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Gaetano Filangieri e la ricerca della felicità di Zenone di Elea [Aprile 2022]

Vita ed opere di Gaetano Filangieri: Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito

GAETANO FILANGIERI O L'IDEA DELLO STATO

NELLA FILOSOFIA ITALIANA DEL SECOLO XVIII

LETTURA

fatta il 17 Marzo 1873 al B. Liceo Galvani

DI

S. F. DE DOMINICIS

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Publicata dal Municipio di Bologna

______________________________

BOLOGNA

Regia Tipografia

1873


A

CESARE ALBICINI

CHE DALLA CATTEDRA E COGLI SCRITTI

PROMOVE E SVOLGE LE IDEE POLITICHE DE' GRANDI FILOSOFI ITALIANI

DISPOSATE A NUOVE ED AMPIE RICERCHE

E RIVESTITE DI FORMA NITIDA E TRASPARENTE

QUESTE POCHE PAGINE

SULLA STORIA DELLA FILOSOFIA POLITICA ITALIANA

DEL DECIMOTTAVO SECOLO

DEDICA

L’A.

L’IDEA DELLO STATO NELLA FILOSOFIA ITALIANA DEL SECOLO XVIII

Chi di noi non ha letto in libri stranieri o nostrani che l’Italia a cominciare dal secolo XVIII non ha fatto più nulla per i progressi della filosofia, e che spesso anzi conferì a ritardare e incepparne gli svolgimenti? Che dopo Giordano Bruno l’Italia s'è trovata fuori del movimento della storia, e ha cessato di vivere non solo sotto l’aspetto politico ma anche intellettuale? — Secondo siffatti giudizi accreditati fuori e favoreggiati fra noi da persone autorevoli, Bruno stesso non è che una cometa dai movimenti eccentrici; Vico non appartenne al suo secolo, né v'ebbe efficacia, e l’imparammo a conoscere solo per opera degli stranieri. Egli fu genio immenso sì, ma solitario: la sua mente si stancò in un monologo; le sue opere non ebbero filiazioni. Genovesi è poi inferiore a Locke; né continua una tradizione né ha continuatori; — Beccaria è uno scolaro degli Enciclopedisti che non può trattare alla pari con Montesquieu, Rousseau e Voltaire; — Filangieri è un ripetitore di dottrine altrui che ha collocato il legislatore fuori del popolo e del popolo non sente i bisogni; — Pagano una mediocrità speculativa e niente più d'un avvocato; — Romagnosi stesso è un’individualità scientifica più francese che italiana. Quindi tutto il nostro pensiero filosofico, al dire di costoro, è poca cosa; e vale ancora meno di un abbozzo. È un abbozzo senza spontaneità di disegno; è come un’iliade scritta da cento individui di cui l'uno non ha inteso l’altro, e perciò senza efficacia nell'elaborazione della coscienza nazionale, senza importanza nelle relazioni dell'Italia col mondo moderno.

Veramente questioni così ampie e con tanta sicurezza risolte non possono essere discusse in poche pagine. Occorrerebbe un’intera storia della filosofia italiana a dissipare le gratuite asserzioni e le prevenzioni sinistre, e sarebbe opera altamente nazionale; perché un popolo non esiste appieno, se alla coscienza dell'oggi non aggiunge la coscienza del suo passato; né può avere gran fiducia nell'avvenire del suo pensieri), se per far presto o per promuovere questa o quella forma sistematica di dottrine, gli si assegna un passato vuoto o confuso, incerto o frammentario.

Non taccio però che contro chi nega ogni spontaneità speculativa all'Italia moderna v'ha da noi pensatori illustri che senza giudicare la filosofia dall’aspetto religioso di ortodossia ed eterodossia, vedono nella speculazione italiana il pensiero precursore della filosofia straniera, con le stesse leggi di svolgimento con l’istesso carattere di ricerca; creando in tal modo un nuovo concetto del Risorgimento, una nuova interpretazione di Vico, e un significato più ampio e lusinghiero all'ultimo movimento delle idee italiane del nostro tempo. Però anche questi illustri contemporanei nel secolo XVIII non cercano che Vico e non vedono che lui, o di lui solo si occupano. Ma Vico non è solo nel secolo XVIII. Altre manifestazioni dell’attività speculativa v'ha in quel secolo; v’ha tutta una scuola politica ed economica. Ebbene, che cosa rappresenta nella storia del nostro pensiero questa famiglia illustre che comprende i nomi gloriosi di Giannone, di Genovesi, di Beccaria, di Filangieri, di Galiani, di Carli, di Verri e di Pagano? Sono essi fuori del progressivo svolgimento della coscienza nazionale, ripetitori di dottrine straniere, isolati e senza efficacia reciproca fra loro; ovvero si congiungono al movimento anteriore del pensiero nostro, e ritraendo le condizioni politiche dei tempi in cui vissero, hanno importanza speculativa e nazionale, perché svolgono con comunità di criteri gli aspetti della moderna idea dello Stato, ch'era uno dei momenti essenziali per cui dovea passare necessariamente il pensiero italiano?

Attenendomi alle quistioni che direttamente si ricongiungono al Filangieri e all'opera sua della Scienza della Legislazione ove tutte mettono capo le dottrine dello stato e della filosofia politica ed economica del secolo XVIII, mi proverò ad illustrare questo punto speciale della nostra storia. Mostrando come le dottrine di quel tempo nelle varie parti della teorica dello stato, morale, educazione, diritto, ricchezza, amministrazione; se dall’una parte germogliano dal fondo stesso delle nostre condizioni politiche e riflettono quindi vitalità e spontaneità di mente nostra; dall'altra si ricongiungono al movimento anteriore del pensiero italiano e stabiliscono continuazione e filiazione nella nostra vita intellettuale; formando intorno allo stato un organismo di dottrine che è la vera genesi della coscienza politica contemporanea. E perciò l'ingegno italiano nel secolo XVIII non fu semplice ripetitore dell'Enciclopedia o traduttore di scrittori stranieri. L’ ingegno italiano conobbe nel XVIII secolo la scienza straniera; tuttavia serbò indirizzo e fisonomia propria, non per boria, fanatismo o timidezza d'animo; ma perché pratico e retto da criteri profondi; e perché ritrasse nella mente gli speciali bisogni d’Italia cominciando fin d’allora quell’elaborazione nell’idea moderna dello stato, che noi attuiamo approfondendo, e la cui opposizione, sotto certi aspetti, all’idea francese dell’Enciclopedia costituisce anche oggi la nostra forza.

I

La dommatica ecclesiastica medievale avea degradata l’idea dello stato, considerandone la natura come fittizia, eccezionale ed eventuale; giacché lo stato diceva sorto perché l’uomo decadde, e l’uomo decaduto liberamente. Lo stato era quindi fuori del disegno della natura, o dell’ideale della creazione: suo fondamento era la colpa e la natura corrotta; suo ufficio aiutare la Chiesa sola riparatrice della fragilità umana. Imperocché ricompendiando la Chiesa tutto il nostro destino, promettendo la sola felicità di cui è capace l’uomo, felicità che ci aspetta fuori di questa vita di fango e di senso, di errore e di peccato, a lei sola conveniva ogni sovranità; e sovrano vero è il rappresentante della fede né le spade dei re hanno altro significato ed importanza, oltre a servire alla sua conservazione ed a concorrere ai suoi progressi. Perciò lo stato indipendente e fondato su interessi reali di Grecia e di Roma perde ogni indipendenza, e snaturato ed avvilito si confonde come figura secondaria e senza proprio fine nell'infinito rivelato e trascendente di dommi e di leggende. Così il cittadino è sopraffatto dal credente e signoreggia la religione. Tanto che la vera società naturale dicevasi non essere la società civile, ma la società teocratica; la giustizia sociale niente altro che una forma dell'etica religiosa; ogni moralità, la moralità del tempio; una patria sola bastare a tutti, quella del cielo; la vita, transito, esiglio; l'umanità non comportare altra unità che l’unità della fede. Per tal guisa l’idea dello. stato medievale sprofondandosi in un assoluto vago, perde l’uomo come ragione autonoma; non trova il vero assoluto ma riesce a togliere ogni valore al relativo; vagheggia il paradiso, e non fa niente perché si soffra meno sulla terra. E a questa interna confusione nell’organismo ideale dello stato s'aggiungevano nel medioevo i guasti della barbarie, il feudalismo generato dalla conquista, e la dissoluzione nelle forme della vita e ne’ costumi degli antichi popoli.

