Marina contraria, ed in una ristrettissima sfera di azione strategica; in tale svantaggiosa situazione giudicar io doveva fin dal principio rischioso il far ritorno sulla Capitale nella massima effervescenza, e dopo il cennato manifesto del Re, che lasciava la Capitale per evitarvi rovine e sangue!—Rovine e sangue che vi avrei potuto ben produrre, malgrado tutto il buon volere di evitarli, ingenerando nuovi pretesti per soffiare la maledizione sulla Dinastia malvista da taluni governi e dalla rivoluzione.

(C) Se però riteneva quei pericoli innanzi la giornata del 1.° Ottobre solo come possibili, nella probabilità di superarli, come concludeva nel mio Piano di diversione sopra Napoli, dato il 18 Settembre, non era lo stesso dopo l'esito di quella giornata, per effetto della quale tutte le Armi sofferto aveano detrimento nel fisico e nel morale, massimamente le due Brigate dipendenti dal Brigadiere De Mechel, e la Divisione della Guardia, conform'è detto nel mio opuscolo di Agosto 1861; allorché tutt'i bisogni cresciuti erano a dismisura, non escluse le munizioni da guerra scemate di molto, e per alcune con poca speranza di rimpiazzo. La situazione ridotta era più malagevole: le difficoltà che per lo innanzi calcolava per dieci, erano divenute per cento, finché fossi riuscito a ricomporre le sgominate truppe, a rifornirle in parte, a rialzarne lo spirito con vantaggiosi attacchi parziali, a ridonar loro la fiducia ed a riacquistarla, e ad ottenere da Gaeta qualche provvedimento indispensabile, tra quali lo scambio de' Granatieri e Cacciatori della Guardia; senza de' quali provvedimenti prevedeva la massima probabilità di una dissoluzione in quell'Esercito, sul sospetto di esser mal diretto o tradito, vedendosi spinto ad ardua impresa nella penuria di tutto, financo de' mezzi di prolungata offesa o difesa, che tampoco da Gaeta avrebbero potuto più arrivarmi. .

Esercito che io riguardava come il Palladio della Corona e dell’autonomia del Regno, sopra ogni altra cosa; il solo che avrebbe potuto appoggiare un molo popolare in sostegno della legittimità e della indipendenza della Patria; la dissoluzione del quale dissipava la fiducia in ogni altra risorsa, visto il quadro politico del momento in Europa;— come lo ha poi dimostrato il fatale suo scioglimento, dopo le erronee strategiche operazioni che lo gettarono sotto Gaeta, e poscia infranto nello Stato Romano!

(D) Ma quand'anche avessi voluto azzardare un inconsiderato colpo alla Carlo XII sotto Pultava, colle residuali truppe mancanti di tutto, non esclusa la confidenza, non avrei tampoco potuto disporlo pel dimani. Delle due Brigate formavano la Colonna de Mechel non se ne aveva nuova veruna, e solo dalla fallita sua missione poteasi argomentare la sua catastrofe, che poi si seppe alla rinfusa spiacevolmente dopo più giorni, a furia di Uffiziali di Stato Maggiore spediti a rintracciarla verso Amoroso, tutta dissolta, e con la perdita di circa tremila uomini!—non potetti avere i descrittivi rapporti di quegli avvenimenti che il 15 di Ottobre con data anteriore del 13!—La piccola e ridotta Divisione di Cacciatori dipendente dal Maresciallo di Campo Gaetano Afan de Rivera, energicamente guidata dai due Comandanti di Brigata, Brigadiere Gaetano Barbalonga e Colonnello Vincenzo Polizzy, ritirata dagli attacchi di S. Angelo, non priva era di sgomenti e di bisogni, che non poteansi dileguare in poche ore.

I Granatieri e Cacciatori della Guardia, a dippiù di sgomento dir debbo con pena che mostravano anche malavoglia (salva sempre la specialità che si distinse con onore e gloria), ed i loro bisogni erano innumerevoli, per aver gettati quasi nella totalità caschi e sacchi, molti le giberne, ed alcuni anche i loro fucili; uè più fidato mi sarei d'intraprendere con esso loro operazione veruna in que' momenti, lo dunque mancava di tutt'i mezzi che mi offrissero possibilità di riuscita. —Né tampoco cognizione aveva dello scoramento che non meno e forse più pativa il nemico. L'ascendenza del partito rivoluzionario nei Comuni, e qualche barbaro esempio di fucilazione dato da Garibaldi, sopra debolissimi dati, e semplice sospetto di spionaggio, rendeva a noi difficilissimo l'averne; all'opposto di quanto sperimentavasi in favore dei rivoltuosi, a cui non mancavano per effetto della stessa ascendenza, e financo per vili venduti tra lo nostre file medesimo!. . .

Il non avere il nemico inseguito energicamente le regie Truppe in ritirata, non ne offriva sufficienti dati, dacché si trovava a breve portata dalla Piazza d’arme che aveagli più volte fatto sperimentare gravi perdite, e dalla linea di un fiume la cui custodia non si era per nulla abbandonata. Ed il Re istesso la sera in Capua, prima d’incamminarsi per Gaeta, persuaso dell’espresse deficienze, conveniva che pel dimani non era possibile intraprendere cosa veruna. — Un Esercito che vien guidato a riprendere l'offensiva, dopo una giornata non felice, dev'esser provveduto di tutto ciò che può promettergli la vittoria, e massimamente conservar deve, o riacquistare, la superiorità d'animo sul nemico, cosa che le nostre Truppe in quell’istante non tutte aveano, ma che avrebbero potuto riacquistare, dandosene il tempo e l'opportunità. Dopo una giornata campale, anche riportando intera vittoria, gli Eserciti vincitori non sempre hanno potuto profittarne senza interruzione.

Immensi ne sono gli esempi nella Storia. Lo estendermi a queste citazioni mi farebbe andare troppo per le lunghe; mi limito ad addurne tre, appartenenti ad epoche differenti fra le antiche la più classica, quella di Annibale dopo la famosa battaglia di Canne, che non si stimò in forza di avvicinare a Roma. Fra le rinomate ne' primi anni del corrente secolo, allego la contrastata battaglia d'Evlau, dopo la quale Napoleone 1.°, ad onta della ritirata de' Russi sopra Koenigsberg, e quantunque coll'arrivo di Bernadotte con quattro Divisioni di fanteria e due di cavalleria, che non giunsero a prendervi parte, gli restassero non poche risorse, analizzando nella elevata sua mente i casi probabili, dopo le contrarietà patite; non si credette al grado di riprendere l'offensiva, e prese posizione dietro la Passarg, per restarvi tutto il resto dell'inverno: e l'avversario Generale Benningsen Comandante in Capo dell'Esercito russo, che, dopo avuta conoscenza del disegno di operazioni dell'Imperatore. stante la prigionia ottenuta di un male accorto ufficiale francese, che recavane le istruzioni al Maresciallo Bernadotte, manovrò in modo da stornare il Piano di Napoleone, e ritira vasi in ordine e senza pressura a Koenigsberg; cosicché contrastata ne ha la gloria della giornata; questo Generale tampoco stimò essere al grado»li riprendere l'offensiva, e svernò dietro quella Piazza (). E tra le ultime battaglie la non ingloriosa del nostro Principe di Satriano nella presa di Catania in Aprile 1849, dopo della quale ebbe pur d'uopo de' giorni, per riordinare e riparare a quanto erasi alterato in quelle Esercito operante.

(E) Nei seguenti giorni non tardarono da Gaeta le incessanti spinte perché da me si riprendesse l'offensiva, prima che avessi ottenuto cosa atta a pormi nel grado di riparare agl'immensi bisogni, non meno alla deficienza delle rimaste munizioni da guerra (); prima che giunto fossi al riorganamento delle parti disordinate, tra le quali primeggiava la Brigata Ruiz, che sofferto aveva la maggiore perdita di prigionieri, Brigata dipendente dal Generale De Mechel, da coi non a vea io ancora potuto ottenere rapporto descrittivo dell'avvenuto combattimento ai Ponti della Valle ed in Caserta, e dello stato preciso in cui si trovavano; al rialzamento dello spirito e della fiducia non del tutto riavuti; e prima che si fosse rilevata la Guardia Reale (); premure che, a mia maniera di vedere, partir potevano forse da Saccenti, o per inconsiderato calcolo, o per minare alla mia riputazione, o allo scioglimento intero del Regio Esercito, e così vederla più presto finita: e questo, mentre i rivoltosi, abbondanti di mezzi, riavutisi e rinforzati, costruivano nuove batterie, tentavano (sebbene invano) di allestir ponti; e mostravano tutta I attitudine di voler passare il Volturno ().

(F) Il giorno 5 Ottobre, riunitosi un affollamento di sott'uffiziali e soldati sul bastione Sperone in Capua, presero ad importunare quell'Uffiziale di artiglieria per far tirare molti colpi di cannone nella direzione di S. Angelo, ove dicevano di scorgere qualche passaggio di nemici. Corretti di non ingombrare le batterie con esigenza di vano sciupio di munizione, che poteva poi mancare al bisogno vero, si ammutinarono, e presero da ciò occasione per erompere tumultuosamente contro la fede dei Generali, e promuovere una sommossa.

Sedati, e prese indagini, erano indiziati autori ed istigatori un gendarme, ed un Sergente Bruno dei 13.° battaglione Cacciatori. Sottoposti a Giudizio subitaneo, il gendarme risultò non colpevole, e tutta la reità cadde a carico del Sergente Bruno, che fu giustiziato. Non si giunse a penetrare se fosse uomo venduto al tradimento, o pure di per sé torbido. Comunque, apprestava ciò elemento a sempre più convincere, che l'alterazione d'animo ancora invadeva quelle scandalizzate frazioni.

(G) Questo dispiacevole avvenimento mi consigliò di proporre al Re l'utilità della residenza di una persona Reale nella Piazza; pensiero che il Re accolse con gradimento, espresso in un suo benevole autografo, ed allora i due Principi Reali Conti di Trani e di Caserta onorarono pressoché costantemente Capua di loro presenza, fino a quando l'Esercito dovette cambiare di posizione sopra Teano.

Altro funesto caso di sfiducia e d’indisciplina verificavasi nelle residuali frazioni della Brigata comandata dal Colonnello Ruiz, che con data del 5 Ottobre stesso rapportava di non poter più ritenere quel Comando, perché minacciato di vita, per effetto della prigionia avvenuta il 2 alla porzione di truppa che senza ordine si spinse fino a Caserta, dalla parte di Caserta Vecchia, e ch'egli dovette abbandonare per porsi in ritirata d'ordine del Generale De Mechel, pervenutogli la notte del 1 al 2; di che è cenno nel mio opuscolo di Agosto 1861. Il Ruiz fu autorizzato di recarsi a Capua d'onde passò a Gaeta, e quelle frazioni furono poscia ripartite.

(H) Lo stesso 3 Ottobre il Re mi muniva delle facoltà di promuovere sul campo fino al grado di Colonnello, e di dare, nei tre Ordini cavallereschi del Regno, le decorazioni fino a quella di Commendatore, al maggior merito, come dalla copia della Ministeriale del 5, 3.° ripartimento, 3.° Carico N.° 212, che si alliga: un autografo lusinghiero e consonante della stessa data l'accompagnava. — Con data del 8 Ottobre si degnava nominarmi Tenente Generale, come dalla copia del Decreto che pur si acchiude, e poi mi onorava di altro magnanimo suo autografo: ciò che prova il suo Sovrano convincimento del mio ben operare, e che apprezzava le mie umili osservazioni, tra gli avventati opposti consigli. Altre promozioni aventi la data stessa del giorno 8 furono comunicate 10 giorni dopo.

Un Generale in Capo, quand’anche fosse ben fornito, non deve mai dipendere da dettami altrui, e massimamente di coloro che, sedicenti uomini di disposizione, infestano le Corti, tenendosi al sicuro, e che mirano sempre a derogare il merito de Generali in Capo, o a volgerlo a loro favore. La storia ci presenta che i Generali di alta fama o sono stati Sovrani, come Alessandro, Pirro, Gustavo Adolfo, Federico 2°, Napoleone 1° e tanti altri, o hanno agito con ampie facoltà come Annibale, Cesare. Scipione, Turenna, Condè, Napoleone stesso innanzi la sua elevazione all'Impero, Velington, ed immensi altri: 11 famoso Pompeo fu vittima della impazienza de' Senatori di Roma, che, commesso l’errore di allontanarlo dalla Capitale colla forza che potette raccogliere, l'obbligatorio ad accettare la Battaglia di Farsaglia: () Il chiaro Arciduca Carlo, per dipendere dal Consiglio aulico di Austria, in più rincontri fu sconcertato ne' suoi Piani, ed anche battuto.

Il Maresciallo Iourdan, il 1796, fu Tinto nella Valle del Danubio, per eseguirvi il Piano di Carnot impostogli dal Direttorio; ed immensi esempi simili detraggonsi dalla Storia militare.

Non bastano gli avventati concetti nelle grandi operazioni di guerra: vi vuole co mezzi la fredda riflessione che ne concorda le parti, e le dispone ad ottenere un felice risultato. La critica, spesso tanto temeraria quanto ingiusta contro i Condottieri di Eserciti, non mancò di accusare, tra tanti famosi, anche Federico 2° di Prussia, dopo la celebre Battaglia di Kollin, per non essersi determinato a lasciare bloccata la Piazza di Praga con Tina frazione del suo Esercito, e colla sua maggior forza inseguire dappresso il nemico disfatto, ed affrontare il Maresciallo Daun in marcia al soccorso degli Austriaci, onde impedirne la riunione e la riorganizzazione, che pose quelli al grado di opporgli altra Battaglia. Ma la critica giudica sempre dopo i risultati, facendo alle volte astrazione della possibilità di spingere in tal modo senza interruzione gli Eserciti. Da provetti strateghi si è però anche osservato che il Re di Prussia aveva egli stesso perduto 12 in 15 mila nomini nella tremenda giornata di Kollin; che poteva giudicare non prudente il dividere le spossate sue forze, come di fatti non l'era, giudicando a priori; che poteva mancare di più cose; poteva concepire speranza d'impossessarsi del Principe Carlo colla truppa rifuggita nella Piazza di Praga, favorito dal prestigio della vittoria, come pur rendeansi 22 mila Austriaci in Breslau qualche giorno dopo la Battaglia di Lissa; e tanti altri motivi potevansi. presentare alla svegliata mente di quel Sovrano, alla quale elevatezza par che i critici non giungessero, come sovente avviene.

(I) Egli è vero che nei casi importanti; com'era i in noi l'annunciato Plchiscito; conviene spingersi anche all’azzardo, concedendo un poco alla Fortuna; ma non mai quando i gradi di probabilità sono 10 sopra 100 pel contrario. Senofonte ci tramanda nella sua Ciropedia, che il gran Ciro al ritorno dalla Media, nella sua adolescenza, discutendo cose di guerra con suo padre Cambvse; chiestogli se al Comando di Esercito ben provveduto, disciplinato ed istruito, giudicato avesse a proposito di attaccare prontamente il nemico; il padre risposegli: «Sicuramente; se si spera farlo con vantaggio: altrimenti, quanto più conterei sul mio valore e su quello delle mie truppe, altrettanto sarei più circospetto; dacché quanto più le cose sono pregiate, tanto più conviene essere accorto a non esporle male a proposito.»—

Lezione che concorse a render Senofonte il più Grande della sua epoca e della quale, tutt'i posteriori gran Capitani han profittato con immenso vantaggio. —Ed è noto che Federico 2.° Boriveva al Maresciallo de Saxe nel 1745:

«Quand je commençai la guerre, j'étais sana expérience, e je voulais toujours aller en avant, a Des malheurs me corrigèrent, et je vis que nous faisons un métier où la réflexion doit sans cesse réprimer l'imagination.»

E Montecuccoli nei suoi celebri aforismi ancor dice: «Non deve si correre ciecamente e senza aver ben bilanciate le forze a sottoporre la somma delle cose al capriccio della Fortuna e d’una buona o mala giornata.»—Ciò che non si stancano di predicare tanti altri celebri Capitani. — Giudicai allora in conseguenza di esser nel dovere di dire, come disse il Maresciallo di Villars a Luigi XIV, che lo spediva nelle Fiandre ad assalire il nemico, quando gli Austriaci lo minacciavano d'invasione:—«Ma pensa, Sire, che questo è il suo ultimo Esercito?» — E se Luigi XIV contava sulle non poche risorse che gli rimanevano, e delle quali utilmente si avvalse; le circostanze in cui era ridotto Francesco 2.° erano bene al di sotto!

Così dunque pur dissi colla debita fermezza il 14 Ottobre, offrendomi a cedere ben anche il Comando in Capo dell'Esercito, senza rancore ad altro Generale che si fosse creduto più abile e più energico, per assumerne l'impegno; — senza però negarmi ad ordine preciso, se il Re a tutto costo avesse preferito quell’azzardoso movimento, pria che si provvedesse a cosa veruna, e che io lo guidassi, pronto a sacrificare per la seconda volta la mia sommessa opinione e me stesso (). Il Re non volle allora rimuovermi, o non trovò chi avesse tanta determinazione, ed invece, dopo più andirivieni, mi perveniva per mano del Brigadiere Antonio Ulloa Direttore del Ministero della Guerra, da parte del Re, e dietro tenutosene proposito in Consiglio, l’ordine del Ministro della Guerra di riprendere l’offensiva; lasciandosene a me la libertà del Piano. — Ma tale ordine, che mi era presentato il 19 Ottobre, pel quale stimato si era l'invio del Direttore della Guerra (ch'era il principale movente), avea l'antidata di quattro giorni, del 15 Ottobre detto, e mi arrivava allorquando io già ricevuto avea i primi sentori della marcia dell’Esercito Piemontese per gli Abruzzi, col Re Vittorio Emmanuele 2.°, cosa dalla Corte fino allora ignorata, e che l'indomani fu confermata dal rapporto giuntomi dell'attacco d'Isernia, e prigionia del Generale Scotti, avvenuto quello stesso dì 19. —La circolare diretta da Gaeta ai rappresentanti del Re all'estero il medesimo 19 Ottobre, riportata nei Documenti Ufficiali di Gaeta, impressi in Parigi il 1861 in francese a pagina 46 e 47, comprova all’evidenza l'incredulità della nostra Corte sulla espressata marcia de' Piemontesi nel Regno; come pure l'altra seguente del 24 Ottobre, che vi si legge nelle pagine 47 a 51.

(K) Questa imponente variazione di circostanze dalla Corte inattese, mi rammentava, tra le autorevoli sentenze d’insigni autori militari la seguente cioè:

«Si l’un des partis est forcé de se tenir sur la défensive, il devra principalement avoir en vue de couvrir son propre pavs, e de ménager le plus possible ses forces pour prolonger la résistance; car souvent, avec le temps, il peut s’opérer bien des changements en faveur du a plus faible.»

E tra le molte di più maestri di guerra, l'altra del già cennato Arciduca Carlo di Austria, nel seguente dettame:

«Una buona posizione potrà dirsi quella nella quale un Esercito è nel caso di poter dare pieno compimento all'idea principale espressa nel Piano a di operazioni del Generale in Capo; e nel medesimo tempo ove si gode di tale sicurezza che nel caso d'inimica aggressione, potesse l'Esercito accettare con vantaggio una Battaglia.

«Nella guerra offensiva essa esser dovrà sulla nostra principale linea di operazione; nella difensiva sarà sopra di quella la quale dovrà servire alle mosse dell’inimico: altronde, allorché la natura del Paese, le Fortezze, ec. possono favorire il Generale, la posizione potrà esser presa sul fianco dell’avversario, o sopra punti dai quali si possa operare sulle comunicazioni i di lui, e guadagnare in conseguenza tempo, colo l'impedirgli d'inoltrarsi durante che quella tale posizione ei occupa.» ()

Mi determinava quindi; avvalendomi dell'ampia facoltà di azione che mi si era riconcessa, non essendovi tempo da perdere, e malgrado quell'ordine; a cambiare tutt'altrimenti il Piano di operazioni colla marcia sopra Teano: rapportava analogamente, e fu accettato.

(L) Messo al chiaro così in compendio il quadro di quanto nei succennati rincontri opinai, disposi, operai ed avvenne, quello che si desume dagli elementi che si accompagnano; non essendo al grado di comporre a memoria un minuto giornale, senza incorrere in anacronismi ed in isvariati errori, né offrire altri documenti a dippiù degli accartati o dei citati; non mi resta quindi che riportarmi alla prenunciata Cronaca di quella Campagna, completa di documenti, che con pena non veggo ancora in luce, dalla quale ben potrebbesi attingere quanto fa d’uopo per la esatta Storia. Supplir vi si può con sagaci informazioni nei punti più importanti. Ma badar ben si deve a non essere abbindolato da destri verbosi ed interessati detrattori, che pur galleggiano dapperognidove, non escluso presso lo sventurato detronizzato Sovrano.

§ 11.°

(A) Non trovo ozioso inoltre di osservare, che forse io difettava in Corte di quel prestigio necessario, che proviene sovente da' titoli di nobiltà, da ricchezze comunque acquistate, e dall’intrigo assistito da gonfia facondia; né era de favori li predestinati a raccoglierne tutt'i vantaggi. Se però mancava di quelle facoltà, la lunga e laboriosa mia carriera offerto ben m'aveva qualche caso di distinzione in guerra; e lungi di farne qui il vano catalogo, mi basterà di rimarcare come più a proposito, sotto il puro aspetto militare, che fui da Tenente Colonnello uno de' principali oppositori alle escursioni di Garibaldi in Maggio 1849 a Velletri, ciò che in qualche modo si rileva dall'opuscolo di quel sostenuto attacco, dato da me in istampa nel 1851, che qui anche alligo, pel caso non se ne abbia cognizione, e da altre memorie storiche; e checché se ne dica da qualche scritto parteggiano, sono stato pur colui che ha sopra ogni altro arrestato il di lui corso trionfale al Volturno il 1860, per circa 50 giorni di maggiori suoi sforzi, e del suo Luogotenente, ad onta del rifiuto dato al mio Piano di operazioni, del difetto di mezzi di ogni sorta, rimasti a lui a dovizia in Napoli, oltre gli aiuti esteri, e non avendo fra noi che un piccolo fiume guadabile in più punti, la cui riva più vantaggiosa, la sinistra, era in suo potere; ed il cui passo fu solo da noi abbandonato quando un poderoso Esercito Piemontese col suo Sovrano alla testa marciava alle nostre spalle, e mi obbligava mutar Piano di difesa.

(B) Giunte le cose a quell'estremo, non io quali Avrebbero potuto essere gli eventi posteriori della guerra, se mi avessero lasciato agire. La guerra nutre la guerra è massima antica!

Napoleone Bonaparte dall’alto delle Alpi mostrova al suo infervorato Esercito, mancante di molte cose, le pianure ricche e fertili d'Italia, che dovevano fornirlo di tutto, e di più compensarlo de' sofferti disagi.

Se la massima però è utile all'invasione, com'era quella di Bonaparte, nella quale il partito che la favorisce, già compromesso, si piega e si media a far sommettere i Comuni e le Provincie a qualunque sacrificio; o se partito non vi è, il terrore suol essere la guida del Condottiero: non l'è del pari alla difesa, e tanto meno quando il nemico invasore ha per sé un vasto partito di rivoltosi, allorquando conviene attirare o mantenere le popolazioni alla causa che si difende, alla cui riuscita ben si oppone il sistema d'imperative imposte, e di gratuite requisizioni, che inaspriscono invece gl'irresoluti, ed i dubbiosi, e li determinano pel partito avverso,

Nonpertanto mi sarei sforzato con inalterabile attitudine ed annegazione, non senza misurati calcoli, in una sfera strategica più vasta, a rialzare sempre più lo spirito dell’Esercito; a provvederlo come meglio avrei potuto, conciliando, per quanto riuscito mi fosse, la persuasiva coll'imponenza; a manovrare in modo da non render facile l'invasione; a disingannare le popolazioni, e rianimarle a prò de' veri loro interessi; ed in ogni caso ad impedire di stringere gli assedi, ossia i bombardamenti, massimamente di Gaeta, e cosi evitare lo specioso Fatto compiuto; dare più tempo ed occasione alla sonnolente o smarrita Diplomazia di occuparsi de' fatti nostri, che pur erano di tutte le Potenze di Europa. — Avrei impiegalo tutto il mite mio acume ed il tenue scibile a tenere per costante modello i maestri di guerra ch'era giunto a studiare ed ammirare, tra quali cade acconcio che citi il Fabio Massimo. —in più ristretta scala ebbi forse come lui pericolosi detrattori; fui richiamato dal Comando pressoché come lui; —le conseguenze a tutt'i contemporanei note, furono poco dissimili! — Dalla dissoluzione di quel residuale Esercito, e non dal Plchiscito, previdi la caduta della Corona, e dell’autonomia del Regno, ed il fatto lo ha comprovato. «La forza della ragione poco vale, se non é sostenuta dalla ragione della forza.» — Sia almeno di esempio nella Storia, onde si apprezzi meglio l'importanza di un Esercito, e sappiansi più distinguere e valutare gl'intriganti ed i parolai, dagli uomini di cuore, costanti al loro programma, che per principio impiegano tutto sé stessi all'onorevole adempimento de' propri doveri.

§ 12.°

(A) Il 23 Ottobre a sera cedei il Comando di quello Esercito al Tenente Generale Salzano, in forza dell’ordine che il Re di suo pugno mi lasciava senza data, forse per la fretta, in Cascano ove mi chiamò, copia dei quale qui accarto: la notte fui a Gaeta, ove rimasi a disposizione del Re. I miei proponimenti e disposizioni, nell’occupare la posizione di Teano, sono riportate nel ripetuto mio Opuscolo di Agosto 1861, a pagina 33 e seguenti; ed il modo come fui rilevato da quel Comando si desume dallo stesso a pagina 46.

La cagione che il Re colla sua ordinaria amabilità mi confidò, nel dare quella disposizione, ebbe l'aspetto del segreto, ed è perciò che giudico non conveniente qui dichiararla.

Rimane a sapersi se il Re era realmente contento o pur no del mio procedere in quell'istante, o se da maligni detrattori foss'egli stato messo in isfavorevole prevenzione verso di me, ed io stesso ebbi a dubitarne, malgrado le Sovrane esternazioni di stima e di generoso affetto, delle quali clementemente mi onorava, e che non mai in Gaeta motto veruno di sua poca soddisfazione mi profferisse. Desiderava io una pubblica dimostrazione, che persuadesse me e gli altri di essere Egli pago di mia condotta.

Per più giorni rimasi in vana aspettativa. Dopo la ritirata di quell’Esercito da Teano, Cascano, Garigliano e Mola sopra Montesecco, il Re, fosse per sua generosità a mio riguardo, o che più occasione ebbe di apprezzare il comportamento da me tenuto, mi conferiva la Gran Croce di S. Giorgio della Riunione, come si scorge dalla Ministeriale della Presidenza del 30 Ottobre 1° Ripartimento N. 140, che alligo in copia, e volle che fosse annunciato all’ordine della Piazza.

In oltre il Re istituiva una Medaglia di Bronzo in onorevole ricordanza di quella Campagna, col suo ordine Sovrano del SI Ottobre, riportato nella già indicata collezione de' documenti in istampa, edizione di Parigi 1861, col titolo: Gaëte—Documents Officiels, a pagina 52 e 53; dietro 14 quale istituzione, era io eletto a verificarne e sanzionarne l’individuale dritto, e di rilasciarne a propria firma i titoli, cosa che rilevasi dalla copia qui acclusa della Ministeriale della Guerra del 24 Novembre 1860, 1.° Ripartimento e carico, N.° 1064.

Da tali dimostrati fatti dunque parmi rimosso ogni dubbio sul favorevole concetto che il Re tuttavia serbava del mio procedere; o che, se prevenzioni eransi soffiate a mio carico, dato luogo a migliori riflessioni, eransi in lui dileguate.

Cosa avvenne in prosieguo in quell’Esercito non mi riguarda: quanto posteriormente accadde nella Piazza di Gaeta si trova espresso nei medesimi Documents Officiels, ed in più giornali divulgati in istampa, tra quali non sarà al certo sconosciuto il più esatto, sotto il titolo di: Giornale della difesa di Gaeta da Novembre 1860 a Febbraio 1861, per Pietro Quandel Maggiore ecc. . . . . . Roma 1863; e pei lavori del Genio, l'altro di Giuseppe Quandel Maggiore di quell'arma, edizione di Napoli 1862.

Rimasto vacante il Governo della Piazza di Gaeta, stante l'uscita dalla stessa del Tenente Generale Vial, in permesso per motivo di salute, la cui firma per molti giorni rimase al Brigadiere Conte Marulli, che vi esercitava l'incarico di Sotto Governatore, fui nominato Governatore titolare della stessa, ai sensi della Ministeriale della Guerra del 9 gennaio 1861, 4° Ripartimento N° 65, la cui copia alligo.

Presi dunque il Governo di quella Piazza assediata, colla dipendenza e convenienza che li dovevo allo sventurato Sovrano che vi si rinchiudeva, per attendervi soccorso ormai non più che dagli eventi!

Vedeva regolarmente il Re più volte al giorno, per fargli rapporto e prendere i suoi ordini, onde dare i miei di risulta; visitava giornalmente ripetute volte diverse batterie, per le verifiche e direzioni convenevoli, mi assicurava de' lavori del Genio, e vi adempiva, senza risparmio di me, a quanto era chiamato dalla mia carica. Il solo approvigionamento e distribuzione de' viveri restar doveano da me meno sorvegliati, ché, affidatasene la cura dapprima dal Sovrano al Brigadiere Francesco Conte de la Tour con esclusiva facoltà, partito questi per commessione all'estero, nello stringersi l’assedio, rimaneva quel servizio affidato a Commessari di Guerra, colla medesima esclusiva facoltà, con prendere solo ordini e norma dal Re direttamente. Si era con arte fina interessato l'animo del Sovrano al benessere della Guarnigione;— quali sortir doveano le conseguenze, ogni uomo di consumata esperienza può comprenderlo; quali furono è noto ad ogni uno che vanta quell'assedio. ().

In esso non si diedero altre parzialità rilevanti che mi riguardassero direttamente, oltre quelle che scorgonsi nel Giornale sopracennato, massimo per la riunione di un Consiglio di difesa, d'ordine Sovrano, il cui verbale trovasi riportato nelle pagine 285, a 286; ed il carteggio avuto col Generale Cialdini nei giorni li e 12 Febbraio 1861, trascritto nelle pagine 295 a 306: mi risparmio quindi di più estendermi qui in materia.

(D) Restami solo a dilucidare una proposizione incidente nell'ultima mia risposta fatta all'indicato Generale Cialdini, riportata nella nota della pagina 304 del ripetuto Giornale, che propriamente leggesi nella riga 9. a della nota, nel seguente periodo:

«Stando il Sovrano nella Piazza, il Governatore non poteva da sé risolvere una offerta di tanta importanza senza la Sovrana autorizzazione, ne premurarla, ad onta della inclinazione forse che si avesse; per essere la Piazza nello stato di presentare lunga ed energica resistenza sotto tutt'i rapporti.»

Se vi fosse chi volesse farne un neo per annebbiare la limpidezza delle mie intenzioni, risponderei che avrei dovuto eliminare dal periodo quella proposizione, e sarebbe stato il più semplice; o pure avrei dovuto illustrarla, col dire:—che penetrando lo sguardo addentro il velo sotto del quale era coperto il quadro politico di Europa, avrei potuto forse far pensiero che una ulteriore difesa avrebbe prodotto più effusione di sangue e rovine senza maggiore utilità, stante niuna lesione di dritto riveniva allo sventurato Sovrano, serbandolo egualmente per intero, né gloria più brillante, ché già acquistata ne aveva abbastanza fino a quel punto; cosa che io non mi autorizzava a porre in discussione, non essendone giudice competente, e per essere la Piazza ancora nello stato di presentare lunga ed energica resistenza sotto tutt'i rapporti; ma che, se tal dubbio giudizio potea pur fare, Don intendeva al certo di confonderlo colla ferma determinazione del più esatto adempimento de' doveri della carica, per protrarre la più valida resistenza, a tenore dell’ordine che avrei avuto, se allontanatosi il Sovrano, fossi rimasto a Governare quella Piazza. —La notte del 12 al 13 Febbraio, nella quale fu vergato quel foglio, com'è cenno in fine della pagina 302 del più volle nominato Giornale, ritiratomi ad ora tarda dal Re alla Casamatta, mi trovava oltremodo alterato, stanco e sonnolente, e nella premura di terminar da me solo quella risposta, onde spedirla il mattino, non seppi distinguere l'inadattabilità di quella irriflettuta proposizione; per evitarla o spiegarla. Posteriormente, e propriamente in Napoli, nel rileggerne la minuta, mi avvidi della rimarcata sconsideratezza, ma non era più in tempo di correggerla.

§ 13.°

Nei correnti giorni mi è venuto nelle mani il volumetto in 12 intestato: Di Gaeta e delle sue diverse vicissitudini fino all’ultimo Assedio del 1860-61, per Lucio Severo—Italia 1865. Questo nome non è che un Pseudonimo, una allusione, un inesatto anagramma.

Nel primo capitolo tratta in succinto degli Avvenimenti anteriori all’ultima difesa di Gaeta. Vi scorgo commiste verità non nuove, mendaci, detrazioni, deturpazioni, invenzioni e calunnie nelle quali sono con bava mordace anch'io affasciato nelle pagine 12 a 16, ove confonde elogio e biasimo fino a tacciarmi di paura. L'autore Pseudonimo par che sia più che Aristarco un Zoilo, un impostore, simile a quei tanti che sono stati i tarli del Trono del Regno, e che avvalendosi del momento, crede di saperne profittare per ¡sgombrarsi il fronte, e salir sublime, nel caso di una restaurazione, seguendo le tracce di qualcuno de' suoi antecessori che prende a maledire. Ed attenendomi a quanto solo mi riguarda: è egli alla elevatezza di comprendere l'importanza delle difficoltà di riprendere l'offensiva il 2 Ottobre? è egli alla elevatezza di giudicare sulle mie vedute strategiche, tattiche e politiche nel prendere le posizioni di Teano, e dello stratagemma (ruse de guerre) che mi faceva affettare proponimento di ritirata per attirare il nemico al di qua di Venafro, mentre mi disponeva a tutt'altro, com'è cennato nel mio opuscolo di Agosto 1861?

E dove mai tra pattuglie di ricognizione verso Cajanello si erano scambiate delle fucilate, durante il mio Comando? Ed ancorché ciò fosse? E quando mai Ritucci si è avanzato verso Venafro, e poi ha fatto ritorno verso Teano, com'egli dice, la cui ritirata fu feconda di gravi conseguenze? ed a me che sono sempre stato l'oppositore delle rovinose vere ritirate! E quando mai mi sono negato ad ordini precisi?

E mi ha mai egli tastato, per convincersi d'esser io suscettibile di paura?

Meriterebbe un riscontro categorico, come quello che feci al sedicente Testimone oculare in Agosto 1861. Visto però che quello scritto si discredita da sè, su tutto ciò ch'è l'opera della impostura, che tra contemporanei non può sostenere la maschera del vero, ne abbandono per ora il proponimento, anche per non farm'il correttore di tutt'i cani che latrano.

Ma sono indotto ad elevare un altro dubbio: scrive egli da sé e di suo talento, per effetto di cupi suoi piani, o per vendere la sua penna a qualche velenoso personaggio, che ha pur potuto essere, tra i più perniciosi Consiglieri di Francesco 2.°, ed interessato mio detrattore; od uno di quei moventi degli inavveduti errori che hanno attirate a quel Sovrano tante sventure?!!!

Questo dunque è quanto posso nel momento esibire, nel difetto della espressata Cronaca, e di un compiuto corredo di documenti, e lo adempio con fiducia, pei migliori chiarimenti della Storia; non senza offrirmi alle maggiori spiegazioni o dilucidazioni sopra particolari dubbi che si potessero incontrare.

Napoli il 1.° Maggio 1865.

Firmato — Giosuè Ritucci.

1. a LETTERA DEL CAVALIERE GIACINTO DE SIVO

AL TENENTE GENERALE GIOSUÈ RITUCCI IN NAPOLI.

Roma 7 Gennaio 1866.

Ricevei sotto la data del 7 Gennaio 1866 il primo cortese foglio risponsivo dell’autore Cavaliere de Sivo, che andrebbe qui riportato:—

Ma, passato nelle mani di un amico di eccezione, a cui affidai la lettura di questa corrispondenza, con somma mia sorpresa e rammarico quel foglio andò fatalmente perduto!—Tale perdita lascerebbe qui un significante vuoto; ma questo viene felicemente colmato colla riproduzione compendiata de' suoi articoli di dubbi e difficoltà ch'egli mi dirigeva, su de' quali mi diffondo col seguente mio riscontro dilucidativo.

1.° RISCONTRO DILUCIDATIVO DEL TENENTE GENERALE

RITUCCI

AL SIGNOR CAVALIERE D. GIACINTO DE SIVO IN ROMA

Napoli 17 Gennaio 1866.

Gentilis.° e Distinlis.° Signor Cavaliere!

La prezioza sua del 7 volgente mi fa pago oltre ogni dire, per la bontà con la quale ba accolta la mia del 26 decorso Dicembre, una al Manoscritto che vi era accluso; per la cortesia con che rammenta la sua pregiabile amicizia, da me non mai messa in obblìo; per la premura che pone nel chiedermi dilucidazioni atte a rendere più veridica la Storia; per la franchezza di vero amico che usa nell'annunciarmi qualche suo sentimento opposto ai miei, e nello schiudermi qualche lume, di che le ne professo la più estesa gratitudine. —Comprendo appieno quanto il suo assunto è difficile e delicato; e se ho avuto impegno di farle giungere un sunto de miei concetti; disposizioni ed opere durante gli ultimi rivolgimenti; ho avuto solo in mente di dirigermi non all’amico ma allo Storico, onde offrirgli qualche elemento che lo possa fare accorto verso le falsità o alterazioni a cui potesse essere spinto dalle volpine trame di chi a forza di astuzie ha disegno di mascherare le verità, che non si addicono ai propri interessi se in tanto impegno mi fossi diretto all'amico, per deviarlo dal suo proposito di ammirevole indipendenza e di emancipazione da ogni riguardo, mi sarei pronunciato suo falso amico, ma questo non mai. Ho ritenuto sempre la sua amicizia, dal primo istante ch'ebbi l'onore di acquistarla, come dono della Provvidenza, e sempre l'ho corrisposta con tutta la pienezza dell'animo; né sarò affatto per confonderla colla divergenza delle nostre convinzioni sul merito delle ultime militari emergenze, se mai l'opera mia non giungesse efficace a farle evitare le trappolerie de' furbi. Così disposto dunque sono a porgerle in breve, per quanto la materia me lo permette, le poche dilucidazioni che mi chiede, riserbandomi in prosieguo di farle arrivare qualche copia di documento, se potrò averne da Delli Franci che non rivedo da circa un anno. Entro in materia.

§ 1.°

Ed in primo dilucido quanto riguarda il Generale De Mechel, sul cui conto le si è dato a credere che abbia fatto prodigi con un solo Battaglione, e che non potè seguitare la vittoria per la disfatta de' Battaglioni Boemi.

Nel mio Opuscolo di Agosto 1861, pagina 28 a 31, nel riscontro dato al Brigadiere Palmieri, §. 6° e 7°, e nell'ultimo manoscritto, § 8 e 9, ho dimostrato non come mio parere, ma come piena convinzione nascente da fatti, che il De Mechel è il maggior risponsabile di tutto il male avvenuto in quella giornata. Egli ebbe l'ordine chiaro di marciare con anticipo alla testa di tutta la forza messa sotto i suoi ordini, e pei Ponti della Valle scendere sopra Caserta, ed attaccare alle spalle Santa Maria quando i rivoltosi erano alle prese colle Truppe dal lato di Capua. Egli fece differire l'attacco del 29 Settembre al 1 Ottobre, indugio che diede tempo agli avversi di rinforzarsi e munir di più le posizioni ai Ponti della Vallo. Egli ritardò immensamente quel suo movimento per lo stesso 1° Ottobre. Egli staccò da sé per larghissimo giro di Limatola e Castel Morone la forte Brigata Ruiz, non per effetto di ordine prestabilito nel Piano di attacco, ma in opposizione di questo, nella veduta di spingerlo solo forse a Caserta e Santa Maria, riservando a sé l'occupazione di Maddaloni, che credeva fosse più facile, non so per quali sue mire.

Vero è che tra le istruzioni date verbalmente dal Re al convegno sotto Sparanisi era a lui ingiunto, contro il mio sommesso avviso, di fare occupare Maddaloni da un Battaglione, nel caso che fosse sicuro di non essere occupato dai Garibaldiani, misura ch'io dovetti richiamare in monte, mio malgrado, nell’ultimo ordine; ma esso doveva restare di dritto privo di effetto, che, trovato Maddaloni gremito di nemici, mancava di fatti la condizione premessa nelle istruzioni date dal Sovrano, da me rammentate. Fu Egli che mal divise e suddivise in frazioni il 1° e 2° Battaglione esteri id attaccare le bene occupate alture a dritta e sinistra del Ponte, rimanendo col 3° Battaglione suo prediletto riunito, per cogliere forse con questo la palma che gli altri preparavangli.

Egli fu che dopo la sventurata morte del figlio si pose in ritirata con pochi suoi accoliti, lasciando compromesse le rifratte frazioni del 1° e 2° Battaglione, ed anche il 3°, i cui Comandanti dovettero spingergli appresso un Aiutante a chiedergli istruzioni, che si contennero nell’ordine di porsi tutti in ritirata. E fu fissata la sua missione per la strada rotabile de' Ponti della Valle, dietro sua protesta di non sapersi staccare dalla propria Batteria di Campagna di pezzi rigati, il cui distinto Capitano Fevot era il suo Mentore: Batteria che non avrebbe potuto agire per altrove. Fu Egli quindi che con tante colpevoli stranezze fè mancare la sua difficile e ritardata missione, e con essa la giornata; e però o Egli e non altro fu il vero Grouchv di quell'Esercito,

Ma Egli era uno de' predestinati a godere favori e fiducia, e perciò era coerente che ponesse comunque il suo polso al crollamento del Trono: non è però coerente che ne abbia lodi. In un lunghissimo suo studiato rapporto, che fecemi finalmente arrivare dopo 15 giorni con antidata, non seppe contrapporre alle giustifiche del Colonnello Ruiz altro, che questi non accorse al rimbombo del di lui cannone.

—Ma quegli noi doveva nella esecuzione delle sue istruzioni; né il poteva forse per la distanza e difficoltà de' luoghi che percorreva. Pertanto non ho mai credulo Ruiz scevro dr colpa: questi n'ebbe nella lentezza anche da sua parte; nel non essersi assicurato la notte del 1 al 2 Ottobre, da Caserta vecchia, che pervenuto era alle Truppe spinte innanzi, l'ordine di ritirata, ed attenderle e sostenerle, anzi che abbandonarle: ma se queste colpe hanno influite sulle perdite de' prigionieri ch'egli ebbe, ed a promuovere la sfiducia e l'indisciplina de' suoi dipendenti, non hanno dato causa alla abortita missione della Colonna De Mechel, e quindi alla perdita della giornata, dipesa massimamente dalla condotta e misure del Comandante Superiore della cennata Colonna, Brigadiere De Mechel. Non conosco come ha ella narrat'i casi di questi nella Storia di Galazia e Maddaloni, che ho dispiacere di non aver letta, ma che vado subito a farne ricerca per prendere conoscenza.

§ 2.°

(A) Ella crede che la Guardia Reale fece quel che poteva e sapeva fare, e che fu adibita alla più aspra impresa, nella quale fallì perché non appoggiata dalle Colonne di dritta e di sinistra, ambe vincitrici. — Ma quanto è distintamente da me narrato, trattando tal soggetto nel mio Opuscolo di Agosto 1861, pagina 16 e seguenti. , nei Rimarchi inediti fatti al Brigadiere Palmieri, § 19 e 20, nell’ultimo mio manoscritto, § 10, mi esenta da ulteriori dimostrazioni sul concetto che con gran pena dovetti fare di quella Truppa, presa nella sua generalità, sempre salve l’eccezioni. Nell'educazione militare che le si dava primeggiava il pernicioso elemento dell’intrigo e del favoritismo, e si sconosceva il merito di guerra; ché il suo Antesignano, Tenente Generale Selvaggi (Dio l'abbia in gloria!) tutt'i meriti vantava meno questo, né vantar lo poteva il suo Mecenate, Brigadiere Marin, la cui capacità versavasi nella parte amministrativa ed economica: quindi superflua si giudicava la vera istruzione di guerra; la gerarchia non rimaneva che una formalità, ed ogni favorito si sentiva nell'animo superiore a tutt'i suoi Superiori che favoriti non erano. Con questi dati non era strano che a fronte del nemico la Guardia mostrata si fosse tutt'altra che alla Parata di Piedigrotta, cosa della quale ho sempre temuto, comunque non all’estremo segno sperimentato nei 3 Reggimenti de' Granatieri e Cacciatori. Non è da credere però che quella gente fosse caduta in tanto sgomento senza cause concomitanti, tra le quali oltre al difetto d'istruzioni di guerra, e della inadatta tattica usata dai Comandanti delle Colonne di attacco, () di che già è proposito nelle indicate pagine del mio opuscolo e nei marcati paragrafi de' miei manoscritti; una più potente pur non manca, che finora ho creduto superflua precisare tra contemporanei, ma che, associandomi al giusto suo avviso, di rimarcar tutte le cagioni della catastrofe già avvenuta, senza riguardi, mi determino annunciarla; voglio dire lo scandalo dell'esempio; e per esser breve, principio del vertice della gerarchica piramide di quella Divisione. Ove fu, che fece, il Comandante della medesima, Generale Tabacchi? () Più non lo vidi (ricercandolo e facendolo ricercare da ogui lato) che solo la sera dopo la eseguita ritirata in Capua! circostanza che aggiunse motivo alle personali mie cure in quel fronte, ove non eravi altro Generale di Fanteria, sfante trovarsi al Comando della Brigata due Colonnelli, ch'erano alla testa delle Colonne di attacco: qual'esempio, in seguito di questo, dato avessero gli Ufficiali di ogni rango (sempre salvo eccezione) è da concepirsi, ed il comportamento dell’Ufficiale Superiore che il Brigadiere Palmieri segna senza nominare nella sua pagina 112 ben lo comprova. () Tabacchi non era privo di favori! Ma il Re, nel suo acume e nella sua Clemenza, gli tolse il Comando di quella Divisione, e lo richiamò in Gaeta. —La Guardia non fu messa nella più aspra impresa, ma in quella che l’era più naturale. L'altra di S. Angelo non era più lieve. Assegnai le Truppe alla opportuni là dei luoghi, com'è detto a pagina 7 del mio Opuscolo; e sarebbe stato molto più sconcio impiegare i Granatieri della Guardia ad assaltare tra dirupi boscosa montagna fortificata, ed i Cacciatori di Linea al fronte di Città afforzata in pianura. E quale altra Fanteria, oltre la Guarnigione di Capua, mi restava disponibile? Lo scambio dell'una per l'altra avrebbe premessa una previdenza profetica che si estendesse alla certezza del vantaggio da ottenerne, ed avrebbe generato un malcontento non saggio a promuovere nella circostanza.

(B) Lo aiuto reciproco tra le due Divisioni di Fanteria messe in azione dal lato di Capua, era condizione premessa nelle mie Istruzioni generali: ma la Divisione de' Cacciatori, comunque a sforzo de' soli Comandanti di Brigate, se aveva progredito alacremente a superare S. Angelo e molti punii fortificati, distruggendone le Batterie ed altro, non era pervenuta a superare l’intera posizione. Ho ignorato l'ordine del Re spedito perché quelle Colonne si fossero rivolte a dritta, onde stringere di fianco Santa Maria; ma quelle non potevano menarlo ancora ad effetto, senza vedersi esse stesse prese e strette pur in fianco dai numerosi nemici che cedeano loro a caro prezzo i presi e ripresi punti di azione, fino all'istante di doversi ritirare per l'inattitudine appunto della Guardia tutta da sé dissolta, che all’opposto diede agio ai combattenti avversi di rinforzare le loro difese dalla parte di S. Angelo, com'è già fatto cenno nella pagina 9 del ripetuto mio Opuscolo. —E se ho dato lode esclusiva a quei due Comandanti di Brigate, Polizzy e Barbalonga, l’è' perché ho giudicato di esserne tanto più meritevoli, quanto che veruna regolare direzione aveano dal proprio Comandante di Divisione, Maresciallo di Campo Gaetano Afan-de-Rivera, del quale il Re ebbe motivo di mostrarsene meco malcontento.

Alla riformazione di quell'Esercito, il Sovrano lo passò al Comando della Divisione della Guardia, i cui Granatieri, rilevati, retrocessero in seconda linea tra Sessa ed il Garigliano; cosa che gli fu tanto sensibile, da dirmi che avrebbe chiesta la sua dimissione, che per mano mia non effettui.

