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LA PRIMA LEGISLATURA DEL REGNO D'ITALIA

STUDI E RICORDI DI LEOPOLDO GALEOTTI

GIÀ DEPUTATO AL PARLAMENTO.

SECONDA EDIZIONE, RIVEDUTA ED AMPLIATA

FIRENZE
SUCCESSORI LE MONNIER TIPOGRAFI EDITORI
1866

(03)

01 - La prima legislatura del Regno d'Italia studi e ricordi di Leopoldo Galeotti - HTML

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CAPITOLO XLIV.

Provvedimenti finanziarii.

In dependenza della legge del 4 novembre 1864, il Ministero era stato autorizzato, come già notai, a chiedere l’anticipazione dell’imposta fondiaria: a ritrarre dalla vendita dei beni demaniali, impegnati nominalmente nei bilanci precedenti, ma in gran parte invenduti, una prima anticipazione di 50 milioni: ad alienare tanta rendita quanta ne occorresse per realizzare insieme cogli anzidetti provvedimenti un capitale di 200 milioni. E lo stato del Tesoro ci dice infatti, che per la relativa emissione di rendita fu accresciuto il debito pubblico di 62 milioni.

Tutte queste cose altro non erano, nella sostanza, che anticipazioni ottenute sul prezzo dei beni demaniali, impegnati negli esercizi precedenti o sull'esercizio del 1865, per pagare gli interessi della rendita che scadeva il 1° gennaio. Quindi di questa inversione di partite dipendenti dalla legge del 4 novembre, non si poteva tener conto alcuno per cuoprire il disavanzo del quale ragionammo poc'anzi.

Bisognava adunque si ricorresse ad altri provvedimenti che furono indicati dal Ministro: a) nella vendita delle strade ferrate che doveva dare all’erario 200 milioni: b) nella creazione di un prestito di 425 milioni a lunghe scadenze. Lo che forniva la somma di 625 milioni più che bastante a saldare i tre esercizi, che formavano subietto delle previsioni ministeriali.

Ed ove si rifletta che intanto facilitavansi i maggiori profitti ottenibili dalla vendita dei beni demaniali, ove si rifletta che rimanevano pur sempre altri cento milioni tra rendite e beni demaniali non ancora impegnati, ed ove si rifletta pur anche che rimaneva, perché confermata al Ministro, la facoltà di emettere 200 milioni di buoni, calcolati come estinti nel disavanzo dei tre esercizi, si comprenderà agevolmente che a tutto il 1866 il servizio del Tesoro sarebbe esuberantemente provvisto cogli anzidetti provvedimenti, quando ancora, per qualunque circostanza previdibile o imprevidibile, il disavanzo totale dovesse sorpassare i limiti che il Ministro gli assegnava.

Ma siccome da un lato la vendita delle strade ferrate faceva mancare circa 10 milioni di rendite ordinarie, e d’altra parte la emissione già fatta della rendita, e quella che andava a farsi per il nuovo prestito di 425 milioni, avrebbe portalo un nuovo aggravio nelle spese, era evidente la necessità che il Ministro proponesse una nuova serie di provvedimenti, mercé i quali, non solamente si ripianasse quel vuoto, ma si procurasse eziandio un aumento nelle entrate ordinarie; onde l’effetto fosse che si facesse un nuovo passo ad avvicinare fra loro i due termini del bilancio.

Fu questa la ragione della nuova serie di provvedimenti finanziarii, che il Ministro delle Finanze propose congiuntamente al prestito, e che furono: a) un’aliquota uniforme sui fabbricati del 12 ½ per cento, dietro le norme stabilite colla legge del 26 gennaio 1865, già proposta dal ministro Minghetti come conseguenza della perequazione: b) un migliore sistema di reparto per la tassa della ricchezza mobile portata ai 60 milioni, che consisteva principalmente nel sostituire, sopra l’aumento, il reparto per quotità al reparto per contingenti: c) la riforma delle leggi di registro e bollo: d) un aumento nelle tasse ipotecarie: e) l’abolizione delle franchigie e privilegi doganali. Il complesso di questi provvedimenti (esclusa la tassa sulla ricchezza mobile già autorizzata colla legge del bilancio) avrebbe dovuto procurare all’erario (stando alle previsioni ministeriali) una nuova entrata di 30 milioni almeno, senza tener conto del maggiore prodotto che avrebbero potuto procurarci sia i non lievi miglioramenti introdotti nella percezione delle tasse di registro e bollo, sia l’abolizione delle franchigie doganali, occasione precipua ai danni del contrabbando.

La Camera dei deputati, dopo lunga e grave discussione, accogliendo le conclusioni della sua Commissione, 1 approvò queste proposte, meno quella che si riferiva alla facoltà di coordinare le leggi di registro e bollo coi nuovi codici civili e di procedura, e di modificare l’una e l’altra secondo il progetto già presentato dal ministro Minghetti, che da tali modificazioni si augurava un aumento di circa 18 milioni.1

La Camera ebbe repugnanza ad accordare tale facoltà al Ministero, cui pur tante e più delicate gliene aveva concesse, ed invece gli accrebbe di altri 6 milioni la imposta sulla ricchezza mobile.

1 Seduta del 26 aprile 1865.

1 Furono presentate nelle sedute degli 8 e 18 aprile 1864.

Nel che, per vero dire, i buoni principii finanziarii non vennero osservati, non dovendosi mai far troppo a fidanza colle imposte dirette, per soverchio scrupoleggiare intorno alle tasse indirette, sempre meno gravose.

Questa riflessione doveva farsi tanto più, trattandosi di una tassa nuova che dai 30 milioni era stata portata di sbalzo ai 60 milioni, tassa che se in questa cifra poteva dirsi pur sempre proporzionata alle forze del paese, non bisognava peraltro esagerarla specialmente nei primordii della sua applicazione, se non volevasi correre il rischio che l’istrumento perdesse quella forza elateria che contiene in se stesso e quindi diventasse meno produttivo.2

Però, nell’accordare questo aumento di tassa, il Parlamento intese a migliorarne l’applicazione, nell’intento lodevolissimo di scemare le più forti diseguaglianze che si erano verificate, non già nel reparto del contingente fra provincia e provincia, ma nei subreparti fra i Comuni di una stessa provincia. Con questo intento stabilì che ogni rendita per le prime 250 lire non fosse soggetta a tassa proporzionale ma alla tassa fissa di L. 2 come le rendite inferiori alle 250 lire: abolì la scala crescente di tassa sulle rendite da L. 250 a L. 500: esentò dai centesimi addizionali gli stipendi degli uffiziali in servizio attivo, dal grado di maggiore in giù; e con una misura anche più radicale, deliberò che la tassa del 1865 per un terzo dovesse repartirsi tuttavia per contingente, ma per gli altri due terzi dovesse percipersi col sistema della quotità.

Questo sistema connaturale all’indole della tassa, se per avventura non sia stato soverchiamente anticipato, certo è che meglio corrisponde ai desiderii degli economisti ed agli interessi delle popolazioni che devono pagarla. 1

2 In Inghilterra rimanendo ferma la stessa aliquota, nel periodo di 10 anni, la tassa sulla rendita ha dato un maggiore prodotto di oltre 100 milioni all’anno.

1 Legge degli 11 marzo 1865.

CAPITOLO XLV.

Ancora delle nuove Tasse.

La tassa sulle entrate che nel primo stadio della sua applicazione era felicemente riuscita, incontrò poi varie difficoltà, e détte occasione a non poche censure dopoché, giunto appena il periodo della effettiva esecuzione, venne notabilmente e forse troppo presto accresciuta.

Non intendo già d’alludere a quelle difficoltà che sono connaturali a qualunque specie di tassa nuova, finché non sienoremossi gl’inconvenienti pratici, inevitabili sempre nei primordi della applicazione, o finché non siasi famigliarizzata colle abitudini del paese. E molto meno voglio accennare a quelle censure di massima che non essendo riuscite ad impedire che fosse vinta la legge in Parlamento, si riproducono adesso dagli oppositori, per attribuirsi il merito di aver collo nel segno, e di essere stati indovini.

Intendo invece di accennare a quelle difficoltà ed a quelle censure che sono argomento di discussione e di esame fra tutti coloro, i quali accettando in massima la nuova tassa, mirano a migliorarne l’applicazione, ed a renderne meno gravosi gli effetti a chi deve pagarla.

E prima di tutto, m’affretto a deplorare che le necessità finanziarie abbiano impedito che non si facesse conto abbastanza dei principi economici, i quali non avrebbero voluto che la tassa forse troppo tenue nel primo, fosse poi soverchiamente accresciuta nel secondo anno. Deploro egualmente che le stesse cagioni, e poi i ritardi inevitabili della esecuzione, abbiano dovuto recare il doloroso effetto di colpire i poveri contribuenti nello spazio di undici mesi dell’aggravio di due annate cumulate insieme, e cosi di un coacervato di 83 milioni con grave cimento delle forze economiche del paese, e delle suscettibilità del capitale. Aggiungo che interponendosi troppo lungo intervallo tra le denunzie ed il pagamento, si denatura l’indole della tassa, e rendesi nel fatto più gravosa. E concedo pure che sebbene la pubblica amministrazione abbia usata ogni maggior diligenza per facilitare la esecuzione della legge, coi suoi moltiplici e complicati regolamenti non sia riuscita allo scopo che si proponeva.

Fatte tutte queste concessioni, e prima che io discorra brevemente di alcune altre più gravi censure nelle quali io non concordo cogli oppositori, giovi il richiamare l’attenzione del lettore sopra un nuovo documento comunicatomi dal Ministero delle finanze che mentre conferma la verità dell’altro superiormente stampato, compie, per cosi dire, i resultamenti statistici non tanto della Legge del 14 luglio 1864, quanto della Legge delli Il maggio 1865.

IMPOSTA DELLA RICCHEZZA MOBILE PEL 1864

QUADRO COMPARATIVO DEI RESULTATI DELLE TABELLE K E DEI RUOLI D'IMPOSTA.

ANNOTAZIONI.

1° I risultati delle Tabelle K. portati nelle colonne 5 e 6 comprendono tutti i redditi dichiarati, anche quelli dei contribuenti di reddito inferiore a lire 250 e modificati dagli Agenti delle Tasse.

2° I redditi imponibili, col. 9. non comprendono i redditi inferiori a lire 250 imponibili, e contengono le modificazioni portate dalle Commissioni di sindacato e d’appello in quelli stabiliti dagli Agenti, e sono già ridotti a, per la parte che deriva dal capitale e dall’opera dell’uomo, ed a sa per la parte che non proviene né dal capitale e dall’opera dell'uomo, né dal capitale soltanto, mentre questa ultima si è portata per intero, come vuole la legge.

3° I redditi soggetti a tassa proporzionale della col. 10 contengono i redditi della col. 9 diminuiti dell'ammontare del prodotto del numero dei contribuenti della col. 8 per lire 250 in corrispondenza della tassa fissa a cui furono assoggettati tutti i contribuenti per la legge Il maggio 1865.

pagina 263

pagina 264

Da questo nuovo documento può ricavarsi:

1° Che in ordine alla prima iscrizione il numera dei Contribuenti inferiori alle lire 250 era di 1 977518 (col. 3) ed il numero dei contribuenti superiori a quella, era 1 244 032.

2° Che il coacervato delle rendite dichiarate figura nella somma lire 1, 341, 368 (col. 5) e quello delle rendite effettive in lire 1 132, 174 271 58 (col. 6).

3° Che per effetto delle successive operazioni di sindacato e di ricorso, il numero dei contribuenti inferiori alle lire 250 venne cresciuto fino a 2 437 259 (col. 7), mentre il numero dei contribuenti superiori venne ridotto ad 1, 205 203. (col. 8).

4° Che in seguito alle modificazioni operate dalle stesse commissioni di sindacato e di appello, ed alle successive riduzioni volute dalla Legge, la massa delle rendite imponibili venne ristretta a lire 953, 486 367 09, non comprese le rendite inferiori a lire 250 soggette a tassa fissa (col. 9).

5 Che finalmente detratta dall’ammontare del prodotto del numero dei contribuenti superiori a lire 250, e compresi nella colonna ottava, la quota corrispondente alle prime lire 250, esse pure soggette ultimamente alla tassa fissa, la' massa imponibile sottoposta a tassa proporzionale viene a residuarsi in lire 652 453117 05.

Questa ultima riduzione della rendita soggetta a tassa proporzionale, per effetto dell’art. 6 della legge Il maggio 1865, è il punto che solleva le maggiori obiezioni. Si rimprovera infatti che defalcandosi dalla massa totale della ricchezza soggetta a tassa i contribuenti inferiori alle lire 250, e sottraendo pure dalla quota degli altri le lire 250 soggette alla tassa fissa di lire 2, i contribuenti maggiori vengono a risentire tutto l’aggravio della tassa, comecché l’ammontare dei 66 milioni, meno L. 6622000, coacervato delle tasse fisse, sia per la parte del contingente che avanza dopo la deduzione della tassa fissa, sia per la quota delle altre due parti, tutto ricade sopra una massa imponibile ridotta a lire 652145 617. Talché l’imposta del 1865 offendendo il principio della proporzionalità, graverà i contribuenti delle diverse province in una misura variabile tra l'8 50, e il 10 per 100, e quindi bene al di là del limite che il Ministro delle finanze presagiva nel 5 ½ per 100. 1 Io che fui tra coloro che approvarono l’art. 6 della mentovata legge, intesi appunto che il temperamento di sottrarre indistintamente alla tassa proporzionale le prime L. 250 della rendita di ogni contribuente, dovesse essere profittevole ai minori contribuenti, ai quali la tassa proporzionale sarebbe stata troppo gravosa. Imperocché tale temperamento era analogo a quello che sull’esempio di altri paesi venne da alcuni proposto fino da principio; cioè che la tassa proporzionale colpisse soltanto quella parte di rendita che eccede indistintamente per tutti ciò che si reputa necessario al campamento. Posta in questi termini la questione, io non so vedere in che consista l’offesa che per la massima sancita dall’art. 6, sarebbesi fatta ai principii economici, o alla proporzionalità delle tasse.

Si può dubitare altresì che la differenza nel calcolo sia più apparente che vera, e che dipenda piuttosto dalla diversità nel modo d’istituirlo. Se infatti la massa imponibile delle rendite superiori alle lire 250 fosse rimasta nella cifra di un miliardo e 132 milioni quale appariva il giorno in cui il Ministro delle finanze fece il suo presagio, egli è certo che l’aliquota media generale sul contingente dei 60 milioni, diminuiti dai 5 milioni, approssimativo ammontare delle tasse fisse, pagabili dai contribuenti di quote minime, non avrebbe oltrepassato il 4 86 per 100. Se a base del calcolo si prende la massa imponibile accertata posteriormente in 953 milioni, allora lasciando sempre il contingente nella cifra di 55 milioni, avremmo un’aliquota del 5 78. Se questo contingente non per il fatto del Ministro, ma per quello della Camera fu portato a 61 milioni, l’aliquota nemmeno in questo caso può oltrepassare il 6 40, per 100.

1 Le obiezioni delle quali mi occupo, le ricavo precipuamente da una pregevole scrittura intitolata: L’imposta sulla ricchezza mobile, Considerazioni di Giovacchino Pepoli. Bologna, 1865.

Ora se invece di applicare l’imposta proporzionale a tutta la rendita imponibile, vuolsi invece applicarla soltanto a quella parte che per ogni contribuente eccede la rendita di lire 250, sta bene che l’aliquota debba aumentare, ma non è vero che una parte della ricchezza venga sottratta all’imposta, come non è vero che il ragguaglio debba istituirsi piuttosto sulla parte che sul totale. Imperocché se in questo sistema la tassa proporzionale si applica soltanto a lire 652153117 09, anziché a lire 953486 367 17, siccome la differenza fra le due cifre in 363 milioni si possiede dagli stessi contribuenti che possiedono gli altri 652 milioni, ne proviene per necessità che l’aliquota rispetto a tutti conserva sempre la stessa misura.

Ciò mi fa strada ad attenuare altresì l’obietto che vuolsi desumere dalle asserte mostruose diseguaglianze tra Comune e Comune, e che voglionsi provenienti dal sistema dei contingenti. I quali, sostituendosi al calcolo apparente il calcolo vero superiormente indicato, non è possibile che dieno l’aliquota tanto esagerata come si afferma. Del rimanente io pure posso rallegrarmi se il Ministro delle Finanze trovasi in grado di surrogare senza danno al sistema dei contingenti quello della quotità che oltre all’essere più connaturale all’indole della tassa, è anche più conforme al rigore di giustizia. Fatta però una tale concessione, mi sia lecito di affermare che senza il sistema dei contingenti, non saremmo mai riusciti ad ottenere i resultati che le denunzie ci dettero, e di sospettare per lo meno che quel sistema ci abbia giovalo a scuoprire viemeglio le cagioni vere da cui provengono le diseguaglianze tra Comune e Comune. Le quali diseguaglianze, nella maggior parte dei casi, potrebbesi asserire che provengono, non dai contingenti, ma dal difetto di accertamento delle rendite che pure essi hanno certamente facilitato. Se il sistema della quotità, fosse stato adottato fin da principio, non sarebbonsi evitale certamente le ingiustizie che avrebbero colpito coloro che avessero fatta una denunzia onesta, per causa di quelli che meno onestamente si fossero condotti. Ma laddove nel sistema delle quotità tali ingiustizie sarebbero passate inosservate e impunite, col sistema dei contingenti hanno potuto scuoprirsi e ripararsi.

Le cagioni vere delle diseguaglianze tra Comuni e Comuni devono ravvisarsi o nella inesperienza delle commissioni, o nell’abuso che pur troppo è stato fatto della facoltà di aggravare la tassa colla sopraimposta. Mentre concedo essere assurdo che laddove un limite d’imporre viene prescritto allo Stato, la facoltà della sovraimposta attribuita ai Comuni ed alle province debba essere sconfinata, non posso a meno di avvertire, che tale inconveniente, il quale si verifica rispetto alla imposta fondiaria non meno che per la imposta sulle rendite, richiama ad una delle più gravi questioni del nostro diritto amministrativo e politico.

Imperocché prescindendo anche dal notare che l'idea di stabilire un vincolo il quale mantenga, come in Francia, le imposte governative, provinciali, e comunali in una data proporzione fra loro, potrebbe far capo alla negazione della libertà comunale e, provinciale, può anche dubitarsi che l'idea di repartire tra lo Stato, le province, e i Comuni le materie imponibili, faccia pur capo ad ingiustizie anche più mostruose, 1 ove tale idea non venisse attuata con grande cautela.

1 Per agevolare al lettore il farsi un’idea esatta delle questioni, giovi il notare che sul bilancio francese le entrate delle tasse dirette sono distinte in due categorie cioè: Fondi per spese generali: — Fondi per spese speciali. Alla prima categoria appartengono l’imposta principale sia della fondiaria, sia dei diversi rami delle imposte mobiliari, e i centesimi addizionali non aventi speciale destinazione. Alla seconda appartengono i centesimi addizionali di due classi.

?) Centesimi addizionali per le spese dipartimentali, tanto obbligatorie che facoltative.

b) Centesimi addizionali per le spese comunali tanto ordinarie che straordinarie.

Non ostante concordo ben volentieri che debba attentamente studiarsi, se convenga restringere ai Comuni la facoltà illimitata che hanno d’imporre sopratasse alla ricchezza mobile; se convenga abbandonare del tutto le tasse minime di scabrosissima riscossione, e se più specialmente convenga estendere ad ogni specie di stipendii e di pensioni quella provvida esenzione che nella legge del 1865 fu fatta rispetto ai militari.

Ed a questi esami possono conferire non poco i dati statistici che circa l’applicazione della legge dovrebbero essere stati raccolti dalla pubblica amministrazione. Poiché se fosse vero, come mi venne asserito, che le tasse fisse, corrispondenti alle quote minime, costano tanto da assorbirei! prodotto: se fosse vero che le tasse corrispondenti ad una rendita imponibile di lire 400 danno luogo ad inestricabili difficoltà: se fosse vero che gli atti coattivi per esigerle non trovano subietto di esecuzione:

Fra le spese cui sono affetti i centesimi addizionali, figurano anche quelle che la legge pone a carico dei dipartimenti e dei Comuni. Trattandosi di spese facoltative, nel bilancio è stabilito un maximum ed un minimum.

I centesimi addizionali sono repartiti dalla legge sui diversi rami d’imposta. Ed eccone i resultamenti generali, secondo il bilancio del 1864.


Fondiaria

Personale Mobiliare

Porte e Finestre

Patenti

Vetture di lusso

Principale

L. 167600000

L. 47 619000

L. 34971600

L. 57 362 400

L. 4230000

Cent.addiz.

L. 126773 653

L. 28746367

L. 11 994 689

L. 28389 924

L. 705000

Totale.

L.294373 653

L. 76 365 367

L. 411900289

L. 85752324

L. 4935000

Aggiungendo le tasse di primo avviso in lire 555000 sul principale, ed in lire 390000 sugli addizionali, abbiamo le due cifre complessive di lire 312338000 principali, e di lire 196939633 addizionali, che costituiscono l'ammontare delle tasse dirette in lire 509337633.

I centesimi addizionali sono poi repartiti

Alle spese compartimentali per L. 107050000

Alle spese comunali per L. 89559635272

se fosse vero finalmente che il coacervato della ricchezza denunziata scema a misura che aumenta il solo sospetto di maggiore imposta: se tutto questo fosse accertato dalla esperienza, allora davvero apparirebbe necessario ed urgente l'esaminare, se per assicurare la legge, e per conservare alla tassa credito ed autorità convenisse di abolire le tasse fisse, corrispondenti alle quote minime, di estendere la esenzione fino alle rendite imponibili di lire 400, e di regolare la faccenda dei centesimi addizionali in modo che in nessun caso potesse mai essere oltrepassato il limite del 10 per 100, cui la tassa non credo sia giunta giammai nemmeno in Inghilterra.

Finalmente fu censurata la legge in discorso in quanto che avesse eccettuato dalla tassa sulle entrate la rendita netta della proprietà fondiaria che valutasi circa un miliardo: e quindi fu colta da ciò occasione anche per censurare l’altra legge della perequazione della fondiaria, come che avesse voluto associare insieme l’elemento stabile della fecondità naturale del suolo, coll’elemento del capitale, e della opera dell’uomo applicati all’industria agricola: e ciò per l’effetto di concludere che l’una e l’altra Legge dovrebbero riformarsi per modo che la rendita netta della terra venga soggetta, come ogni altra, alla tassa della rendita, e il tributo prediale assuma quel carattere di stabilità che gli schiuda la via all’eventualità del riscatto.

Tale obietto, che venne mosso anche in Parlamento, per condurre sopra una base affatto diversa la perequazione della fondiaria, mi condurrebbe, come ognun vede, ad una discussione teorico-pratica di tutto un sistema d’imposte e di finanze, discussione per la quale mi mancherebbe affatto la lena, quando pure me la consentissero lo spazio ed il tempo. Prescindendo adunque da ogni controversia intorno alla più che disputabile teoria economica, da cui muove l’obietto, e la quale mi pare che trovi una non spregevole risposta nella differenza grande, nei profitti tra i capitali impiegati nell’acquisto di terre, o in altre industrie, mi limito intanto ad osservare, che quando affermai trovarsi quasi dovunque in certa proporzione fra loro le due imposte sui fondi stabili e sulla ricchezza mobile non potè sfuggirmi il fatto che in Inghilterra ed in Francia anche la rendita netta dei fondi contribuisce in parte alla tassa sulla ricchezza mobile. Ma non conviene dimenticare altresì che in Inghilterra income-tax sovrapponendosi alla land-tax, l'imposta fondiaria propriamente detta non oltrepassa la cifra di italiane lire 80, 450, 000 dirimpetto a lire 227, 600, 000 che rende la imposta sulla rendita, e che in Francia sopra lire 213 928 980 cui ascendono complessivamente le tasse sulla ricchezza mobile, la proprietà fondiaria ne partecipa per quella sola quota che riguarda la tassa personale e mobiliare (lire 76 365 367) e non già per il totale e direttamente, ma per quella parte e indirettamente che percuote i proprietari in quanto abitano un quartiere ammobiliato, e non abbiano altra parte di rendita diversa da quella dei loro fondi rustici e urbani. Non conviene dimenticare nemmeno che fra noi l'elemento del capitale e della opera dell'uomo applicato all'industria agraria viene colpito dalla tassa sulla ricchezza mobile ogni qualvolta la rendita, che se ne ricava, profitti a persone estranee alla proprietà del fondo: che il nostro sistema d'imposte è molto diverso da quello francese, comecché mentre in Francia la imposta fundiaria è pressoché invariabile, 1 essa ebbe sempre fra noi un carattere di variabilità per cui dal 1815 in poi, nella maggior parte delle province italiane andò sempre crescendo proporzionalmente alle spese pare crescenti dello Stato, delle province, dei Comuni: che appunto per effetto di questa variabilità, ammessa anche in ipotesi la teoria da cui muove l’obietto,

1 La Costituente stabilì che 1 imposta fondiaria fosse invariabile e costante nella somma di L. 240, 000, 000, e non potesse mai eccedere la sesta parte della rendita netta territoriale. Oggi coi centesimi addizionali non oltrepassa la somma di L. 294, 373, 653, e mi viene affermato che non oltrepassa l'altro limite imposto dalla Costituente.

una parte della imposta fondiaria percuote pur sempre la rendita netta dei fondi: che l’aumento dei 20 milioni stanziato colla legge di perequazione sulla imposta fondiaria, e gli aggravii che tale imposta ha avuto per opera dei consigli comunali e provinciali, ' tengono bene il luogo dei 45 centesimi, dei quali il ministro repubblicano Goudchaux voleva colpire la rendita netta dei proprietarj, che pure esentava dal concorrere direttamente alla tassa sulla rendita dal medesimo proposta: che per conseguenza, calcolati i prodotti dell'industria agricola colpiti dalla tassa sulla rendita,

1 Le sovratasse alle imposte erariali stabilite dai Comuni nei soli anni 1861, 1862, 1863, segnano la seguente progressione:

1861

L. 44116558

1862

L. 48228793

1863

L. 60015010

Sicché il complesso della imposta fondiaria può calcolarsi come appresso:

Imposta erariale

L. 128000000

Imposta comunale

L. 60 015 010

Imposta provinciale

L. 15 396 762


L. 203411772

Tenendo conto dei mutamenti recati dalle nuove leggi amministrative nonché di altri avvenuti nei bilanci dei Comuni e delle province, non credo di andar lungi dal vero affermando che la cifra sopra indicata riceva un aumento di circa 20 milioni.