La Chiesa che colla sua cultura e co’ suoi dommi promoveva siffatto concetto dello stato, era allora fra elementi decrepiti o indisciplinati il solo elemento nuovo e ordinatore; e prevalse. Essa poteva esser vincolo di unione, e tal fu; servendo alla fusione de' popoli, a migliorarne i costumi colla educazione loro. Ma le religioni potenti a cominciare sono impotenti a compiere; né lo spirito umano poteva reggere a lungo alla umiliazione della ragione, alla negazione della realtà e degli interessi mondani. Da che seguiva il concetto dello stato medievale, perché irrazionale, dover scomparire al ridestarsi della ragione; perché fondato su interessi vaghi ed ascetici, negarsi al sorgere di veri bisogni e al mostrarsi di nuova vita. Infatti nel seno stesso del medioevo se la Chiesa esercita un potere benefico, non riesce però alla teocrazia di stabilirsi appieno. Come per istinto il principato rilutta alla Chiesa; riluttano i municipii agli ordini feudali; e tutto mostra che fra gli elementi della vita incomposta del medioevo manca all’ideale politico della Chiesa la forza di vincerli e di sovrapporsi. Il principato la contrasta perché sente che manca alla Chiesa il moto di vita civile e di libertà; l’ordinamento feudale rilutta col sentimento dell'individualità; né da sé vale ad imporsi, perché nega l’unità dello stato trasmessa dai Romani; il municipio conserva il ricordo del cittadino, ma non ha forza perché nega la nazione. Il medioevo è quindi provvisorio in tutto; e la Chiesa giovò come istituzione ma fallì come ideale politico. Però la storia non è un andirivieni senza scopo, senza provvidenza, direbbe Vico; e lo spirito umano negherà il medioevo, ma egli vi avrà guadagnato il vero concetto dell’uomo; che non è più il cittadino o il privilegiato, ma l’essere personale, l’uomo libero e ragionevole. E, progredendo i tempi, è su questo fondamento che si appalesano gli elementi della nuova trasformazione nella vita dello stato. E perché l’individuo è più rapido a muoversi delle moltitudini, e le rivoluzioni suppongono le evoluzioni ideali, il pensiero spezza i vincoli del medioevo, si ribella al giogo della schiavitù e si umana nelle forme letterarie e speculative. Alla credulità succede la critica. Intanto voci autorevoli cominciano a trovare incompatibile l’intolleranza religiosa colla dignità stessa dell’uomo e della religione; le scoverte scientifiche attutano il senso mistico; le invenzioni rianimano la coscienza della potenza umana; i traffici e i commerci estesi la concretizzano; la natura si contrappone al trascendente, e si schiude come libero campo di libertà e di conoscenze, come fonte sempre nuova d’ispirazione per l’arte. Così nel manifestarsi della coscienza l’idea dello stato riacquista il fondamento umano universale; trova se stesso come unità di direzione della vita, non più come Grecia e Roma ma come umanità; trova la giustizia e la morale come leggi della natura; l’unità non come domma ma nella realtà e nel pensiero. E allo sviluppo della scienza e della coscienza si congiunge il movimento della storia civile. La quale nell'ordine sensibile dei fatti dà nuova forma alla vita politica; e nell’occidente in cui si riconcentra l’importanza del mondo, gli interessi dei popoli s’incontrano con gli interessi dei re, e l’elemento fittizio della conquista medievale si scrolla. Popoli e re han contro il feudalismo. I popoli lo vonno abolito per alleviamento dei mali e come per istinto d’uguaglianza; i principi per sentimento di giustizia sociale e per necessità di non soffrire de' rivali strapotenti. Il feudalesimo è abbattuto e sorge il sovrano. Sorge con lui la forza di unificazione, la mondanità dello stato, il fondamento reale della nuova politica. Perciò e nell’ordine del pensiero e in quello de' fatti si nega l’idea medievale dello stato; l’unità terrena si colloca in luogo dell'unità religiosa; all'individuo disorganato del feudalismo, succede l’individuo forte nel nuovo stato; ai bisogni del cielo succedono i bisogni della terra. — Il sovrano, è vero, è sempre sovrano per grazia di Dio e lo stato non è ancora pienamente umano; ma la storia è processo, sviluppo e quindi progresso. La riforma religiosa intanto anch'essa concorre a svolgere l’idea moderna dello stato. Essa fa da un altro aspetto per i popoli del Nord quello che il potere regio area fatto per i popoli del Sud, togliendo alla chiesa l’unità e la prevalenza sullo stato, e mettendo la coscienza dell'uomo al disóvra della coscienza tradizionale del credente. Tutto si umana nel nuovo stato: lo spirito e la ragione tornano ad esser centro della vita, non nella forma esclusiva dell’antichità, ma nella forma universale ed infinita della coscienza cristiana. E questo è progresso e progresso immenso. Perché mentre lo stato orientale è quasi immobile come la sua civiltà, e assorbe il diritto nella forza, la giustizia nelle tradizioni e nel costume, l’individuo nell’unità castale o in ordini patriarcali e di consuetudini; e in Grecia e in Roma il cittadino solo costituisce lo stato; per contrario nell'età moderna, negata l’unità dommatica della teocrazia, abbattuto il feudalismo, rinfrancato l’individuo nella ragione; gli stati risorgono sul fondamento concreto ed universale della coscienza umana; e non v'ha più ragione di privilegiati e non privilegiati, di liberi e schiavi; dei pochi che s’impongono ai molti, dell'uomo che si sovrappone all'altro uomo, ma eguaglianza e libertà per tutti. Per tutti nuova vita e nuova coscienza; per tutti ricomparisce la patria cancellata dall'unità dommatica della Chiesa, ricomparisce il vero fondamento delle nazioni che devono ricollegare la famiglia umana non nel posticcio e nell’astratto, ma nell'onestà dell'uomo ragionevole, nella forza del diritto e nel lavoro.

La vita moderna come scienza e come politica è lo svolgimento di questa nuova idea dello stato. Essa s'individua graduatamente perché la vita è processo e sviluppo; e graduatamente costringe la Chiesa a rinchiudersi nel puro campo della credenza, e non impedire lo svolgimento delle nazionalità; graduatamente il pensiero si emancipa dalle forme teologiche nella morale e nel diritto, e la coscienza de' popoli assorge a sovranità. — L’Italia fu prima a creare gli elementi ideali del nuovo stato col Risorgimento; prima a segnare il nuovo orizzonte del pensiero moderno. Ma mentre fuori d’Italia il nuovo stato si estrinseca nella costituzione delle grandi monarchie, in Italia le nuove idee rimangono senza attuazione e pratica. Non che si agghiaccino ad un tratto sulle penne degli scrittori: vivono sì, ma non arrivano alla coscienza del popolo; e l’Italia ci presenta il singolare spettacolo di una grande cultura impotente a salvare la gloria, l’indipendenza e l’onore della patria. La Chiesa sta loro contro; e la Chiesa, avea ben ragione il Machiavelli, dovea essere nemica dell'unificazione d’Italia. Perché il papato continuatore di un falso cosmopolitismo nega la nazionalità e la patria, inceppa ed avvilisce la coscienza, stagna ogni movimento civile. Perciò lo stato nuovo rimane un’idea: un’idea che s’agita e si muove; e quando le nazioni moderne si costituiscono, fa parlare a Machiavelli di una nazione italiana; quando le nazioni moderne si ordinano, fa parlare di ordinamenti ai nostri scrittori, Ammirato, Giannotti, Parata; quando gli interessi mondani muovono la politica, fa scrivere la ragion di stato al Botero. L’idea dello stato è viva, ma manca il suo compimento pratico; e con la Chiesa cospira la storia d’Europa a renderlo impossibile. Imperocché tramontata la stella d’Italia allora che Carlo I spense la repubblica toscana e ridusse Napoli e Milano sotto il suo scettro desolatore, la penisola, tranne Genova e Venezia che colla libertà serbarono una parte di grandezza decrepita, precipitò di disordine in disordine; vittima di un’amministrazione ignorante e rapace, e dimentica di ogni generosa iniziativa. Nella lunga dominazione spagnuola, salvo il Piemonte che si organizza a vita italiana ed ha armi proprie per l’indipendenza; gli altri stati erano schiavi o fiaccati dallo straniero che estendevasi su più della metà della penisola. La brava gioventù italiana milita sotto bandiere spagnuole; e la patria negataci dalla Chiesa c’è guasta, corrotta, e depredata dalla servitù politica. E il male cresce e all'abbiezione politica si congiunge l'abbiezione della coscienza. Il concilio di Trento inaugura la corruzione del pensiero italiano. Esso tronca e rende inintelligibili le tradizioni del nostro Risorgimento; brucia gli eretici ch'erano i veri credenti, perché sentivano ed amavano qualche cosa; e mentre fuori d’Italia il sentimento e la fede schietta ringagliardisce gli animi, in Italia il pensiero che aveva preceduto la riforma, che aveva insegnato ai riformatori stranieri a ragionare, si abbuia; e un ipocrito macchinalismo d’atti e di forme copre uno scetticismo pallido che tutto immiserisce. La moderna autocrazia papale e il Gesuitismo sono gli effetti del concilio; di un concilio in cui si chiama cattolica una Chiesa che ha perduto milioni di credenti, e ove si discusse senza fede, senza franchezza e senza lealtà; e nel quale si credeva poter far risorgere ancora il medioevo. Nullameno fra mezzo a tanta abbiezione la nuova idea dello stato non si spugne in Italia. E quando nel secolo XVIII sorge un raggio di fortuna e alla dominazione spagnuola succede la meno triste dominazione d’Austria; e il Napolitano acquista la sua indipendenza sotto Carlo III, la Toscana si rialza colla nuova dinastia di Lorena, e i principi s’incontrano nei desideri de' popoli a volere l’emancipazione dalle forze rivali della feudalità e della Chiesa, una compilazione chiara delle leggi, un largo uso di libertà civile e un sistema di uguaglianza che cancelli i privilegi indecorosi introdotti dal tempo; e uomini di stato come il Bogino, il Radicati, il Tanucci, il Gianni e il Caracciolo si mettono all’opera delle riforme; il pensiero politico, sempre continuato, acquista una forma splendida e altamente civile, e ispira le menti nobilissime di Giannone, di Genovesi, di Beccaria, di. Verri, Filangieri, Galiani, Delfico, Carli, Pagano. Era con l’intelligenza che poteva lottare l’Italia divisa, e con l’intelligenza lottò; e il movimento d’idee che ne sorse è il più importante della storia della vita italiana. Allora lo spirito italiano si orizzontò nuovamente; allora, comprese appieno gli ostacoli al costituirsi ed allargarsi di sua vita; comprese la vera natura della Chiesa e la lotta impegnata con essa; l’importanza del popolo e dell'uguaglianza civile; e come senza emancipare gli stati dalle pastoie ecclesiastiche e feudali non ci potesse essere coscienza, grandezza e benessere. Certo la scienza italiana nel secolo XVIII non poteva far sì che l’Italia frastagliata in parecchi stati addiventasse una. La scienza non ha il potere di mutare ad un tratto le condizioni storiche de' popoli; ma essa si volse alla coscienza per rinnovarla, riformarne le abitudini, e cavarne il nuovo ideale dello stato moderno. In tutti gli scrittori politici v'ha un pensiero fondamentale, l’indipendenza dello stato, lo stato laicizzato, lo stato umano basato sulla ragione e la giustizia; e tutti con forme diverse, mossi dalle nuove condizioni dei tempi, si volgono a discutere il modo d’attuario e il suo sviluppo. È perciò pensiero nazionale il pensiero di questi filosofi. L’idea politica che fuori d’Italia avea ne’ fatti sensibili della storia sorpassato e rinnegato il medioevo; in Italia era rimasta senza compimento pratico. Ma come dissi benché vilipesa e perseguitata perfino come pensiero. pure nel secolo XVIII, i popoli incontrandosi coi desideri dei principi, là tradizione ideale politica si avviva e accomodandosi alle esigenze dei tempi ispira forma nuova di vita civile. Ed è innegabile che dal Risorgimento non si possa passare alla coscienza d’oggi senza Giannone, Beccaria e Filangieri e gli scrittori politici ed economici di questo secolo. Essi rappresentano l'indipendenza dello stato, e la più compiuta negazione del medioevo come chiesa prevalente e come feudalismo; e noi abbiamo data troppa importanza alla rivoluzione francese ed abbiamo troppo scordato lo svolgersi di interessi reali e i passi fatti dal pensiero italiano in quel secolo. Fu allora che si stabilirono le condizioni per l’unità e se ne formò il sentimento ideale; allora la mente dei nostri filosofi riconcentra tutte le sue forze per dichiarare nelle sue parti la nuova vita dello stato moderno. L’ Economia politica si volse a studiarne le condizioni pel benessere materiale; la filosofia svolse la nuova pedagogia civile, ritrasse i nuovi bisogni speculativi; discusse la nuova scienza penale, la nuova scienza amministrativa. E perciò la svariata e feconda attività intellettuale di quel secolo è attività spontanea e tutta nostra, generata dalle nostre condizioni politiche, avente unità nei nuovi bisogni e nella novella idea dello stato. Il quale rivolgimento riannodandosi idealmente alle dottrine anteriori, stabilisce continuazione; e forma colle nuove 2 dottrine un organismo, che fu uno dei momenti essenziali per lo sviluppo della coscienza nazionale.