(C) La Colonna poi del lato di S. Tammaro non fu propriamente di attacco, ma di semplice dimostrazione, per difetto di Fanteria, com'è pur detto nel mio Opuscolo a pagina 18. Essa comandala dal Brigadiere Sergardi superò lodevolmente la barricata in S. Tammaro, messine col cannone in timore ed in fuga i difensori; ma non potà ottener dippiù, per lo stesso difetto di Fanteria, e perciò l'opera sua fu, come doveva essere, inefficace a superare le fortificazioni di Santa Maria da quel lato. La Dimostrazione risultò in qualche modo utile, obbligando il nemico a dividere le sue cure e le sue forze; ma mancato il nerbo delle vere Colonne di attacco, non potevasi più pretendere da quel Distaccamento di sola Cavalleria con qualche Pezzo di artiglieria.

§ 3.°

Ella favorisce dirmi che neppure è del mio parere nel non procedere sopra Napoli nei dì seguenti la Battaglia. —Dopo tutto quello che ne ho esposto nel mio Opuscolo e nei citati manoscritti, non posso qui in breve altro addurre. Ella mi accerta di avere scorso di un fiato l'ultimo mio scritto, che avrebbe più volte riletto. Vivo nella fiducia che ciò facendo troverà ben ragione da arrestare il suo giudizio, per salvarlo, nella sua indipendenza, dalle furbe e maligne mene de' miei detrattori. In opposto saprò attendere quanto se ne dirà da lei, non solo, ma da tutti gli altri scrittori che si trovano esercitando le proprie penne su questa nostra spiacevole Storia, per presentare da me nel miglior modo ampliato ed ordinato che potrò alla pubblica opinione, e più distintamente ai maestri consumati di guerra, le mie ragioni in confronto, nella speme che vadano meglio apprezzate. Le ampie facoltà che mi si diedero non furono che di forma: il mio Piano non fu ritenuto, e dopo di esser ridotto ai difettivi, per l'eseguito Piano impostomi, io veniva spinto ad ogni minuto con messi e telegrammi apportatori o contenenti inaccettabili impulsi (giunsi un giorno a contarne 45, de' quali molti telegrammi in cifre!); ma tutti consultivi, per lasciarsene a me solo la risponsabilità del risultato! E perché, invece di tanto vano tormento, non mi si dava un ordine secco di agire come si voleva, ordine al quale ho sempre dichiaralo che mi sarei sottomesso di animo e di corpo, in tutt'i miei rapporti dimostranti le ragioni opposte agl'impulsi ricevuti? Nel penultimo comma § 10.° dell'ultimo mio manoscritto è riportato quando e come perveniami finalmente quest'ordine, per mano del Direttore del Ministero di Guerra, con 4 giorni di antidata, e nel punto ch'io cambiar dovea Piano di difesa, colle esposte incontrastabili ragioni che si opposero a quell'adempimento. Ma riandando per poco sul merito, perdonerà che sostenga non esser tal suo parere adeguato. Il momentaneo scoramento degli avversi, ed anche la destata speranza di molte famiglie da bene, di veder ricomparire l'Esercito Regio a riporre l'ordine nella Capitale, non cambiava la posizione esposta delle cose. —Il Maresciallo Radetzkv nel 1848, obbligato ad uscire da Milano, nel bollore di quella rivolta, che può considerarsi pigmea in paragone di quella di Napoli per tutt'i riguardi, dopo l'uscita del Re; il Radetzkv, riunito il suo Corpo di Esercito a poca distanza da quella Capitale, ove pur eravi un partito amante dell'ordine che lo desiderava, non giudicò potervi rientrare, al onta di favorevoli fatti d’armi pur sostenuti, che dopo più mesi, rinforzato e fornito potentemente, e quando quel popolo, partito Carlo Alberto, stanco e pentito del passo dato; ed esausto di mezzi, si ripiegò a riceverne la legge.

Il nostro Principe di Satriano, ch'ella non manca di elogiare meritamente, pei fatti di quella stess'epoca in Sicilia, pervenne a domare Palermo, ed a ripristinarvi l'ordine e la calma; ma con un Corpo di Esercito ben fornito e più fiducioso, avendo una base di operazione certa, Napoli pingua di mezzi, col Re bene assiso sul Trono, una flotta fida a sua disposizione, ed una rivoluzione a fronte molto più parziale, più mite, meno sostenuta dagli esteri, già stanca sotto il peso di sé stessa, e priva di ogni mezzo.

Gli esempi sono in gran numero nella Storia, da poterne fare un volume; è forza che mi arresti per non abusare di sua tolleranza. E se avessi potuto agire dopo la ripresa di Cajazzo, seguendo il mio Piano, con tutto l'Esercito riunito sotto il mio comando, mi lusingo che sarei pervenuto ad ottenere forse molto di più de' citati due rispettabili e rispettati distinti Capitani!

— Mi rimarca, in proposito della marcia sopra Napoli, che non si fa guerra senza sangue. — Ebbene? mi confonde coll'anonimo Testimene oculare, a cui dovetti dar riscontro col mio Opuscolo di Agosto 1861?—Un Generale in Capo però è nell'obbligo di non versarlo invano, per quanto è possibile, e massimamente nelle guerre civili, ove gl'illusi con inganni sono più de' colpevoli, quando non ridonda a vantaggio dell’ordine, e ad onore del Sovrano, che gli affida la causa della sua Dinastia e del vero Popolo.

§ 4.°

Si compiace segnarmi che neppure avrebbe preso posizione a Teano, ma in vece al Ponte tra Venafro ed Isernia.

È questa una quistione di genio strategico, che può andar soggetta a più variazioni, il Ponte che indizia debbo suppone quello sul Volturno. Vi avrei trovato già stabilito il nemico, che vi era prossimo, e doveva ben tenervi postata la sua Avanguardia, e non avrebbe ignorato al cerio la nostra marcia, di che pure breve cenno se ne trova nel mio Opuscolo a pagina 43 e 44. ed ivi tutt'i vantaggi sarebbero rimasti per inverso al nemico: nel difetto di riserve di viveri, e di un servizio di mezzi di trasporlo, vi avrei incontrato insormontabili difficoltà per la sussistenza dell'Esercito; avrei dovuto ancor dippiù assottigliar questo, lasciando nondimeno libero il campo ai Garibaldiani fino a Gaeta, e con ciò troncato me ne sarebbe stato ogni mezzo di comunicazione, naturalmente più lunga e difficoltosa; avrei dovuto avvalermi di unica strada, esponendo nell'avanzare la testa della Colonna ad essere distrutta prima che la codafosse giunta; ed in ritirata mi sarei imbattuto in più stretti col nemico ai calcagni; i Garibaldiani avrebbero potuto stringermi d'appresso, prendermi alle spalle, e tagliarmi affatto la ritirata, togliendomi qualsiasi scarso mezzo di vittuagliare; e ad altri tracolli mi sarei ingolfato, che taccio per brevità. —Ell', mio buon amico! il valore di un quadro non si può ben distinguere dall’artista se non lo pone nel giusto punto di luce, per ben apprezzarne i tratti, le ombre, la realtà nel disegno l'impasto e l'accordo dei colori, e la morbidezza del pennello!

§ 5.°

Mi motiva un convegno tenuto con Cialdini, che diede a susurrare si tentasse una specie di trattato di Casa Lanza, e che forse tal sospetto fe sostituirmi da altro Duce. —Dapprima questa indicazione mi ha mosse le risa; ma meditando sulla malignità del contenuto, mi si è alterata la bile oltre ogni dire. —Oh! quanto giunge ad essere scellerato l'uman genere!

È una infamia degna solo dell’autore, che nel suo piccolo e grumoso cuore ha bene impresso il valore della calunnia, che nella infernale nostra epoca è tanto valuta a trascinare 1'umanità agli eccessi che hanno innalzai i più tristi al trionfo. — Infame! infame!!—Ora comprendo questo concetto annunciato in senso generale dal mordace pseudonimo sotto il nome di Lucio Severo (che mi si fa credere sia un tale Teodoro Salzillo), e più mi confirmo che abbia questi presa l'imbeccata da miei detrattori, e forse dall’autore stesso di tanta trama. — Niun convegno ho mai avuto con Cialdini; né mai sua domanda me n'è pervenuta; né mai accettata l'avrei, se mi fosse stata diretta, avendo ben condannato nell'animo mio la debolezza e l'imprudenza che indusse il Tenente Generale Salzano a concorrervi a Venafro, che tanto aggravio poi ne patì: né, se arrivata a me fosse, taciuta l'avrei al Sovrano, facendogliene anzi rapporto col tenore della mia risposta. Il 22 Ottobre mi perveniva non da Cialdini ma dal Regio Giudice di Venafro in suo nome un foglio col quale mi rapportava l'intima lasciatagli da quel Generale di scrivermi da sua parte, che se avessi usata violenza ai prigionieri Garibaldiani, se ne sarebbe aspramente vendicato contro il Generale Scotti ed altri prigionieri caduti nelle sue mani:—al che riscontrai a quel Giudice, non a Cialdini, lo avesse informato in nome mio, che, seguendo il principio di Clemenza del mio Sovrano, i prigionieri seguaci di Garibaldi, lungi d’essere trattati come avrebbero meritato, goduto avevano trattamento di prigionieri militari, prodigandosi a favore di quei feriti e malati all'ospedale militare in Capua tutt'i possibili aiuti, al pari de' nostri stessi, onorati anche dalla Sovrana personale clemente cura, come essi medesimi potevano attestare; non degnandomi d'interloquire sulla puerile e sdegnosa minaccia; quale è anche consacrata nella minuta della Cronaca di quella Campagna. Devo ritenere che gl'iniqui che hanno ordita si velenosa trama, avevano concepito vile proponimento onde far di me un Belisario; gli è mancato un Narsete, ed a danno della Corona, della Din«'stia, del Regno, e con somma mia pena, ed a marcio loro dispetto han fatto di me un Fabio in tenue scala,comunque si agitino a spingermi nel limo del discredito. —La ragione che mi si esternò dal Re con qualche riserva, nel farmi surrogare al Comando di quell'Esercito (non devo più tacerlo), fu l’esser Egli informato esistervi congiura di togliermi di vita; ed avendogli rassegnato che non era da paventarlo, e che all'indizio avrei saputo prender le fila per colpire o far ravvedere i colpevoli; — mi soggiunse con, generose espressioni di stima e di affetto, che l'esempio avrebbe potuto esser fatale alla disciplina vacillante;—al che mi feci dovere di null'altro opporre, e lo raggiunsi a Gaeta, ove non mai sentore di ciò mi si diede, né di altro dubbio sulla mia rettitudine, com'è detto nel mio Opuscolo e nell'ultimo mio manoscritto.

§ 6.°

Concludo per non più abusare del tempo.

Dopo il fatale errore di prestabilire il favore sul merito ideale, d'illusione, a vantaggio de' più volpini iniquitosi (salvo poche eccezioni), e dopo il fatto politico dell’abbandono della Capitale con tutti tutt'i mezzi di risorse; abbandono che vi dilatò l'incendio della Rivoluzione, che trasse nella brace della compromessione gli occulti, gl'illusi e gì insipienti; dopo tali fatali errori, tra le cause militari concorrenti a costituire l'ultima catastrofe di quell'Esercìto, distinguo per principali: 1° la incompleta fiducia che riponevasi nel Comandante in Capo, i cui calcolati disegni si posponevano ad avventati consigli de' parassiti anche di gloria, inadatti ad acquistarla con meriti reali, i quali, ammettendo che sieno fidi, risultano sovente, anche senza volerlo, ì più perniciosi nemici del Trono. 2.° L'inettezza o l'insufficienza de' sott'ordini (Comandanti in secondo), salvo debita eccezione. — Ove manca abilità, valore ed annegazione alla dipendenza, ne' Comandanti delle Divisioni e de' loro dipendenti, il Duce Supremo non può mai veder coronate di buon effetto le disposizioni sue qualunque sieno. Napoleone 1° nelle celebri sue Campagne d'Italia vi avea un Augereau, un Massena, un Bernadotte, un Serrurier un Désaix, ed altri che poi furono i celebri Marescialli dell'Impero.

Nella famosa Battaglia di Marengo in Giugno 1800, superato dal numero e dall'ordine dell'Esercito Austriaco, aveva già perduta la giornata, dopo sedici ore di animati combattimenti, e vedeva fallito l'effetto dell'audace e gigantesco suo Piano, l'arrivo ancora in tempo dell’energico Désaix gli diè la Vittoria, che tanto influì alla sorte di Europa: la fallita missione di Grouchv, dopo l'inopportuno slancio della Riserva di Cavalleria, decise per contro la memorabile Battaglia di Waterloo, che ecclissò del tutto la stella di Napoleone, e cambiò il destino della Francia e di tanti altri Stati. — Qual paragone! Quali esempi!— 3.° Il difetto di tutt'i mezzi necessari a ben condurre e sostenere una Guerra difensiva, massimo nelle agitazioni rivoltose. —4.° Quell'inconveniente Piano di attacco, che mi obbligò allontanare un Distaccamento strategico di pressocché del terzo della Fanteria, per largo giro senza libere comunicazioni pel disimpegno di difficile missione; distacco che lasciava l'Esercito debole di Fanteria in tutt'i punti ed ove l'opera della Fanteria n'era la principale. Napoleone 1.° nella consumata sua esperienza di Guerra pur lasciò detto: «Opérer par des directions éloignées entre elles, e sans communications, est une faute qui ordinairement, en fait commettre une seconde:» —5.° L'insufficienza della istruzione ed, educazione militare della Fanteria della Guardia a ben corrispondere in Guerra: gli Usseri ed i Tiragliatori non ve li comprendo, perché più sofferenti ai disagi di una Campagna, e più esalti; e lo stesso Battaglione degli Usseri che si pose in fuga sullo stradale di Santa Maria, seguiva in ordine il suo Comandante, Tenente Colonnello Pesacane, che alla corsa gridava di esser seguito da Lancieri nemici, che non esistevano, e su di cui perciò cader solo ne deve la colpa. — 6.° Il surrogamelo mal calcolato del Condottiero, nell'istante che più interessava dare i maggiori possibili mezzi, ed ispirarne colla fiducia quel prestigio morale ch'è il perno vitale in cui la fidanza de' subordinati e la disciplina si basa!

Ma ella non vi scorge ancora la mia colpa, che forse rintraccia.

Eh, ben ve n'è —quella di non aver chiesto il mio ritiro, allorquando mi si accordava l'esonerazione di Ministro del Dipartimento della Guerra!

Ritenga, premiabile amico, la mia franchezza come nuovo segno della stima che devo e che ho al merito di lei, e dell'interesse che pongo a veder perfetta l'opera stia.

In ogni modo sono e sarò sempre.»

Napoli 17 Gennaio 1866.

Suo Umilissimo Servo ed amico

GIOSUÈ RITUCCI.

2. a LETTERA DEL CAVALIERE GIACINTO DE SIVO AL TENENTE GENERALE GIOSUÈ RITUCCI IN NAPOLI.

Roma 6 Marzo 1866.

Eccellentissimo Signor Generale!

Ritardo molto al rispondere alla grnziosissima sua del 17 Gennaio, perché ho dovuto ristudiare le cose che aveva scritto da molto tempo, e più rileggere documenti, e cercar informazioni.

Pertanto con la franchezza debita a cosa di tanto momento le dico il mio sentimento quale che sia.

Nessun dubbio sulla colpa del Mechel di aver fatto ritardare di due giorni la Battaglia, e più d’aver senza ragione divise le sue forze, fidandone gran parte al Ruiz. Nondimeno nella esecuzione ei pugnò da prode, dove il Ruiz fè il possibile (e credo volonterosamente) di far cadere la giornata.

Sappiamo che in Calabria abbandonò il Generale Melendez, e poi la sua stessa Brigata; sicché, a Caserta vecchia fè il debito del settario che era, replicando le medesime gesta. Se egli invece di combattere 200 Garibaldini a Morrone, procedeva avanti a Caserta, giusta l'ordine del Mechel, il nemico ferito nella sua base d operazione finiva la sua impresa.

Il Mechel a Maddaloni vinse, ed io ne ho prove indubitate, e se entrava in Maddaloni l'occupava senza colpo; tanto le camice rosse fuggivano; ma egli per la non cooperazione del Ruiz, dette addietro, ma sul tardi.

Se ella ricorda le mie brighe nel 1858 con esso Mechel e i suoi Uffiziali, vedrà che io non ho interesse nessuno a favorirlo. Ella per contrario mi ha sempre colmato. di gentilezze, però quando mi tocca di lodarla, il fo assai volentieri. Ma l'amicizia e l'inimicizia non debbono farmi velo alla coscienza.

Quando notai che la Guardia Reale fece quello che sapeva e poteva fare, il dissi appunto sulla scienza della sua non belligera istruzione. Perché non mandarla a far guardia al Volturno sulla riva dritta, e chiamare a Santa Maria la Brigata Colonna? Questa Brigata inutilizzata stava là ad impedire che i Garibaldini passassero il fiume, laddove glielo avrei fatto passare a posta per tagliarli a pezzi colla Cavalleria, e sempre scemavano a Santa Maria i difensori. Se essa combatteva invece della Guardia le cose andavan meglio.

La mossa del Sergardi, senza Fanteria, non fu utile ma dannosa, perché i nemici fugati si ritirarono a Santa Maria, dove i loro Duci li adoperarono a rafforzar la difesa di quella parte. In vece sarebbe stato utile stratagemma, se il Sergardi avesse manovrato in guisa da trarre le camice rosse dalle loro trincee, e poi coi cavalli vietar loro la ritirata. Tutti gli scrittori Garibaldini convengono in questo, che a Santa Maria si pota sostenere la difesa coi fuggiaschi di S. Angelo e di S. Tammaro.

Fra i fuggiaschi di S. Angelo fu lo stesso Garibaldi, che disperatamente si valse dello errore de' nostri di non averlo perseguitato nei fianchi, per sostenersi a Santa Maria. Queste cose le troverà meglio e più lucidamente nella Storia dichiarate.

Ho verificata vera la cagione ch'ella dice dall’esser surrogato dal Salzano. V'era un complotto contro la sua persona, ed il Re vi credè rimediare col richiamarla vicino a Lui. È pur verissimo ch'ella non ha niente a fare col convegno tra il Salzano ed il Cialdini.

Ora permetterà al mio desiderio di veder chiaro ch'io le dica di che lo accusano. Tutti il dicono restio a prendere l'offensiva. Il Re le mandò a sospingerlo Uffiziali il 12 Settembre, ed ella per contrario mandò a Gaeta il Capitano Fabri a dichiarar certe ragioni perché credeva dannosa la Guerra offensiva.

Nuovamente il Re le spiccò il Capitano Lavarè, e poi le arrivò una lunga lettera Ministeriale del 16.

Il Re venne a Sparanise per persuaderla ad andare avanti. Ella si difendeva dicendo fidar nel valore di pochi, non di tutti; non dover risicare un colpo non sicurissimo, battuto andando avanti sarebbe ruina; stando in difesa pigliava tempo, l'Europa si commoverebbe, l'Esercito resterebbe intatto. Queste cose dettemi da persone anche alte non sono d’accordo con ciò ch'ella mi dice d'essere ito a Sparanise a proporre al Re di marciar sopra Napoli con tre Colonne. Può ella dimostrare ciò?

lo non la condanno già di aver eseguito il disegno di Battaglia mandato dal Re (sebbene male progettato) perché non doveva a parer mio negarsi; la condannerei s'ella non ne avesse proposto un altro, perché il non dar Battaglia era il pessimo dei disegni. Ho dimandato a molti; alti e bassi, e niuno sa d’aver udito mai del suo proposto disegno d’andar con tre Colonne sopra Napoli. Ella adunque mi farebbe gran piacere a fornirmi elementi che assicurassero questo contravertito fatto:

Un'altra cosa mi corre il debito di non tacerla. Parecchi sostengono ch'ella non volesse mai pigliar l'offensiva, e aggiungono che essendosi assalita Caiazzo per ordine del Colonna, ella sopraggiunto sopra luogo, dopo il primo scontro, quando i Regi eran respinti, volesse dar l'ordine della ritirata, e che noi facesse per rimostranze del Conte di Trani. Desidererei altresì di sapere da lei che?' è di vero in questo; perché oggi io non potrei mettere in dubbio il fatto, dopo gravi testimonianze.

Quanto alla quistione strategica, se meglio fosse dar Battaglia a Teano o al Ponte de' 25 archi, ho ponderato ciò ch'ella dottamente osserva; ma sospetto ch'ella non conosca bene il luogo.

Posato l'Esercito sul Ponte non poteva mancar di vettovaglie con la pingue Venafro alle spalle. De' Garibaldini non era da temere, ridotti al verde. Se passavano il Volturno, conciavanli a dovere i Cavalli nostri, e restavano in mezzo tra l'Esercito Regio e la Guarnigione di Capua. Potrei molto aggiungere a voce, scrivendo bisognerebbe esser lungo, e poi è cosa ora di poca importanza.

Ella deve scusare la mia franchezza e apporta al desiderio che ho vivissimo di farle giustizia.

Un'altra sua risposta mi farebbe gran piacere, sopra tutto se avessi il manoscritto del Delli Franci, che un tempo, ma per pochi giorni, ebbi alle mani.

Mi comandi sempre e mi abbia per vero di V. E.

Devotissimo Servitore ed amico

GIACINTO DE SIVO.

2.° RISCONTRO DEL TENENTE GENERALE RITUCCI AL CAVALIERE GIACINTO DE SIVO, IN ROMA

Napoli li 28 Marzo 1866.

Onorevolissimo Signor Cavaliere!

Con altra mia del 11 in corso, per la posta, le accusava ricapito del suo gentil foglio del 6. Ora sono a riscontrarla categoricamente: è causa del ritardo l’aver dovuto attendere qualche copia di documenti ch'io non avea.

La sua determinazione di tenersi lontano, nel vergare la Storia, da ogni sentimento di affezione e di rancore, per non velare la verità, è conforme ai retti principi che ho sempre in lei ammirati, dai quali io tampoco mi diparto, come già le faceva cenno nell'esordio dell'altra mia del 17 Gennaio corrente anno, nel riscontrare a suoi precedenti articoli; e l'accerto che tali principi mi han sempre guidato nella lunghissima mia carriera, mi guidano e mi guideranno durante la vita, ad onta de' discapiti che ne ho spesso sofferti, e che potrei ancora soffrirne. Seguendo questi dunque, eccomi a ragguagliarla su gli ultimi suoi quesiti.

§ 1.°

(A) Trattando di De Mechel, non ho inteso, né intendo tacciarlo di viltà, ad onta della discordanza scorta tra il suo lungo rapporto circostanziato, che non potetti aver prima del 15 Ottobre con data del 13 624, e le relazioni di altri soggetti bene informali dalla sua stessa Brigata; e nella minuta della Cronaca non è tampoco attaccato nel valore personale, che anzi è messo in molto buon aspetto; ed io, che son padre, considero a dippiù in lui il profondo dolore della perdita del figlio, degno non solo dell'amor paterno, ma de' superiori e di tutti odoro che lo han conosciuto. Ho inteso dire, e sostengo ch'egli è stato la prima causa essenziale della fallita giornata del 1.° Ottobre, per le sue indeterminazioni e ritardanze, ed i suoi raggiri tendenti a prender tempo, ed a staccare da sé Ruiz, dividendo la sua missione, ad onta de' replicati ordini in contrario, e per la inconcepibile rifrazione della stessa sua Brigata. Egli non vinse, ma principiò ad avere de vantaggi. Eguali questi, non avrebbero potuto riuscire, s'egli avesse agito con miglior tattica, con tutte le forze delle due Brigate riunite, e più per tempo, giusta le istruzioni da me ripetutegli? Fornito di Cavalleria com'era, urtata la resistenza su i monti con vantaggiosa Fanteria ed Artiglieria, avrebbe potuto inabilitare allatto il nemico a riordinarsi e reagire, e fatta osservare da piccola frazione delle tre Arme la sua sinistra e le sue spalle, si sarebbe trovato a tempo a minacciare imponentemente da tergo il nemico impegnato a sostenere S. Angelo in Formis e Santa Maria. Ella già diviene in qualche modo su queste colpe; ma per meglio assodare la convinzione sull'andamento dei latti, le compiego le copie de' documenti qui sotto segnati (), dai quali scorgerà bene l'impronta del suo sistema di tergiversare le interpretazioni per emanciparsi dagli ordini e dalla dipendenza.

Questo Generale, non privo di intelligenza militare e col peculiar merito in questo Regno di esser forestiero, troppo abituato era ad ottener tutto che desiderasse, per supporre d’esser egli l'eletto a divenire il nostro Valdstein: da ciò la sua arguzia ad evadere dalle superiori ingiunzioni che lo fastidiavano ().

(B) Non ho tampoco inteso di giustificare il Colonnello Ruiz. Senza la Clemenza del Sovrano, avrebbe meritato con De Mechel di esser sottoposto al giudizio di un Consiglio di Guerra. Ruiz male eseguiva forse le istruzioni di De Mechel, e perciò i suoi falli o colpe, qualunque sia l'estensione che meritino, non possono ch'esser di seeond'ordine; e per miglior convinzione di ciò sono qui a trascrivere le stesse parole di De Mechel, tratte dal sopraccennato suo lungo rapporto del 15 Ottobre 624. Eccole:

«Sulle operazioni della Colonna Ruiz ebbi già l'onore di esternare il mio parere nel rispettoso rapporto del 7 corrente 3 N° 561, () ed ora che ho preso conoscenza della di lui relazione, le confermo pienamente, e ripeto qui solamente che due erano gli errori incorsi, cioè 10 la sua marcia lenta, essendo stato da me oltrepassato, adonta del vantaggio di due ore che aveva sopra di me, per cui appariva troppo in ritardo sulla platea di Caserta vecchia: 2° di essersi attenuto troppo letteralmente alle mie istruzioni, non facendo calcolo alcuno del lungo combattimento in cui a mi sentiva impegnato (intendo il fuoco dell'Artiglieria), e facendo neppure la minima divergenza a sinistra».

Dunque il De Mechel, dopo tanto ritardo, fino al punto d'essere da me minacciato il 29 settembre di farlo surrogare in quel Comando, ed in opposizione ai ripetuti ordini avuti, divideva la sua missione in due, assegnando a Ruiz la parte più difficoltosa, e lo abbandonava oltrepassandolo, come se il disimpegno di quello non più l'appartenesse che per dargli soccorso, e questo stesso a talento di Ruiz, e non per effetto delle sue istruzioni; che il Colonnello, tra gli altri torti, univa quello di esservisi attenuto troppo letteralmente! Oh come, mio buon amico, le insane passioni degli uomini, e le loro obblique vedute, fanno travolgere o confondere il merito ed il demerito! Ruiz ha gravi colpe; ma più verso la sua Brigata, che fece distruggere nella maggior parte, anzicché verso il suo Comandante, a cui è maggiormente imputabile quella fallenza. —Ma son certo ch'ella saprà esser guardingo a non farsi spingere in simile laberinto. Il De Mechel non poteva così mai più raggiungere lo scopo della sua missione. —E qui m'è forza rimarcare: Se v'erano antecedenti che davano motivo a sospettare di Ruiz, perché darmelo al Comando di una Brigata di frazioni già scandalizzate, che prender dovea tanta parte in una giornata decisiva?!

§ 2.°

(A) Mi riflette che sarebbe stato meglio impiegare la Guardia Reale alla custodia della riva dritta del Volturno, e la Divisione de Cacciatori del Generale Colonna al fronte di Santa Maria, ec. — Per obbiettare a questo quesito valgono le identiche considerazioni esposte verso il centro del 2° § delle delucidazioni rimessele con mio foglio del 17 Gennaio corrente anno, che riguardano il mutamento della Guarnigione di Capua, e più ancora che avrei dovuto far procedere un movimento steso sotto lo sguardo del nemico che tutto spiavi dalla vetta estrema del Monte Tifata, per poi aver ivi truppe, Ufficiali e Generale meno informati de' luoghi, nella lunga estensione da Triflisco a Caiazzo ed adiacenze, sinuosità del letto del fiume, delle comunicazioni e de' rapporti tattici che passano tra le due rive e coi versanti delle alture alle spalle di tutta la posizione, invertendo più sensibilmente l'impiego delle Arme. Se avessi potuto menare ad effetto il mio Piano, con un diversivo coll'intero. Esercito sopra Napoli, avrei abbandonato del tutto quelle posizioni, che non poteano essere più oggetto di mira pel nemico, messo nell’alternativa o di abbandonarvi del pari ogni pensiero, per combattermi a salvamento della Capitale, sua base di operazione, o di abbandonar questa cogl'immensi compromessi ed immense risorse, e colla fallenza della gran loro causa; almeno finché le capziose mene estere non fossero giunte a dare sviluppo ad altre calcolate combinazioni. Ma dovendo combattere per respingere l'avversario afforzato nelle posizioni prose, perché da noi malamente cedute, non poteva io lasciare mal custodita quella linea, base delle nostre operazioni, nella quasi cortezza che il nemico era a conoscenza del nostro Piano. Se fossi giunto a superare S. Angelo e Santa Maria (e vi sarei benegiunto senza il fallimento di De Mechel e della Guardia Reale), ed a proseguire verso Napoli, quella Divisione di Colonna, smembrata della Brigata De Mechel, mi avrebbe bentosto raggiunto colle opportune istruzioni che gli avrei fatte arrivare, lasciando quella linea, non più d'importanza né per me, né pel nemico.

(B) La manovra di caricare gli avversi nel passaggio del fiume non era omessa nelle mie istruzioni, per la custodia di quella riva dritta; è ciò principio di tattica, non ignoto tampoco al Generale Colonna: mi col concorso delle tre Arme, non essendo da avventurarsi alla sola Cavalleria, e nell'atto che si battagliava sulla riva opposta, ove quell'Arma, superai' i trinceramenti dalle due altre, sarebbe stata di maggiore utilità, al compimento della Vittoria. Negli eventuali giudizi a posteriori sodo sempre larghi di facili ritrovati: non così nelle disposizioni che partir denno da giudizi a priori, che disprezzar non possono i principi della Scienza e dell'Arte.

§ 3.°

La mossa di Sergardi con sola Cavalleria dal lato di S. Tammaro, fu disposta come falso attacco dal Sovrano, previa mia intelligenza. Essa se fu poco proficua per difetto di Fanteria, non potà esser dannosa, stante che i difensori, ritirati da S. Tammaro, non potevano non rinforzare la difesa della cinta della Città da quello stesso lato, che non aveva nulla di comune col fronte verso Capua, ed è indubitato che obbligava il nemico a ben sostenere la difesa da un lato dippiù con Artiglieria e Fucileria, cosa che pur fece, tanto che Sergardi non poté, protrarre innanzi, comunque facesse mollo agire la sua Artiglieria: senza lo scioglimento e la retrocessione quasi totale della Fanteria della Guardia, si avrebbe potuto, occorrendo, anche trarre qualche Battaglione di manovra dalla riserva de' Granatieri e spedirlo a coagire con quella Cavalleria; ed il nemico insciente della ignavia della maggior parte di quella Fanteria, doveva ben dubitarlo. In quanto poi alla proposizione di tirar fuori li Garibaldini per tagliarli, debbo farle riflettere che non sempre basta pensare uno stratagemma tattico per poterlo menare ad effetto, quando concorrer vi deve un errore del nemico, com'è quello di attirarlo al largo per tagliarlo. Sergardi mi rapportò d averlo tentato invano; le camice rosse erano ben guardinghe ad agire da loro canto in senso opposto, ragion per cui Sergardi non potè più spingersi; né dal lato di Capua per la stessa ragione impiegar potetti con vantaggio la Cavalleria.

Che Garibaldi poi nell'ascoltar animata l'azione al fronte di Santa Maria, massimamente colla detonazione delle doppie Artiglierie, abbia trepidato di vedersi tagliato e quindi sconfitto senza risorsa; o che informato dello scoramento forse nei difensori di Santa Maria (nulla prevedendo che la maggior parte della più eletta truppa avversa in breve tempo si fosse dissolta), siavi accorso da S. Angelo con qualche rinforzo tirato da Riserva o da quei difensori, lasciando quel Colle meglio affidato alle più vantaggiose posizioni, ciò non offre ragione da accollare a' Cacciatori la inconcepibile inattitudine mostrata dalla maggioranza della Fanteria della Guardia.

Il certo si è che mentre i Cacciatori si battevano, assaltando Batterie, Posti e Case fortificate, e che i pochi distinti della Guardia stessa, coi due distaccamenti della Fanteria di Linea spiccati d'ordine del Re dalla Guarnigione di Capua al fronte di Santa Maria, sostenevano l'onore delle loro Bandiere, la maggior parte della Fanteria della Guardia giaceva da più ore divisa, o raccolta sullo spallo di Capua, insensibile a qualsiasi animante sprone di graduati, di Principi e del Sovrano ancora! i Cacciatori non si ritirarono che alla fine della giornata, e pressocché tutti insieme, quando già si disponeva la ritirata generale. Queste sono verità di fatti, ed io non posso aggravar la mia coscienza col permettere che si alterino da chicchessia. Si attenui per quanto si può il mal oprato della Guardia, alla quale non ho dimenticalo di aver appartenuto, ma non mai a danno de' terzi, che hanno corrisposto al loro compito.

§ 4.°

Son pago e gratissimo che abbia ella verificala vera la cagione da me palesata per la quale fui rilevato dal Comando in Capo dell'Esercito operante, cioè per trarmi dagli effetti di un complotto. — Eh sì! un complotto pur vi era, ma forse meno all’Esercito che vicino al Sovrano, ove, avvalendosi della diffidenza che doveva produrre nel Real animo la seguela de' tradimenti di coloro che malamente ritenuti erano pei più fidi. non perdeva tempo, né occasione di far sorgere svariate ragioni per indurre il Re a rimuovermi da quel posto; come lo fui dal Ministero e dal Comando delle Armi in Napoli, perché non sapeva adattarmi alle altrui vedute in discapito della legittima Costituzionale autorità e dignità del Sovrano, né a far la Marionnette delle futilità de tristi e degl'insipienti di guerra.

§ 5.°

Mi fa confidenza che parecchi sostengono ch'io non volessi pigliar mai l'offensiva, ad onta delle premure fattemisi arrivare per mezzo,. di un Uffiziale il 12 Settembre, ripetute poi per bocca del Capitano Luvarà, ed indi da una lunga Ministeriale del 16 Settembre, dietro di che il Re mi chiamava a Sparanise, ov'io sommetteva ragioni contrarie, ec. , e che questo non è d’accordo con quanto io le diceva riguardante quel convegno. — Trovo in ciò anacronismo ed alterazioni che snaturano il perito de' fatti. Avendo io mente al passo estremo a cui fu indotto fatalmente il Re, nell'abbandono della Capitale colle Fortezze, mezzi di risorsa di ogni natura, e le posizioni dominanti, ove vi aveva pure una Reggia in Capodimonte, dalle quali impor ne poteva alla Città ed al di fuori, sostener la fede delle Guarnigioni nei Castelli, e conservar tutta la zona fino al Volturno, con le posizioni più interessanti ed i paesi di maggiori risorse, ed avendo presente tutte le altre considerazioni ragguagliate nel paragrafo 10.° de' Cenni Storici riguardanti la mia persona e visto che circolava tuttavia la voce, e tra molti la speranza, che il Re sciogliesse il residuale Esercito dal giuramento, a qual'unico fine, dicevasi, l'aveva colà riunito; avendo io tutto ciò presente, nell’atto che tutti gli elementi infiammabili nella Capitale trovavansi nel massimo incendio, convegno in cui mi sembrò poco calcolata la premura di prendere subito l’offensiva dopo pochi giorni che si era tulio ceduto gratuitamente, e prima di dar più ordine all’Esercito, per pigliar, come suol dirsi, il toro per le corna prima di straccarlo. Alle prime proposizioni che il Sovrano si degnò farmene in senso consultivo, nell’onorare di sua presenza la Piazza di Capua, appena proclamatovi lo Stato di Assedio, ed anche in un convegno, che non ritengo se fosse a Sparanise o altrove (che non è da confondersi coll'altro di cui è parola nei precedenti miei scritti, come dirò), non mancai di rassegnare colla schiettezza che deve ogni fedele suddito e buon militare, il mio pensiero di far precedere il ben rifornire e ricomporre quello Esercito che ci rimaneva, e di rimetterlo nella confidenza di quei Superiori nuovi per essi, e di loro stessi, dando così un poco di tempo alla Rivoluzione di curvarsi sotto il peso della propria obesità, come hanno sempre fatto i più accorti Capitani ed uomini di Stato; su di che il benevolo Re, sempre intento a scemare i mali, finiva per non disconvenire. () Nell'arrivargli, forse il 12 Settembre, nuovi impulsi per bocca di un Ufficiale, che se mal non ricordo, par che fosse il Capitano Frantzel ch'era presso la Legazione Austriaca, () opposi più distinte mie considerazioni pei Capitano Fabri del nostro Stato Maggiore, le quali furono tanto bene accolte dal Sovrano, che il 14, faceami pervenire per corrente elettrica la segnalazione che qui alligo in copia sotto il N.° 1006, ove scorgerà, che apprezzando le mie osservazioni, mi lasciava piena e completa libertà di azione (). Però colla data del 15 (non del 16) mi arrivava il 16 la Ministeriale della Guerra, Movimento N.° 3, che troverà trascritta in continuazione del succennato telegramma, colla quale mi s'ingiungeva di prendere l’offensiva Feci dubbio in me che il Ministro ignorasse l'ultima determinazione del Re; nonpertanto mi disposi ad uniformarmivici. Pervenne dopo il Capitano Luvarà, credo bene il 16 stesso; a ripetermene le premure da parte del Sovrano. — Lo accertava che sarei stato ubbidiente ai Reali voleri, e che ne avrei rimesso il Piano al più presto possibile. Nella Ministeriale mi si esprimevano brevi prescrizioni di frasi comuni non concordi al mio modo di vedere, che m'inceppava la libera facoltà di azione, esponendomi ad arbitraria risponsabilità. Fu così che redigei il mio Piano, ponderando colla debita circospezione tutte le circostanze ed eventi possibili, a senso de' dettami di molti luminari di guerra, tra quali quello dell'Arciduca. Carlo di Austria che le trascrissi nel paragrafo 8.° de' succennati miei Cenni storici riguardanti la mia persona, o lo rimisi, come già dissi, il 18 Settembre. Non n'ebbi riscontro scritto, ma invece, dopo più giorni, se ben rammento il 23, chiamato dal Re ad altra conferenza sotto Sparanise in unione del Generale de Mechel, fu allora che il Sovrano, dandosi inteso del mio Piano, dissemi di preferire l'altro su cui poi si agì, com'è detto ne' precedenti miei scritti. Non fu dunque in questo conferimento ch'io presentissi il mio Disegno di attacco, che avea già rimesso da vari giorni; ma invece in questo si tenne discorso sul Disegno che il Re preferiva, e che poi mi fu ordinato ad onta del mio umile dissenso, cosa che mi obbligò a far protesta, come stà consacrato in tutte le precedenti mie esposizioni, e come scorgerà dalla copia del mio rapporto inoltrato al Ministro della Guerra il 29 Settembre, Segretariato 2.° Carico N.° 117, e dalla copia del Ministeriale riscontro del 50 detto 4.° Ripartimento N.° 254, che troverà qui inserite ().

§ 6.°

Ma mi dice% che niuno si è mostrato informato di quel mio Piano. — Questa n'è un'altra del valore della ordita imputazione di mio convegno con Cialdini per un Trattato simile a quello di Casa Lanza, ch'ella è giunta a verificare inesistente.

E ci dogliamo della perniciosa massima messa innanzi dalla Rivoluzione, per coonestare le turpezze, che il fine giustifica il mezzo? Oh, come gli nomini sono per la maggior parte simili, atti a divergere sentiero a seconda de! propri interessi, comunque p;avi sieno! — Che lo ignori la generalità subalterna, può essere — ché fu diretto al Re riservato a lui solo (non ho presente ora per quale Uffiziale dello Stato Maggiore), onde dargli la massima riservatezza che da me dipendesse; ma so che fu discusso tra grandi che presumevansi Mentori, pria che ne partorisse l'altro che mi fu imposto, nel modo espresso nel medesimo paragrafo 8.° dei ripetuti Cenni storici riguardanti la mia persona: l'anonimo, o meglio il Pseudonimo, che prese nome di Lucio Severo, nell'affastellare verità e bugie, per far che queste prendessero corpo da quelle, seguendo l’arte più affinata dell’impostore, pure un cenno fa di volo nella sua nota messa alla sua pagina 12 col dire che» una Biscia dovette strisciare tra quei di quel Consiglio di guerra. .» Qui le compiego la copia del mio Piano, la cui minuta si trova cogli altri documenti (). Deve esservi l'originale nell'archivio che il Sovrano seco recò: se potesse ottener la grazia di leggerlo per poco, ne avrebbe la piena prova de' fatti. — Ma che l’avessero fatto sparire ¥ noi credo, comunque l’epoca è tale da non fidare su limite di nequizie. Se però costà veruno lo rammenta, è ben esso ricordato da persone qui esistenti, che per effetto del loro Ufficio han dovuto averlo sott'occhio e per le mani. Dimenticano cotestoro che siamo ancora tra contemporanei?!

§ 7.°

Compiacesi pure dirmi che molti aggiungono, ch'essendosi assalito Cajazzo d'ordine del Colonna, giunto io sopra luogo, dopo il primo scontro, quando i Regi eran respinti, volessi dar l'ordine della ritirata, e noi facessi per rimostranza del Conte di Traili. — Che altra gherminella 1 — Dopo l'abbandono di Caiazzo il 19 Settembre era naturale che pensassi a farla riprendere, ed all’oggetto riteneva in Capila la Brigata de' Carabinieri Esteri, comandala dal Brigadiere De Mechel, onde averla pronta ad impiegarvela colla propria sua Batteria, col Battaglione del Tenente Colonnello La Rosa, che aveva ceduta Caiazzo senza colpo ferire, e con poca Cavalleria, salvo a scagnarvi qualche altro Battaglione della 2 Divisione Colonna in sostegno. Però, com'era in attenzione della Sovrana determinazione sul mio Disegno di attacco generale, stimava ancora sospenderne l'ordine per qualche giorno, ché se il mio Disegno fosse stato approvalo, avrei giudicato ozioso non solo quell’attacco parziale. , ma anche nocivo, stante che un forte Distaccamento nemico da quel lato, che io avrei dovuto abbandonare. , non mi avrebbe cagionato più ombra, ed all’opposto diminuito di tanto avrebbe la forza avversa sul fianco sinistro delle mie Colonne.

Recatomi a Triflisco il mattino del 21, ove già iti erano i due Reali Principi Conte di Trani e Conte di Caserta, e sorpreso pel rapporto dell'ordine mal datone dal Generale Colonna, che poteva produrre (e l’avrebbe prodotto!) insuccesso spiacevole, che in luogo di rialzare lo spirito delle Truppe lo avrebbe abbassato, chiesi anzi tutto da quanto tempo avea egli dato quell'ordine, per calcolare se convenisse contromandarlo, nel caso che i due Battaglioni destinati a quell’inconsiderato attacco non fossero ancora usciti dal campo, e disporre provvedimenti più convenienti; ma informato che l'ordine eseguito si era fino dalla punta del giorno, sicché le truppe già essere doveano in azione, fummo tutti naturalmente convinti di non esser più a tempo, e perciò anche le LL. AA. Reali; e si marchi che tale rapporto il Generale Colonna mal faceva colla massima indifferenza ad otto in novemiglia dal punto di azione, affidata allo stesso Tenente Colonnello La Uosa che giorni prima abbandonata ne aveva la posizione, standosi così in attenzione del risultato! () Fu allora che in un baleno diedi tutte le disposizioni descritte, nel paragrafo 7.° de' Cenni storici riguardanti la mia persona, e lasciando Colonna in compagnia delle Altezze Reali, mi vi recai di persona colla mia scorta, spingendomi innanzi dello stesso mezzo Battaglione che a passo sforzato marciava per la volta di Caiazzo. Le Altezze Reali, vista l'importanza da me data alla cosa, e l'attitudine da me presa, a segno che stimai di recarmici di persona, seguirono il movimento accompagnati dal Brigadiere Colonna, e mi raggiunsero allorquando, atteso e dato passaggio al mezzo Battaglione di rinforzo guidato dal Maggiore Delli Franci dello Stato Maggiore, avevano questi già rianimala l'azione, che in breve si decise in nostro favore: né mai le nostre Truppe furono ivi respinte, attese le energiche provvidenze del Tenente Colonnello Giovan Battista Della Rocca Comandante del 6.° Battaglione, dopo la fèrizione di La Rosa, sebbene prima dell’arrivo del mezzo Battaglione eransi arrestate sconfidate, atteso la vigoria della difesa: né mai ho sognato un tanto sciocco progetto di ritirata, nell'atto ch'erasi rianimato l'attacco sì brillantemente, per effetto delle sole premurose mie misure, che facevano sperare la prossima vittoria, e mentre la intera Brigata De Mechel, da me chiamata alla corsa, stava vicina per istrada.

Ma ella mi scrive che vari l’asseriscono. — E chi sono questi vari?

Il Principe no certo, ché da lui non ritengo se non generosi encomi, di che conservo imperitura gratitudine; forse soggetti che sperano così farsi un merito? vari ch'erano con me potrebbero anche smentirlo. —Ma senza che mi occupo de' soggetti e de' loro pravi fini, rigetto la maligna falsa assertiva, intenta a derogare in me ogni merito; e trattandosi di cosa da non potersi dimostrare con elementi di convinzione contraria, la. invito a rintracciarli nella sua chiara logica naturale, ponendo io accordo i fatti incontrastabili. —Ma ammesso anche per mera ipotesi che avessi pronunciato una idea: che perciò? la maggior parte delle determinazioni degli uomini non risultano da calcoli fatti su i dubbi o i consigli precorsi? E non è chiaro che si va ideando il neo per denigrarmi, nella speranza forse di così elevarsi?!!

§ 8.°

Quanto alla quistione strategica che mi ripete, se preferenza avrebbesi potuto dare per offrire Battaglia al ponte de' 25 archi anzi che sulle posizioni di Teano, sono a dilucidare i quesiti che mi aggiunge. Conosco sufficientemente quei luoghi, avendo dovuto percorrere più volte quella strada nella lunga mia carriera, non senza rivolgervi le tue osservazioni strategiche e tattiche, seguendo le mie consuetudini, a dippiìi di quanto si apprende dalla carta. Ilo già detto nel §. 4.° delle dilucidazioni date con foglio del 17 gennaio ultimo, ch'era improbabile giungessi a posare l'Esercito su quel ponte, perché doveva trovarsi stabilito con anticipo il nemico, su di che la prego riandare quanto ne dico nella fine della pagina 44 del noto mio Opuscolo di Agosto 1861. Oltre a ciò, Venafro solo, comunque si voglia considerare pingue di vettovaglia, non avrebbe potuto assicurar tutto l'occorrente all’Esercito intero, trovandosi già smunto, né circostanti a quel comune o al ponte in quistione vi sono altri paesi atti ad offrire risorse; né servizio di mezzi di trasporto vi era all’Esercito, per estendere in larga cerchia le requisizioni. — Comunque poi si voglia a posteriori caratterizzare l'invalidità di Garibaldi, dopo che quelli suoi seguaci sonsi dileguati, non era da farne lo stesso giudizio conoscendosi a priori, coni' erano spesso rinforzati in ogni maniera, e dopo che il Volturno non era più per essi un ostacolo: ma dato e non concesso che fòssersi ridotti impotenti ad intraprendere cosa energica alle spalle dell’Esercito, che si allontanava di due marce per unica strada da tutte le utili sue comunicazioni, l'Esercito avrebbe dovuto sempre assottigliarsi sensibilmente per tener Venafro e Teano, ove non mancavano adepti alla Rivoluzione, e nell’atto che il nemico si rafforzava sopra quello stesso Ponte in suo potere colla riunione de' suoi Corpi di Esercito operanti, in posizioni a lui più vantaggioso.

E rimarchi che per qualità di posizione non intendo solo la configurazione del terreno in senso puramente tattico; ma ancora il suo punto geografico, il suo merito statistico, ed il rapporto colle comunicazioni che in senso strategico gli offrono libertà di azione a seconda de' vari casi. Né trovo da dover cedere al giudizio che si sarebbero i rivoltesi trovati stretti tra le due forze di Capua e dell’Esercito, stante che la Guarnigione di una Piazza d'Arme rimasta alla custodia di se stessa non può, non deve sperare al di là del suo raggio di attacco, salvo con piccoli Distaccamenti per provvederla del bisognevole: l'Esercito nostro in conseguenza si sarebbe trovato invece stretto tra due forze operanti, una delle quali imponentissima, ed in racchiusa sfera d'azione, mancante di mezzi e di,corrispondenza, in posizione svantaggiosa.

Del resto, trattandosi di genio strategico, ciascuno la può ragionare come crede; in quanto a me non posso "rivenire su quel tanto che ho appreso colla più accurata applicazione sull’Arte e sulla Scienza della Guerra in tanti anni, cementata da non poca esperienza su i Campi di belliche operazioni. —Convengo che a voce ci potremmo meglio intendere, ed io lo desidererei di tutto cuore!

§ 9.°

Sono riuscito a rivedere Delli Franci, che ha avuto la bontà di favorirmi alcune copie di documenti chiestegli, tra quali quelle che qui le compiego.

Gli ho parlato del manoscritto della Cronaca della Campagna del 1860:—dice di aver forti ragioni. per non porla per ora sotto i torchi, e per non farla uscire dalle sue mani: non mi è convenuto astringervelo di più.