In Francia l’imposta fondiaria ascende a L. 294 373653.

Principale

L. 167600000

Centesimi addizionali

L. 126773653


L. 294373653

calcolati i 20 milioni di sovraimposta erariale, calcolati gli aumenti delle sovratasse comunali e provinciali, si compone un contingente d’imposta gravante la rendita netta dei fondi e non prelevata sul prezzo di acquisto forse superiore assai all'aliquota del 5 per 100, che spetterebbe al miliardo di quella rendita dopo di avere subita la riduzione dovutagli dei 6/8: e tutto questo senza tenere in calcolo gli effetti della perequazione della tassa sui fabbricati non ancora ultimata, e che essa pure colpirà una parte della rendita netta della proprietà fondiaria.

Da questi confronti di cifre, e di fatti, (anche astraendo dalla questione se sia utile il trasformare l'imposta fondiaria) può argomentarsi se il riscatto della medesima sia una proposta effettuabile. Quando tale riscatto non riuscì bene nemmeno in Inghilterra, ove l’imposta mai accresciuta aveva conservato il carattere primitivo e la mitezza di tributo feudale, 1

1 Sono meritevoli di attenta considerazione le riflessioni che il Garnier fa in proposito della celebre legge di Pitt del 1798, e che si leggono in nota alle opere di Adamo Smith, lib. V, cap. 2.

«La fixité de l’impôt présente encore une autre sorte d’inconvénient bien plus grave, que Smith n'a pas dû prévoir, et dont après lui les finances d’Angleterre ont fourni un exemple. L’impôt ainsi converti en une redevance fixe, perd son véritable caractère, qui est celui d’un tribut annuel d’une portion du produit, d’un sacrifice momentané et volontaire, d’un secours accordé à l’État par les propriétaires:il prend la forme d’une rente foncière, ou cens perpétuel que le gouvernement est bientôt porté à considérer comme une propriété demaniale. Il n’a qu’une telle illusion qui a pu déterminer M. Pitt, en 1798, à proposer au Parlement une des mesures les plus iniques et les plus attentatoires au droit sacré de la propriété, en faisant passer une loi qui oblige chaque propriétaire foncier à racheter la taxe foncière dont sa terre était grevée, à raison de vingt années de cette taxe, et six dans un terme de cinq années; et à faute da faire, dans le temps prescrit, ses offres de rachat, autorise les commissaires nommés à cet effet, à mettre en vente ce prétendu capital.

sarà lecito di dubitare fortemente se possa esso attuarsi negli Stati, dove il tributo sulle terre si è da tanto tempo trasformato in imposta sulla rendita netta, e dove ha raggiunto proporzioni cosi grandiose come in Francia, ed in Italia. «Se è un fatto (diceva il compianto Pasini) che presso di noi la imposta fondiaria ha ricevuto un tale sviluppo da presentarci una rendita dai 100 ai 110 milioni, sarebbe egli possibile di fare quello che ha potuto eseguire l’Inghilterra, vale a dire di rendere redimibile questa parte, e poi comprendere la imposta sui fondi nella generale imposta unica sulla rendita? Io domando se ciò è possibile? Non lo è, o Signori.


Toute personne a été admise à acquérir, et en vertu d’une telle acquisition, ce tiers acquéreur a pu devenir créancier privilégié du montant de la taxe annuelle, comme d’une rente réelle, foncière, et perpétuelle, qui aurait été créée sur les fonds.

Le résultat de cette opération n’a été, en définitive, autre chose qu’une taxe ou subvention extraordinaire, levée sur les propriétaires fonciers, pour être employée au remboursement d’une partie de la dette publique. Le propriétaire qui a fourni ses deniers pour ce rachat, n’a point libéré son domaine de la charge à jamais inhérente à la propriété foncière, la charge de contribuer directement ou indirectement aux besoins présents et futurs du gouvernement, de la protection duquel elle tient toute sa valeur. Cette condition est inséparablement attachée à la qualité de propriétaire, et on ne pourrait les déjoindre sans ébranler tous les fondements de l’édifice politique. Aussi, dès l’année qui suivit celle dans laquelle fut portà l’acte de rachat de la rente foncière, il fut établi une taxe sur les revenus, qui n’était qu’une véritable taxe foncière, pour la partie que les propriétaires de terres eurent à supporter dans ce nouvel impôt.

Il Pasini intendeva della sola fondiaria governativa, e ne parlava nella cifra cui essa ammontava prima della perequazione.

Questo partito tornerebbe impraticabile, e dannoso, perché sarebbe domandare ai proprietarj quello che non potrebbero avere, il capitale della redenzione: perché sarebbe domandare ai proprietarj una redenzione impossibile, essendo troppo forte l'imposta che si è ormai stabilita, e che è stata detratta dagli acquisti: e perché non si potrebbe d'altronde obbligare i proprietarj a pagare una seconda imposta egualmente forte. Dunque i precedenti nostri ci obbligano a tenere questa imposta come separato cespite di finanza. Questo mi parrebbe indubitabile. Ma questo cespite, che pur dobbiamo tener separato anche per godere di tutti i vantaggi della detrazione, che gli acquirenti hanno fatta sui prezzi della proprietà, questo cespite ci permette poi, dove l'entrata ordinaria presenta dall’ordinaria uscita un distacco di tanti milioni, di sperare che potremo andar molto avanti, nel l'aumentarlo?1»

Il Pasini affermava che, eseguita la perequazione, sarebbe stato molto, se lasciati i centesimi addizionali delle spese provinciali, avessimo potuto ottenere un aumento di 20 a 30 milioni. Può dunque concludersi, che la tassa sulla ricchezza mobile, è suscettibile di non lievi correzioni che abbiano per scopo di renderne più agevole a tutti la esecuzione e farla meno gravosa per i contribuenti: 2 che però bisogna guardarsi dal toccarla nei suoi principi fondamentali, e molto meno di trascinarla fuori dei limiti nei quali venne posta in principio:

1 Vedi Rendiconto della Camera dei Reputati, nella tornata del 4 luglio 1863.

2 Io credo che sarebbe un gran bene il sostituire alla dichiarazione scritta, la dichiarazione verbale fatta davanti ad una speciale commissione, la quale immediatamente devenisse all'accertamento della rendita, e della tassa. Ciò porterebbe minori noie per i contribuenti, e ravvicinerebbe il pagamento alla denunzia, lo che è il punto capitale. I ricorsi e le contestazioni potrebbero venire in seguito senza danno e senza molestie per alcuno.

che è pericoloso il confonderla colla imposta fondiaria, la quale ogni buon finanziere deve procurare di perequar meglio che può, ma lasciandola però come ce l’hanno fatta ormai le abitudini del paese, lauto più che essa costituisce la più sicura e la più certa risorsa che abbia il tesoro dello Stato. Con questo non voglio negare che la questione sia meritevole di serio esame e di molta considerazione, né i vantaggi che potrebbero trarsene, ove la potesse essere risoluta senza troppi disturbi, e senza scuotere i fondamenti stessi del diritto di proprietà. Non v’è che il tempo e la paziente diligenza che valgano a naturalizzare, e rendere agevoli ai contribuenti, e produttive per l’erario le tasse nuove. Il peggiore dei mali per i contribuenti e per l’erario è il troppo frequente mutamento delle imposte, provocato dai primi inconvenienti, da precoci speranze, da inopportune impazienze, giacché mai non si raggiunge quell’equilibrio economico di lutti i coefficienti della produzione che pure è indispensabile per la formazione della ricchezza, e che fondasi principalmente sulla opinione della stabilità delle leggi.

CAPITOLO XLVI.

Una grave questione.

Il bilancio attiro del 1865 giunto, come vedemmo, alla somma di 641 milioni 1 offre un contrasto non lieve col primo bilancio del Regno d’Italia (1861), nel quale le pubbliche entrate non sorpassavano i 460 milioni. 2

Così da un bilancio all’altro abbiamo conseguito un aumento di entrate di 140 milioni.

1 Porto il bilancio a questa cifra, computati i sei milioni d’aumento alla ricchezza mobile, che la Camera ha accordati invece della riforma del registro e bollo.

2 Prospetto delle pubbliche Entrate

iscritte nei bilanci attivi del quinquennio.

Titoli.

1861.

1862.

1863.

1864.

1865.

1. Imposta fondiaria L.

110854114—

110 997971 70

112275 167 40

115540257 40

139827487 74

2. Imposta sulla ricchezza mobile

13716160 —

13574 5(5 43

13466105—

15226466 09

63465885 66

3. Tasse sogli affari

48413011—

78364 466 09

78 577400—

70125750 —

73 000000 —

4. Dazi di confine

66117267—

65700183 00

62421280—

63000000 —

60200000—

5. Dazi interni di consumo

21648716 —

22258(96 67

22825196 67

22825196 67

28100000—

6. Privative

101418026 —

102940500 61

103860000 —

111160000 —

136500000—

7. Lotto

28906123 —

42 430110 60

37042282—

37(12282 —

40000000—

8. Rendite patrimoniali

41343926—

44118472 67

44573004 36

45706(52 93—

48422122 51

9. Proventi di servizi pubblici

19904283 —

255(9904 97

30025006 03

26264500

28562800—

10 Entrate eventuali

1239603—

1065170 39

1451575—

1597184 —

1475983 41

11. Rimborsi

7 074232 —

12(57532 42

12767255—

13485240 —

16051328 05

Totale L.

460635461—

5(9147773 95

5(9284271 46

522103029 09

635605607 37

OSSERVAZIONI.

Il bilancio attivo fino al 1864 era una semplice classificazione di partite senza razionale distribuzione, e comprendeva 112 capitoli.

Il bilancio nella forma attuale fa opera del ministro Minghetti, che nel 1864 lo ridusse in num. 89 capitoli distribuiti in XI titoli generali.

Sarebbe stato impossibile lo statuire un confronto, se non avessi ridotto a questa forma anche i bilanci precedenti.

E questo resultamento, del quale certi piagnoni non tengono conto, lo dobbiamo alla operosità ed allo zelo dei tre Ministri di finanza che sonosi alternali o succeduti, Bastogi, Minghetti e Sella; il primo dei quali ebbe il merito d’immaginare e di preparare tutte le leggi d’imposta, il secondo la persistenza nel discuterle e vincerle nel Parlamento, il terzo la maggiore fatica di applicarle, e il coraggio di chiedere e di ottenere aumenti d’imposta non curando l’impopolarità che è l’ordinario guiderdone di ogni severo amministratore.

Un popolo che nel periodo di quattro anni accresce il suo bilancio attivo di 140 milioni, se ha fatto dei debiti, mostra per lo meno che ha anche i mezzi e la volontà di pagarli. Se quello che abbiamo fatto nel 1864 lo avessimo anticipato di due anni, forse avremmo potuto fare a meno dell’ultimo imprestito. Ed è singolare che le maggiori querimonie sullo stato delle nostre finanze abbiano cominciato ad udirsi quando appunto, per la approvazione delle leggi d’imposta, le nostre finanze entravano evidentemente in un periodo di miglioramento e di progresso. 1

Però non potè vasi dissimulare che il nostro bilancio attivo stava per soffrire la perdita di due cospicue partite, conseguenziali alle operazioni finanziarie altrove ricordate.

La previsione del 1862 era fondata sulle speranze esagerate che si ebbero allora rispetto alle nuove leggi di tasse sugli affari, rimase in difetto di 46 milioni, onde avvenne che i 519 milioni si riscossero soltanto per 473 milioni e mezzo, e quindi con soli 13 milioni e messo di aumento sol bilancio del 1861

Metto la tassa della ricchezza mobile secondo il bilancio, senza tener conto del successivo aumento.

1 Il Pasini nella sua relazione sul prestito dei 500 milioni in data del 18 giugno 1861, si augurava

che la tassa sulla ricchezza mobile salisse dai 9 ai 25 milioni;

che le tasse sugli affari da 44 milioni salissero agli 88 milioni;

che il reddito dei tabacchi dai 40 milioni salisse ai 60 milioni;

Ora la tassa sulla ricchezza mobile è salita a 69 milioni. Le sole tasse di registro e bollo sono salite a 50 milioni, e tutte le tasse sugli affari a 73 milioni. Il prodotto dei Tabacchi verso i 70 milioni.

L'una di circa 27 milioni, prodotto lordo delle strade ferrate già alienate. L’altra di circa 12 milioni, rendita dei beni demaniali che sono in via di alienazione. Talché le entrate dai 641 milioni sarebbero discese per altrettanta somma ad un livello più basso. Volendo adunque provvedere efficacemente al credito dello Stato, bisognava pensare ai mezzi onde nel 1866 non solamente si raggiungesse la cifra iscritta per il 1865, ma eziandio si ottenesse di sorpassarla, tanto più che il bilancio passivo sarebbesi trovato accresciuto di altrettanta rendita consolidata, quanta ne occorreva per sopperire agli interessi del nuovo imprestito dei 425 milioni che era stato per legge autorizzato.

Ma qui presenlavasi una grave questione finanziaria, che venne suscitata incidentalmente nel Parlamento, senza che però restasse risoluta. Il deputato Minghetti nel suo splendido discorso che fece alla Camera nella seduta del 12 aprile, non tanto per difendere i provvedimenti proposti dal suo successore, quanto ancora per giustific|re (come gliene incombeva il dovere) la propria amministrazione dai tanti e ripetuti assalti di cui era divenuta bersaglio, disse che nella sua opinione il periodo delle nuove grandi leggi d’imposta era chiuso, imperocché la perequazione della fondiaria, il dazio di consumo, la tassa sulla rendita e le tasse sugli affari, costituivano il complesso razionale ed economico delle leggi d’imposta che bastano per colpire qualunque specie di ricchezza come qualunque specie di produzione. Il deputato Minghetti, così dicendo, non faceva che ripetere una dottrina finanziaria già propugnata dal Pasini nella discussione sulla tassa della rendita. E credo che entrambi si apponessero al vero, imperocché ogni nuova imposta che non rientrasse in alcuna di quelle superiormente rammentate, o sarebbe la negazione dei principii economici che sono la base della nostra legislazione, o colpirebbe di doppia tassa la medesima ricchezza e la medesima produzione, o conseguirebbe un effetto diametralmente opposto a quello che vorrebbesi conseguire. In tutti questi casi turberebbesi evidentemente il nostro sistema finanziario con scapito della giustizia, e con scapito anche maggiore del pubblico erario.

Prescindendo infatti dai principi economici, ai quali è subordinata ogni questione d’imposte, e dalla ragione politica che prescrive non pochi riguardi, ogni qualvolta si renda evidente che tutte le materie tassabili ricadono sotto alcuna delle imposte principali, la disputa intorno alle imposte nuove mi pare che riducasi ad un dilemma semplicissmo, il quale risponde a non poche delle argomentazioni che ho udite su tale proposito.

O vi è la ricchezza nazionale che è base principale di ogni maniera d’imposte, ed allora l’arte del buono amministratore in null'altro può consistere, che nel trovare i modi più acconci onde questa ricchezza al momento che si produce, apparisca nelle sue moltiplici forme e non possa sottrarsi alla imposta.

O la ricchezza nazionale manca, ed è tenta a prodursi, ed allora quello che non può ottenersi colle imposte esistenti, è impossibile che ottengasi con imposte nuove.

Sarebbe questo il caso preciso di quel dabbenuomo fiorentino il quale udendo che ogni porta della città rendeva mille lire al mese di dazio, progettava di accrescere il numero delle porte, come mezzo infallibile di aumentare il prodotto.

Cosiffatti espedienti fìnanziarii non giungono che a due resultati egualmente fatali, cioè ad impedire la formazione del capitale nazionale, e ad accrescere le spese di percezione, essendo ormai costatato dalla esperienza che ogni imposta nuova seco trae la creazione di una nuova schiera nell’esercito degli agenti fiscali.

Noi risentiamo sempre gli effetti della gioventù. Con grandissima fatica siamo giunti alla unificazione delle leggi d’imposta. Queste sono appena entrale, nel periodo della prima esecuzione, e da un lato ci spaventano gli inconvenienti cui danno luogo, e dall’altro ci fa maraviglia se non danno ad un tratto un maggiore prodotto. Questo non è davvero un buon ragionare in fatto di finanze. Se volessimo far pro della esperienza degli altri paesi, saremmo meno maravigliati di ciò che accade. E se impiegassimo nella buona esecuzione o nella riforma benanche e migliore distribuzione delle imposte attuali, il tempo che occupiamo nell’escogitare imposte nuove, il profitto dell’erario pubblico sarebbe certamente maggiore.

Ciò non vuol dire però che al nuovo Parlamento nulla rimanga a farsi; ciò non vuol dire che debba cullarsi il paese nella lusinga che le tasse non debbono aggravarsi. Imperocché io credo, come disse apertamente di crederlo lo stesso deputato Minghetti, che senza bisogno di creare grandi e nuove imposte, per aumentare notevolmente le nostre rendite, basti il concentrare tutta la nostra attenzione sulle imposte che abbiamo, sia semplificandole nel loro organismo, sia megliorandole nella esecuzione, sia fecondandole con più acconcio reparto, sia svolgendole in tutte le conseguenze pratiche della loro applicazione.

Ed infatti, null'altro che svolgimento delle imposte esistenti è l’aliquota del 12 ½ per cento, che il Parlamento deliberò per determinare la imposta perequata sui fabbricati. Questo carattere ha pure il lieve aumento che fu portato nelle tasse ipotecarie. Lo stesso può dirsi delle riforme proposte, e non accettate per ora, delle leggi di registro e bollo. Ma intanto avverandosi i presagii più moderati, l'aliquota del 12 ½ per cento darebbe un 10 milioni, un milione lo caveremmo dalle tasse ipotecarie, 20 milioni almeno dalle tasse di registro e bollo, e così avremmo già oltrepassati i 27 milioni che ci toglie la vendita delle strade ferrate.

Quando poi si ripigliasse in esame la tariffa del dazio di consumo, quando la tassa di fabbricazione (accises) che esiste in germe nella legge regolatrice di questo dazio si estendesse a molti prodotti che ne furono esenti; quando specialmente si facessero nuovi o più severi studi intorno alla tassa delle bevande, una sola volta annunziata in Parlamento dal ministro Bastogi, e che frutta alla Francia 246 milioni, ognuno capisce che poco ci vorrebbe per recare al nostro bilancio un considerevole incremento di entrate, senza uscire affatto dalla medesima via, senza punto alterare il sistema d'imposte, e senza turbare l’economia nazionale.

Imperocché io credo, come lo credono gli Inglesi, uomini eminentemente pratici in fatto di finanze, che sotto ogni aspetto politico e finanziario, le migliori imposte, le più sicure, e le più produttive sieno sempre le imposte indirette le quali malgrado certe contrarie teorie meglio si distribuiscono fra i cittadini, meglio si proporzionano alla ricchezza di ognuno, vengono pagate con minore incomodo, e meno danno luogo ad attriti tra il Governo ed i contribuenti. Talché le imposte indirette nelle loro varie diramazioni le vediamo oggidì costituire la più cospicua sorgente di pubbliche entrate per gli Stati più civili d’Europa: 1 e le vediamo altresì essere argomento di studi e di esami per tutti coloro che hanno l'abitudine di non disgiungere mai l’arte finanziaria dalle dottrine economiche, e dalla prudenza governativa.

Non deve recare pertanto maraviglia, se non avendo antipatie preconcette contro alcuna imposta vecchia o nuova, quando si tratta in specie di salvare il credito dello Stato, pur nondimeno sono tratto a persistere nella opinione che l’avvenire del nostro bilancio meglio che nella creazione di nuove imposte, esser deve riposto nella migliore amministrazione, e nel graduale svolgimento delle tasse indirette. Le quali mentre sono il mezzo più acconcio e il meno pericoloso onde tutte le classi di cittadini con minore incomodo contribuiscano alle spese dello Stato in proporzione degli averi, e mentre non vi è ragione di dubitare che debbano procurarci in breve quegli incassi più abbondanti che forniscono altrove, pure fra noi si mantengono tuttavia scarsamente produttive, e sono molto distanti dall’avere quella proporzione che nei bilanci degli altri Stati serbano colle tasse dirette.

1 Per conoscere come le imposte indirette e il loro svolgimento progressivo concorrano alla formazione dei Bilanci nel doppio rapporto della distribuzione delle tasse, e della entità delle entrate, giovi il riferire per capitoli generali i seguenti bilanci della Francia, Inghilterra e Belgio.

pagina 285

E ciò lo dico tanto più volentieri, perché mi piace di notare che già i sintomi di tale inevitabile incremento cominciano a manifestarsi. Abbiamo già osservato come nel periodo di due anni le imposte indirette ci abbiano dato un maggiore prodotto di 40 milioni.

Se gli incassi dei primi dieci mesi di quest’anno servono di misura per gli altri due, possiamo ritenere che i due rami delle tasse e delle gabelle sorpasseranno almeno di quasi 30 milioni l'incasso dell'anno precedente, tutto che pur troppo in questa cifra il prodotto delle Lotterie abbiasi sempre il primato. 1

1 Prospetto degli introiti fatti dalle Amministrazioni delle gabelle e delle tasse nei primi dieci mesi dell'anno 1864, in confronto cogli introiti dei primi dieci mesi dell’anno precedente.

Introiti delle Gabelle

1865

1864

Introiti delle Tasse e Demanio

1865

1864

Dogane

50969200

46004540

Contratti

22303760 21

20338791 59

Diritti marittimi

4606141

4736710

Atti giudiziarii

2236939 74

4001944 03

Successioni

40058947 88

98788293 31

Dazio Consumo

23304178

40320588

Ipoteche

2726079 46

2338231 25

Tabacchi

03470350

64563569

Bollo

45038292 44

44466000 09

Sali

40411 188

33635200

Polveri

1803374

2010403

Tasse sulle Società

775869 50

98*900 99

Tasse sul Pubblico Insegnamento

423212 47

322266 32

Diritti diversi

5413789 41

4561852 23

Manimorte

2964452 65

4453972 95

Lotto

49301009 —

36823888 95

Patrimonio dello Stato

40536908 33

44206057 67

Totali

181714440

463356779

Totali

424779410 —

407079055 40

Talché si ricava da questo prospetto che nei primi dicci mesi dell'Esercizio del 1865

Gli introiti delle Gabelle presentano un aumento di

L. 18 357 661. —

Gli introiti del demanio e tasse

L. 14 699 761. 50

L. 33 057 422 50

Ma siccome l’impulso, una volta dato, egli è sperabile che non debba arrestarsi, non sarebbe una troppo grande illusione lo sperare, che stante il perfezionarsi della pubblica amministrazione, mediante il riordinamento di certi servizi, e mercé qualche opportuna riforma nelle leggi stesse, il prodotto delle tasse sugli affari e delle gabelle potesse procurarci nel periodo di tre o quattro anni un aumento di oltre 100 milioni che porterebbe il nostro bilancio attivo bene al di là della cifra cui feci altra volta allusione dei 700 milioni.

Questo ho voluto dire senza entrare in ulteriori particolari, perché se io non sarò mai fra gli ultimi nell’inculcare al mio paese la difficile virtù dei sacrifizii, se quanto altri mai sento pure la necessità che tutti i nostri sforzi debbano convergere a colmare il disavanzo che è tuttora imponentissimo fra le entrale e le spese, se io sono interamente convinto che gli aggravii imposti al paese saranno in un tempo vicinissimo la causa più efficace della sua prosperità, credo del pari m’incomba il dovere d’insistere perché sia meno che è possibile alteralo il sistema delle imposte, perché sia mantenuta la fiducia nella stabilità delle leggi, perché sieno rispettati quei confini che dai principii della dottrina economica, e dai dettami della esperienza, vengono imposti ad ogni buono ed avveduto finanziere, e perché la fretta soverchia non produca l’effetto di sterilire l’albero prima che giungano a maturità quei frutti che ci promette, e deve necessariamente produrre.

CAPITOLO XLVII.

Unificazione legislativa e amministrativa.

Altro benefizio anche più importante, che abbiamo conseguito per la convenzione del 15 settembre, fu quello di potere affrettare e compiere la unificazione legislativa e amministrativa del Regno, che altrimenti chi sa per quanto tempo ancora avremmo dovuto aspettare.

