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Fonte:
https://www.historiaregni.it/ - lunedì, settembre 1, 2014

Una Chiesa forte nel Mediterraneo

di Pierfranco Bruni


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Marzo 2015

Una Chiesa forte nel Mediterraneo di Pierfranco Bruni

Il Mediterraneo non è soltanto un “bacino” di mare o una linea di acque che divide continenti e realtà geografiche. Non è soltanto un intreccio di civiltà che hanno segnato la storia e hanno fatto della storia il cammino dei popoli. Non pone e non ha posto soltanto questioni etniche, religiose e di “razze”. Il Mediterraneo è sempre punto di snodo. Va  oltre i conflitti che si sono consumati e continuano a consumarsi sia nel Mediterraneo stesso sia in altre aree geografiche. Il  Mediterraneo come punto di riferimento politico e strategicamente politico tra i confini delle Sponde. La caduta dell’Impero Romano è la precipitazione dell’Occidente Greco - Latino in una geografia, che è diventata riconquista delle Terre di un Oriente occupato e maldestramente gestito. Israele e Palestina hanno sempre posto un problema politico che non è stato capito sufficientemente e non è stato governato serenamente ed è diventato tragico modello militare e terroristico. Non mi si venga a dire che i morti palestinesi non sono morti ammazzati dal terrorismo ebraico. C’è sempre stato un tale terrorismo.

Oggi la Libia, e ciò che una volta era Tripolitania e Cirenaica, vive in quella disperazione che segna un taglio nel Mediterraneo, che va oltre la Libia stessa e che, purtroppo, non riusciamo a leggere con la serenità e gli approfondimenti necessari. La Libia è il Mediterraneo che ci appartiene, ma perché l’Italia è il Mediterraneo che non vogliamo riconoscere? In Libia i fuochi ricominciano sempre. Ammesso che siano rimasti spenti o sottocenere. Spesso ci dimentichiamo che la Libia è un Mediterraneo inquieto, travagliato, divisivo e inclusivo nella fascia del Nord Africa e costituisce, come sempre, nei destini della (nella) nostra storia, una “cerniera” in un Mare che “stupidamente” si continua a chiamare “Nostrum”, ma non lo è. Lo è stato sino alle guerre fasciste perdute. Non lo è sia da quando è caduto il Fascismo, l’Impero Romano era legato metaforicamente ad una politica estera fascista, sia da quando i nostri Governi non hanno adottato più una politica di difesa e do gestione diretta del Mediterraneo. Con l’uccisione di Gheddafi si sono aperte le porte a due processi dilaganti. Il primo è quello delle genti migranti di cui è diventato il paradosso ormai ingestibile. Il secondo è quello di una islamizzazione, a tutto tondo, all’interno della linea sia magrebina che dell’intero bacino Mediterraneo. Piaccia o meno, ma la politica estera bisogna saperla interpretare e leggerla con una percezione e una conoscenza storica internazionale. Gheddafi faceva da cuscinetto ad un estremismo islamico. Ma l’Europa non ha capito ciò. Obama non comprende il rapporto tra Occidente ed Oriente. Eppure dovrebbe conoscere le storie delle civiltà. La Germania ancora pensa ad uno Stato Austro - Ungarico. Ma la verità provata è che il gioco è tutto all’interno dei Mercati e delle Borse.

L’Europa non esiste. Non esiste una Europa del Pensiero. Perché le filosofie sono state superate dalle economia. Altrimenti avrebbe capito che la Libia è nella storia di quel Mediterraneo che si è sempre confrontato con le Europe sia in termini economici e politici che etnici e antropologici. Creare lo scompiglio in Libia ha significato, senza proporre una seria e sana alternativa, scomporre un Mediterraneo che poteva essere inclusivo in una visione geopolitica e non escludente in una posizione che trova l’Italia al centro del Mediterraneo. Ma quando si vuole capire che la Nazione Italia è una Nazione Mediterranea prima di essere Europea. Noi non siamo altro e non siamo stati altro e non riusciamo ad andare oltre una visione soltanto geo-politica. Il Mediterraneo è la civiltà che è stata sia Mesopotamia che Grecia, sia Cartagine che Malta. I deserti e i mari, per dirla metaforicamente. Quelle fiamme che divampano tra pezzi di mare e linee di deserto sono un segnale non solo allarmante, ma tragico. L’Italia, ancora una volta, è un crocevia, le cui direttrice si diramano dall’Ucraina all’Iraq, dalla Striscia di Gaza a tutto il profilo nord africano. Ma quale potrà essere il ruolo dell’Italia in una strategia internazionale in un’Europa che la rende sempre più debole e vulnerabile?