Spero d esser giunto a soddisfare i suoi giusti desideri, promossi da rinascenti deturpazioni dei miei detrattori, e dalla pregevole sua franca amicizia, della quale mi riprotesto gratissimo; e spero che cotesti Signori, a cui è in animo di tenermi tanto inmira, non trovino da farli ulteriormente germogliare, in ogni caso, mi farà sempre grazia de' suoi franchi dubbi, che sarò con pari franchezza a rischiarare. Mi offro intanto ai graditi suoi comandi, augurandole felice la Santa Pasqua.

Le sarei grato in oltre se le piacesse accusarmi il semplice ricapito della presente, a qual fine le ripeto la mia direzione ch'è alla Marinella 18, 5° piano.

Suo umilis. Servo ed Amico

GIOSUÈ RITUCCI.

3. a LETTERA DEL CAVALIERE GIACINTO DE SIVO AL TENENTE GENERALE GIOSUÈ: RITUCCI IN NAPOLI.

Roma 17 Aprile 1866.

Gentilissimo Signor Generale!

La sua lettera del 28 ultimo con copia di documenti mi arrivò, e l’ho studiata.

Il suo rapporto del 18 Settembre col progetto di marciare sulla Città Capitale io già lo conosceva (), ma per cagione delle gravi dubitazioni ch'Ella in esso manifestava sulla esecuzione, esso non fu ritenuto; ed io stesso nella seguita corrispondenza fra di noi credevo mi parlasse di altro. Io la ringrazio molto delle delucidazioni che m'ha dato, e parmi ora i fatti chiariti bene, sicché credo poterne parlare con lucidezza. Convengo pienamente con lei in molte cose; e certo è verissimo che a posteriori si giudica più facilmente, ma lo. Storico non può che giudicare a posteriori. Un Generale dovendo provvedere a priori trova grandissime difficoltà, cui non può tutte risolvere, ma ciò non toglie che gli Storici debbano a posteriori giudicar della Guerra. Cosi si son notati gli errori d'Alessandro, di Annibale, e di Cesare, grandissimi Capitani. Ella nella posizione in cui era, diviso dal mondo, non guardava che la sola posizione militare, e forse credeva in parte alla fittizia opinione di allora che faceva i Garibaldini Grandi Eroi, laonde regolava le cose sue secondo i dettami di Guerra. Io che a quel tempo vedevo co' miei occhi la orribile confusione e inettezza garibaldesca avrei stimato miglior disegno di Guerra, il più pronto e diretto com'anche la pensava il Generale francese Bedeau quando il Re mandò ad invitarlo ad Autun di Francia. Parlando del miglior Disegno di Guerra per noi, rispose: Un Disegno si fa contro un Generale; contro un Garibaldi il miglior Disegno è andarlo ad assalire dove sta.

Non intendo con ciò fare a Lei il torto d'aver pensato altrimenti; era la necessaria condizione del nostro Esercito, senza spie, senza relazioni, temente della Diplomazia e della stampa; composta di clementi discordanti tra loro, con Capi avvezzi ad ubbidire, e a non esser bravi che co' loro subordinati, sospettosi di tutto, macerati dall’invidia, corrivi al soldo, e guardanti a non compromettersi. L'Arte militare tra noi non era un'Arte, ma un Mestiere, siccom'è la letteratura in Francia. Colà son letterati per farsi ricchi, non per far opere insigni, che vogliono tempo e annegazione. Non credo ingannarmi; ma senza grandi talenti militari, solo col proposito di voler vincere, si salvava il Regno, se non dalla conquista, almeno dalla vergogna d'aver ceduto ad uno spregevole e inetto marinaro: trista pagina ed eterna della Storia nostra!

Or dica Lei, non è dispiacevole la condizione di uno Storico patriota, a dover narrare cotanta vergogna? So che alcuni vogliono al solito incolpare i soldati, e per salvare la riputazione di pochi infamare la Nazione. Ma i soldati figli della Nazione, che potevan fare di più? Per otto mesi sempre avanti e indietro, combattere inutili pugne, ubbidir sempre, tra disagi, ferite s malattie, non disertar mai! Non credo che neppur un soldato Spagnuolo (ch'io credo il miglior soldato del mondo) potesse far di più. Qual colpa ha il soldato, se i Generali invece di spingerli avanti, aveano sempre la prudenza di chiamarli indietro?

Neppure credo giusto accusare di codardia cotesti Generali, salvo pochi, i più temevano di chiudersi lo avvenire col troppo avversare la Rivoluzione; temevano la Reazione come la versiera, e non si avvedevano che per vincere si doveva reagire. Ed anche oggi, la Rivoluzione mondiale non potrà esser vinta che reagendo, cioè ritornandosi al dritto.

Le mezzane vie sono dannose all'umanità, e sarei per dire che meglio l'ultimo fine della Rivoluzione, che lo stato mezzano tra Pace e Guerra, tra Virtù e Vizio, tra Amore ed Odio, tra Fede ed Ateismo, tra Civiltà e Barbarie.

Perdemmo il Regno pel mezzano operare. Carlo XII mentre i suoi Generali e Ministri deliberavano di salvarsi colla Diplomazia, cavò la spada, e con pochi soldati cors'a conquistare Copenaghen. Noi abbiam temuto delle chiacchiere de' giornali, della setta che si chiamava popolo, e abbiamo disarmato il vero popolo, e dato a saccheggiare alla setta.

Queste cose che le ho notate come la penna gitta%, non sono certo per fare uri rimprovero a Lei e a non pochi onorati uomini che ebbero la sventura di perdere la Guerra senza ragione; Ella e quelli sono vittime degli errori altrui, della malizia di molti, della ignoranza de' più, dallo accecamento di quasi tutti, che non videro come a vincere una Rivoluzione falsai che mentiva italianità e popolarità, bisognava esser veri patrioti e popolari, e servirsi degli elementi patri e nazionali, e combattere a ogni modo a furor popolare lo straniero.

Il popolo vero sa che cosa è Patria, cioè il Paese, dov'è nato, sa che cosa è straniero, cioè quello che non vi è nato.

Le sette oggi hanno sì confuse queste idee con le loro frasi che abbiamo visto in nome d’Italia celebrare il Turro Ungaro, e carcerare me e altri centomila con me carcerati e esiliati o relegati o fucilati!!

La Rivoluzione ha frasi che sembrano liberali e sono tiranne;, bisogna insegnare ad essa la vera spiegazione delle sue frasi, propugnando la vera libertà, scacciando via lei.

Certo l’ho annoiato con questa tiritera che non finirebbe tanto presto. Finisco ringraziandola delle notizie che mi ha favorito; e pregandola di credermi in eterno di V. E. .

Devotissimo Servo ed Amico Giacinto de Sivo.

3. a RISPOSTA DEL TENENTE GENERALE GIOSUÈ RITUCCI AL CAVALIERE GIACINTO DE SIVO, IN ROMA

Napoli il 26 Aprile 1866.

Onorevolissimo amico Signor Cavaliere!

Il gradito suo foglio del 17 volgente mese nii è pervenuto il 20, mentre giaceva in letto per eventuale indisposizione. Considerando la cortesia con la quale Ella si accusa pago delle deboli dilucidazioni da me apprestale, ed avendo mente alle non lievi sue occupazioni, dovrei dar termine ai miei caratteri.

Ma per maggiormente testificarle il valore che dò ai di lei valevoli sensi a mio riguardo, ed al chiaro giudizio che fa sulle sventurate nostre emergenze del 1860, mi avvalgo del suo compatimento per aggiungerle questi altri pochi detti, nella fiducia che voglia considerarli colla consueta sua bontà.

§ 1.°

Da tutt'i precedenti miei scritti Ella ha già desunto non essermi mai illuso sulle pericolose conseguenze di quanto avveniva, e specialmente sul fatale sistema di ritirata, a segno d’averlo anche rassegnato a tempo utile alla Maestà del Re in Napoli.

Ella ne ha enumerate le cause «come la penna gitta» ma con immensa cognizione: ed io ammirando quelle che ci riguardano, le ritengo pienamente, solo osservando, come meco converrà, che per alcune l’Efficienza può rinvenirsi in più profonda radice.

Ella si ferma un poco sulle astruse difficoltà del suo generoso assunto.

Eh sì, mio buon'amico! fin dal principio ne ho calcolata tutta l'importanza, e glielo avea già rimarcato nella precedente corrispondenza: ma vivo nella convinzione ch'Ella avendo per guida la Verità, ed appoggialo un tantino alla Prudenza, in modo che non vien deviato dalle tracce della detta guida, saprà felicemente uscire dal difficoltoso sentiero che deve percorrere.

§ 2.°

Qualche osservazione mi resta a rimarcarle, onde aprirle ancora più larga e retta la strada sul giudizio do' miei concetti politici militari alla circostanza. Mi confida «ch'Ella vedendo ocularmente a la orribile confusione ed inettezza garibaldesca, a avrebbe stimalo miglior disegno di Guerra il più pronto e diretto, com'anche lo pensava il Generale francese Bedeau, quando il Re mandò ad invitarlo ad Autun di Francia. Parlando del miglior Disegno di guerra per noi, rispose: un Disegnasi fa contro un Generale; contro un i Garibaldi il miglior Disegno è andarlo ad asti salire dove sta.»

Ch'Ella, da quanto vedeva tra garibaldini, giudicato avesse col lucido suo intelletto, che il miglior Disegno di guerra era il più pronto e diretto, questo è logico. Da quanto le ho estesamente esposto nei precedenti miei scritti, ha già rilevalo ch'è stato sempre tale il mio parere, fino a che per ordine dovetti ritirarmi col residuale Esercito dietro la linea del Volturno. Dopo tale fatale ritirata, lasciando tutto tutto in balia del nemico, la situazione non mi sembrò più tanto semplice, oltre alle molte considerazioni spianate nella precedente nostra corrispondenza, ed ai tanti principi di Guerra ivi cennati, è da aggiungervi la considerazione che Garibaldi dopo la inaudita entrata trionfale in Napoli, e messosi senza opposizione in possesso di tutto tutto, con prestigio della Rivoluzione ingigantita e nel suo apogeo, sostenuti l'uno e l'altra da tre Potenze belligeranti, con mezzi, uomini ed armi; Garibaldi non era più l'avventuriero, ma l'uomo, qualunque egli si fosse, eletto a sostener tanta scena.

Ad onta di quelle difficoltà, accertatomi che il Sovrano era determinato a prender l'offensiva, nell'aver tardi potuto aprir gli occhi sugl'inganni tesigli, io esibiva il Piano di operazioni il 18 Settembre, studiato con tutte le debite considerazioni, l'esecuzione del quale avrebbe ancora corrisposto pienamente al giusto di Lei giudizio, cioè al Disegno di guerra più pronto e diretto.

§ 3.°

Ella si compiace dirmi che quel mio Piano non fu ritenuto per cagione delle gravi dubitazioni che vi manifestava.

E che si fanno disegni di guerra senza porre a calcolo tutto il male a cui si può andare incontro, e tutto il bene che se ne può trarre? Erano forse impossibili quelle dubitazioni? Per me era il più sacro de' doveri. Si trattava della sorte del Regno, del Trono e della Dinastia, ed io scarso di mezzi di ogni natura, con incompleta fiducia sulla disciplina e valore de' miei dipendenti di ogni classe, e su quella che gli stessi dipendenti potessero avere in me, dopo i tanti scandalosi tradimenti, inettezze e viltà precorse; con vacillante facoltà, atta più ad espormi ad arbitraria risponsabililà che a darmi libera attitudine; io era nell'obbligo di rassegnare tutte le mie vedute.

Ma ciò che mi prometteva in conclusione era quel tanto poteasi ottenere, nella situazione in cui da noi stessi ci eravamo ridotti (), con gradi di probabilità di riuscita che in quell'estremo doveansi non disprezzare; anzi che obbligarmi ad altro Piano che offriva infinite complicate eventualità, pernicioso, come furono, pe' Generali e Truppe poco o niente agguerrite.

§ 4.°

In quanto però al parere del Generale Bedeau, questo anzicché offrirmi una scuola, mi appresta ragione a sempre più riflettere sulla sventura di quei pochi Generali di Napoli, che rinunziando a tutt'i godimenti della vita si occupavano con intera annegazione, con cuore ed onore a coltivarsi nella carriera delle Armi, per essere alla circostanza di puntello al Trono ed utili alla Patria; e sulla sventura della stessa nostra Dinastia Regnante, indotta con raggiri ed inganni ad affidarsi agli uomini più perversi o più inetti, e mancandogli questi, rivolgersi agli Stranieri! (e sempre preferenza agli Stranieri!) —Il Generale Bedeau (), qualunque fossero le sue qualità e la sua fama, ammessa anche tutta la sua buona intenzione, non poteva su due piedi rispondere adeguatamente al grave quesito che gli si dirigeva, per la cui risposta facean d1 uopo cognizioni peculiari ch'egli tutte non poteva avere, o che non tutte potea mostrar d avere.

Egli se ne usci corno suol dirsi, per il rotto della cuffia, egualmente che Cavour, quando interpellato diplomaticamente sopra i tratti di Garibaldi, rispose, in altri termini, prendetelo e fucilatelo!!

§ 5 .°

Ma Ella cita anche in appoggio a quello asserto il passo ardilo di Carlo XII, che mentre i suoi Generali e Ministri deliberavano di salvarsi con la Diplomazia, cavò la spada, e con pochi soldati corse a conquistare Copenaghen. —Carlo XII, Principe pieno di vigore e di valore, di limitata esperienza, ed intollerante di prudenza, nelle sue Guerre si rammentò più di esser bravo che di assumere l’officio di Generale. Egli comunque non avesse a battere una Rivoluzione organizzata, estesa e sostenuta come quella del 1860, ed avesse in vece tutt'i suoi popoli per sé, agì come giocatore avventato, che favorito più volte dalla fortuna, sovente amica dell’audacia, finisce per gittare quanto possiede sopra una carta, e vi resta vittima.

La ripetizione di quella inconsideratezza finì per portarlo alla perdizione sotto Pultava: quello fu il suo gran neo, che non credo giusto proporsi ad esempio: senza di quel neo avrebbe forse Lui preso il titolo di Grande, che invece ceder dovette al suo emulo Pietro di Russia.

Nei §. 8 e 10 de' miei Cenni Storici riguardanti la mia persona rammenterà che le ho trascritte le sentenze opposte di Napoleone 1°, dell'Arciduca Carlo di Austria, di Federico 2.° di Prussia e di Montecuccoli, e simili; la Storia militare ne offre a dovizia; senza omettere i felici tratti di audacia, quando sono ben calcolati.

Ma Carlo XII, Re, indipendente, giocava per sé; né a tanto si determinava dopo di aver ceduto gratuitamente al suo avversario 39 punti della partita sopra 40: io giocava pel mio Sovrano, che mi aveva confidato il suo posto, dopo di aver subita frode di quei 39 punti, ed io non doveva esporre tutta la sua fortuna sopra una carta senza ch'Egli me l'obbligasse; ed è assodato come allora ho corrisposto al mio compito.

§ 6.°

Avrei mancato di fiducia verso Lei, mio tanto stimabile amico, se non le avessi aperto senza reticenza il mio cuore, anche sulle espresse circo»stanze. Le accolga coll'amabilità di che mi ha sempre onorato, per quel conto che meglio stimerà farne nell'arduo, e faticoso suo lavoro.

Gradisca riprotesta della pura mia gratitudine, e mi creda inalterabilmente tutto suo.

Umilissimo ed affezionatissimo Servo ed amico

GIOSUÈ RITUCCI.

COMENTI CONFUTATORII

Articolo 1

Indecisione nel Consiglio di Generali, tenuto

dal Re Francesco il 26 Agosto 1860.

L'espressato autore nel libro vigesimoquarto a pagina 50, volume 4.°, nel denotare quanto avvenne nel Consiglio de' Generali tenuto dal Sovrano il 26 Agosto 1860 nella Reggia in Napoli, chiude il suo primo Comma del § 22 nei seguenti termini:

«. . . . . . . . . La indecisione prese tutt'i Generali; ché dopo la lettera del Siracusa, stavan cogli occhi a Torino, tementi o speranti di mostrarsi ostili o favoritori a quello cui presagivano Vincitore: vergogne che tra pochi dì doveano diventar glorie, il Re si trovò in un attimo tra pusillanimi, che forse avanti al nemico tacevano il debito loro; mancava il sentimento del dovere, e cresceva quello dell’utilità.»

Se questa conclusione l’avesse ristretta ai Generali che han tradito, non vi sarebbe osservazione a fare: ma avendola generalizzata a tutti gl'intervenuti in quel Consiglio, affasciandovi Generali dotati di più retti principi sostenuti durante tutta la Guerra con ogni annegazione, ed anche posteriormente con onore, e costanza, sdegnando ogni possibilità di vantaggio, comunque male o bene costituiti, cosa a lui non ignota, perduranti inalterati nel tempo ancora ch'Egli scriveva; à Egli così elevato azzardoso giudizio sull'interno sentimento di persone che per una vita intera han saputo acquistare dritto alla pubblica stima, e che han potuto aver ben delle ragioni da rimanere un'istante paralizzate o disaccordi, come ò dichiarato nelle note (1. a) e (2. a) del § 3° comma (D) de' Cenni Storici riguardanti la mia persona: Egli in tal modo si è spinto fuori de' limiti che serbar deve l'onesto e pacato storico, e fuori del suo stesso programma di giustizia; ed ha mostralo che invece di mancare a quei Generali (parlo de' fidi consacrati all'onore ed alla legittimità) è mancato a Lui il sentimento del dovere, cedendo a quello di una speranza di utilità, o di un mal ponderato trasporto.

Art. 2.°

Condotta de Generali ne' moti riazionari

in S. Antimo, Cesa e S. Arpino

Alla pagina 98 volume 4.°, libro vigesimoquinto §. 31, nell'accennare un moto reazionario in S. Antimo il 13 Settembre, ed altri avvenuti a Cesa e S. Arpiuo, così si esprime:

…. . . . . . . . . . «Ma i Generali borboniani fitti sul difendersi al Volturno, lasciarono cadere quei moti, che aiutati divampavano in tutto il Regno. Solo guardavano alla posizione militare! non pregiavaoo la quistione politica e sociale; però questa abbandonarono, quella sbagliarono.»

Non dei Generali doveva parare l'Autore, ma del Generale io Capo, dacché gli altri non aveano la facoltà di staccarsi dall’Esercito per intraprendere d? loro una iniziativa offensiva. IV altronde sarebbe censurabile quel Duce di un Esercito che facesse dipendere le sue disposizioni da ogni parziale imprudente moto per intolleranza o foga di vendetta di partiti. Sono queste mosse da tenersi bensì molto a calcolo nei disegni di operazioni; e fu in effetto una delle principali considerazioni sulle quali poggiava il calcolato mio Piano offensivo che rimisi al Sovrano il 18 Settembre, com'è narrato nel § 8° de' Cenni Storici riguardanti la mia persona, e nella corrispondenza che ne segue coll'autore de Sivo. —Emerge da ciò, ch'egli costante nel sistema di concettizzare da Cattedratico su tutti e su di tutto, con frasi vibrate e concise, di che è felice,ha voluto anche in ciò sbarrare i limiti nei quali dovea tenersi per non invadere le facoltà altrui.

Art. 32.°

Carattere militare del Comandante in Capo Generale Ritucci

Nel libro vigesimosesto, a pagina 109 e 110, 4.° Volume § 5.°, nell’indicarmi nominato a Duce Supremo, dice:

«. . . . . . . . Impertanto stando già il Generale Giosuè Ritucci a Capo delle truppe, il confermò (). Questi s'era mostro buon soldato; avea combattuto a Palermo e a Velletri onoratamente; era in età virile; Ministro Costituzionale, per non imbrattarsi coi Colleghi, era disceso; però si poteva sperare in Lui.»

Lo Stato de' miei servizi messo alla fine di questi Cementi, dopo quanto si sarà scorto in tutto questo scritto, mostrerà più distintamente il carattere militare che mi compete.

ART.° 4.°

Ideale asserto dell'Autore de Sivo sull'investimento

della Capitale, contrariato dal Generale Ritucci

Nello stesso libro vigesimoscsto Vol. 4. ultimo comma del § 5.°, a pagina 110, vi si legge:

«. . . . . . . . . . . Il Re fu di parere investir Napoli con trentamila uomini, e sì, o chiamare in campagna rasa il Garibaldi, ove era facile il superarlo, o nella Città bloccarlo ed affamarlo. Contrastò il Ritucci: disse le truppe tolte appena dalle seduzioni rivoluzionarie, allora o raggranellate, doversi riordinare: meglio colle scaramucce alzarne gli spiriti prima. Ciò ai primi dì era bene; protratto a un mese, fu fatto.»

Questi tre periodi par si addicessero più a romanzo storico, per meglio discendere con frase autorevole ad imputarmi un fallo, schivando ogni opportunità di lasciar concepire in me un merito. Il residuale Esercito raggranellato sotto i miei ordini non ha mai oltrepassato i 27 in 28 mila uomini, compresa la Guarnigione di Capua.

Da quanto da me si espone nel 8° § de' Cenni Storici riguardanti la mia persona, e nel mio riscontro al de Sivo del 28 Marzo 1866, § 5.°, il lettore rammenterà che le ragioni sulle quali io basava le mie osservazioni, per non prendere l'offensiva nei primi giorni, erano maggiori di quelle che qui l'Autore compendia.

Non pertanto Egli le ritiene anche compendiate, e dice: a' primi dì era bene, protratti ad un mese, fu fatto. — Ma io fui sulla linea del Volturno il 7 Settembre, ed è dimostrato quali furono le cure e le disposizioni che mi occuparono i primi giorni; il 18 diedi il mio Disegno dell'offensiva a prendere; come si protrasse ad un mese? Ed il pensiero del diversivo sopra Napoli, per porre Garibaldi nell’alternativa o di venire a combattermi fuori de' suoi trinceramenti, o di perdere la sua base di operazioni pinguissima di ogni risorsa, non fu forse quello del mio Piano non ritenuto?

E non è Egli stesso che mi riconosce fuori di colpe nella fine della sua 3. a ed ultima lettera del 17 Aprile 1866? A qual fine mi confonde qui dunque nel fallo, anche volendosi ritenere che fallo vi fosse? Eh, ben si desume ch'era Egli stato indotto a farmi figurare il Capro emissario degli Ebrei non avendo creduto o potuto interamente sottrarmene, senza sconnettere nelle prestabilite sue tesi!

Art. 5.°

Domanda per avere Lamoricière al Comando in Capo del nostro Esercito, o un Disegno di guerra. Errori di quel Generale.

Nello stesso libro vigesimosesto, Volume 4° § 11, l’Autore nel narrare la proposta di unire Napolitani e Papalini, così si esprime:

«. . . . . . . Offeriva (il Re) il Lamoricière si avesse anche il comando de' nostri, ecc. . . . . . . . . . Ciò proponendo il Re volea provvedere a due cose, a noi di un Generale, al Pontefice di soldati. Il Luvarà recava eziandio lettera del Conte di Trapani del 9 settembre al de Merode; la quale accennando alle proposte, mostrava come le patite spoliazioni di Benevento e Pontecorvo nel Reame doveano essere stimolo e ragione ad accettarle. In oltre l’11 Settembre moveva per Roma il Generale Cutrofiano con lettera autografa di Francesco al Papa.

«Ma a Roma temevano infirmare le sorti della Chiesa, e perdere il sostegno che speravano di Francia. Primo il Lamoricière si negò ec.

«. . . . . . . . . (Propose Changarnièr o Bedeau). . . . . . . . . . .

A pagina 120 vi è:

«. . . . . . . . . Il Merode rispose al Trapani ricusando. . . . . . . . . Per contrario, considerate le condizioni di allora, certo il nome di Lamoricière bastava a ripigliare Napoli ad un urto, ec

A pagina 121 vi si legge:. . . . . . . . . . . . . Chiese (il Re) almeno il Lamoricière mandasse un Uffiziale a stabilire un Disegno di guerra, ec. . . . . . . . . . . . Da Roma fu risposto: Il Lamoricière non poter accettare altro Comando che il divierebbe dalla difesa di Santa Chiesa ec. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nondimeno il de Merode e 'l Lamoricière mandarono a Gaeta il Colonnello Mortillet e il Capitano Maquelon; ma mentre si atrattava, i fatti di Castelfidardo ed Ancona distrussero l’Esercito Papale.

§ 1.°

Mi reputo incompetente a comentare in tutte le sue parti il merito di questo traffico, che si attivava per pitoccare un Generale straniero, a disdoro de' Generali napolitani, qualunque fossero, mentre trovandomi al Comando in Capo del residuale Esercito, forte di mia coscienza, impiegava tutto me stesso a ben servire il Re ed il mio Paese; e lascerei questo odioso articolo interamente al pubblico giudizio de' contemporanei e de' posteri, se non vi ravvisassi l'indispensabilità di qualche rimarco.

Il Sovrano tradito o abbandonato da coloro ch'era educato a riguardare come i migliori sostegni del suo Trono, e mancante fino allora di opportunità, nel brevissimo suo regnare, di studiar l'uomo sin nelle più nascose latebre del cuore, e sperimentar e concepir piena fiducia di quei che la meritassero tra Generali che gli rimanevano, ha potuto, nella giusta agitazione dell’animo suo, esser tratto in inganno da trafeloni che lo circuivano (salvo sempre eccezione), e cader nell’errore di affidar sue sorti a stranieri: errori di cui la Storia ci offre tanti esempi seguiti da sciagure, de' quali non fu esente lo stesso Napoli nella fine del secolo decorso, e nei primi lustri del corrente. Ma chi avea avuto più occasione di conoscermi da vicino, per meglio apprezzare la rettitudine del mio procedere, e che tanto impegno poneva per ottenere dal Santo Padre il Lamoricière, se non ha creduto d’avere a calcolo l'avvilimento degenerali nazionali, e la lesione alla saggezza de' Sovrani che li aveano a quei gradi promossi; per troppa annegazione ed affettuoso zelo alla causa del Re, si rese superiore alla conseguenza ch'Egli stesso immeritamente avvolgeasi, qual uno de' Generali, nella comune nullezza, onde renderne men dispiacevole, e più sopportabile la non gradita caratteristica, che feriva in massa.

E perché? era dunque questo il compenso ch'io dovea attendermi dopo 54 anni di programma inalterabile di onore e di annegazione su tutt'i rami, per esser utile alla Corona ed alla mia Patria insieme?

Oh se un Principe Reale, e l'istesso eccelso Conte di Trapani, Egli allora allacciata avesse in sue mani l'affettuosa fiducia e la cieca ubbidienza di tutti, ogni Generale ed io, eccezion facendo da ogni altra posizione, reputati ci saremmo ben onorati di essergli al seguito nella qualità di sottoposti, ed il Re sarebbe uscito da quella perplessità tormentosa, nascente da dubbi sulla fermezza de' sentimenti del Capo a cui affidava la sorte Sua e del Regno.

Ma prima di quella campagna, mi si era pur talvolta dalla Corte espressa la sua stima; e dopo la Battaglia del 1.° Ottobre, nel Campo di Capua, ed a Gaeta, dopo ch'io ebbi lasciato il Comando dell’Esercito operante, e più dopo la catastrofe dello scioglimento di questo, pur fummi benevola. a dimostrarmi la sua considerazione, fino a lasciarmi onorevol ricordo, nell’uscir da quella Piazza per recarsi altrove. Qual giudizio far debbo tra estremi si opposti? Devo credere insussistente l'esposto dell’Autore, o pur che per occulte mene de' gelosi presunti saccenti concepiti si fossero tormentosi dubbi sulla lealtà dell’uomo a cui affidata trovavasi la sorte della Dinastia e del Regno, e che poi, dietro compruova de' fatti, mi venisse riaccordata la pristina debita stima?—Non avendo elementi certi da ritener più luno che l'altro giudizio, e non sapendo concepirne un terzo, seguo il dettame di filosofia pratica, che ha sempre sgombrai i perigliosi passi dell’astruso cammino di mia vita, e raccolto nella coscienza di mia rettitudine, lascio al tempo ed alla imparzialità del pubblico la cura di ben giudicarmi.

§ 2.°

Oltre la sostanzialità di quel maneggio, non posso rimanerne inosservato l’estremo: sulle accorte negative del Papa, discondevasi a chiedere un Ufficiale per designare un Piano di Guerra, per lo che si ottenne il Colonnello Mortilliet ed il Capitano Maquelon, al certo apportatori delle istruzioni del Lamoricière! sono queste tali inqualificabili pratiche da distruggere ogni prestigio nel Comandante in Capo, e promuovere sempre più le mistificazioni, la sfiducia e l'indisciplina, a danno più d’ogni altro della opinione e decoro di chi sa meglio il pubblico che me far giudizio: le stesse pratiche che ingenerarono quell'inconsiderato Piano, su cui dovette il nostro Esercito attaccare i rivoltosi per fallire il 1° Ottobre!

§ 3.°

Ma v'è pur detto: «certo il nome di Lamoricière bastava a ripigliare Napoli in un urto.» — Che improba ed azzardata sentenza! Vi sarebbe molto elemento in appoggio alla dimostrazione della probabilità del contrario (senza per anco entrare a discuter la misura del valore strategico tattico di quel Generale, che qui in prosieguo tratteggerò) solo perché mancante, detto Generale, di molte peculiari cognizioni del Paese e dell’Esercito, e facilmente della fiducia di questo, messo alla disposizione di un estero, come avvenne con un Mack, ed indi con un Nugent. Non mi dilungo su di ciò; lo lascio al penetrante intendimento del lettore. — Come però si dà tanto fiato alla tromba sulla fama di quel Generale, detraendola da quella de' Generali connazionali, dimenticando l'autore all'oggetto lo spirito patrio di che forma la pietra angolare della sua Storia; e perché entra a trattare da sentenziatore materie non sue; conviene che cerchi di ridonare alla tromba della fama degli ultimi quel fiato che le si è tolto a vantaggio dell’altra; e 'l fo nel più breve modo, richiamando il lettore a riscontrare le pagine 134 a 136 di quel 4° volume. Quivi scorgerà che il Lamoricière, dopo di aver disseminate le limitate sue forze tra Ancona, Pesaro, Perugia, Orvieto, Viterbo, Terni e Macerata, ritenendo con sé una riserva a Spoleto; alla nuova che due Eserciti Piemontesi sboccavano da Toscana e da Romagna, sapendo Roma guardala da' Francesi, dispose che il De Courten da Macerata piegasse ad Ancona, Schmid da Foligno arretrasse a Viterbo, spingendo una frazione a Perugia, ed egli seguito da Pimodan ch'era a Terni, usciva il 12 Settembre da Spoleto, e raccolto a Foligno un Battaglione giunto da Perugia, s'affrettava per Tolentino a toccar Macerata con otto Battaglioni di fanti, 16 cannoni, e 300 cavalli, pria che il nemico gliel vietasse, onde correre ad Ancona per non farla cadere. —Fu questo un grande errore. Roma residenza del Santo Padre, e base di sue operazioni, comunque supposto guardata da Francesi, non lasciava di essere il principale punto oggettivo della difesa: col disperdere pressocchè la metà delle sue forze in piccole frazioni che dovea considerar perdute, ed abbandonare quella Capitale per correre verso Ancona colla ridotta forza inferiore di molto ad ogni uno de' due Eserciti Piemontesi, valeva lasciare il tutto per la parte, distaccandosi dalla sua base circa 100 miglia, e rimanervi tagliato in una più stretta sfera di azione, riducendosi a non aver altra dubbia ritirata che in una Piazza d’arme bloccata anche per mare, incapace di lungo sostentamento al piccolo Esercito che poteva ricoveratisi, e di protrarre di molto la propria difesa; lasciando in tal modo il Papa privo affatto delle proprie forze, in balìa unicamente di esteri, comunque giudicar si potessero sostenitori di Santa Chiesa e dei Potere temporale del Pontefice. — Egli, a mio parere, si sarebbe mostrato più profondo stratego, se all’avviso della marcia de due Corpi di Esercito Piemontese dal lato delle Marche e della Toscana, ed anche prima, avesse concentrato tutto l’Esercito di suo comando nelle prossimità di Foligno, Quartier generale, fatta rinforzare, occorrendo, la guarnigione di Ancona, e fatto occupare Viterbo, con attivata comunicazione per Terni, Narni, Borghetto e Civita Castellana: avrebbe così tenuto sorvegliato lo sbocco dalla Toscana per Acquapendente, ed avrebbe da Foligno soggiogate le due strade che vi si concentrano, dalle Marche per Macerata e Tolentino, e per Fossombrone, Cantiano e Nocera; e la terza dalla Toscana per Arezzo e Perugia; e se, vantaggiato da più larga sfera d'azione, vi avesse eletta posizione che offrisse i maggiori vantaggi tattici, per ricevervi battaglia nel caso che riuscito non gli fosse di manovrare in tempo contro il più prossimo di quei Corpi colla massima sua forza, per indi manovrare contro l'altro, senza molto spingersi, onde serbare sempre la sua ritirata in Roma, ove, se sopraffatto, standov'i Francesi, il Generale di questi non avrebbe potuto fare a meno d'imporre sosta ai Piemontesi, affin di sostenere la tutela del Papa. Se non si avessero potuto salvare le Marche, e l’Umbria, molli disastri sarebbonsi evitati.

Quel piccolo Esercito ristaurato alla meglio, e disponibile in Roma, avrebbe tenuto circospetto l’Esercito Piemontese a non azzardarsi intero dagli Abruzzi nel regno: un accordo celi Esercito napolitano avrebbe ben potuto cambiare il corso delle cose, che, da quel fatale errore, seguito dal mal concepito Disegno di operazioni offensive a me imposto, mio malgrado sul Volturno, scaturito, dalla stessa fonte, e intorbidato da' medesimi difetti di complicazione nei movimenti, e di sminuzzamento di forze, ad onta del tanto ben calcolato mio Piano non ritenuto; son questi gravi errori che han dato seguito ad una concatenazione di eventi, e cambiato l’aspetto politico militare, e fin anche la nazionalità in Europa. Se avesse egli dunque disposto il suo Disegno di difesa come qui fo cenno, allora sì che il fiato avrebbe potuto soffiare abbondante e sonoro nella tromba della sua fama (salvo i suoi molti altri meriti precedenti). Ma l'autore prestabilita la critica mordace contro tutto e tutt'i suoi connazionali, persuaso così elevarvisi eminentemente, nell'approfondare il suo lavoro anche da stratego, mancava del Protagonista, e non ha saputo o non ha potuto meglio eleggerlo che in quell’Estero già oggettato qual personaggio a cui solo affidar si potesse la sorte della Dinastia e del Regno.

Art. 6.°

Se Lamoricière, dopo Castelfidardo,

avesse recata la sua spada a Francesco 2.°

Seguendo il libro vigesimosesto, Volume 4.°, infine della pagina 144, Vautore dice:

«Anche dopo Castelfidardo, se non si serrava (Lamoriciére) in Ancona, meglio voltava per Roma o pel Regno; se avesse recata la sua spada a Francesco, vi trovava trentamila soldati pronti a' seguirlo come a salvatore.

«Ma invero in quei dì era sì depressa la fama dell’arme nostre, ch'ei non poteva porvi speranza; non ancora segui i fatti del Volturno.»

Dopo Castelfidardo Lamoricière non era più in tempo di ritirarsi in Roma, perché se n'era di molto allontanato, ed era già chiuso dal Corpo di Esercito di Fanti, cosa che non seppe prevedere. Pel Regno, avrebbe forse potuto giungervi, ed a far che? vi sarebbe arrivato fuggiasco, recandovi maggiore sconforto e dissenzioni, seguilo dal nemico, che ne avrebbe profittato per anticipare la sua invasione, favorito da rivoltosi anelanti appoggio, per abbreviare la nostra catastrofe; e ciò, in frase scolastica, lasciando il proprio per l'appellativo. Ma l'autore invaso dal chiaro impegno di disporre i suoi ragionamenti a travolgere il me rito del fatto e del non fatto, ed indotto a tener sempre di mira il prestabilito Capro espiatore, su cui rincarire ogni peso; ei per qui talmente aberrato, che giunge a dimenticare financo quanto narrato avea nelle prossime sue pagine precedenti, riguardante i movimenti di Fanti, e come a Loreto Lamoriciére trovossi chiuso.

Art. 7.°

Manca un uomo

Nel libro vigesimosettimo a pagina 154 del volume 4.° l'autore ben descrive, sebbene incompletamente, le condizioni de' Napolitani sul Volturno: ma per serbarsi conseguente al suo disegno, dimentico di quanto si è discusso e chiarito nella nostra corrispondenza, v'infilza l'arbitraria assertiva:. . manca un uomo… alludendolo al Comandante in Capo.

Dalle osservazioni seguenti il lettore meglio si chiarirà se quest'uomo vi mancava, o se cedendo all'influsso de' perniciosi intriganti, egli fu disconosciuto da chi doveva meglio apprezzarlo, e dallo stesso storico.

Art. 8.°

Inazione de' regi.

Nel medesimo libro vigesimosettimo, volume 4.°, a pagina 158 § 4.° intestato Inazione de' regi, prende a designare con critica di non essersi tenuto posizioni e paesi salla sinistra del Volturno; d’essersi ritirata la Scafa di Caiazzo, disfatto il Ponte a battelli di Triflisco e l’altro tra Cancello e Arnone; di essersi ridotto a Corpo di Guardia la Stazione di Capua, e rottasi la strada ferrata; d'essersi posato l'Esercito indietro la dritta del Volturno in punti troppo estesi fino a Gaeta; e che preveduto tutto a difesa, niente ad offesa, sparpagliata era la forza senza prò; il tutto esposto in modo, a far tralucere sue correzioni od imperizie mie più che di altri.

§. 1.°

Precessa la corrispondenza seco lui tenuta, il lettore riterrà d'essersi da me prima rimarcata l’inconvenienza dello abbandono di tutto il paese tra Napoli ed il Volturno, segnatamente nel principio del § 7.° e nel secondo comma del § 10.° de’  Cenni Storici riguardanti la mia persona.

§. 2.°

La tolta del Ponte a battelli di Triflisco e della Scafa di Caiazzo fu imposta principalmente dal dominio nemico della riva sinistra sulla dritta del Volturno, com'è già detto nel § 6.° dello stesso mio scritto: ma giacché l’autore in frasi dogmatiche tenta di elevarsi con critica su tutte le operazioni, buone o cattive che sieno state, sono a soggiungere, che oltre al dominio delle posizioni nemiche, un calcolo accurato su 1 vantaggi e gli svantaggi della esistenza di quei trapassi dettò la disposizione di levarli, calcolo che deve sempre costantemente precedere tutti i dettami di guerra, e che precesse in tutte le disposizioni da me date in quei rincontri. Per noi quei mezzi di passaggio non erano di grande utilità, trovandoci a cavallo delle due rive, possedendo Capua; e non potendosi guarentire con teste di ponti o altrimenti, ben pòteano divenir utili al nemico; l’opposto che se noi avessimo dovuto guarentire la riva sinistra contro la dritta: per un calcolo consimile feci anche distruggere il ponte tra Cancello ed Arnone, il quale pressocché inutile per noi, ci avrebbe obbligati ad opere fortificatorie, e ad assegnarvi poderoso Distaccamento, onde non divenisse utile agli avversi.

§. 3.°

È dogma di guerra che nel raggio di attacco di una Piazza d armi messa nello Stato d'assedio, col nemico a fronte, non vi sia libero traffico da quel lato, e più incompatibile diveniavi lesercizio di ferrovia; quindi opportuna la rottura di quelle rotaie. Rimasta la Stazione inoperosa, di valide fabbriche, tra lunetta e bastioni, si stimò dal Consiglio di difesa della Piazza che adibita fosse a ricovero fortificato di truppa che forniva gli avamposti: che perciò?

§. 4.°

L'Esercito di operazione non si estendeva fino a Gaeta, come l’autore mal a proposito asserisce mentre la guarnigione di Gaeta, e le truppe fino al Garigliano non vi appartenevano, dipendendo da altri comandi. L'Esercito di operazione era posato nella zona tra Cajazzo, Teano ed adiacenze, ed estendevasi verso ]a marina a Mondragone, centro e perno Capua, ove giungeva la corrente elettrica da Gaeta, e perciò Quarlier generale.

Ben io vedeva che il raggio era troppo esteso; mal’importanza di tenere quei punti geografici essenziali, mi fece disporre a riparamento calcolale istruzioni, da far ingrossare in breve la forza sui luoghi attaccabili: il 14 ed il 19 Settembre giustificano il valore delle date istruzioni. Gaeta per la propria sua importanza, e per esser divenuta regia residenza, è naturale che doveva esser fornita di sufficiente guarnigione; e non potendosi lasciare inosservato il cammino tra Gaeta e l'Esercito di operazione, è naturale ancora che il Re vi avesse disposto delle truppe a scaloni.

§. 5.°

La linea del Volturno stabilita superiormente come linea di demarcazione, per raccogliervi tutte le frazioni sfuggite dalle fellonie, riprovvederle e riorganizzarle, era doveroso di prevedere e provvedere anzitutto alla difesa, ch'è precetto militare anteporla ad ogni disegno di offesa, anche nelle brevi fermate nelle marcemanovre offensive, per non soggiacere agli effetti perniciosi di sorprese: la storia militare è piena di esempi di simili disastri, sofferti non meno ne' movimenti offensivi, per essersi poco curata la difesa; e senza andare per le lunghe a citazioni, i molti vani tentativi di sorprese di Garibaldi, e specialmente del 19 Settembre da tutt'i lati de' nostri accantonamenti, avrebbero potuto non fallire senza le accurate predisposte misure di difesa, che resero infruttuosi tutt'i suoi sforzi per circa 50 giorni, ad onta degl'immensi vantaggi di luoghi e di mezzi di ogni natura, e fino a che dovetti cambiar Disegno di difesa, per la marcia dell'Esercito Piemontese alle nostre spalle, come già rimarcato stà nel § 11.° de' ripetuti Cenni Storici riguardanti la mia persona.

§. 6.°

Ma vi si dice, preveduto tutto era a difesa, niente ad offesa. — Come intendesi prevedere all’offesa? L'offensiva devesi prendere mediante ben calcolato Piano di operazioni, e su di ciò molto mi sono esteso nei detti Cenni Storici e nella posteriore corrispondenza tenuta col de Sivo, trascrivendogli ancora nel § 8.° de' succennati miei Cenni Storici le autorevoli massime lasciate all'oggetto da Napoleone 1.° e dell'Arciduca Carlo di Austria. Quel Piano, è detto, fu da me spedito il 18 Settembre: per porlo ad atto, non valeano quei mezzi di passaggio sul fiume, che anzi rimasti sarebbero comodezza al nemico, avendo noi il ponte di Capua, che più non richiedeva. Se quel mio Piano non fu ritenuto, il difetto non è mio. L'autore se fosse stato fedele alla sua promessa nella prefazione, avrebbe dovuto in quel suo §,4.° del libro vigesimosettimo profferirvi invece approvazioni se non parole di elogi: ma egli colla sua penna di acciaro calamitata à temuto di pungerli le dita, e di toccare i nervi ai soffioni miei detrattori;di  e non trovando mancanza, si lagna della buona misura!

Art. 9.°

Il Re voglioso di lanciarsi avanti, spiccò uffiziali

a sospingere Ritucci.

A pagina 159, volume 4.° nel secondo comma dello stesso §4.° libro vigesimosettimo, l’autore ripete:...

«E voglioso (il Re) di lanciarsi avanti, spiccò la dimane Uffiziali a sospingere il Ritucci; il a quale pel contrario mandò a Gaeta il Capitano Fabri a dichiarare il perché credeva non movere all'offese; di nuovo il Re gli mandò il Capitano Luvarà; ed ordine preciso di procedere ad offesa ebbe da lettera Ministeriale del 15. Si negava dicendo fidarè nel valore di pochi, non di tutti, non dover risicare un colpo se non sicuro; respinto nell'assalire saria rovina, restando sulla difesa, pigliava tempo, l’Europa si com«moverebbe, l'Esercito resterebbe intatto. Concetti erronei, che dettero tempo di afforzarsi al nemico. Egli poi il 18 mandò un suo Disegno i di guerra di cui parlerò,»

Tutto questo accozzato e travolto asserto trovasi da me ampiamente e con documenti confutato nel mio secondo riscontro direttogli sotto la data del 28 Marzo 1866 al §. 5.°, al quale richiamo l'attenzione del lettore che voglia esser benevolo riandarvi, per ben chiarirsi del merito dello esposto da amendue. Il quesito a cui io rispondeva) era naturale per uno storico che voglia rischiarar circostanze non bene appurate. Dopo però chiarito e documentato tutto che occorre a dileguar le supposte colpe o torti, il ritenere e tramandare alla Storia un asserto con maliziose inversioni, acconce a calunniare, dimostrando negative ad ordini ricevuti, dinota la pravità nel disegno dello storico; se non si voglia supporre, che, stretto dal tempo e dalle angustiose difficoltà incontrate nella stampa, abbia omesso non volendo, la correzione dovuta a quel mal piantato asserto.

Art. 10.°

Riconoscenza disposta dal Ritucci

il 18 Settembre, e prosieguo

Allo stesso libro vigesimosettimo §. 6.° a pagina 162, del volume 4.° l’autore nel narrare le prime scaramucce dice:

«Il Ritucci per riconoscere il nemico fé il 13 una piccola Colonna di fanti e cavalli col Capitano Giobbe; e fa quella che spaventò il Meli dici a Santa Maria; laonde statuì assalire la e vegnente notte; e ne mai. dò l'ordine alle Brigate del Mechel e del Polizzy a Pignataro ed a Teano; ma il Polizzy arrivò tardi, e non si fè nulla. Poteva assalire la dimane, e restò; ma fu esso assalito».

…………………………………………………………………………………...

E qui l'autore anche tenta di scoccarmi il dardo d'accusa di lentezza o d'indecisione. E io sapeva o non sapeva perché  l’indomani mi restava, se lo sapeva, perché non l'ha detto? se non lo sapeva, come si assume il carattere di competente a fare il mordicante senza farmene uno speciale quesito, nella lunga corrispondenza con me tenuta?

Alle due Brigate delle quali è parola non fu affatto spedito l’ordine dell’operazione a cui erano destinate, chè cosi avrei fatto di pubblica ragione il mio Disegno innanzi tempo; ma furono quelle Brigate semplicemente chiamate per un'ora assegnata innanzi giorno. Giunta molto più tardi una di esse, a dì molto avanzato, mi stiedi, perché trattandosi di un attacco di sorpresa, ed accortomi che, ad onta della riserbatezza osservata () il nemico mostravasene prevenuto, stimai col mio intendimento militare, e non con quello dello storico, di doverne sospendere l'esecuzione, per riassicurarlo, osservar le di lui mosse, ed avvalermi di altra più favorevole occasione. Intanto da questa stessa sua narrativa il lettore desumerà che io non mi stava ozioso, com'egli ba impreso dare a credere, e che tra le molle esposte cure per la difesa, non ometteva quanto mi conveniva per l'offesa.

Art. 11.°

Sul parere dello Storico, che se il 19 Settembre una Colonna di 6000 uomini marciato avesse sopra S. Maria, l'avrebbe presa.

A pagina 166, del medesimo 4.° volume, nel descrivere l'assalimento de' Garibaldini tentalo a Capua il 19 Settembre, precetta:

«Se una Colonna di seimila uomini procedeva a Santa Maria incontanente la pigliava;»

L'autore non è qui meno sentenzioso inconsideratamente a suo fine: poco gli costa, e può illudere i meno riflessivi. Ma datogli tutto per buono, quella Città erasi da noi abbandonata al nemico pochi giorni prima, per riunire il residuale Esercito dietro la riva dritta del Volturno. Determinatosi di riprendere l'offensiva per rioccupare la Capitale, rimesso io avea al Re un Disegno di operazioni il 18 di quel mese, tendente a fare un diversivo con tutto l’Esercito sopra Napoli, e tagliar fuori Garibaldi dalle immense sue risorse, come il lettore riterrà dagli antecedenti; su del quale Disegno attendeva le Sovrane determinazioni. Prima di averle, affermative o negative, avrei complicata la disposizione della guerra, con altra refrazione di forze, distraendomi dal ponderato Piano che avea in mente, e cadendo a secondare forse le vedute a me ancora ignote del nemico. Ma oltre a ciò, ancorché determinato di volo io l'avessi senza calcolo, come lo storico lo propone, quel movimento non era eseguibile durante gli attacchi, lo non avea in quell'istante l'Esercito riunito sotto la mia mano, né doveva ritrarre truppe dai raggi attaccati, ignaro tuttora del progetto del nemico, che dall’alto del monte Tifata scorgeva ogni nostro movimento. Dovetti quindi respingerlo, e tenermi sempre in attitudine di dar pieno adempimento di notte al mio Piano, appena ne avessi avuta la Sovrana adesione, o uniformarmi a quello che mi sarebbe stato imposto.

Art. 12.°

Ripresa di Caiazzo.

Nel descrivere la ripresa di Caiazzo, libro vigesimosettimo, §. il. 0, l'autore dice al principio della pagina 170:

«Il Colonna gli mandò l'ordine «(al Tenente Colonnello La Rosa)» di ripigliare la Città, donde si minacciava il fianco e le spalle dell'Esercito Regio. Era mezzodì. Il La Rosa, preso, «siccome più anziano, il comando del tutto.