Imperocché, mentre sentivasi da ogni parte imperiosamente il bisogno che si compisse 1 ordinamento del Regno, onde al più presto possibile incominciasse il periodo della vera amministrazione, e le leggi già fatte potessero osservarsi nel loro insieme e nei loro effetti complessi, non era vi alcuno che non vedesse al tempo stesso quante difficoltà a ciò si opponessero, se la unificazione di cui trattavasi, avesse dovuto farsi per la solita trafila delle procedure parlamentari. Ognuno intendeva quanto fosse malagevole, che le leggi organiche, e molto più i codici, potessero discutersi e deliberarsi in Parlamento. Per lo meno sarebbe occorso un tempo lunghissimo, e nella vita dei popoli, come in quella degli individui, il tempo equivale a moneta. Le difficoltà crescevano a dismisura presso di noi, che ci siamo ostinati a voler conservare un regolamento il quale sembra compilato appositamente per intralciare e rendere eterne le discussioni. L’esperienza pur troppo era stata fatta. Le leggi amministrative per due volte di seguito avevano fatto naufragio o negli uffizii, o nella discussione della Camera. Quattro anni ci erano voluti perché le leggi d’imposte uscissero dalle prove del Parlamento. Il convincimento era ormai penetrato presso che nell’animo di tutti, che se la unificazione delle leggi amministrative e dei codici avesse dovuto farsi nei modi ordinari, la legislatura avrebbe raggiunto il termine della sua vita legale senza venirne a capo. Se ad alcuno tale prospettiva non dispiaceva, per i più era un pensiero molesto, come che ciò paresse in certa tal guisa disdicevole al decoro ed all’ufficio della prima legislatura, e non potesse sfuggire un sospetto vago, che le difficoltà potessero divenire anche maggiori per la legislatura che le succedesse.

D’altra parte non poteva dissimularsi quanti fossero gli inconvenienti, e le molestie, se la sede del Governo veniva trasferita in mezzo a province che avessero leggi ed ordinamenti diversi da quelli della restante Italia, e se per prima cosa si fosse dovuto dubitare quale esser dovesse la legge regolatrice del Governo centrale nelle sue relazioni coi terzi. Finalmente era pure da considerarsi che lasciando passare la occasione, chi sa quando sarebbesene presentata un’altra, nella quale tutte le circostanze si riunissero più favorevoli ad un atto politico, del quale niuno poteva disconoscere la importanza.

Niuno certamente avrebbe voluto dare al Governo la facoltà sconfinata di promulgare a sua voglia codici e leggi, con una formula di pieni poteri, che sarebbe apparsa equivalente ad una compiuta abdicazione del Parlamento. Ma tra il discutere i codici e le leggi organiche articolo per articolo, e il promulgarle senza il concorso del Parlamento, eravi un termine medio, il quale consisteva nell’autorizzare il Governo a promulgar codici e leggi determinate e conosciute, comecché già per lo innanzi esaminate, studiate e approvate da speciali Commissioni nei due rami del Parlamento.

Questa è appunto la via nella quale entrarono d’accordo la Camera dei deputati e il Senato. E siccome i più si persuasero che altra non ce ne fosse più conveniente e più praticabile, il Parlamento seppe persistervi con abnegazione e coraggio fino in fondo, tanto più che la opinione pubblica del paese con segni non equivoci erasi manifestata favorevole a questo sistema di compendiosa deliberazione. Per tal modo, nel giro di pochi giorni, potemmo dare al paese in un momento di entusiasmo quella compiuta unificazione che da tutti era reclamata, ma che pure in quattro anni non eravamo pervenuti ad effettuarle.

CAPITOLO XLVIII.

Il Codice civile.

In Italia vi erano altrettante legislazioni civili quanti erano gli antichi Stati. Il Codice Napoleone, che al 1814 costituiva il diritto comune di tutti gli Italiani, non fu conservato che nel reame delle Due Sicilie e nei ducati di Lucca e di Parma, salvo le modificazioni che i Governi restaurati vi arrecarono per ciò che riguarda i principii di diritto pubblico. La Toscana e le province pontificie tornarono al diritto romano e canonico, salvo il regime ipotecario, che fu gioco forza di conservare in ossequio alla buona fede delle contrattazioni. In Lombardia e nella Venezia vigeva il Codice Austriaco. Nel regno di Sardegna il Codice Albertino, nel Modenese il Codice Estense.

Appena entrati nel periodo delle annessioni, fu sentito il bisogno che la unificazione della legislazione civile venisse a rafforzare i vincoli che stringevano fra loro le province annesse, e fu creata un’apposita Commissione la quale in breve ebbe pronto il suo lavoro, che il ministro Cassinis presentò ai due rami del Parlamento. Ma le vicende politiche, che si svolgevano nelle province meridionali, fecero sentire la convenienza di temporeggiare, e l’opera legislativa del Parlamento del 1860 si limitò a promulgare nelle province di Romagna, dell’Umbria e delle Marche, e forse meno provvidamente, il Codice Albertino, che alcuni reclamavano in odio di quella che chiamavasi legislazione papalina, ma che in sostanza era il diritto i ornano modificato dalla comune giurisprudenza. 1

Proclamata l’unità del Regno, facevasi più vivo il desiderio di un codice unico, ed a questo effetto, per rompere gl’indugi, fino dai primi del 1861 taluno manifestò la opinione che si dovesse promulgare in tutto il Regno il Codice Napoleone, quale era in vigore in Italia fino al 1814. Imperocché in questo passo, comunque ardito, si ravvisasse il triplice vantaggio di avere un Codice tuttora vigente nella metà della penisola, che era rimasto nelle tradizioni e nella riverenza di tutti gli Italiani, di averlo senza bisogno di nuove discussioni, di averlo col benefizio di una giurisprudenza già formata. Ciò non impediva che si conservassero i progressi già ottenuti in alcune parti della legislazione, 0 che altri se ne conseguissero mediante ulteriori riforme. Ma intanto, fino da quel tempo l’Italia avrebbe avuto una medesima legislazione civile. Questa opinione, che fu accettata dal Ministro d’allora, non ebbe però altro seguito, e noi entrammo nuovamente nel periodo di una seconda elaborazione, cui ebbero parte i principali giureconsulti e magistrati d’Italia, e può dirsi che fosse l’opera collettiva di tutti i ministri che succederonsi nel Ministero della Giustizia, finché il ministro Pisanelli, che più di ogni altro se ne occupò, ebbe l’onore di presentarlo al Senato del Regno. Ed é appunto questo codice che il ministro senatore Vacca riuscì a fare approvare dai due rami del Parlamento, e che é andato già in vigore per tutta Italia al 1° gennaio del 1866. 2

Si potranno certamente controvertere nell’ordine morale e civile alcuni principii che il nuovo codice sanziona: sarebbesi fors’anche potuto desiderare da parecchi che alcuni di tali principii fossero siati sottoposti a nuovo esame ed a più larga discussione: come avrebbesi potuto sperare che una maggiore diligenza avesse potuto rendere il codice più esatto nella locuzione, più accurato nella forma, e scevro degli altri difetti che per avventura vi si potessero notare. Ma dall’altro lato deve pure notarsi, che questo codice, alla perfine, ha la base nel Codice Napoleone, ed è il frutto dell’indefesso lavoro che vi hanno recato quattro ministri successivi, moltiplici commissioni di dotti giureconsulti, e finalmente la Commissione del Senato, che successivamente lo hanno riveduto, corretto e migliorato, talché starà sempre fra i migliori codici della civile Europa.

1 Legge del 27 ottobre 1860.

2 Legge del 2 aprile 1865.

Ed è pur gioco forza il convenire, che mentre certe massime, che il codice contiene, non avrebbero potuto utilmente contrastarsi, sarebbe stato difficile assai che una più perfetta elaborazione fosse potuta uscire da una faticosa discussione del Parlamento. E comunque io tenga in grandissimo peso anche le opinioni avverse per sistema alla codicifazione, non credo che si possano disconoscere i benefizii e i vantaggi che ne conseguiranno, quando da un punto all’altro d’Italia non vi sia che una sola legge civile, che ha tante e moltiplici attinenze coi commerci, colle tasse, con tutti gli atti della vita, con tutte le relazioni insomma in cui possono trovarsi tra loro e collo Stato, la famiglia, la libertà, gli averi dei cittadini.

A queste poche osservazioni devo restringere il discorso, non essendomi consentito dalla indole del mio lavoro l’accennare neppure sommariamente le precipue differenze che intercedono fra il codice nuovo e le preesistenti legislazioni, e molto meno il toccare delle questioni che su tale proposito vennero suscitate dentro e fuori del Parlamento. Mi basti il notare che il nuovo Codice ha introdotto il matrimonio civile; ha attribuito alle autorità civili l’accertamento e la conservazione degli atti concernenti lo stato delle persone; ha resa partecipe la madre (defunto il padre) dei diritti e dei privilegi della patria potestà rispetto ai figli minorenni; ha ristabilita nelle successioni la eguaglianza fra i due sessi, rompendo così in molte parti d’Italia le secolari abitudini del voto agnatizio: ha risolute finalmente non poche questioni sulle quali era dissidio nell’antica e nella moderna giurisprudenza.

Non debbo tacere però che posteriormente il Governo del Re, a ciò autorizzato dal Parlamento, ha nominato una Commissione di giureconsulti collo speciale incarico di sottoporre il codice ad una nuova revisione che senza alterarne i principii, lo purgasse da quelle mende che la discussione aveva manifestate, e meglio ne correggesse il dettato.

Non debbo tacere nemmeno che il codice civile trova già sgombro il suolo da tutti gli impacci e da tutti i vincoli che vi avevano lasciate le ultime vestigia del feudalismo. Imperocché, mentre i Governi dittatoriali avevano già prosciolti i vincoli fidecommissarii e feudali nelle Romagne, nell’Umbria e nelle Marche, ed iniziato un sistema di radicale affrancazione dai vincoli enfiteutici nella Toscana, il Parlamento ha camminato sempre risolutamente nella stessa strada, affrancando la proprietà fondiaria e l’industria dovunque la trovava in qualunque modo vincolata, e compiendo e generalizzando le iniziate riforme. 1

Colla stessa legge che sanzionava il codice civile, il Parlamento, che già aveva stabilite norme uniformi per l'arresto personale in materia commerciale 2 ed aveva riveduta e corretta la legislazione intorno alle privative industriali, 3 autorizzava anche la pubblicazione e l'attivazione in tutto il Regno 4

a) Del codice di commercio albertino del 30 decembre 1842, con alcune modificazioni conformi ai recenti progressi della ragione commerciale.

b) Del nuovo codice per la marina mercantile, già discusso e deliberato dal Senato.

c) Di una nuova legge generale sull'espropriazione per causa di pubblica utilità.

d) Di una nuova legge generale sulla proprietà letteraria e artistica.

In tal modo tutta la legislazione civile e commerciale del Regno d’Italia venne compiutamente unificata.

1 Legge del 5 dicembre 1861, circa l’abolizione dei vincoli feudali nelle province lombarde.

Legge del 24 gennajo 1864, per la generale affrancazione dei canoni livellari.

Legge del 29 maggio 1864, che abolisce le corporazioni privilegiate.

Legge del 49 maggio 1864, che affranca dai vincoli il Tavoliere di Puglia Legge del 7 marzo 1865, circa gli ademprivi di Sardegna.

2 Legge del 34 gennajo 1864.

3 Legge del 3 aprile 1864.

4 Legge detti 14 decembre 1864.

CAPITOLO XLIX.

L’organizzazione giudiziaria.

Quello che era per le leggi civili, lo era in gran parte per le istituzioni giudiziarie, dovunque regolate con norme diverse. Ma non pochi erano stati i provvedimenti già deliberali dal Parlamento per riparare alle più urgenti necessità, dove specialmente la rivoluzione aveva tolto alle istituzioni vigenti quella forza morale che è la base della loro autorità, e dove era egualmente essenziale il dare un sollecito sodisfacimento alla pubblica opinione.

Quindi fino dal 1860 furono portate nelle province dell’Emilia, dell’Umbria e delle Marche le leggi organiche giudiziarie vigenti nelle antiche province, presso a poco simili a quelle di Francia, non che il codice di procedura penale, che vintroduceva egualmente la istituzione del Giurì. 1 Più tardi le stesse leggi e le medesime istituzioni furono estese alle province napoletane, 2 siciliane 3 e lombarde, 4 talché non rimaneva fuori che la Toscana, dove le istituzioni esistenti rendevano meno urgente il provvedere, e dove ragioni poco giustificabili di economia, portarono alla conseguenza ingiusta, che vi fosse ritardata la introduzione del Giuri, pure decantata come progresso di civiltà, e la magistratura che non era al disotto di alcuna altra per tradizioni di dottrina, di moralità e d'indipendenza vi rimanesse, quanto a stipendi!, anzianità e promozioni, in una condizione inferiore alle altre magistrature del Regno.

1 Legge del 27 ottobre 1860.

2 Legge del 19 gennajo 1862.

3 Legge del medesimo giorno.

4 Legge del 27 marzo 1862.

Però restavano sempre diversi nelle antiche regioni i codici di procedura civile, meno in quelle dell’Emilia, Umbria e Marche, dove colla stessa legge che vi introduceva i codici e le istituzioni giudiziarie, vi era stato pure introdotto il codice di procedura, votato dal Parlamento subalpino. Solamente era stato provveduto con legge speciale a regolare i conflitti in materia di giurisdizione, intorno ai quali non poteva ritardarsi più a lungo un qualunque provvedimento. 1

La unificazione giudiziaria fu per tanto compiuta colla citata legge del 2 aprile 1865, la quale, mentre estendeva alla Toscana l’ordinamento giudiziario del 13 novembre 1859 e le leggi sugli stipendii della magistratura del 20 novembre 1859, pubblicava egualmente per tutto Io Stato

a) il nuovo codice di procedura civile,

b) il nuovo codice di procedura penale,

c) una legge che modifica in alcune parti l’organico giudiziario,

d) ed una legge che introduce altre ed importanti modificazioni nel codice penale quanto alle competenze.

Senza occuparmi affatto del codice di procedura civile, il quale, secondo il parere di parecchi uomini esperti in s) fatte materie, risente troppo della fretta colla quale venne compilato, mi limito a dare una sommaria idea del modo onde è stata ordinata fra noi l’amministrazione della giustizia.

Secondo il nuovo ordinamento, 1 la giustizia nelle materie civili, e penali è amministrata nel Regno d’Italia.

Da Conciliatori, Da Pretori; Da Tribunali civili e correzionali Da Tribunali di Commercio Da Corti di appello: Da Corti di assise: Dalla Corte di Cassazione.

1 Legge del 21 dicembre 1862.

1 R. Decreto del 6 dicembre 1865.

In ogni Comune vi ha un conciliatore nominato dal Re sopra una terna presentata dai Consigli Comunali, e le di cui funzioni consistono

?) nel comporre le controversie, quando ne sia richiesto;

b) nel giudicare le controversie, il valore delle quali non ecceda il merito di lire 30.

In ogni mandamento havvi un Pretore: v’ha più di un Pretore nelle città popolose. In queste possono pure istituirsi Preture urbane per i giudizi penali.

I Pretori esercitano le funzioni di Giudici in materia civile e commerciale fino al merito di lire 1500, di giudici in materia penale, di ufficiali di polizia giudiziaria.

Alle Preture possono essere addetti uno o più vice pretori, per coadiuvare il Pretore nel compimento delle sue funzioni, e può nominarsi un Pretore in ogni Comune che non sia capoluogo di mandamento, le cui funzioni possono congiungersi a quelle di Conciliatore.

Al di sopra delle Preture vi sono i Tribunali civili e correzionali, ed i Tribunali di commercio.

I Tribunali civili e correzionali

a) giudicano in materia civile in prima istanza ed in appello tutte le cause loro deferite dalle Leggi;

b) esercitano le funzioni di Tribunale di commercio dove questo non esiste;

c) giudicano in materia penale in prima istanza, ed in appello dei reati loro deferiti dalle leggi;

d) adempiono le altre attribuzioni che vengano loro assegnate.

Questi Tribunali giudicano sempre col numero di tre votanti.

I Tribunali di commercio sono destinati a giudicare in prima istanza ed in appello delle cause loro deferite dal Codice di commercio, e sono composti di un presidente e di giudici ordinarii e supplenti, scelti nei ceto dei commercianti, ed aventi età di anni 25.

Le Corti di appello sono composte di un presidente, di un vicepresidente, quante sono le sezioni in cui è divisa, e di quel numero di consiglieri che a ciascuna Corte è attribuito.

Le Corti di appello conoscono in materia civile:

a) delle cause tutte decise in prima istanza,

b) degli affari di volontaria giurisdizione loro deferiti dalle leggi.

In materia penale:

a) degli appelli dalle sentenze proferite dai Tribunali civili e correzionali,

b) dei casi di sottoposizione ad accusa nelle cause che spettano alla cognizione delle Corti d’assise.

Le Corti di appello giudicano col numero di cinque votanti nelle cause civili, e coi numero di quattro nelle cause penali.

Ogni distretto di Corte di appello comprende uno o più circoli di Corte d’assise.

Queste giudicano coll’intervento dei Giurati, dei reati attribuiti dal Codice penale alla loro competenza.

Ogni Corte di assise è composta di un presidente scelto fra i consiglieri della Corte di appello, e di due giudici del Tribunale civile e correzionale del luogo ove sono tenute le assise.

In cima a tutte queste magistrature, sta quella della Corte di cassazione, istituita, come dice il Regio Decreto, per mantenere l'esatta osservanza delle leggi.

Essa è composta di due sezioni, l'una per le materie civili, l’altra per le materie penali: in ciascuna sezione giudica col numero di 7 votanti, ed a sezioni riunite col numero di 15 volanti.

Il potere esecutivo è rappresentato presso l’autorità giudiziaria dal pubblico Ministero, il quale è posto sotto la direzione del Ministro della giustizia.

Le funzioni di pubblico Ministero sono esercitate da procuratori generali presso la Corte di cassazione, e presso le Corti di appello, e da procuratori del Re presso i Tribunali civili e correzionali.

Il pubblico Ministero veglia alla osservanza delle Leggi, alla regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, dei corpi morali, e delle altre persone privilegiate: procura per via di azione la repressione dei reati: dà il suo parere nelle materie civili: procede anche in queste per via di azione nei casi determinati dalle leggi: fa eseguire i giudicati nelle materie penali, e dove ci sia interesse d’ordine pubblico, anche nelle materie civili: ed ha pure l'azione diretta per fare eseguire ed osservare le leggi d’ordine pubblico, e che interessano i diritti dello Stato.

I funzionari dell’ordine giudiziario, ad eccezione dei pretori, hanno il privilegio della inamovibilità, loro garantito dallo Statuto fondamentale, e quindi non possono essere privali del loro grado, né sospesi, né posti in riposo, in aspettativa, in disponibilità, senza il loro consenso, con pensione, o senza, salvo che nei casi, e secondo le forme prescritte dalla legge.

Ora non rimane altro a farsi che risolvere intorno alla Corte di cassazione, essendovi non pochi che vorrebbero uscirne ripristinando il sistema della terza istanza, il quale essi credono consenta meglio che l’altro, la moltiplicità de' tribunali supremi. Fatto sta che noi abbiamo adesso quattro Corti supreme di cassazione, a Torino, a Firenze, a Napoli ed a Palermo, e per molto tempo le avremo, finché nuove circostanze politiche, o la escogitazione di qualche nuovo temperamento non permettano di proporre al Parlamento una soluzione definitiva o provvisoria del non facile problema.

CAPITOLO L.

Una parola sol Codice penale.

Il codice penale sardo del 1859 era stato successivamente esteso, salve lievi modificazioni, a tutte le province del Regno, meno la Toscana, dove per singolare fortuna la pena di morte già abolita dalla pubblica opinione, venne con diverse vicende abolita, ristabilita e poi nuovamente abolita per legge. 1 Però questo stato di cose non poteva, e non può protrarsi ulteriormente, quando specialmente in Firenze è stata trasportata la sede del governo. Quindi fu inevitabile lo scegliere fra il sistema della generale abolizione e l'altro sistema della generalizzazione della pena. Venula la grave questione davanti alla Camera dei Deputati, il partito fu vinto dagli abolizionisti, ed io per la parte che ebbi nell'abolizione in Toscana, non potei a meno di essere fra questi. Però comprendo benissimo la repugnanza che mostrò il governo ad accettare questo voto, sia che si riguardi alle condizioni della sicurezza pubblica in alcune province, sia che si riguardi alla forte lacuna nella scala penale ove alla pena abolita non possa surrogarsi la deportazione, sia che si riguardi al nostro sistema carcerario, molto lungi ancora da quella perfezione che è reclamata non meno dalle ragioni scientifiche, che da quelle della sicurezza sociale. 2

1 La pena di morte fu abolita colla Riforma Leopoldina: ristabilita al finire del secolo decorso, rimase scritta nella legge fino al 1847, ma nel fatto dal 1825 in poi senza nessuna applicazione. Fu abolita per legge nel 1847, fu ristabilita nel nuovo codice penale, ed abolita nuovamente dal Governo provvisorio nel 1859, che promulgò una nuova scala penale.

2 Il sistema penitenziario è appena iniziato fuori della Toscana, malgrado le forti somme che vi sono erogate. Recentemente fu votata una Legge (28 gennaio 1864) che determina il modo e la costruzione delle carceri giudiziarie.

Quindi il Senato deliberò invero che il codice penale vigente nelle altre province del Regno fosse esteso alle province toscane, ma ferma mantenne la pena di morte, restringendone soltanto i casi di applicazione ed accrescendo nuove garanzie al verdetto dei giurati. Questo è bastato perché, secondo le regole parlamentari, la questione della pena di morte sia rimasta indecisa. Il Governo pertanto dovrà portare questa delicata questione davanti alla nuova legislatura, prendendone occasione dal nuovo codice penale che ha preso impegno di preparare e di presentare all’esame del Parlamento.

Non mi resta su tale articolo se non esprimere il voto, che il nuovo codice risponda ai principii scientifici ed ai bisogni della società civile, ma in pari tempo presenti lo scioglimento dell'arduo problema in modo, che possa essere accettato tanto da quelli che si preoccupano delle esigenze della pubblica sicurezza, quanto da quelli che mettono innanzi le ragioni della umanità.

CAPITOLO LI.

Le leggi amministrative.

Di maggiore importanza, sia nei rispetti fìnanziarii, sia per il migliore andamento della pubblica amministrazione, è stata la legge 1 che ha unificato tutti gli ordini amministrativi, che erano diversi fra loro nelle varie province del Regno.

Diversi quanto al consiglio di Stato, giacché a Parma, in Toscana, a Palermo, a Napoli, sotto forme varie, erano rimasti quali erano in ordine alle leggi antiche.

Diversi quanto alla pubblica sicurezza, perché la legge generale del 13 novembre 1859 alla Toscana non era estesa affatto, e nelle altre province era stata pubblicata con non poche modificazioni.

Diversi quanto al contenzioso amministrativo, in quantoché nella Toscana ve ne erano lievissime tracce, ed altrove esisteva quale lo avevano creato le preesistenti legislazioni.

Diversi quanto alla legge comunale, perché la legge del 23 novembre 1859, promulgata nelle altre province, non vigeva in Toscana, ove crasi conservata la legge del 28 settembre 1853, modificata soltanto rispetto alle elezioni.

Diversi finalmente quanto alla legge provinciale, essendo per questa parte rimasti in vigore nel maggior numero delle province gli ordini antichi.

Imperocché la legge del 23 novembre 1859, avendo presso a poco soppressa l’autonomia provinciale, per l’effetto di parificare le province antiche, ove esisteva, alle province lombarde dove non era, 0 non fu pubblicata affatto, come in Toscana, o lo fu colla soppressione dell’articolo 165, che induceva cosi grande novità.

1 Legge del di 19 maggio 1865.

Quindi in tutto il Regno esisteva invero la forma esterna della provincia amministrativa e dei consigli che la rappresentano, ma la sostanza delle cose era diversissima, quanto alle attribuzioni, quanto alle spese, quanto al bilancio e quanto alla sfera di autorità e di azione, come che in alcune tutto si facesse dal prefetto e dal poter centrale, in altre dai consigli autonomi ed elettivi.

Dissi altrove delle ragioni per cui avvenne che i conati successivamente fatti da Minghetti, da Ricasoli e da Peruzzi per unificare questa parte della pubblica amministrazione non sortissero l'effetto. Fatto sta che la diversità sopra notata rispetto alle cose provinciali, era tanto più a lungo insopportabile, avuto riguardo alle troppe diseguaglianze che ne scaturivano rispetto al bilancio, giacché per le province antiche e quelle di Lombardia, di Parma e di Piacenza, trovavano sede nel bilancio dello Stato quelle spese d’interesse locale, cui nelle altre col bilancio proprio si provvedeva. E ciò implicava questioni non solamente di bilancio, ma di libertà e di eguaglianza che urgeva il risolvere, tanto più che le discussioni sulla perequazione della fondiaria avevano chiarito che il compimento di essa dipendeva essenzialmente dalla perequazione amministrativa.

Colla legge indicata pertanto furono approvate e rese esecutorie per tutto il Regno

a) La legge sul Consiglio di Stato.

b) La legge che abolisce il contenzioso amministrativo, già approvata dalla Camera dei Deputati.

c) La legge organica sulla pubblica sicurezza, che era stata già discussa e approvata in Senato.

d) La legge comunale del 23 novembre 1859, riveduta e corretta.

e) La legge che crea in tutte le province del Regno l’autonomia provinciale, sulle basi già approvate e discusse dalla Camera dei deputati.

f) La legge sulle opere pubbliche, quale era reclamata dai nuovi ordinamenti che davansi alla provincia ed al Comune.

g) E finalmente una legge generale in proposito della polizia sanitaria.