II

E questo anello cui si riattaccano le dottrine sullo stato del secolo XVIII è Vico. Se la buona volontà de' principi e de' ministri e la confusione barbarica delle nostre leggi, le miserie dell’amministrazione, l’autorità sovrana intralciata, i privilegi delle classi, incitarono il pensiero di Giannone, di Genovesi, di Beccaria, di Verri, di Filangieri e degli Economisti, il fondo razionale però su cui lavorano e che dà loro unità, è il punto dove è arrivata la coscienza nazionale con Vico. — Essi lavorano per attuare l’idea moderna dello stato, per svolgerla nelle sue parti, per stabilire l’eguaglianza politica, P autono’ mia della ragione e della legge; ma la coscienza italiana ha già visto tutto codesto come esigenza storica del mondo moderno con Vico. — Vico è lo schema, il programa di tutta l’attività intellettuale del secolo XVIII. Egli è uscito da quella scuola di giuristi napolitani da cui usciva Gravina, Aulisio, Gaetano Argento e Giannone, e che fu chiamata falange antivaticana, perché minacciosa rintuzzava le pretese papali ed ecclesiastiche per amore all'indipendenza del proprio paese. Il Vico vide come esigenza della storia il mondo umano e le parti che lo compongono; la scuola politica ed economica del secolo XVIII ne comincia l’applicazione e svolge particolareggiando ciò che in Vico è legge generale ed esigenza storica; e quello che è idea si fa reale in loro, si fa vera coscienza.

In verità Vico è ne’ suoi tempi e non fuori; ed è un’esagerazione assai brutta fare di lui un genio solitario ed incompreso, disprezzato vivente, e studiato ed inteso solo ai giorni nostri. Invece egli ha avuta una tradizione in tutte le parti della sua dottrina, nel Diritto come nella Filosofia della Storia, nei principii morali come nella pedagogia. Genovesi lo conobbe e se ne dichiarò discepolo ((1)); Filangieri toglie da lui l'idea fondamentale della Scienza della Legislazione; Pagano lo commenta nei Saggi Politici; Concinna e Duni ne sviluppano le dottrine nella giurisprudenza; Stellini svolge da una degmtà la scienza de' costumi; e il pensiero vicinano comunica nuova forza ed indirizzo alle menti italiche ((2)). Onde con troppa leggerezza Giuseppe Ferrari rinnegò la verità dell'efficacia sugli Italiani della mente di Vico; accreditando fra gli stranieri vergogne che grazie a Dio non ha né l’Italia né il secolo della Scienza Nuova ((3)). Vico quindi non è disgiungibile dal movimento poteriore delle idee italiane del XVIII secolo. Il suo secolo l’ha conosciuto, l’ha studiato e

l'ha inteso. Qual meraviglia poi che il secolo XVIII non abbia esaurito lo sviluppo del pensiero di Vico? Esauriva forse la Grecia il pensiero di Platone ed Aristotile? La Francia di Luigi XIV il pensiero di Descartes? Il Risorgimento il pensiero di Bruno? — Neanche oggi, dopo la filosofia tedesca ed italiana del secolo XIX, il pensiero di Vico è compiuto. Però la Scienza Nuova rappresenta il progredire della coscienza italiana sotto forma storica universale, e riannoda l’osservazione galileiana del mondo esterno al mondo interno; né ha soltanto importanza speculativa, ma anche importanza nazionale. Quella consiste nel far sì che la filosofia, che s'aggirava nel mondo della Natura e nell'individuo, si compia col mondo della storia e colla coscienza dell’umanità; in guisa che la vita individuale illumini la storia e i fatti sociali, e l’umanità si mostri vivente nell'individuo; creandosi con tal connubio una geometria delle nazioni, una storia ideale, non mossa da forze esteriori, ma da forza intrinseca e spontanea. Donde il nuovo concetto dello spirito; la filosofia veramente positiva che procede sul corso delle umane idee; il pensiero non immobilizzato nelle parole e nelle religioni, ma il movimento nella parola e nel mito ch'è filosofia e mitologia o scienza delle religioni; il Cristianesimo e la civiltà cristiana sottoposti al corso naturale della storia come mente che informa e dà vita a questo mondo di nazioni. La parte nazio. naie, universale ancor essa, riguarda tutte le nazioni e abbraccia perciò l’Italia, ed è risposta in ciò che il dispiegarsi della storia porta come necessaria conseguenza della sua evoluzione i tempi umani, diversi dai tempi eroici e sacerdotali. È quindi falso che egli spaziasse solo nell’umanità gentilesca, e trascurasse o ignorasse il mondo moderno. Del mondo moderno ve n’è quanto occorreva a sviluppare «la storia ideale delle leggi eterne sopra le quali corrono i fatti di tutte le nazioni ne’ loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e finixxxx». E fra i popoli moderni vedeva come legge storica il perfezionamento delle monarchie; le loro origini nei feudi; i re che nel medioevo difendendo con le armi la religione o le nazioni armate piegano a costumi e giudicj diversi; e il trionfare quindi della vera umanità. E nel mondo umano del Vico deve prevalere una morale ed un diritto della ragione, una giurisprudenza nuova, una nuova legislazione ed anche una forma religiosa che è la religione della coscienza ((4)). Certo Vico non narra, né descrive, ma deduce: egli è come geometra; è chiaro a chi pensa non a chi legge solo; ma il suo pensiero è comprensivo, vastissimo e principalmente civile. Vico ritrasse come fato della storia moderna la suggezione del feudalismo e della Chiesa, il grandeggiare della ragione, il nuovo stato; e così idealmente si incontra con. Giannone, Genovesi, Beccaria e Filangieri; e quello che per lui è prodotto necessario della storia, per essi è un’esigenza dei tempi da incarnare ed attuare, e perciò stabiliscesi continuazione.

E l’incontro non è superficiale o fortuito, ma profondo e sostanziale. Infatti Vico avea visto come degli elementi confusi del medioevo per la spontaneità stessa della storia si dovessero sviluppare i nuovi tempi colla soggezione del feudalismo e della Chiesa. Giannone, ciò che Vico ritrasse come legge ideale eterna, ai tempi stessi del Vico l'affermò come intimo spirito della storia civile del reame di Napoli. Giannone è nel mondo reale, Vico nell'ideale; ma il problema e la soluzione è la stessa. Ed essi avevano accomunati i loro spiriti nello studio del Diritto romano e nelle opposizioni alle pretese del Vaticano sul Reame di Napoli ((5)); e se Giannone sembra più italiano di Vico, gli è perché da storico tratta lo sviluppo della coscienza politica per circa quindici secoli ((6)), mostrando il Reame oppresso da chierici e da frati che ne possedevano circa due terzi delle terre ((7)); e quanto fossero non meno ignoranti che corrotti, e speculassero sulla credulità pubblica, e come fosse la Chiesa addiventata una cospirazione organata contro i popoli; e le istituzioni corrotte e mutato il primitivo spirito di beneficenza in egoismo ((8)); e in tutte opposto allo spirito del cristianesimo il cattolicismo, che stogliendo dalla vita reale, pervertiva. Concetto che egli svolse in tutte le sue parti nel Triregno. Ma nella storia civile come nel Triregno Giannone ha la coscienza dell’anacronismo del papato e de' mali che arreca all'Italia; e come Machiavelli ama una religione che faccia il costume e che serva alla vita; religione che, diversamente dal segretario fiorentino, egli trova interpretando il primitivo cristianesimo. E però nessuna meraviglia che il ghibellinismo filosofico di Giannone facesse più paura che il pensiero della Scienza Nuova. Vico pensava, è Giannone pensava, diceva e ardiva; e ardiva tanto che S. Gennaro rifiutandosi a fare il consueto miracolo, costringeva il povero vecchio a fuggire a Vienna nella speranza che là i santi del paradiso si spaventassero meno delle verità della terra, o che la protezione di Carlo VI valesse a rendere meno amara la vita al difensore del diritto civile de' popoli. Ma dopo poca calma la sciagura lo perseguitò ancora, e dalla fortezza di Ceva e dalla cittadella di Torino scriveva a Carlo Emmanuele III che l’Idra d’Italia è a Roma; allargando il pensiero della storia civile del Reame di Napoli a tutta Italia ed alla civiltà d’Europa ((9)). Laonde la mente di Vico e di Giannone hanno un processo inverso: questa dal fatto particolare va alle leggi generali della civiltà; quella nelle leggi generali della civiltà include la soluzione al problema dei fatti particolari del suo tempo; ma l’una e l’altra ha intendimento civile e aspira a vita nuova.