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«In mentre costoro (i Garibaldini) aspettando da Caserta soccorsi, alla gagliarda facevan difesa, arrivavano sul campo regio il Ritucci col Negri, e tosto anche i giovani fratelli del Re, Conti di Trani e di Caserta. Il Ritucci dapprima avea disapprovato quell'assalto, per un suo diverso Disegno di guerra; ma trovandolo cominciato, e istando il Conte di Trani, si spinse a proseguirlo. Fu mandato il Maggiore Giovanni Delli Franci dello Stato Maggiore con 4 Compagnie dell'8.° Cacciatori a rinforzare la pugna;

§. 1.°

Il lettore rammenterà l'esposizione di questo attacco da me scritta nei Cenni Storici riguardanti la mia persona, §. 7.°, e quanto poi dilucido col secondo riscontro a de Sivo, del 28 Marzo 1866, §. 7.°, alle quali due narrative mi riporto. Nonpertanto asserendo l’autore nella surriportata sua trascrizione una coartata di tempo, col dire che era il mezzodì allorché il La Rosa prese il comando della Colonna di attacco, m'è forza smentire recisamente questo asserto, tendente a snaturare forse le esposizioni da me date. Nella prima io diceva d’essermi recato a Triflisco tra le ore 8 o 9 antimeridiane; avrò potuto errare di qualche ora, ché non fui coll’orologio alle mani, ma non certo di tanto, cosicché dopo di avere spedito a chiamare in Capua la Brigata De Mechel, di aver raccolto il mezzo 8° Battaglione Cacciatori per un pronto rinforzo, ed aver percorso ad un dipresso sette miglia fino alla salita di Caiazzo, giunto quivi non era che circa luna dopo il mezzodì; ed allorché io aveva quel rapporto a Triflisco mi si accertava che la Colonna era da più tempo fuori del campo, e che l’attacco dovea essere cominciato.

§. 2.°

Quando io giunsi in quel Campo non era punto con me il Negri, che rimase in Capua; né i due Reali Principi vi arrivarono dopo di me, mentre li trovai ivi a conferenza col Generale Colonna.

§. 3.°

Si rimarca dall’Autore essersi spedito il Maggiore Giovanni Delli Franci colle 4 Compagnie di rinforzo, e non si fa parola che questo Uffiziale Superiore seguiva me, e che da me ebbe quella missione, avendo io preceduto quel rinforzo, onde presenziare all’azione, e ben dirigervi anche la Brigata De Mechel che attendeva, se mai maggiore gagliardìa nella difesa, o arrivo di rinforzo agli avversi ne avesse richiesto limpiego. Ed a che prò tante occultazioni ed inesattezze, dopo lunga corrispondenza meco tenuta, nella quale finiva per accusarsi convinto delle contrarietà orditemi?

Art. 13.°

Destinata la Brigata de Carabinieri esteri

ad occupare la posizione di Caiazzo.

L'Autore a pagina 171 del 4.° volume prosegue:

«I soldati furenti disfanno le combattenti case; e, menati da popolani, salgono su quelle de' cittadini italianizzanti, ch'avevano ricettato il nemico, e quali ardono, quali fan saccheggiare. Indarno i Superiori sforzansi a tenerli; onde bisogna chiamarli a raccolta in aperta campagna. Mandano invece a guardar la Città un Battaglione Straniero, giunto allora dopo la pugna;»

…………………………………………………………………………………...

In questa compendiata esposizione si dà merito dell'oprato a' Superiori, e si tace destramente il Comandante in Capo. E quali altri Superiori poteano disporlo, ov'era presente il Duce Supremo, che vi restò fino a notte, per accertarsi d’esser le sue disposizioni ben eseguite? circostanza che non meno si omette. Erroneamente ad arte si dice bensì che fu mandato a Caiazzo un Battaglione Straniero giunto allora dopo la pugna.

Non fu mandato un Battaglione, ma fu chiamata in Caiazzo dal Comandante in Capo la intera Brigata de' Carabinieri esteri, De Mechel, giunta al piede del colle dopo la pugna, per rimanervi con quel mezzo Battaglione napolitano che ito vi era di rinforzo, al quale fece il Comandante in Capo tener i posti dalla parte del nemico, nell'atto che il 4° e 6° Battaglioni Cacciatori faceva chiamare a raccolta, per cedere la Piazza alla Brigata estera.

Allorché questa Brigata prese posizione e si orientò sul topografico del luogo, quel mezzo Battaglione napolitano raggiungeva l’altra metà del suo Corpo, in adempimento delle disposizioni lasciate dal Comandante in Capo, che dall'autore si esclude da ogni buona disposizione con tanta cura.

Art. 14.°

Calunnioso dubbio dell’autore de Sivo sulla ferita mortale riportata in Caiazzo dal Tenente Colonnello La Rosa.

A pagina 172 l'autore nel dar fine al suo §. medesimo, vi aggiunge:

«Del La Rosa fu detto cadesse per mano dei suoi, per dispetto d'aversi a ripigliare con sangue la Città da esso senza colpo abbandonata; a ma passato fuor fuora dalla palla, non ben si seppe se da' soldati o da' nemici colpito; onde restò dubbio se da prode o da traditore finisse.»

È questo un dubbio gratuito che tende più a tacciar quella truppa d'indisciplina, che a far splendere il principio di fedeltà, che voglio credere abbia avuto l'autore in mente, nel farsi lecito di tutto, poco curando la riputazione di un vecchio Ufficiale Superiore, che comunque abbia commesso biasimevole fallo, perdè la vita nel ripararlo. Allorquando lo portavano sulla branda all’ambulanza, io lo fermai al piede del monte, e visto che conservava chiarezza di mente lo interrogai.

Mi parlò delle aspre sue sofferenze, e della sua mala ventura, persuaso essere la ferita mortale perché nelle viscere, ferita che vedevasi fattagli di fronte, né motto veruno mi fece del minimo sospetto contro i suoi subordinali, che anzi lodava, impegnandomi a soccorrerli, stante la valida resistenza degli avversi.

Art. 15.°

Titubanze imputate dal de Sivo al Ritucci

Il paragrafo 13 del libro vigesimosettimo intestato Titubanze, a pag. 175 del 4.° volume, è un guazzabuglio di gratuite interpetrazioni su i miei concetti ed opere, d'inversioni e di anacronismi, incompatibili dopo la corrispondenza che l'autore ha con me tenuta, in fin della quale non ha potuto tacere d'aver riconosciuto pressoché tutte le mie ragioni. Basterebbe chiamare il lettore a' la memoria di quanto stà esposto nei Cenni storici riguardanti la mia persona, e di quanto è discusso nella corrispondenza che loro fa seguito, per fare svanire la titubanza che mi accolla, onde non uscire dalle sue piantate tesi, divenuto, non so se in buona fede o con riprovevole piano prestabilito, adepto de' miei detrattori. Ma per meglio guidare il cortese lettore a distinguere il vero, cementerò qui le proposizioni più caratteristiche di questo suo §. onde porre meglio in luce il valore da accordarsi ai suoi detti. Egli dice:

§. 1.°

«Il Duce Ritucci, uomo onesto (grazie di sì generosa caratteristica)» avea nondimeno certe idee che gli faceano temere la reazione; né sembra si avvedesse andarsene allora il tutto in balia della Rivoluzione.

Nei più volte citati miei Cenni Storici §. 3.° e §. 4.°, e nell'art. 2° di questi Comenti parmni d'aver dimostrato abbastanza, che non temeva la reazione, ma che non giudicava saggio di promuoverla alla spicciolata, senza ponderato calcolo ed accordo, per evitare che si facessero invano molte vittime senza prò non solo, ma con danno immenso della parte legittimata, diminuendone a gradi i seguaci, ed aumentandone lo sconforto; com'è avvenuto nei tanti isolati discordi tentativi verificatisi in queste Provincie meridionali e nella Sicilia, con grave nocumento delle popolazioni. ()

§. 2.°

Nello stesso § e pagina l'autore segue: «Dopo più spinte a lanciarsi all’offesa, egli titubante fra due temenze di far poco o troppo»...

Non ho affatto titubato di far poco o troppo. Con esprimersi in tal modo egli dimostra non essergli convenuto aver presente quanto gli diceva nel §. 10.° de' miei Cenni Storici, e più distintamente dilucidavagli col secondo mio riscontro del 28 Marzo 1866, §. 5.° ai quali richiamo l'attenzione del sagace lettore, per non rendermi lungo 0 noioso con ripetizioni, nella fiducia che ivi rinverrà quanto fa d’uopo pel chiarimento delle asserte mie titubanze, che lo Storico vuol dare ad intendere, invertendo il senso de' miei ponderati concetti e proponimenti, affin di ben trovarsi colr innanzi determinato disegno dell’opera sua.

Art. 16.°

Piano di diversione sopra Napoli,

proposto dal Ritucci

In continuazione egli segue a dire: «aveva da ultimo il 18 Settembre scritto al Sovrano, proponendo movere sopra Napoli con più Colonne parallele, e in due giornate…»

§. 1.°

Ho già dimostrato coll'art. 9.°, di questi comenti cogli antecedenti quivi chiamati, che messe a calcolo le interessauti considerazioni esposte, io non poteva spedire al Sovrano un Disegno di marcia sopra Napoli prima del 18 Settembre, tenuto presente il telegramma del Re del 14 N. 1006, col quale, facendo conto delle mie osservazioni fattegli arrivare per organo del Capitano Fabri, mi lasciava piena e completa libertà di azione; che dopo il 16, arrivo del Capitano Luvarà, non mi restarono che le ore disponibili del 17 per la formazione del Piano di operazioni di tanto interesse, dal quale dipender dovea la sorte della Dinastia, della Corona e del Regno; e le massime di oculatezza da tenersi dal Duce Supremo nella redazione di simili Piani, rimaste da Napoleone 1° e dell’Arciduca Carlo di Austria benanche trascritte all’autore nel § 8.° de miei Cenni Storici; cose tutte ch'ei non ha saputo o non ha voluto tenere a calcolo, per non trovarsi fuorviato da' suoi prestabiliti disegni.

§. 2.°

Nello stesso mio Piano io ben rimarcava che sarebbe convenuto marciare a gran passo in una giornata: ma considerando di doversi superare con attacchi più ostacoli; di dover ristabilire in tutto quel!' agro il Regio governo, rianimarvi lo spirito di legittimità, del quale favorevoli dimostrazioni se n'erano avute, e riformarvi le Guardie nazionali, di dovervi disporre le norme a tenersi pel fornimento de' viveri per tutto il tempo che non riuscisse averli dalla Capitale, ed altro; su tutte queste considerazioni preferiva la marcia compatta a piccole giornate; e trovarmi cosi anche in accordo coi principi di logistica, ov'è risoluto che le marcemanovre a fronte del nemico non possono, non debbon esser lunghe; ma la media è calcolata a 24 chilometri, e Napoleone 1° le riduceva a 16 (poco più. di 8 miglia e mezzo) allorquando le tre arme marciavano unite; e la ragione si è di tener sempre le masse raccolte, fresche e pronte a sostenere attacchi e Battaglia, o iniziarle; salvo s'intende calcolate eccezioni.

Art. 17.°

Seguimento sullo stesso Piano.

§. 1.°

Egli segue a dire: «ma ne mostrava molte difficoltà» — Ei le enumera da censore, senza porre in vista le ragioni ne il senso da me esposto; affin di non porre chi legge al caso di tonnare il suo giudizio con cognizione di causa: era appunto quello che a lui non conveniva. Ridotto ei a non poter più darsi per ignaro di quel mio Piano di operazioni, mi esternava con la sua terza lettera del 17 Aprile 1866, che quel Piano non fu ritenuto per ragione delle gravi difficoltà in esso manifestate. Riscontrai convenevolmente, come il lettore rammenterà d’avere scorto nella precessa corrispondenza, 3° mio riscontro dato al Sig. de Sivo il 26 Aprile 1866, §. 3.° al quale richiamo la sua attenzione, onde meglio ritinga che ogni Disegno di guerra, dopo la esposizione della direzione, del modo, de' mezzi e del fine, por deve in veduta le contrarie là che incontrar si possono, ed i vantaggi da ottenerne, al che io adempiva. Pericoli senza dubbio ve n'erano, nascenti la maggior parte dalla situazione in cui ci eravamo ridotti, come ho diffusamente chiarito nel richiamato mio 3° riscontro, §. 3°; ché la guerra non offre a priori mai certezza, ma gradi di probabilità, apprestati dalle cognizioni e dalle previdenze delle eventualità possibili, ec. ec. Si è voluto tener presenti i pericoli e non i vantaggi, pei illudersi meglio coll'adempimento del Piano richiesto allo Straniero, che scevro di risponsabilità e di peculiari cognizioni, azzarda franco un Disegno di guerra, seguendo suoi erronei principi strategici (); e lo Storico, da me abbastanza illuminalo, in luogo di porre in luce questo errore, seguendo il suo dovere e la dichiarata sua imparzialità, si diletta da beffardo a disapprovare il ponderato mio zelo, per meglio tenersi dal lato dei miei detrattori, nella speme forse di attirar così gran grido o gran bene a suo vantaggio.

§. 2.°

Nell'enumerare le mie difficoltà dice:» teme«va i soldati in rasa campagna sbandassero» — Non ho temuto, sì semplicemente, che i soldati in rasa campagna sbandassero. Nella previdenza delle possibili contrarietà osservava, se la Capitale, nell’apogeo della sua esaltazione, dietro il manifestalo allontanamento del Re per risparmiarvi sangue cittadino, ed avvivata da soffio estero, si fosse mostrata poco docile alle militari intimazioni, mi avrebbe indotto a sostenervi ostinata guerra con limitali mezzi, e se Garibaldi fosse riuscito a stringermi alle spalle, ed a tormi la possibilità di trarre sussistenza, l'Esercito tra le perdite, la penuria e la diffidenza ereditata dai precedenti scandali, avrebbe potuto giungere e sospettarsi tradito, ed a defezionare. Ma se questa difficoltà era esposta dal lato più brutto, per evitare nei sinistri eventi di esser regalalo d’ignoranza o di fellonìa da coloro ch'erano alla posta per colpirmi, non mancava di accertare in conclusione, che avrei saputo prendere le più opportune ed energiche misure per evitarlo. Perché non l’ha tenuto presente?

§. 3.°

In continuazione n'eleva l'altra sì espressa: «che anche vincendo, la resistenza della popolazione napolitana darebbe campo e rinnovare la Santa Fede come quella del 1799, e a insanguinare la città,»

Esponeva io sibbene tale osservazione, ma non in questi sensi: diceva che l’appoggio di parziali partiti avrebbe potuto essere insufficiente, a trascinare la Capitale nelle funeste conseguenze di una Santa Fede come quella del 1799, ben opposta al magnanimo manifesto dato dal Re il 6 Settembre; e questo meno come difficoltà di guerra, che come osservazione a prevenire i mali che ne avrebbero potuto seguire, in opposto ai benevoli sentimenti protestati dal Re, affine non se ne facesse a me carico, se riuscito non fossi ad impedirlo: ma la mia conclusione di curar le più avvedute ed energiche misure per evitarlo, dinota il mio buon volere sul riguardo, come pur dico nei Cenni Storici riguardanti la mia persona, al § 8°, e nel 1° riscontro dato all'autore il 17 Gennaio 1866, alla fine del §. 3.°. Con queste dilucidazioni, spero che il lettore ben ravvisi la differenza che passa tra il senso delle mie osservazioni fatte in quel Piano di offensiva, ed il senso a cui riferiscesi lasserto dell’autore, foggiato ad arte per attirar, come suol dirsi, l'acqua al suo molino.

§. 4.°

In seguito adduce l'altra nei seguenti termini: «che Capua abbandonata sarebbe girata, e la rivolnzione debaccherebbe fino a Gaeta».

Era questa la conseguenza naturale ch'io dovea porre in vista, descrivendo l’aspetto il più brutto, nascente dalla situazione, su di che mi sono innanzi molto esteso per non rivenirvi con noia di chi legge. Ma Garibaldi sarebbe stato messo nell’alternativa o di combattere me all’aperto, o di abbandonare la Capitale, ed io avrei sempre ottenuto un intento, preparato a regolarmi coerentemente. Il Sovrano avrebbe potuto, colle forze raccolte nella seconda zona dal Garigliano a Gaeta, opporre un argine alle escursioni de' rivoltosi: ottenuta la sottomessione della Capitale, sarebbe stato non difficile il riaprire quella comunicazione, ancorché chiusa, e dar agio al Re di prendere le sue misure; ritenendosi che fino a quel dì non era in vista la marcia dell’Esercito Piemontese nel Regno.

Art. 18.° Ministeriali del 19 e 21 Settembre,

che ingiungevano di andare avanti

Segue a dire nel medesimo suo §. 13.° a pagina 175;

«In risposta, lettere ministeriali del 19 e del 21 gì ingiungevano recisamente andasse avanti a distruggere il nemico, e a volgere simultaneamente sopra Napoli. Bene i fatti d'armi del «19 e la ripresa di Caiazzo nel 21 distolsero in a quei dì ogni disegno: ma dopo questo, sperimentato in più parti l'anzia ed il valore del soldato, era da por giù ogni dubitazione; e s'ei si lanciava avanti, seguendo la fortuna in quello sbalordimento del nemico, in breve finiva la guerra.»

Pervennemi, è vero, il 20 una ministeriale datata del 17 Settembre, che ingiungeva marciassi avanti ad affrontare il nemico, ed a volgere sopra Napoli, contenente una disposizione gettata alla ventura, ed ove non facevasi motto veruno del ponderato Piano di operazioni da me rimesso. Giungeva quasi contemporaneamente in Capua il Re, per prender conto di persona sopra luogo del merito e risultato degli attacchi sostenuti, dietro avviso avutone per la corrente elettrica, e presentatogli da me quel foglio, per chiedervi dilucidazioni, il Re, che par nulla ne sapesse, vista la distrazione del momento, prodotta da quegli attacchi, degnossi sospenderne verbalmente l’esecuzione fino ad altro avviso, cosa di cui lo stesso autore tien conto. L'altra del 21 Settembre, scritta prima dell’avviso della ripresa di Caiazzo, e perciò basata su posizioni del nemico non più esistenti al suo arrivo il 22, mentre spedivansi a Gaeta i prigionieri fatti in quella ripresa città; quella ministeriale non faceva tampoco parola del Piano di diversione da me rimesso il 18, e concludeva incitando di prendere l’offensiva al più presto per la distruzione di Garibaldi. Ma perchè non pronunciare un giudizio sul Piano da me rimesso? La ragione è semplice: per lasciarne in ogni evento sinistro a me tutta la risponsabilità. Tal procedimento m'indusse raccorre parere da' sott'ordini immediati, ed a riporre in riscontro nuovamente in vista la difficoltà ed i pericoli nascenti dalla situazione, su di che non aveasi voluto interloquire. Ma qui conviene aver presente le enunciate pratiche si agitavano in Roma, per la riunione dei due Eserciti sotto gli ordini di Lamoricière, o di avere da questi un Uffiziale con un Disegno di guerra, che lo stesso autore nota si discuteva in Gaeta in quei giorni, cosa da me già trattala nell’art. 5.° di questi Comenti.

E di fatti non vi fu d’uopo di maggiori spiegazioni. Chiamato il mattino del 25 Settembre dal Re a convegno sotto Sparanise, ebbe effetto quella conferenza nella quale il Sovrano, senza punto far parole della ministeriale del 21, fecemi le prime proposizioni del Disegno di guerra che aveasi in progetto, come ho riflettuto nella nota 1 al Comma (B) del §. 8 de' Cenni Storici riguardanti la mia persona. Rassegnati miei dissentimenti su quel Piano, il Re si riservò di meglio ponderarlo; circostanza ch'escludeva il mio Piano, ed ogni altro ordine o facoltà precedentemente datami, e m'inibiva ogni altro Disegno di operazioni, prima delle difinitive risoluzioni del Re. Il 23 stesso, d'ordine del Re dispor dovetti al Brigadiere De Mechel le parziali operazioni in Piedimonte di Alife, quali prodromi del Piano che avessi in progetto, perdurate più giorni, e descritte dallo stesso storico a pagina 172 a 175 del suo 4.° volume; il 25 in fine mi fu definitivamente ordinato di procedere pel 27 all'offensiva su quel Piano di cui parlato mi aveva il Re, salvo eventualità, e che poi ebbe effetto contro mio avviso. Come dunque e quando avrei potuto lanciarmi avanti ponendo giù ogni dubitazione? — L autore fa discendere dalla sua penna, ed a mio carico quell'osservazione eh ' io stesso gli faceva, e che il lettore ricorderà d'aver letta alla fine del § 7 de' Cenni Storici, arrogandone a sé il merito del concetto e della censura.

Art. 19.°

Ritorno sul riscontro del Ritucci, già cennato nel precedente

art. 18. Momentaneo parere sull’abbandono di Caiazzo;

e voluto raffreddamento di Ritucci.

In continuazione nello stesso suo § Io a pagina 175 del 4.° volume; dice:

«Fatalmente alla dimane si raffreddò «(il Ritucci)» e scrisse al Re che meglio raccogliere le forze; tale il parere di tutt'i Generali di Divisioni; e al Ministro di Guerra propose di abbandonare altresì la ripresa Caiazzo, per non tenere lo Esercito troppo diviso. Re Francesco mandò a persuaderlo prima il Cutrofiano, poi il Brigadiere Rodrigo Rivera; ed anche egli stesso andò a discutere con  esso un Disegno di guerra presso Sparanise, dove trattandosi se meglio voltare a Napoli, o assalire il Garibaldi al Tifata, non si conchiuse e passarono più giorni.»

§. 1.°

Il foglio con cui io esponeva che meglio raccogliere le forze, ec. fu il riscontro, alla Ministeriale del 21, già da me enunciata nell'art. 18 di questi Comenti, e per le ragioni ivi espresse; la quale restò annullata precisamente dalla proposizione fatta dal Re al convegno sotto Sparanise il 23, sul Piano che preferiva, e dagli ordini datimi per l'inizio delle operazioni verso Piedimonte di Alife, e proseguimento spiegato nel precedente articolo.

§. 2.°

Vero è che proposi solo per un istante l’abbandono della ripresa Caiazzo.

Rammenterà il lettore che lo Storico tra le sue critiche osserva che sparpagliata era la forza senza prò, e rammenterà che nell’analizzarsi da me questa assertiva e correggerla, nel §. 8 di questi Comenti, ritengo che ben si vedeva da me esserne il raggio troppo esteso, a restringere il quale opinava per poco di accorciarlo da quel lato formante un saliente di circa otto miglia, e così ridurlo al colle Gerusalemme, ch'è a Cavaliere dello stretto di Triflisco, restrizione che mi avrebbe messo l’Esercito più raccolto sotto la mano, vantaggio non indifferente in tutt'i movimenti da intraprendere, e più se aversi dovuto dare effetto al mio Disegno di diversione coll'intero Esercito di operazione sopra Napoli, non ritenuto. Era quello un pensiero di che feci proposizione al Ministro; ma prima d'arrivarmene la disapprovazione, aveane da me stesso meglio maturata l’idea, e disposto al contrario che se ne fossero migliorai i trinceramenti, cosa della quale non credei dover fare più parola, corrispondendo gli ordini da me già dati a queIli che pervenivanmi dal Ministro in riscontro. — Ma volendo anche non ritenere queste circostanze, qual torto si scorge in me di aver esposto un pensiero al Ministro, nell'affollamento de' tanti che presentatisi alla mente di un Generale in Capo, e molto più quando ravvisa la falsa situazione in cui si vede confinato, e la insussistenza dell’ampia facoltà di azione avuta in parole ed avversata di fatti, e data solo per agio a eh amarlo risponsabile di falli non suoi?

E se in ultimo egli stesso qui conviene, che il Sovrano si recò di persona a discutere un Disegno di guerra presso Sparanisc, su di che non si concluse, e passarono più giorni (come ho pur rimarcato nel precedente art. 18 di questi Comenti); perché mi taccia di raffreddamento, e di esser la cagione della perdila di quei giorni? E non è chiaro che va cercandosi colla lanterna in me un fallo, come Diogene andava in traccia di un uomo?!

Art. 20.°

Disposizioni per lo attacco de Garibaldini

in Piedimonte di Alife

L'autore nel suo § 14 del libro vigesimosettimo,' a pagina 176 del 4.° volume, inizia la sua narrazione così:

«Dopo i fatti di Caiazzo, per nettar la sponda destra del Volturno, era ito da Teano verso Amoroso il Maresciallo Won de Mechel con la «sua Divisione di tre Battaglioni stranieri, e de«gli avanzi di quei di linea comandati dal Ruiz, quello di Calabria.

Il Brigadiere Won-Mechel, o De Mechel (che non era ancora Maresciallo), non era ito da Teano verso Amoroso, ma ebbe ordine da me il 25 Settembre, dietro disposizione Sovrana dello stesso giorno, di muovere colla sua Brigata estera da Caiazzo (ove fu da me rimasto la sera del 21), per marciare il 24 ad Allignano e prossimità, affin di attaccare i Garibaldini in Piedimonte di Alife il 25 prima del giorno, coadiuvato dal Colonnello Ruiz con altra Brigata di frazioni napolitaue, come il lettore ricorderà di aver letto nella nota 1 al Comma (B) del §. 8.° do' miei Cenni Storici; e come scorgerà dal documento N° 5. E per non far rimanere Caiazzo privo di presidio, vi feci arrivare il 5° Battaglione Cacciatori comandato dal Tenente Colonnello Paterna della Divisione Colonna. Non ho saputo comprendere finora a qual fine lo storico siasi avvaluto di questo trasponiti mento, mentre ci fu da me bene informato colle copie de' documenti notati nel mio secondo riscontro inviatogl'il 28 Marzo 1866 §. 1.°, constatanti tutte le disposizioni da me emesse all'oggetto;— se non è per velare il progredimento de' fatti, ch'escludone la possibilità di spingermi innanzi, ai sensi della ministeriale del 21 Settembre, scritta in controsenso del Piano di Lamoricière preferito dal Re, e sopra espressi reali ordini.

Art. 21.°

Azzardate false asserzioni dello storico, sulla posizione dell’Esercito Regio e sul proponimento de' Generali.

Lo storico nel suo §. 19 libro vigesimosettimo, a pagina 182 e 185 Volume 4.°, nell'esporre le posizioni de' Regi, le svaria fisicamente e moralmente, a modo da deviare il giudizio del lettore dalla verità de' fatti, de' concetti, e delle intenzioni de' Generali napolitani, astutamente nominati in massa, in modo da far gravare il maggior torto al Generale in Capo, come quello a cui è dovuta la parte dispositiva, nulla curando i lumi apprestatigli dalla tenutavi corrispondenza, de' quali si avvale con arguzia ad innalzare da saccentone le sue idee e le sue sentenze, mostrandosi all’altezza di capirne e di volerne più di tutti. Non trascrivo interamente il paragrafo per brevità; mane riinarcherò a parte le proposizioni sulle quali fa d’uopo speciale argomentazione.

§. 1.°

Nella pagina 182 sono da lui calcolate come minute cose di servizio il se, e come assalire, ed il provvedere ad ogni ideale difficoltà. (Povera Gerusalemme!).

E chi non vede d’esser questo un burbanzare dì chi presume follemente di poter divenire in un tratto maestro di guerra di alto genio, atto ad oscurare tutti quelli che impiegandovi con istruzione e profonde applicazioni, esperienza ed inclinazione la intera loro vita, ci hanno illuminali su questa vasta scienza.

Il lettore, per meglio valutare questa azzardata asserzione, può riscontrare il § 10 de' miei Cenni Storici, e più distintamente il Comma (F).

§. 2.°

Nella stessa pagina scrive in continuazione:

«Era in Capua un Consiglio di Ufficiali Superiori e Generali, dove Matteo Negri sempre preponderava. Che la setta sparse come il Generale Negri padre di lui, già disertato, comandasse a Santa Maria (che non era vero); e per tale suspizione al figlio ripugnava lo assaltare i quel luogo, ove credeva combattere il padre, onde sempre sconsigliava la guerra di offesa.»

Tutto questo non è che un Fisima. In Capua non vi fu da me istituito che un Consiglio di difesa, riguardante le opere necessarie a costruirsi, ridursi o ripararsi nel raggio di attacco della Piazza medesima, preseduto dal Governatore, o per esso dal Brigadiere De Cornè; né il Matteo Negri vi apparteneva, sebbene alle volte v'interveniva da speciale delegato dello Stato Maggiore dell’Esercito; né altro Consiglio avea presso di me, ben conoscendo che la parte dispositiva mi riguardava esclusivamente, come stà rimarcato nel mio Opuscolo di Agosto 1861 a pagina 4. Consultava io alle volte il Matteo Negri, egualmente che qualche altro Uffiziale Superiore dello Stato Maggiore, se pei talenti militari e per le personali qualità stimava di porre a confidenza di qualche staccato mio pensiero; e se trovava il Negri per lo più unisono alle mie vedute, non è perciò ch'egli sconsigliava la guerra di offesa: il 1.° Ottobre quel distinto Uffiziale Superiore (non era peranco Generale) tenne la direzione delle artiglierie appunto dal lato di Santa Maria e fu uno di quei che più si segnalò por bravura, intelligenza nell'arma, ed animante esempio, tanto che per merito ascese di grado. Sono quelle delle fole che ha potuto forse dare ad intendere qualche emulo del Negri per darsi vanto di maggiore chiaroveggenza ed energia.

§. 2.°

In continuazione nella stessa pagina segue egli a dire:

«A 26 del mese lo pseudo polacco Milbitz comandante a Santa Maria, entrò parlamentario in Capua: al ritorno si vantò il Salzano gli dicesse: «Voi e voi pensiamo al modo stesso; ma noi siamo obbligati a difendere quel vessillo che i tutta la vita tenemmo, ora fidatoci da un Re disgraziato.

«Non credo ciò il Salzano proferisse; forse altri fu, ché quel discorso tra parecchi de' primi correva.»

Che altra arbitraria interpetrazione muffaticcia d'ingegnosa rettorica reticenza! Se dubbio cadeva su quel vanto, forse ad arte asserito, come tante altre calunnie fatte correre da' rivoltosi, per ispargere la zizzania tra Regi tenaci ai loro principi di fedeltà al Re ed al vero bene del proprio paese, poteva ben l'autore elevarlo in sostegno della verità, unico scopo della Storia: col rivolgerne però i sospetti su di altri che non sa tampoco precisare, non fa ch'esporre il suo vanitoso oracolare, e forse col sinistro fine di alleggerir taluno e di aggravare chi noi merita. Milbilz non ebbe conferenza che col Salzano Governatore della Piazza; né il 26 in Capua vi eran altri tra parecchi de' primi, fra quali ei adduce che quella voce correva. E s'egli ha avuto elementi da esser certo di quella proposizione proferita tra altri che Salzano, a segno di consacrarla nella Storia, perché non li ha precisati? è forse lo storico autorizzato a malignare sopra suspizioni?!

§ 4.°

Seguendo quel suo paragrafo alla pagina medesima, egli continua a dire:  «Non ei pensava davvero a sconfiggere il nemico, ma a sostenersi, e si stancavano i soldati per pigliare posizioni e fortificarle.»

E dov'è ito tutto quello che ho dilucidato nella nostra corrispondenza, e di che si chiama egli stesso persuaso nell'ultima sua lettera? Ho rimarcato esser precetto di guerra curar la difesa pria dell’offesa; e sul riguardo si è molto ripetuto per non dilungarmi di più a noia di chi legge. Non si ottiene alloro al torneo stando nelle pastoie. I soldati non solo non facevano nulla di più di quanto è ordinario nei Campi di guerra, ma invece godevano la maggior parte la comoda dimora degli accantonamenti, a ripresa, e a seconda le occasioni di servizio; né si affatica il soldato col prendere posizione; né fortificazioni si erigevano, tranne pochi spalleggiamenti di Batterie; né in campagna tener si deve il soldato nella negghienza.

Ben si distingue d’esser questo periodo vergato da entusiastico uomo di lettere, che per elevarsi fa proposito di porre tutto a critica mordace, divenuto in breve, alla sua scrivania sapiente e sperimentato uomo di guerra. ()

§. 5.°

Alla pagina 185, dopo di aver indicato il piazzamento di alcune batterie de' Regi, ei continua a dire:

«L'Esercito accampava al poligono dietro la «città; e seguitava su tutta quella riva, con larga curva a fronte de' Garibaldesi. Avea dunque la dritta a Capua, il centro dietro i monti Palombara e Taverna Nova, con posti sulle dette a batterie; e la manca a Caiazzo, col Maresciallo De Mechel e la Brigata straniera, sino ad Amoroso.»

L’accampamento al poligono non era stanziale, ma eventuale; per una forza più ò meno considerevole, a seconda delle mie vedute di precauzione, o di proponimento di vera o simulata azione, ed anche per tener abituata la truppa accantonata ai movimenti ed a serenare al bivacco.

Nè il piazzamento dell’Esercito il 25 era qual si descrive dall'autore, ma invece l'altro da me indicato nell'art. 8 di questi Comenti, § 4.°. Né la Brigata estera, Brigadiere De Mechel, si estendeva fino ad Amoroso, dacché quel movimento ebbe effetto il 24, dietro mio ordine del 23, per alcune operazioni, e per attaccare il 2ii prima di giorno i Garibaldesi in Piedi monte di Alife, il tutto com'è spiegato alla fine dell'art. 18 di questi Comenti. Ma a qual prò l’autore adduce in queste sue assertive tali inesattezze? lo rileveremo qui in prosieguo.

§. 6.°

E dottoralmente continua alla stessa pagina 183 in questi sensi.

«Così i Regi Duci riposavano; e se prima era fallo, dopo i fatti del 19 e 21, quando il soldato avea ripresa la coscienza del suo valore, dopo la invasione nelle Marche, quel riposare fu inescusabile errore, ec.  ……………………………………………………………………...

«Ma i nostri Generali abborrivano la guerra «del popolo, ed eglino non sapevano o non vole«vano fare la guerra militare.»

E qui l’autore ritorna a farsi grosso a carico de' Duci, ch'è quanto dire di me, su quanto io stesso gli ho rimarcato nella fine del § 7.° e nel §. 8.° de' Cenni Storici riguardanti la mia persona, e benanche nell’ultimo § 5.° dell'art. 15 di questi Comenti: vale a dire, che determinatosi di prendere l'offensiva, il momento più favorevole sarebbe stato dopo il 21, giorno della ripresa di Caiazzo; ma che io non potetti perché pendeva la Sovrana risoluzione sul Piano di operazioni da me sommesso, e che già dai Consiglieri di guerra presso la Corte si era bandito, per dare la preferenza all’altro del Lamoricière, che si agitava in concorso de' suoi commessi Colonnello Mortilliet e Capitano Maquelon in Gaeta, a segno che il Re lo progettava il 25 nell’abboccamento datomi sotto Sparanise, e poi, dopo la perdita di più giorni, mi s'impose di eseguire; ad onta della da me rassegnata inconvenienza di quel Piano, seguendo il quale fallirono i nostri sforzi il 1.° Ottobre, realizzatesi, con somma pena, le mie previdenze.

§. 7.°

Che io non abborriva la guerra del popolo, ma il modo com'ei da vanitoso ed imperito la presume, sta discusso nell'art. 15 di questi Comenti, al quale sono obbligato di richiamare l’attenzione del lettore, per non importunarlo con più ripetizioni ad imitazione dello storico. Che poi dal Duce si capeva e si voleva far la guerra, come da più distinti Generali ed altri graduati nella discendente scala, nei dettami della scienza e della sperienza, e non dell’avventataggine che con estro traboccante l'autore detta, dal suo tavolino, si è trattato e discusso fino alla noia, per non infastidire ulteriormente con nuove dimostrazioni: se protratta essa si è indebitamente, se ne aggravino gli attraversatori, che lo storico covre con destrezza tra le sue dense nubi.

Art. 22.°

Si cerca ancora un Generale francese, Changarnièr o Bedeau,

ed al primo pure un Disegno di guerra.

L'autore nella stessa sua pagina 183 volume 4.°, al § 20 coll'epigrafe: Si cerca un Generale, espone il seguimento delle pratiche si attivavano il 24 Settembre pel mezzo del Capitano Luvarà, onde avere un Generale francese, Changarnièr o Bedeau, che non poterono accettare, il primo per condizione insormontabile frappostasi, e 'l secondo per malattia; e l’azzardato parere del primo, a cui chiedevasi ancora un Disegno di guerra!

Questo asserto conferma che fino al 24 Settembre, dopo la conferenza da me avuta col Re sotto Sparanise in unione del Brigadiere De Mechel, l’aulico consiglio che circuiva il mal capitato Sovrano in Gaeta, incapace di stabilire tra suoi componenti con Disegno di guerra, e di bene apprezzare quello da me rimesso, il migliore che a mio credere convenuto sarebbe nella sfavorevole situazione in cui ridotto avea il Re ed il residuale Esercito; l'aulico consiglio titubava tuttora sul Piano di operazioni da preferirsi; feriva stolidamente la riputazione de' Generali nazionali, senza accorgersi che ne andava intaccata non meno la sua; ed accresceva sempre più lo sconforto e la sfiducia del Sovrano verso i Generali che rimasti gli erano fidi, ed a vicenda tra questi ed i loro dipendenti di ogni rango; lavorio più che altro atto a distruggere ogni prestigio che rimasto fosse al Duce Supremo, e a promuovere l'indisciplina e lo scoramento. Qual altro risultato potea conseguirsene?

Superfluo stimo ormai a più discutere il merito di tali maneggi, su de' quali il lettore riterrà d'aver io abbastanza ragionato nel 3.° mio riscontro allo storico de Sivo sotto la data del 26 Aprile 1866, §. 4.° e 5.°, e negli articoli 5.° e 6.° di questi Comenti, ai quali mi attengo.

Art. 23.°

Glose dello Storico sulle disposizioni

della battaglia del 1° Ottobre

II Disegno della battaglia del t° Ottobre, sul quale lo storico arieggiato a tattico, imprende a fare il glosatore nel § 21 libro vigesimosettimo, a pagina 184 a 186 del 4.° volume, comprende verità e concetti giusti, molti de' quali ritratti dalla mia corrispondenza ed a se indebitamente arrogati; inesattezze di fatti, ed idee mal fondate. Basterebbe che mi fermassi alle prime quattro righe di quel paragrafo ov'è riportato che dovetti iniziar la battaglia seguendo un Disegno da me disapprovato, ma come fansi glose su piccioli tratti che meritano dilucidazioni o correzioni, andrò confutandoli, come meglio potrò per evitare inutili pleonasmi. E quindi osservo che nel descrivere la ripartizione delle nostre forze, egli dice a pagina 185:

«…………………. restava inoperosa la Cavalleria, inutile su i monti, e immota una intera Divisione a guardare il fiume. Temevano il nemico guardandolo si cacciasse tra le nostre due ali; i ma considerala la qualità di esso, avrei lasciato apposta quel passo per adescarvelo; che anch'esso «si sarebbe diviso, restando fievole a S. Maria e a S. Angelo, e con uu' ala oltre il fiume, a petto scoperto, che di leggieri in rasa campai gna andava da Regi cavalli pestata.»

§. 1.°

È ben naturale che iniziandosi attacchi contro un monte ed una città fortificata, la maggior parte della Cavalleria, tenuta di riserva, restasse inoperosa fino al momento di poterla impiegare con vantaggio, superati dalla Fanteria i punti afforzati. Rammenterà il lettore che ho esposte varie osservazioni riguardanti la Cavalleria nei rimarchi fatti al Brigadiere Palmieri in Maggio 1862, §. 8 a 17, 21 e 23, ai quali mi riporto. Ma a qual fine l’autore annota ciò a difetto, dopo di aver succiato da quelle osservazioni quanto gli occorreva; per pronunciare da tattico una accusa sentenziosa, atta ad illudere gl'insipienti, alterando i fatti? La Cavalleria non era tutta inoperosa, dacché le quote assegnale alle Colonne di attacco concorrevano all’opera di quelle, a seconda della conformazione de' terreni: la Riserva non giunse ad essere regolarmente impiegata, perché la Fanteria non giunse a superare interamente le posizioni fortificate: se movimenti anomali verificaronsi in quella Riserva, sono stati da me indicati e sindacati nei succennati paragrafi de' Rimarchi fatti al Brigadiere Palmieri, del merito de quali l'autore non ha creduto far conto. Come volea egli dunque, da bellico equite impiegar la Cavalleria? — Egli par che voluto avesse non farsi sfuggire una occasione di assumersi da abile tattico l'autorità di rimarcare seguitamente un altro fallo che di traverso mi si potesse attribuire. —A Waterloo il prematuro ed inopportuno impiego della Riserva di Cavalleria, inconsideratamente mossa dal Generale che la comandava, senza intelligenza di Napoleone, fu una delle concause contribuite alla perdita di quella decisiva Battaglia.

§. 2.°

Non era poi intera la Divisione rimasta a guardare il fiume, base di nostre operazioni, essendosene sottratta la Brigata De Mechel, ed altre frazioni, com'è detto nel §. 2° del mio secondo riscontro dato al de Sivo il 28 Marzo 1866, ch'ei pare abbia poco rammentato. Né  quella immota era, ché non mancava d’istruzioni ed opera per concordare al buon effetto degli attacchi. né abbandonar io doveva la nostra base di operazioni, eseguendo quel Piano mi s'impose, per le ragioni già dettegli col qui succennato 2° $ del 2° mio riscontro, al quale non ha creduto por mente. né mai avrei io potuto uniformarmi al suo improprio disegno di lasciar libero il paesaggio del fiume al nemico, ed adescarvelo per dividerlo, idea forse attinta da me stesso, nel caso che avessi potuto dare adempimento al mio Piano di diversione sopra Napoli, e da lui male applicato all'eseguimento dell'altro Piano impostomi… nella effettuazione del quale io non doveva, prima di spostare e porre in dirotta il nemico, far ingombrare da tutto l'equipaggio dell'Esercito il breve spazio di circa due miglia che divide Santa Maria da Capua, per non interdire il libero movimento delle truppe, la libera portala dell’artiglieria della Piazza da quel lato, e per non porre a rischio, nel caso di ritratta, tutto l’equipaggio, le artiglierie combattenti coll'intero proprio parco, le ambulanze, e le truppe stesse precipuamente di Cavalleria, per lo immenso ingombro che avrebbesi potuto accatastare fuori la porta di Napoli della Piazza, e produrvi cruentissima disfatta, simile alle tante che attristano la Storia fino ai nostri giorni, ed anche nelle guerre a quella posteriori, per difetto appunto di previdenza. Io dunque per questa più felice previsione, che l'autore non ha saputo apprezzare, e non offrendo la Piazza di Capua spazio sufficiente a dar posto entro le sue mura a tutti gli equipaggi senza incontro di altri inconvenienti, disposi si riunissero in ordine di marcia lungo la strada fuori porta di Roma, non esclusa la Cassa militare, pronti a traversare Capua e seguire l’Esercito a mio ordine, allorquando si fosse rotto il nemico ed incalciato in ritirata. Così disposte le cose, sarebbe stato grande errore l'abbandonare senza valida difesa la riva dritta del Volturno al nemico, colla compromessione di tutti gli equipaggi, non meno che della Piazza, e della ritirata stessa dell'Esercito ().

Nè la sola Cavalleria può in quest’epoca assumere tanto impegno, come da imperito egli crede, senza essere associata alle altre due arme sorelle, massimamente in terreni frastagliati, dominati da monti, e chiusi da stretti, come quello su cui verte la quistione. quest'arma brillante, per quanto sia utile ed anche necessaria alle perlustrazioni e a molteplici altri impieghi di piccola guerra, a risolvere le battaglie, ed a porgere buon profitto alla vittoria, lasciata sola nell’impegno cui si tratta, sarebbe molto compromessa, per l'efficacia delle moderne armi da getto: i famosi Mammalucchi in Egitto, ignari e disprezzanti la forza della Fanteria, ne fecero aspra pruova fino alla loro distruzione, alla fine del secolo decorso, a fronte delle francesi truppe; comunque le armi da fuoco a pietra di allora non eransi ancora portate alla precisione alla quale pervenut erano i fucili e le carabine a percussione nel 1860.

Art. 24.°

Seguimento sulle disposizioni dì quella Battaglia.

In continuazione vi si legge:

«Era allora tra nostri Duci una teoria; girare l’avversario, e non farsi girare; ma chi gira rischia sempre d'esser giralo, salvo avesse forza da pigliare tutto il paese. Per questo a non farne girare girando, mettemmo una Brigata inoperosa, che se tenevasi a Capua in riserva, vinceva la giornata, per questo assalimmo il nemico là appunto ov'ei preparato stava, dove urtato di fianco, cioè da mezzodì, non avea difesa. Ma si temeva di restar tagliati dalla fortezza; il che anzi con istratagemma si doveva a suscitare, per cavar da ripari gli avventurieri, e sperperarli in campagna aperta. Se tanta tema d'esser tagliati fosse stata negli altri Eserciti antichi e moderni, non si sarebbero vinte «le battaglie se non di fronte, che avviene di rado.»

§. 1.°

Eccovi un altro militar paradosso.

È dunque errore girar l'avversario, e non farsi girare? Oh, lo scienziato di guerra!—È ben naturale che chi gira risica di esser girato; ma appunto per ciò fa d’uopo pria di esporsi, porre a ben ponderato calcolo tutt'i dati di terreno, d istruzioni ed esperienza bellica, di tempo e di approposito, coordinati col Disegno del proseguimento della guerra. La teoria generale dunque è, ed esser deve appunto lo girare evitando di esser girato, e solo abbandonare quest'ultima cura alle eccezionalità calcolate. Ed è perciò che nella redazione del mio Piano di operazioni io abbandonata quest’ultima cura, come il lettore rammenterà d'aver letto nella precedente corrispondenza, lasciando la base stessa di operazioni, per ritrovarla nella Capitale, molto più proficua: non cosi nel dare esecuzione al Piano fatalmente impostostomi, che non doveva abbandonare, onde non espormi a facili maggiori sciagure. Non è torto dell’autore di non essere a portata di tante importanti previsioni; l’è bensì pretendere di trattar la materia dogmaticamente, ed affettar torto ov’è ragione, ch'egli non ha saputo o non ha voluto apprezzare.

§. 2.°

I giudizi a posteriori, sempre facili a dar sentenze in opposizione all’operato fallito, sono l'appigl¡amento de' storici che per insipienza della materia, o per vanagloria, o per prevenzione propongonsi di contrariare il disposto. A valutar tai giudizi fa d'uopo esaminare il delle premesse dalle quali tiransi le illazioni, se discendono da giusti principi della scienza; o se poggiano sopra dati incongruenti, affin d'avvalersi della eventualità, e con dommatico stile promuovere dubbi negli animi poco esercitati alle quistioni su cui si versano. Quanto si è da me riflettuto nell'art. 23 § 2° di questi Comenti, e nel qui soprascritto §. 1.°, è più che sufficiente ad abbattere tutta)a fantastica tiritera che leggesi nel seguito della trascrizione messa a capo di questo paragrafo, versante sullo stesso soggetto. Ma lo storico nella sua dottoral critica in tattica non ha creduto tener presente che una intera Divisione con De Mechel era destinata a girare il nemico; e perché? Se questa fallì, fu per le eventualità che non si seppero prevedere da chi formò quel Piano, e da me prevedute, come le altre concorse a cagionare quell'insuccesso, di che verrà data più ampia dimostrazione nel corso de' Comenti de' quali mi occupo. Se l'autore avesse fatto uno studio sulle cause concomitanti a risolvere le Battaglie tra gli anti chi ed i moderni, sia di fronte che obbligue, avrebbe conosciuto che veruno de' Capitani vittoriosi ha mai disprezzato il nesso tra le proprie forze operanti, e non avrebbe proffert'i paradossi che trovansi disseminati in questo suo § 21 del libro vigesimosettimo che qui trovomi a volgere in esame.

Art. 25.°

Seguimento ancora sulle disposizioni di quella Battaglia

In continuazione del medesimo suo paragrafo alla fine della pagina 185 volume 4°, l'autore prosegue:

«Canone di guerra è fare al nemico quello che a non vorrebbe, e ‘l non fare quello che vorrebbe; noi con doppio fallo noi tirammo in agguato, e demmo di cozzo là appunto dov'egli ne aspettava, ec.».

«E dividendo in tante parti le forze nostre, neppur le chiamammo tutte in quel momento supremo; molte migliaia restavano a Gaeta e di là del Garigliano, gettate sulle strade, mentre sul Volturno pendevano le sorti supreme.»

Non so comprendere la tattica idea dell’autore nel supporre potersi tirare in agguato un Esercito messo in posizioni fortificate; ammeno che non lo scambi con un Partito o con una truppa in movimento. Se poi con questo erroneo vocabolo ha egli inteso attirarlo dai trinceramenti, per batterlo all’aperto, conviene che nella sua esaltata fantasia abbia supposto esser gli avversi compresi di tanta stoltizia da rinunciare si leggermente ai ripari inalzatisi con un mese circa di faticoso e assiduo lavoro, e fino a spingersi tant'oltre da non poterli più raggiungere per sostenervisi; supposizione non mai presentatasi alla mia mente, né sono affatto disposto ad accettarla. Il mio Piano che non gradì, comunque non libero di pericoli (), nella situazione in cui ci eravamo ridotti, era appunto quello che più di ogni altro contrariava le aspettazioni del nemico; del pari che il complicato Piano impostomi le secondava. Certo che se in quella circostanza le truppe che trovavansi in seconda linea, di là del Garigliano, (non quelle della Guarnigione di Gaeta), fossero venute a rinforzare l’Esercito di operazioni, avrebbero potuto dare maggior peso alla bilancia. Questa misura non era di mia facoltà: io non doveva agire che colle forze assegnate al detto Esercito; ed essa è un altra osservazione che concorre ad elevare dubbio se tra saccenti che si riputavano fidi consiglieri, vi fossero stati di quelli che più miravano alla compromessione dell’Esercito operante, anziché alla gloria di questo in vero sostegno del Trono minato.