Credo che dovrà assumersi delle responsabilità non solo politiche ma anche geografiche ed etniche oltre che di natura religiosa e cultura tout court. Deve responsabilizzarsi come Nazione Mediterranea. Deve rappresentare, nell’Unione Europea, il Mediterraneo. Solo così renderà strategicamente frontiera un territorio che è coscienza internazionale. Questo vale non solo nei confronti degli Stati direttamente frontalieri sulla sponda Sud, ma vale, in questo particolare momento, sia per Gaza e soprattutto nel conflitto Russo-Ucraino. Non possiamo né subire né essere Nazione cuscinetto. La realtà è che siamo privi di un pensiero di politica estera. È naturale che non possiamo e non siamo belligeranti, ma non possiamo neppure ascoltare i colpi dei carri armati e dei missili che si agitano tra i cieli del Mediterraneo. Il problema non  è più da considerarsi soltanto tale e la crisi non è soltanto crisi. Siamo dentro una tragedia, e se vengono a mancare le visioni altamente diplomatiche da parte dell’Italia, corriamo il rischio di essere sottoposti ad un gioco politico massacrante che sarà, in termini disastrosi, economico.

In questa fase siamo marcatamente Mediterranei e dovremmo assumere la guida per una diplomazia sul Mediterraneo che possa coinvolgere  un assetto territoriale molto più articolato. Gaza è una terribile realtà. Non è cominciata oggi. Non finirà con i tentativi di fermare il grido delle armi. La Striscia di Gaza è una tragedia che taglia in pezzi la coscienze delle civiltà e intreccia la disperazione dei popoli che hanno attraversato un Mediterraneo che è rimasto Oriente pur con le grandi influenze e le strategie adottate dall’Occidente. La storia fa sempre i conti con la storia oltre che con il passato in una visione ontologica dei processi vissuto dai popoli.Non si venga a dire che l’America, esempio di civiltà?, stia adottando una politica pacificante. Non mi si venga a dire che non bisogna riconsiderare tutta la storia del popolo ebraico sia dai viaggi dell’esodo sino ai fatti di Gaza. La storia non può vivere di mitizzazioni.

C’è un terrorismo ebraico che semina morte e non vanno assolutamente considerati israeliti che sbagliano, perché la politica dei mercati e le finanze ebraiche sono stati i veri vincitori di una guerra dell’oro, che ha visto contrapposti un Occidente confuso da manie ideologiche, che ha portato alla follia, e una realtà in cui le finanze hanno dettato strategie di consolidamento di Stati, il cui potere vero si esercitava attraverso i mercati della finanza internazionale. L’Occidente ponga una riflessione seria scavando nella realtà della storia sul terrorismo che colpisce la Striscia di Gaza, sulla propotenza di Francia, Inghilterra e Germania sul Mediterraneo. In un tale contesto anche la Chiesa dovrebbe giocare una partita importante, ma è molto debole e i buoni propositi di Papa Francesco sembrano parole di un curato di campagna e restano non solo parole inascoltate, ma semplicemente parole. La Chiesa, oltre il linguaggio teologico, che è un metodo del progressismo della leggerezza, è assente. Completamente assente. Ma ci sono storie incrociate tra mondo ebraico e mondo cattolico ed è naturale che, per il Vaticano, non si può andare oltre. Sbaglia. E grandi sono le responsabilità di questa Chiesa attuale. Una Chiesa che dovrebbe far sentire la sua presenza in una diplomazia di politica estera.