Come Giannone, anche il Genovesi, il Beccaria, e il Filangieri proclamano l’indipendenza dello stato, e lo vonno laicizzato, sciolto dalle pastoie feudali e retto dalla ragione; quindi s’incontrano nel pensiero di Vico di uno stato umano. E se l’opposizione alla Chiesa è meno aperta in loro che in Giannone, non è però meno profonda; che anzi in essi la coscienza del nuovo stato si fa sempre più chiara particolareggiandosi nelle sue funzioni.

Per vero nel Genovesi questo pensiero civile si svela in nuovi aspetti fondamentali. Egli continua la distruzione dello scolasticume, proclamando l’autonomia della ragione, mostra nella mancanza di libertà la causa di decadenza del pensiero italiano ((10)); toglie la filosofia agli arzigogoli metafisici de' frati che diceva nati soltanto per ciarlare ed ingrassare ((11)); e le scienze considera come funzioni sociali ed organiche che devono affaticarsi per migliorare l'uomo ((12)). Nell'ordine etico il Genovesi richiama la morale all’osservazione psicologica e storica, sciogliendola dal dommatismo religioso. Alle azioni umane trova due motori, l’amore di sé o forza concentriva, l’amore degli altri o forza espansiva; e la felicità consistere appunto nel trovare la legge di equilibrio tra queste due forze. E questa legge è la legge morale: la quale nasce dalle proprietà dell'umana natura, che sono anche i suoi diritti. E però v’ha eguaglianza naturale di diritto in tutti, e non v'è epoca della vita umana che si sottragga al dominio della legge morale. Nell’ordine sociale poi non riconosce altra personalità giuridica che il cittadino; e del cittadino dichiara supremo dovere, dovere nobilissimo, la fatica, l'amare ed operare in pro della patria, e il soccorso reciproco. Dinanzi allo stato tutti sono uguali e non v'ha diritto a privilegi. I privilegi chiama polipo del cuore politico degli stati ((13)). Delle proprietà del clero proprietario vero è il popolo, e lo stato può disporne per far servire codesti beni alla salute di tutti ((14)). Né il sacerdozio ha altro potere oltre lo spirituale; ciò che sorpassa la coscienza è del potere dello stato, a cui tocca regolare la modalità dei diritti della Chiesa. Chiamò il filosofo di Castiglione governo d’invenzione divina l’inglese, e il terzo stato vide come luce, intelletto, e consiglio delle moderne società politiche ((15)); né pensò mai le proprietà individuali distruggersi, ma solo correggersi con opportune leggi. Congiunse ancora il Genovesi la speculazione filosofica alla pedagogia civile reputando la grandezza e libertà di un popolo non poter sorgere che dalla sua educazione ed istruzione; le quali formano il supremo interesse degli stati perché selvatico è sinonimo d’indomito ((16)). E alle cognizioni per il popolo desiderava congiunto il buon costume e il galateo senza cui le scieme sono armi di offesa ((17)), e le cognizioni non date a mero diletto ma in ordine alle professioni della vita. Voleva sorvegliato l’insegnamento ecclesiastico,ristretto il numero dei preti, desiderando che promovessero l’agricoltura nelle campagne. Le scienze insegnava non come astrazioni, ma viventi ne’ fatti, e nella Logica pei giovanetti sposava ai precetti della dialettica i principii della morale, dell'economia e della politica. I demoni, era suo avviso, non temono niente di più che la scienza, e le barbare scuole dei suoi tempi chiamava grotte di Trofonio, che stupefanno ((18)). Nell’educazione poi fondava assai, perché sola fa l’uomo e i popoli: la natura e il clima diceva il buon abate dònno solo la pasta. Desiderò e promosse società agrarie, case di mendicità: amò l’Italia nella sua lingua e disse perfino che questo paese non sarebbe grande se non unificato ((19)). Amico sincero della libera ragione, della giustizia, dello stato autonomo, delle riforme pratiche; il mondo delle nazioni ritratto da Vico nella forma ideale, Genovesi lo studia nella forma concreta del commercio; e feconda coll’Intieri e col Galiani quegli studi economici che ebbero tanta parte ai miglioramenti politici dei tempi, e che tornarono così opportuni allo sviluppo dell’idea dello stato.

Ed è all’idea dello stato autonomo, idea in cui s’incontra col Giannone e col Vico, che ricongiunge il Genovesi la scienza economica; e s'è protezionista per il commercio estero, vuole però che lo stato promova la libertà del commercio interno o la piena libertà di circolazione come egli diceva. Assegna a fine ultimo dell'economia politica la grandezza, la gloria e ((20)) la felicità dello Stato; a fine prossimo la proporzionatamente numerosa popolazione, la ricchezza di essa e la civile felicità. Fonti della ricchezza sono le arti ed il commercio. Egli precede, facendo il lavoro fondamento della ricchezza, l'industrialismo di Smith. Prima di Malthus vide una relazione fra la popolazione e la ricchezza; prima di Quesnay e de' fisiocrati l'importanza dell'agricoltura; senza però errare ammettendo che la soddisfazione dei bisogni non possa venir all’uomo da ogni altra parte dei suoi lavorile per primo diede forma logica a questa scienza facendola servire allo sviluppo della nuova idea dello Stato. E la questiono de' privilegi della Chiesa sullo Stato risorge nell'Economia; e Genovesi tenne per lo Stato autonomo; né è a fargli colpa come pensa il Ferrara di aver prestata attenzione a tali quistioni, che anzi è in esse la vera elaborazione della vita italiana, lo sviluppo della nuova coscienza ((21)). Così l’Economia, questa scienza tutta moderna e figlia ancor essa d’Italia, nata nel carcere stesso ove Campanella espiava la colpa di aver amata la patria e fra i dolori che cagionavano le replicate torture al povero Serra, si congiunge nel secolo XVIII al movimento generale del pensiero, per allargare e migliorare il concetto dello Stato, per dargli indipendenza nella forza materiale, guerreggiando la miseria, fonte di malore e di viltà nei popoli. E se nel secolo XII l’Italia usciva dalla barbarie col braccio della libertà, si sforzava allora di togliersi agli abusi di una micidiale amministrazione e assorgere a nuovi destini coll'aiuto dell'Economia politica. La quale svoltasi come scienza di governo e di giustizia, perché i Governi avevano guasto lo sviluppo delle forze produttrici della ricchezza e conculcato l'uomo; sollevava il popolo col lavoro, intendendo a colmare gli abissi delle disuguaglianze fra le classi, lasciate dai tempi. L’ Economia politica mostrava alle monarchie che la grandezza loro era riposta nel promuovere gli interessi dei popoli, e che senza scienza e senza libertà gli Stati indietreggiano o si muovono a sbalzi, secondo il capriccio di chi li dirige, ma lontani sempre da vera forma di progresso.

La forza con l'aiuto di questa scienza imparava a trovare il proprio interesse nel governare con giustizia: gli Stati acquistavano la propria coscienza coll'esame delle funzioni degli organi sociali: gli individui, il sentimento della libertà nel promuoversi dell'industria e del commercio. L’Economia ha cancellata la colpa del peccato originale, trasformando il castigo del lavoro in soddisfazione e legge di progresso dell'umana natura. Ed è per queste ragioni che gli studii economici del secolo XVIII hanno importanza nazionale, e sono un aspetto del nuovo movimento delle idee civili sullo Stato. Galiani, Genovesi, Delfico, Palmieri, Carli, Verri, Beccaria e tutta la famiglia degli economisti, criticando le cattive amministrazioni patrie per correggerle, lavoravano nell'istesso disegno di costituire uno Stato indipendente e forte, ispirato dalla Giustizia e dalla Ragione, regolato sui bisogni reali della vita, non sugli ascetici e fantastici. Imperocché il pensiero filosofico del secolo XVIII dà autonomia allo Stato, non autonomia astratta, ma concreta e vivente, mostrando nel lavoro e nelle assennate amministrazioni il benessere dei popoli e la via de' loro progressi. Senza questa famiglia di economisti i pronostici storici di Vico, la coscienza di Giannone, le idee speculative di Genovesi sarebbero state monche. Bisognava dare allo Stato indipendenza materiale; bisognava far tornare la felicità dai cieli alla terrà, bisognava svolgere le forze materiali dell'uomo. E le idee economiche vengono mano mano lungo il secolo perfezionandosi. Il protezionismo di Genovesi si fa minore assai in Beccaria e Verri; si annulla in Filangieri; e il rivolgimento delle idee indica il progresso della coscienza del popolo, la nuova vita alla libertà. Gli scrittori di Economia numerosi nelle varie provincie d’Italia studiavano su problemi concreti e ottennero delle riforme; studiavano per interessi vitali e nostri, e fecero del bene ((22)); e quale che sia la loro importanza scientifica, non si può negare loro di aver partecipato al costituirsi della coscienza nazionale. Benché per altro paia a me esagerato assai il giudizio del Ferrara che dai fisiocrati soli cominci la vera scienza economica, quando in Italia e indipendentemente dalla Fisiocrazia c’era un pensiero economico, che se non aveva raggiunto la forma e lo sviluppo della mente di Smith, aveva ricerche più ampie e meno esclusive de' fisiocrati e non senza importanza per i progressi ulteriori. ((23))