Art. 26.°

Altro accozzamento di arbitrarie asserzioni dello storico, tendenti a sgravare i colpevoli, a danno del Duce Supremo.

Chiude l'autore alla pagina 186 4.° Volume, il rimarcato suo §21 libro vigesimosettimo, nei seguenti sensi:

«I nostri Duci ignari delle fortificazioni elevate dagli avversari, non avevano esplorato il terreno; sapevanlo, ell'era stato campo d'istruzione; ignoravano le trasformazioni fatte; spie non avevano, e temendosi tradimenti nessuno s'udiva. Credevano solo S. Angelo fortificato, e vi spinsero soldati migliori; tennero le Guardie a Reali, nuove. al fuoco, per assalire Santa Maria, cui si credeva aperta; e i nuovi soldati trovaronsi, a fronte ostacoli impreveduti, dove non bastava il buon volere.»

§. 1.°

Che altro accozzamento di arbitrarie asserzioni trascendenti se non sino ai mendaci, a straliciare, affin di sgranare i colpevoli, a danno di chi malignamente è preso di mira. Parla de' Duci per colpire più il Duce Supremo, designato astutamente a coprire i torti di tutti. Prima della nostra corrispondenza poteva lo storico esservi indotto, senza volerlo, da prevenute informazioni: sostenendo quel linguaggio dopo le delucidazioni ottenute dal carteggio avuto meco, dimostra com'egli ha trovato molto più confacente per se associarsi ai volpini miei detrattori.

Sebbene difettavamo di spie degne di fede, non eia ciò a segno ch'io affatto ¡guaro rimanessi dei trinceramenti e batterie erette dagli avversi a S. Angelo e a Santa Maria, com'è ben fatto cenno nel mio Opuscolo di Agosto 1861, a pagina 14 a 16, tanto che, nel riunire i Comandanti di Brigata e di Divisioni il 30 Settembre, ne 'informava loro all’ingrosso, com'è indicato nel detto mio Opuscolo di Agosto 1861, a pagine 16 e 17; e colle istruzioni sul compito di ogni uno, non mancava dar loro sommarie prevenzioni per evitare colle Colonne i stradali, avvalersi delle ondulazioni del terreno, ond’evitare, per quanto era possibile, l'effetto delle batterie di fronte, di far molto agire preventivamente l’ordine aperto, diretto a bersagliare maggiormente l'artiglieria nemica, ad avvalersi in forza degli accessi che la tiragliata fosse giunta a scoprire, a riconoscere e ad indicare, fidando nel sostegno delle Riserve (), ed altro. Non credo vi sia chi voglia affettare di non rammentar tali sommarie istruzioni; se pur questo si dasse, non mancherà tra contemporanei, son certo, chi con animo più puro vorrallo attestare; e queste istruzioni offrono la certezza morale che conoscevansi da me e da altri i trinceramenti e batterie inalzate dai rivoltosi. Non poteva fare in quella circostanza più minuta scuola, mentre ogni Generale o altro Comandante di Colonna di attacco, nella libertà di azione tattica, deve aggiungere da sé le misure più analoghe alle difficoltà o facilità che offrono il terreno e le mosse del nemico, per arrivare allo scopo; come ho pur rimarcato in succinto nello stesso mio Opuscolo di Agosto 1361 a pagina 9. Ma più della certezza morale non è mancato al Signor de Sivo anche la certezza fisica della conoscenza aveasi da noi di quelle fortificazioni, avendogliela ben rimarcato nell’esporgli le considerazioni che mi guidarono a stabilire il mio Disegno di diversione coll'intero Esercito sopra Napoli, come il lettore rammenterà d’aver letto nel Cenno Storico riguardante la mia persona § 8.° Comma (B); considerazioni delle quali egli si è assicurato colla lettura dell’originale mio Piano in Roma, che colla sua seconda lettera del 6 Marzo 1866 affettava d'ignorare, e che poi ha dovuto confessarne la presa lettura colla terza sua lettera del 17 Aprile. —E se non feci precedere una chiassata di riconoscenze, le evitai a calcolo fatto, coni' è indicato nelle già segnate pagine 14 a 16 del mio Opuscolo di Agosto 1861. Perché non ha egli tenuto presente quelle valevoli mie ragioni? o non le à saputo valutare, o non lè convenuto per tenersi stretto ai premeditati suoi disegni. Egli dunque, malaccorto, qui cade per lo meno in patente strafalcione; in sostegno delle sinistre prestabilite sue tesi.

§. 2.°

Né le sole Guardie Reali erano nuove al fuoco più degli altri Corpi del nostro Esercito, stante il difetto di occasioni di guerra da più anni per tutti, tranne pei pochi che vantavano molti anni di servizio, e di questi la Guardia ne avea in proporzioni pressoché eguale agli altri Corpi della Fanteria. La Guardia (sempre salva eccezione) mancava d'istruzione belligera, e di ben diretta eduzione militare, come ho pur rimarcato allo storico col § 2.° del mio 1° riscontro dilucidativo del 17 Gennaio 1866, e con gli antecedenti scritti ivi richiamati, de' quali non gli è tampoco convenuto tener conto, per non trovarsi rimosso da' suoi propositi. — Federico Guglielmo I.° Re di Prussia, che poco sapeva valutare il merito personale, facea gran pregio di un Battaglione scelto per la statura, detto de' giganti, appartenente alla Casa Reale, governato col falso principio del favoritismo, e dell’ozio belligero. Federico 2°, il Grande, che sapea fiutar lontano, nell’ascendere al trono di suo padre, sciolse ed annullò quel Corpo nei primi atti della sua Sovranità. La Guardia imperiale di Napoleone I.°, che in più occasioni ha dato pruova d'immenso valore, era nutrita con eletti tra più distinti per meriti di guerra nell'Esercito, ed esemplarità di disciplina; come credo l'attuale Guardia in Francia, ed in altri Stati, ove i fatti si apprezzano più delle parole.

La nostra Guardia era eletta per statura e simpatia di volto e di struttura tra le coscrizioni, perciò di uomini non sperimentati. Se si fosse accettalo il mio progetto di riformazione, le cose non sarebbero forse andate come andarono nel momento più decisivo.

Lo storico nella sua terza ed ultima lettera si fermava sulle astruse difficoltà del suo assunto; e coll'ultimo mio riscontro io stesso gli proponeva d’aver per guida la Verità, appoggiato un tantino alla Prudenza, in modo da non farsi deviare: egli però sentivasi troppo carico per non seguire l'ingombrato sentiero della Verità, e preferire alla Prudenza un mencio asserimento più atto ad alleggerirlo.

Art. 27.°

Strana proposta dello Storico d’aversi potuto sorprender Napoli con diecimila uomini è sottometterla ad un colpo.

Nello stesso suo libro vigesimosettimo, al §. 22 coli epigrafe. Quale avrebbe dovuto essere, alla pagina 186 volume 4.°, lo storico crede illuminarci in tal modo:

«Stando i garibaldini a Santa Maria, Caserta e Maddaloni, avevano a settentrione il Volturno e i Regi, e a Occidente Capua; ond'erano liberi ad Oriente per ritrarsi ai Principati, e da mezzodì per Napoli, sorgente delle forze loro. Ora a tra Capua e Napoli stava quasi sgombra la via, salvo un po di marmaglia ad Aversa; sicché 10 mila uomini potevano una notte sorprendere Napoli, e averla a un Colpo; dove il popolo insorgendo a un tratto avrebbe messe le mani adii dosso a pochi stranieri e felloni. Presa Napoli, il Garibaldi perdeva la sua base, la baldanza, e il denaro e l'opinione, perdeva il mare, si «trovava stretto anche di mezzodì, né poteva che ritrarsi coi più pervicaci ai Principati, infra a popolazioni pronte con tutte armi a percuoterlo. L'indole de' regnicoli li fa inerti avanti al nuovo venuto, ma spingeli a furia addosso al fuggiasco».

Il lettore che avrà presente le informazioni ch'io porgeva allo storico sulle considerazioni che guidalo mi avevano a formare il mio Disegno di diversione sopra Napoli— Cenni Storici riguardanti la mia persona §. 8, Comma (B),— e mio 5° riscontro al de Sivo del 26 Aprile 1866 §. 3°; il lettore comprenderà di leggieri ch'egli ha da queste attinta l'idea di quella diversione (ch'egli stesso confessa poi, come vedrassi nell'articolo seguente), e costante al suo proposito, per non perder pennata ad indicarne il merito, che prefigge attrarre a sè, la propone deturpala con un paradosso in strategia, meritevole in vero di fredda noncuranza: come però tra lettori potranvi essere de' poco versati alle belligere materie, suscettibili ad esser attratti dal suo stile censorio e sentenzioso, mi occupo di farne un sommario analisi. —Non fa d’uopo di argomentazioni per dimostrare l'insufficienza di diecimila uomini a sorprendere e sottomettere una Capitale di cinque in seicentomila abitanti, Dell’apogeo della sua rivoluzione, avendo una guardia organizzata, ben munita  pressochè della stessa forza, parteggiante della rivoluzione medesima, e questa impadronita di tutto, non escluse le fortezze, sostenuta ed infiammata sempre più moralmente e fisicamente da tre potenze belligeranti; diecimila uomini necessariamente mal corredati, che si avrebber dovuto staccare dall’Esercito operante, senza potervi più tener comunicazioni, lasciando questo di tanto indebolito da non poter più intraprendere energiche operazioni; spinti quelli con imprevidenza a chiudersi tra stuoli di nemici per rimanervi sopraffatti (come avvenne alle male accorte truppe della Brigata Rujz, che furono prigioniere tra Caserta e Casertavecchia il mattino del 2 Ottobre), e con la semi-certezza della loro disfatta, ad incoraggiamento e gloria degli avversi ed a scoramento fatale del residuale Esercito. né sorpresa poteva esservi, dacché, oltre i mezzi infiniti offerti dalla rivoluzione al nemico, per tenerlo informato all’istante di ogni nostro movimento e pensiero, le strade non erano del tutto sgombre di ostacoli e di armati, né lo erano gli accessi della Capitale, ostacoli tutti che avrebbonsi dovuti superare a forza di combattimenti, sempre di dubbia riuscita di notte, e con perdita di tempo; e tanto più da truppe poco o nulla agguerrite. né la reazione della popolazione potea ritenersi per certa in quel bollore, senza prestabilite corrispondenze organizzate; e se mai conato ne fosse avvenuto, avrebbe potuto bensì dar luogo a versamento di sangue ed a saccheggi, non mai a produrre il ristabilimento del Regio potere: gli Esteri non vi farebbero rimasti al certo indifferenti, dopo il noto manifesto del Re del Settembre; e non si avrebbe ottenuto che un tentativo promotore di funeste conseguenze, e di maggiori dannosi sarcasmi a carico della Dinastia invisa alla rivoluzione, ed ai Governi che l’han promossa e sostenuta, maculandone anche nello avvenire la semplicità del procedimento. Non è poi d'attribuirsi solo ai nostri regnicoli l'indole di spingersi a furia addosso al fuggiasco, ché l’è di tutt'i popoli: la Storia ce n'offre infiniti esempi; e ‘l de Sivo vantaggiosamente versato nella letteratura, non poteva farne condizione esclusiva di questi popoli che per illuder meglio sull’originalità del concetto di diversione che si arroga, deturpandolo.

Art. 28.°

Disegno di diversione sopra Napoli, che lo Storico dice

Balenato al Ritucci. Ne critica il modo, e lo condanna, egualmente che l’altro su cui si agì, onde far brillare il suo.

In continuazione,seguendo lo stesso suo paragrafo Fautore affetta farsi coscienza, e dice:

«Tal Disegno balenò in mente al Ritucci, quando propose andare a Napoli con tre Colonne; ma volendol fare tentò in due dì, e fermare a Capodimonte e altri luoghi per non insanguinare la Città, perciò solo saria stato senza effetto. E questo medesimo timor del sangue fè prescegliere il Disegno ch'ho annunciato, cioè d’opprimere l’avversario nelle sue posizioni, e lasciar Napoli al vincitore. Ciò avrebbe anzi più insanguinato Napoli; perocché il Garibaldi scacciato dal Tifata, si gittava sulla Città, come fece a Palermo; e fatte fortezze delle case, traeva aiuti dal mare, da' Sardi, e dagl'Inglesi e Francesi.

«Sicché tanto il Disegno del Ritucci, quanto questo della Battaglia sul Volturno amb'ideati per evitar danni a Napoli, vieppiù l'avrebbero insanguinata.»

§. 1.°

Eccolo dunque caduto nella indispensabilità di confessare da me proveniente il progetto della diversione sopra Napoli; ma egli da vero atleta pugile si rialza caratterizzandolo da me balenato e mal calcolato; da lui, deturpandolo, corretto ed esatto. Taccia il mio Piano di lentezza per non insanguinare la Città, e dice perciò solo senza effetto. —Dunque egli riteneva con acerbità di partito, che solo una ecatombe umana nella Capitale potuto avrebbe ridonarle l'ordine e la sommissione al legittimo autonomico governo!

Ma può essere egli giudice competente? qui non trattasi dell’amministrazione provinciale, ove con più ragione avrebbe potuto discutere la materia. Oltre tutto quanto sta esposto nel Cenno Storico riguardante la mia persona, e nella corrispondenza seco lui avuta, ch'egli non ha saputo o voluto tenere a calcolo, il lettore troverà chiarite abbastanza le mie ragioni nell'Art. 16 e nell'Art. 27 di questi Comenti, che richiamo affin di non estendermi in pleonasmi.

§. 2.°

Ma con quale induzione egli asserisce eh io voleva volgere a Capodimonte e altri luoghi per non insanguinare la Città? Che han di comune le posizioni dominanti, tattiche, non certo per farne luogo di sosta, ma base eventuale per imporne e discendere immantinente ad occupare i punti principali della Capitale? Il proponimento umanitario deve aversi sempre per guida da un Comandante in Capo, dopo della vittoria; e tanto più in guerra contro la rivolta nella propria patria, ove gli illusi ed ingannati giovani formano il maggior numero; ove la guerra mirar deve a soggiogare i protervi per porli nelle mani della giustizia quali vittime del pubblico esempio, non mai per la distruzione dell’uman genere, soffiando la discordia ne' partiti, e adescando la rapida e gli eccidi degli avidi facinorosi e oziosi di piazza, sempre pronti ad opprimere il colpito; e ciò per la trista vaghezza di far campeggiare la perniciosa massima: Purché il reo non si salvi, il giusto pera! massima dannevole, che pur troppo con pena parmi nutrita dallo storico, come in seguito andrò più dimostrando. — Sarebbe stata per me troppo lusinghiera la speranza di reprimere la rivoluzione nella Città senza insanguinarla; ma io non spingeva tant'oltre le mie lusinghe, bensì proponeami d’insanguinarla il meno che fosse stato possibile. Se però ho messo fra i doveri di un Duce Supremo il sentimento di umanità, si badi d'averlo collocato dopo quello della vittoria, ciò che faceva ben rimarcare all’autore nella richiamata nostra corrispondenza, ove por dico che avrei agito colla massima fermezza ed operosità. E non secondava io forse con questo comportamento i principi umanitari proclamati da quello sventurato Sovrano? E non è forse questa sua filantropia che n'eleva la fama al pari ed anche più del disinteresse e dignità dimostrata nelle sue sventure?—Ma ei, lo storico, con destrezza, dopo d’aver dannata ogni cura a risparmiar sangue, per evitarne la macchia, accusa d'inefficacia a risparmiarlo sì e'1 Piano di operazioni da me inoltrato, che l'altro impostomi, per far sorgere un medio Disegno di guerra risolvente in quello da lui proposto; la futilità e periglio del quale ho a sufficienza trattato nel precedente Articolo 27 di questi Comenti.

Art. 29.°.

Altro specioso progetto dello storico, di bombardare Santa Maria, per tirare i Garibaldini sotto le tigne de' cavalli.

Ed ancor seguendo ad analizzare lo stesso suo §. 22, egli ci fa dono, alla pagina 187 del 4° volume, de' seguenti concetti:

«E anche risoluto di combattere il Nizzardo al Tifata, meglio provvedevi a vittoria usando l'arme ove noi eravamo forti ed egli debole, dico Artiglieria e Cavalleria; e con tirarlo fuori de' luoghi ove s'era asserragliato, non già investirlo di fronte nel suo forte. Ove con molte Artiglierie da mezzodì lo si bombardava entro S. Maria, lo si sforzava a uscirne in campagna rasa, sotto ugne de' cavalli. Ma era una specie di dogma il non potersi bombardare; e più si preferiva far morire i soldati che guastare mura. Ma non si fa guerra senza guasti; e per non bombardare fummo bombardati.»

Ed è mai possibile che un uomo di lettere, comunque considerar si possa ignaro di belligere cose, non sia giunto a distinguere, nei vortici del suo vaneggiare, gli spropositi compresi in questi periodi?

E come provvedere a vittoria al Tifata con Cavalleria ed Artiglieria?—quest'ultima non mancò d’esservi tutta impiegata come meglio permetteva la natura del terreno; la Cavalleria non mono, in quelle frazioni che l’astrusità de' luoghi esigeva e permetteva, su di che molto ne ho detto nel mio Opuscolo di Agosto 1861, nei Rimarchi fatti allo scritto del Brigadiere Palmieri, in Maggio 1862, ne ripetuti Cenni Storici riguardanti la mia persona, ed in più passi della corrispondenza avuta coll'autore. Egli crede' indicarne il modo, proponendo tirar il nemico fuori de’ luoghi ove si era asserragliato. —Ma che, scambia i nostri avversari coi pesci nelle onde? mancavamo noi però degli ami opportuni a trarneli!

Eh sì, egli crede proporre questi ami: con molta Artiglieria da mezzodì, ei dice, lo si bombardava entro Santa Maria, lo si sforzava a uscirne in campagna rasa sotto l'ugne de' cavalli. —Dunque riduce il tutto ad un bombardamento contro S. Maria. — Ma oltre l'inumanità nel pensiero, vi è la difficoltà nella esecuzione, e l'inopportunità della misura.

§. 1.°

L'inumanità del pensiero si è perché sebbene in Santa Maria vi fossero stati pervicaci rivoltosi, che porgettero la mano al Garibaldi e suoi seguaci, quelli non costituivano la popolazione di quella Città, che fedele alle leggi dell’ordine, videsi inaspettatamente abbandonata dalla Guarnigione di Cavalleria, e da ogni altro legittimo appoggio, e lasciata io preda alla rivoluzione fatta gigante, ritenendo ivi la maggior parte di quelle famiglie stesse di quella Guarnigione uscitane da pochi dì per ordine; e perché la guerra tra popoli ed Eserciti civilizzati dev'esser diretta contro i combattenti, e fortilizi, non contro cittadini ed abitazioni innocue, non esclusa la guerra di rivoluzione, ove fa d'uopo tutelare i sudditi tranquilli, onde non si facciano abbindolare da raggiratori, e decidersi per l'avverso partito.

§. 2.°

La difficoltà nella esecuzione poi mi chiama prima a definire il bombardamento ch'è l'opprimere l'avversario con una interrotta pioggia di bombe, fino a ridurlo a rendersi, o ad abbandonare il luogo fortificato. Per lo bombardamento vi vuole un assortimento di molli mortai, e digrossi pezzi da scagliare granate coniche o sferiche di vantaggioso calibro, una sufficiente dote di tai proiettili di mollo pjso, ed i cassoni da trasporlo corrispondenti; armi,munizioni e trasporti non esistenti al parco delle Artiglierie dell'Esercito, né tampoco disponibili nella piazza di Capua.

Le Artiglierie dell’Esercito avevano bensì la dote di due Obici per ogni Batteria; ma quelli, insufficienti per un bombardamento, tanto per la piccola dimensione delle granate, pel limitato loro numero, contro Città si vasta, che per l'aperta parabola de' loro tiri; essi non rimasero oziosi, se non per danneggiare ed incendiare la Città, sibbene contro i nuclei di combattenti, e contro le Batterie nemiche, e molto contribuirono a farle più volte tacere tanto da dar tempo alle Colonne di attacco ed alla Riserva di assaltare in ordine chiuso per i meati già scoperti ed anche occupati dalle frazioni più brave e ben dirette dell'ordine aperto: ma le Colonne di attacco si erano nella massima parte disordinate, e la Riserva più non esisteva, come sta ripetuto in più tratti de' precedenti miei scritti, e come più distintamente sarà ragguagliato nell'art. 53 di questi Comenti.

§. 3.°

L inopportunità poi della misura sta nella differenza che passa tra le disposizioni tattiche di nna Battaglia, nella quale non è eterogeneo l'attacco di un paese o posto trincerato, la presa e la ripresa di esso in più ed in molte volte, per quindi portare a compimento il Disegno strategico; e tra le disposizioni di assedio contro una fortezza permanente, quando non riesce una sorpresa, alle quali disposizioni più si appartiene il bombardamento, previe le opere di approcci in parallele, trincee, Batterie di mortai e di cannoni di grosso calibro ad usi e direzioni diverse, ed altro, tutte cose che richieggono grandi mezzi e molto tempo. né comprendersi può com'ei ne' suoi vaneggiamenti, fa cader gli avversi sotto le ugne de' cavalli, ammeno che non li ritenga per scarafaggi. Da quel lato di mezzodì il terreno è coltivato e seminatorio, frastagliato da siepi, macerie, fossi ed altro, ed il fante non cede il vantaggio al cavaliere, potendo offenderlo da lungi, e ritirarsi defilato nei ripari, allorché si giudica molto esposto; come fecero i Garibaldini dal lato di S. Tammaro. Il diversivo sopra Napoli, da me proposto, era il solo mezzo di tirarli da quei trinceramenti, come ho ben dimostrato: ma questo è appunto ciò eh egli ha prestabilito di non confessare. Lo strano procedere proposto dall’autore sarebbe stato ben meritevole di sarcasmi degli uomini versati nelle belligere scienze, e ci avrebbe procurato col danno i giusti dileggiamenti. —Ma ei riflette che per non bombardare fummo bombardati.

Sì, lo fummo, ma non per cagione dell'espressoci suo proposito: lo fummo per la seguela degli errori, perché dopo la fatale dissoluzione dell’Esercito, di che molto da me se n'è detto, sì ridussero tutte le risorse della Corona in una Piazza d’arme, comunque forte, malamente giudicata inespugnabile (lusingati da uno sperato aiuto europeo), dalla cui resa dipendeva il compiuto possesso del Regno; e quindi le disposizioni di assedio ed il bombardamento, coll'impiego d'infiniti mezzi e di molto tempo de' quali ho qui sopra tenuto parola.

Art. 30.°

Riconosce lo storico l’errore di darsi là quella Battaglia,

e taccia di errore il tempo, il modo, la disposizione e l’esecuzione.

In ultimo del medesimo suo paragrafo, a pagina 187, lo storico conchiude:

«Non pertanto l'assalire il Tifata costava poco a ai 22 Settembre; costò molto al 1° Ottobre, e non riuscì. Credo errore il dare là quella Battaglia; ed errore il tempo, il modo, la disposizione e l'esecuzione.»

Queste opinioni, nel fondo basate sul vero, il. lettore ricorderà che sono pressocché le stesse motivate ne' miei precessi scritti, e con più distinzione nel mio primo riscontro dilucidativo del 17 Gennaio 1866, alla fine del § 5.°. Come però la maggior parte delle precedenti asserzioni dell’autore seguono il disegno prestabilito di farmi carico di ogni errore, da chicchessia commesso, onde trovarsi bene co' suoi proponimenti, il modo com'egli qui le adduce, velate sotto il laconismo, seconda sottilmente le sue intenzioni senza nominarmi; ed è perciò che spinto mi vedo a brevi riflessioni, onde riporre le cose in più distinto aspetto.

Malamente egli dice, l'assalire il Tifata il 22 Settembre avrebbe costato poco, meglio sarebbe detto che avrebbe costato meno, ché il nemico, alquanto disanimato, vi era meno preparato; ma l'erroneità del concetto sarebbe stata la stessa. Rimarca che non riuscì; e perché?—per quanto io avea preveduto e rimarcato nel rimettere il mio Piano non accettato; e per quant'altro non poteasi mai da me prevedere, di che sarà oggetto dell'Art. 33 di questi Comenti. Confessa errore il dar là quella Battaglia; ma non ricordando d'esser contro il mio avviso, in continuazione de' carichi che mi accolla, ne fa cadere per induzione a me il torto, appropriandosi la gloria di rimarcarlo. Dice errore il tempo ed il modo; ma non rammenta di essersi perduto il tempo per chiederne agli esteri il Disegno, fatalmente, preferito al quale si appartiene il modo, e con una destra reticenza ne lascia sottintendere a me il carico. Danna la disposizione; e facendo l'ignaro su tutto quel che si è da me chiarito, si assume la facoltà di farv’il censore.

Il lettore, son certo, avrà messo mente ai precessi miei scritti, per non sentire il bisogno ch'io mi dilunghi in glossema.

Art. 31.°

Descrizione della Battaglia dal lato di S. Angelo. Privazione

dì Riserve. Distaccamento dal lato di S. Tammaro.

Lo Storico nell’imprendere a descrivere la giornata del 1 Ottobre a S. Angelo col suo §. 24 libro vigesimosettimo, a pagina 189 volume 4.° dice:

«Pria dell’alba il Maresciallo Rivera volgeva «a S. Angelo la sua Divisione di 4500 fanti e i cavalli; il Brigadiere Tabacchi con altrettanti per Santa Maria sulla via consolare; il Brigadiere Sergardi con due Squadroni Lancieri e 4 cannoni a S. Tammaro. Riserva di fanti non si fece; il resto de' cavalli in 1500 coi Brigadieri Ruggiero e Palmieri stettero in aspettazione sotto Capua.»

§. 1.°

Quanto riguarda le disposizioni e le prime operazioni verso S. Angelo, il lettore che avrà presente quel ne dico nel mio Opuscolo di Agosto 1861, pagina 6 a li nei Cenni Storici riguardanti la mia persona, e nella corrispondenza tenuta coll'autore, ravviserà non esser necessario che mi dilunghi a poco graditi pleonasmi.

§. 2.°

In quanto all’assertiva che non si fece Riserva di fanti, con pena veggomi spinto ancor qui a ripetere ch'ei non cura esattezza nelle sue esposizioni, sempre a fine di trovarsi coerente ai prestabiliti suoi disegni. Tutt'i succennati elementi a lui rimessi lo hanno informato che ivi la metà della forza fu da me disposta di Riserva, per esserv'impiegata a proposito; e ciò in considerazione che il luogo non prometteva concorrenza di Riserva di Cavalleria: se verso S. Angelo si fosse difettato di numero, di tempo, di luogo o di modo nell'impiegarla, colpirebbe colui che l'avrebbe male adoprata.

Rifletto però che non sempre l’impiego a proposito della Riserva è coronato dalla vittoria, quando si hanno per contro altre cause concomitanti, tra le quali primeggia la parvità della forza, come quella cagionata dallo sparpagliamento imposto da quel malagurato Piano di attacco, su di che versano tutt'i precessi miei scritti §. 2.°. In quanto alla Riserva verso S. Maria, oltre i lumi sparsi nei qui cennati elementi, sarò a darne più precisi all'Art. 33 di questi Comenti, come ho già più volte annunciato. — Il Brigadiere Sergardi non fu spedito verso S. Tammaro nell’esordire della Battaglia, ma fu da me rimasto ad osservare il lato dritto del nostro Campo di azione con più Squadroni di Lancieri e con dell'Artiglieria: era una frazione della Riserva di Cavalleria, dalla quale distava brevi tratti, ed alla quale sarebbesi unita quando fosse giunto l'istante e l'occasione di adibirla con vantaggio.

§. 3.°

Si mosse il Sergardi con due Squadroni e quattro cannoni per accennare un falso attacco dal lato di S. Tammaro, dietro disposizione del Re con mia intelligenza, dopo che il Sovrano giunse da Gaeta al Campo; cosa da me ben chiarita al de Sivo col 3.° §. del mio secondo riscontro speditoli il 28 Marzo 1866, oltre quanto ne ha dovuto apprendere dai precedenti elementi rimessigli.

Art. 32.°

Condotta dal Comandante la Divisione contro S. Angelo,

e de' due Comandanti di Brigate.

Alla pagina 192 lo storico chiude il medesimo suo paragrafo qui succennato in questi sensi:

«Ma il Rivera s'era stato giù, lungi dalla a pugna; e i Brigadieri Barbalonga e Polizzy, coi i soldati stanchi sedettero su' trofei.»

Senza che mi occupo a dimostrare l'ingiustizia di questa mordacità, richiamo l'attenzione del contese lettore al 1.° mio riscontro dilucidati vo dato al de Sivo il 17 Gennaio 1866, §. 2.° Comma (B), dove posi in luce l'errore in cui era lui tratto dalle inculcazioni de' parolai sforniti di vero merito, e gelosi di chi ne mostra, nel motivarmi colla sua prima lettera gravi carichi su quei due Comandanti di Brigate. Egli così informato non ha creduto più sostener quelle accuse; ma non ha saputo rivenire d'intutto dalla contratta sfavorevole impressione, e seguendo il suo stile pungente, e ‘l prestabilito suo disegno, accomodato si è a quell’acrimonica frase.

Art. 33.°

Descrizione degli attacchi dal lato di S. Maria.

Nella descrizione degli attacchi verso S. Maria, §. 25 libro vigesimosettimo, in fine della pagina 193 volume 4.° si legge;

……………………………………………………………………………………………..

«Il Tabacchi destinato a Riserva () fu spinto anch'esso con la sua Colonna sulla via di ferro, e anche rigettò dietro i trinceramenti il Melenchini e ‘l Fardella. I Regi allora quando si credevano aver vinto, trovaronsi in un tratto avanti ad ostacoli non preveduti, colpiti in fronte e a scaglie su due lunghe e dritte vie.»

…………………………………………………………………………………….

§. 1.°

Qui lo storico, seguendo il suo sistema, fa pure lo smemorato, per sostenere il suo assunto. Dai ripetuti antecedenti il lettore riterrà che non solo non erano impreveduti gli ostacoli che s'incontrarono, ma ch'essi principalmente furono da me presi in considerazione nel redigere il Disegno di diversione sopra Napoli, e che furono le basi delle istruzioni verbali date il 30 Settembre ai Comandanti delle Divisioni e delle Brigate. Ma per discendere più minutamente ad analizzare le cause e il modo che concorsero alla dissoluzione e sparizione della Riserva de' Granatieri Reali, che non più rinvenni allorché presentavasi il momento opportuno di farla agire in concorso della Cavalleria, cosa che (oltre la fallanza della Colonna De Mechel) più d’ogni altra contribuì alla disfavorevole riuscita di quella giornata; trascrivo qui una mia lettera diretta al Generale Tabacchi, dopo letto il 4.° volume della storia in esame; e poscia riporto il riscontro del menzionato Generale, seguito da posteriori informazioni ed osservazioni, affin di sottoporre il tutto al giudizio imparziale del pubblico sulle concause efficienti concorse al mancare di quella memorabile Battaglia, che tanto contribuì al seguimento degli eventi, che finirono colla caduta di quella Dinastia e dell'autonomia del Regno delle Due Sicilie ()

LETTERA DEL TENENTE GENERALE AL RIPOSO

GIOSUÈ RITUCCI, AL GENERALE LUIGI TABACCHI

ANCHE AL RIPOSO.

Napoli 23 Novembre 1867

Signor Generale!

Lo storico Cavaliere Signor Giacinto de Sivo, nel descrivere poco esattamente la Battaglia del 1 Ottobre 1860, espone in fine della pagina 193 volume 4.° quanto segue:

(la medesima trascrizione messa in testa a questo paragrafo)

Non essendo mai partita da me una tale disposizione, perché ben conoscevasi che la strada di ferro era infilata da una Batteria nemica, innanzi la quale non si offriva un terreno atto a sviluppo di truppa, e che d’altronde, trovandosi quella Batteria inalzata in sito sottomesso al Campo di azione e quindi innocua sullo stesso, sarebbe naturalmente stata presa in fianco ed alle spalle della nostra. Colonna di attacco di dritta, se questa giunta fosse a spingersi nel fabbricato di Santa Maria, come doveva; e non avendo ella fattomi mai pervenire rapporto di quel suo movimento, neanche verbale, nel caso che altr'ordine Superiore alle mie spalle le ne fosse arrivato; sono indotto a credere che l'asserto storico sia erroneo, come tanti altri che pur vi scorgo, i quali potrebbero pormi nel l’obbligo di dilucidarli, onde il vero non resti coverto da veli più o meno densi ai contemporanei e ai posteri.

Pria però eh io azzardi pennata all'oggetto, occorrendo, m'è duopo pregarla di voler essere compiacente onorarmi in riscontro di sue dilucidazioni sulla verità o erroneità del fatto addotto dal cennato storico; e nel caso affermativo, quale ordine glielo impose, e perché tenne tanto poco conto di farmene rapporto, ed all’opposto cura di farmelo interamente ignorare, a segno di lasciarmi nel duro caso di non rinvenire più tampoco un sol Battaglione della Riserva, che invano ricercava al momento propizio di farla agire con buon risultato; cagionandomi così il dolore di ravvisare in tutti una fuga per vile panico, comunque mi trovassi allora con ogni annegazione innanzi di tutti, a fine di scorgere gli andamenti e gli effetti de' disposti attacchi, e provvedere a tempo opportuno il dippiù che si conveniva ad ottenere la vittoria.

La direzione della mia abitazione è alla Marinella N. 18 3. Piano. Potrà anche indicare al porgitore mio servo quando voglia che si rechi a ritirare la risposta.

Sono con tutta stima, esternandole mie tenutezze

Suo Umilissimo Servitore

GIOSUÈ RITUCCI

RISCONTRO DEL GENERALE TABACCHI

DEL 24 NOVEMBRE 1867.

Eccellenza!

Ieri sera fui onorato da una sua gentile lettera datata 25 volgente, i cui argomenti si portano al 1.° Ottobre 1860.

Le svariate circostanze di mia famiglia quasi tutto mi han fatto dimenticare quel passato. Ricordo però qualche particolare che mi onoro sommetterle.

I movimenti della Divisione della Guardia Reale, della quale erami stato dato il Comando, mi furono dettati dalle diverse posizioni che l'inimico mi presentava, come da quella latitudine di azione dovuta ad un Generale sul Campo di Battaglia; quindi quei movimenti che Ella ora marca, nella sua lettera, furono opera del mio momentaneo vedere.

Con sentimento di stima mi onoro dirmi

Suo Umilissimo Servo

Luigi Tabacchi.

Dallo esposto dello storico, e dal riscontro semievasivo del Generale Tabacchi, che non precisa le particolari sue disposizioni, delle quali assumesi arbitrarie facoltà, pare che questi avesse operato a casaccio sulla strada ferrata di Santa Maria con tutta la Riserva di fanteria, consistente nello intero 2.° Reggimento di Granatieri con due compagnie di Cacciatori Poco soddisfatto, e sull’indizio che avea di già di altro movimento dispostosi prima, alle mie spalle, al 2.° Battaglione di quel Reggimento, chiestone al Tenente Colonnello Nicola Cetrangolo che lo Comandava, verbale relazione, questi mi ha informato, che iniziati gli attacchi, trovandosi quel Reggimento di Riserva in Colonna sulla strada di S. Maria, a giorno molto inoltrato il Generale Tabacchi fece egli stesso uscire quel Battaglione dalla strada, dandogli il comando pel fianco sinistro, e chiamato esso Tenente Colonnello presentogli un Capitano di Stato Maggiore, che se mal non rammenta era il sig. Delli Franci, () e gì impose, d'ordine Superiore, di seguirne la indicazione, per un attacco mediano tra Santa Maria, e S. Angelo, in concorso degli attacchi già impegnati sulla sua dritta e sinistra; che quel Capitano lo guidò fino a portata di un ponticino sullo stradale di S. Maria a S. Angelo, un cento passi a sinistra de' Virilasci, accanto al quale postato eravi un grosso cannone, e si ritirò per dar conto della seguita sua missione; che spiegato il suo Battaglione dietro impegnata tiragliata, assaltò quel posto alla baionetta, pose in fuga buona mano di difensori dopo valida resistenza, impossessandosi del pezzo e del posto; che lasciato poi il Capitano Rodriquez colla di lui Compagnia a guardia di quel ponte e del cannone che non potè di là trarre, voltossi colle altre cinque Compagnie verso Santa Maria, per agirvi concordemente alla Colonna di attacco Marnili, e mentr'era per giungervi, si accorse che quella Colonna sulla sua dritta ripiegava, disordinata alla corsa, e che il Capitano Rodriquez, riattaccato da altro numeroso drappello, abbandonato avea quel ponte e ‘l cannone; che stimò allora non doversi azzardar solo all’ingresso della Città, e posesi anch'egli in ritirata; che giunto dietro un borrone vi si spiegò, e con fuoco di file riattaccossi con più centinaia di avversi per circa un'altr’ora, finché accusando il soldato essere pressocché al termine delle cartucce, ritirossi ancora a traverso Campi sulla sinistra dello stradale da dove era uscito, non più seguito. Che incontrati in quella direzione le LL. AA. Reali i Conti di Trani e di Caserta, questi, a richiesta de soldati, fecero posar loro i sacchi per riprendere gli attacchi; che iniziato un nuovo fuoco, ed accalcati da crescenti nemici, dovette ripiegare nuovamente, impossibilitato a riprendere i sacchi, finché raggiunse un residuo della Colonna D’Orgemont, al quale si unì, egualmente che altro residuo della Colonna Marulli guidata da quel Colonnello, da dove, rianimato quel nucleo senza effetto, ritiraronsi al Campo di Capua. ().

§. 2.°

Ecco dunque comprovata la ripartizione da me disposta innanzi Santa Maria, della fanteria della Guardia in tre Colonne pressocché eguali, due di attacco affidate ai due Comandanti di Brigate, ed una di Riserva col Generalo Comandante della Divisione: che spintomi innanzi sulla linea di azione, per osservare gli andamenti degli attacchi e della difesa, onde avvalermi della Riserva in tempo per decider la vittoria, quella Riserva, me insciente, fu arbitrariamente suddivisa in due frazioni per agire staccate senz’altro appoggio, in direzioni anche divergenti e senza nesso; una delle quali col Generale Tabacchi per la strada di ferro, in terreno che non offre sviluppo, e perciò esposta in ordine profondo per lungo tratto al micidiale effetto della Batteria nemica, a superar la quale non si ebbe tampoco l’audacia e l’annegazione delle agguerrite truppe napoleoniche al ponte d'Arcoli, nò delle altre alf assalto della Torre di Malacoffe in Sebastopoli: che l’opera isolata ed indipendente di queste due piccole Colonne, fatta cattiva pruova, risultar doveva, come fu, di scoramento anzicché d incoraggiamento alle Colonne di attacco, coi fuggitivi delle quali si confusero; offrendo l'opportunità di effetto opposto agli avversi: che questa inconsiderata disposizione tolse al Comandante in Capo la risorsa della Riserva di Fanteria, che se fosse stata mossa da lui in tempo, seguita da quella di Cavalleria e dalle Artiglierie avanzanti, non avrebbe mancato di rianimare molti dei scoraggiati delle Colonne di attacco, una delle quali, superati gli accessi della Città, avrebbe potuto divergere a sinistra, giusta le istruzioni già premesse, per rinforzare la pugna verso S. Angelo, i cui difensori così attaccati dopo superatosi il punto tattico decisivo di S. Maria, non avrebbero potuto più sostenersi, e presi anche alle spalle dal residuo della Divisione Colonna, solo a scabrosa fuga avrebber dovuto affidar la loro salvezza. L'impiego a proposito della Cavalleria, sostenuta dalla Riserva di Fanteria e dalle avanzanti Artiglierie, compiuta ne avrebbe brillantemente la vittoria, riponendo in comunicazione coll'Esercito la sgominata Divisione De Mechel, la quale anzicché soffrire le perdite che ebbe il mattino seguente, non avrebbe mancata di riprendere loffensiva, e risultar tremenda al nemico sul nostro lato sinistro: la Divisione Colonna, abbandonando la linea del Volturno, che divenuta sarebbe allora inutile, avrebbe raggiunto l’Esercito, all’ordine che le avrei senza ritardo fatto arrivare: le popolazioni nelle adiacenze del Campo di azione, già propense a reagire, non avrebbero mancato d'insorgere ed affiancare le operazioni dell’Esercito, reazione che ben avrebbe potuto divampare in un raggio molto più esteso; e così saremmo pur giunti, ai calcagni de’ sbandati fuggiaschi, sulle alture che dominano la Capitale, per rientrarvi dettando la legge dell'ordine e della calma, riponendoci in possesso di tutt'i mezzi: i Forti che non si fossero subito resi, stretti, ed occorrendo anche bombardati, coi mezzi che la Capitale ci avrebbe offerti, non avrebbero mancato di cedere a possibili condizioni: molti compensi, e poche severe punizioni, avrebbero ben ridonata la fiducia, e rialzato lo spirito nell’Esercito e nelle popolazioni, per sostenere con vantaggio altra guerra, se non si avrebbe potuto evitare; e tante altre misure imposte o consigliate dai casi avrebbero compiuta l'opera della quiete.

Tutta questa logica concatenazione di probabilità, che fecemi dire nel Piano di diversione sopra Napoli, che con truppe più agguerrite, preferito avrei di debellar prima i rivoltosi nei loro trinceramenti. (Il fatto ba dimostrato la giustezza di quel mio concetto); () la stessa logica concatenazione di probabilità aggiravasi in mia mente nel dovermi uniformare al Piano impostomi: tutto mancò al mancarmi, oltre la distaccata forte Colonna De Mechel, la Riserva di Fanteria, contro ogni mia aspettazione, principiando dal Generale che la comandava, senza polerne avere più traccia, né tampoco da alcuno Ufficiale dello Stato Maggiore, cosa che fecemi concepir vile dissoluzione, trascinata da fuggiaschi delle Colonne di attacco, non contradetto da verun rapporto, o fatto visibile che prestato si fosse ad elevarne un dubbio, ed all'opposto convalidato da drappelli di fuggitivi commisti ai consimili delle Colonne di attacco. —A chi darne colpa? Il Generale Tabacchi alla testa della Riserva, avendo il Comandante in Capo innanzi di sé sulla linea di azione, è chiaro che doveva dipendere dagli ordini di questo che ve lo avea destinato, colle analoghe istruzioni, a meno di sostenere le sue Colonne di attacco: () egli invece dispone del 2.° Battaglione comandato dal Tenente Colonnello, per seguir la direzione che gli dava un Capitano di Stato Maggiore d’ordine Superiore, senza nulla rapportare al Generale in Capo, e poscia coll'altro Battaglione e Compagnie leggiere, comandati dal Colonnello, abbandona il posto e la missione affidatagli, e si reca sulla ferrovia, privo di ogni accorgimento tattico, ed in controsenso delle istruzioni avute, tenta un attacco di fronte ad una Batteria, e mancante lui e la Colonna che lo seguiva di quell'eroico slancio necessario a conseguire si audaci imprese, fattane la mala pruova che non seppe prevedere, non riordina le sue genti, non ritorna al posto abbandonato, non si occupa di far giungere alcun rapporto verbale al Comandante in Capo, che lo ricerca invano, e dal quale si presume emancipato, e sotto l’occhio della Corte si getta con parte de scorati suoi dipendenti sullo spalto di Capua, sordi a qual siasi ordine ed impulso, egualmente che gli altri disseminati per quei terreni!— Egli col trascritto suo riscontro, supponendosi abbastanza coperto dalle cortine della dimenticanza, e come se scrivesse, ad un curioso dilettante, assume a sé le disposizioni de' movimenti di quella Divisione, e crede giustificarle sotto l'egida della latitudine di azione dovuta ad un Generale sul Campo di Battaglia, come se non mai avesse da me avute istruzioni, e come se io collo Stato Maggiore e colla scorta non mi fossi trovato allora colà ed innanzi di lui per osservare e dare gli ordini di risulta. E perché serbarmi con tanta cura l'impenetrabilità del mistero?!— Ma, dando termine alla seguela delle considerazioni ormai superflue, non posso astenermi di riflettere, che ove una macchina ingegnosa si lascia manomettere da inesperti, non deve stranizzare ch'essa non va, o che produce rovine; e un Esercito, massimamente in campagna a fronte del nemico, considerato moralmente e fisicamente, è la macchina di maggiore importanza, sull’azione della quale poggia la speranza non di una fattoria, ma di un intero Stato, non esclusi i più grandi Imperi: quanti esempi ne presenta la Storia fino ai giorni nostri!— ma la Storia non sempre giunge ad esser utile scuola per l'avvenire!

Aut. 34.°

Ripetizione sull’asserta mancanza

della Riserva di Fanteria

Lo Storico seguendo lo stesso suo §. 25, verso la fine della pagina 194 volume 4.°, scrive:

«Anche il Milbitz, uscito dagli archi antichi «era con danno respinto, tale che parecchi bravi soldati del 10.° di linea, inseguendolo, superarono gli accessi della Città, e toccarono le prime case.

«Cercavano rinforzi, ma niuno li seguitava: Riserva di fanti non v’era, la Cavalleria non poteva operare ne' luoghi abitati; e là dove un solo Battaglione fresco bastava a vincere, mancò. Quindi non per opposizione di nemico, ma per difetto di compagni, ebbero a lasciare le toccate mura.»

Dal mio precedente articolo 33 si rileva che lo storico dice: Il Tabacchi destinato a Riserva fu spinto anch'esso colla sua Colonna sulla via di ferro senza indicare da chi vi fu spinto: qui poi accenna che Riserva di fanti non v'era; e cosi con accorta reticenza, seguendo il suo disegno preconcetto, lascia concepire il Comandante in Capo mancante di previdenza e di provvidenza. Però, essendosi da me dimostrato adeguatamente, nel precedente articolo 33, come mancò quella Riserva, e le conseguenze funeste se ne patirono, richiamo l’attenzione del benevolo lettore a quanto ivi è detto, per riporsi il quadro del vero sollo lo sguardo, e concepirne giusto giudizio.

Art. 35.°

Riserva de Garibaldini giunta da Caserta

In continuazione, alla pagina 185, egli adduce:

«Ma i nostri Duci, mancando d’impeto, non s'avvidero del nemico scoraggiato; lasciarono passar l’ore, e dettero tempo accorresse per la via di ferro da Caserta prima la Brigata Ansanti, poi l’altra Pace, che rinforzando i rossi «li fecero di nuovo uscire alla riscossa sulle strade.»

Qui egli accusa i nostri Duci, in plurale, che mancanti d'impeto, non si avvidero del nemico scoraggiamento. Ma di quali Duci, ei parla?

Se intende de' Comandanti delle due Colonne di attacco, ho già rimarcato nella prima nota apposta al 2.° §. del 1.° mio riscontro dilucidativo fatto al de Sivo, il 17 Gennaio 1866, che se quei due Colonnelli non seguirono a proposito la tattica reclamata dalla natura di quegli attacchi, non era da confondersi questo errore colle loro qualità militari; e massimamente del Colonnello Conte Marnili, la cui esemplare determinazione ed allegazione, ferito com'era, non so se avesse potuto essere imitata dal critico storico, se trovato si fosse nella posizione di quello. Lo slancio agli attacchi richiede l'accordo del valore del condottiero con quello di tutt'i suoi dipendenti, Ufficiali e truppa e questi nella Guardia non erano educati alla guerra non solo, ma tampoco a stimarne il merito, come già dissi nel richiamato § 2 ° del mio 1.° riscontro dilucidato dato al de Sivo il 17 Gennaio 1866, sempre salve l’eccezioni,—Se poi con quella velata frase avesse voluto alluderla al Duce Supremo, il riscontro è breve, perché è a più che sufficienza trattato nei due precedenti articoli 33 e 34 di questi Comenti; oltre quanto ne dico nei diversi miei precedenti scritti:

La Riserva degli avversi in Caserta non trovavasi smunta male a proposito, come quella de' Regi, alle spalle del Comandante in Capo, che non più la rinvenne quando la ricercava. Col filo elettrico e la ferrovia, tra S. Maria e Caserta, il richiamarla ed ottenerla non era cosa di ore, ma di minuti.

Art. 36.°

Arrivo del Re e del Conte di Trapani al Campo di Capua: disposizioni da essi date

Seguendo lo stesso suo §. 25 a pagina 195 volume 4.°, lo storico dopo d’aver rimarcato che non essendovi Riserve, i pochi combattenti s'assottigliavano, cosicché sul meriggio tutti s erano ridotti per terra sotto le mura capuane, scrive:

«Arrivavano il Re ed il Conte di Trapani in divise e a cavallo, e spinsero un'ora dopo novello assalto sulla via consolare, e sulla strada ferrata.

………………………………………….........…....………......…….