Onde meglio appariscano la necessità e il merito intrinseco di queste leggi organiche, le quali daranno all’amministrazione dello Stato quella regolarità che fino a qui era inevitabile gli mancasse, quando ad ogni passo incontravansi diversità di sistema e di personale, nei successivi capitoli esporrò sommariamente le basi fondamentali di queste leggi, che sebbene in alcune parti possano essere difettose, informale però come sono nella maggior parte ai più sani principi! della scienza e della libertà, non cessano dal costituire un passo notevolissimo nella riforma amministrativa.

CAPITOLO LII.

Dell’Amministrazione comunale.

Non v’ è chi non sappia quanta e cospicua parte abbiano sempre avuto, ed abbiano tuttora, il Comune e il Municipio nella vita italiana. Se in tutti gli Stati la libertà del Comune fu sempre considerata come la prima fra tutte le guarentigie, in Italia non si può nemmeno concepire la libertà politica, se questa non abbia per suo fondamento l’autonomia municipale.

Questo ha prodotto l’effetto salutare, che i principii primordiali della libertà comunale fossero tra noi fuori di ogni possibile contrasto, talché le discussioni cadendo solo intorno alle forme di ordinarla, addiveniva più agevole l’ufficio del provvedere.

Il Regno d’Italia dividesi, come abbiamo veduto altrove, in 7720 Comuni, dei quali millenovantasette (la più parte nelle province antiche e lombarde) hanno una popolazione inferiore ai 500 abitanti;nove hanno una popolazione tra i 50 mila e i 100 mila abitanti; otto superano i 100 mila; e tutti complessivamente considerati hanno una media di 2821 abitanti.

Comuni distribuiti per serie secondo il numero degli abitanti. 1


Meno di 500

Da 500 a 1000

Da 1000 a 2000

Da 2000 a 3000

Da 3000 a 4000

Da 4000 a 5000

Da 5000 a 10000

Da 10000 a 20000

Da 20000 a 30000

Da 30000 a 50000

Da 50000 a 100000

Pi? di 100000

TOTALE DEI COMUNI

Popolazione

media.

Antiche prov

362

491

510

224

97

37

75

19

4

4

1

2

1823

1940

Lombardia

607

747

576

161

64

26

43

9

o

5


1

2241

1385

Parma



5

23

30

15

23

1


2



99

4794

Modena



24

28

33

14

19

9



2


129

4894

Romagna


3

12

25

29

24

22

11

3

4

2

1

136

7051

Marche

11

58

92

52

22

12

22

14

1

1



285

2099

Umbria

27

38

56

18

7

9

10

7

3

1



176

2914

Toscana

1

2

18

36

40

31

82

27

2

3

3

1

246

7424

Napoli

14

146

633

407

230

127

208

72

13

4


1

1855

3659

Sicilia

6

19

64

52

42

32

85

45

7

4

1

2

359

6061

Sardegna

69

102

13

55

12

10

7

4

1

1



371

1585

Totale.

1097

1606

2163

1081

600

337

5961

215

30

26

9

8!

7720

2821

1 Vedi Statistica del Regno d'Italia. — Popolazione. — Censimento generale. (31 Dicembre 1861). Torino, 1864, vol. 1, pag. 452.

Sarebbe stato utile e proficuo il discutere se in un paese come il nostro, ove il predominio delle città è fatto antico e di grandissimo rilievo, convenisse procedere con una sola legge generale eguale per tutti i Comuni, o fosse stato più provvido consiglio il distinguere sull’esempio del Belgio i veri e proprii Comuni aventi carattere di Municipio, dai Comunelli rurali, onde meglio proporzionare le attribuzioni e le spese ai mezzi morali ed economici di cui possono disporre. Omessa questa indagine, che forse potrebbe essere un tempo nuovamente suscitata, la nostra legge ha distinto invero i Comuni in sei classi, per gli effetti del censo elettorale e del numero dei membri componenti i consigli, ma in ogni resto ha proceduto con intera pariformità. Solo per rimediare ai non pochi sconci di questa poco razionale pariformità, che la pratica additerà anche meglio, ha agevolate le aggregazioni dei Comuni aventi una popolazione inferiore ai 1500 abitanti.

Larga è la base della eligibilità, poiché il censo più alto non supera le lire 25 di contribuzione diretta, e la eligibilità è data poi, indipendentemente dal censo, a tutte le cosi dette capacità, dai membri delle accademie fino ai sensali. Può dubitarsi se sia stata una riforma liberale il togliere la capacità elettorale alle donne che l’avevano già nelle province toscane, e Io esigere in tutti i casi il voto personale, sopprimendo quello delle donne e degli assenti per scheda sigillata e recognita. Ma di ciò non vuolsi disputare, poiché sarei richiamato a dire delle differenze che intercedono tra le elezioni politiche e le amministrative, non meno che della prevalenza che in queste può in diverso grado accordarsi, vuoi alla mera qualità di possessore, vuoi all'altra di abitante. Quindi mi pare meglio sia tacerne del tutto.

La rappresentanza comunale quanto alla parte che può dirsi direttiva, si esercita dai consiglieri eletti per popolare suffragio, il cui numero varia secondo la popolazione dei Comuni dagli 80 ai 15 membri. Questi consiglieri si mutano per un quinto ogni anno, giacché il mandato generale dei consigli tanto comunali che provinciali è rinnovabile integralmente ogni cinque anni.

Quanto agli effetti esecutivi, la rappresentanza è affidata alla giunta comunale ed al sindaco. La prima nominata dai consigli è essa pure rinnovabile parzialmente ogni anno; il secondo nominalo dal Re fra i consiglieri dura in carica per un triennio.

Le deliberazioni del consiglio riguardano il patrimonio, il bilancio, le imposte, ed ogni specie di spesa.

Più numerose sono le attribuzioni della giunta, perché essa rappresenta il consiglio negli intervalli delle sue riunioni e veglia al regolare andamento dei servizi comunali, mantenendo ferme le consiliari deliberazioni.

Più delicate e più difficili sono le attribuzioni del sindaco, rivestendo egli al tempo stesso la qualità di capo effettivo della amministrazione comunale, e di uffiziale del governo.

Il principio di affidare alle autorità comunali molle di quelle attribuzioni che altrove si esercitano da uffiziali governativi, comincia ad attuarsi fra noi, e quindi la giunta e il sindaco intervengono già nella formazione delle liste elettorali, nelle operazioni di leva, nei ruoli e nel reparto delle tasse, nelle materie attinenti allo stato civile. Questo principio, che è destinato a svolgersi in maggiore ampiezza, affida al sindaco molteplici attribuzioni di ordine pubblico, che egli, più di ogni altra magistratura, è in grado di esercitare.

Le spese che si sopportano dai Comuni, altre sono facoltative, altre obbligatorie: giova il notare quali sieno i titoli di queste seconde, perché da esse può desumersi anche il criterio delle attribuzioni, e delle competenze comunali.

Sono obbligatorie le spese:

1. Per l’ufficio e l’archivio comunale;

2. Per gli stipendii del segretario ed altri impiegati;

3. Per il servizio delle riscossioni e pagamenti;

4. Per le imposte dovute dal Comune;

5. Per il servizio sanitario dei medici, chirurghi e levatrici pei poveri;

6. Per la conservazione del patrimonio;

7. Per il pagamento dei debiti esigibili;

8. Per la sistemazione e manutenzione delle strade comunali, e per la difesa contro i fiumi e torrenti;

9. Per la costruzione e mantenimento dei porti, fari ed altre opere marittime;

10. Per i cimiteri;

11. Per l’istruzione elementare dei due sessi;

12. Per il mantenimento e restauro degli edifizi e acquedotti comunali, delle vie interne e piazze pubbliche;

13. Per la illuminazione;

14. Per la Guardia Nazionale;

15. Per i registri dello stato civile;

16. Per l’associazione agli atti del governo;

17. Per le elezioni;

18. Per le quote di concorso alle spese consorziali;

19. Per la sala d’arresto presso la giudicatura di mandamento e la custodia dei detenuti;

20. Per la polizia locale.

A queste spese provvedono i Comuni, quando non bastino le rendite patrimoniali, coi dazii di con sumo — coi proventi del peso e misura pubblica — coll’affitto di banchi pubblici per fiere e mercati — colle tasse per la occupazione di suolo pubblico — con altre sulle bestie da tiro, da sella e da soma, e sui cani di lusso — colle sovrimposte alle contribuzioni dirette.

Questo sistema uniforme di provvedere alle spese comunali, è oggi tanto più importante, in quanto che da un prospetto più o meno accurato, che fu pubblicato dal Ministro dell’Interno fino dal 1861, 1 veniva a resultare che dirimpetto alla spesa complessiva di lire 145 069 181, 02, onde compongonsi i bilanci di tutti i Comuni del Regno, non si aveva che una entrata totale di lire 141540482,38 fra rendite patrimoniali, tasse locali e sovraimposte, talché fra le entrate e le spese eravi un disavanzo di oltre 5 milioni:

1 É desiderabile che appena compiuto il primo esercizio dopo la nuova Legge, il Ministero dell’Interno raccolga gli elementi per compilare un nuovo quadro dimostrativo.

e veniva a resultare egualmente che le ricerche fatte sino a quel giorno ponevano in essere, che 1306 Comuni pareggiavano le entrale colle spese, 1442 avevano un avanzo di entrate sopra le spese, e 2510 erano in disavanzo.

Prospetto del Bilanci comunali

PROVINCE

Numero dei Comuni

Spese dei Comuni.

Entrate patrimoniali.

Tasse locali.

Sovra imposte.

Entrate straordinarie.

Totale


Provin. antiche.

1823

39028317 50

8247 532 43

11191121 95

10720893 36

6828817 90

36988365 64

Di Sardegna

871

3788490 43

1148035 86

467121 05

1363752 21

678321 06

3657248 18

Modenesi

129

3966322 25

495819 57

244974 04

1911520 82

912144 73

3564459 16

Lombarde

2241

26656182 48

5974092 59

2616263 95

11878546 34

6086507 36

26555410 24

Parmensi

99

3559462 21

257436

682 792 88

2086463 75

563437 05

3590129 68

Romagnole

136

9522059 07

949237 60

3045335 43

4806667 84

557000 73

9358241 60

Toscane

246

15339669

1 487 884

4445754 34

7016606 40

7677486

20627730 74

Marchigiane

285

4 455917 75

143760 58

3190788 36

1251834 56

321177 96

4907 561 46

Umbre

176

1795303 32

237970 27

997317 93

379 458 72

60805 50

4 675552 42

Napoletane

1855

25373072 10

11323514 05

9254172 80

1138659 43

-

21716346 28

Siciliane

359

11584384 91

1565306 87

5278718 37

8749 54

2046680 20

8899454 98

Totale

7720

145069181 02

|31830589 82

41414361 10

42563152 97

25732378 40

141540482 38

Grandissima è la libertà dei Comuni, essendo essa soltanto circoscritta dalle garanzie che sono richieste ' nell’interesse dell’ordine pubblico, della buona amministrazione e dei contribuenti.

Nell’interesse dell’ordine pubblico, le deliberazioni sono esecutorie scorsi i quindici giorni dalla loro effettiva trasmissione al prefetto, che può annullarle o sospenderle se non le trova conformi alle leggi.

Nell’interesse della buona amministrazione, dette deliberazioni non sono soggette a superiore approvazione, se non quando importino alienazione o acquisto di beni, o vincolino i bilanci oltre cinque anni, o istituiscano fiere o mercati, o contengano regolamenti di dazii e imposte, d’igiene e polizia locale, o relativamente ai beni e istituzioni appartenenti al Comune.

Nell’interesse dei contribuenti, è accordato il ricorso alla deputazione provinciale contro gli aumenti d’imposta, quando i ricorrenti paghino insieme il decimo delle contribuzioni dirette del Comune.

Nel progetto primitivo, si era creduto di meglio provvedere agl’interessi dei Comuni ed alla libertà provinciale, collo stabilire che l’approvazione richiesta per le deliberazioni sovra mentovate appartenesse non alla deputazione provinciale ma al solo prefetto, che in tal guisa cessava anche di essere il presidente di quella, come è stabilito dalla legge del 23 novembre 1859.

Questa novità non prevalse nella discussione della Camera, cui parve cosa più liberale che la tutela sui Comuni non dovesse esercitarsi se non che mediante la deputazione provinciale. Quindi ne avvenne, che la tutela rimase invero alla deputazione provinciale, ma, come era ben naturale e di logica necessità, avvenne altresì che il prefetto rimanesse presidente della medesima, che la sua diretta ingerenza si estendesse a tutta la provinciale amministrazione, la quale nel tema diverso era costituita affatto all’infuori da ogni diretta ingerenza governativa, e che al potere centrale rimanessero tutte le attribuzioni che aveva prima.

La esperienza dirà se con questo siasi provveduto meglio all’interesse dei Comuni ed ali’ autonomia provinciale.


CAPITOLO LIII.

Dell’Amministrazione provinciale.

La nuova legge consacra il principio, che la provincia è un corpo morale avente facoltà di possedere ed un’amministrazione propria che ne rappresenta gli interessi.

Quest’amministrazione si compone, in ogni provincia, di un Consiglio e di una Deputazione.

Il Consiglio varia nel numero dei suoi membri da 60 a 20, secondo la popolazione delle province, ed è formalo per elezione, cui prendon parte tutti gli elettori comunali che eleggono per mandamenti.

La Deputazione è composta di membri nominati dal consiglio: non può essere maggiore di dieci, né minore di sei. È presieduta dal prefetto, ed in essa concentrasi il potere esecutivo della provincia.

Le attribuzioni dei consigli provinciali, alcune sono di vera amministrazione, e sono le più: altre sono di vigilanza delegategli dalla legge, come quelle sugli istituti di carità, di beneficenza, di cullo: altre sono meramente consultive in tutti quei casi nei quali dalle leggi è richiesto il loro parere.

Anche in questo tema la estensione delle attribuzioni dei consigli provinciali si rileva dal novero delle spese obbligatorie iscritte nei loro bilanci. Sono tali le spese:

1. Per gli stipendi degli impiegati;

2. Per la sistemazione e manutenzione dei ponti, e delle strade provinciali;

3. Per il concorso alla costruzione e mantenimento degli argini contro i fiumi e torrenti;

4. Per la costruzione e mantenimento dei fari marittimi;

5. Per la pubblica istruzione secondaria e tecnica, quando non vi provvedano particolari istituzioni, o il governo;

6. Per l’accasermamene dei reali Carabinieri;

7. Per le visite sanitarie in caso di epidemia o epizoozia;

8. Per il servizio delle riscossioni e dei pagamenti;

9. Per il contributo alle spese consortili;

10. Per il pagamento dei debiti esigibili;

11. Per il mantenimento dei mentecatti poveri della provincia;

12. Per le spese relative alla ispezione delle scuole elementari;

13. Per le pensioni agli allievi e allieve delle scuole normali;

14. Per gli uffizi e mobilia delle prefetture e sottoprefetture;

15. Per l’alloggio e mobilia dei prefetti e sottoprefetti.

A queste spese provvedono i consigli provinciali coi centesimi addizionali sulle imposte dirette, e colle altre rendite che sieno ad essi consentite dalle leggi. 1

La parte esecutiva dell’amministrazione si esercita dalla deputazione provinciale e dal suo presidente.

Intendesi facilmente che essendosi ristabilita la presidenza del prefetto, presidenza che talora lo annulla e tal’altra lo pone in ben difficili situazioni, le ingerenze che sarebbonsi potute esercitare da lui, facendosi un nuovo passo nella via del decentramento, rimangono come prima presso il Ministro dell’Interno.

Quando i consigli provinciali o comunali si credano lesi nelle loro attribuzioni dall’autorità amministrativa, hanno facoltà di ricorso al Re, che provvede, dietro parere del Consiglio di Stato.

Quando i detti consigli eccedano le proprie attribuzioni, o non provvedano come vuole la legge, l’autorità amministrativa interviene, sia per richiamarle dentro i propri confini, sia per provvedere in vece loro.

Per gravi motivi di ordine pubblico, può il Re disciogliere gli uni e gli altri, chiamando gli elettori a nuove elezioni nel termine di tre mesi.

1 Ognuno intende la necessità che quanto prima l'attenzione del Governo e del Parlamento volgasi sui bilanci comunali e provinciali, tanto più che sonosi aumentati per i Comuni e le province i titoli di spesa, mentre si abolivano non poche tasse locali che erano loro riservate, o che avevano una speciale destinazione. Cito per modo di esempio le tasse di beneficenza che servivano in Toscana per gli Spedali.

Le sovraimposte nel 1861 perle spese provinciali, erano repartite come appresso:

Province antiche

L. 745 265 50

Modenesi

— —

Lombarde

L. 658 675 57

Parmensi

— —

Romagnole

L. 3 308 660 74

Toscane

L. 776 845 —

Marchigiane

L. 438037 12

Umbre

— —

Napoletane

— —

Siciliane

L. 1612 551 93

Sardegna

L. 94 263 83

Totale

L. 7 664 299 69

CAPITOLO LIV.

Contenzioso amministrativo.

Anche il contenzioso amministrativo era diversamente ordinato nelle diverse province d’Italia.

Nelle province napoletane, la legge del 21 marzo 1817 deferiva alla competenza del contenzioso amministrativo, organato per tribunali diversi, tutte le controversie nelle quali l’amministrazione pubblica fosse direttamente interessata.

In Lombardia, le materie delle acque, delle strade, dei boschi e delle imposte giudicavansi dall’autorità amministrativa nemmeno costituita in tribunale collegiale.

In Toscana non vi era propria giurisdizione di contenzioso, se non per i contratti di accollo, che esercitavasi dai consigli di prefettura, dal consiglio d’arte coll’aggiunta di un magistrato della Corte regia, e dal Consiglio di Stato in ultimo grado.

In Parma, il contenzioso amministrativo spettava quasi interamente al Consiglio di Stato, in ordine alle leggi del 27 marzo e 22 aprile 1816.

Nelle antiche province, la giurisdizione del contenzioso affidata all’autorità amministrativa, ai consigli di prefettura, al Consiglio di Stato, fu creata nel 1842, fu meglio organata nel 1850, fu riformata colle leggi del 30 ottobre 1859, e questa giurisdizione estendevasi a tutte le controversie relative alle imposte, pedaggi e gabelle, — alla interpetrazione ed esecuzione dei contratti di appalto, concernenti le contribuzioni, le somministrazioni e opere pubbliche, — alla riscossione delle quote consorziali, — ai contralti delle province, dei Comuni, dei pii istituti, — ai lavori di ogni genere, — al reparto delle contribuzioni, — alle materie dei consorzi, delle strade e delle acque.

Bisognava adunque risolvere il problema, se meglio convenisse di conservare, rendendola uniforme, una giurisdizione speciale per gli affari contenziosi amministrativi, ovvero rilasciare ai tribunali ordinarii tutte le controversie che possono entrare nel cerchio delle loro attribuzioni, affidando soltanto all’amministrazione attiva la decisione assoluta degli affari meramente amministrativi, nei quali non è mistura alcuna di diritti veri e proprii, ma con quelle cautele che fossero necessarie per conciliare coll’interesse pubblico gli interessi privati.

La dottrina professata da gravissimi scrittori in Francia, l’esempio del Belgio e dei Paesi Bassi, i principii più sani di libertà, ed il desiderio di decentrare più che si poteva l’amministrazione, fecero trionfare il primo partito, sebbene nella Camera fosse animatissima la discussione per parte di coloro che tenevano un diverso avviso.

Quindi sono principii fondamentali della nuova legge su questo argomento:

Che i tribunali speciali fino a qui rivestiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo in materia civile e penale, sono aboliti,

Che sono devolute alla giurisdizione dei tribunali ordinari tutte le cause per contravvenzioni, e tutte le materie nelle quali cada in controversia un diritto civile e politico, comunque vi sia interessata la pubblica amministrazione.

Che rimangono attribuite alle autorità amministrative tutte le faccende non comprese nella antecedente categoria, le quali autorità provvedono con decreto motivato, udite le deduzioni delle parti interessate, e previo il parere dei vari consigli amministrativi stabiliti dalle leggi.

Che restano però sottratte alla giurisdizione dei tribunali ordinari le questioni relative all’estimo catastale, al reparto di quota, e tutte le altre sulle imposte dirette lino alla pubblicazione dei ruoli, ferma stante la massima che in ogni altra controversia d’imposta gli atti di opposizione non sono ammissibili, se non sieno accompagnati dal certificato di pagamento.

Questa nuova legislazione, che in sostanza abolisce una grandissima parte del contenzioso amministrativo per restituirlo ai tribunali ordinari cui naturalmente apparteneva, ed ai quali fu sottratta, può considerarsi siccome un passo importantissimo nella via della buona amministrazione e della giustizia. G siccome io sono persuaso che i tribunali, cui è devoluta sì ampia giurisdizione, sapranno conciliare le ragioni inesorabili della giustizia coi riguardi pure dovuti a quelle della pubblica amministrazione, cosi non dubito che da questa importantissima riforma sia per derivarne alcuno di quei disturbi, sui quali fondavansi precipuamente gli oppositori.

CAPITOLO LV.

Il Consiglio di Stato.

Intorno alla necessità, ed anche intorno alla convenienza costituzionale di avere al vertice della gerarchia amministrativa un collegio permanente, il quale, per la sua dottrina e per la sua esperienza, fosse al tempo stesso una garanzia agli interessi pubblici e privati, ed una salvaguardia per lo stesso governo, che potesse ad ogni momento consultarlo e chiederne l’aiuto, niuno poteva muovere ragionevole controversia.

Niun dubbio poteva cadere nemmeno circa allo stabilire che un solo essere dovesse il Consiglio di Stato, fra i moltiplici che erano rimasti con diverse attribuzioni nelle province del Regno.

I soli dubbi cadevano: 1° nello stabilire se, per sopperire al bisogno, bastasse l’ampliare il Consiglio di Stato sedente a Torino, già riordinato colla legge del 30 ottobre 1859, e la cui preminenza era incontrastabile, ovvero si dovesse creare integro un nuovo Consiglio di Stato per il Regno d’Italia, come erasi già praticato per la Corte dei conti; 2° nel determinare quali essere dovessero le attribuzioni affidate a questa eminente istituzione..

Ambedue i dubbi vennero sciolti mediante la legge approvata recentemente dal Parlamento, ed in ordine ai principii già stabiliti colle altre leggi amministrative.

Abbiamo adunque anche il Consiglio di Stato del Regno d'Italia, composto di un presidente, di tre presidenti di sezione, di ventiquattro consiglieri, con sei referendari, un segretario generale e tre segretari di sezione, tutti a nomina regia e sulla proposta del ministro dell’Interno, ma previa deliberazione dei consiglio dei ministri, quando si tratta della nomina dei presidenti e dei consiglieri.

I presidenti e i consiglieri non hanno, come quelli della Corte dei conti, il privilegio della inamovibilità, ma per remuovergli occorre un decreto reale, sulla relazione scritta dal ministro dell'Interno, ed udito il consiglio dei ministri.

Il Consiglio di Stato ha attribuzioni:

Di commissione legislativa permanente, e come tale prepara e formula i progetti di legge ed i regolamenti che gli vengono commessi dal Governo;

Di corpo consultivo, ed in questa qualità dà i pareri in tutti i casi nei quali il suo voto è prescritto dalle leggi, come in quelli nei quali venga richiesto dai ministri.

Di magistratura con giurisdizione propria:

1° sui conflitti tra l'autorità amministrativa e la giudiziaria;

2° sulle controversie fra lo Stato e i suoi creditori risguardanti l'interpetrazione dei contratti di prestito, e non meno che delle leggi concernenti questi contratti e il debito pubblico;

3° sui sequestri di temporalità, sui provvedimenti concernenti le attribuzioni respettive delle potestà civili ed ecclesiastiche, e sopra gli atti provvisionali di sicurezza generale relativi a questa materia, e provocati dal ministro di Grazia, Giustizia e Culti;

4° Sulle altre materie che dalle leggi generali del Regno, o dalle speciali non ancora abolite gli vengano affidate.

Le materie concernenti il contenzioso amministrativo, intorno al quale fu operata la riforma di cui tenemmo parola nel capitolo precedente, non fanno parte altrimenti dei Consiglio di Stato.

Aggiungo che per legge più recente fu modificata l'attribuzione del Consiglio di Stato relativamente ai contratti, in quanto che vennero estesi i limiti del valore dei contratti, per i quali fosse obbligatorio il parere del Consiglio di Stato, e Venne pure sottratto al suo parere l'esame posteriore dei contratti stipulati per somme determinate, per affidarlo invece alla Corte dei Conti.

La legge nuova non ha ammessi i consiglieri in servizio straordinario e non ha provveduto nemmeno a creare intorno al Consiglio di Stato un corpo di uditori, che in Francia fa parte di questa istituzione. Le ragioni che possono addursi intorno alla convenienza di ometlerè o di aggiungere gli uditori, sono varie e gravi nei sensi opposti. Però è da considerare che in Francia il corpo degli uditori ha giovato moltissimo per introdurre in tutte le parti della pubblica amministrazione il sentimento dei principii più elevati dai quali vuole essere animata la gerarchia amministrativa, lo spirito che deve guidare i funzionari! nella trattazione delle cose pubbliche e privale, la esperienza delle grandi faccende e la varietà di quella cultura speciale che è tanto necessaria per trattarle e risolverle bene.

I migliori prefetti, i migliori diplomatici, i migliori amministratori dei quali abonda la Francia, hanno ricevuta la prima loro educazione amministrativa come uditori del Consiglio di Stato, nel seno del quale hanno imparato i principii direttivi, le abitudini, le tradizioni che lo governano, e che ad essi, neppur volendo, è concesso di obliare andando altrove.