Ma lo Stato non è sola coscienza, sola educazione, solo benessere: lo Stato è principalmente organo del diritto e nel diritto stabilisce le condizioni di ogni attività, di ogni legge. E al problema del diritto come legislazione si rivolsero in modo speciale il Beccaria, il Renazzi, il Filangieri. E come la dottrina del Giannone dello Stato indipendente è un aspetto dell'altra di Vico del mondo umano e civile; e Genovesi e la scuola economica, svolgendone le parti, compiono un organismo di cognizioni che ha tradizione nel pensiero italiano, del pari la scuola giuridica si ricongiunge allo svolgimento anteriore della coscienza nostra. Giacché prima ancora che Kant cercasse un diritto cosmolipotico, Vico aveva vista una legge eterna di Diritto, aveva fatta razionale questa scienza chiamandola col suo nome per la prima volta in Italia ((24)), distinguendola dalla morale e collocandola sul fondamento dell'umana natura. Mancava, è vero, nel Vico la trattazione delle parti speciali del Diritto, ma la sua nozione e le leggi fondamentali di essa erano trovate ((25)). Il Vico chiama diritto la regola o norma de' movimenti umani o sociali; e accenna all'esigenza dello sviluppo razionale delle parti di questa scienza. Beccaria è appunto il razionalista del diritto penale. Egli s’incontra con Vico nello studio di Bacone e di Grozio, ed entrambi sorpassano e Grozio e Bacone ((26)), e se scrive per le preghiere del Verri e mosso dagli abusi delle legislazioni che chiamava secolo di secoli barbari; ricorda però colla sostanza della dottrina la divisione già compiuta in Italia della Morale dal Diritto e l’avviamento razionale di questa scienza. Infatti il Diritto, diceva Vico, riguarda la società; la Morale la passione, l’interno della coscienza ((27)); dal Diritto nasce l'utilità; ma il Diritto non è l’utile, non è sentimento, non forza, non bisogno, ma ragione; e sulla ragione del diritto si fonda l'autorità sociale ((28)); e il titolo legale di associazione politica desumeva il filosofo napolitano da comunanza di natura e interesse fra gli uomini, dal comun voto di lavorare insieme per l'umana perfettibilità ((29)). Io non so sé Beccaria studiasse il Vico. Alcuni l’han detto ((30)), e non si può negare, sia che si spieghi la uniformità dell'indirizzo collo spirito dei tempi, sia con lo studio del filosofo milanese sul napolitano, che v'ha continuazione fra loro.

E veramente la dottrina dell’opera dei Delitti e delle Pene arrivò nuova fuori d’Italia, perché tutta nostra,

tutta omogenea all'elaborazione delle idee politiche di quel secolo; e perché essa ha maggiori relazioni col movimento del pensiero italiano di quanto si rivela nelle apparenze E per intendere tali relazioni non devesi credere d'aver giudicato pienamente il Beccaria, dicendo di lui che scagliò l’anatema della civiltà contro la pena di morte, la tortura, la confisca, le pene infamanti e il materialismo delle prove legali. V’ha un significato più profondo nel rinnovamento giuridico di Beccaria: non è sola filantropia, solo buon senso e buon cuore in quelle pagine; v'è filosofia molta, ed è filosofia nostra. Perché la coscienza italiana, come dissi, era già arrivata a dividere la Morale dal Diritto, a vedere il diritto come ragione nella società, e le associazioni politiche fondate sul voto della natura e della perfettibilità; a ravvisare il Diritto nella storia e nel movimento progressivo di popoli. Beccaria continua e svolge questo indirizzo. Distingue egli tre classi di virtù e di vizi, religiosa, naturale e politica; e la politica sola fa oggetto del Diritto criminale in quanto scienza ((31)). Per tal modo la giustizia divina era separata dalla umana «e gli affari del cielo vanno ormai a regolarsi con leggi affatto dissimili da quelle che reggono gli affari umani ((32))» né i tribunali valicheranno più le soglie della coscienza per rintracciare delitti di religione e di pensiero. Il diritto penale addiventa positivo; e la pena acquista un carattere razionale, un criterio di giustizia od ingiustizia in ciò che occorre o no per la sicurezza sociale. E perché la società si fonda sul Diritto, deve rispettare la santità dei diritti dell'individuo; onde la vera sovranità è costituita dagli individui «e il sovrano è il rappresentante della sovranità nazionale ((33))». Così il diritto penale informato alla ragione, la pena considerata come funzione sociale, umanizzava lo Stato: negava a lui il potere di farsi Dio sulla terra disponendo della vita degli uomini, cancellando il domma terribile dell’espiazione e quello della trasmissione divina dell'autorità. — È questo il fondo della dottrina di Beccaria. È la società considerata nella sua funzione giuridica razionalmente, e con metodo positivo e storico; è l’individuo che risorge colla santità de' suoi diritti; è la perfettibilità sociale incarnata nella legislazione. Né le leggi sono puri patti, pure modalità come in alcuni luoghi fa credere, ma esistono negli immutabili rapporti delle cose ((34)). Tutto poi il libro Dei Delitti e delle Pene è informato al pensiero dell’autonomia dello stato. Lo stato è solo interprete e custode delle leggi ((35)): dentro ai confini di un paese non dev'esservi alcun luogo indipendente dalle leggi; la forza di esse seguir deve il cittadino come l’ombra segue il corpo; e una pena non si può chiamare precisamente giusta finché la legge non ha adoperato il miglior mezzo possibile, secondo le date circostanze di una nazione, a prevenire i delitti ((36)): e i delitti non si prevengono inceppando la libertà, ma semplificando le leggi, spogliandole de' privilegi, rendendole benefattrici dei popoli, congiungendole alla scienza ed all’educazione ((37)). Beccaria porta l’umanità nella pena, la pena considera nella natura umana e nella società; l'utilità non disgiunge dalla morale; e il criminalista è anche psicologo: la politica vuole il Beccaria che guidi al bene i sentimenti immutabili degli uomini E come Vico fa discendere la sua riforma dallo studio dell'individuo; Beccaria dalla considerazione dell'umana natura fa emergere la riforma penale. Vico compie l’individuo con la società; Beccaria contempera l’utilità sociale colla santità dei diritti individuali ispirandosi alla considerazione storica dello svolgimento e miglioramento dei popoli. Beccaria quindi è un aspetto dell'idea italiana dello stato del secolo XVIII. Né tace della Chiesa: I saggi governi, egli dice, non soffrono nel seno del travaglio e dell’industria l'ozio politico ((38)), accennando chiaramente alle manimorte, agli ordini monastici contemplativi e mendicanti, al vagabondaggio ecclesiastico, a quel ceto sociale che acquista senza mai perdere, ch’è venerato dal volgo con istupida venerazione e che si fonda sulle passioni di opinione ((39)). E stigmatizzando come delitto la vita monacale, non riflette forse la dottrina italiana de' suoi tempi? Ma che dire di lui stesso che scrivendo al Morellet si fa scolaro degli Enciclopedisti ((40))? Sì, c’è Rousseau nel libro dei Delitti e delle Pene; ma non è né la parte principale, né la più solida. — L’ipotesi del contratto resta al di fuori della sostanza del libro, ed essa se vale a qualche cosa, vale a piegare ad alcun sofisma la mente del nobile filosofo milanese. Tale è quello argomento contro la pena di morte cavato dal contratto delle volontà patteggianti; contratto impossibile e immaginario. Il vero fondo del libro è il concetto razionale del Diritto, la considerazione psicologica e storica, la supremazia e l’unità del potere civile; e questi son tutti elementi della coscienza speculativa italiana del suo secolo, son tutte quistioni che nascevano dal seno stesso della vita nostra.

Per tal guisa v'ha una profonda connessione nelle dottrine politiche del secolo XVIII. Esse, mentre rampollano dalle nostre condizioni politiche, continuano dottrine anteriori del pensiero italiano, formando coi vari autori un ideale organismo sullo stato. L’Italia non è mai morta intellettualmente: essa è viva e vigorosa nel secolo XVIII. Fu in questo tempo che la coscienza italiana sentì fortemente sé stessa, e trovò la Chiesa e il privilegio come ostacoli all'indipendenza interna, e promosse dottrine, che preparavano a nuovi destini. E perché lo stato è l'organo sociale, il grande organismo umano, la società che basta a sé stessa; in esso vi ha tutte le funzioni dell’individuo; v'è la funzione educativa, la funzione economica, la funzione giuridica, la funzione religiosa, quali condizioni di sviluppo o norme di direzione della vita, cioè come giustizia. Or tutti questi elementi sono espressi nel secolo XVIII italiano. Vico è la coscienza dello stato, il suo fondamento, il tempo umano; e perciò si riflette in tutti. Le funzioni dello stato non. sono separabili, e perciò troviamo l'Economia congiunta alla morale, il Diritto alla storia, l'educazione alla psicologia; il quale movimento d'idee si raccoglie nel Filangieri come movimento italiano e della nostra coscienza. In lui c’è l’idea storica, l’idea economica, giuridica ed educativa; vi è tutto. il pensiero del secolo XVIII come forma legislativa.