«Cosi esprimendosi fa supporre che il Re ed il Conte di Trapani sieno giunti al Campo di Capua dopo il meriggio, mostrandosi privi di premura e tardivi all'alto interesse di una giornata campale, dalla quale dipendeva la gran causa della Corona; improba suspizione sulla quale egli, abile scrittore, non dovea mai lasciar luogo a concepir dubbio, non solo per non maculare la nitidezza del vero, e l'attività ed energia del Sovrano e di quel Principe Zio, ma anche per non presentare alla storia un anacronismo che apporta indissolubile confusione sul giudizio delle prese cure, ed emesse disposizioni dal solerte Sovrano. —Il Re col Conte di Trapani giunsero al Campo di Capua contemporaneamente ai due Principi Reali Conte di Traili e di Caserta, o brevi istanti dopo, tanto che spedì Uffiziale dello Stato Maggiore a chiamarmi dal fronte di azione; e giudicata da me pericolosa in quell’istante di fervido combattimento la mia retrocessione di là, v'inviai il Capo dello Stato Maggiore di quell'Esercito Colonnello Bertolini (poi Brigadiere) che mi era al fianco, incaricandolo di rassegnare al Re la posizione del momento, e l'importanza che poneva in quell’istantea di là non togliere la mia personale vigilanza; cosa dal Re appresa con soddisfazione, del che poi degnossi esternarmi il suo Sovrano gradimento; come l'altro d'aver appreso da lungi nell’albeggiare l'iniziata Battaglia dal rimbombo de' cannoni, mentre facea forzare la sua corsa alquanto ritardata da casualità imprevista avvenuta per istrada. Egli dispose che il Brigadiere Sergardi, rimasto ad osservare il nostro fianco dritto, avanzato si fosse con due Squadroni di Lancieri e mezza Batteria per Santo Tammaro, facendomene arrivare intelligenza. Dopo alcune ore altre disposizioni diede, quelle espresse nelle pagine 25 e 26 del mio Opuscolo di Agosto 1861, alle quali possono riferirsi le addotte dall'antotóre, e forse, prima e dopo, altre ancora, potette impartirne delle quali non me ne giunse avviso; e non avendo mai il Sovrano fattomene in alcun modo sciente, fui nel dovere, ripeto, di non approfondirne inchiesta.

Art. 37.°

Riproduce lo Storico la Sovrana disposizione,

di far divergere contro Santa Maria gli attacchi

impegnati a S. Angelo ed a S. Tammaro.

E sempre seguendo lo stesso suo § 25, in piedi della medesima sua pagina 195, e principio dell'altra 196, ritornando all'attacco di S. Angelo, consacra:

«Allora il Re vedendo l'impossibilità del vincere di fronte, ordinò che la Colonna vincitrice di S. Angelo e ‘l Sergardi da S. Tammaro, dassero sui fianchi di S. Maria, il che saria stata certa vittoria. L'ordine non andò al Rivera, che rimasto indietro, non fu visto combattere; ma giunse ai Brigadieri Polizzy e Barbalonga, i quali per la stanchezza de' soldati è da credere perdessero molto tempo a riordinarli.»

Ma perché presentare il quadro de' fatti in tante posizioni offrenti punti di luce differenti, per alterarne il merito allo sguardo dell’osservatore?

Nell’art. 32 di questi miei Comenti ho risposto ad altra sua frase mordace scritta su quelli attacchi, richiamando gli antecedenti coi quali ne ho estesamente trattata la materia; ed a tali antecedenti mi riporto, per non cadere di più in vane ripetizioni.

Art. 38.°

Ristuccanti giaculatorie dello storico,

sul difetto di Riserve ed altro

E qui lo storico nella continuazione del ripetuto suo §. 25, a pagina 196, seguendo il suo disegno, non lascia di fare il calcitroso così esprimendosi:

«Ma i Regi combattuto in pochi e senza Riserve………………..

«e in prosieguo:

«la mancanza di azione de' vincitori di S. Angelo e di S. Tammaro diè tempo al nemico di provvedere»

Egli con queste mordaci ripetizioni a guisa di giaculatorie cerca d'imprimere nella mente del lettore il suggetto del suo disegno; e mi obbliga rendermi tedioso a ridestare l’attenzione di chi scorre queste pagine col richiamare ancora una voi la gli articoli 52 a 37 di questi Comenti, ov'è dimostrato fino alla noia, che le Riserve vi furono, ma che male impiegate da Chi noi doveva, alle spalle del Comandante in Capo, che sul fronte di attacco studiava il momento opportuno di porle in azione, non più le rinvenne; e che le Colonne destinate ad assalire S. Angelo e S. Tammaro, lungi di aver mancato di azione, furono rattenute da valide ragioni tattiche, solo ben considerabili da chi non è tanto sfornito di cognizioni di guerra quanto lo storico, che con critichi motteggi si sforza, dal placido suo tavolino, mostrarsene su di tutti maestro.

Art. 39.°

Falsa assertiva, che la Cavalleria ed Artiglieria

proteggessero la ritratta de' Regi

In seguimento dello stesso suo paragrafo, a pagina 197, tra le diverse inesattezze di minore importanza, l’autore, nel narrare le disposizioni per la nostra ritirata, alla riga 10 e seguenti così si esprime:

«Allora il Duce Ritucci considerando non si poter vincere con si sparute forze, ordinò in ritratta, e che Artiglieria e Cavalleria la proteggessero.»

L'ordine della ritirata fu dato coll'adesione del Sovrano, a cui mi recai di persona sul Campo di Capua onde prenderne gli ordini. —Sarebbe stato grande errore in breve terreno frastagliato lasciar a sostener la ritirata Artiglieria e Cavalleria; né dal lato di S. Maria vi restava Fanteria disponibile in ordine chiuso da far ritirare, perché quella della Guardia quasi tutta disciolta, su di che molto negli antecedenti se n'è detto; tranne i pochi animosi drappelli che fronteggiavano il nemico in ordine aperto, i quali, con altri del 9.° e 10.° di linea, fur dessi che chiusero e sostennero la corta ritirata, dopo dello Artiglierie e della Cavalleria, disposte ad eseguirla dapprima: occorrendo, sarebbe stato facile e breve far contromarciare uno o più Squadroni degli ultimi; ma non ve ne fu bisogno. Dal lato di S. Angelo vi fu qualche minuta alternativa, nata dalla occasione del momento, sostenuta dalla mezza Batteria postata a casa Farina sulla riva dritta del Volturno, che ne fiancheggiava la strada e la posizione; stante che di là il nemico si spingeva più dappresso: l’Artiglieria della Piazza covrì in ultimo la ritratta di tutti: Artiglieria, Cavalleria ed Ambulanze entrarono in Capua per porta di Napoli, e la Fanteria per le Poterne.

Art. 40.°

Lo Storico taccia Ritucci di essersi comportato più

come impavido soldato che veggente Capitano

Nel dar termine all’annunciato suo § 25, l'autore, dopo di aver esposte altre poco importanti particolarità inesatte, per ben porle in accordo col suo disegno, chiude quel suo paragrafo colla seguente ardua conclusione:

«Il Ritucci, restato sempre avanti al fuoco, sfidò inutili rischi, poco guardò, e parve più a impavido soldato che veggente Capitano.»

Ebbene? ed è questo il risultato della nostra corrispondenza? Che abbia ei formato questo giudizio su gl’informi de' superstiti trafeloni miei detrattori primi della nostra corrispondenza, è naturale: dopo il nostro carteggio, che gli ha dato luogo a verificare più particolarità, che lo hanno obbligalo a scrivere, sebbene mascheratamente, tra le tante, che le basi delle operazioni di quella giornata non furono da me esibite non solo, ma da me rifiutate e contrastate; che l'impiego clandestino e colpevole della Riserva di fanteria, maggior sostegno dell’edificio, contribuì potentemente a farlo crollare; dopo tutto ciò ed altri generali e peculiari schiarimenti, il ritenere o simulare convinzione di qucll’azzardato suo giudizio, dimostra sempre più la pravità del suo disegno, per sostenere l'arguta dedica della sua penna.

Riprodurre qui tutte le ragioni che motivarono i miei concetti e le mie opere in quella fatale giornata, indurrebbe il lettore a leggere una serie di ripetizioni, ch'egli con elettrica speditezza saprà rintracciare nella sua memoria. —Come? quel Generale che seppe fiutare i difetti nella organizzazione ed educazione militare della fanteria della Guardia, e profittando della elezione di un Principe Reale a Colonnello Generale di tutta la Guardia stessa, il Conte di Trapani, progetta per organo di questi un Piano di riorganizzazione basato sul merito personale, e d'istruzione, per porla a portata di ben corrispondere in caso di guerra al primato impresso nell’onorevole suo carattere:— quel Generale che altro ne presenta pel miglioramento del personale degli Uffiziali sedentari e al ritiro, qual prodromo all’immegliamento degli Ufficiali in attività, mediante ascensi ed incoraggiamento della svelta e valorosa gioventù, tenuta avvilita tra le righe in tutto l'Esercito per manco di sfogo nella carriera: — quel Generale che, trovandosi al Comando in Capo del residuale Esercito, dopo l’errore dell’abbandono della Capitale al nemico con la Reggia, le Fortezze, e tutt'i mezzi di risorsa, assicuratosi che il Re determinato era a rientrarvi, presenta un Piano di diversione sopra Napoli, poggiato su tutte le considerazioni volute dalle massime de' più chiari Capitani, sulla sua esperienza di guerra, sulle peculiari cognizioni, e sulla situazione in cui l'Esercito si trovava confinato; nel quale motiva le ragioni perché non preferiva di debellare prima i rivoltosi ne' loro trinceramenti:— quel Generale che imposto ad agire seguendo un complicato ed inopportuno Disegno di guerra, che gli divide e suddivide le forze per direzioni divergenti, e con un forte Distaccamento strategico privo di comunicazioni, gli toglie la possibilità dell'insieme nelle operazioni, vi adotta le più calcolate disposizioni, atte a riparare il difetto del Piano, e mirando con colpo d'occhio militare il punto oggettivo tattico della Battaglia in S. Maria, vi destina le truppe più indicate dalla loro specie, divise in Colonne di attacco e Riserva (oltre quella di Cavalleria), nella quale ripone la speranza dell'orto finale premeditato a strappare gli allori della vittoria: — quel Generale, che vista l'importanza del possesso di quel punto tattico, e poco fiducioso delle cognizioni ed esperienza di guerra del Generale messo al Comando di questa Divisione, si avanza di persona, sul fronte di attacco colla dovuta annegazione onde, dar esempio colla sua presenza, ed osservare l'importanza del momento atto ad impiegare con vantaggio le Riserve; () che visto fallire l'opera delle Colonne di attacco, e del Distaccamento strategico composto dalla forte Colonna De Mechel, in conferma delle dichiarale sue previsioni, e giunto il momento importante di avvalersi, delle sue Riserve, più non ritrova quella di Fanteria, compreso il Generale che la comandava, senza poterla più rintracciare, perché fatta tutta sparire misteriosamente alle sue spalle, per impiegarla, senza sua intelligenza, a due futili ed improbi attacchi, ne' quali fece come far dovea cattiva pruova; e così gli si tolse l'ultima risorsa, sulla quale fidar poteva ancora per risolvere favorevolmente la giornata, ad onta dell'opera fallata del De Mechel; come tentossi non meno far colla Riserva di Cavalleria; () quasi che disposto fosse con espresso malefico fine di far fallire colla Battaglia il Duce Supremo che la dirigeva:—quel Generale così previdente e provvidente, così operoso e così mal secondato, se non tradito; quel Generale si taccia d’avere sfidato inutili rischi, e di aver poco guardato, e si caratterizza poco veggente Capitano!!

Ma di grazia, Chi n'è, Chi può esserne il giudice competente? () forse lo storico?—Oh! non basta far correre con faciltà e maestria la penna tra sofismi e antilogie, per arrogarsi l’elevatezza a ben giudicare della direzione di una Battaglia (). Io dunque rifiuto recisamente questo suo incompetente giudizio, per sottoporlo allo esame dei maestri consumati di guerra.

ART. 41.°

Cavalleria che ritenne il Brigadiere De Mechel

dal lato di Maddaloni.

Nel narrare le azioni dal lato di Maddaloni, al §. 26 pagina medesima, lo storico ragguaglia la mal disposta suddivisione di quelle forze fatta dal Brigadiere De Mechel, e dice che questo ritenne seco i suoi 3 Battaglioni esteri, 50 cavalline 12 cannoni, per agire verso i Ponti della Valle.

Il De Mechel avea seco tutta la Cavalleria che trovavasi nel disimpegno della precedente missione verso Piedimonte di Alife, di circa tre Squadroni, compreso uno che avrebbe dovuto rinviare e non rinviò: non assegnò che pochi Cavalieri al Colonnello Ruiz, spedito pel cammino più montagnoso: dovette in conseguenza ritenerne colla sua Colonna non meno di due Squadroni e mezzo, cioè più di 200 cavalli. Questi non ebbervi parte attiva, dacché ei non giunse a superare colla Fanteria le posizioni sulle quali tennesi il nemico, e la Cavalleria non potè mai pervenire in terreno aperto ove sviluppare la sua efficacia.

Art. 42.°

De Mechel, e non Ruiz,

fu il Grouchy del 1.° Ottobre

L'autore nel suo § 27 libro vigesimosettimo, dà la descrizione di quanto avvenne a Caserta, e dopo di aver enumerate e descritte le colpe del

Colonnello Rniz, termina il paragrafo, alla fine della pagina 203 volume 4°, sostenendo che questi fu il Grouchy del 4.° Ottobre.

Questo stesso suo giudizio, che mi espresse nella sua 1.° lettera del 7 Gennaio 1866, fu da me contrapposto col primo paragrafo del mio riscontro datato 17 Gennaio stesso, e più dilucidato nel 1° §. del 2.° mio riscontro del 28 Marzo 1866, ai quali devo essenzialmente richiamare l'attenzione del lettore, affin di rinvenirvi gli elementi a ben convincersi d esser tale assimilazione un premeditato ed ostinato error madornale. Il Maresciallo Marchese Grouchy, uomo eletto ai favori di Corte pel suo titolo di nobiltà e la obbligante sua destrezza, spiegata massimamente all'arresto del Duca d’Angoulemme, non era privo di meriti di guerra, e perciò considerato tra distinti in Francia; e sotto questi auspici ebbe da Napoleone assegnata la importante missione d’inseguire l'Esercito prussiano battuto a Florus, per indi appoggiare destramente a sinistra con tutto o almeno con parte del suo Corpo di Esercito, affin di guarantire il dimani, designato alla Battaglia di Waterloo, l’ala dritta del grosso dell'Esercito Francese, col quale Napoleone aveva percorso sei leghe, a Quatre-Bras, determinato d’affrontare l'Esercito inglese; ed affili di non permettere che Blücher s'internasse tra quest'ala e Grouchy: ma questi, ritardò la marcia a segno che la sera, mentre Napoleone avea percorso sei leghe, a Quatre-Bras, egli appena ne percorse due, e fermatosi a Gembloux con perdita di tempo, direttosi l'indomani a Wavres a ora troppo comoda, vi trovò i Prussiani partiti per congiungersi agl'Inglesi; e così fecesi rubare la manovra da Blücher, che frapposto tra lui ela dritta dell’Esercito Francese, gl'impedì ogni progredimento, ed all’opposto, appoggiando l'ala sinistra degl'Inglesi, prese potentemente in fianco Napoleone, che vi attendeva Grouchy, formalizzato della di costui inesattezza. Non è definita la ragione di quel fallo, se causato da più destri e celeri movimenti di Blücher, che, avendo maggior forza, seppe antivedere le istruzioni ingiunte a Grouchy ed a precederlo, o da panichi dubbi concorsi a produrre paralisi nell'animo di questi. Grouchy, comunque adducesse sensate ragioni in sua giustifica, non giunse a depurarsi interamente dalla taccia di colpevoli falli. Fu una fatalità per l'Esercito e per la causa di Napoleone, che non seppe lagnarsene: ma quell'evento non dileguò i meriti anteatti di quel Maresciallo.

Tra due abili schermitori, il colpo in tempo dato dall’uno, nell’atto del traccheggiare dell'altro, lo uccide, ma non lo disonora. Ed avendo io assegnato al Generale De Mechel, alla Battaglia del 1.° Ottobre 1860, la similitudine alla parte rappresentata dal Maresciallo Grouchy in quella di Waterloo, in proporzionata scala, i cui rispettivi falli sono legati da molta analogia sotto tutt'i rapporti, non ho derogato al De Mechel le qualità militari che gli appartengono.

Lo storico all’opposto, dopo di aver applicate al Colonnello Ruiz le peggiori tinte che render possano mostruoso l'aspetto del militare che n'è macchiato, calcando la penna con polso di piombo, forse molto più di quanto meriti, lo innalza al paragone di Grouchy, nulla curando le doti caratteristiche di entrambi, e l'immensa diversità delle parti sostenute da amendue.

Il suo assunto dunque è antilogico. Egli avea forse delle ragioni per mostrarsi filantropo verso il De Mechel: si è ostinatamente forviato; ed io, che presumo poter essere più di lui competente in merito, non posso fargli da pedisseguo, a lasciare inosservato questo incongruo suo errore.

Art. 45.°

Riepilogo di presunti errori, elevando to storico

il suo belligero acume al di sopra di quello

del Comandante in Capo.

Nel suo §. 28 dello stesso libro vigesimosettimo, alla pagina 204, l’autore nel far la critica della Battaglia, ci fa dono di precetti strategici e tattici come cosa sua propria, ai quali dà a credere essersi mancato, senza precisare il perché, il come e da chi, tergiversando colla usuale sua destrezza qualche. passo in modo acconcio a far sottointendere partiti gli errori dal Capitano, sul cui militare acume innalza il suo, col riepilogare tutti presunti errori, come se non mai fossero stati discussi nei precedenti scritti.

§. 1.°

Il lettore che avrà presente quanto contiensi nei § 8 a 10 del Cenno storico riguardante la mia persona, e nella mia corrispondenza avuta col de Sivo, distintamente nel § 3.° del 1.° mio riscontro del 17 Gennaio 1866, nei § 5.° e 6.° del 2.° mio riscontro datato del 28 Marzo stess'anno, e nel 3.° mio riscontro del 26 Aprile anno medesimo, oltre quanto partitamente dilucido nei precedenti articoli di questi Comenti; il lettore ben ravviserà che quei precetti su' quali l'autore, arieggiato a stratego si fa forte, se non sono attinti dai medesimi, come ho già notato nel 1.° dell’art. 23 di questi Comenti, sono ad essi unisoni, dai quali nacquero unicamente i miei concetti nella redazione del Disegno di diversione sopra Napoli, tanto contrariato, per impormi quello su cui si agì, che avea appunto i difetti su i quali lo storico poggia la sua critica, ed altri.

Mi si può dire ch'ei da storico censura i fatti senza discendere a particolarizzare gli autori di essi. —Non pretendo che fosse disceso a particolari accuse; ma non tollero che con astute reticenze accusi per induzione me.

Come! discende ad immense particolarità, anche tergiversandole per farle concorrere a sostenere le prestabilite sue tesi, e fa scrupolo di escludere dal torto il Comandante che proposto avea il meglio si offriva dalla situazione e peculiari condizioni dell’Esercito, ond’evitare le avverale fallite da lui previste? le stesse delle quali lo storico si avvale per far campeggiare le sue critiche, dietro studio fatto su' lumi dal Comandante ottenuti (salvo altri ne abbia raccolti), ed a cui cerca in vece far trasparire tutto il torto?

E che sia così egli lo fa intendere col prendere a modello ogni buon Capitano (dunque critica il Capitano,) disapprovando d'essersi divise e suddivise le forze ad estesa distanza, e senza comunicazione. Ma non erano questi difetti, ed altri, evitati col mio Piano, e le causa del mio rifiuto e proteste da me fatte contro il Piano impostomi?

§. 2.°

Rimarca che non si agì con tutta forza disponibile: coll'art. 8.° di questi Comenti, §. 4°, ho già dimostrato che non tutta la forza rimasta ordinata e fedele facea parte dell’Esercito di operazione, e che poteasi bensì questo rinforzare, ma non potea togliersi la sufficiente guarnigione di Gaeta, residenza del Sovrano, né abbandonare interamente la zona di comunicazione coll'Esercito operante.

L'importanza della custodia della riva dritta del Volturno, base delle nostre operazioni, è dimostrata coll'art. 23 §. 2° di questi Comenti: ripeterò non pertanto esser dogma di guerra prevedere e provvedere ai casi di ritirata in ogni Disegno di attacco, per evitare le disfatte. In quella de' francesi a Waterloo si sperimentò massimo disordine, scompiglio, disertamento; ed era naturale: tutto era stato disposto per l'attacco, nulla per guarentire una ritirata. Non pochi simili esempi ci appresta la Storia. Sarebbe stato lodevole il Capitano se, imposto ad eseguire quel Piano, e ritirato il residuo della Divisione Colonna dalla sua base, un imprevedibile sinistro, o una manovra ardila dell'avversario, avesse fatto incorrere l'Esercito in consimile dissolvente rovescio, produttore della personale compromessione del Re e di tutt'i Reali Principi, ai quali altro punto di momentanea salvezza rimasto non sarebbe che la Piazza di Capua, girata, insufficiente a raccogliere e sostentare tanta disanimata truppa, ed a sostenersi lungamente? Quale sarebbe stata allora la giusta critica, non del nostro storico, ma de' Capitani sperimentati in guerra, che soli stimo miei giudici competenti?!

E cade qui acconcio rammentare, che questo ingrossato nostro precettore è lo stesso che proponeva la sorpresa e la ripresa della Capitale mediante un Distaccamento di diecimila uomini! sproposito da me confutato coll'art. 27 di questi Comenti.

§. 3.°

In oltre egli o disprezzante o immemore delle dilucidazioni apprestategli; e di quanto ha egli stesso scritto, ripete qui in tuono sentenzioso:

«non lasciammo Riserve, i cavalli inopportunamente usammo.» .

Ei s'ingegna imbrogliare sempreppiù la matassa per rendere difficoltoso il rinvenimento del bandolo, o per offrirlo tronco, affin di presentare nuova difficoltà a ritrovarlo. —Ma, per la Riserva, dopo di essersi più volte rinvenuto e troncato il bandolo, egli stesso l’ha porto per non uscir più di mano: il lettore rammenterà che gli articoli 33 e 38 di questi Comenti lo guidano fino all'intero svolgimento di questa matassa.

In quanto poi all'impiego inopportuno de' cavalli, il bandolo trovasi ben assicurato nell’art. 25 §. 1.° di questi Comenti, ove sono richiamati gli antecedenti non convenuti all’autore.

E per ampliare la sua critica gitta denso velo su tutte le altre dilucidazioni ottenute, e da abile stoccheggiante rinviluppa, rinvalidando la presunta ignoranza de' ripari avversi, contro cui, com'ei dice, lanciati furono soldati men pugnaci, stanchi e digiuni: che respinti non si tentarono attacchi di fianco; e che senza prò si sparse sangue.

Peccato, gran peccato che il Re non creollo Generalissimo per meglio condurre quella guerra!— Ma in tutti gli antecedenti si è ripetuto fino alla nausea che quei ripari non erano ignorati, tanto che furono base, sulla quale poggiarono le sommarie istruzioni verbali date ai Comandanti delle Colonne di attacco, ed il Piano di diversione sopra Napoli; che quei soldati non pugnaci, stanchi e digiuni, erano della Fanteria della Guardia, poco pugnace al pari degli altri, i cui Granatieri usciti erano quel mattino stesso dalla Piazza di Capua, ove con antiveggenza furouo chiamati con anticipo, ed ove non mancarono della debita sussistenza, la maggior parte de' quali, respinti, o no, dietreggiarono dissolvendosi, resti ad ogni ordine ed incitamento: e che il sangue nelle Battaglie non si mercanteggia a condizione; dacché in tutte le Battaglie perdute, o tentativi mancati, fin dalla più remota antichità, si è sparso sangue senza prò. Ritengasi frattanto esser egli lo stesso che critica i riguardi pel sangue; ma in breve giungeremo a meglio conoscere distintamente la vera ìndole sua sul riguardo.

Art. 44.°

Paragone della valentigia personale

de' Borboniani e Garibaldini

In fine del medesimo suo §. 28 libro vigesimosettimo, a pagina 205 volume 4.°, l'autore fa paragone della valentigia personale de Borboniani e Garibaldini, così esprimendosi:

«Confrontando i danni, vedesi i soldati Regi aver meglio menate le mani; per l'opposto i Duci loro fecero meno de' Duci avversi; di quoti sti alquanti, e anche il Garibaldi ebbero ferite; de' Regi niuno che i più si tennero discosti dal fuoco. Gli Uffiziali rossi rischiando molto nella impresa operavano volenterosi; e dove non bastavano forze, s'aiutavano con bugie, favellando e di vittorie tra sconfitte; gli Uffiziali Regi se buoni tacevano, se mali spaurivano i soldati, onde avvenne che i Borboniani vincendo retrocedevano, e quelli fugati tornavano ai posti perduti.»

È questa una arbitraria definizione sorta tra i vortici della sua immaginativa, sempre nell'intento di covrire il covo ove il male si occulta: calunniosa è l’assertiva che non furonvi Uffiziali Borboniani feriti, mentre non pochi lo furono, ed anche fatti cadaveri sotto il colpo () erroneo è il giudicar il valore personale dal numero de' feriti. Oltre lo sconforto prodotto generalmente tra le truppe Regie del veloce progresso degl'inconcepibili eventi, giunti a por tutto in breve nelle mani di Garibaldi, l'efficienza de' quali eventi trovasi nell’imperizia di distinguere ed apprezzare il valore degli uomini, e nei tanti tramati inganni e tradimenti; oltre quel generale sconforto, è pur certo che tutte le classi de' nostri Ufficiali sentivano il bisogno di una purificazione, per età, acciacchi, imperizia e peso di famiglia; al che prestavasi da prodromo il mio progetto del qual'è parola nei Cenni Storici riguardanti La mia persona §. 2.°, che rimase privo di seguimento per la mia rimozione dal Ministero della Guerra. Ma se tanto bisogno in noi risenti vasi, non è perciò che mancarono Uffiziali energici che seppero supplire, almeno in parte, agli obblighi degli altri, fino a por piede negli aditi ai S. Maria, e prendere e riprendere punti fortificati verso S. Angelo, per cedere in fine al maggior numero. Gli Uffiziali rossi, comunque giovani, volonterosi e guidati da astuzie e mendaci, non mancarono di chi tennesi lontano dal fuoco, e di chi dava l'esempio della retrocessione, a segno che senza l'arrivo di loro rinforzi, anche da Napoli, ei avrebbero da per loro abbandonata S. Maria, e con essa il prosieguo; circostanza ben riportata più volte dallo stesso autore, allorché, tacciandomene insipienza, stimava avvalersene per raccogliere elementi di fallo da imputarmi, e che qui travolge con sentenziose contraddizioni, per farla valere a sostegno del mistico suo fine. Ei si sforza, volteggiando d'innalzare il valore e la fede del soldato, caratterizzandolo esclusivamente mostra della popolazione, deturpando più di quanto deve i Duci: ma questi non erano forse la parte eletta di quella mostra della popolazione? e se ve ne furono de' mali eletti, o inabilitati a corrispondere colla voluta energia al proprio còmpito per età, acciacchi, imperizia o peso di famiglia, la colpa non è tutta la loro.

Tra soldati non pochi dieron l’iniziativa di cedere al pericolo, mostrandosi sordi ad ogni incitamento, come da tutti gli antecedenti scorgesi; non altrimenti che tra Garibaldini in maggior proporzione.

Né le alternative e l'esito finale il prodotto furono delle bugie de' Duci avversi; né la teorica di questi mezzi é utile, potendo cagionare perigliosa diffidenza de' soldati verso i superiori; né lodevole è tra truppe che sentono l'impero della disciplina e dell'onore: ma quei risultati furono sibbene prodotti da' rinforzi che loro giungevamo dalla Capitale dalle Riserve non dissipate invano come furonlo le nostre alle spalle del Comandante in Cafo, che non più le rinvenne».

Art. 45.°

Seguimento di altre spiritose invenzioni dello storico, travolgendo a suo fine le ragioni raccolte

dalla corrispondenza tenuta col Ritucci.

Lo storico nel primo Comma del §. 30 libro vigesimosettimo, a pagina 207 volume 4.°, dimentico che scriveva tra contemporanei, imita Volney sulle rovine di Palmira, ed elevandosi alla regione superiore, passa nell'estasi non del poeta ma del romanziero ad asserire spiritose invenzioni, ed a travolgere le ragioni raccolte dalla mia corrispondenza, per farle valere in vece in sostegno delle sue fole.

§. 1.°

Ei, parlando di Garibaldi, principia per dire: «A ragione trionfava, perché i Duci nostri non usavano la forza.»

E così con quella pluralità, e senza distinzione di tempo, affascia traditori e fidi, quei dappoco con quei da molto, e quindi il vero col falso, per confondere le idee, piegarle a prestar fiducia al presunto suo elevato ingegno ed ammirarne la felice penetrazione. Ma oltre di quanto il lettore si è fatto inteso da tutti gli antecedenti, non è ormai forse comprovato nella Storia il fatto classico, non mai più perituro, che al Volturno arrestati furono i trionfi di Garibaldi, e che ad onta delle peripezie sofferte malauguratamente dall'Esercito regio, per altrui colpe, se non scendeva l’Esercito Piemontese, egli abbandonato dal prestigio e dai seguaci da questo invitati, non avrebbe più potuto tenersi?

§. 2.°

In continuazione scrive:

«Il Re la sera del 1.° Ottobre, ricordando che a talora il non riuscito in un dì compissi il domani, pensò d'accampare sotto gli spalti per ricominciare le offese al mattino; laonde vietò lo ingresso in Capua alle ritraenti soldatesche».

Io era l'unico competente a ricevere tali ordini dal Sovrano, che non mi ha mai rivolta una sola parola di siffatti suoi pensieri, asserti dall'autore. Ed all’opposto, per non fare accatastare tanta gente disordinata sotto la Piazza, che impedita avrebbe la libera azione dell'Artiglieria della stessa in terreno coperto fino a mezzo raggio di attacco, massimamente di notte, contro ogni buona regola di guerra, ché avrebbe potuto produrre un vano massacro delle proprie truppe, non solo in caso di tentativo del nemico, ma anche d’un semplice falso allarme, non difficile nelle schiere scorate, non senza pericolo della Piazza; appunto per evitare tali seri inconvenienti, che lo storico non ha saputo distinguere, il Re tosto accolta da me la proposizione di ordinata ritirata, anziché disporre quanto lo storico malamente idea, diè l'ordine invece di far rientrare subito per le due poterne tutta la Fanteria, principiando da quella che già trovavasi ammassata sullo spalto, onde lasciare la porta libera unicamente al passaggio della Cavalleria, Artiglieria ed Ambulanze. Quel divieto prima vi fu, ma per le soldatesche fuggiasche, disordinale durante gli attacchi, e fu saggio, per evitare il male esempio e la propagazione del disordine in quella Piazza. Se tali strani pensieri fossero sorti in mente a qualche saccente del Real seguito, alla portata del nostro autore, noi so: ma in tal caso non avrebb'egli dovuto imbrattare con tanta facilità i lucidi concetti del Sovrano, collo sconcio proposito forse di fargli piaggiamento da corteggiano.

§. 3.°

Continuando senza interruzione soggiunge:

«Se ciò si eseguiva con fresche schiere, chiamando la Brigata Colonna vicinissima, l'urto coincidendo con quello di Casertavecchia, per le prostrate forze avverse, risuscitava la fortuna. Ma i Generali, che niente delle mali condizioni Garibaldesche sapevano, né punto nelle reazioni popolari speravano, vedevano dannosissima l’audacia del riassalire alla dimane; prima osservarono che meglio i soldati riposerebbero nelle mura, per uscir più vigorosi al matti tino; entrati, la vinse il sonno».

Ma ove vuol mai l’autore trascinare la pubblica credulità? Se avute si avessero sufficienti schiere fresche, sarebbe stato forse da tentarsi la ripresa dell'offensiva l'indomani, facendo da queste iniziare nuovi attacchi, per dar tempo alle altre di seguire in seconda linea riordinate e riprovvedute. Quali erano intanto le schiere ch'egli propone? una Brigata e poco più sotto gli ordini del Generale Colonna; non fresca, da doversi raccogliere durante la notte nella estensione da Triflisco fino a Caiazzo, e perciò priva del minimo riposo, non meno bisognevole di nuove munizioni, insufficiente pel suo ristretto numero a supplire con vantaggio due Divisioni disordinate e demoralizzate, dalle quali quella costituente la Colonna De Mechel, divisa e suddivisa, avea in ritirata la Brigata Ruiz parte con questo Colonnello e la mezza Batteria sol cammino di Ducenta, e parte spinta tra Casertavecchia e Caserta, ove fu fatta prigioniera; e la Brigata estera col Brigadiere De Mechel oltrepassato Ducenta in cammino per Amoroso o Campagnano, tutte prive di comunicazioni col Comando in Capo, e fuori portata di poter essere al grado non solo di giungere a riprendere l'offensiva, anche rinunciando ad ogni minimo riposo e ristoro, ma tampoco a poterne ricevere l'ordine; indipendentemente da tutte le altre difficoltà che presentava il loro stato fisico e morale, e quant'altro il lettore riterrà dalle precedenti mie esposizioni. E la stessa insufficiente Brigata rimasta agli ordini del Generale Colonna avrebbe dovuto abbandonare affatto la base di operazioni da quel lato, e farci incorrere negli errori, pericoli e risponsabililà descritti Dell’art. 24 §. 2.° e nell’art. 40 di questi Comenti. Ritengo quindi questo suo immaginario pensiero, come i tanti altri, per un puro vaneggiamento, un fisima, nato in lui dal proprio abbacinamento, e dalla presunzione di saper abbagliare chi lo legge, sempre nel fine di divergerne il giudizio, e di farsi ammirare.

S'egli ha poi inteso, come pare, di comprender me tra quei Generali che accenna in massa, mi autorizza non solo ma mi obbliga dargli almeno del fantastico. I particolari delle male condizioni de' garibaldesi non si sapevano né poteansi conoscere quella stessa sera; ma ben m'avvid’io del loro scoramento in generale, allorché giudicava di avvalermi della Riserva, che piti non rinvenni, coni è dimostrato nell'art. 33 di questi Comenti; egualmente che ben mi avvidi de' rinforzi da' quali furono essi rianimati, allorquando io, non trovando più a chi rivolgermi, determinar mi dovetti per la ritirata con calma ed ordine di quei pochi che eransi già disordinati. Lo storico è stato fatto sciente di tutte le considerazioni analoghe: perché non se n'è avvaluto in discarico di chi lo merita?

In quanto alla poca fiducia nelle reazioni popolari, abbastanza ne bo detto ne' precessi scritti, e più precisamente nell'articolo 15 di questi Co menti, che il lettore avrà presente, per ben giudicare se più visionario o pravo sia stato l'autore.

Che poi vedeasi da' me, e forse da altri, dannosissima. l’audacia del riassalire la dimane, viste le condizioni in cui gli errori o il volpeggiare altrui aveanci ridotti, è pur da me dimostrato nel Cenno Storico riguardante la mia persona, § 10, Comma (A) (B) (C) (D), e sostenuto nella corrispondenza che gli fa seguito. Se convenuto è all'autore gittarsi dietro le spalle tutte le ragioni che sostengono il mio concetto, per non essere spinto fuori del cammino prefissosi, non è perciò che non siano convincenti presso chi è dotato di buon senso, ed è scevro di prevenzione, e più presso i Professori teorici pratici di guerra. — né il Re si convinse della gravezza di quella situazione per effetto di discussione tenuta meco in proposito, ma per chiarezza spontanea del suo felice intelletto, che lo storico lungi di ben distinguere nell'estasi romanzesca delle sue lucubrazioni, deturpa in vece da basso cortigiano: né de' combattenti altro Generale ha potuto entrare in simili discussioni col Sovrano. Se poi il Re abbia ammessi a tale disamina quei della sua Corte che gli erano dappresso, lo storico non avrebbe dovuto confonderli con una espressione generica, che naturalmente s'interpetra a carico del Generate in Capo unito ad altri suoi sott'ordini; ed in tal caso dovrebbesi supporre che quella discussione avesse precesso l'istante in cui mi recava a prendere gli ordini del Re per la ritirata, mentre da tal momento non ve ne fu più l'occasione ed il tempo, ché l'esecuzione fu immediata.

L'osservazione poi che pretendesi fatta dai voluti Generali al Sovrano, che meglio i soldati riposerebbero nelle mura, per uscir più vigorosi al mattino, e che entrati la vinse il sonno; questa pretesa osservazione è tale improntitudine da doversi ritenere più degna di Cantastorie immezzo ad ignoranti popolani, che di un romanziero qual sappia imitare le verisimilitudini. —L'ordine della ritirata non fu per restare nella Piazza di Capua, ma per riprendere i rispettivi posti o accantonamenti, e tenervisi vigili secondo le istruzioni preesistenti, e pronti ad ogni altr'ordine di movimento, occupandosi di ogni ramo di provvedimento, di rifornimento, di riparazione e di organamento: il sonno supposto dall'autore può credersi esser quello da lui preso allorché sognava tali fole.

§. 4.°

Seguendo tuttavia nella medesima pagina, dà fine a quel Comma nello specioso modo che trascrivo per meglio orientare la memoria del lettore. Ei dice:

«Al Re mostrarono la mala voglia della Guardia Reale, sconnessa, depressa, e mezzo spogliata; la ignoranza de' casi del Mechel, la difficoltà d’aver subito truppe fresche, e nuove munizioni e arnesi; la temenza di suscitare scene di sangue in Napoli, e la possibilità di un sinistro che distruggerebbe lo Esercito, ultima speranza del Reame. Difficile dopo anche una vittoria ripigliare il Campo la dimane, difficilissimo dopo tanta contrastata pugna. Posta la ignoranza de' danni garibaldeschi, quelle ragioni parean buone; e il Re la notte stessa tornò a Gaeta.»

È questa un'altra favoletta a compimento del suo quadro ideale. Il lettore che ha scorsi i precedenti scritti riterrà che queste ragioni furono da me esposte con altre all’autore in appoggio de' miei concetti, ed anche apprestate patitamente al Sovrano, allorquando tratta vasi di spingermi ad inconsiderata nuova offensiva prima de provvedimenti indispensabili a rialzare la fiducia e lo spirito dell’Esercito, ed a riporlo nella possibilità di poter sostenere aspra guerra staccato dalla sua base di operazione. Ma quelle considerazioni non furono affatto esposte al Re nell’istante della ritirata del 1 Ottobre, avendole allora il Sovrano concepite da sé stesso collo svelto suo intendimento; e visto sfilare le truppe verso i rispettivi posti o accantonamenti, partì prima di annottare ool suo seguito per Gaeta. Quelle ragioni che lo storico ben rilevò dalla mia corrispondenza, non potè non sentirle, ed in qualche modo lo dimostra coll'ultimo suo riscontro del 17 Aprile 1866; ma per non essere spinto fuori del suo assunto, le converge ora con traspos zione in sostegno di preteso mal fatto in quel dì, che con burbanza si dà l'aria di saper rimarcare nella sua critica.

Art. 46.°

Ve' dì seguenti alla Battaglia, vane impulsioni al Ritucci di procedere avanti, il quale imitava Fabio, ove vi voleva Marcello.

Principia l'autore il 2.° Comma dello stesso suo § 30, a pagina 207 volume 4.° ne' seguenti sensi:

«Ne' dì seguenti il Re e i Ministri istavano vieppiù a persuadere il Ritucci procedesse avanti; ma venute le nuove della quasi disciolta Brigata Ruiz, ci più si raffreddò. Mancandogli spie e ogni notizia del nemico e del paese, guardando solo alle scemate condizioni del suo Esercito, preferì lo aspettare. Imitava Fabio, a ove si voleva Marcello.»

§. 1.°

L'esporre con tal secchezza questo importante tratto di storia, senza porre peculiarmente in veduta la situazione che non sempre l'uomo può dominare, da me bene a lui descritta nel 10 dei Cenni Storici riguardanti la mia persona, e distintamente nei Commi (E) ed (F), induce facilmente chi legge con poca scienza e pratica di guerra a seguire il suo carro. Egli disapprovò ch'io imitassi Fabio anzi che Marcello, senza precisarlo, e nomandosi dalla Storia più d uno di questo ultimo con meriti diversi, da interessare 1'attenzione di chi voglia approfondirsi in essa con retta critica, devo supporre che abbia inteso citare ad esempio il più famoso soprannomato la Spada di Roma. () Conviene pertanto premettere, che nel prendersi da me a modello la calcolata e saggia prudenza di Fabio Massimo, non escludeva la di costui energia, né la cura d'imitare i tratti vigorosi e ponderati di quel M. Claudio Marcello non solo, ma di tutti gli altri chiari Capitani, le cui gesta poteansi presentare alla mia memoria, ad onta della immensa distanza che ben riconosceva dalla mia mitezza alla loro trascendenza: ed il mio Piano non accettato n'è pure una prova convincente, caso che altre non se ne vogliano riconoscere. Se nel § 11 de Cenni Storici riguardanti la mia persona, e verso la fine del § 5.° del 1.° riscontro dilucidativo dato al de Sivo il 17 Gennaio 1866 mi fermo a citar d’esempio il Fabio più che altri, si è per la maggiore analogia che lega i miei poveri eventi coi famosi di quell'illustre. Ma giacché lo storico si fa grosso a gettarci qual emulo di alta fama il nome di Marcello come un pugno di arena negli occhi, per prender motivo a pronunciare una disapprovazione, analizziamo se la situazione di questo grand’uomo avea ammessibile analogia colla mia e con quella di Fabio, per compierne il quadro comparativo.

Marcello, saldo il merito nelle sue guerre anteriori, sempre sostenute con fiducia, protezione e mezzi, fu eletto a capitanare l’Esercito che il Senato Romano potè all’istante raccorre compresi gli avanzi di Canne, per opporsi ai progressi di Annibale; ma quel Senato stava saldo sulle sue Curuli, e tanto confidente ne' suoi mezzi, che presso lo stesso tempo spediva rinforzi anche nelle Spagne: io mancava della base certa del Governo, da cui sperare soccorsi e fornimenti. —Ei munito di quanto in quei tempi faceva d’uopo a sostenere una guerra, protraeva le sue gesta nella certezza di godere la piena fiducia del Senato, che lo sosteneva, e quindi la fiducia e la esatta disciplina di tutt'i suoi dipendenti, la maggior parte già veterani in guerra.

Fabio ed io avevamo i nostri perniciosi detrattori, che paralizzavano ogni buona opinione, e gli Eserciti pressocché interamente nuovi al periglio. —

E che ottenne mai Marcello contro di Annibale, oltre di tenerlo a bada, sicché l'africano s'impossessò di Capua, obbligandolo a rinunciare di più guarentire la Campania? Fabio con mosse ponderate paralizzava ogni pensiero strategico di Annibale, per ridurlo, in ¡sfavorevole posizione, o alla sconfidenza, insinuandola nel di lui Esercito collettizio: — io arrestava a non più il corso di Garibaldi, ad onta de' tanti aiuti di tre Potenze belligeranti, per ridurlo co' suoi raccogliticci seguaci alla sconfidenza; o per tagliarlo fuori della Capitale, fonte di ogni sua risorsa.

Marcello libero ne' suoi Disegni di guerra, spedito a guerreggiare in Sicilia con mezzi e poteri veri, giunse a prendere Siracusa, ad onta degl'ingegnosi sforzi di Archimede; ma agevolato dal tradimento: Fabio era sindacato ed importunato per opera degli ignoranti e presuntuosi suoi detrattori in ogni calcolato ed utile suo concetto: — io non lo fui meno, fino al rifiuto del mio Piano di diversione, per impormisi l'altro perniciosissimo sul quale si agì. —Marcello potea fidare sopra i suoi concetti di guerra, ché secondato era da' suoi dipendenti con egual valore e disciplina che sempre impone il prestigio della fiducia e protezione del Governo: — io astretto a seguire un Disegno di guerra contrario alla mia convinzione, fui mal secondato nella esecuzione, fino a vedermi misteriosamente privato financo della Riserva! — Premesse queste verità di fatti, può ritenersi per identica la situazione? e non essendola, può farsi paragone? Gli eventi variano sulla terra, e più nella guerra

Come gli oggetti in un prisma a seconda della situazione, cosa che il nostro storico ne ha saputo o non ha voluto mai intendere.

§. 2.°

Se poi l’autore non ha creduto di alludere a quel Marcello la sua preferenza, ma forse ad uno Stefano Marcello, o ad un Claudio Marcello, ambi Maires di Parigi, resisi famigerati per crudeltà e sete di sangue, di che lo storico più volte mostrato si è inclinevole nel corso della sua storia, come da più rammentali suoi paragrafi; se a questo alludesse la sua preferenza, sento che mi degraderebbe il solo pensiero di confutarlo, certo che ogni lettore imparziale non avrebbe bisogno di guida per ben giudicarlo: solo vi sarebbe a rispondergli, che se pari a quegli era dinclinazione (ciò che non istò per decidere), pari potea imitarli nelle triste gesta, anziché elevarli ad esempio dal suo tavolo. — Questa mera ipotesi però mi presenta l'occasione di far riflettere, che un Generale in cui sono riposti gli alti poteri per la difesa della Dinastia e dello Stato, non deve solo occuparsi del vantaggio materiale, massimamente quando è dubbio, e più quando è improbabile, ma allargando la cerchia delle sue vedute, badar deve ai vantaggi morali non meno, per serbare al Re coll'amore dei popoli il Dritto immaculato, che non manca di tenersi ridivivo nella persuasiva degli uomini ancorché avversi, e nella diplomazia; vantaggi morali ghe non possonsi sostenere quando si cade nelle inconsideratezze produttive d’inutili scene di sangue, sovente decantate dal nostro autore, e spesso proposte da pericolosi consiglieri, che tutto fan cedere alla ingordigia del loro potere in Corte. — E qui mi arresto, lasciando al sagace lettore ogni altra interpetrazione, per non uscire dalla sfera delle mie competenze.

Art. 47.°

Gratuita asserzione dello storico sull’ignoranza de9 Sardi alla Frontiera. Erronea sua interpetrazione data al tumulto avvenuto

il 5 Ottobre in Capua, che produsse condanna e fucilazione di un Sergente; e fallace suo giudizio su quel tratto di giustizia; e sulla Sovrana clemenza a favore di codardi e di sospetti d’infedeltà.

In continuazione dello stesso Comma, in fine della pagina 207 ed a tergo dell'altra 208, egli segue così:

«Non sentiva (Ritucci) il rumoreggiare de’ Sardi sulla frontiera; e per non combattere presto un nemico affralito, presto si trovò tra questo altro nemico forte. Il ritardamento spiaceva ai soldati, sospettanti di tutti; il 5 su' bastioni, volendo quelli far fuoco senza comando, fu un tumulto; seguì il giudizio di guerra, e la fucilazione di un Sergente Bruno del 13.° Cacciatori; dopo di che a impedire altro scoppio, e quasi ogni dì nella Piazza erano i Conti di Trani e di Caserta. Cosi la sola punizione vista in tutta la guerra fu ad uno che voleva combattere, mena tre stavano impuniti codardi e traditori

«Seguitarono sessioni, e ingiunzioni spesse per assalire; niente fu deciso, non ostante si sapesse il preparato Plebiscito, e l’entrata dei Piemontesi.»

§. 1.°

Il lettore che avrà da poco ripercorso il § 10 de Cenni storici riguardanti la mia persona, richiamato nel precedente articolo di questi Comenti, si convincerà che lo storico, seguendo il suo sistema d’inconsiderata opposizione, per coincidere col suo disegno prestabilito, travolge il suo giudizio su le informazioni da me apprestate. Egli affettando blandirmi una imputabilità, dice che non sentiva il rumoreggiare de' Sardi sulla frontiera. — Fin da quando ressi il Ministero della Guerra, vista l’influenza del Villamarina sull’animo di quei Ministri, e quant'altro egli praticava in Napoli, su di che non mi estendo, per essere ormai divenuto di pubblica ragione da molti editi scritti, ho ritenuto dal primo istante la probabilità della marcia di un Esercito Piemontese per gli Abruzzi mal guardati; ed avendone qualche volta elevato il dubbio al Sovrano sulla linea del Volturno, lo trovava fiducioso sulla interdizione della bandiera francese. Ciò non ostante ho sempre tenuto all’oggetto le orecchie rivolte, come la volpe, una al mezzo giorno e l’altra al settentrione; e questa considerazione era invece tra quelle che più contribuì«vano a non farai indurre in azzardato falso passo, che avrebbe fatto mancare al Re il più valido appoggio, l’Esercito. Ed appena fui accertato della marcia de' Sardi nel Regno, mi risolvetti all’opposto cambiar Piano di difesa col postarmi a Teano, com è rimarcato nel Comma (I) del ripetuto § 10 de' miei Cenni Storici; da dove, avvalendomi di più larga sfera di azione, e manovrando con calcolato criterio militare, ben diverso da quello del nostro storico, lusingavami poter giungere ad ottenere, mercé quel mio premeditato stratagemma di aspettazione, in quella malaugurata guerra fraterna tra Italiani, quanto si è sovente ottenuto da Generali e Principi strateghi nelle guerre antiche e recenti, fino alle ultime de' nostri giorni; o ad agire sulla linea di operazioni di quell'Esercito invasore, promovendo e sostenendo col proprio un moto di reazione negli Abruzzi, per propagarlo a guisa di Valanga verso la Capitale, com’è pur fatto mino nel mio Opuscolo di Agosto 1861 alla fine della pagina 41 a 43; anzicché gittarmi a rompicollo fuor di tempo sopra Napoli, o altrimenti, come propone colla facile sua penna il nostro autore dal suo tranquillo scrittoio.