Resta adunque a sapersi se non avendo a ciò provveduto, siasi fatto quello che si doveva per assicurare al Regno d’Italia le basi e i germi di una sapiente e vigorosa amministrazione.

CAPITOLO LVI.

La Legge di Pubblica Sicurezza.

Questa legge, nella sua parte sostanziale, è la riproduzione di quella del novembre 1859 che era stata estesa a tutte le province dello Stato, eccetto che alle provincie toscane, dove le istituzioni giudiziarie e le altre leggi amministrative rimaste in vigore non lo consentivano.

Però importanti modificazioni vi sono state introdotte, poiché tutto quanto tendeva ad esagerare quelle restrizioni che nell’interesse generale è necessario si facciano alla libertà individuale, o fu nella nuova legge del tutto eliminato, o venne per lo meno corretto e migliorato.

La legge ha necessariamente due parti: La parte organica del servizio, cui la pubblica sicurezza è affidata; La parte regolamentare, che mira a prevenire e togliere le cause di delitto, prescrivendo proibizioni, ingiunzioni e norme le quali costituiscono il così detto Codice di polizia.

La parte organica stabilisce che l'amministrazione di pubblica sicurezza è diretta dal ministra dell'Interno, e per esso dai prefetti e sottoprefetti, ed è esercitata sotto la loro dipendenza dal corpo dei Carabinieri Reali, e per ordine gerarchico dai Questori, dagli Ispettori, dai Delegati e dagli Applicati.

Gli uffici di Questura sono situati in ogni città capoluogo di provincia, che abbia una popolazione superiore ai 60 mila abitanti.

Nelle città meno importanti, la sicurezza pubblica è affidata ai Delegati.

Il Sindaco ne esercita le attribuzioni, dove non sia pubblico ufficiale a ciò destinato.

Agenti di pubblica sicurezza sono i Carabinieri Reali, le Guardie di pubblica sicurezza, le Guardie forestali, municipali e campestri, e quando questi non bastino, gli ufficiali che ne sono incaricati possono richiedere il concorso della milizia nazionale e della truppa regolare.

Gli ufficiali ed agenti della pubblica sicurezza debbono vegliare alla osservanza delle leggi, al mantenimento dell'ordine pubblico, a prevenire i reali, a fare opera per sovvenire ai pubblici e privati infortunii, e richiesti dalle parti, anche alla composizione dei privati dissidi!.

Questo è lo scopo della pubblica sicurezza, quale si concepisce in un libero governo.

La parte regolamentare, ovvero il Codice di polizia, contiene moltiplici disposizioni.

Vengono in prima sede quelle, che sono di ordine pubblico, e riguardano:

1° Le riunioni e gli assembramenti;

2° Gli arruolamenti, munizioni da guerra e porto di armi;

3° Gli spettacoli e trattenimenti pubblici;

4° Gli alberghi, osterie, caffè e simili stabilimenti;

5° Gli operai;

6° Le stamperie, affissioni, smercio di atti;

7° Le professioni e traffici ambulanti;

8° I viandanti;

9° I mendicanti;

10° Gli oziosi e vagabondi;

11° I condannati a speciale sorveglianza;

12° Il disturbo della pubblica quiete.

Vengono poi quelle disposizioni che riguardano la pubblica moralità.

Succedono le prescrizioni concernenti la pubblica incolumità, quali sono quelle che riguardano l'esercizio delle professioni insalubri, pericolose ed incomode, le precauzioni onde prevenire infortunii e disastri, le umazioni..

Altre finalmente sono preordinate alla tutela della proprietà, e riguardano specialmente i furti campestri, il pascolo abusivo e gli individui sospetti di attentare alla roba altrui.

Questa legge, tutto che non discussa che nel Senato, è pure il frutto di lunghi studii e ripetuti esami per parte delle Commissioni governative e parlamentari che dovettero occuparsene. Non vogliamo dirla perfetta, ma però possiamo asserire che fra le leggi congeneri è forse la migliore che si conosca. Ciò non vuol dire che non possa tuttavia migliorarsi, ciò non vuol dire che non lasci molto a desiderare, ciò non vuol dire che non offra argomento a questioni gravissime.

La tutela della pubblica sicurezza, come ogni altra istituzione, si compone di certi tali organismi e di certe tali attribuzioni che insieme concorrono onde essa agisca regolarmente, e produca gli effetti voluti. Ma l'organismo vuole essere adeguato allo scopo che vuolsi conseguire, ma le attribuzioni non si possono esercitare che dagli uomini. Quindi ricorre la medesima osservazione che sempre fu falla e si farà quando è questione di persone; poiché la bontà di qualunque istituzione si rivela dalle tradizioni che riusci a formare, e queste tradizioni buone non possono aversi, se ottimo non sia il personale destinato a principiarle, a fecondarle, a conservarle.

La questione adunque del personale predomina anche in questo caso sopra ogni altra, tanto più che si tratta di uffici e di attribuzioni delicatissime, le quali esigono probità incontestabile in coloro che ne sono investiti, imparzialità grandissima in mezzo ai differenti partiti politici che ambiscono costituzionalmente al governo delle cose pubbliche, probità e imparzialità che devono andare congiunte a molto senno, a molta esperienza ed a grandissima cognizione dei luoghi e delle persone.

Ma indipendentemente da tutto questo, che rientra del tutto nella sfera dei potere esecutivo, vi sono altre questioni che non vennero promosse, ma che non credo si debbano dissimulare.

Prima di tutto si può dubitare, se la istituzione della questura nelle città che hanno una popolazione superiore ai 60 mila abitanti, sia per dar luogo a nessuna di quelle dualità che nuocciono tanto al buon andamento dei pubblici servigi. Malgrado che la legge ponga il questore sotto la dipendenza del prefetto, un magistrato con vaste e cosi complesse attribuzioni, come sono quelle della pubblica sicurezza, pud facilmente esagerare la propria sfera di azione, e costituirsi rispetto al prefetto, come potentato a potentato, talché l’autorità di questo resti, secondo i casi e secondo le persone, o annullata o impedita.

Mentre ciò porterebbe a dubitare che la istituzione delle questure in certe località costituisca qualche cosa di soverchio; potrebbe dubitarsi che in altre località (e sono le più), siavi deficienza di ufficiali incaricati della pubblica sicurezza. Poiché mentre può credersi che la legge non provveda abbastanza a ciò che attiene alla polizia investigatrice, fa non lieve impressione il considerare, che essa non istituisce nemmeno uffici permanenti di delegazione in tutti i mandamenti, giacché secondo il suo litterale disposto tali uffici non potrebbero istituirsi che temporaneamente fuori del capoluogo della provincia.

E qui riesce opportuno l'osservare, che forse meglio provvedevasi alla pubblica sicurezza coi sistemi prima vigenti in Lombardia ed in Toscana, ove un ufficiale di pubblica sicurezza era permanente in ogni capoluogo che avesse una giudicatura colla doppia competenza civile e criminale.

Anzi io credo che migliore fosse il sistema lombardo, che al commissario distrettuale dava anche le attribuzioni amministrative del censo, in quanto che, sebbene le funzioni di polizia debbano dare titolo di considerazione e di rispetto, è innegabile però che disgiunte da ogni altra ingerenza, porgono più rara occasione a coloro che le esercitano di trovarsi in frequente contatto colle persone più influenti dei luoghi, come avverrebbe se altre attribuzioni governative o di amministrazione fossero riunite nelle stesse persone. Tale inconveniente fu notato anche nel sistema toscano, tuttoché i delegati di governo fossero in sostanza dei magistrati, tuttoché rappresentassero l'autorità del prefetto, tuttoché appunto per rialzargli vie più nella opinione, gli fossero state attribuite le funzioni di pubblico Ministero presso i pretori nei giudizi penali di loro competenza.

Il principio della separazione dei poteri, che è ottima garanzia onde la mistura di attribuzioni amministrative non turbi mai la serenità che esser deve nella sfera delle attribuzioni giudiziarie, non è che a carico dell'autorità morale, e dirò anche della capacità personale, quando voglia portarsi anche in tutti i gradi dell'amministrazione attiva. La divisione del lavoro applicala alle funzioni governative, mentre non giova troppo ad accrescere il bene dell'intelletto, non giova nemmeno nei rispetti fìnanziarii, giacché porla aumento di spesa senza vantaggio proporzionato.

La questione della pubblica sicurezza, siccome è il precipuo bisogno della civile convivenza, devesi sempre trattare, astrazion fatta dalla spesa occorrente per risolverla bene. Quindi, mentre si potrebbe sostenere che, riuscendo a cumulare le attribuzioni di pubblica sicurezza con altre attribuzioni amministrative, avrebbesi un personale più capace e più influente, potrebbesi affermare con miglior ragione che non debbasi punto aver riguardo alla spesa quando per dare ai cittadini su tutti i punti del territorio il sentimento della sicurezza, occorresse accrescere il numero dei delegati.

Sodo tale riguardo potrebbonsi invece istituire due questioni. L’ una, se non convenisse di porre a carico dei Comuni gli stipendi e le spese occorrenti per le delegazioni di pubblica sicurezza. L’altra, se veramente giovi ai regolare andamento del pubblico servizio la simultaneità dei reali Carabinieri, delle guardie di pubblica sicurezza, e delle Guardie municipali che abbiamo in tutte le principali città.

Tali questioni hanno non lieve importanza tanto rispetto al bilancio dello Stato e dei Comuni, quanto rispetto alla omogeneità dei servizi, non meno che alla giustizia distributiva dell’eguaglianza delle imposte. Giacché se è giusto che le spese generali si sopportino dalla generalità dei cittadini, è giusto altresì che le spese occorrenti più specialmente in certe località si sopportino da quelli che ne risentono o ne vogliono il benefizio.

In Francia gli stipendi dei commissari di polizia e le spese dei loro uffizii, in ordine alla legge comunale del 1837, sono appunto a carico dei Comuni, e il servizio della pubblica sicurezza è del tutto affidato alla giandarmeria, meno in Parigi, ove può dirsi che sia esclusivamente esercitato dai sargenti di polizia e di città, la cui spesa figura sul bilancio della città di Parigi. 1 Ciò porta alla conseguenza che, mentre la spesa della pubblica sicurezza figura sul bilancio francese per L. 7 574 110, compresi 2 milioni di spese segrete, sul bilancio nostro questa spesa, che figurava per L. 12 835 053, 17, oggi è ridotta a L. 10190 000, essendosi portata a carico dei Comuni la metà delle spese per le guardie di pubblica sicurezza, non calcolandosi in questo confronto la spesa della giandarmeria e respettivamente de' carabinieri. 1

Talché le spese della pubblica sicurezza iscritte sul bilancio, e direttamente amministrate dallo Stato, sono minori in Francia che fra noi. Ma in Francia vi è poi tutta la spesa per il servizio locale che resta a carico dei Comuni, e che costa alla sola città di Parigi 12 milioni all’anno. 2

Laddove fra noi, oltre le somme stanziate in bilancio, ben poco più si spende dai Comuni per questo ramo cosi importante del pubblico servizio. 3

1 A Parigi in luogo della giandarmeria vi è la cosi detta Garde de Paris a piedi e a cavallo, la cui spesa per metà si sopporta dalla città di Parigi. Ma la Garde de Paris non presta servizio che in fazione militare.

1 Il corpo della giandarmeria in Francia, compreso quello della guardia imperiale, e compresa la Garde de Paris, ha un effettivo di 24819 uomini, e costa L. 28 009 720.

Il corpo dei Reali Carabinieri con un effettivo di 21 209 uomini, figura sul nostro bilancio della guerra per L. 20959 624.

Talché la pubblica sicurezza, tutto compreso, figura sul bilancio francese per L. 35583830 e sul bilancio nostro per L. 31 794624, della quale somma L. 27 709 624 sono assorbite dai Reali Carabinieri e dalle guardie di pubblica sicurezza.

2 Budget de la ville de Paris, anno 1864.

3 Giova notare che da un documento recentemente pubblicato per ordine del Parlamento inglese viene a resultare che le spese di polizia in Inghilterra, ascesero nel 1864, a lire italiane 42 505 300, lo che dava un aumento di lire 1048 075 sull'anno antecedente.

Può dubitarsi finalmente che atteso il modo col quale il servizio di pubblica sicurezza è organato, la parte del personale assorbita in esuberanti ufficii burocratici sia soverchia rispetto a quella che è destinata agli ufficii più attivi di vigilanza e di sorveglianza. 1

Questi resultamene finali, che darebbero luogo a gravissime riflessioni, mi conducono a concludere, che il problema delta pubblica sicurezza ha bisogno di essere tuttavia studiato fra noi, nel triplice aspetto, che essa costi meno al bilancio dello Stato, che sia al tempo stesso sussidiata di quei maggiori mezzi i quali occorrano onde le sostanze e le persone dei cittadini sieno egualmente tutelate su tutti i punti del territorio, e che la spesa venga repartita in proporzione dei beneficii che è destinala a produrre.

CAPITOLO LVII.

Legge sulla Sanità, pubblica.

Questa, nella sostanza, è la riproduzione della legge del 20 novembre 1859, ma in alcune parti modificata, non tanto per coordinarla colle nuove leggi amministrative, quanto ancora per migliorarla in alcune sue disposizioni.

La tutela della sanità pubblica appartiene, nell'ordine gerarchico, al ministro dell'Interno, ai prefetti e sottoprefetti ed ai sindaci.

Il ministro, i prefetti e sottoprefetti, mentre possono straordinariamente delegare una parte delle loro attribuzioni a Commissioni straordinarie, ad ispettori e delegati speciali, sono poi assistiti e coadiuvati: Da un Consiglio superiore di sanità, Dai Consigli sanitari provinciali, Dai Consigli sanitari di circondario.

In tutti questi Consigli di nomina regia o ministeriale, e le di cui funzioni sono gratuite, l'elemento scientifico rappresentato dai dottori in medicina, chirurgia e farmacia, sta in bilancia coll'elemento giuridico e amministrativo, che vi sono egualmente rappresentali.

Le attribuzioni principali di questi Consigli sono:

1° Di vigilare alla conservazione della sanità pubblica, anche per quanto riguarda le epizoozie, procurando osservanza delle leggi e dei regolamenti;

2° Di sorvegliare gli ospedali, gli istituti di educazione, i luoghi di detenzione, gli stabilimenti sanitarii non dipendenti dai consigli sanitarii militari;

1 Mi viene detto che mentre in passato il servizio di pubblica sicurezza si faceva in Firenze da 30 impiegati, comprese le quattro delegazioni, oggi rende necessario il maggior numero di 60 impiegati. Spetta all'autorità superiore il decidere se il servizio vada meglio oggi di prima.

3° Di sorvegliare, quanto alla legalità, l’esercizio delle professioni di medico, chirurgo, farmacista, levatrice e veterinario; come pure i commerci e le industrie concernenti sostanze destinate ad alimento o rimedio;

4° Di dare parere sulle costruzioni dei cimiteri, sugli stabilimenti insalubri, sulla tassazione delle note per servizi sanitari, per onorarii agli esercenti, per provviste farmaceutiche, quando ne sieno richiesti dai tribunali e dalle parli interessate;

5° Di raccogliere i dati di statistica igienica e medica, per coordinargli d’accordo colle Commissioni di statistica generale.

La legge è savia, rispetta i principii di libertà, e non contradice a nessuno di quei progressi che in fatto di pubblica igiene sono stati indicati non meno dalla esperienza, che dalle dottrine scientifiche. Lo stesso può dirsi del Regolamento approvato con R. Decreto degli 8 giugno di quest’anno. È desiderabile però che tutti i regolamenti locali sieno presto riveduti e corretti, onde essi pure si mantengano informati allo stesso spirito della Legge e del Regolamenta generale, e non diasi luogo in nessun caso a quelle prescrizioni irragionevoli, che dettate in ossequio ai pregiudizi! antichi ed alla volgare ignoranza, producono effetti diametralmente opposti a quelli che vorrebbonsi conseguire.


CAPITOLO LVIII.

Legge sulle Opere pubbliche.

Questa legge, che era voluta dalla nuova autonomia accordata alle amministrazioni provinciali, e dal principio del decentramento, venne essa pure sanzionata presso a poco come fu presentata dal Ministero. E bisogna pur confessare che essa costituisce un notabile progresso in questo ramo della legislazione amministrativa, talché a ciò si deve se furono vinte le non poche difficoltà che presentavansi in principia contro la sua accettazione.

Non potendo fare l’analisi di questa legge, deva limitarmi a delinearne, per cosi dire, il profilo esterno, onde da questo se ne possano argomentare le principali disposizioni.

La legge muove dal principio, che la ingerenza del Governo nella costruzione e manutenzione delle opere pubbliche esser deve proporzionala alla rata fi spese che nell’interesse generale sopporta per effettuarle, talché ove cessa la spesa, non altra ingerenza gii rimanga all’infuori di quella strettamente voluta dall’interesse collettivo dello Stato che non può mai abbandonare.

Questo principio vale per le, vale per i Corsi d'acqua, vale per i Porti, e quindi ne proviene la necessità di opportune cassazioni, onde apparisca quali strade, quali corsi d’acque, quali porli, sieno a tutto carico dello Stato, per quali vi sia luogo a concorso proporzionale di spesa tra lo Stato e le province, quali debbano curarsi a spesa esclusiva delle provincie, dei Comuni e dei consorziò Quanto alle strade, la legge si limita a stabilire i criteri!, mediante i quali distinguonsi le nazionali, le provinciali, le comunali, riservando al Governo ed ai consigli delle province e dei Comuni il farne gli opportuni elenchi, mediante la osservanza delle norme e delle garanzie che prescrive.

La spesa di manutenzione e costruzione delle strade si sopporta dallo Stato, dalle province, dai Comuni, secondo che esse fanno parte dell’uno o degli altri elenchi. E mentre la legge prescrive che apposito regolamento venga fatto per determinare le dimensioni, le forme, i lavori delle strade nazionali, vuole che i regolamenti congeneri per le altre specie di strade spettino alla iniziativa delle rappresentanze provinciali, salva l’approvazione reale per ciò che riguarda il pubblico interesse.

Quanto alle opere concernenti i corsi d'acqua, la legge le distingue in quattro categorie, cioè:

Opere che si eseguiscono esclusivamente a carico dello Stato, e sono quelle che riguardano la navigazione dei fiumi, dei laghi, dei grandi canali, e la conservazione dell'alveo dei fiumi di confine:

Opere che si eseguiscono e si mantengono a carico dello Stato, ma col concorso anche delle province e di altri interessati, quali sono i lavori lungo i fiumi arginali, quando questi provvedano ad un grande interesse di una provincia;

Opere che si eseguiscono e si mantengono a carico del consorzio degli interessati, quali sono quelle preordinate a difendere le ripe dei fiumi non arginati, o delle loro diramazioni ancorché non navigabili;

Opere finalmente che si eseguiscono e si mantengono a carico dei frontisti, salvo a questi il far concorrere gli altri interessali a norma delle leggi civili.

Quanto ai porli e spiagge, la legge ne fa egualmente quattro classi, secondoché interessano il commercio nazionale, la sicurezza della navigazione generale, il commercio di alcune province o 1 utilità soltanto di un circondario o di un Comune. Anche questa cassazione è intesa, come rispetto alle strade ed ai corsi di acqua, a determinare a carico di chi, ed in quali misure debba sopportarsi la spesa.

Dove cessano le ragioni d'interesse pubblico; e di necessaria uniformità, dove non si tratti di spese poste a carico dello Stato e delle province, la legge rispetta le convenzioni, e rispetta del pari le legittime incontroverse consuetudini vigenti.

Ma siccome è fondamento della medesima il principio di ragione comune, che le spese di opere pubbliche debbano sopportarsi dagli interessati, quindi non solamente ammette i consorzii volontarii delle province, dei Comuni, e di altri cointeressati, ma gli rende anche in certi casi obbligato, indicando le norme colle quali devono formarsi.

Questi consorzii obbligatorii, che possono aver luogo per ogni specie di opera pubblica, sono dalla legge più specialmente indicati per quelle che risguardano i corsi di acqua, rispetto ai quali stabilisce la massima che alle spese obbligatorie di difesa debbono concorrere in proporzione del respettivo vantaggio i proprietarii dei beni vicini e continuativi laterali, in attuale, prossimo, ed anche remoto pericolo di danno.

Oltre a determinare le regole generali rispetto alla spesa, la legge provvede altresì a tutta quella necessaria tutela, che riguarda ordine pubblico: quindi contiene disposizioni di polizia tanto per le strade, quanto per i corsi d’acqua, per i porli e per le spiagge: determina la ingerenza che è riservata al ministro dei Lavori Pubblici, ed alla autorità governativa sulle opere pubbliche di qualunque natura: e stabilisce le regole per la gestione amministrativa ed economica delle opere pubbliche che stanno a carico dello Stato.

Nella stessa legge si trova del pari unificala la legislazione concernente le strade ferrale, siano pubbliche, siano private, tanto rispetto alla costruzione, quanto rispetto all'esercizio.

Finalmente stabilisce il principio, che le province debbono avere un personale proprio d'ingegneri ed altri agenti tecnici pel servizio dei lavori pubblici li loro pertinenza, distinto dal personale del Genio civile che resterà al servizio del Governo: ma per giusti riguardi vuole che nei primi tre anni quel personale venga scelto tra gli ufficiali del Genio civile tanto in attività di servizio, quanto in disponibilità.

La quota complessiva degli stipendii del personale del Genio civile da passarsi al servizio delle provincie, non che il reparto di questa quota tra le provincie, avverrà per decreto reale, quando sia fatta la classificazione delle strade nazionali in ordine alle basi stabilite in questa medesima legge: la quale per tali indicazioni generali, rimane dimostrato come sia il necessario complemento della autonomia provinciale.


CAPITOLO LIX.

Le Circoscrizioni territoriali.

Colle stesse leggi colle quali venne compiuta la unificazione dei codici e delle leggi amministrative, fu data anche facoltà al Governo di modificare le circoscrizioni territoriali. Grave fu la insistenza del Governo nell'ottenere questa facoltà, grave non meno, fu la persistenza della Camera dei deputati nel negarla, fino a che per togliere il dissidio non venne posta su questo articolo la così detta questione di gabinetto. Nelle condizioni in cui era il paese, non poteva esitarsi ulteriormente, tanto più che le spiegazioni date dal Ministero inducevano la persuasione che esso di tale facoltà non avrebbe certamente abusato. Giovi riassumere in brevi parole le ragioni da cui mossero le vedute opposte del Ministero e della Camera in cosi importante questione.

Le circoscrizioni territoriali, nell’ordine giudiziario, amministrativo e finanziario, non corrispondono punto fra loro, e per tacere degli ordini fìnanziarii basti il notare, che mentre agli effetti amministrativi le cinquantanove province del Regno sono divise in 193 circondarii, e 1597 mandamenti, agli effetti giudiziarii invece sono divise in 142 circondarii, e 1686 mandamenti. Oltre a ciò intendesi agevolmente, che la formazione del Regno abbia fatto scuoprire non pochi inconvenienti nelle circoscrizioni antiche, scomparse una volta le barriere che dividevano popolazioni destinate dalla natura a vivere insieme e che hanno comunanza d’interessi. Che qualche cosa si possa fare per porre meglio in armonia fra loro queste circoscrizioni; è facilmente da molti consentito,. e da non pochi desiderato.

Però non conviene dissimulare che la questione è delicatissima in sé stessa, non tanto per la resistenza che vi possono opporre i pregiudizi locali, quanto e più per la offesa che può recarsi, senza volerlo e senza saperlo, ai più vitali interessi del paese. La questione diventa anche più grave, sia perché forse non sono note abbastanza né sufficientemente studiate le condizioni delle diverse province, sulle quali dovrebbesi operare, sia perché può credersi che le relazioni territoriali non sieno ancora bastantemente determinate, modificabili tuttavia se non altro per il successivo svolgersi del nostro sistema ferroviario, sia perché potrebbe credersi da non pochi che non possa ancora procedersi ad una nuova circoscrizione delle province, se prima non si giunge a modificare non poco le circoscrizioni comunali che ne sono la base direi quasi primordiale.

Infatti fra i 7720 comuni nei quali dividesi il Regno d’Italia, vi è una sproporzione grandissima rispetto alla loro entità di superficie, di popolazione e «di forze economiche, e Questa sproporzione che si osserva principalmente nelle province settentrionali, non è di lieve impaccio ogni qualvolta si tratti di leggi e di riforme amministrative, nel sistema specialmente fra noi prevalso di volere una legge comunale unica, che, senza distinzione alcuna fra Comuni e Comuni, vuole applicare a lutti le identiche disposizioni. A questo fu rimediato parzialmente, estendendo per quanto potevasi il principio dei consorzii fra i Comuni posti in un medesimo mandamento, come pure facilitando i modi, mercé i quali possono ottenersi le aggregazioni definitive di più Comuni fra loro. Ma 1 impaccio che ne deriva non cessa per questo, né così per fretta verrà appianato.

A queste considerazioni generali, che non sfuggivano né al Governo né al Parlamento, ne furono però contrapposte altre di ordine finanziario, in quanto che fu creduto che modificando le circoscrizioni territoriali, ne potesse resultare un grande benefizio per l'erario. Ma su questo punto, prescindendo anche dal disputare se la faccenda delle circoscrizioni possa o debba essere influita da ragioni finanziarie, non bisogna farsi troppe illusioni.