La Scienza della legislazione come la scienza Nuova non sono opere originali in tutti quanti gli elementi che entrano a comporle. È interpretazione angusta del genio quella che crede dovere esso sempre e in tutto creare di fondo cose nuove. Far sorgere il nuovo dal vecchio, anche questo è genio. E il Filangieri non può essere giudicato che con questi criteri; e sono gli stessi criteri con cui si giudica la logica di Aristotile, la somma di S. Tommaso, il Cosmos d'Humboldt. Difatti il Filangieri fa sorgere un organismo nuovo da idee che in gran parte preesistevano; svolgendo ed applicandole in nuova forma, e mostrando fra loro nuove attinenze e nuova unità. Toglie dal Vico l’idea fondamentale della Scienza della legislazione; e come il Vico trasse dall’osservazione dei fatti sociali e dallo studio psicologico della natura umana una storia ideale eterna, il Filangieri da questi stessi elementi trae una scienza della legislazione per tutti i popoli e per tutti i tempi ((41)). Come dunque si è potuto far di lui un ripetitore di Montesquieu? E se dal Vico toglie il concetto fondamentale dell'opera, del Genovesi e del Giannone è l’indirizzo civile che egli continua; dal Genovesi stesso, dal Galiani e più ancora dal Verri piglia gli studi economici; dal Beccaria l'avviamento giuridico ((42)). Scrive la legislazione rivolgendosi a(:) principi; ma sono i bisogni e le miserie dei popoli che commuovono l’animo ed ispirano la mente; eppure si è detto, e da scrittori italiani, che collocò il legislatore fuori del popolo e del popolo non sentì i bisogni; mentre se ha colpa essa è d'avervi spesso, per iscuotere l’ozio politico, declamato sovra anche troppo. Ma se gli elementi che preparano la scienza della legislazione sono dottrine italiane; è italiano e del suo secolo il concetto che si fa dello stato. Come Genovesi, Giannone, e Beccaria, anche Filangieri vuole lo stato autonomo, e come loro fa centro e rappresentante dello stato il sovrano. Era questa la sola forma possibile di vita politica allora, ed è titolo di gloria pei filosofi l’aver vagheggiato, con bell’accordo, verità praticabili, non utopie. E lasciamo pur dire al Cantù che in fondo in fondo questa non è filosofia liberale perché se distrugge ordini ecclesiastici e feudali, privilegi di corporazioni, di istituti e di città, essa lo fa per accrescerne la podestà unica del principe, costituendo per tal modo una forma di dispotismo illuminato. L’ illustre storico non ha inteso nulla di questo periodo di storia: non ha inteso il concetto del sovrano di Giannone, di Genovesi, di Beccaria e Filangieri.

Il sovrano della Filosofia italiana del secolo XVIII non è il despota, non è la persona del principe: il vero sovrano della filosofia italiana è il pensiero della giustizia di cui è custode il principe; e non poteva esserne custode il popolo perché bisognava appunto creare questo popolo! Il sovrano è lo stato autonomo; è l’indipendenza nella vita interna d'Italia quando non poteva esservi indipendenza dalle forze di fuori; ed è tanto poco la persona del principe che Beccaria gli nega il diritto di grazia, e fa di lui il rappresentante della sovranità del diritto degli individui, domandando l’abolizione della pena di morte. Il Filangieri poi si volge al sovrano per creare il popolo allora immiserito ed abbietto, personificando nel principe legislatore il sistema della legislazione, che è sistema di giustizia.

E per ammaestrare il legislatore esamina il Filangieri le parti che compongono la legislazione; la quale deve tendere come a suo scopo alla conservazione e tranquillità sociale. ((43)) Indaga le leggi politiche ed economiche che s’aggirano sulla popolazione e sulla ricchezza, e vedendo la decadenza della popolazione in Europa e nel suo paese per la miseria pubblica, giacché ciò che rende difficile la sussistenza tende a diminuire la popolazione: ne dichiara le cause nel piccolo numero dei proprietari e nell'immenso numero dei non proprietari; nei molti gran proprietari e pochi proprietari piccoli; nelle ricchezze esorbitanti e impantanate degli ecclesiastici; nei tributi eccessivi; nei dazi insopportabili e nella maniera violenta di esigerli; nelle truppe stanziali, e nella pubblica incontinenza ((44)). La ricchezza pensa il Filangieri che si crei negli stati col lavoro ((45)). Così l'Etica e l'Economia del Genovesi si compie colla politica dell’autore della legislazione. Le nazioni più ricche egli dice sono le nazioni più laboriose; e sorgenti di ricchezza sono l’agricoltura, le arti ed il commercio. Filangieri non è della scuola fisiocratica: la fisiocrazia ha un lato vero, ma in Italia vi era una tradizione più comprensiva che avea visto l’importanza dell'agricoltura senza ridurre tutto ad essa. E scrivendo per tutti i popoli, avverte che nelle nazioni dove l'agricoltura si può con vantaggio coltivare, le leggi non debbono trascurare i progressi delle arti e del commercio; ma debbono sempre subordinarle a quella. Espone quindi gli ostacoli dell’agricoltura nella mancanza di libertà del commercio; nel cattivo sistema delle leggi governative; nei demani; negli eccessivi accentramenti che tolgono la vita alla campagna: però s'inganna sul valore delle grandi capitali. Il commercio vuol libero addirittura: Vede la miseria conseguire al protezionismo che flagella. Nel sistema de' dazi egli sta per una sola tassa imposta sulle terre: idea falsa, e derivata dalla fisiocrazia che Filangieri s’appropria soltanto come mezzo amministrativo ((46)). Nelle leggi criminali esamina la procedura, che trova difettosa e barbara; parla del carcere preventivo, che vuole diviso da quello dei condannati; esige a garanzia della personalità il sistema dei giurati e formola una logica legale per la prova dei reati, che il povero Pagano sviluppava in seguito. Nel sistema delle pene tiene una via media tra la mitezza e la rigidità. È però doloroso che egli ammetta fra le pene la confisca e la morte. Ad onore del Filangieri dobbiamo dire che vide il lato difettoso di uno dei ragionamenti del Beccaria, senza però sostituirne altra migliore; e forse, per la pena di morte, le condizioni stesse del suo paese non lo rendevano inclinato a maggior mitezza, che è pure giustizia per un popolo progredito ((47)). Nelle leggi sulla educazione vuole che sia universale ed abbracci tutto. il popolo, e che la istruzione sia impartita in ordine alle professioni cui gli individui s’indirizzano. Cominciò a scrivere della Religione: avrebbe dovuto scrivere della proprietà e della famiglia per compiere il vasto piano della. legislazione; ma la morte sopravvenne a lui trentaseienne, e opera così importante rimase interrotta. La religione Filangieri la considera come parte della morale di un popolo e lo Stato deve intervenire qualora la Religione trascenda il campo della coscienza, e perturbi il pubblico bene o ne inceppi lo svolgimento ((48)). La libertà civile crede fondata sulla bontà delle leggi e si può essere schiavi in una repubblica o liberi in. una monarchia: pensiero che ha comune col Vico, e che mostra come l’ingegno italiano in quel tempo poco preoccupandosi delle forme badasse alla sostanza, ch'era il più.

Ma che è l’idea della giustizia che informa il sistema della legislazione del Filangieri? — Essa non è forma empirica, non calcolo, non interesse. Gli Italiani furono sempre lontani dai superficiali concepimenti. La giustizia secondo Filangieri è sviluppo delle leggi fondamentali della coscienza umana, e se come fatto esterno è Diritto e legge positiva, come principio è legge morale comune ed identica in tutti gli uomini. Nelle legislazioni v'ha quindi una parte relativa al genio, al momento storico, alle speciali condizioni geografiche di un popolo; ma in tutte vi deve essere una parte assoluta, la parte che sorge dal fondò stesso dell'umana natura e che giammai legislatore può disconoscere o contraddire ((49)). E perciò in Filangieri è Vico coi principii assoluti della coscienza umana, colla convinzione della natura identica in tutti gli uomini, colla idea di sviluppo spontaneo e di progresso nella storia e di una legislazione cavata dalla ragione secondo le esigenze dei nuovi tempi. In Filangieri è Giannone coll’idea dello stato indipendente e superiore alla giurisdizione ecclesiastica, dello stato autonomo e civile: in Filangieri è Genovesi colla libertà del pensiero, coll'educazione e istruzione civile ridotta a sistema; colla morale ravvisata nella natura umana, col diritto dedotto dalla ragione e dalla storia: In Filangieri è il pensiero economico di Galiani, Verri; la riforma del diritto criminale del Beccaria allargata, e congiunta al diritto civile, Tutti son d’accordo sull’idea del nuovo stato, benché ciascuno autore ne svolga aspetti speciali, ed abbia fisonomia intellettuale sua propria. Così Genovesi è mente vasta, che vede tutti i problemi, benché non tutti li sciolga. Ha coscienza chiara de' nuovi bisogni della filosofia civile ed ama le scienze e le lettere per migliorare le sorti d'Italia: egli è lo spirito di Giannone tolto dalla storia e portato nella speculazione. Beccaria e Filangieri sono anch'essi filosofi civili, ma non hanno la vastità speculativa del Genovesi. Tutti e tre coltivano l’Economia come scienza filosofica: Genovesi la congiunge all'educazione, Beccaria al diritto penale, Filangieri al sistema universale della legislazione; tutti e tre alla morale. Beccaria scrive più per l’umanità che per l’Italia; in Genovesi e Filangieri v'è l’umanità indisgiungibile sempre dal pensiero scientifico, ma sono le sciagure della loro patria che chiamano di preferenza la loro attenzione. Beccaria fa conoscere l’Italia giuridica e benefica al mondo, Genovesi fa conoscere all’Italia l’Inghilterra economica; e Filangeri l’Inghilterra nell’amministrazione della giustizia. Genovesi attendendo al pensiero speculativo è più di Locke nell’analisi psicologica, perché più lontano dal sensismo; Beccaria nel tempo stesso di Smith scopre il principio della divisione del lavoro; Filangieri sviluppa una libertà di commercio che l’Inghilterra ammise solo 50 anni dopo.