§. 2.°

Il tumulto del 5 Ottobre, seguito da Giudizio ed esecuzione in persona di un Sergente Bruno del 13.° Cacciatori, trovasi più distintamente da me ragguagliato nel medesimo §. 10 de' Cenni storici riguardanti la mia persona, Comma (F) e (G),

La vera càusa efficiente di quel promosso tumulto restò ignota; la dichiarata, vera o falsa, fu la smania di combattere, e la tema di nuovi tradimenti; il Giudizio fu regolamentario tratto di giustizia, utile, indispensabile. Chi poteva assicurare che non fosse un malefico pretesto per promuovere nella Piazza una rivolta? ove pur credeasi esservi occulto comitato rivoluzionario. Il soldato non deve interpetrare né giudicare, ma ubbidire. I dogmi della guerra impongono tanta maggiore severità di disciplina (premessa la giustizia), per quanto è più difficile la situazione a fronte del nemico; e la Storia militare concorre ad affermarne il principio col porgerne gl'immensi giovevoli esempi, fin dalla più remota antichità, di Eserciti demoralizzati, rimessi dal rigore nell’ordine, e divenuti vittoriosi sotto la più austera disciplina. Trascurare quel moto, e lasciarlo impunito, ne avrebbe promossa la riproduzione ad ogni personal capriccio, o colpevole progetto di tentativo di rivolta, arma la più pericolosa nelle mani de vili; l’Esercito non avrebbesi potuto più guidare, ed immerso in generale sconforto come quello avvenuto nelle Calabrie circa un mese innanzi, avrebbe potuto ripeterne la scandalosa dissoluzione. L'autore anziché tener lunga vista sulle figure rettoriche, delle quali si avvale come ruote del suo carro, per farvelo bene scorrere; avrebbe dovuto meglio averla sul merito delle materie che azzarda trattare senza conoscerle o ponderarle. Se vi erano impuniti codardi e traditori, che pur ve n'erano, poteva licitarsi a rimarcarli, senza elevare improbo confronto col più giusto rigore usato, disapprovandolo. —Tutto quanto avvenne il 1.° Ottobre fu sotto l'occhio immediato del Re, ed io non doveva esser indiscreto ad uscire avanti ai suoi tratti di clemenza. Per un General Supremo che agisce da sé la soverchia bontà è debolezza, stante che le facoltà di cui è rivestito sono associate agli obblighi; ma quella bontà è clemenza in un Sovrano. Vero è che l'eccesso di clemenza è non meno sovente nocivo; ma non se ne può pronunziare giudizio senza riguardo alla situazione, che uno storico deve saper distinguere. Se potessi e volessi affettar l’erudito, oh quanti esempi vi sarebbero a trarre dalla storia, e fino ai giorni nostri! Raccolto nel mio picciol guscio mi limito a rammentare che Napoleone 1° dopo la catastrofe di Waterloo, alla quale pur concorsero difetti di comunicazioni d ordini, d’interpetrazioni, di esecuzione e di richiesta annegazione, se non di peggio; l’Imperatore, che non in tutti rinvenne ivi gli antichi suoi guerrieri, non profferì mai motto di dispiacenza contro chicchessia. Lo storico anziché erudirci colla sua pugnente penna, avrebbe dovuto saper vestirsi dei panni di tutti coloro che presume trascinare sotto la sua poco calcolata critica. —Mi asterrei poi di altro apporre sulle da lui asserte sessioni, e p spesse ingiunzioni per assalire, avendone ormai molto esposto in tutt'i precedenti scritti, e specialmente nel più volte richiamato §10 de' Cenni storici riguardanti la mia persona, e nel precedente art. 46 di questi Comenti. Ma, per offrire elemento di maggiore convinzione sulle ragioni che faccanmi esser guardingo a non cedere alle inconsideratezze germoglianti da radici che allignavano tra Consiglieri dottorevoli in cose di guerra presso il Sovrano, simili a guerriero suol esserlo nei Sacri Canoni (salva eccezione); invito il cortese lettore a scorrere il seguente § 51 dello stesso autore, a pagina 208 del suo 4.° volume, ove, dimentico che lo storico più del romanziero deve avere buona memoria, imprende a descrivere i provvedimenti del nemico presi a sua salute dal dimani della Battaglia in poi, che ha evitato di avere in considerazione nella corrispondenza meco avuta, e nelle precedenti conclusioni della stess'opera sua; della quale esposizione risulta l’enumerazione dei molti mezzi di risorsa del nemico, di gran lunga maggiori alla parvità de nostri; l’importanza del mio Piano non accettato, il più opportuno a strappar quei mezzi al nemico ed appropriarceli; a porre in meglior paragone la situazione rispettiva; non che ad aggiungere importanza al cambiato Piano di difesa sulle posizioni di Teano, all'annuncio della marcia de Piemontesi nel Regno.

Art. 48.°

Scaramucce innanzi Capua

L’autore descrive le scaramucce avanti Capua al §. 12 libro vigesimottavo, a pagina 228 volume 4.°. Esse non sono tutte, e fan parte delle misure prese a fine di arrestare il progredimento di Garibaldi, ed a ridonare alle nostre Truppe la fiducia  ne’ Superiori e nella loro propria forza, com'è narrato nel primo Comma gli de' Cenni Storici riguardanti la mia persona. Lo storico quand’è astretto a particolarizzare qualche fatto d’armi è attento a non nominare l'autorità dalla quale emana la disposizione, se questa n'è il Comandante in Capo, e non trova appigliamento d’appoggiarvi disapprovazione, limitandosi al breve racconto del fatto per affettar rispetto al laconismo, o tutt'al più nomina qualche Capo agente che l’è a garbo. A compimento della narrazione dunque soggiungo, che quanto è ivi esposto partiva dalle disposizioni del Comandante in Capo, egualmente che in altre operazioni quivi non annoverale. E come in queste descritte i Capi agenti negli attacchi di fanteria furono i nominati lodevoli Colonnelli De Liguoro e Vecchione, l'Uffiziale Superiore di Artiglieria che diresse i lavori e le operazioni di quel arma dal lato di Triflisco e di Gerusalemme fu il Maggiore Gabriele Ussani (poi Colonnello) da cui partiva la proposta di quelle ed altre Batterie dal quel lato, ed a cui affidata n'era la direzione dello stabili mento e dell'opera, come peritissimo nella scienza, e zelantissimo.

Art. 49.°

Lo Storico, nel descrivere Tre ingordigie, dà forza, suo

malgrado, allo sconfessato merito de' concetti del Ritucci.

Descrive lo storico Tre ingordigie col suo § 14° libro vigesimottavo, e nel secondo Comma a pagina 231 così si esprime:

«Il Cavour in contrario voleva por fine alla dittatura. La potenza del Garibaldi era stata impaccio a' suoi disegni, ma l'impotenza di lui dopo il Volturno gli era impaccio maggiore.

«Prevedeva lo schiaccerebbe la reazione; Francesco sulle braccia de su Idi li condotto a Napoli, diroccherebbe le macchinazioni di tanti anni; con qual pretesto intervenire armata mano? Ingo di e tutti e due, questi con più forza, avea più ragione.»

Questa narrazione con quant'altro contengono il Comma precedente ed il susseguente del paragrafo medesimo, concorre a dimostrare la rettitudine dei miei concetti, che il lettore riterrà da tutti gli antecedenti, massimamente dal mio Piano non accettato, che avrebbe sconcertato ogni progetto di Cavour, di Garibaldi, e de' tementi rivoluzionari del Regno. Francesco non potea più giungere a Napoli sulle braccia de' suoi sudditi senza l'opera dell'Esercito, perché il popolo era scisso in partiti, ed in reciproca diffidenza e timore. Egli potea benissimo arrivarvi, ma sulle braccia del suo Esercito per essere accolto da' suoi sudditi a braccia aperte, sì nel transito che nella Capitale; o tanto più risultava forse di fatti se, accogliendo quel mio Piano, si fosse unito di persona all’Esercito operante, per entrare prima nella sua Regia a Capodimonte, e poi in quella di Napoli, d'onde emanare i più utili provvedimenti; facendo scalonare un secondo Corpo, composto da tutte le altre truppe disponibili tra il Garigliano e Gaeta, lasciando in questa Piazza ed in Capua puramente la Guarnigione sufficiente a tutelarle; e ciò per tenere a bada il Garibaldi, e seguirlo ne suoi movimenti. In tale determinazione però, se il Re non avesse creduto utile di prendere di persona il Comando diretto dell'Esercito, essenzial sua cura avrebbe dovuto essere la rigorosa inibizione ai componenti la sua Corte di non arbitrarsi a fare i mastri mestatori nelle operazioni dell'Esercito; come avvenne fuori Capua il 1.° Ottobre, che tanto influì alla perdita di quella malaugurata giornata. — Mi si potrebbe opporre che nel mio Piano non comprendeva siffatte proposizioni. —Il mio Piano conteneva il pensiero, di quanto poteasi da me far di meglio nella situazione in cui ci trovavamo: non dovea io proporre quello che avrebbe potuto fare il mio Sovrano, ritenendo che quella diversione non era del tutto priva di pericoli; e tanto più che già suspicava esservi tra consiglieri al suo seguito vari miei avversi, i quali più inclinati a sentenziare nel poltrire, che ad esporsi (salve le debite eccezioni), non avrebbero mancato di gittarmi la croce addosso ad ogni lieve sinistro, ponendomi ben anche in vista di traditore! Se vi fossi stato consultato, non avrei mancato forse di rassegnare umilmente tal mio parere.

 Art. 50,°

Spiegazione al fraudolento esposto dello storico,

riguardante il porre Capua in assetto di sostenere Assedio.

Al suo § 9.° libro vigesimonono, pagina 285, l'autore nel ripetere le avvisaglie sul Volturno, dice: «Al sentirsi i Piemontesi alle spalle, l’Esercito Regio prevedendo aver a lasciare il Volturno, pensa metter Capua in assetto da sostenere assedio».

Alle sue ripetizioni de' fatti e de' disegni, sono astretto anch'io a ripetere, mio malgrado, quant'ho già riflettuto nell'art. 48 di questi Comenti, per non lasciar vuoti che possano forviare il giudizio del lettore che percorra a riprese questi paragrafi. Egli attribuisce all’Esercito Regio le cure di porre Capua in assetto. Ma a chi de' componenti l'Esercito? ai soldati forse? Ogni Esercito è composto da più classi gerarchiche, ed ha un Duce supremo, da cui emanano tutte le disposizioni di prim'ordine. Perché si guarda di nominarlo, quando non gli sembra poter trovare un appicco che offre al suo prevenuto criterio occasione di pronunciarvi una disapprovazione? Ma giacché ritorna a trattare questi provvedimenti, che a suo modo attribuisce all’Esercito in massa, devo rimarcare che s'inganna non meno nel merito. Il porre in assetto la Piazza di Capua non si rapporta al sentirsi i Piemontesi alle spalle, ma alle mie disposizioni date dal primo istante, 18 Settembre, descritte nel §. 6.° de' miei Cenni Storici, che allo scrittore non è convenuto di tener conto, e protratti dal Consiglio di difesa da me istituito all’uopo fin dai primi giorni che proclamar feci lo Stato di assedio di quella Piazza: le avvisaglie univano allo scopo di assicurarsi non esservi lavoro ad opere di offesa, gli altri di sgombrare il raggio di attacco innanzi quel fronte, di sostenervi gli avamposti, e d'iniziare le truppe ai parziali assalti, onde assuefarle alla fiducia del proprio valore.

Aut. 51.°

Improbo giudizio dello storico sulla disposizione ed attitudine della soldatesca borboniana all'avanzarsi de Sardi;

sulla pretesa dubbiezza del Ritucci; su i consigli del Negri, e perdita di tempo; e sulla posizione di Teano.

Lo storico nel descrivere i Nuovi disegni di guerra, all'avanzarsi i Sardi nel Regno col suo § 13 libro vigesimonono, a pagina 290 4.° volume, scrive:

«La soldatesca pronta al suo debito in qualunque ineguale scontro, tutta ardimento lavorava e a preparar difesa. Ma il Ritucci in gran dubbiezza, e gli a lui d'attorno discordanti, Matteo Negri, promosso Generale, diceva: Teano male scelto per dar Battaglia; proponeva i monti di Cascano, col Garigliano al dorso, sulla linea naturale di ritirata. Il Duce o indeciso, o temendo di spie, non si manifestò, ma perdè tre i giorni in vana aspettazione. Ha scritto voler là indugiare, ec.».

«A me sembra Teano luogo non medio, ma appartato; dove non impediva la congiunzione de' due nemici; e poteva restar tagliato da Capua e da Gaeta, forzato a Battaglia disperata, o a ritrarsi in Abruzzo a far guerra di partigiani; il che poteva esser consiglio dopo una sconfitta, e non doveva esser elezione prima della pugna.»

Oh sì che questo è un altro bel tratto romanzesco, sulla base storica ottenuta principalmente dalla mia corrispondenza, da lui protratta con premura per rintracciar motivo a pronunciare, secondo lui, disapprovazioni e lezioni. Il lettore che avrà presente il da me detto nel mio Opuscolo di Agosto 1861, a pagina 37 a 46, ne' miei Cenni Storici §. 10 Comma (K) egli Comma (B), nel mio primo riscontro dilucidativo fatto al de Sivo il 17 Gennaio 1866 §. 4.°, e nel mio secondo riscontro allo stesso del 28 Marzo 1866 §. 8.°, non che nell'art. 47 di questi Comenti, verso la fine del §. l.°; il lettore distinguerà di leggieri nel paragone l'arbitrare dell'autore ne' poveri suoi giudizi in queste belligere quistioni. Ma per compimento di confutazione stimo qui prendere peculiarmente in esame le sue sopra trascritte proposizioni, onde meglio se ne ravvisi l'inettitudine.

§. 1.°

Come la soldatesca pronta lavorava a difesa? forse da sé, senz'ordine e senza guida? Erasi forse ribellata ed emancipata dal comando?—Ma rammenterassi aver io detto che nel recarmi a Teano, trovatovi iniziato qualche trinceramento disposto dal Generale Echaniz, non affatto corrispondente alle tattiche mie vedute, che non limitavansi a farvi difesa passiva, ma di richiamarvi il nemico a darmi Battaglia per aprirsi il varco, e così porsi da me a profitto i vantaggi della posizione, ed i vasti Campi al di quà di Venafro, prender l'opportunità di passare dalla difensiva all'offensiva, allontanando da quella Città le orrende conseguenze della guerra di luogo; e che nel recarmi a Teano con tal disegno ne arrestava il progredimento. Le soldatesche che non si prestano pronte agli ordini sono in isciopero, nella indisciplina; e se quelle non meritavano tal taccia, molto meno aver la denno dallo storico sotto forma d'impasticciato elogio a detrimento del Duce che si vuol colpire. Egli nomina spesso la soldatesca come i rivoltosi avvalgonsi del nome del Popolo per velare i loro occulti fini: nella massa non vanno distinte persone.

§. 2.°

Ma ei soggiunge: «il Ritucci in gran dubbiezze, e gli a lui d'attorno discordanti:»—E su quali dati si arbitra accusare il Ritucci di dubbiezze? Da quanto è dimostrato nei richiamati antecedenti ben si ravvisa che quel nuovo Disegno di guerra era ponderatamente calcolato su tutt'i dati e su tutti gli estremi; e se vi rimanevano rischi, che in guerra sempre ve ne sono, eranvi ben de' vantaggi a sperare, che avrebbero potuto cambiare tutto l’esito della guerra, colle immense conseguenze che vi si contengono. Il celebre Maresciallo di Sasson a diceva: «Un rien change tout à la guerre.» E Napoleone 1.°: «Tel est le sort des batailIcs qu'elles dipendent souvent du plus petit accident.»

E se vuolsi supporre ch'egli era in tai materie all’altezza di saperle giudicare, ne conseguita che non ha voluto cedere a' miei ragionamenti per non trovarsi spinto fuori contratto assunto.

E su quali dati descrive discordanti coloro che mi erano d'attorno?

Ho sempre sostenuto che ne miei Disegni di guerra non vi ho mai associato dipendenti, comunque alta fosse la stima che ne facessi, e che in quello specialmente non era tampoco giunto a confidarlo al Capo dello Stato Maggiore, sebbene lo giudicassi superiore ad ogni eccezione. Se dunque tutt'ignoravano i miei Disegni; come poteano essermi discordanti? né sarei stato sì leggiero da sopportar discordanze su' miei determinati concetti. Poteanvi essere di coloro che non giungendo ad indagare dal mio rigoroso silenzio le mie vedute; abbiano potuto suppormi in dubbiezza. Ma se quei erano al caso d'immaginarlo nella inesperienza della guerra, o del mio procedere, non doveva lo storico tramandarlo per certo alla pubblicità, dopo i lumi ottenuti dalla nostra corrispondenza. L'è convenuto però, onde trovar più materia ad ampliare i suol sarcasmi.

§. 3.°

Il Matteo Negri, molto istruito, ho già detto nelle indicate pagine 37 a 46 del mio Opuscolo di Agosto 1861, godea meritamente tutta la mia stima ed affezione; ma questi titoli non poteano impormi né consigliarmi di far dipendere i miei Piani dalle sue proposizioni. Lo giudicava mollo avanzato nella Rettorica della guerra, indipendentemente dalla scienza dell’arma facoltativa a cui apparteneva; ma non giudicavalo ancora consumato nella Logica e nella Ideologia della guerra, che m'incumbeva di aver massimamente in vista. — né le aspettazioni per stratagemma confonder si debbono colla indecisione, come ci fa dono il nostro storico per insipienza o per malizia.

Era indecisione il manovrare con accorto temporeggiamento de' fame si strateghi Jugurtba, Mithridate e Sertorius?—Indeciso era il Maresciallo Visconte di Turenne, che nelle due Campagne del 1652 e 1653 si oppose con famose manovre e stratagemmi all’animoso Principe di Condè e all’Arciduca Leopoldo, che con triplice forza furono astretti abbandonare la Piccardia?—L'era il temporeggiare de' due insigni emuli Turenne e Montecuccoli il 1675, che al fronte l’un dell’altro studiavano di attirar l'avversario in posizione svantaggiosa, come appunto io concettava in Teano?— Perdè tempo Federico 2.° di Prussia nello stabilire con anticipo di più giorni il suo campo fra Sauernick e Sohweiduitz, ove con profondo calcolo strategico e tattico pensò di attirarvi l’Esercito austriaco, per accettarvi la Battaglia di Hoheofriedberg, che vinse con tanta gloria il 4 Giugno 1745? — Lo perdè Napoleone 1.° nel preparare anticipatamente i suoi Campi di Battaglia basati sopra rivolgimento offensivo a Rivoli e ad Austerliz?—Era indecisione lo studiato temporeggiare di lord Wellington in Portogallo, mediante il quale, correndo minori vicende di successo, si assicurò gloria immortale in quella guerra? — Impiegava male il tempo il Generale Barcley di Tollt, che s'inginocchiava a piedi dell'Imperatore Alessandro nel 1812, per indurlo a ritirarsi dalla linea del Niemen, onde far inoltrare Napoleone nel seno della Moscovia all’approssimarsi la minacciante invernale stagione?—Temporeggiò male a proposito ancora Wellington nel tenersi fermo al Campo di Waterloo?—Eh! quanti esempi vi sarebbero d'addurre dalla più remota antichità fino al pi esente s io scrivessi per affettar erudizione: il lettore versato in queste materie saprà ben comprenderne il merito e farne giudizio, senza che io più ne dica.

§. 4.°

Disapprova egli poi la posizione di Teano, perché, dice, non media, ma appartala. Il lettore che avrà presente quanto ho detto ne' richiamati antecedenti, e specialmente ne' dettami de' grandi Capitani da me trascritti nell'indicato § 10 de' miei Cenni Storici Comma (H), non stenterà distinguere l’inammissibilità dell'insipido parere che l'autore azzarda in tai materie, come un ciarlatano in quistioni filosofiche. La posizione non era media, né dovea esserla, per non chiudermi tra due Eserciti avversi, che ad ogni passo mi avrebbero stretta la sfera di azione: era appartata, contesserla doveva, ma a portata di tenervi dominio su tutta la sottostante strada dalla Taverna della catena a Calvi, per la quale il Corpo nemico che avesse voluto percorrerla, affin d’effettuir per ivi la sua congiunzione coll'altro, avrebbe dovuto esporre tutto il suo fianco alle nostre manovre; né avrebbe potuto accedervi di sorpresa con ardita marcia forzata, e deposizioni atte a contenere su quel suo fianco i nostri attacchi, dacché i due cennati passi estremi della Taverna della catena e di Calvi erano occupati ciascuno da una Brigata con Cavalleria ed Artiglieria: avrebbe dovuto forzarle, iniziandovi una Battaglia; ed era appunto quel ch'io desiderava; l'oggetto primitivo del mio Piano. — Se avessi visto comunque fallire quel mio primo concetto di attirar i Sardi sotto le posizioni di Teano per combatterli con vantaggio, o Garibaldi nelle prossimità di Calvi, ed astretto veduto mi fossi di ripiegare per Sora negli Abruzzi, quel secondo prestabilito pensiero non cedeva d’importanza al primo. Non vi sarei andato a far disperata guerra, com'egli scrive, da partiggiani, per la quale l'autore dimentico di avervi mostrata fin qui tutta la sua simpatia, a segno di dannare non averla ritrovata del pari in me, con che mi ha indotto a confutarlo nell'art. 15 e poi nell'altro art. 45 §. 3.° di questi Comenti; egli ora la disapprova, onde trovar modo a sostenere le sue tesi: ma andato vi sarei coll'Esercito campale a tagliar strategicamente la linea di operazioni del nemico. I volontari assortiti dal Clitsche de le Grange, se ottenuti li avessi attaccati all’Esercito, avrebbero su quella linea coadiuvato le operazioni dell’Esercito stesso, tanto nella felice riuscita del primo concetto, che nel portare ad atto il secondo; ed in ambi, avvalendomi della disposizione di quelle popolazioni, non mai per farvi disperata guerra da partiggiani, sibbene per sostenervi coll'Esercito una reazione da promuoversi coll'opera dei Partiti sempre crescenti, ed impossibilitare l'invasione fino al ricupero della Capitale.

Ma io non era un estero, né un favorito: non doveva godere prestigio e perciò non fiducia; né la giustizia di uno storico, che vantando patrio affetto a bocca piena, trova suo buon conto a fare l'apologista di stranieri colpevoli, per colpire un compatriotta che gli schiude la luce al vero, tradendone ancora la mal vantata amicizia.

Art. 52.°

Filastrocca dello storico, che danna non essersi assalito

Cialdini a Venafro ed anacronismo sulla ritirata

de Napolitani verso Sessa, per colpire il Ritucci.

Segue lo storico a scrivere nell’ultimo Comma della medesima pagina 290 così:

«Il Re udito il Cialdini a Venafro, ordinò il mattino del 22, s'assalisse pria che gli arrivassero l’altre genti; ma quegli già era tornato indietro ad Isernia. Come facevamo la guerra senza spie e senza danari, nulla si sapeva, e si perdè l'occasione di coglierlo quella notte che vi dimorò. Stimarono poi errore assalirlo ad Isernia, in forte posizione, noi con soldati stanchi dal cammino, con Garibaldi a tergo; ma non si mossero da Teano, che fu, il peggio, anzi retrocessero a Sessa. Enorme fallo fu il perdere un Regno senza dare una Battaglia.»

È questa un'altra filastrocca accomodata a suo fine, per la cui comentazione ripeter dovrei, oltre ciò che ho rimarcato nel precedente paragrafo, tutto quanto sta esposto nelle pagine 40 a 45 del mio Opuscolo di Agosto 1861; nel 4.° §. del 1.° mio riscontro dilucidativo fatto allo storico il 17 Gennaio 1866, e nel §. 8.° del 2.° mio riscontro allo stesso datato del 28 Marzo anno medesimo, dai quali l'autore ha ritratto e travolto solo quanto gli conveniva; ed ai quali richiamo l'attenzione del lettore che voglia formar adeguato giudizio sull’ingarbugliato asserto dello storico, che nulla curando il valore del da me addotto, danna coll’ordinario dottorale suo tragico stile, e con malizioso anacronismo, il non essersi l'Esercito mosso da Teano, e che anzi retrocesse a Sessa.

Durante il mio comando non vi è stato mai fermo proposito di tal ritirata, ché elette avea quelle posizioni per accettarvi Battaglia riversibile all'offensiva; se avvenne due giorni dopo ch'io lo lasciai, perché non distingue la differenza de' concetti strategici de' due Generali Supremi, differenza caratteristica che tanto influì al risultato della guerra? la ragione è chiara: per velare il paragone, affin di confondere quel fallo colle mie disposizioni, e così corrispondere al suo assunto.

Art. 53.°

Affastellato parere dello Storico, di ostare il passo con

diecimila uomini ai Piemontesi al Ponte tra Sessa e Venafro

ed arbitraria sua assertiva, che Disegno di guerra non si fece.

Cd in continuazione, in fine della medesima pagina 290, e nell'altra 291, segue in questi sensi:

«Se avventato era l'assalire Isernia, ben si poteva vietare il passo al Ponte tra Isernia e Venafro.

«Qui diecimila uomini postati su' monti di costa, afforzato di cannoni il Ponte, certo si ributtava il nemico; come si ributtò poi sull’aperta sponda del Garigliano; s'anco ei sforzava il passo, poteva in quel disordine esser rotto di leggieri dalla nostra intatta Cavalleria sui larghi Venafrani campi.

«Sempre era utile a noi, privi di forza marina, scanzare il mare, e difenderci dentro terra, col popolo amico. Chiamar questo all’arme.»

«Ma i nostri militari diffidavano del popolo: i salvo accettar pochi volontari, e male armarli, «non si pensò altro. Disegno proprio di guerra a non si fece; perché parecchi Generali non voli levano far guerra».

Munito della maggiore stoica pazienza a confutare quest'altra destra mistianza, sono obbligato invitare ancora il benevolo lettore ad usarla nel seguir col suo svelto acume quel poco posso aggiungere a quanto sta detto nel più volte richiamato §. 4.° del 1.° mio riscontro fatto al de Sivo, il 17 Gennaio 1866, e nel § 8.° del mio secondo riscontro allo stesso, ove la materia non fu poco discussa.

L'autore o per proprio vaneggiare in cose belliche, o per averle attinte da sedicenti saccenti impegnati a detrarre merito da' miei concetti ed opere, si tien fermo nel proposito palesato colla prima e seconda sua lettera, a sostener il quale mostra non curare quanto gli esponeva di positivo e d'importante sull’oggetto.

Ed attribuendosi il carattere di famoso Capitano de' diecimila, più che Senofonte, non ritiene tutte le interessanti condizioni negative statistiche del luogo, e quant'altro di avverso io gli rimarcava, e scappa defilato a porre innanzi quei stessi diecimila uomini coi quali voleva sorprendere e sottomettere la Capitale, suddividendo l'Esercito, per opporsi in sito privo d’ogni risorsa a poderose forze avverse, che posseder doveano prima di noi il Ponte di cui parla, ed il dominio di tutto quel passaggio, ideando a suo favore strane ipotesi mal calcolate. Ed Invaso del suo stile dommatico, non credendo forse ch'io mi determinassi a confutarlo, dimentica i lumi da me a lui porti, ed offre, come slancio di suo alto pensare il preferir d'allontanarci dal mare, privi di forza marina, e difenderci dentro terra col popolo amico. Ma non lo avea io informato con tutti gli antecedenti esser questo il mio Disegno, nell’occupare le posizioni di Teano, tanto nel primo caso di riuscire ad attirarvi il nemico ed accettarvi Battaglia riversibile all’offensiva, quanto nel secondo caso di dover in ternarmi per S. Germano e Sora negli Abruzzi, onde agire in concorso del popolo?

Egli però non si limita dimenticare quel che non gli conviene, per rammentar solo ciò che gli giova: innebbriato nelle sue lucubrazioni, contradivasi a pagina 290, col disapprovare il secondo mio Disegno di volgermi negli Abruzzi, giusta la mia confutazione nell'art. 51 di questi Comenti al §. 4.°; e contraddicesi ora nell’asserire che i nostri militari diffidavano del popolo. E dopo le lunghe mie informazioni de' maturi e circospetti nuovi miei Disegni di guerra, dietro la invasione de' Sardi, spaccia che non ve ne furono, perché parecchi Generali non voleano far guerra. —Se i miei ben ponderati Disegni non ebbero effetto, si fu pel mio richiamo, ad ottenere il quale dal tradito Sovrano, impiegossi ogni malefico intrigo: né mai Generale veruno che mi dipendeva, durante quel mio comando, mostrossi ritroso al proprio dovere; ciò. che non è da confondersi con qualche spincevole fallita sperimentatasi: non è ritroso il duellante ferito, sia per debolezza, sia per imperizia o accidentalità. —Se poi l’autore allude quel difetto di Piano, e quell'asserta ripugnanza ai dì posteriori pertinenti al Comando del mio successore, sotto del quale, per l'erronea ritirata sulla strada di Gaeta, la situazione divenne di gravità più eccezionale, a qual fine lo storico non distingue i rispettivi concetti de' due Duci Supremi, e la disposizione d’animo di quei Generali sotto i due Comandi?—La ragione è la stessa da me già detta in fine dell’art, precedente, cioè per velare il paragone affin di confondere quell’errore colle mie disposizioni, e così corrispondere sempre al suo assunto.

Art. 54.°

Taccia di sconforto tra Generali, che inducevano il Duce a tenersi grosso in Teano, ove speravano Capitolazione; ma già ineseguibile, che veruno avrebbe osato dì proporlo ai soldati.

Ma lo storico da abile mestatore, nel suo § 14, libro vigesimonono, a pagina 291, giunto a dover esporre il succedere del Duce Salzano, dice: «La stampa rivoluzionaria, le mene settarie, a la stanchezza de' disagi li aveano sconfortati (segue a parlare de' Generali.) Talun diceva aperto esser vana la lotta, tal altro si lasciava uscir da' denti doversi assicurare lo avvenire personale. Con questo intanto inducevano il Duce a tenersi grosso a Teano, sperando si venisse a Capitolazione, e a riconoscimenti di gradi o soldi: risorgeva il pensiero del 7 Settembre a Capua. Ma ciò ineseguibile era pei soldati, cui nessuno avrebbe osato proporlo.».

§ 1.°

Qual altro romanzesco affazzonamento è mai questo! Il lettore rammenterà la velenosa calunnia che pone vasi in campo da perfidi di un trattato con Cialdini simile a quello di Casa Lanza, annunciatomi dal de Sivo colla sua prima lettera, come causa forse del mio richiamo dal Comando dell'Esercito; calunnia da me ributtata col § 5.° del mio 1.° riscontro fattogli il 17 Gennaio 1866, e ch'egli confessa poi colla sua 2a lettera del 6 Marzo d’aver verificato non riguardarmi; su di che è anche oggetto il §. 4° del mio 2° riscontro del 28 Marzo.

Egli nel qui trascritto asserto non mi nomina; ma esponendo che quei scontòrtati Generali inducevano il Duce a tenersi grosso a Teano, sperando si venisse a Capitolazione, e non essendosi il Salzano tenuto ivi grosso, come io faceva Disegno, confonde con questa specie di destra perifrasi quanto avvenne sotto i differenti due Comandi, per dar corpo a quella calunnia, che verificò non appartenermi; per non trovarsi obbligato a pingermi escluso da qualsiasi colpa o torto; e per non dar passaggio al raggio che potesse porre in luce derivare quello sconforto (se pure al grado e nelle forme da lui esposte) più dalla incertezza de' perniciosi

Consiglieri in Gaeta, i quali, mancanti di calma nascente dalla forza, e di saggezza bellica proveniente dal genio e deIla sperienza, facevan piovere disposizioni mal calcolate, che sempre giungono in alcuni a staccare tanto più il coraggio dal sentimento, per quanto più difficoltosa diviene la situazione.

§ 2.°

Quella romanzesca imponenza che in ultimo dà al contegno de' soldati, è un fisima ideato a sostener il dualismo tra ‘l rango Superiore militare, e l'Inferiore, senza comprendere quanto è pernicioso il propalarlo nell’aspetto di cosa lodevole per gli ultimi, che così creder si possono autorizzati ad ogni indisciplina, e ad inabilitare di porsi in pratica ogni vantaggioso Disegno: è questo il più nocevole mezzo che suole adoprarsi in vece da un nemico per demoralizzare l'Esercito avverso: è questo quanto pur si propaggina da inavveduti e deboli Governi, che privi di conoscenze e di tatto nella elezione degli uomini a cui affidar devesi il potere in guerra, non sanno che paralizzarlo con questo ed altri dannevoli mezzi, i cui tristi effetti sono sempre la rovina degli Stati, e delle male accorte Dinastie. Né a quel grado dannevole d'indfsciplina era giunto il soldato fin ch'io fui a quel Comando, comunque scandalizzato dalle precedenti fellonie. La disdetta del 1° Ottobre ebbe origine da inesperienza di guerra, come ben io avea preveduto, e dalle altre concause da me già messe in vista; eccezion facendo de casi avvenuti al Colonnello Ruiz, dopo i tracolli del 1° e 2 Ottobre, ed alla Brigata di suo Comando dal lato di Caserta vecchia; ed il tentativo del Sergente Bruno in Capua il 5 Ottobre.

Ed allorché l'eccessività della situazione spinse l'Esercito alla inconsiderata ritirata pel Garigliano e Mola sopra Montesecco, e di là nello Stato Romano, non mancò tra soldati chi vacillasse più dei propri Superiori; com'è per lo più sempre avvenuto in rassomiglianti disavventure in tutti gli Eserciti, e per esempio quello de' Francesi a Waterloo, per non dilungarmi a citarne altri anche molto più prossimi.

Art. 55.°

Surrogamento al Comando in Capo

dell’Esercito di operazione

E nel dar compimento a quello stesso suo paragrafo, in fine della pagina 291 e 292, si esprime ne sensi seguenti:

«Già la mal riuscita guerra, movendone le fantasie e l'ire, lor faceva veder traditori in ogni Generale; e si sbuffavano, che anche la vita del Ritucci parve in pericolo. Il Re, non che di lui sospettasse, ma a evitare qualche eccesso, si recò il 25, a Cascano, e chiamatolo con affettuosi modi, sel tenne vicino.

«Gli surrogò il Salzano, uomo in vero non buono innanzi, ma che in Sicilia e a Capua s era mostro volenteroso e fido; ma lo stato Maggiore i restò lo stesso.»

Conviene che anche in questa confutazione rimonti al mio asserto nella corrispondenza tenuta coll'autore, massimamente ne' paragrafi testé richiamati, per dimostrare com'ei confonde il vero coll’alterato ed anche col falso, ad onta delle distinte dilucidazioni dategli, per serbarsi costante a tener chiuso nel buio l'intrigo agitato da quella perniciosa consorteria a mio danno, alla quale egli trovò vantaggioso farsi adetto, affettando rigida indipendenza. Dalla stessa mia corrispondenza scorgesi che il soldato era in qualche modo sconfortato e sospettoso, circostanza da tenersi allora a calcolo, per non avventurare all’azzardo disposizioni mal ponderate, e non fargli mancare la sussistenza e le munizioni, onde non istigarne la suscittibilità; e ciò non solo per le avverate fellonie ed errori; sibbene per le pratiche erronee che attivavansi in Gaeta ad abbassare il prestigio del Duce Supremo, che in quei difficili momenti più che mai avrebbesi dovuto innalzare con ogni possa. Ma se il soldato era con ragione in tale stato di dubbiezza verso tutt'i superiori, ho già detto nel paragrafo precedente, che tranne i due ivi citati casi eccezionali, non era il soldato fino al 25 Ottobre trascorso ad altre inquietanti dimostrazioni.

E lo sbuffare che anche la vita del Ritucci parve in pericolo, non è che un ritrovato per coonestare quanto con malignità cercavasi far penetrare nell’animo agitato del fiducioso Sovrano, per indurlo in un modo qualunque al mio richiamo. – Né vero è che il Re, nel farmi surrogare dal Salzano, mi ritenne a lui vicino in Cascano; espressione suggerita ad arte, per porre destramente in vista una scemata fiducia verso di me.

Dispostosi dal Re il surrogamento di quel Comando in Capo, il Sovrano rientrava a Gaeta col Conte di Trapani e 'l suo seguito, e contemporaneamente io mi restituiva a Teano, conducendo nella mia carrozza il Tenente Generale Salzano, a cui cedei il Comando con un ordine analogo da me dato all’Esercito; e preso entrambi ristoro alla medesima tavola, ordinai le mie poche cose, e mi riposi in vettura per Gaeta, ove mezz'ora dopo la mezza notte trovai l'ordine di aprirmisi Porta di terra, corrispondentemente alla promessa di cui onorato mi aveva Sua Maestà; cosa che lo storico non dovea ignorare, perché già affidala alla stampa nel mio Opuscolo di Agosto 1861, ed a lui ripetuto colla mia corrispondenza.

Non so poi che cosa intende col dire: lo Stato Maggiore restò lo stesso.

Nulla più facile che tra quei distinti Ufficiali addetti all’Esercito di operazioni fossevi camuffato da fido qualche colpevole; imperciocché il nemico era per lo più messo a conoscenza delle cose più riservate dopo poche ore. Ma se mai sentore avesse egli avuto di alcun traditore di quel Corpo a che non distinguerlo? Io non giunsi mai ad aver lume su di ciò, che non me ne sarei rimasto neghittoso. Ma con questa frase monca egli tenta di maculare tutti di quel distinto Corpo attaccati all'Esercito Operante, meritevoli in vece di stima e eli elogi: e con quali dati? e con qual dritto? — per la smania di non lasciar veruno esente dalle punture dell’aguzza sua penna!

Art. 56.°

Schiarimenti sul breve cenno biografico

del fu Matteo Negri

Al mezzo della pagina 306, lo storico, nell’accennare la nascita, ed un breve abbozzo delle gesta del fu prode Brigadiere Matteo Negri, scrive:

«Nato ai 21 Giugno 1818, ferito a Catania nel 49; ora avea pugnato a Caiazzo, a Capua e a S. Angelo, guadagnato più gradi in due mesi».

Ho già rimarcato all’art. 12 § 2.° di questi Comenti che il Negri non mi seguì, e perciò non ebbe parte all’attacco e ripresa di Caiazzo; ed ora, a solo fine di depurare il vero da tramandarsi alla Storia, e di porre sempre più al chiaro le inesattezze in cui l'autore è caduto, vi aggiungo che tampoco a S. Angelo il Negri ha sostenuto verun attacco. Oltre a' suoi meriti anteriori, egli nell’ultima Campagna del 1860, prese parte bensì in tutte le azioni avvenute tra Capua e S. Maria, nelle quali si è sempre distinto da prode, ben meritandov'i due ascensi ottenuti dalla munificenza Sovrana, che ha egli giustificata colla operosità, scienza e valore ripetuti nelle posizioni di Cascano e sul Garigliano, illustrando su quel Campo di gloria la prematura sua nobile fine.

CONCLUSIONE

Basta fin qui sulla parte della storia del de Sivo che riguarda il mio Comando in Capo dell'Esercito di operazioni sul Volturno, ultima e memorabile mia Campagna, ne' mesi di Settembre ed Ottobre 1860!

Distinto quanto felice scrittore riconosco il de Sivo: ma vóto ed arbitrante nell’arte astrusa e nella difficile scienza della guerra.

Egli per propria natura immaginoso, suppostasi la facoltà di sprezzare ogni ossequio, non meno alla Verità che ostar potesse le prestabilite sue tesi, credette scrivere storia sentenziando; ma io molta parte de' bellici racconti si mostrò più che destro romanziere.

Il volle, vi fu indotto, o il dovette? a me non monta. Solo e santo mio interesse si è che la Verità sia palese ai contemporanei ed ai futuri, ai quali quel suo laborioso ed avversato lavoro potrà cadere fra mani.

Lasciar correre gli errori, le alterazioni, le antilogie, le inesattezze, e fin le arbitrarie accuse, snaturando i miei concetti ed opere, ed il merito e la condotta di molti, non soffriva mia coscienza. Far la statua di Arpocrate, tacendo, avrei ribadito i fallaci ed arguti suoi asserti, con danno estremo del Giusto, del Vero, e dell’Onore, al cui trionfo consacrai tutta la mia lunga e stentata carriera militare, ed a detrimento de quali non saprei mai transatare.

DOCUMENTI

Capua 14 Settembre 1860

N. 1. —Segnalazione telegrafica N. 1006.

S. M. Il Re (N. S. ) Al Maresciallo Ritucci in Capua

Prenda conto come la segnalazione non sia rimasta segreta, e punisca. Intanto, apprezzando le sue osservazioni, resti con piena e completa libertà di azione.

Gaeta ore 11 e m:15 a. m.

L'Uffiziale interpetre telegrafico

Aniello Aletta

N. 2. — Capua li 18 Settembre 1860

S. R. M. Tenuto presente le Sovrane idee comunicate a voce dal Capitano dello Stato Maggiore Luvarà, di voler far prendere l'offensiva a questo Corpo d'Esercito per imporre alla Capitale ed a tutti i paesi circostanti, afflitti dalla Rivoluzione annessionista, il ritorno al Governo della M. V. , ecco il piano che mi proporrei, in quanto ai movimenti.

L'Esercito movente sarebbe ripartito io quattro piccole Divisioni, tre di fanteria, ed una di Cavalleria, avendo ciascuna la sua dote di Artiglieria, e quelle di Fanteria la loro piccola quota di Cavalleria, oltre una Brigata di Fanteria con una Batteria, non potendosi formare una quarta Brigata di Fanteria.

Le contrade da percorrere sarebbero quattro:

1. Quella di S. Maria e Caserta per prima giornata;Caivano, Casoria, Capo di Chino per il Campo al quartiere della Maddalena.

2. S. Tammaro, Taverna dello Spartimento ed A versa, prima giornata Melito, Capo di Chino e Foria.

3. La Foresta, Cavallerizza, (o Casino di Carditello), Casale del Principe, S. Marcellino, Trentola, prima giornata, Giugliano, se le strade lo permettono, o Guagliano, Chiaiano e Capodimonte.

4. Aronne, Vico di Pantano, prima giornata — Guagliano (so l'altra Colonna può prendere per Giugliano), Chiaiano e Capodimonte, o S. Rocco e Camaldoli.

La suddivisione della forza per quattro strade semiparallele mi ridurrebbe le Colonne troppo sfornite, e perciò mi proporrei di ridurle a due o al più tre. Da un lato converebbe marciare a gran passo in una sola giornata; ma considerando di dover superare più attacchi, e che il nostro soldato e poco indurito alle lunghe marce, massimamente nella vacillazione morale che pur troppo si conosce in. molti Corpi, e la difficoltà delle sussistenze; tenendo presente tutto ciò, debbo preferire la marcia compatta a piccole giornate.

La prima via di S. Maria e Caserta, fortificata, ed ove si aggirano e si approssimano le principali forze nemiche, per quanto sia da tenersi in preferenza, perché in caso che fortuna ci arride, ci ridona i paesi di maggiore risorsa, e scompone il forte del nemico; dall'altro lato è rischioso, perché un dietreggiamento innanzi alle preparate difese, ove si sperimenterebbe naturalmente maggior perdita, produrrebbe facilmente lo scoramento e la demoralizzazione, che dobbiamo maggiormente allontanare. Con truppe agguerrite e disciplinate la preferirei; con le attuali crederei preferibile tralasciarla: il nemico per prenderci in fianco deve uscire dalle sue barricate, od io con un a sinistra in battaglia mi troverei al suo fronte in più linee a non molta distanza. Quindi preferirei la 2. e 3. via, avvalendomi della 4. per un Corpo staccato, se facesse duopo.

La Colonna, che percorrerebbe la prima linea di operazione, cioè la via di S. Maria, o meglio quella di S. Tammaro, lasciando la prima, sarebbe la più fornita, con truppe di maggior fiducia, cioè della 1. e 2. Divisione, al comando del sig. Maresciallo Gaetano de Rivera, anche con la mia presenza, se le circostanze me lo dettassero. Per la 2. linea di operazione, cioè, quella di S. Tammaro, se la prima andasse per S. Maria, e l'altra per la Foresta e Cavallerizza, se S. Maria si lasciasse; per la 2. linea, diceva, marcerebbe la Divisione della Guardia e quella di Cavalleria, con le corrispondenti Artiglierie, tra le quali la Batteria a Cavallo, ove potrò anche essere di persona. La 3. linea di operazione sarebbe percorsa dalia Brigata di Fanteria con una Batteria e pochi cavalli; potendo la Batteria esser quella di posizione. Tutte le Colonne fomite di viveri, per quanto sarebbe possibile) dalla base di operazione, che è Capua con la linea del Volturno verso il mare, cercherebbe di requisire i viveri nei paesi prossimi alla traccia del loro cammino, mercé bene attivato servizio amministrativo. Per ottenere buon risultato si rende di somma importanza un'adatto personale amministrativo, provvido, operoso e delicato, ed una Cassa sufficiente per presentar pronto il pagamento delle derrate; ove troverebbe difetto di fondi, difetto che sarebbe immancabile, la requisizione forzosa disgusterebbe, ed allontanerebbe gli animi propensi a riproteggere la causa della Corona di V. M.

Ma descritto il modo come poter giungere al cospetto di Napoli, mi è obbligo di rassegnare alla M. i pericoli che ai presentano, e che non debbono tenersi in poco conto, e sono:

La Capitale si mostrerebbe docile a cedere alle militari intimazioni, dopo tanta esaltazione, dopo tanta compromissione, e dietro la proclamata cessione della M, V. per risparmiare in essa ulterior sangue cittadino?

Quale ne sarebbe l'impressione nell’animo di tutti, e quale l’adesione straniera?

La indocilità della Capitale lascerebbe il Corpo d’Esercito a sostenere guerra ostinata, privo d'ogni mezzo; e cogli estremi della rivoluzione contro di sè, l'appoggio di parziali partiti potrebbe essere insufficiente, e potrebbe trascinare la Capitale nelle funeste conseguenze d’una Santa Fede, bene opposte al magnanimo proclama di V. M.

Le forze dei rivoltosi potrebbero seguirci dappresso, e farci trovare privi di ogni risorsa fra la resistenza della Capitale in armi e disposta alla difesa; e le forze riunite del nemico, favorite dalle simpatie che lo han fatto trionfare.

L'Esercito in tanto contrasto di sforzi, con perdite, e di principi, potrebbe con 99 gradi di probabilità, defezionare e sciogliersi, dando corpo all’ombra del tradimento, con vitale compromissione di tutti coloro, che farebbero con più zelo il loro dovere.

Allontanandomi da questa base di operazione, Capua sarebbe subito girata, e non essendo in grado di reggere da se sola ad attacchi rigorosi, e con una Guarnigione mezza demoralizzata, potrebbe cedere, rimanendo cosi l'Esercito in aria senza verun pun«W di appaio, ancorché uoo Ì9»ie fluito.

Occupata sarebbe immancabilmente tutta ia forza tra it Volturno e il Garigliano, e preso questo Ponte, la Rivoluzione giungerebbe senza ostacolo fin sotto i baluardi di Gaeta, ed aumentandosi i compromessi col pronunciarsi, non rimarrebbe tampoco a V. M. né un Esercito, né un angolo di sicuro ricovero, privo di gloria e di amore dei suoi sudditi.

Questo è l'aspetto più brutto: potrebbe non giungere a questo estremo: spetta alla M. V. di valutarne l'importanza coi dati che sono per assicurare a V: M. sicurezza e gloria.

In quanto a me, V. M. non ha che a disporne, sempre che trattasi di diriggere la guerra col decoro militare, per sostenere i legittimi dritti della M. V. con quella fedeltà ed abnegazione, che han sempre guidata la mia vita, impiegandovi tutta l'anima mia, tutte le mie forze; ma V. M. non sia facile ad illudersi con leggieri consigli di chi potrà avere vista più corta, e carattere più facile a far aprire il cuore a belle speranze.

Se la M. V. potrà credere avere io oltrepassati i limiti della mia missione, lo attribuisca unicamente alla determinazione di esserle fedele fino all’ultimo respiro.

Ho prevenuto tutti i Corpi a tenersi pronti all’avviso di marcia, che non ho ancora dato, onde la truppa non resti inoperosa al bivacco nella penuria di mezzi. All'ordine che mi arriverà da V. M. il movimento offensivo sarà subito disposto; nel qual caso dovrebbe V. M. con le forze di costà provvedere alla custodia del ponte del Garigliano, onda possa raggiungermi qui il 3 Cacciatori della Guardia, che stà a Sessa. A Teano vi lascerei gli spezzoni dei Corpi di Fanteria in riorganizzazione. Superlativamente però mi è duopo il personale amministrativo adatto, ed una Cassa, senza lasciare questa Piazza priva affatto di mezzi.

Firmato — G. Ritucci.