Cominciando infatti dalle circoscrizioni amministrative, di mano in mano che vengano meglio studiate le condizioni territoriali ed economiche dell'Italia, e si raccolgano tutti quei dati senza i quali sarebbe arroganza il formarsi un concetto adeguato della questione, io credo debba scendere nell’animo la persuasione che ben poco o nulla si possa fare rispetta alle prefetture, se non voglionsi troppo scompigliare interessi che da secoli si sono formati, e che per ragioni loro proprie coesistono insieme senza che possano essere avulsi e separati dal loro centro di coesione. Non può dirsi nemmeno che esista troppa diseguaglianza fra le province, o che le province siano tra loro in proporzioni troppo esigue e troppa scarse per territorio e per popolazione.

Per esserne convinti basti il gettare uno sguardo sopra il seguente

Quadro statistico della popolazione distribuita per province

1

Abruzzo Citeriore

327316

32

Massa Carrara

140733

2

Abruzzo Ulter. I

230061

33

Messina

395139

3

Abruzzo Ulter. II

309451

34

Milano

948320

4

Alessandria

645607

35

Modena

260591

5

Ancona

254849

36

Molise

346007

6

Arezzo

219559

37

Napoli

867983

7

Ascoli Piceno

196030

38

Noto

259613

8

Basilicata

492959

39

Novara

579385

9

Benevento

220506

40

Palermo

585163

10

Bergamo

347235

41

Parma

256029

11

Bologna

407452

42

Pavia

419785

12

Brescia

486383

43

Pesaro Urbino

202568

13

Cagliari

372097

44

Piacenza

218569

14

Calabria

431691

45

Pisa

243028

15

Calabria

324546

46

Porto Maurizio

121330

16

Calabria

384159

47

Principato Citer.

528256

17

Caltanisetta

223178

48

Principato Citer.

355621

18

Capitanata

312885

49

Ravenna

209518

19

Catania

450460

50

Reggio

230054

20

Como

457434

51

Sassari

215967

21

Cremona

339641

52

Siena

193935

22

Cuneo

597279

53

Sondrio

106040

23

Ferrara

199158

54

Terra di Bari

554402

24

Firenze

696214

55

Terra di Lavoro

653464

25

Forlì

224463

56

Terra d'Otranto

447982

26

Genova

650143

57

Torino

941992

27

Girgenti

263880

58

Trapani

214981

28

Grosseto

100626

59

Umbria

513019

29

Livorno

116811




30

Lucca

256161




31

Macerata

229626




Egli è facile adunque l'osservare che, sopra cinquantanove province, otto soltanto hanno una popolazione inferiore ai duecento mila abitanti, e ve ne ha una sola che sorpassi appena i cento mila. Ma questa è la provincia di Grosseto; e siccome fu creata per tutelare i suoi peculiari interessi economici, ai quali fu creduto non si potesse altrimenti provvedere, può dubitarsi grandemente se si possa sopprimere, senza il pericolo di turbare appunto quegli interessi e di compromettere l’ingente capitale che lo Stato vi ha in tanti anni erogato. Tanto più che se scarsa è la popolazione, vastissimo è il territorio, e non può sapersi ancora cosa sia per divenire quella provincia, rispetto agli effetti che inevitabilmente vi devono produrre le ferrovie che la percorrono. Parmi altresì che il criterio delle circoscrizioni non possa desumersi dalla popolazione attuale, astraendo dagli aumenti di cui può essere suscettibile. Questa osservazione acquista un peso maggiore, ove si rifletta che le 59 province d’Italia ragguagliano in media ad una popolazione di 392 881 abitanti, e quindi in una proporzione non troppo distante da quella dell'impero francese ove gli 89 dipartimenti tanto più popolosi oggi ragguagliano ad una media di 415 741 abitanti, mentre nel 1833 ragguagliavano ad una media di 383 921, e ad una media sempre più scarsa a misura che si risale al tempo della loro formazione.

Quando poi la offesa che recherebbesi a non pochi interessi si metta al paragone del risparmio che si otterrebbe sopprimendo cinque o sei prefetture, risparmio che giungerebbe difficilmente a superare 200 mila lire all’anno, se ne trae facilmente la conseguenza, che per cosi poco non vale la pena di mettere il campo a rumore. 1 Quando poi si volesse anche conseguire questo lieve risparmio, sarebbe allora da studiarsi se convenisse trovar modo di conciliare la soppressione di alcune prefetture, col mantenimento della amministrazione provinciale, accogliendo l'idea già enunciata, ma non discussa in Parlamento, di porre due province sotto la direzione e tutela di un solo prefetto. Io non ci vedrei altro inconveniente se non quello di deviare un poco dalle regole della simetria: ma non avendo troppa tenerezza per queste, e reputando che gli interessi economici degli amministrati valgono ben altro, non mi lascerei per questo solo deviare da un temperamento che, dietro accurato esame, mi paresse praticabile e buono.

In una parola, la questione delle circoscrizioni amministrative non dipende né dal compasso né dal solo riguardo alla spesa, ma sibbene dalle regole della buona amministrazione e dal riguardo dovuto agli interessi veri delle popolazioni.

Queste osservazioni, o dubbii come meglio vogliono chiamarsi, che ho dovuto accennare rispetto alle circoscrizioni amministrative, mi pare che valgono anche di più rispetto alle circoscrizioni giudiciarie, come che l'amministrazione della giustizia risponda ad uno dei più vitali bisogni della sociale convivenza.

1 Colla riforma amministrativa scema necessariamente il bisogno di soverchio personale, anche nel supposto che per altro lato si accrescano le attribuzioni governative dei prefetti. Ammettendo che ogni prefettura avesse due consiglieri, due segretari, due sottosegretari e quattro applicati, si giungerebbe, secondo i ruoli normali, ad un risparmio di L. 171000.

6

Prefetti a

L.

10000

L.

60000

12

Consiglieri a

L.

3500

L.

42000

12

Segretari a

L.

2500

L.

30000

12

Sottosegretari a

L.

1500

L.

18000

24

Applicati a

L.

900

L.

21600


Totale

L.

171600

Noi abbiamo nel Regno d'Italia 4 Corti di cassazione, Torino, Firenze, Napoli, Palermo: 18 Corti di appello con quattro sezioni separate: 142 Tribunali di Prima istanza, e 1686 Giudicature di mandamento. 1

È egli eccessivo il numero di queste magistrature? astrazione fatta dalla anomalia di quattro Corti di cassazione, anomalia resa per ora inevitabile dalle peculiari condizioni del paese, se prescindasi dalle sezioni, che malgrado la scappatoia del nome, sono vere e proprie Corti d'appello, non mi sembra davvero che possa dirsi esagerato il numero delle Corti, dei Tribunali di circondario e delle Giudicature di mandamento, né riguardo alle popolazioni cui servono, né riguardo agli affari che risolvono.

INDICAZIONE DELLE CORTI D’APPELLO.

Sedi

Popolazione

Sedi

Popolazione

1. Torino

2104534

10. Lucca

615 662

2. Casale

934344

11. Ancona b)

1395789

3. Genova

1027965

12. Napoli c)

3655863

4. Cagliari

578115

13. Aquila

928 043

5. Milano

1 573 218

14. Catanzaro

1214845

6. Brescia

1158184

15. Trani

1334106

7. Parma a)

964686

16. Palermo

1435 094

8. Bologna

1014582

17. Messina

377 003

9. Firenze

1278 489

18. Catania

408637


a) Una Sezione a Parma, e l'altra a Modena.

b) La Corte d'Ancona ha tre Sezioni cioè, Ancona, Macerata, e Perugia.

c) La Corte di Napoli ne ha due cioè, Napoli e Potenza.

Per convincerne il lettore, nulla posso fare di meglio che riferirmi ad una memoria molto pregevole intorno all’amministrazione della giustizia nel Regno d’Italia, pubblicata nel decorso anno dal ministero di Grazia e Giustizia. 1

Da questa memoria resulta invero, che la media popolazione per ogni Corte di appello in Italia è di 1244000 abitanti, laddove in Francia le 28 Corti imperiali corrispondono ciascuna ad una media di 1322000 abitanti, 2 ma resulta del pari che mentre il cumulo degli affari risoluti in Francia dalle Corti imperiali è di 10310 cause civili e di 10461 cause penali, le diciotto Corti d’Italia decidono in anno 11468 cause civili e 25241 cause penali tra quelle decise in Corte di assise, e quelle decise in via correzionale, senza tener conto di oltre 15 mila affari di volontaria giurisdizione. 3

Quanto poi ai Tribunali di Prima Istanza, e quanto alle Giudicature di mandamento, i resultati statistici sono tutti in favore nostro. Infatti in Italia i 142 Tribunali di circondario corrispondono ciascuno ad una media di 156 000 abitanti, laddove in Francia i 370 Tribunali di Prima Istanza corrispondono ad una media di 100 000 abitanti. E vi è poi altresì una notabile differenza anche rispetto al numero degli affari trattati e decisi. Imperocché i Tribunali circondariali del Regno avrebbero risolute in un anno 56 536 cause civili, 121903 cause criminali e 20 709 affari di volontaria giurisdizione, e cosi con una media per ogni tribunale di 398 cause civili, 858 cause criminali e 147 affari di volontaria giurisdizione.

1 L'Amministrazione della Giustizia nel Regno d'Italia ec. Memoria compilata dagli avv. Cav. Emilio Robecchi e Cav. Carlo CESARINI, per commissione del Ministro Guarda-Sigilli Commen. Pisanelli. — Torino, Tipografia Cavour, 1864.

2 Mem. cit, pag. 30.

3 Mem. citv pag. 31.

In Francia all'opposto la media di ogni Tribunale di Prima Istanza sarebbe di 334 cause civili, 387 criminali, 612 affari di volontaria giurisdizione, giacché tutti gli affari di un anno ascendono a 123 921 cause civili, 143 224 criminali e 226 544 affari della terza specie.

Lo stesso è da dirsi delle Giudicature di mandamento. Nel Regno d’Italia le 1686 Giudicature di mandamento, corrispondono ciascuna ad una media di 13 323 abitanti, laddove in Francia le 2939 Giudicature di Pace corrispondono ad una media di 12 750 abitanti. E se in Francia in un anno le Giudicature di Pace decidono 470071 cause civili, 391 414 cause penali e 108 607 affari di volontaria giurisdizione, in Italia invece le Giudicature di mandamento hanno spedito 397124 cause civili, 139 476 cause penali e 149 815 affari di volontaria giurisdizione. Talché in Francia le Giudicature di Pace spediscono l'una per l'altra 159 cause civili, 133 cause penali, 37 affari di volontaria giurisdizione, mentre le Giudicature di mandamento spediscono in Italia, l’una per l’altra, 235 cause civili, 83 penali e 89 affari di volontaria giurisdizione. 1

E si noti che questo confronto prende per base la popolazione attuale dell’Impero francese che è salita in pochi anni a ben 37 milioni di abitanti. Ma il numero dei dipartimenti, delle Corti, dei Tribunali di Prima Istanza e delle Giudicature di Pace era lo stesso quando la popolazione ascendeva appena alla metà che oggi è. Prova evidente che il criterio della popolazione tanto per le circoscrizioni amministrative, quanto per le giudiciarie è un criterio fallace, dipendendo esse da altre considerazioni topografiche, morali ed economiche che non si possono dimenticare, essendo base dell’incremento della popolazione, non meno che della pubblica ricchezza.

1 Mem. cit., pag. 37 e 40.

E fra lo considerazioni morali, devono primeggiare in Italia quelle della storia, le cui tradizioni non possono cancellarsi, e che anzi ogni sana politica consiglierebbe a far convergere allo svolgimento della dignità morale dei cittadini, non meno che al vantaggio della patria comune.

Con questi dubbi e con queste osservazioni, non intendo già di affermare che nulla sia da farsi in proposito delle circoscrizioni amministrative e giudiciarie del Regno.

Rispetto alle prime, anche lasciando intatto il numero delle province, rimangono le correzioni e modificazioni parziali che il mutato ordinamento politico, gli interessi nuovi creali o invertiti dalle ferrovie, e ragioni particolari di servizio possono rendere necessarie od opportune. Rimane altresì la questione dei circondarli amministrativi e sottoprefetture, questione nella quale vogliono considerarsi anzi tutto le convenienze di ordine pubblico e di governo, onde vedasi fino a qual segno e dove possa restringersene il numero, senza scapito della pubblica autorità e senza che si rallenti o si faccia meno efficace opera sua.

Rispetto poi alle seconde, cioè le circoscrizioni giudiciarie, rimangono pur sempre all'infuori dei miei dubbi, sia la questione delle sezioni delle Corti di appello, quando ne cessi il bisogno, sia le altre subalterne che riferisconsi a correzioni e modificazioni parziali sui varii punti del territorio.

Le mie riserve riferisconsi più specialmente a ciò che riguarda i Tribunali circondariali e le Giudicature di mandamento. La esperienza e l’accurato esame dei fatti possono consigliare che qualcuno dei primi, o taluna delle seconde spariscano. Ma bisogna andare mollo cauti e guardinghi, poiché a misura che si scende alla base, io pensai sempre che l'amministrazione della giustizia debba maggiormente avvicinarsi ed accomodarsi agli interessi economici delle popolazioni. Una giustizia, troppo discosta o troppo dispendiosa, equivale a negarla, e gli effetti morali e civili di ciò sono incalcolabili. Non deve poi obliarsi che le spese della giustizia, e della penale in particolar modo, crescono a dismisura in proporzione delle distanze; e che sul delicato problema deve influire non poco il considerare come per la mutata legislazione vanno necessariamente a refluire sui tribunali di ogni grado tutte quelle contestazioni che prima erano assorbite dai tribunali del contenzioso amministrativo.

A me bastava l’accennare tutto questo in linea di osservazione e di dubbio, poiché la saviezza dei reggitori della cosa pubblica mi affida e mi rassicura intorno all’uso discreto e prudente che essi faranno delle facoltà, che intorno a tale delicata materia furono, o possono esser loro accordate dal Parlamento.

CAPITOLO LX.

Dove sta il male.

Chi prenda ad esaminare la nostra amministrazione, può agevolmente inferirne, che essa sia troppo costosa. Ma chi spinga più oltre le sue indagini, non tarda ad accorgersi come ciò dipende anziché da un soverchio di spesa, dal sistema stesso col quale l'amministrazione venne organata. L’esempio lo abbiamo appunto nelle due amministrazioni delle Prefetture e dei Tribunali.

Cominciando infatti dall'amministrazione provinciale, e non tenendo conto della spesa di alloggi, di restauri, di mobilie, che in Francia è a. carico del bilancio dipartimentale, non può a meno di notarsi: che tutto il rimanente del servizio per le 59 province del Regno figura sul nostro bilancio per oltre lire 8 303 992, 47, laddove l’eguale servizio figura sul bilancio francese per gli 89 dipartimenti in lire Il 317 800.

La maraviglia però sparisce, quando si porti attenzione sopra le differenti partite delle quali si compongono i due bilanci. Imperocché da questo confronto resulta: Che gli stipendi dei prefetti e dei sottoprefetti, uniti alle spese di rappresentanza (L. 1 711000), non ragguagliano nemmeno la metà di ciò che tali titoli importano sul bilancio francese (L. 4 009 000).

Che la spesa dei consiglieri di prefettura diversifica in meno di 40 mila lire, da quello che costano in Francia.

Che le spese di amministrazione, le quali in Francia importano L. 6176 500, figurano nel nostro bilancio per quasi 5 milioni.

Che i soldi di aspettativa e disponibilità, i quali sul bilancio francese rappresentano la modica cifra di L. 67 600, nel nostro bilancio raggiungono una cifra spaventosa, quantunque da due anni siasi alquanto assottigliata.

Confronto di spesa

fra l’Amministrazione provinciale in Italia

e l’Amministrazione dipartimentale in Francia

1

Stipendi dei Prefetti

L. 630000

1

Stipendi dei Prefetti

L. 2421000

2

Spese di rappresentanti

L. 500000

2

Id. dei Sottoprefetti

L. 1558000

3

Stipendi dei Sottoprefetti

L. 581000

3

Id. Segretari generali

L. 249600

4

Consiglieri di Prefettura

L. 756000

4

Id. Consiglieri di Prefett.

L. 852200

5

Soprassoldo ai Consiglieri Delegati

L. 60000

5

Assegnamenti di disponibilità

L. 67600

6

Impiegati nelle Segreterie

L. 4013000

6

Abbuonamento per le spese delle Prefetture

L. 1380200

7

Spese d'Uffizio

L. 613992

47

7

Abbuonamento per le Sottoprefetture

L. 1516700

8

Ispezioni Amministrative

L. 40000

8

Abbnonamento aì Monitore

L. 8000

9

Spese di traslocamento

L. 50000

9

Ispezioni Amministrative

L. 231500

10

Maggiori assegnamenti

L. 30000




11

Impiegati in disponibilità

L. 1000000





Totale

L. 8304892

47


Totale

L. 1131780

Da questo confronto può dedursene pertanto che in Francia costa di più il personale dei prefetti e dei sottoprefetti, e costa meno l’amministrazione della prefettura: laddove in Italia ciò che assottigliasi sulle paghe dei primi, ci viene assorbito nelle spese della seconda. Non starò a dire quali sieno gli effetti politici e morali dei due sistemi, perché sono troppo evidenti. Accennerò invece le ragioni delle differenze.

1 A ciò deve aggiungerai la partecipazione che l’Amministrazione provinciale riceve nei titoli generali di Posta, di Stampa e di Casuali.

Le quali fanno capo a due massime di fronte alle quali le respettive amministrazioni stanno ai poli opposti. In Italia prevale la massima che ogni impiego, comunque umile esso sia, è titolo per salire ai sommi onori, e quindi ciascuno impiegato dal più alto all'infimo grado della gerarchia è sempre fuori del paese dove ha la sua famiglia, le sue relazioni, i suoi interessi. In Francia alf opposto prevale la massima di creare sui luoghi, e per le persone che ci vivono delle posizioni modeste, ma sempre ambite, alcune per la considerazione che danno, altre per i tenui lucri dai quali sono ricompensate, ma sempre sufficienti ai bisogni ed al desiderio di chi non si muove da casa, né è costretto a rinnuovare la leggenda dell'ebreo errante sulla terra.

In Italia si vuole che ognuno, il quale prenda una parte qualunque nella pubblica amministrazione, grande o piccina che sia, debba ricevere da un decreto reale il battesimo di pubblico funzionario, mentre in Francia alf opposto le spese occorrenti per tutto l'inferiore servizio delle prefetture si accollano ai prefetti, per modo di abbuonamento.

Quindi le differenze grandissime che sono fra noi nel personale, negli stipendi, nelle pensioni, negli assegnamenti di aspettativa e di disponibilità, nello stesso numero delle faccende, poiché tutto facendo capo al bilancio, s’intende agevolmente come ogni nomina, ogni promozione, ogni traslocamento, ogni più minuta spesa dia occasione ad altrettanti affari governativi. 1

1 In Francia sul bilancio non figurano che 89 prefetti, 267 sottoprefetti, 89 segretari e 356 consiglieri di prefettura.

In Italia figurano sul bilancio 59 prefetti, 134 sottoprefetti, 217 consiglieri di prefettura, 465 segretari, 628 sottosegretari, 1154 applicati, 799 tra uscieri e commessi.

1 Queste per lire 4 269 000 vengono anticipate dallo Stato, ma salvo rimborso a carico dei condannati.

Io non dirò adesso a quali delle massime prevalenti in Francia o fra noi debba darsi la preferenza. Mi basta di averle accennate, onde si conosca da quali cagioni vere dipenda il soverchio della spesa che niuno contradice.

Quello che osservai rispetto all'amministrazione provinciale, si verifica del pari, ed anche in più grave misura, nell'amministrazione giudiziaria.

Tutti siamo concordi nel riconoscere che l’amministrazione della giustizia, fattele debite proporzioni, è più costosa in Italia che in Francia, poiché mentre le spese occorrenti per la giustizia propriamente detta, sommano in Francia per 37 milioni di abitanti a L. 32 469 050, presso di noi per una popolazione di 22 milioni ascendono a L. 25 400 848, 49.

Bilancio della Giustizia

TITOLI DEL BILANCIO.

ITALIA.

FRANCIA.

1. Magistrature giudiziarie. (Personale)

21 381 928 38

27 319 060

2. Magistrature giudiziarie.

(Spese d'ufficio)

1 323 570 —

3. Spese di giustizia

2 583 350 11

5100 000 —

4. Statistica giudiziaria

12 000 —

20 000—1

5. Spese di viaggio e di tra mutamento

100 000 —


Totale

25 400 848 49

32 469 060 —

Ma prescindendo dall’esaminare se il problema giudiziario siasi avviato verso una buona soluzione allargando le competenze dei giudici di mandamento (chiamati pretori), aggiungendo adesso i vicegiudici 0 vicepretori, e creando sotto di loro i giudici conciliatori, e così decomponendo in tre giudici, il giudice di pace francese, per l'analisi che s’istituisce intorno ai titoli dei due respettivi bilanci, è facile il persuadersi che l’eccesso di spesa non proviene dal numero soverchio dei tribunali, ma sibbene dalla diversità dei principii che prevalgono nell’organamento.

In Francia vi è la istituzione dei giudici supplenti, nominati anno per anno fra gli avvocati esercenti presso 1respettivi tribunali, istituzione ottima che serve a legare fra loro con mutui sentimenti di stima e di benevolenza la curia giudicante e la curia forense, e serve anche di norma al Governo nella nomina ai posti della magistratura. Questa istituzione permette che per 370 tribunali di prima istanza bastino 1671 auditori, mentre in Italia, dove questa istituzione manca, per 142 tribunali di circondario abbiamo bisogno di 1044 auditori. 1

Sul bilancio francese non figurano che 3978 impiegati di cancelleria, mentre sul bilancio nostro il numero di questi impiegati ascende a 6052, poiché mentre in Francia il servizio delle cancellerie si alimenta coi proventi di queste, fra noi è tutto a carico dello Stato.

In Francia anche le spese di uffizio parte sono a carico del bilancio dipartimentale, parte si ricavano dai proventi di cancelleria, amministrati dai cancellieri sotto la sorveglianza dei presidenti, mentre le spese di uffizio figurano sul nostro bilancio per lire 1 323 570.

1 Non intendo davvero come il sistema dei giudici supplenti non venga accolto in Italia. Imperocché mentre è utile nell’aspetto finanziario, è vantaggioso anche moralmente alla amministrazione della giustizia, avvicinando fra loro la magistratura e la curia con scambievoli relazioni di stima, e dando anche opportunità al governo di rinsanguare di tempo in tempo la magistratura stessa, colla scelta di uomini che escono dall’esercizio pratico della professione. Io ritengo che questo sistema sia opportuno altresì a rafforzare grandemente la dignità nella Curia esercente, comecché niuno possa meritare l’onore di esercitare anche provvisoriamente le funzioni di magistrato, se non abbia reputazione assicurata di sapere legale, e d’integrità di vita e di carattere. Né credo sarebbe temibile per parte dei legali un rifiuto, in quanto dovessero consacrare una parte del loro tempo all’amministrazione della giustizia non retribuiti. Il sentimento del decoro che è nel ceto legale, e la ricompensa che ne avrebbero nell’aumento del credito e della reputazione, sono compensi che valgono più del danaro: e d’altra parte quando si esamini il sistema francese, è facile il convincersi che in pratica, l’aggravio, come è repartito, riesce assai lieve.

Quindi avviene, che mentre in Francia 370 Tribunali di Prima Istanza costano L. 10115160, noi ne spendiamo 5 288 964 per 142 Tribunali circondariali; — che in Francia 2939 Giudicature di Pace costano lire 7 832 200 e noi spendiamo lire 7 509 350 per 1686 Giudicature di mandamento;—che il personale a carica del bilancio francese somma complessivamente al numero di 10 465 individui per 3338 tribunali, mentre il personale a carico del nostro bilancio ascende alla strabocchevole cifra di 10 714 individui per 1854 Tribunali;—che in Francia nel bilancio attivo non figurano i proventi di cancelleria, ma questi bastano a sopportarne le spese, laddove sul nostro bilancio attivo figurano i proventi di cancelleria per lire 2 770000, ma ci leviamo il gusto di pagare sei milioni per conseguirgli, cioè di rimetterci più di tre milioni all'anno, e che, per conseguenza, 1 amministrazione della giustizia che ragguaglia in Francia a 87 centesimi, ragguaglia nel Regno d'Italia a più di una lira e cent. 15 per abitante, senza valutare le spese degli archivi notarili che non figurano nel bilancio francese.

QUADRO COMPARATIVO del personale addetto ai Tribunali in Italia e in Francia
REGNO D'ITALIA IMPERO FRANCESE
Numero Numero

Qualit?

dei

Tribunali

Dei Tribunali.

Dei Magistrati

Degli uffiziali del Ministero

Dei funzionai di Cancelleria

Degli Uscieri

Qualit?

dei

Tribunali

Dei Tribunali.

Dei Magistrati

Degli uffiziali del Ministero

Dei funzionai di Cancelleria

Degli Uscieri

Cassazioni

4

77

18

89

23

Cassazione

1

49

7

9

15

Corti di Appello

22

487

155

616

188

Corti di Appello

28

778

163

157

Tribunali di

Prima Istanza

142

1044

416

1983

418

Tribunali di

Prima Istanza

370

1671

865

873

Giudicature di Mandamento

1686

1686

3331

150

Giudicature di Mandamento

2039

2939

2139

1854

3291

589

6052

3338

5437

1035

3978

15

Totale del Personale in Italia N. 10714 Totale del Personale in Francia N. 10405

Da tutto questo panni si debba assai ragionevolmente dedurre che se al costo soverchio delle prefetture e dei tribunali si credesse ovviare o riducendo i servizi, o assottigliando la spesa, il rimedio sarebbe per avventura peggiore del male, offendendosi nel primo caso gli interessi veri delle popolazioni, e scompigliandosi nel secondo caso le pubbliche amministrazioni. Il problema non può essere sciolto altrimenti, che istituendo nuovi e diligenti esami intorno alla razionalità delle massime, sulle quali riposa la pubblica amministrazione.