L’attuale gestione del Vaticano forse non ha contezza della realtà internazionale. Io non mi affianco al coro degli amanti di Papa Francesco. Non condivido la sua strategia e non mi piacciono i processi “teologici” finora praticata, che non hanno portato alcun risultato se non un tentativo di allargare il pensiero progressista sugli immigranti e un liberalismo vuoto. Questa Italia che è sul filo dei Mediterranei divisi, non è in grado di farsi ascoltare. C’è, certamente, una questione etno - religiosa, ma rientra in una visione geo-politica dell’esercizio dei poteri sia economici che militari. Questo Paese non ha l’autorevolezza e la capacità politica. Ma si prenda almeno atto che un terrorismo ebraico, dopo Gaza, sarà pericoloso per tutto il mondo arabo e non è detto che non lo sia anche per quello cristiano. La Chiesa è consapevole di ciò? Non esiste un mondo ebraico - cattolico-cristiano. Esiste un mondo cristiano. Ma queste confusioni portano anche ad una pochezza metafisica intorno alla visione della storia. Sulla Striscia di Gaza, se non si interviene rigorosamente con una presa di posizione contro la violenza ebraica, si offre spazio ad un terrorismo pericoloso per il mondo Occidentale e Cristiano e per gli Orienti Arabi e Musulmani. Occorre un impegno deciso e decisivo che potrebbe essere quello di spingere l’Europa verso il Mediterraneo, altrimenti sarà l’Europa nordica a devastarci. Ma occorre anche una visone militare del quadro generale che avviene in tutto il Medio Oriente, nel Mediterraneo, in Ucraina. Quando si temporeggia ci sarebbe bisogno di un Quinto Fabio Massimo. Ma ne siamo completamente sprovvisti e ciò che campeggia mi sembra che sia l’improvvisazione. Le Nazioni del Nord sono occupanti del (nel) Mediterraneo e non frontalieri, e neppure hanno contezza che la Sicilia, la Calabria, la Puglia sono ponti tra il Mediterraneo e l’Italia e l’Adriatico e l’Italia. Ponti che uniscono, a loro volta, l’Adriatico al Mediterraneo.

Il problema è serio. Ma c’è una incapacità politica, come più volte espresso, che non permette di comprendere una realtà che è storica, ma anche attuale. Ma l’attualità del Mediterraneo è una attualità storica che vive di implosioni nel rapporto con le etnie e le economie in un legame tra civiltà e popoli. Si pone una lettura, in una geo-politica delle questioni internazionali, su binari complessi che segnano il passaggio tra un passato che non passa e una attualità che immediatamente viene ad essere superata. La Libia costituisce il nodo centrale. Lo è sempre stato e con la Libia tutto il Mediterraneo. L’Italia ha avuto sempre delle pesanti responsabilità a cominciare dalla spaccatura dei due Imperi: l’Occidente Romano e l’Oriente Romano. Il crocevia storico è nella politica italiana pre e post giolittiana, ma le guerre fasciste, compresa la presenza importante di Italo Balbo in Libia, sono state dentro il Mediterraneo. Oggi, l’Italia o assume il ruolo di diventare motrice reale di un Mediterraneo non solo dei profughi - immigranti  o si sfalderà proprio in una politica estera che la porterà ad essere nicchia di popoli in fuga. Deve riconquistarsi nella storia. Riuscirà? Per fare questo, però, deve contestualizzarsi prima di tutto nell’Unione Europea, assumendo un ruolo primario e questo ruolo potrà assumerlo soltanto se si presenterà in Europa come Nazione rigorosamente Mediterranea. C’è una questione geo - politica irrisolta, ci sono confusioni etniche che sembrano dimenticate, ma che sono sempre infiammanti, c’è una pesante realtà economica che diventa ingestibile, ci sono contraddizioni di ordine religioso che sfilacciano le coscienze delle civiltà.

In questo quadro tra le Europe, i Mediterranei e le aree asiatiche bisognerebbe riconquistare la centralità di una identità nazionale italiana che resta cruciale per una strategia di politiche equilibrate. Una mediterraneità nella metafisica delle civiltà. Ma anche in questa interpretazione occorrerebbe una Chiesa forte, non liberista e pressappochista, nel segno di una riconquistata visione tradizionale e non progressista.

Pierfranco Bruni

Uno scatto della fortezza di Civitella del Tronto di Vincenzo D’Amico
























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