N. 3. — Capua li 23 Settembre 1860.

Comando in Capo del Corpo di Esercito di Operazione«Movimenti N. 184. A) Signor Generale Won Mechel Comandante la 2. Brigata della 2. Divisione in Cajazzo.

Signor Generale: Dietro ulteriori lumi sulla posizione del nemico si è da S. M. il Re (D. G. ) disposto di fare attaccare Piedimonte d'Alife, ove vi si credono riuniti da 3 o k piccoli (Battaglioni Garibaldesi. A ciò conseguire vengono destinate la Brigata di suo comando e le Truppe comandate dal Colonnello Ruiz composte come in margine, (6. ed 8 Reggimento di Linea, Frazione di Carabinieri a Piedi ec. dovendo agire nel modo seguente.

Al Colonnello Ruiz si è scritto quanto segue:

«Ella con la sua Brigata muoverà da Teano, e si unirà alle frazioni del 2. 4. 12. 13, e 15. che stanno fra Pietramelara e Rocca Romana, estendendosi fino a Statigliano e non più, farà in modo da giungervi nella giornata di domani pel mezzodì, al massimo, ivi si terrà in posizione, militarmente guardandosi, e a stando pronto a muovere con tutte le frazioni suddetto, attenderà le istruzioni del sig. Brigadiere Won Mechel, sotto gli ordini del quale dovrà agire con mezza Batteria rigata di montagna, che gli verrà data dalle stesso Brigadiere. Si provveda di viveri. Non manifesti ad alcuno lo scopo delta sua missione, fido nel suo zelo e bravura, perché la sua truppa dia risultati non dissimili da quelli avuti finora.

Ella quindi, domani 24 muoverà per Alvignano e paesetti circonvicini, per trovarvigi all'ora che crederà più opportuno, onde dire le sue disposizioni, tendenti a marciare sopra Piedimonte con tutta la sua forza e quella di Ruiz la mattina del 25 pria di giorno, facendo guardare Alife sulla sua sinistra, per attaccare e scacciare il nemico da Piedimonte, e fin dove la di lei prudenza le consiglierà; l'indomani poi 26, salvo gli eventi, Ella raccolti feriti e prigionieri, ripiegherà colla sua Brigata sopra Alvignano e d'intorni, e Ruiz si piazzerà fra Dragone e Rocca Romana, per riprendere poi il 27 gli attuali accantonamenti, se le circostanze non mi tiranno disporre altrimenti su' rapporti che Ella mi farà pervenir colla massima possibile celerità al Generale Colonna, cui ne scrivo contemporaneamente, le Sarà spedito un Battaglione per rimanerlo a guardia di Cajazzo con una Compagnia d'avamposto a Rujano, uno Squadrone di Cavalleria per servirsene Ella come crede, ed una mezza Batteria di montagna rigata per la truppa di Ruiz che non ha Artiglieria, per servire durante la spedizione suindicata, la condotta e direzione della quale è affidata interamente alle di lei cognizioni, bravura ed esperienza militare.

Provveda d'anticipo pei viveri.

Il Maresciallo Comandante in Capo

Firmato — Giosuè Ritucci

N. 4. — Capua li 25 Settembre 1860.

Movimenti N. 194.

Al Sig. Generale Won Mechel in Alvignano od ove si trova, Signor Generale: È intenzione di S. M. (D. G. ) che dopo I' attacco di Piedimonte d'Alife, giusta le precedenti disposizioni, se l'azione riesce felice per le nostre armi, come e a sperarsi, Ella facendo correre i suoi rapporti per la via di Cajazzo, e dopo non piò che un giorno di riposo alle sue truppe, con tutta la Colonna di suo Comando, comprese le Truppe di Ruiz, e con le debite prevenzioni prenda la volta di S. Potito, Trivio, Casale di Faicchio, d'Amoroso, Ducenta, Valle, e pei Ponti della Valle piomberà alle spalle di Caserta, impadronirsene, spingersi sulla strada di S. Maria per giungervi alle spalle, mentre una Divisione che uscirebbe da Capua l'attaccherebbe di fronte e dal fianco per S. Tammaro.

Queste sono le idee generali. Elia però vi darà adempimento a secondo delle cognizioni locali che acquisterà, della conoscenza della forza e posizione del nemico, e di quanto altro giudicherà disporre a calcolo per la buona riuscita del Disegno; ritenendo sempre, che deve in tutti i casi informarmi a tempo del risultato delle sue operazioni in Piedimonte, delle determinazioni che prenderà per la esecuzione del Disegno succennato, e dei giorni indispensabili che giudicherà impiegarvi, ond'io possa muovere per agire di concerto opra S. Maria.

Tutto il dippiù resta affidato alla nota tua esperiensa ed avvedutezza.

Sappia intanto che farò marciare questa notte la Brigata Polizzy per Cajazzo. onde esserle di sostegno, nel solo lontano caso che 'azione di Piedimonte non fosse coronata del felice successo, la detta Brigata Polizzy dovrà ripiegare sopra Capua, per far parto della Divisione destinata ad attaccare S. Angelo e S. Maria.

Le invio il presente per mezzo del Capitano Giobbe dello Stato Maggiore, che rimarrà momentaneamente presso di lei, e per mezzo del quale bramo avere notizie delle sue operazioni, e i di lei divisameli sul contenuto di questo foglio.

Firmato — Ritucci.

Al Maresciallo Rivera

Nella prossima notte Ella con la Brigata Polizzy muoverà dal Poligono in modo da giungere a Cajazzo avanti giorno, e senza fermarsi dentro il paese, si piazzerà alquanto al di là sulla strada d Alvignano. Lo scopo di tal movimento si è di sostenere Won Mechel, che attaccherà Piedimonte: quindi allorquando avrà saputo che lo stesso abbia avuto felice successo, ripiegherà sopra Capua; ove mai poi saprà che Won Mechel non abbia avuto buon risultato, si avanzerà a soccorrerlo. Faccia in modo di tenermi informato di qualsiasi novità.

Firmato Ritucci.

Al Generale Colonna

Per sua intelligenza le fo noto, che nella prossima notte la Brigata Polizzy marcerà col Maresciallo Ri vera al di là di Cajazzo, per essere al caso di sostenere Won Mechel che attaccherà Piedimonte; in caso di felice successo, com'è a sperarsi, la detta Brigata Polizzy ripiegherà sopra Capua.

Avverta adunque i suoi posti del passaggio di essa, per evitare qualsiasi sconcio, e tutta la di lei Divisione si tenga nella massima vigilanza.

Firmato Ritucci.

N. 5. — Capua li 26 Settembre 1860.

Movimenti N. 208.

Al Generale Won Mechel

Signor Generale: Non essendovi stato alcun conflitto, e non avendo quindi potuto dare ai nemico alcuna battuta, vien modificato quanto le dissi col mio Ufficio di jeri sera N. 191 inviatole pel Capitano Giobbe, essendo intenzione di S. M. il Re (D G. ) che si abbia in mira lo stesso scopo in una cerchia più ristretta di operazioni, giusta quanto vado a dirle, cioè:

Che il Maggiore Migy faccia prontamente le sue operazioni di disarmo, requisizioni di Casse in Piedimonte, e ritorni subito verso Cajazzo, unendosi al resto della Brigata con l'intera Colonna del Colonnello Ruiz,

Che Ella con tutte queste Truppe rinforzate anche dal 140 di Linea il quale si recherà in Cajazzo per far Brigata con le altre frazioni di Ruiz, marci con lo scopo di dirigersi ai Ponti della Valle per Ducenta, battendo la via di Rojano ed Amoroso. Se le Artiglierie potranno passare il fiume per dirigersi sul Ponte di fabbrica sul Calore, e così continuare la sua marcia, oppure da Cajazzo scendere verso Squilla, ove se non vi è più la Scafa e non potrà riuscirle di riattivarne qualcuna 9 vi sono dei guadi dei quali si potrebbe avvalere, facendoli riconoscere.

Superati cosi i detti ostacoli, vorrebbe la M. S. ch'Ella si trovasse per domani almeno sulle alture di Maddaloni, per poi scendere sopra Caserta, e coni proseguire sopra S: Maria, nell'atto che la Colonna, la quale uscirebbe da Capua si dirigerebbe sopra S. Maria istessa, di fronte e di fianco per S. Tammaro.

Queste sono le vedute generali del nostro Sovrano, che le ha esternate con la massima insistenza, ad onta delle umili obiezioni da me sommesse sull’oggetto. Ella però tenendo presente il punto oggettivo dei Sovrani voleri, porrà a calcolo tutte le circostanze di tempo e di luogo, per agire in modo che le Colonne possano tenersi unite, operare con efficacia, senza defaticarsi estremamente la Truppa, e che le diverse Armi possano avere passaggio libero tanto per le strade traverse, che pel fiume, affinché l’esito delle volute operazioni non venga meno per difetto di calcolo sotto tutti i rapporti.

Di quanto opinerà ed eseguirà avrà cura di tenermi prontamente informato per ogni qualsiasi sicuro mezzo, principiando da Ciazio per mezzo dell’Ufficiale che le spedisco Sig. Tenente Loriol alla mia immediazione, o del Capitano Giobbe, tanto perché io sia informato delle sue vedute e dei suoi movimenti e possa informarne i! Re che stà nell’ansiosa aspettativa di conoscerli, quanto per poter dare le altre disposizioni adatte a ben concorrere allo scopo prefisso, ritenendo che il Sig. Maresciallo Rivera colla Brigata Polizzy ripiegherà sopra Capua, per far parte di questa Colonna operante, se circostanze imprevedute non imponessero altrimenti Abbia Ella cura di spedire gli ordini al Colonnello Rui. Non tocchi affatto il 3° e 6° Cacciatori' napoletani, quali Battaglioni debbono immancabilmente rimanere sotto gli ordini del Generale Colonna alla cui Divisione appartengono.

Firmato Ritucci.

Al Generale Colonna

Sia compiacente disporre che 11 14° di Linea, staccandosi dalla Divisione di suo comando, vada in Cajazzo per indi passare sotto gli ordini del Generale Won Mechel, facendo parte della Brigata composta dalle frazioni de' vari Reggimenti di Linea comandata dal Colonnello Ruiz. Il 14° 'di Linea suddetto vada provveduto di viveri. Sia nell'intelligenza che ho imposto al Generale Won Mechel che nel partire da Cajazzo vi lasciasse il 3. e 6. Cacciatore che le appartengono immancabilmente, dei quali ella disporrà come meglio giudicherà per ritenere le posizioni che in atto occupa. La 1|2 Batteria di montagna, e lo Squadrone da lei dati, restano tuttavia presso il Generale Won Mechel.

Il Comandante in Capo

Firmato — Giosuè Ritucci

N. 6. — Capua li 27 Settembre 1860. ore 8 1/2 P. M.

Comando in Capo del Corpo d’Esercito di Operazione: Segretariato, 2. Carico. N. 91.

Al Generale Won Mechel

Signor Generale: Sono ancora privo dei suoi rapporti e di notizie dei suoi movimenti; mi si fa credere che ieri al giorno Ella abbia avuto uno scontro col nemico, ed il Signor Colonnello Ruiz mi fa giungere questa sera un Offizio datato di ieri da Alife, col quale mi rapporta d'incaminarsi verso Cajazzo per raggiunger Lei colla sola sua Brigata, lasciando frazioni fra Piedimonte Alife e dintorni, pei disarmi, requisizioni, e che sò io. Come si trova giunto Ruiz a Piedimonte? come ne parte lasciandojvi le frazioni? Tuttociò col ano silenzio mi tiene in agitazione ed indeciso nelle mie operazioni, mentre le ho chiaramente detto, che io per agire di concerto, dovea attendere l'avviso delle di lei operazioni.

Mi spedisca subito un Uffiziale con rapporto sommario ed esatto della posizione di tutte le Truppe messe sotto i di lei ordini e dei suoi proponimenti,

Il Comandante in Capo

Firmato Giosuè Ritucci

N. 7. — Cajazzo li 29 Settembre 1860.

ore 11 1|2 a. m.

Comando in Capo del Corpo d'Esercito di operazione Segretariato. 2. Carico.

Al Sig. Generale Won Mechel

Nel difetto assoluto de' suoi rapporti, e de' suoi riscontri, ieri fui di persona qui ove mi si disse che Ella doveva conferirsi.

Alle ore 9 p. m. le rimisi officio per mano del 1. Tenente Gracer, col quale la pregava venire a Cajazzo per concertar anco quanto si conveniva per corrispondere alle più calde premure di S. M. il Re (D. G.). Ho pernottato qui, fuori del mio centro,ho atteso tutto questa mattina fino alle 11 a. m. ed Ella non è venuta, non mi ha respinto l’Uffiziale con riscontro, né con rapporto in iscritto né orale né per mano di altra persona qualunque, a segno di farmi mancare anche le notizie di lei.

Non debbo più qui trattenermi, rientro in Capua in attenzione dei desiderati suoi rapporti, nella prevenzione che ove continuasse per parte di lei questo incomprensibile e pernicioso sistema di emancipazione contrario ad ogni logica militare all’esito della Campagna ed agl’interessi del Re (N. S. ) che ragionevolmente brulica, «ti premure per vedere effettuato il risultato delle sue vedute, il cui ritardo può esser fatale alla sua Causa; non mi resterà che spedire altro Generale a prendere il Comando di codesta parte del Reale Esercito colle istruzioni che meglio potessero corrispondere allo scopo.

Nel comunicarle le istruzioni Generali delle operazioni imposte dalla M. S. le lasciava tutta la latitudine per agire consentaneamente alle indispensabili circostanze di tempo e di luogo: ma ciò non indicava che per tre giorni mi tenesse totalmente alt oscuro delle sue operazioni e dei suoi Piani, né di evitarmi nel correre io anche di persona qui, dopo di avere ella fatto vagare queste truppe, con trapazzi inutili, ed in controsenso delle istruzioni generali date.

Resto adunque in aspettativa di suo riscontro come sopra.

Il Maresciallo Comandante in Capo

Firmato — Giosuè Rifacci

N. 8 — Caiazzo li 29 Settembre 1860.

Comando della 2 Brigata della 2. Divisione. Al Signor Maresciallo di Campo Ritucci, Comandante in Capo il Corpo d'Esercito di Operazioni in Capua.

Signor Maresciallo!

Arrivato qui in questo punto ho sentito che Ella, Sig. Maresciallo, fosse partito da pochi minuti, per Capua, ma pur troppo non aveva un mezzo di trasporto a disposizione per raggiungerla. Sto in conferenza con il Signor Colonnello Ruiz, e non mancheremo sottometterle nostro rapporto fra poco.

In quanto ai rapporti sui miei movimenti, mi sono dato premura ' di spedirglieli ancora ieri a sera, e probabilmente né sarà ora in possesso.

II Generale Comandante la Brigata

Firmato — De Mechel

N. 9. — Caiazzo li 29 Settembre 1860 N. 119

Comando della 2 Brigata della 2. Divisione. Al Signor Maresciallo Ritucci Comandante l'Esercito di Operazione in Capua.

Signor Maresciallo!

Vi è propriamente della fatalità nella nostra corrispondenza. Nel mentre le mie lettere arrivavano iersera in Capua, Ella si trovava in Caiazzo, e quando io ci venni per incontrarla questa mattina, ella ne era partita da un quarto d’ora soltanto.

Col Signor Colonnello Ruiz mi sono inteso sopra tutte le particolarità delle operazioni, e le cose stanno nei termini i più semplici: tutto ciò che io chieggo all’uopo si è che al Colonnello Ruiz sieno messi a disposizione i mezzi necessari per effettuare il passaggio del Volturno dalla parte di Limatola, ed una mezza Compagnia di Pontonieri senza Pontoni), sebbene questi potrebbero essere pure utili.

Riguardo al tempo per i miei movimenti saprò io ben combinare tutto appena che Ella, Signor Maresciallo, si degnerà dirmi con precisione il tempo in cui intenderà spingere le sue Truppe innanzi Capua.

Nei caso stesso trovasi il Colonnello Ruiz il quale però dovrà far precedere i suoi movimenti dalla costruzione di un Ponte; ma questa si potrà calcolare pure.

Da tutto quanto che ho raccolto dai di Lei ragionamenti, si per iscritto che verbali, sembra lucere che lei, Sig. Maresciallo, sia intenzionato di destinare la mia Colonna (l’ala sinistra] e che del resto allincarico d’impossessarsi del Ponte della Valle, di Maddaloni ed in parte di Caserta, a dare principio all’attacco generale. Se me ne abbasserà un'ordine positivo, io mi presterò a questo attacco; ma mi permetto farle osservare rispettosamente che lv attacco sundicato a cui io sono destinato, è esposto a molte eventualità, é difficoltato dal terreno, e dalle comunicazioni, mentre quello della Colonna che sortirà da Capua è al contrario favorito da molto, prescindendo anche dall’antica regola strategica, che dovendo attaccare da due parti, si attacchi prima d'avanti e poi nel fianco e ripetere; poiché gli ultimi due colpi vengono sempre ¡[inaspettati, ed anche avvisati mettono ancora il nemico in confusione.

Nella nostra posizione non occorrono proverbi, e neppure ragionamenti ulteriori, la di Lei penetrazione se ne sarà convinta.

Propongo adunque che l'attacco sia cominciato dalla Colonna che sortirà da Capua, onde facilitare a me ed al Colonnello Ruiz Comandante la Colonna di congiunzione, le nostre operazioni e far più sensibile al nemico lo stratagemma.

Una sola cosa mi permetto ancora di sottomettere alla di lei rii flessione, e questa si è che l'attacco della Colonna che sortirà da Capua sia eseguito all'alba.

Questo rapporto le sarà recato dal Signor Capitano delli Franci, Capo del mio Stato Maggiore, il quale riceve le mie istruzioni verbali.

Il Generale Comandante la Brigata

Firmato — De Mechel

N. 10. — Capua li 29 Settembre 1860

Comando in Capo del Corpo d'Esercito di Operazione; Segretariato; 2 Carico N. 119 — Al Generale Won Mechel.

Signor Generale!

Ho ricevuto i di lei tre rapporti del 27, 28, 29: In quanto al denaro che domanda, questo non le deve mancare per avere io anche disposto il pagamento di una polizza di 5800 ducati appartenenti all’uno dei Battaglioni che direttamente le dipendono, e per il pane i Commessari di guerra hanno istruzioni sufficienti per provvedersi di Tondi dalla Casa di Campagna rispettiva. Per le scarpe, (in dal primo istante, che ricevetti la sua domanda, ne feci oggetto di richiesta al R. Governo, e fui accertato che si sarebbero commissionate in Francia: convién dunque attendere il risultato. Intanto però i Corpi non debbono trascurare tutte le provvidenze per tenere le scarpe almeno riparate, quando non si ha la possibilità di rimpiazzarle.

In quanto ai viveri provvedutesi tutte le Brigate da' Commissari di Guerra o titolari o funzionanti, e pagati i Corpi al corrente, non debbono mancare le provigioni a meno di riprovevole trascuragine di essi Funzionali, e dei Capi dei Corpi, e adesso tanto più che presso lei vi sono 23 Carri di viveri presi al nemico, come ella istessa à rapportato; e di persona mi sono accertato che vi è sufficiente quantità di razioni panizzate in Caiazzo e molta attività per panizarne le altre. In quanto alle operazioni sulle quali ella fin oggi non si mostra ancora determinato, sono nell'obbligo prevenirla, che attesa l'attitudine del nemico, esse indispensabilmente debbono esser pronte ed eseguite senza verun ritardo. Colle forze che io ho da questo lato ho determinato di attaccare la posizione di S. Angelo, il bosco di S. Vito e S. Maria, per quindi progredire, a tenore delle circostanze, la mattina del l. 4 Ottobre alla punta del giorno.

Ella perciò con tutte le forze che le dipendono dovrà prima di gtoroo manovrare io maniera da cooperare al mio attacco infallibilmente, cercando di prendere il nemico alle spalle, e distornare la sua attenzione; senza perdere il punto oggettivo indicato a SMaria se il complesso delle informazioni raccolte le presenti la probabilità di un buon risultato.

Dovendo ritirare il 6:° Battaglione Cacciatori dalle posizioni ove si trova sotto Caiazzo, curerà che queste sieno occupate dal 14:° di Linea, che a tale oggetto è stato spedito io aumento a codeste forze.

Curi la Batteria. N. 15 Fevot, e nel caso che ella credesse di non doversi avvalere dei quattro pezzi di Campagna rimasti a Caiazzo, potrà farli passare sotto gli ordini del Generale Colonna da 1 quale già Ella à ricevuto mezza Batteria di montagna rigata.

Mi risponda sollecitamente pel mezzo del porgitore della presente.

P. S. All’istante arriva il Sig. Capitano Delli Franci, suo Capo di Stato Maggiore, che mi presenta l’altro suo foglio di odierna data. Le osservazioni che ella fa sulla base delle sue operazioni che lo tengono staccato da questa parte del Corpo di Esercito, con difficile comunicazione, sono le stesse da me replicate volte rassegnate alla Maestà del Re, quando ne ho avuta la disposizione: ma determinatosi dalla M. S. un tal Piano, è obbligo nostro d'impiegare tutta la nostra accortezza, istruzione e prudenza, perché riesca favorevolmente allo scopo prefìsso. Quanto Ella mi propone all'oggetto, corrisponde precisamente al succennato Piano, ed alle mie vedute; e quindi non mi resta che raccomandarlene l'esatto ademmento.

Il Comandante in Capo

Firmato — Giosuè Ritucci.

N. 11. — Capua li 29 Settembre 1860.

Comando in Capo del Corpo d’Esercito di Operazione.

Segretariato 2.° Carico.

A Sua Eccellenza il Ministro di Guerra.

Ho I'honore di rimettere all’E. V. perché si degni umiliarle alla M. del Re (N. S. ) in continuazione del Telegramma in cifra diretto quest'oggi alla prefata M. S. le copie conforme di tre rapporti finalmente avuti dal Signor Generale Won Mechel, dai quali scorgerà la indeterminazione dello stesso, ad onta dei ripetuti miei impulsi; indeterminazione che ha paralizzato me fino a quest'ora.

Per uscire però una volta da questa posizione, io vado a prevenirle che la mattina del 1 Ottobre attaccherò infallibilmente la posizione da questo lato, ai quali attacchi egli deve coadiuvate dal lato sinistro, seguendo le istruzioni date, salvo Sovrana disposizione in contrario. Ogni altro ritardo fa spingere il nemico sempre più innanzi in opere 9 in audacia, di talché il passaggio per Caiazzo si è reso molto pericoloso, anche per la strada interna, ed il morale della Truppa inevitabilmente ne risente. Non ho determinato l'attacco per domani, perché perduta invano una giornata in Caiazzo, per obbedire ai Sovrani comandi, e trovare Won Mechel, che non ho potuto vedere, come prevedeva, non me n'è rimasto né il tempo, né la possibilità, anche perché i Tiragliatori, uon possono essere per domattina sotto la mia mano. Sarà dunque per poidomani, discaricandomi di ogni responsabilità, e sulla convenienza dell'azione, perché non di mia convinzione, ma Sovranamente valutata e disposta, e sui resultamenti, ove de Mechel, già staccato dalla mia base di operazione con una forte Colonna a se, non corrispondesse all'aspettativa, e non agisse contemporaneamente.

Il Comandante in Capo

Firmato — Giosuè Ritucci

N. 12. — Caiazzo li 30 Settembre 1860

Comando della Colonna di Operazione—Pressante Riservata

Al Sig. Maresciallo Ritucci Comandante in Capo il Corpo d'Esercito di operazione in Capua,

Signor Maresciallo!

Il Capitano delli Franci, Capo del mio Stato Maggiore, reduce da Capua, mi ha recato i di lei ordini relativamente all’attacco di domani, e subito abbiamo discusso (il Sig, Ruiz ed io) l’affare.

Noi faremo a tutta possa di assecondarla nell'attacco di S. Angelo e di uniformarci alle di lei prescrizioni f quantunque l'esecuzione non è delle più facili. Molte difficoltà ci affrontano e possono produrre ritardi. Così p. e. il Colonnello Ruiz, non avendo più il tempo materiale per costruire un Ponte all’altezza di Limatola, dovrà fare un vizioso giro, approfittando del Ponte da me fabbricato ad Alvignanello. Dovrà quindi passare per Amorosi, Ducenta, e Limatola ecc ecc. Peggioro ancora è la mia posizione.

S0 che in S, Agata si sono affollato delle Masse e siccome non è più il tempo neppure per farvi una ricognizione, meno poi per scacciarle; io dovrò avanzarmi, verso il Ponte della Valle col terreno infesto dietro di me.

Se dunque, ammesso il caso, io fossi attaccai? nel fianco, dovrei naturalmente fermarmi per combattere Uremico, e più fatale sarebbe la circostanza, se già avanzato, il nemico avesse I idea di stabilirsi sulla strada che sola mi rimane, al caso per retrocedere.

Le scrivo tutto questo, Signor Maresciallo, per sgravarmi di responsabilità, qualora io fossi ritardato nell’avanzate ec.

E giacché si è languito tanto tempo per mettere ad effetto questo progetto di attacco, avrei desiderato ardentemente che mi fossero stati intimati gli ordini relativi in modo da lasciarmi il tempo per nettare il terreno, onde averlo libero dietro di me, e perchè il Colonnello Ruiz avesse potuto eseguire le sue manovre con meno trapazìi, ma con assai più certezza di buon esito.

Ella, Signor Maresciallo, mi dice che regolerà, dopo il 1° attacco, le sue operazioni a seconda delle circostanze.

Mi occorrerebbe però conoscere almeno superficialmente le sue idee, se cioè, battuto il nemico a S. Angelo, intende fermarsi e prendere posizione, o di operare innanzi. Io opino che una volta dato principio, non si fermasse più a combattere sino a che restiamo in vantaggio, onde uon lasciare al nemico quello di poter rivolgere molto forze contro una delle nostre Colonne isolate.

Spedito che è la presente mi restituisco in Amoroso.

Il Generale Comandante la Colonna

Firmato — De Mechel

N. 13. — Capua li 30 Settembre 1860

Comando in Capo — Segretariato, 2. Carico N. 128

Al Generale Won Mechel.

Ho ricevuto il suo foglio di oggi stesso. È certo che il ritardo à rese le nostre operazioni più difficoltose. Non posso ammettere ragioni per arrestare le combinate operazioni, e la prevengo che io domani attaccherò senza meno alla prima aurora queste posizioni nemiche.

Il Comandante in Capo il Corpo d'Esercito di Operazioni

Firmato — Gioivi Ritucci

N. 14. — Gaeta 30 Settembre 1860

Ministero e Real Segreteria di Stato della Guerra, 4° Dipartimento — Carico N. 254.

Al Sig. Maresciallo Ritucci, Comandante in Capo il Corpo d’Esercito di Operazione in Capua.

Signor Maresciallo!

Ho letto il suo pregevole foglio del 29, andante N. 117, ed in riscontro ho l'onore manifestarle quanto segue.

Ella a buon dritto riunisce tutti i numeri por comandare un Esercito, e la sua completa riputazione, la chiara opinione che gode, e l'intelligenza militare che tanto la distinguono, son garenzie tali, che fra non molto abbiamo tutti a dover applaudire ed ammirarne i felici risultati, figli delle operazioni militari da lei dirette, e comandate, manifestandole per ultimo che le sue piccole riserve fanno ammirare la sua modestia, cose solite a praticarsi da uomini intelligenti e maturi nella carriera delle armi.

Si abbia adunque le mie felicitazioni, e sia domani una bella e gloriosa giornata militare, ove il suo sapere, ed il valore dei soldati siano di esempio e d’ammirazione agli Eserciti d’Europa.

Il Tenente Generale Ministro di Guerra

Firmato — Francesco Casella

N. 15. — 14 Ottobre 1860

Segretariato 2:° Carico N. 245.

Sacra Real Maestà!

Rientrato da Calvi, ho riunito meco i Signori Generali Won Mechel e Polizzy, conformemente ai Sovrani dettami della Maestà Vostra, onde più posatamente discutere sulla posizione fisica e morale di questo Corpo di Esercito, e su quanto meglio converrebbe intraprendere, vista la posizione politica abbozzataci dalla Maestà Vostra. Dopo più maturo esame eglino hanno meco convenuto che da qualsiasi lato si vegga lo stato delle cose, esso non cambia. Che per riprendere l'offensiva sopra Napoli, questa non potrebbe menarsi ad effetto che io dite maniere, le stesse che si propongono io un progetto rimesso dal Signor Direttore della Guerra, con foglio del 10 corrente N. 244, e che sono state incessantemente prese in disamina, da che V, M. si degnava esternare I idea di riprendere l'offensiva, eccezione facendo dalla sdrucita spedizione dei  1° andante; le quali due maniere si riducono: 1.° a ripetere con forze riunite gli attacchi contro Santa Maria, superata questa, spingersi sopra Caserta e Maddaloni, e poi presentarsi da vittoriosi a Napoli, per ottenervi ritorno all'ordine e sottomessione: la seconda quella di tenere a bada il nemico innanzi Santa Maria e S. Angelo e marciare di sorpresa per Cisale del Principe sopra Aversa, e per Vico di Pantano, per presentarsi a Napoli.

Si è ritenuto che il primo di questi progetti non è affatto da accogliersi, dopo il mancato colpo del giorno 1.° stante, perché una truppa demoralizzata, difficilmente si risolve a contrastare vantaggiosamente la vittoria ove da poco si era creduta insufficiente, incontrandovi oggi maggiori ostacoli; perché anche con la vittoria ottenuta, le perdite e lo scrollamelo della disciplina si compirebbe a segno da non poter null'altro intraprendere, e cosi, indirettamente, verrebbe a mancare il punto oggettivo del Piano, riducendosi alla distruzione di una o più cospicue Città, da poco volontariamente e pacificamente lasciate; perché cosi procedendo, comunque il Corpo di Esercito manterrebbe la base delle sue operazioni, e la corrispondenza con Capua, dovendo abbandonare le posizioni da Caiazzo a Triflisco, per riunire la maggior forza possibile, Capua non mancherebbe di essere girata, e colla perdita, degli spedali numerosi si avrebbe sempre la perdita della comunicazione con Gaeta; e per le tante altre considerazioni, che per non dilungarmi di troppo tralascio.

Il secondo progetto, che dei due sarebbe forse da preferirsi,comunque presenti a primo aspetto maggiore facilità di giungere riunito ed in forza sopra Aversa, e quindi sopra Napoli; si riduce ad una marcia di fianco a portata del nemico, sopra strade con ponti rotti; nelle quali, se non attaccati (che per noi sarebbe desiderabile, per cercare di battere il nemico in terreno a lui meno favorevole) non mancheremmo di esservi costantemente bersagliati, girati alla coda e tagliati dalla nostra base, per essere cosi stretti di fronte, di fianco, e di spalle nella zona di Caserta e di Napoli, senta poter cambiare linea di ritirata, e tutto ciò sempre lasciando Capua a sé sola, ed interrotta la comunicazione di Gaeta. Né vi è da illudersi coll'enumerare i 39 Battaglioni, 27 Squadroni 69 bocche da fuoco, che si citano nel succennato progetto per rimanere una sufficiente Guarnigione in Capua,o  e viste le condizioni che. ormai presenta la Guardia Reale e le diverse frazioni, ognun vede che tutta la forza operante non si ridurrebbe che ai 13 sparuti Battaglioni Cacciatori componenti la 1 e 2. a Divisione; oltre la Cavalleria e qualche truppa che V. M. potrebbe inviare da Gaeta io cambio della Guardia che richiamerebbe; e tutti questi, scarsi di Generali e privi sensibilmente di energici Ufficiali, il cui valore ¿ ben noto a V. M. salvo pei buoni.

Messo a calcolo quanto precede, e le altre innumerevoli considerazioni accessorie, si ritiene che l'offensiva, nell'uno e nell'altro modo, sarebbe ora inefficace a rialzare la potenza di V. M. e non produrrebbe che rovina ed eccidio alle Città volontariamente e pacificamente lasciate d'ordine della M. V. , forse col sacrificio degli Ufficiali più attaccati al disimpegno de' loro doveri; sacrificio e rovina, che accordando tutto per favorevole fino a Napoli, si propagherebbe in quella Capitale che V. M. lasciava con inaudita annegazione per risparmiarvi il sangue, e nella quale trovandosi tutti compromessi, non è da supporsi debole resistenza. L’odierna situazione non si crede più quella del 18 Settembre. .

Questo è il risultato del giudizio conchiuso dai Generali che V. M. ha voluto mi aggiuntassi all'oggetto. Ma sempre candido verso la M. V. devo rassegnare, che quanti altri ne ho sondati in diverse occasioni, per iscorgere la opinione loro, e per esser io illuminato sopra i calcoli che avrei potuto mal fondare in me, tutti, niuno escluso, con più o meno penetrazione, vedono la cosa nello stesso aspetto.

Ma dunque, qua! modo deve tenersi? Questa piccola giunta è di sommesso avviso, che ad onta l'avanzamento della stagione, al confronto dell'estremo rovescio, sarebbe preferibile di cercar di provvedere nel miglior modo ai bisogni del soldato, e di tenersi nelle attuali posizioni, controbattendo tutte le operazioni ed i tentativi del nemico, cercando di rialzare a gradi il morale delle truppe, per guadagnar tempo, ed attendere da questo nuova fortuna nella politica Europea, appoggiando, senza dispersione, l’impulso delle popolazioni al ritorno dell'ordine (),

Ma come frastornare la votazione del 21?

I  Diplomatici stranieri, ai quali si rappresenta esservi impiedi un Corpo di Esercito di 39 Battaglioni, 27 squadroni e 68 bocche da fuoco, non possono al certo che proporre di riprendere l'offensiva, per ripresentarsi in forza alla Capitale. Non cosi parrai che dovesse affermare chi conosce lo stato e lo spirito del giorno nell'Esercito. Questa giunta è di umile parere che la ripresa dell'offensiva non arriverà a frastornare la disposta votazione, che anzi per le conseguenze esposte potrebbe estinguersi con maggiore risoluzione ed animosità, senza salvare sul momento il Trono alla M. V. adombrandone quella candida fama che lo fa brillare da tutti i lati, ed allontanerebbe da V. M. quegli animi che le sono rimasti ancora devoti, suscettibili a prolificarsi col tempo. Al cospetto di tanti rispettabili che accerchiano V. M. io non dovrei da me null'altro azzardare. Onorato però della clemente fiducia di V. M. e seguendo l'inalterabile mio sistema di lealtà al servizio della M. V. sodo di umile avvino che la M. V. in tanta immeritati dispiacevole posizione, sia benevola fare a Se stesso le seguenti domande: Può avere, o nò, speranza di prossimo sostegno estero? Può avere, o nò, dopo i spogli inauditamente sofferti, mezzi sufficienti a mantenere in piedi l'Esercito a provvedere ai suoi bisogni, ed a sostenere il partito nelle popolazioni che si pronuncia e si compromette per la difesa del Trono di V. M. nel puro senso italiano? La soluzione su queste umili domande deve decidere le determinazioni di V. M. Esse dal lato favorevole, non potranno far mancare, presto o tardi a favore di V. M. una condizionata lega italiana, ad onta della votazione: dal lato contrario non devono determinare la M. V. ad azzardare passi disperati, con la pubblica conflagrazione, che colla perdita del Trono potrebbe trascinare quella della storica fama e della pubblica disapprovazione. ,

Se Generali vi sono al fianco di V. M. che la pensano diversamente, vengano pure ad assumere il Comando di questo Esercito, che gli cederei senza ombra di rancore, accettando V. M. che dal fianco della M. V. farei incessantemente i più caldi voti per la buona riuscita dell'opera loro che procurar potrebbe la prosperità di V. M.

Se poi la M. V. vorrà che io operi nel modo offensivo, ad onta delle sommesse esposizioni, non esiterò a sacrificare tutto me stesso; ma V. M. abbia nella Reale sua mente che ho pochi Generali, e questi nell'intima convinzione della inopportunità della offensiva, che oggi ho anche pochi e scorati Ufficiali,insufficienti a rimettere e sostenere la disciplina, e penuria di personale adatto a supplirli con vantaggio; che la massa dei Sott'Ufficiali e Soldati, più o meno rallentati nella disciplina, é mirante principalmente al bottino, è pronta ad alzare il grido di tradimento e sacrificare chi attraversa la loro pervertita Inclinazione per ricondurli all'onore ed al dovere; sempre salva la fama dei molti buoni. Una determinazione, però di tanta importanza, e che decider dovrebbe della Dinastia di V. M. e della sorte dello Stato intero, la M. V. condonerà che nella situazione io cui ora ci troviamo, non io l'assuma da me, e che questa venga risoluta dal Consiglio di Stato, o dai Ministri, e sanzionata da Real Determinazione, comunque emessa con riserva.

Firmato Giosuè Ritucci

SUNTO DELLO STATO DI SERVIZIO

Del Tenente Generale Giosuè Ritucci, figlio del fu Colonnello D. Stefano, e di D. Angela Maria Nocerino — Nato in Napoli 18 Aprile 1794 — Li 17 marzo 1821 sposò la signora Giacoma Teresa Guerrieri — In seconde nozze — Maggio 1847, la signora Maria Errichetta Bursotti — Ed in terze nozze (1850) la signora Teresa Milazzo.

Volontario al 1. Reggimento Fanteria Leggieroli 20 Aprile 1807
Sotto Tenente 2. Reggimento Fanteria Leggiero 4 Novembre 1811
Tenente2. Reggimento Fanteria Leggiero 24 Marzo 1813
Capitano Real Farnese22 Settemb. 1826
Idem
Aiutante Maggiore
3. Cacciatori 6 Maggio 1841
Maggiore 2. idem8 Aprile 1844
Tenente Colonnello idem12 Agosto \m
Colonnello 7. Regg. di Linea15 Giugno 1849
Brigadiere21 Dicemb. 1855
Maresciallo di Campo19 Aprile 1860
Tenente Generale8 Ottobre 1860

Azioni avute

A’ fatto parte in tutte quelle con la 1. Divisione Militare nelle due Campagne del 1814, e 1815.

Si è specialmente distinto alla ripresa di Reggio, e di Modena, il 7 Marzo 1814, al Comando della 4.° Compagnia del 2.° Leggieri, di Avanguardia.

Si è anche distinto al passaggio del fiume Panaro il 3 Aprile 1815.

Da Capitano Comandante di Gendarmeria Reale, con missione, e con facoltà speciale, à sostenuti tutti i fatti d’armi occorsi da Gennaio a Giugno 1836, nella totale distruzione di famosi fuorbanditi nelle Province di Palermo, Trapani, Girgenti e Caltanissetta.

Si è trovato nelle azioni del 16 22, e 25, Gennaio 1848 in Palermo.

In Velletri il 19, Maggio 1849, stando al Comando del 2.° Battaglione Cacciatori, diresse sulla strada di Valmontone, e Montefortino lo Attacco contro la 1.a Brigata dello Esercito de' rivoltosi usciti da Roma, ove ferito al piè sinistro, gli cadde anche morto il cavallo che montava, da colpo di moschetto al petto; e tenne poscia nell’azione il posto de’ Cappuccini.

In quelle sul Volturno — da Comandante in Capo l’Esercito in settembre ed ottobre 1860.

Assedio di Gaeta nel 1860 e 1861 da Governatore della Piazza.

Funzioni disimpegnate

Ufficiale di Abbigliamento nel 1817.

Commessario del Re titolare da ottobre 1823 al 3 marzo 1828.

Quartier Mastro interino dal 1824 al 1825.

Da Capitano di Gendarmeria, ebbe speciale missione presso il brigantaggio, con facoltà di Polizia, dirigendo superiormente le Colonne di tutte le forze.

Stando al Comando del 2.° Battaglione Cacciatori ebbe la superiore direzione delle Colonne Mobili nella Calabria Citra nel 1844, quindi in Nicastro, Catanzaro Cotrone.

Presidente della Commessione Militare in Cosenza, anno 1843.

Da Maggiore al Comando del 2.° Battaglione Cacciatori, partiva, col Corpo, per l’alta Italia in Aprile 1848, e trovandosi innanzi la 2.° Divisione delle Truppe inviate agli ordini del Tenente Generale Guglielmo Pepe, passò il Pò, e si spinse fino a Venezia, ove, tra que’ fatti d'arme, con fermezza e costanza sostenne l’onore della Bandiera delle Due Sicilie. In quella difficile posizione e fellonia del Generale in Capo (ragion dell’epoca) si condusse in modo lodevole e tanto, da ritornare in Regno, col Battaglione affidatogli.

Da Tenente Colonnello — al Comando dello stesso 2.° Cacciatori ed una Sezione di Artiglieria, fu incaricato di ripristinare l’ordine pubblico nel Distretto di Vallo nel 1848 e Gennaio e Febbraio 1849.

Da General di Brigata à avuto il Comando della Brigata della Guardia Reale.

lo Marzo 1860 à comandato Superiormente nelle Tre Calabrie.

In Giugno 1860 fu nominato Ministro di Guerra.

Il 15 Luglio 1860 — Ebbe il Comando delle armi nella Provincia e Piazza di Napoli.

Il 29 Agosto 1860, fu nominato Ispettore di tutta la Cavalleria di Linea.

Il 2 Settembre 1860, passò a comandare la Divisione della Guardia Reale in Portici.

II 7 Settembre 1860. nominato Comandante Supremo dell’Esercito riunito al Volturno.

Il 9, Gennaio 1861, à il Governo della Piazza di Gaeta, già assediata.

Campagne e ferite

A’ fatto la Campagna del Regno nel 1807, 1808, e 1809,

Quella d’Italia nel 1813, 1814, e 1815.

Quella di Roma nel 1849.

Nell’azione del 25 Gennaio 1848, in Palermo, fu ferito nella coscia dritta da proiettile di moschetto.

Il 19 Maggio 1849. Ferito al piè sinistro, ed ucciso il cavallo che montava.

Campagna sul Volturno Settembre ed Ottobre 1860.

Assedio di Gaeta 1860 e 1861.

Decorazioni

Cavaliere dell’abolito Ordine delle Due Sicilie li 26 Marzo 1815.

Cavaliere dell’Ordine di Francesco I. li 28 Ottobre 1836.

Decorato dell’Ordine di S. Stanislao di 2.a Classe, da portarsi al collo, conferitogli da S. M. l’Imperatore di tutte le Russie, li 21 Dicembre 1846.

Cavaliere di dritto di S. Giorgio della Riunione li 20 Agosto 1849.

Commendatore della Legione d’ Oro di S. Silvestro di Roma li 20 Settembre 1849.

Decorato della Medaglia di Benemerenza per la Campagna di Roma — 18 Marzo 1850.

Commendatore con Placca del R. Ordine di Francesco I. Li 16 luglio 1860.

Decorato della Medaglia della Campagna di Settembre ed Ottobre 1860.

Gran Croce del R. Ordine di S. Giorgio li 30 Ottobre 1860. Decorato della Medaglia dello Assedio di Gaeta del 1860 e 1861.

INDICE

Ai lettori  V
Preliminare   Pag1
Rimessiva che fa Ritucci al Cav de Sivo d'un Cenno Storico riguardante la sua persona 7
Lettera risponsiva di de Sivo, come smarrita 70
Primo riscontro dilucidativo di Ritucci a de Sivo 70
Seconda lettera di de Sivo a Ritucci
Secondo riscontro di Ritucci a de Sivo 93
Terza lettera di de Sivo a Ritucci 114
Terzo riscontro di Ritucci a de Sivo118
Coment! confutatori - Indecisione nel Consiglio de Generali,
tenuto dal Re Francesco II il 26 agosto 1860
126
Condotta de Generali ne moti reazionari in S Antimo, Cesa e S Arpino 127
Carattere militare del Ritucci 128
Ideale asserto del de Sivo sull'investimento della Capitale,
contrariato da Ritucci
129
Domanda per avere Lamorici?re al Comando del nostro Esercito, o un Disegno di guerra Errori di quel Generale131
Se Lamorici?re, dopo Castelfidardo, avesse recata la  sua spada a Francesco II 139
Manca un Uomo 140
Inazione de' Regi ivi
Il Re voglioso di lanciarsi avanti, spicc? uffiziali a sospingere Ritucci 145
Riconoscenza disposta dal Ritucci il 13 Settembre, e prosieguo146
Sul parere dello Storico che se il 19 Settembre una Colonna di 6000 uomini marciato avesse sopra S Maria, l'avrebbe presa 148
Ripresa di Cajazzo149
La Brigata de' Carabinieri esteri ? destinata ad occupare
la posizione di Cajazzo
151
Calunnioso dubbio dell'autore de Sivo sulla ferita mortale riportata in Cajazzo dal Tenente Colonnello La Rosa153

Titubanze imputata dal de Sivo al Ritucci 154
Piano di diversione sopra Napoli, proposto dal Ritucci  156
Seguimento sullo stesso Piano 158
Ministeriali del 19 e 21 Settembre, che ingiungevano di andare avanti161
Ritorno sul riscontro del Ritucci; gi? cannato nel precedente Art. 18; momentaneo parere sull'abbandono d? Cajazzo; e voluto raffreddamento di Ritucci 164
Disposizione per Io attacco de' Garibaldini in Piedimonte di Alife167
Azzardate false asserzioni di de Sivo, sulla posizione dell'Esercito Regio, e sul proponimento de' Generati168
Si cerca ancora un Generale Francese, Changarni?r o Bedeau, ed al primo pure un Disegno di guerra175
Glose dello storico de Sivo sulle disposizioni della Battaglia del 1  ottobre 177
Seguimento sulle disposizioni di quella Battaglia181
Seguimento ancora sulle disposizioni di quella Battaglia184
Altro accozzamento di arbitrane asserzioni del de Sivo, tendente a sgravare i colpevoli a danno del Duce Supremo186
Strana proposta del de Sivo, d'aversi potuto sorprendere Napoli con diecimila uomini, e sottometterla ad un colpo 190
Disegno di diversione sopra Napoli 198
Altro specioso progetto del de Sivo, di bombardare S Maria, per tirare i Garibaldini sotto fe ?gne de' cavalli  196
Riconosce de Sivo l'errore di darsi al Tifata la Battaglia e taccia di errore il tempo, il modo, la disposizione e l'esecuzione201
Descrizione della Battaglia dal lato di S Angelo - Privazione delle Riserve. Distaccamento dal lato di S, Tammaro202
Condotta del Comandante la Divisione contro S Angelo,
e de' due Comandanti di Brigate
205
Descrizione degli attacchi dal lato d? Santa Maria ivi
Lettera di Ritucci al Generale Tabacchi 208
Riscontro di Tabacchi al Ritucci,210
Ripetizione sull'asserta mancanza della Riserva di Fanteria218
Riserva de' Garibaldini giunta da Caserta,219

Arrivo del Re, e del Conte di Trapani al Campo di Capua: disposizioni da essi date 220
Riproduce de Sivo la Sovrana disposizione , di far divergere contro S Maria
gli attacchi , impegnati a S Angelo ed a S. Tammaro  
332
Ristuccanti giaculatorie del de Sivo sul difetto di Riserve ed altro 323
Falsa assertiva, che la Cavalleria ed Artiglieria proteggessero la ritratta de' Regi 221
Lo storico de Sivo , taccia Ritucci di essersi comportato pi? come impavido Soldato , che veggente Capitano325
Cavalleria che ritenne il Brigadiere de Mechel dal lato di Maddaloni331
De Mechel, e, non Ruiz, fu il Crouchy del 1 ottobreivi
Riepilogo de' presunti errori, elevandosi de Sivo al di sopra del Generale in Capo234
Paragone della valentigia personale de' Borboniani e Garibaldini239
Seguimento di altre spiritose invenzioni dello Storico de Sivo,
travolgenti la corrispondenza col Ritucci
242
Ne di seguenti alla Battaglia , vane impulsioni al Ritucci di procedere avanti, imitando Fabio, e vi voleva Marcello 251
Gratuita asserzione del de Sivo sulla ignoranza de' Sardi alla frontiera. Erronea sua interpetrazione data al tumulto avvenuto il 5 ottobre in Capua, che produsse fucilazione d'un sergente etc.257
Scaramucce innanzi Capua 262
Lo Storico, nel descrivere tre ingordigie, da forza, suo malgrado, allo sconfessato merito de' concetti del Ritucci 263
Spiegazione al fraudolento esposto del de Sivo, riguardante
porre Capua in assetto di sostenere Assedio.
266
Improbo giudizio del de Sivo sull'attitudine della Soldatesca Bordonica allo avanzarsi de' Sardi; sulla pretesa dubbiezza del Ritucci) su i consigli del Negri, e perdita di tempo) e sulla posizione di Teano.267
Filastrocca del de Sivo, che danna non essersi assalito Cialdini a Venafro  ed anacronismo sulla ritirata de' Napoletani vergo Sessa, per colpire Ritucci274


Affastellalo parere del de Sivo, di ostare il passo con dieci mila uomini

ai Piemontesi al Ponte tra Sessa e Venafro, ed arbitraria sua assertiva,

che Disegno di guerra non si fece.

276
Taccia di sconforto tra Generali, che inducevano il Duce a tenersi grosso in Teano, ove speravano Capitolazione.279
Surrogamene al Comando in Capo dell'Esercito di Operazione.282
Schiarimenti sul breve cenno biografico del fu Matteo Negri.285
Conclusione.286
Documenti (N 15).287
Sunto dello Stato di Servizio del Ritucci.309



















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