CAPITOLO LXI.

Risparmi veri.

Ho voluto trattenermi alquanto nell’esaminare le nuove leggi organiche approvate dal Parlamento, in quanto che esse furono preordinate non tanto a migliorare la nostra amministrazione, quanto a gettare le basi di un bilancio normale, proporzionato alle forze finanziarie ed ai bisogni dello Stato. In questo aspetto, può dirsi che le leggi di unificazione sono altrettante leggi di bilancio, giacché ogni legge che accresce la partecipazione del paese al governo di sé stesso, ogni legge che estenda le pubbliche libertà, ogni legge che restringa la ingerenza governativa, ogni legge che semplicizzi la pubblica amministrazione, ha necessariamente il suo riscontro in altrettanti risparmi sulle pubbliche spese.

Infatti ogni qualvolta fu parlato di risparmi e di economie, sempre fu detto e asserito dai diversi ministri, i quali si succedettero nella direzione della cosa pubblica, che la copia maggiore dei risparmi effettuabili doveva sperarsi nella riforma delle leggi organiche. E la parola è vera, a condizione però che non celi un equivoco.

Imperocché, se per riforma delle leggi organiche si volesse intendere soltanto di quelle fino ad ora deliberate dal Parlamento, le economie ridurrebbonsi a lieve cosa. Avvegnaché per tale riforma non trattandosi, in fine dei conti, che del trasporto di non molte partite dal bilancio dello Stato in quello delle province, se ci guadagnano assai la libertà e la vita pubblica, non è troppo grande il guadagno dei contribuenti, i quali ciò che cessano di pagare con una mano, devono pagarlo colf altra. Però un risparmio effettiva ce lo troveranno pur sempre, non foss'altro per lo scemarsi di certe esigenze soverchie a carico dello Stato, per qualche modica riduzione nel personale dei Ministeri, e per quella maggiore severità e sorveglianza che verranno esercitate sull'andamento dei servizii pubblici meglio che dal governo centrale, dalle amministrazioni locali direttamente interessate a provvedervi.

Ed infatti il precedente Ministero, nella veduta di ottenere dal Parlamento l'approvazione delle leggi organiche che aveva proposte, presentò sulla base di quelle il suo bilancio per l'esercizio del 1865, nella somma di lire 747 349 368, 24, che, al confronto del bilancio dell'anno precedente, offriva un risparmio di 40 milioni.

Confronto del due Bilanci



1864

1865

1

Finanze

390 440 882

02

391 061 056

18

2

Esteri

3 393 015

44

3 660 114

44

3

Giustizia e Grazia

29 475 504

64

29 355 598

67

4

Istruzione pubblica

14 750 166

55

13 666 459

33

5

Interno

48 629 528

33

38 881 891

38

6

Lavori pubblici

65 046 052

78

38 959 880

00

7

Guerra

191 626 575

00

185 054 575

00

8

Marina

40 726 727

03

42 175 292

20

9

Agricoltura e Commercio

3 412 087

60

4 531 501

04



787 480 539

19

747 349 368

24

Analizzando però questa differenza, agevolmente si scorge che per 4 milioni essa appartiene al Ministero della Guerra, che per circa 16 milioni è conseguenziale alla vendita delle ferrovie dello Stato, e che sottratte queste due partite per 20 milioni, il risparmio conseguibile dalla riforma delle leggi amministrative ridurrebbesi alla cifra di 20 milioni, cui sta di fronte (come avvertii in altro luogo) la restituzione dei centesimi addizionali alle province per circa 12 milioni.

Da tutto questo io ne traggo la conseguenza che, se voglionsi ottenere maggiori e più efficaci risparmi, bisogna procedere innanzi nella riforma del meccanismo governativo, poiché nei difetti di questo, io credo, stia la vera piaga del bilancio passivo. Altrimenti avverrà che le esigenze finanziarie ci porteranno all'alternativa o di accrescere senza misura alcuna, precocemente ed oltre le forze economiche del paese, le pubbliche gravezze, ovvero di offendere con risparmi inopportuni gli interessi delle popolazioni, provvedendo scarsamente ai loro bisogni. E questo appunto filo veduto sovente, perché i risparmi che implicano un cangiamento nei principii, nei sistemi e nelle pratiche amministrative, o che tocchino sopratutto il personale burocratico, incontrano sempre maggiori difficoltà e più ostinate resistenze. Eppure, senza introdurre nuovi sistemi e nuove usanze nella nostra amministrazione, non è possibile di agevolarne la speditezza né di scemarne la spesa.

I risparmi veri e di più efficace profitto, cosi per l'erario come per i contribuenti, non sono quelli che ottengonsi a danno dei pubblici servizii o degli interessi delle popolazioni, poiché conducono sempre al cattivo effetto di ritardare io svolgimento della pubblica ricchezza, ma sono quegli invece che si conseguono allora quando abbiasi il coraggio di mutare certe pratiche amministrative, non aventi altro scopo che di accrescere le spese e di complicare il governo dello Stato, ed abbiasi pure il coraggio di abbandonare quella smania di regolamenti e di pedanterie che, moltiplicando gli enti senza necessità, costituiscono la vera piaga del bilancio, e conducono alla negazione di ogni libertà.

Poco importa che un ministro si distilli la mente perché davanti al Parlamento trionfi una legge buona se poi sopporta che questa legge venga stemperata, soverchiata e trasfigurita sotto la congerie indigesta di un regolamento che, col pretesto di regolarne applicazione, ne isterilisce gli effetti e talora riproduce, sott'altra forma, gli stessi inconvenienti che essa doveva remuovere e riparare.

I risparmi veri, in una parola, anche in fatta di pubblica amministrazione, sono quelli conseguibili per tali riforme che ci forniscano un migliore e maggiore prodotto con minori spese di produzione.

Già notai altra volta, ed ora mi piace di ripeterlo, che se tolgansi dal nostro bilancio le spese occorrenti per sodisfare ad obbligazioni inviolabili, e quelle che servono per l'esercito e per la marina, le altre spese che vi sono iscritte per tutti i servizi civili, non possono davvero dirsi esagerate rispetto ad un Regno di 22 milioni di abitanti. E volendo manifestare schiettamente il mio pensiero, ora che da ogni parte si grida alle economie, io sono indotto a dire, che vo lendo mantenere come esso è il nostro ordinamento amministrativo, sensibili e vistosi risparmi non possano effettuarsi senza correre il rischio di scompigliare maggiormente amministrazione, e di renderla insufficiente a quei servigi cui essa deve provvedere. Volendo ottenere maggiori risparmj e tali che procurassero un vero sollievo al bilancio, bisognerebbe mutare radicalmente l'indirizzo amministrativo, restringere dentro limiti molto angusti la ingerenza dello Stato, far luogo, per quanto fosse possibile, alla più larga partecipazione del paese al governo di se stesso. Le tradizioni sulle quali potrebbesi fondare questo nuovo ordinamento non mancano in Italia; ed anzi sono ben pochi gli Stati ove abondino come fra noi. E per esserne persuasi, basti osservare non esservi in Italia quasi niuna borgata o castello, dove qualche splendido monumento d'arte, o qualche buona istituzione non attesti che ivi pure si propagò e si diffuse uno sprazzo di quella cultura, di quella ricchezza, di quella operosità, per cui spiccarono nel rinnovellarsi dell'incivilimento le città italiane. Se ogni Municipio fu allora capace di farsi le proprie leggi, e di governarsi da sè, ciò vuol dire che alla nostra razza non mancano le qualità che credonsi essenziali per quello che chiamasi Self-Government, e delle quali diconsi privilegiati sopra a tutti gli altri, i popoli di razza anglosassone. Tali qualità, che più secoli di servaggio hanno potuto assopire, ma non distruggere, si tratterebbe oggi di risvegliarle e di ricondurle a più larga sfera di azione, non più nel ristretto cerchio della città e del Municipio, ma nella maggiore ampiezza della vita nazionale. Potrebbero essere sul primo, frequenti gii abusi, e frequenti gli errori. Ma di questi abusi e di questi errori non ci sarebbe da spaventarsene, comecché sarebbero presto corretti dalla esperienza; e per gli individui e per i popoli sono sempre meno dannosi i mali che scaturiscono da un eccesso di operosità e di vita, che quelli provenienti dall'apatia, e dal sonno. ‘ Ma prescindendo da troppo radicali riforme, cui forse taluno può credere non siano propizie le nostre condizioni politiche, dovrebbe almeno tentarsi un qualche modo per rendere più semplice l'organismo della nostra amministrazione, organismo, che pare siasi usata anzi maggiore industria per complicarlo, 6 per renderlo un vero magistero di perfezione meccanica, senza aver posto mente che macchine sì delicate sono sempre le più facili a guastarsi. Ma vi è un male maggiore ed è, che il concetto fondamentale di opera siffatta, sia stata la sfiducia contro lutto, e contro tutti. Quindi quel soverchiare di cautele, di garanzie, di formalità. Quindi l’esagerare il principio della divisione del lavoro: quindi la necessità di moltiplicare ingerenze braccia e fatiche, e conseguenza di ciò egualmente calamitosa fu di avere sul bilancio un personale eccessivo, ed in molti rami assai scarsamente retribuito.

Comprendo quanto sia malagevole e scabroso il trattare questo argomento, tanto più che non mi sfuggono i danni e i pericoli cui si va incontro ritoccando troppo spesso i congegni della macchina amministrativa. Ciò non ostante, volendo fare qualche cosa di più che una critica generica ed infeconda, e sottrarmi al rimprovero di declamare sui mali senza accennare ai rimedj, mi accingo al fastidioso incarico di esporre le mie idee, intorno a quelle riforme che mi sembrano opportune non tanto per conseguire qualche risparmio, quanto ancora per migliorare la pubblica amministrazione.

CAPITOLO LXII.

Riforme organiche.

Il traslocamento della sede del governo a Firenze, mentre ha fornito occasione favorevole ad accelerare la unificazione dei codici e delle leggi amministrative, dovrebbe spingere altresì a migliorare anche il complesso dei pubblici servizi, togliendo via quei difetti che la esperienza ha dovuto discuoprire essere causa precipua di danno e d'impaccio alla pubblica amministrazione. Se lo Stato ha diritto di esigere che le popolazioni si sobbarchino a tutti i sacrifizi che loro richiedonsi in nome d’Italia, esse hanno il diritto alla loro volta di esser bene amministrate, e di non dovere nemmeno dubitare che i loro interessi sieno posposti ai pregiudizi! burocratici, ed alla tenacità dei vecchi sistemi.

Conviene pertanto, giacché si parla di riforme organiche, che io venga sommariamente indicando alcuni difetti più avverati nella pubblica amministrazione, nella speranza che il governo possa da sé stesso remuoverli sin dove giungono le sue attribuzioni, o si apparecchi a presentare al nuovo Parlamenta quelle ulteriori riforme che a tale effetto reputerà opportune.

E qui io devo fare innanzi tutto due dichiarazioni: 1° che dei difetti che andrò notando, non ne faccio addebito a nessuno, essendo molti di essi inevitabili quando ad un tratto si sono volute fondere in una sola otto diverse amministrazioni; 2° che io non intendo di fare nessuna allusione al personale cui sono affidati i pubblici servizi, e che ritengo capace, onesto e laborioso. Non parlo di uomini, ma di sistemi, perocché i primi vanno e vengono, ed i secondi restano. E quando questi sieno difettosi, non vi è eccellenza di uomini che valga ad impedirne del tutto i cattivi effetti. Ciò premesso, entro nell'argomento.

L amministrazione centrale costa molto nel Regno d'Italia, per la moltiplicità grande dei funzionari richiesta dall'impianto attuale dei Ministeri. Essa però costa lire 7073279,42 all’anno, e quindi assai meno che in Francia dove importa lire 17947960 (1) ma costerebbe anche di più, se i nostri funzionari, cominciando dai ministri e venendo ai capi delle pubbliche amministrazioni, fossero meglio e più largamente retribuiti, come la loro posizione lo esigerebbe, come sarebbe necessario che lo fossero, e come, non senza buone ragioni, furono retribuiti in Francia sotto tutti i passati governi.

1 Ecco il costo respettivo delle due Amministrazioni, come resultano dai bilanci del 1864.


la Francia

la Italia


Ministero di Stato

L. 831800—

L. — —


Giustizia

L. 637400—

L. 554065 60

a)

Esteri

L. 931 400 —

L. 248 514 40


Interno

L. 1 733 200—

L. 810000—


Finanze

L. 8 715 722

L. 1929800 —

b)

Guerra

L. 2124938 —

L. 1538100 —


Marina

L. 1363 200 —

L. 363500—


Istruzione Pubblica

L. 913650 —

L. 427 000 —

a)

Lavori Pubblici

L. 1296650

L. 890349 42

c)

Agricoltura e Commercio

— —

L. 311 950—



L. 17, 947, 960 —

L. 7, 073, 279, 12


a) In Francia i Culti sono compresi nel Ministero della Istruzione Pubblica.

b) In Francia figurano nella Amministrazione centrale molte spese che fra noi figurano nel servizio provinciale.

c) Nel Ministero dei Lavori Pubblici in Francia è compreso anche quello di Agricoltura e Commercio.

Credo che guardando più sottilmente intorno ai bilanci, il conto apparirebbe probabilmente maggiore; poiché le spese di posta, di telegrafi, di stampe concorrerebbero pure ad ingrossarlo, e vi concorrerebbero egualmente altre partite che figurano sotto il diverso titolo di spese per amministrazione compartimentale e provinciale. Ma credo in tutti i modi che il male stia piuttosto nell’ordinamento dei Ministeri che nel soverchio di spesa.

I. Uomini competentissimi deplorano da gran tempo la poca razionalità che vi è nella distribuzione delle faccende, per cui avviene che si vedano trattate con diversità di massime materie affini, solo perché appartengono a divisioni diverse dei Ministeri, A questo difetto, già segnalato dalla stessa Corte dei Conti nella sua penultima relazione, va congiunto l'altro che mentre una divisione o sezione scarseggia di braccia per il disbrigo delle faccende che gli sono attribuite, in altra divisione o sezione, che tratta materie analoghe, abondano impiegati cui manca il lavoro. A questo duplice inconveniente, non può rimediarsi che mediante una migliore distribuzione nell'organamento dei Ministeri, riunendo più divisioni e sezioni sotto una sola, secondo il modo migliore che venga suggerito da una più ragionevole e sintetica classazione delle materie che a ciascun ministero appartengono. 1

1 Per maggiore intelligenza di quello che ho notato, giovi il seguente prospetto di confronto tra l'Amministrazione centrale in Francia e l’Amministrazione centrale fra noi.



Italia.


Francia.

Giustizia e Grazia

8

Divisioni

2

irezioni.

Esteri

5

id.

4

id.

Istruzione Pubblica

6

id.

5

Divisioni.

Interno

10

id.

3

Direzioni.

Finanze

22

id.

5

Direzioni nel Ministero e 5 Direzioni delle Amministrai. Centrali.

Guerra

23

id.

7

Direzioni.

Marina

10

id.

5

id.

Lavori Pubblici

16

id.

3

id.

Agricol. e Commercio

5

id.


— —

II. Questa riforma però non potrebbe effettuarsi, ove preliminarmente non ne fosse accettata un'altra anche più importante, la creazione cioè in ogni Ministero delle direzioni generali e forse anche meglio per certe aziende speciali, la creazione di amministrazioni generali staccate affatto dal Ministero, da cui dipendono. In un governo costituzionale, ove il mutamento dei ministri è frequente, se non si provvede a costituire un personale stabile di buoni amministratori, che conservino i principii e le tradizioni delle faccende, non è possibile che si abbia mai una buona amministrazione. L’avvenire della libertà sta appunto riposto nel saper conciliare le esigenze del governo costituzionale con quelle dell’amministrazione. I ministri che vanno e vengono, ci possono e ci debbono portare ciascuno la propria ispirazione politica, e dirò anche l'impulso di quei principii e di quelle riforme che fecero trionfare come deputali o senatori nel Parlamento; ma l'amministrazione ha una parte costante, tecnica, tradizionale, che cammina e deve camminare tutti i giorni all'infuori della politica, coi né all’infuori dell’influsso personale dei ministri che si succedono. Questa condizione di cose non può ottenersi, se non si abbiano alla testa delle direzioni e delle amministrazioni generali dei funzionarii eminenti i quali, per gli studi fatti, per la lunga esperienza e per la molta considerazione personale acquistata negli ufficii più elevati della magistratura e dell’amministrazione, possano ispirare piena fiducia, e, senza preoccupazioni politiche, non ad altro pensino che ad assicurare il regolare andamento degli speciali servizi commessi alla loro cura e nel cerchio delle attribuzioni ad essi affidate. Il credere che una buona e regolare amministrazione possa ottenersi per influsso personale e diretto dei ministri, il supporre che un ministro venuto jeri agli affari e che può andarsene domani, anche espertissimo, anche aiutato da un buon segretario generale, in mezzo alle distrazioni della politica e del Parlamento, possa al tempo stesso dirigere e seriamente amministrare valendosi dell'opera subordinata d’impiegati secondarii, essi pure in perpetuo moto dall’una all’altra divisione secondo il mutare dei tempi e delle stagioni, ella è una vera illusione, che il tempo, la esperienza e la necessità delle cose non tarderanno a dissipare. Aprendo gli almanacchi di Francia e di tempi diversi, io trovo quasi sempre gli stessi direttori e amministratori generali, e gli vedo quasi tutti insigniti del grado di Consiglieri di Stato. Allora io intendo come possono aversi dei funzionarii non politici atti ad assumere talvolta la direzione provvisoria dei Ministeri: allora intendo come uomini di lunga esperienza, sempre fermi al loro posto per qualunque cambiare di governi e di politica, collocati in posizioni cui non si ascende che per meriti e servigi incontestabili, e i quali nulla hanno da temere o da sperare, possano dare alla pubblica amministrazione quel carattere di stabilità, quell'impulso di vita e quella regolarità che ne formano i pregi migliori: allora intendo come si possa giungere ad infondere in tutti i funzionari di ogni ordine e di ogni qualità, la persuasione e la sicurezza che il loro avvenire dipende soltanto dall’adempimento esatto e fedele dei propri doveri, e non dall’influsso sempre pericoloso delle stelle diverse che appariscono e scompaiono dall’orizzonte. Se occorrerà di pagar meglio questi funzionari, si paghino; altrimenti avremo il danno e la vergogna che i migliori amministratori ci sieno sottratti dalle società industriali, che ne sanno meglio valutare i servizi e meglio retribuirli.

III. Il supporre che in un governo costituzionale non vi sia altra responsabilità che quella dei ministri, il credere che la responsabilità politica dei medesimi debba assorbire anche la responsabilità amministrativa degli agenti subordinati fino al segno di sopprimerla affatto, è la negazione delle basi fondamentali di ogni organismo governativo. Il benefìzio maggiore, e forse il più segnalabile, che dovrebbe derivare dalla mentovata riforma, quello esser dovrebbe appunto di rialzare il principio della responsabilità umana, scemando la fiducia che pur troppo si ripone nei regolamenti. Il regolamento tende a convertire gli uomini in automi, prescrivendoli ogni più minuto moto. Il senso della responsabilità risveglia la umana energia, e spinge allo svolgimento di tutte le doti intellettive.

Noi siamo precisamente ai poli opposti, poiché parmi che il nostro ordinamento, tenda a sopprimere affatto la responsabilità amministrativa, confondendola colla responsabilità politica, per schiacciarne sotto il peso soverchio e non proporzionalo alle forze della natura, quel disgraziato che l'assume col vano nome di ministro cui si chiede impossibile. Quindi il senatore Scialoja, in una sua recente scrittura, attribuiva appunto a questo difetto, una delle cause principali per cui le dogane non rendono quel frutto che devono rendere. Ed il senatore Scialoja parmi che abbia ragione, perché se nella amministrazione delle finanze e dei lavori pubblici la necessità delle cose ha indotto ad ammettere le direzioni generali, non se ne è potuto ancora trarre tutto quel frutto che avrebbero dovuto produrre, non solo perché a certe direzioni furono date ingerenze troppo disparate, e che esigono cognizioni speciali non sempre ammissibili nelle stesse persone, ma perché furono anche congegnate in modo che il fatto e l’operato dei direttori generali si confondono troppo col fatto e coll’operato dei ministri.

Ognuno intende come siffatto congegno contribuisca, per un lato, a snervare l’energia dei direttori generali, coperti come sono ed offuscati nella loro responsabilità amministrativa, dalla ombra della responsabilità ministeriale, e dall’altro, giunga a scemare l’autorità del ministro, il quale, col suo quotidiano intervento e colla sua firma, rende sempre suo il fatto dei direttori, pregiudica ai terzi il diritto del ricorso ed annientando il vero amministratore, si aggrava di una mole immensa di faccende speciali, che egli e il segretario generale non possono conoscere neppure di nome. Il riordinamento pertanto delle aziende dalle quali dipendono le pubbliche entrate, dando loro il carattere e le attribuzioni di vere e proprie amministrazioni, è una riforma necessaria, se vuolsi ottenere maggiore semplificazione nei Ministeri, maggiore ordine nella risoluzione degli affari, maggiore responsabilità negli amministratori, maggiori prodotti nelle pubbliche entrate, se vuolsi costituire, in una parola, la vera e propria amministrazione dello Stato.

IV. Ma tutto questo sarebbe insufficiente, se non si stabilisce una normale classazione nella gerarchia degli impiegati. Altrove vedo gli impiegati distribuirsi in due classi, prescritte dalla ragione e dalla stessa natura delle cose. L’una superiore, composta di persone idonee e capaci a percorrere tutti i gradi della gerarchia (impiegati di concetto), l'altra inferiore, composta di persone che non hanno altra idoneità che quella occorrente per ufficii più materiali, come sono i protocollisti o registratori, gli archivisti, i copisti, i computisti (impiegati d'ordine). Fra noi questa classazione non esiste, talché possono salire ai primi gradi, per solo benefizio del tempo e di anzianità, uomini certamente onesti e laboriosi, ma sprovveduti affatto delle qualità necessarie per cuoprirli, e possono vedersi destinati ai più umili uffici uomini che potrebbero aspirare ai primi onori. In questa materia, il principio della eguaglianza democratica non ha nulla che fare. La stessa democrazia, per l'organo di Saint-Simon, ha pronunziato l'assioma: à chacun selon sa capacité: à chaque capacité selon ses Tuvres. E l’assioma è giusto e ragionevole. Poiché se occupate nella materialità del copiare un uomo che per i suoi studii e per il suo ingegno può fare di meglio, comunque egli venga dalle più infime classi del popolo, voi l'umiliale e gli fate perdere il tempo; se voi inalzate a trattare e risolvere le faccende chi non ha altra capacità che per copiare, comunque gli scorra nelle vene il sangue più puro, voi avrete delle risoluzioni pessime. Il presumere che l'amministrazione proceda bene, quando l'organismo è vizioso nella base e quando gli istrumenti sono disadatti, é semplicità soverchia, che non ammette scusa di fronte agli effetti che il buon senso ci mette in grado di prevedere. E basti questo notevolissimo. Tolta ogni separazione di carriera, bisogna esigere negli aspiranti ai pubblici impieghi le stesse qualità, le stesse attitudini, le stesse cognizioni: se questo livello è troppo alto, commettesi un' ingiustizia verso tutte le classi più umili che vengono escluse, se è troppo basso, commettesi un'imprudenza dannosa allo Stato.

V. Mentre in tal modo scemerebbesi la fiducia soverchia nella virtù dei regolamenti, e rafforzerebbesi quella che deve aversi nella intelligenza e nella responsabilità individuale degli impiegati, bisogna provvedere altresì, onde un severo ed efficace sindacato sorvegli costantemente le opere loro. Questo sindacato si ottiene sicuramente, allargando le attribuzioni della Corte dei conti, si ottiene col mezzo d’ispezioni ordinarie e straordinarie, ma si ottiene con un mezzo più semplice, cioè coir istituire presso ogni Ministero, presso ogni direzione generale, e presso ciascuna azienda il registro o protocollo generale degli affari che vi appartengono. Questo registro o protocollo generale, che esiste da per tutto fuori di qui, e che incontra tanti ostacoli e contrarietà, deve essere accessibile al pubblico, e fatto in modo che ogni interessato possa a colpo d occhio vedere a suo piacimento quando il suo affare è venuto, con quali documenti fu accompagnato, quali passaggi abbia fatti, in quale stato si trovi, se e come fu risoluto. La mancanza di tale registro generale, cui non suppliscono i tanti protocolli speciali che abbondano nei ministeri, costituisce un vizio della nostra amministrazione e dà luogo a moltissimi inconvenienti, quali sono lo smarrimento delle istanze e dei documenti, i ritardi molteplici, gli equivoci non infrequenti, e l'impossibilità in cui sono gli interessati di aver notizie, di appianare gli ostacoli, di accelerare le risoluzioni. È un vero miracolo, dovuto certamente alla probità dei nostri impiegati, se gli interessi privati non divengono nei ministeri una fonte d’illeciti guadagni ed un monopolio a favore di quella parte di uomini che si chiamano sollecitatori.