Tutti gli economisti ottengono delle riforme coi loro scritti: non si copiano, ma si continuano con libertà di pensiero, e Verri corregge Beccaria sull'importanza delle classi lavoratrici, e le sue Meditazioni sono la miglior sintesi delle dottrine economiche del secolo. Tutti si accordano sull'idea dello stato: Beccaria attacca la mostruosità delle leggi penali, Filangeri quelle della procedura e comprende in una sola sintesi tutta l’opera della legislazione; che è un’opera imperfetta è vero ((50)), ma di tale larghezza di concepimenti che onora l’uomo e il secolo e ci ammaestra che l’idea dello stato autonomo, il muoversi verso l’eguaglianza e la libertà, fu il pensiero costante del XVIII secolo, pensiero che il secolo XIX compiva aggiungendo all’indipendenza interna l’unità e l’indipendenza da forze straniere. Anche allora la filosofia rispettò la' credenza e la coscienza; ma senza illudersi su formole, capì bene che la sovranità, nella vita sociale non può essere che una sola, quella cioè dello stato che è l'organismo razionale della società stessa.

V’ha dunque una Filosofia politica del secolo XVIII in Italia. Essa s’accorda sul concetto dello Stato che sviluppa nelle sue varie parti, educazione, morale, economia, legislazione ed amministrazione; filosofia che nata dalle nuove condizioni politiche ha un’importanza essenziale nella vita nostra; ricongiungendosi alle tradizioni del Risorgimento e creando lo stato sul fondamento della ragione e della giustizia. Idealmente e davvicino questa filosofia ha una preparazione in Vico, ed essa è un organismo in cui tutte le parti si tengono e si compiono formando unità. Io non posso né voglio giudicarla; perché si farebbe troppo presto a dar lezioni di Economia a chi non aveva conosciuto Smith; a far mostra di concetti più liberali e di più larghe vedute storiche e critiche, dopo le ultime scuole e le riforme dei nostri tempi. A me basta aver mostrato come in essa circoli una medesima vita ch’è vita nostra; che rappresenti una evoluzione del nostro pensiero necessaria per arrivare alla coscienza nazionale e all’unità politica e distruggesse gli ostacoli interni per l'indipendenza della patria. Chi infatti non vede nella lotta che oggi lo Stato sostiene contro la Chiesa, la continuazione di una tradizione nazionale, la tradizione de' nostri filosofi? È tradizione nostra l’organamento laico dell'insegnamento, dell'educazione del popolo, le riforme legislative ed economiche; e il sec. XVIII cominciò quello che il XIX compie. Allora la scienza sollevò l’arte; vivificò la storia e Muratori e Denina portarono intendimenti civili ne’ fatti italiani; e il movimento della erudizione preparava a rifare la vita italiana. Perché l’Italia non è nata sui campi di battaglia soltanto e la storia delle stragi e dei colpi di cannone non è tutta la storia di un popolo: l’Italia è nata e si è maturata nel campo del pensiero e del pensiero nostro. L’Idea dello stato del secolo XVIII non aveva, è vero, la sovranità nazionale nella forma di parlamento, ma aveva la sovranità della ragione nel diritto e la libertà nell'agire secondo giustizia e secondo ragione; e se l’una forma non è l'altra, son però molto vicine; e la sovranità nazionale non può essere che lo sviluppo storico della sovranità della ragione e della giustizia, altrimenti non ha forza. ordinatrice. Sarà capace di produrre delle grandi rivoluzioni anche benefiche ad altri, ma non riescirà mai ad ordinare i popoli che le compiono. Ora questo carattere di riformare secondo i tempi, di fondare la politica sulle condizioni storiche, di sviluppare ed educare il popolo e non abbandonarlo a sé stesso di farlo muovere sì, ma nell’ordine, di svincolarne la coscienza ed umanizzarlo nell’anima, di far rivivere il passato nel presente, di rivolgere il pensiero allo sviluppo della vita nazionale, è appunto il carattere che distingue dalla francese la filosofia italiana del XVIII secolo. E benché vi corrano delle attinenze e spicchino delle somiglianze fra loro, pure hanno dei caratteri individuali che le specificano.

III

In verità il secolo XVIII si apre in Francia in condizioni diverse da quelle dell'Italia. La Francia aveva progredito quando noi eravamo rimasti sudditi stranieri; essa aveva di buon’ora raggiunta l'unità; aveva preso parte alla vita di Europa e alle lotte religiose; s’era allargata nella coltura ed aveva quindi un’idea del popolo e della libertà politica sviluppata di due secoli più che la nostra. Ma che ha fatto la filosofia di questa coscienza progredita del popolo? Il popolo era disgustato del potere; era anche esso amareggiato come in Italia da privilegi e monopolii; spaventato dai rovesci delle finanze, da amministrazioni corrotte e corrottoci. Ebbene la filosofia piega il genio nazionale alla forma sperimentale, e fin qua è nei suoi diritti; dirò di più è nel progresso. E questo è il merito speciale di Voltaire, di Montesquieu. s'oppone al pregiudizio, e fin qui fa il suo dovere. La forma non è sempre soda, ma era opportuna per quel tempo e per quelle indoli. Dove però essa erra, ed erra assai, e l’assemblea costituente e la rivoluzione la sopravvanzano di molto, è appunto nel togliere il pensiero al processo storico, dando alla coscienza non altro fondamento che astrazioni, al presente non altro interesse che la negazione del passato. L’ Enciclopedia è tutto questo, e perciò bene e male. È lavoro sublime come sintesi scientifica; come guerra ai pregiudizi; come avviamento col genio di Diderot allo spirito contemporaneo dell’industria; come confidenza che tutto è sottoposto al pensiero. Ma domandate l’avvenire all’Enciclopedia ed essa vi parlerà di distruzioni senza ideale e perciò senza fondamento concreto e tutte nell'astratto, nel posticcio, nel violento, nel formale. La sovraeccitazione passionata prevale in essa alla ragione tranquilla; e non di rado la filosofia si scambia con la volgarità, le ragioni coi frizzi, lo spirito severo di analisi con le gaiezze del bello spirito; e ciò vuota l'anima, abbuia il presente e non lascia alla scienza parola ed efficacia per l’avvenire. Infatti Enciclopedisti ed Enciclopedia rifanno il mondo, rifanno la scienza su astrazioni. Condillac vuole spiegare l’intelligenza, e vuota l’uomo per confonderlo nell'astrazione di una statua. Egli parla chiaro e semplice, ma crea una ridicolaggine e lui nemico delle ipotesi, foggia ipotesi fuori del naturale e del possibile. — Eppure si gridava esperienza esperienza. Ma quale esperienza mai spiegherà la sensazione che si trasforma? Qual esperienza farà venire dal senso scevro d'intelletto la luce del pensiero? Dal senso animale l’uomo senziente? — D’Alembert cerca la filiazione logica e storica delle scienze, e crede stabilire la classificazione loro facendo rivivere la scimunita astrazione psicologica di Bacone.

Ma le facoltà sono esse scindibili nella formazione delle scienze? Si può fare la storia colla sola memoria, la filosofia colla sola ragione, l’arte colla sola fantasia? Gran geometra, come filosofo d’Alembert è poca cosa, e la sua psicologia è superficiale quanto quella di Condillac. — D’Holbach dichiara senza nessun valore le religioni; le crede anzi opera d’impostura; dà alla morale cristiana l’istessa importanza che a qualsiasi altra; e questi son tutti sbagli storici dinnanzi al razionalismo moderno. — Dobbiamo anche ricordare l’uomo macchina di Lamettrie, oggi che la scienza non conosce nella vita meccanismo senza organicismo?

In morale Elvezio ci ha delle grandi pretese: egli vuole innalzarla al grado di scienza osservativa, ma abborre dalle ricerche severe; vuol essere induttivo e non pratica mai l’induzione; pretende dimostrare allegando qualche esempio; si fonda su una psicologia gratuita e ristretta; psicologia che tutto riduce a sensazione e memoria. Elvezio finisce anche egli ad una astrazione: «l’interesse», che non è né l’ammaestramento della storia né la voce della coscienza.

E il principio morale dell’interesse è uno dei punti d'accordo della filosofia francese di questo secolo. Su di esso Elvezio e Rochefoucould danno la mano a Diderot, e a D’Alembert che non si piega al materialismo. Ma che è il criterio morale dell'interesse se non un rimpicciolimento nell'idea dello Spirito? Perché l’uomo non deve potere agire altrimenti che per un movente interessato se è egli che si muove e si determina? 0 i motivi è lo spirito che li mette, che li elabora. e allora non si sa perché possa essere escluso un motivo non interessato; o i motivi son determinazioni estrinseche su cui lo. spirito non può nulla, ed allora non c’è né interesse né disinteresse, ma spinta o controspinta di piacere o di dolore; v’è il bruto ma non apparisce l'uomo.

In politica poi Rousseau, questo genio a due faccie, è contro il secolo come spiritualista e deista, è nel se. olo colle sue teorie sociali. Ora in queste Rousseau finisce come D’Holbach ed Elvezio che disprezza, come Diderot e Condillac che critica, finisce, io voglio dire, ad una astrazione. — Egli stabilisce una lotta tra la Natura e la Società, e vede in quella la pace, in questa la guerra, qua la degradaziouc, là l'ottimismo. E così travisa natura e società; non intende la natura perché crede che faccia tutto bene deificando lo stato selvaggio; non intende la società perché vi vede una degradazione dell’uomo. L’arte, l’industria e la scienza son fonti di corruzioni pel filosofo Ginevrino. Quando nel Contratto vuol ricostruire la società, egli finisce in un concetto a priori, in un’organizzazione astratta; e nientemeno si fa l’idea di un progresso umano senza arte, senza scienza, senza male morale, senza male fisico e con un’eguaglianza chimerica. Fa un convenzionalismo della proprietà; la famiglia fonda sopra contratto che ha per base l’interesse: la giustizia considera come forma estrinseca perché fondata su patti. Egli ha la bella idea della sovranità nazionale, ma il modo come conferisce tutto a tutti, arma perennemente una rivoluzione nello stato; e al più al più varrebbe a rendere ragione di repubblichette, non a creare i grandi stati moderni. Ora che dice tutto questo? Dice appunto che Rousseau non ha inteso il movimento della storia; che ha collocate le astrazioni in luogo de' fatti e vuotata la società e la persona di ogni reale contenuto morale e giuridico. Il suo individualismo è anomalo perché senza determinazioni concrete, senza sviluppo e processo: esso non esprime la santità del diritto individuale. Rousseau vorrebbe fosse cacciato da uno stato chi dissente in materia di religione; e perciò in fondo in fondo il suo individualismo è la tirannia della maggioranza sulla minoranza esercitata dal legislatore.

La filosofia italiana del secolo XVIII è meno popolare della francese, è più circoscritta, più modesta; ha minori attrattive di forme, minor passione di lotte, minore ardimento nel sottrarsi a certi ultimi avanzi del mondo dommatico. Di ciò non le fo meritò: né negherei mai che la Francia giovasse a tutti con una coscienza ampia del razionalismo e co’ suoi forti sentimenti di umanità. Però fo merito alla filosofia politica ed economica italiana di questo tempo, l’essersi fondata sulla storia e non aver camminato nel vuoto e colle negazioni arbitrarie, l’aver tenuta la via del concreto, non quella delle vaghe astrazioni, facendo servire la meditazione allo sviluppo progressivo della della vita interna d’Italia della quale combatte il maggiore ostacolo, la Chiesa temporale e il privilegio. Ed è per questo carattere storico, che Vico trovasi più vicino alla critica moderna di d’Holbach; che Filangieri può ispirare un legislatore ancora, mentre Elvezio noi può; e il libro dei Delitti e delle Pene ha fatto più bene del Contratto sociale. E l’Italia contemporanea se ha sentito i benefici effetti della rivoluzione francese, è pur vero che ha avuto una tradizione politica e un movimento generoso di idee la cui moderazione ed assennatezza costituisce anche oggi la nostra forza.

Ed oggi, o giovani, che in seguito all’unità politica, la coscienza italiana libera appieno di sé piglia possesso del pensiero filosofico de' suoi grandi per sposarlo alla scienza straniera e continuarlo, a voi piacerà sentir ricordare che l’ultimo dei filosofi di questa scuola politica, Pagano, salì il patibolo in compagnia di Nicolò Pacifico e Domenico Cirillo, discepoli di Genovesi, di Giuseppe Logoteta e Marcello Scotti giurisperiti della scuola di Giannone; perché è bella storia della filosofia di un popolo, non certo vuota o frammentaria, quella che non scritta solo con l’inchiostro ma eternata col sangue dal carnefice provò la fede nel pensiero e nell'avvenire col sacrifizio della vita.

NOTE

(1) Genovesi, Lez. Comm. II. p. 13 — Logica pei Giovanetti p. 192 — Delle scienze metafisiche p. 295 — Diceosina, passim. Vico è citato in quasi tutte le opere di Genovesi — Vedi la bella monografia di Giacomo Racioppi su Antonio Genovesi.

(2) Vedi P. Siciliani, sul Rinnovamento della Filosofia Positiva. lib. I. capo I.

(3) G, Ferrari — La Mente di G. B. Vico.

(4) Vedi la prima edizione della Scienza Nuova verso la fine.

(5) Settembrini — Lezioni di Letteratura Italiana Vol. III p. 15 e seg.

(6) Giannone — Storia civile — Introduzione.

(7) Giannone — Op. cit. lib. XI.

(8) Op. cit. — lib. I — In tutti i quaranta libri della Storia civile mostra come lo sviluppo del sistema ecclesiastico seguì la decadenza del Reame.

(9) Opere postume di Giannone pubblicate da P. S. Mancini. Torino — fratelli Pomba 1859.

(10) Diceosina. Prefaz. — Delle Scienze Metafisiche, lett. prelimin.

(11) Lett. famil. I p. 194.

(12) Discorso sul vero fine delle Scienze e delle lettere — Lett. Accadem. p. 81.

(13) Diceos. — Lez. di Comm.

(14) Diceos. — Lib. IL VII — Lez. Comm.

(15) Lez. Comm. — Diceos.

(16) Lett. Accadem.

(17) Lett. famil. — Discorso sopra il vero fine delle scienze e delle lettere.

(18) Lez. comm. pag. 50.

(19) Nota al Vol. II del Cary.

(20) Lez. di Comm.

(21) Biblioteca dell'Economista, prima serie, trattati complessivi. Vol. III, pref. di F. Ferrara, p. XIII.

(22) G. Pecchio. Storia dell'Economia pubblica in Italia, pag. 240 e seg.

(23) Biblioteca dell'Economista, prima serie, trat. Comples. Vol. 1. pag. 803 e seg.

(24) G. B. Vico. De uno universi Juris principio et fine uno. In Proloquio.

(25) G. B. Vico. Op. cit. §§ 17, 18, 74, 75.

(26) Beccaria e l'abolizione della pena di morte. Memoria di Amato Amati. Milano.

(27) G. B. Vico. De uno universi Juris principio. In Proloquio, e §§ 18, 37, 51.

(28) Opera citata, § 45.

(29) Opera citata, § 156 e passim.

(30) Vedi, Predari. La sorte di Vico nel secolo XVIII, pagina XXIII nel primo volume della edizione torinese del 1852 della Scienza Nuova.

(31) Beccaria. Dei Delitti e delle Pene. Prefazione.

(32) Op. cit. §§ 18, 19.

(33) §§ 1 e 2.

(34) §§ 21 e 27.

(35) §§ 2 e 4.

(36) §§ 21 e 36.

(37) § 41.

(38) § 18.

(39) § 34.

(40) Vedi, C. Cantù, Beccaria e il Diritto Penale.

(41) Scienza della Legislaz. lib. Ili cap. XX — e passim.

(42) Il Genovesi non è mai citato dal Filangieri; però la comunanza e la continuazione nelle dottrine è manifestissima.

(43) Scienza della legislaz. lib. I cap. II.

(44) Op. cit. lib. II parte I. cap. II, III, IV, V, VI, VII, VIII.

(45) Cap. X del lib. e della parte citati.

(46) Op. cit. lib. II parte 2. cap. XVII, XX.

(47) Opera citata lib. III.

(48) Lib. I cap. Il e III.

(49) Lib. I cap. IV.

(50) Vedi nell'edizione Lemonnier della Scienza della Legislazione del Filangeri il profondo discorso d’introduzione di P. Villari.


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Vita ed opere di Gaetano Filangieri [Life and works of Gaetano Filangieri]

Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito

1772 - NOTIZIE DE' LETTERATI - Della Morale de' Legislatori di Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1782 - Giuseppe Grippa - LETTERA al Cavaliere Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1784 - Giuseppe Grippa - Scienza della Legislazione sindacata HTML ODT PDF
1785 - Dissertazione politica di Giuseppe Costanzo in risposta a Grippa HTML ODT PDF
1787 - GIUSTINIANI - Memorie Istoriche degli Scrittori Legali del Regno di Napoli HTML ODT PDF
1798 - Le Spectateur du Nord: Don Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1804 - Scrittori classici italiani di economia politica - Gaetano Filangieri HTML ODT PDF
1813 - Biografia degli Uomini Illustri del Regno: Filangieri (Martuscelli) HTML ODT PDF
1817 - La Scienza della Legislazione del Cavaliere Gaetano Filangieri (GINGUENE’) HTML ODT PDF
1819 - BIANCHETTI - Memorie scientifiche e letterarie - FILANGIERI HTML ODT PDF
1822 - Oeuvres de FILANGIERI - ELOGE de FILANGIERI (Salfi) HTML ODT PDF
1826 - Sopra l'opera del Cavalier Gaetano Filangieri di Pietro Sghedoni HTML ODT PDF
1828 - Comento sulla Scienza della Legislazione scritto da Beniamino Constant HTML ODT PDF
1834 - Biografia degli Italiani Illustri nelle scienze, lettere ed arti HTML ODT PDF
1836 - LOMONACO - Vite degli eccellenti Italiani - FILANGIERI HTML ODT PDF
1840 - Notizie di alcuni cavalieri del sacro ordine gerosolimitano (Marchese di Villarosa) HTML ODT PDF
1844 - Vite e ritratti di illustri italiani (Filangieri di E. Carnevali) HTML ODT PDF
1852 - FILANGIERI - Delle leggi politiche ed economiche (FRANCESCO FERRARA) HTML ODT PDF
1857 - Della letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII: Filangieri HTML ODT PDF
1863 - Discorso genealogico della famiglia Filangieri (ERASMO RICCA) HTML ODT PDF
1864 - Intorno ai tempi ed agli studi di Gaetano Filangieri (PASQUALE VILLARI) HTML ODT PDF
1873 - Gaetano Filangieri o l’idea dello stato nella filosofia italiana del secolo XVIII HTML ODT PDF
1774 - GAETANO FILANGIERI - Riflessioni politiche su l'ultima legge del sovrano HTML ODT PDF
1820 - GAETANO FILANGIERI - 01 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF
1822 - GAETANO FILANGIERI - 02 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF
1872 - GAETANO FILANGIERI - 03 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF
1876 - GAETANO FILANGIERI - 04 - La Scienza della Legislazione HTML ODT PDF


















Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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