VI. Poco o nulla io dirò della contabilità dello Stato, che pure dà luogo a tanti lamenti, comunque la Corte dei conti abbia fallo e faccia mollissimo per renderla più regolare, comunque sia evidente che essa di anno in anno vada perfezionandosi, comunque ogni Ministro di Finanza abbia cercalo colla miglior buona fede di correggerne gli abusi e di riformare, forse troppo presto e troppo spesso, i relativi regolamenti. Intendo la ragione dei lamenti, né voglio impugnare che inconvenienti vi sieno. Credo però che molti di questi, più che dalle leggi di contabilità, dipendano dai difetti di amministrazione, talché ove a questi fosse riparato, anche la contabilità procederebbe più spedita e meglio ordinata. Nondimeno mi permetterò di domandare, in forma di dubbio, agli uomini più versati in queste materie, se al riscontro giudiziario preventivo, la cui utilità astratta non vuolsi contestare, non siasi per avventura attribuita troppa efficacia? domanderò se non siavi modo di mantenerlo, scemandone le forme soverchie che recano tanti ritardi nella spedizione delle faccende? domanderò se mantenendo il riscontro preventivo come garanzia che le spese non usciranno dai limiti del bilancio, esso basti a tutti i bisogni di una buona gestione; se la contabilità fondata sopra una continua registrazione di mandati, provveda ad assicurare la regolarità degli incassi e dei pagamenti, e più che altro la legittima erogazione dei danaro pubblico? domanderò se non possa introdursi nei Ministero delle Finanze, nelle aziende che ne dipendono e negli altri Ministeri, un diverso sistema di scrittura a partita doppia, avente la sua base nel bilancio, e cui faccia seguito quel corredo di computisteria, di scritture e di libri che pure sono prescritti in tutte le case di commercio, in ogni traffico, in ogni banca? Domanderò se questo non fosse il mezzo più sicuro per ottenere la regolarità vera dell'amministrazione, per stabilire un efficace sindacalo, e dare al tempo stesso una garanzia, in favore e contro a tutti quelli che maneggiano la pubblica pecunia dal ministro al più infime cassiere? Fu citato alla Camera dei deputati esempio dì Prina, che aveva sempre in saccoccia lo stato di cassa. Se amministrazione del Regno Italico fosse stata senza scrittura, se la contabilità fosse stata divisa presso ogni ministero, se i mandati si fossero potuti presentare al tesoro senza nemmeno il visto del Ministro di Finanza, domando io se il ministro Prina sarebbe stato egli in grado di aver sempre a’ suoi ordini lo stato di cassa! Io non entro nei particolari. Basti ciò che ho detto per dedurne, che nell’organismo amministrativo deve esservi un qualche vizio da cui provengono la difficoltà in cui trovasi il ministro delle finanze di conoscere ad ogni occorrenza la situazione del tesoro, gli ostacoli che incontransi, onde l’azione benefica della Corte dei conti produca tutti i buoni frutti che dovrebbe, i ritardi frapposti ai pagamenti, l’arretrato nei rendiconti dello Stato ridotti quasi illusorii, gli errori così frequenti nelle previsioni, e quindi i sospetti ingiusti, divulgati dai tristi e dai malevoli a carico delle persone le più onorale. Tutti questi inconvenienti ci sono. 1

Resta soltanto a sapersi, se possono cessare o diminuire modificando il riscontro preventivo, rafforzando la registrazione dei mandati con un miglior sistema di scrittura, ordinando meglio la contabilità centrale. nel ministero delle finanze, escogitando insomma tutti quei miglioramenti mercé i quali possa diventare una verità vera per tutti il rendiconto, precipua e salutare salvaguardia degli amministratori e degli amministrati. 1

1 È singolare che nelle stesse prefetture manca ogni uffìzio di contabilità Quindi vorrei sapere a cosa debbano mai ridursi le revisioni dei Bilanci e dei Rendiconti delle amministrazioni comunali, e dei luoghi pii.

1 In Francia l’Amministrazione delle Finanze è divisa in due grandi partizioni, cioè:

I. L’amministrazione centrale del ministero.

II. L’amministrazione delle entrate.

L’amministrazione centrale comprende:

a) Il segretariato generale, il personale, la ispezione generale delle finanze..

b) La direzione del movimento generale dei fondi.

c) La direzione del debito pubblico.

d) La direzione del contenzioso finanziario.

e) La cassa centrale del tesoro.

f) La direzione della contabilità generale delle finanze.

Questa è incaricata di mantenere in tutte le branche della contabilità un modo uniforme di scrittura, di centralizzarne i resultati, di formare i conti generali.

Io ho fede che le riforme sopraindicate debbano tosto o tardi effettuarsi, malgrado gli ostacoli che la mediocrità, l'inerzia e l’attaccamento alle vecchie usanze vi opporranno. E questa mia fede tanto è più viva, in quanto che attuale Ministro delle Finanze ha già mostrato di preoccuparsi grandemente delle riforme attenenti alla contabilità dello Stato, non meno che di quelle che si riferiscono all’organamento delle amministrazioni centrali.

Vi è l'uffizio centrale che tiene il giornale e il gran libro della contabilità generale, e stando in relazione colle contabilità speciali dei diversi ministeri, è incaricato della formazione dei bilanci e dei reso conti.

Vi sono poi tanti uffizi quante sono le contabilità delle amministrazioni generali.

Dall’uffizio centrale si aprono e si staccano i conti coi diversi ministeri.

In ogni ministero vi è un uffìzio centrale di contabilità e di scrittura a partita doppia.

Aprendo l'Almanacco Reale del 1844, dal quale prendo queste indicazioni, vi trovo in ogni ministero il seguente ufficio: «Bureau (Écritures centrales) - Écritures en partie doublé: bordereaux et situations périodiques, dépenses liquidées, mandatées et pavées. Grand livre des ordonnances: constatation des résultats des comptes à la clôture des exercices.»

Vi sono poi nel ministero delle finanze le amministrazioni generali, e sono:

Del registro e demanio.

Delle dogane e sali.

Delle contribuzioni indirette.

Dei tabacchi.

Delle poste.

Delle foreste.

Delle contribuzioni dirette.

Ognuna di queste ha alla testa un direttore generale, che è il presidente del consiglio d'amministrazione istituito presso ciascuna.

Lo stesso Almanacco del 1844 mi dice, che alla direzione della contabilità generale e delle amministrazioni generali vi erano i funzionari più distinti, poiché gli trovo tutti qualificati o come consiglieri di Stato, o come Maitres des Requétes.

In fatti colla sua Relazione del 24 febbraio, 1865, mentre esprimeva il desiderio che fosse permesso al Parlamento di discutere finterò sistema di contabilità, (ed ora sarebbe troppo presto il farlo) affinché venisse stabilito sopra basi più semplici e meglio ordinate, egli intanto proponeva, ed il Parlamento accettava, che si estendessero i limiti dei valore dei contratti pei quali non fosse obbligatorio il parere preventivo del Consiglio di Stato, e che si sottraesse al Consiglio stesso il secondo esame dei contratti successivo alla stipulazione, per deferirlo invece alla giurisdizione della Corte dei conti, più competente quando si tratta della eseguibilità. Colla stessa legge stabilivasi che ai direttori generali, che per necessità delle cose vennero introdotti nelle amministrazioni centrali della Finanza, potessero delegarsi, per decreto reale, certe determinate attribuzioni, all’effetto di autorizzarli ad emettere e firmare direttamente i relativi provvedimenti.

Insomma la esperienza ha già fatto conoscere gl’inconvenienti dell’organismo attuale, e il primo passo è fatto nella via salutare di una riforma da molto tempo desiderata.

CAPITOLO LXIII.

Concentramento di servizi.

I difetti che notai nell’amministrazione centrale, hanno pure il loro naturale ed inevitabile riscontro nell’amministrazione provinciale.

Osservai di già come nessuna relazione abbiano fra loro le circoscrizioni del Regno. Soggiungo adesso che guardando al fatto, direbbesi che ogni ministero siasi studiato di trinciare e scompartire l’Italia a modo suo, non avendo altro in mira che i servigi da lui dipendenti, e senza che mai sia stato discusso e concertalo su tale argomento un concetto comune.

Il Ministero dell’Interno divide l’Italia in 59 provincie, in 193 circondari e 7720 comuni.

Quello della Giustizia in 21 corti d’appello, in 148 circondari, in 1012 mandamenti.

Quello delle Finanze divide il Regno in 5 regioni per il debito pubblico, in 6 per il contenzioso Finanziario, in 14 per il catasto, in 13 per la direzione del tesoro, in 19 per r amministrazione delle gabelle, in 44 per quelle del demanio.

Il ministero dei Lavori Pubblici lo taglia in 11 direzioni compartimentali, e 100 direzioni locali per l'amministrazione delle poste. Lo stesso può dirsi degli altri ministeri.

Io non sono troppo amico della simetria, e molto meno vorrei che le circoscrizioni territoriali si facessero colla squadra e col compasso. Ma dall’altro lato è innegabile che quando si tratta di circoscrizioni arbitrarie, come sono molte di quelle amministrative, se queste s’intralciano e si accavallano senza nessuna relazione fra loro e cogl’interessi delle popolazioni, ne segue l’effetto che cresca a dismisura l'affastellamento degli affari con dannosissimo dispendio di tempo, di uomini e di denaro. Quindi allora non è maraviglia se la libertà e il buon senso corrono rischio di essere soffocali sotto una valanga sempre crescente di regolamenti, di istruzioni, di circolari, di ordini, di risoluzioni spesso in contraddizione fra loro, che mettono alla disperazione gli impiegati subalterni, eccitano il malcontento negli amministrati e non promuovono certamente il credilo del Governo centrale.

Il male vero non sta nel difetto di simetria, ma nel mancare ogni nesso comune fra le circoscrizioni territoriali e le faccende cui esse si riferiscono; e questo nesso comune non potrà aversi, fino a tanto che ogni ministero voglia avere nelle province una schiera di agenti suoi propri e di suoi speciali e indipendenti rappresentanti: fino a tanto che il Prefetto non sia rivestito fra noi di quelle attribuzioni che aveva il capo della provincia nel Regno Italico, o per lo meno di quelle che ha in Francia il prefetto, e che è indispensabile che abbia, se vuoisi avere una buona ed ordinata amministrazione.

Quali sono le attribuzioni del Prefetto fra noi?

Egli non ha che quelle di pubblica sicurezza e le altre concernenti amministrazione comunale e provinciale. I molteplici servizi delle finanze sono da esso indipendenti. Esso nulla ha che vedere colla pubblica istruzione. Egli è estraneo ai contratti ed ai pagamenti, estraneo alle liti del governo. Altri invece sua esercitano le azioni che al governo competono: gli ingegneri e gli ispettori del genio civile, per ciò che riguarda opere pubbliche, corrispondono essi pure direttamente col ministero dei Lavori Pubblici. Ogni ministero vuole nelle province una specie di Prefetto suo proprio, e potrebbe accadere che un ordine emanato dal direttore delle gabelle o da un provveditore degli studii comprometta la quiete del paese, senza che il Prefetto ne abbia avuta nemmeno notizia.

In Francia all'opposto il Prefetto è il solo agente del potere esecutivo per la trasmissione delle leggi e degli ordini del governo agli amministrati, e dei ricorsi degli amministrati al governo. Come tale, egli è il rappresentante di ogni Ministro (eccetto quelli della Giustizia e della Guerra): egli è il superiore gerarchico di tutti i capi dei servizi civili, che stanno sotto i suoi ordini immediati: egli ha un’azione diretta sulle cose e sulle persone, sull’erogazione e impiego del denaro pubblico, sopra i beni dello Stato: egli solo procura esecuzione delle circolari, degli ordini, dei regolamenti: egli solo fornisce ai capi di servizio le istruzioni in proposito: egli solo esercita in giudizio e fuori tutte le azioni che competono al governo.

Basta accennare la diversità delle attribuzioni tra il Prefetto francese e il nostro, per dedurne intuitivamente tutte le diversissime conseguenze che devono scaturirne nei due sistemi tanto nei rispetti dell'amministrazione, quanto in quelli della finanza. Dico dell'amministrazione, perché nel sistema francese cessano non poche cause di quei disordini e di quelle contraddizioni che noi dobbiamo sovente deplorare, considerandosi, trattandosi e risolvendosi le molteplici faccende dietro eguali principii direttivi, e dal punto di vista dell’interesse generale, anziché da quello più ristretto di un'azienda o di un servizio speciale. Dico della finanza, perché fatto il primo passo, potrebbonsi facilmente concentrare molti rami di servizio ora separati e disgiunti, 1 e questo concentramento nelle prefetture, sarebbe anche una forma di quel decentramento di cui si va sempre in cerca senza trovarlo e che consiste nel far risolvere sui luoghi, e dal Prefetto, con maggiore cognizione di causa e più presto, la maggior parte delle faccende che ora si affollano intorno al potere centrale. 1

1 Nella Lombardia fino al 1859 esistevano le commissare distrettuali, che probabilmente risalivano al Regno Italico, ognuna delle quali abbracciava più mandamenti. Ogni Commissario aveva. 1. La tutela dei Comuni. 2. La pubblica sicurezza. 3. La conservazione del catasto. 4. La verificazione dei pesi e misure. 5. La leva militare. 6. Il reparto delle imposte Avendo cercate informazioni che credo esatte rispetto alla spesa,, vengo assicurato che la commissaria del distretto di Treviglio costava Lire 18 mila all’anno, mentre oggi lo stesso distretto costa per i varj servizj pubblici Lire 70 mila.

CAPITOLO LXIV.

Semplificazione del Bilancio.

Noi abbiamo forse commesso un primo errore cercando i modelli della nostra amministrazione fuori d’Italia. Se avessimo preso per base del nostro ordinamento le leggi e i regolamenti del Regno Italico, che avevano fatta ottima prova, avremmo fatto assai meglio. Abbiamo poi commesso un secondo errore, poiché una volta preso a modello l’ordinamento francese, bisognava adottarlo com era, senza tentare di volergli dare una diversa fisionomia. Ed abbiamo fatto anche peggio, perché lo abbiamo esagerato, lasciandoci trascinare dalla logica, o non so da quale altra fatalità, a conseguenze che riuscirono dispendiosissime.

Ho già detto nei capitoli precedenti quali riforme mi appariscono desiderabili nelle amministrazioni centrali e provinciali, onde meglio possa provvedersi alla regolarità e speditezza delle faccende, non meno che al vantaggio degli amministrati.

La riprova eloquentissima del male cui accenno l’abbiamo in questo, che sentendosi il bisogno di affidare al Prefetto di Firenze la direzione dei lavori concernenti il trasferimento della sede del governo, vi è dovuto intervenire un decreto reale che nomina il conte Cantelli commissario straordinario per interesse del ministero dei Lavori Pubblici. In Francia non vi sarebbe stato bisogno di tale decreto.

Quelle riforme hanno necessariamente un effetto pratico anche sul bilancio, poiché, se meglio ordinandosi e più concentrandosi i servizi diversi può ridursi il numero del personale, se molte classi d’impiegati d’ordine potessero scegliersi sui luoghi stessi nei quali si devono adoperare, ognuno capisce quanti risparmi potrebbero ottenersi, negli stipendi, negli assegnamenti di aspettativa e di disponibilità, nelle pensioni e financo nelle spese di traslocamelo, che figurano nel bilancio per oltre lire 300000 all'anno.

Ma qui non fermerebbonsi i risparmii conseguibili, se avessimo il coraggio di abbandonare certe massime o certe pratiche amministrative, colle quali ci siamo appunto troppo discostati dagli ordinamenti francesi, che pure prendemmo a modello in ogni rimanente. Mentre oggi giorno ci facciamo censori dell’accentramento francese, un più accurato esame dei fatti ci mostrerebbe che in molte cose abbiamo superato i maestri; poiché, mentre in Francia l'amministrazione di moltissime spese viene sottratta ad una troppo sottile ingerenza delio Stato, noi le abbiamo tutte riportate al bilancio, e tutte collocate sotto la gestione quotidiana e diretta del poter centrale. E mi spiego.

Abbiamo già notalo come l'eccesso di spesa nella. amministrazione della giustizia provenga da questo, che noi abbiamo a carico del bilancio tutto il personale occorrente nelle cancellerie dei tribunali, e che per conseguenza ci costa più del doppio di quello che portiamo in attivo col titolo di proventi degli atti giudiziari. In Francia, il personale subalterno delle cancellerie non figura nel bilancio passivo, come i proventi di esse non figurano nel bilancio attivo.

Abbiamo pure notato come in Francia le spese locali di pubblica sicurezza sono portate a carico dei bilanci comunali. Lo stesso accade per non poche fra le spese concernenti gli stabili, la mobilia, gli uffizii delle prefetture, delle sottoprefetture, delle corti, dei tribunali di prima istanza e giudicature di pace, che figurano tutte sul nostro bilancio, mentre in Francia sono portale sui bilanci delle amministrazioni dipartimentali e comunali.

Notammo egualmente che in Francia le spese per l'amministrazione dipartimentale sono date in appalto ai Prefetti per una somma fissa, lo che porta alla conseguenza che il personale delle prefetture a carico del bilancio sia tanto più modico che fra noi, dove tutto intero fino ai più umili inservienti è iscritto sul bilancio dello Stato. Lo stesso procede in Francia per mollissime spese di materiale e di uffizio, che sono date in appalto per somma fissa ai direttori generali, ai capi delle amministrazioni dipartimentali, agli stessi funzionari incaricali di un dato servizio.

Presso di noi, meno pochissime eccezioni, vige l'opposto costume, che le spese di uffizio, niuna esclusa o eccettuala, si amministrano direttamente dai Ministeri, e si pagano dalle Tesorerie con tutte le forme della contabilità. Quindi ne avviene, che, ogni spesa più lieve (salve pochissime eccezioni), vuoi delle amministrazioni centrali, vuoi delle amministrazioni provinciali, debba passare per una trafila lunghissima di approvazioni, di riscontri, di registrazioni. E potrei citare esempi assai curiosi, dai quali apparirebbe come tale rigorismo, in parvenza di materia, si presti al ridicolo. Anzi gli stessi percettori delle pubbliche entrate, non possono prelevare dal percetto in conto corrente né meno le più minute spese di uffizio, ma devono inviare integralmente le somme alle Tesorerie, e poi presentare a queste i mandati per le spese di uffizio registrali nelle forme consuete. Di qui, perdita di tempo e sciupio di braccia, di carta, di stampati, d’inchiostro.

Non ho potuto stabilire nessun confronto tra le spese che fra noi fanno parte del bilancio dello Stato, e in Francia si sopportano dalle amministrazioni dipartimentali e comunali, perché bisognerebbe esaminare i bilanci particolari di queste, che mi mancano affatto. Ma non sarebbesi lungi dal vero, supponendo che tali spese debbano essere proporzionalmente inferiori alle nostre, avvegnaché sia naturale che rispetto al governo si faccia a maggiore confidenza che non si farebbe colle amministrazioni locali, più oculate, e come direbbero i nostri antichi, assai più massaie. 1

Ho cercato invece di fare un confronto nelle spese dette di materiale e di uffizio, quelle comprese di stampati, di sussidii, d’indennità e di diarie, ma lasciando fuori le spese delle prefetture e sottoprefetture, perché basate su regole essenzialmente diverse, non meno che le spese di ordine relative ai telegrammi e carteggi postali. Da questo confronto apparirebbe che tutte queste spese giungono nel bilancio nostro a lire 12 801031, mentre nel bilancio francese sommano a lire 19142 002. E si noti, che nella somma relativa al bilancio francese sono comprese, per non poche amministrazioni, anche le spese d’inservienti che fra noi figurano nel personale, e che alla somma relativa al bilancio nostro, deve pure aggiungersi la somma di lire 1530000, che è il coacervalo delle cosi dette casuali sparse nei differenti bilanci. 1

1 Mi fu narrato una volta, che in un paese di questo mondo, dove il mobiliare della Corte di Appello era a carico dello Stato, e il mobiliare dei tribunale di Prima Istanza era a carico del Comune, un certo tappeto per la camera di consiglio fosse rinnovato sei volte nel corso di un decennio nella Corte di Appello, e durasse dieci anni nel tribunale di Prima Istanza.

Tavola comparativa delle spese d'ufficio

REGNO

D'ITALIA

IMPERO

FRANCESE

Giustizia e Grazia

L. 1959465

Giustizia

L. 342950

Esteri

L. 71000

Esteri

L. 250000

Interno

L. 680060

Interno

L. 1283500

Finanze (Tesoro)

L. 1014800

Finanze (Tesoro)

L. 2361000

Lavori pubblici

L. 1050000

Lavori pubblici

L. 1 406600

Guerra

L. 200000

Guerra

L. 549500

Marina

L. 131000

Marina

L. 267300

Istruzione pubblica

L. 534619

Istruzione pubblica

L. 527395

Agricoltura e Commercio

L. 161003

Ministero di Stato

L. 315000

Consiglio di Stato

L. 49558

Consiglio di Stato

L. 155000

Corte dei Conti

L. 98200

Corte dei Conti

L. 73 500

Demanio e Tasse

L. 3568427

Contribuzioni dirette

L. 2324771

Gabelle

L. 1687319

Contribuzioni indirette

L. 5002180

Poste

L. 1125580

Poste

L. 3313306

Telegrafi

L. 470000

Telegrafi

L. 970000

Totale

L. 12801031

Totale

L. 19142002

Se mi è avvenuto di essere stato anche mediocremente esatto nello istituire questo confronto, ognuno è in grado di giudicare che, fatte le debite proporzioni, la nostra spesa è comparativamente maggiore di quella che si fa in Francia. Ed oserei affermare che la cosa non può essere diversa, poiché s’intende agevolmente che, dandosi in appalto certe tali spese e riducendone altre a somma fissa, l'interesse dello Stato è collocato sotto la salvaguardia dell'interesse individuale di coloro che hanno la responsabilità del servizio;

1 Questo titolo è ignoto affatto al Bilancio Francese, e credo che potrebbe benissimo depennarsi dai nostro senza danno alcuno della pubblica amministrazione. Per lo meno dovrebbe introdursi Fuso che vige in Inghilterra per il fondo delle spese impreviste, che cioè il Governo è in obbligo di presentare al Parlamento ogni anno il rendiconto speciale della erogazione del detto fondo.

così cessano gli eccitamenti ad accrescere le spese e le braccia; così i capi d'uffizio trovano il modo più acconcio onde proporzionare le une e le altre ai bisogni effettivi del servizio ed alle vere necessità del consueto lavoro. Ma se poi, calcolate tutte le spese accessorie che ne vengono per il nostro sistema di contabilità, quando per ogni più lieve spesa occorre un mandalo, occorre l'intervento della Corte dei conti, occorrono tante e replicate registrazioni: se vi aggiungete tutte quelle che si accrescono in questo moltiplicarsi infinito di lavoro, che s'incrocia e si accavalla ogni giorno ed ogni ora su tutti i punti del territorio, è facile il comprendere che i risparmii conseguibili per un cangiamento di sistema, sono anche maggiori di quelli che possano ottenersi sui titoli effettivi della spesa. 1

Questo cangiamento di sistema riducesi tutto a semplificare il bilancio, giacché con questo, e non con altro mezzo, può ottenersi quella semplificazione e quel decentramento di servizii amministrativi, che furono sempre nei voti e nel desiderio di tutti. In questa strada noi siamo entrati colla legge provinciale e con quella sulle opere pubbliche. Ma non basta; bisogna proseguire e andare innanzi. Quando siensi cancellate dal bilancio dello Stato, per portarle su quelli delle provincie e dei Comuni, tante spese concernenti le prefetture, i tribunali e la pubblica sicurezza: quando a carico dei proventi giudiziarii fossero poste le spese di cancelleria: quando le spese di uffizio, e certune di amministrazione fossero date in appalto ai capi dei singoli servizii: quando altre fossero ridotte a somma fissa, allora anche il poter centrale sarebbe alleggerito della soverchia mole di tante piccole faccende, che pure consumano un tempo immenso, ed esigono l'opera di un grandissimo personale.

1 Sul bilancio francese, i soccorsi e le indennità ascendono a lire 565861, le spese impreviste a lire 93 600, le paghe di non attività, comprese quelle del bilancio della Guerra, sommano a lire 856600. Fra noi le spese per le disponibilità vanno a lire 3946617, e per maggiori assegnamenti vanno a lire 1 510438.

Tutti i servizii procederebbero più spedili, avrebbonsi minori ritardi e minori incagli, le spese sarebbero minori e distribuite con più sicuro profitto e con maggiore giustizia.

Io credo egualmente che procedendo sempre per la medesima strada, altri e non indifferenti risparmi potrebbero ottenersi riformando tutte le altre leggi organiche, e semplificando i nostri regolamenti. Alle cose che ebbi occasione di notare nei capitoli precedenti, aggiungo adesso, come mi paja enorme la spesa per il servizio delle carceri. Io non giungo a comprendere come in Francia, sopra una popolazione di 37 milioni, il servizio delle carceri di ogni specie e il mantenimento dei carcerati di ogni sorta figurino sul bilancio dell'interno per la somma di lire 15 092 400, di fronte ad un rimborso per prodotto di lavoro di lire 3 000000, mentre fra noi per lo stesso servizio, e per lo stesso mantenimento, sopra una popolazione di 22 milioni, si spendono lire 16 763 300, dirimpetto ad un prodotto di lavoro certamente inferiore ad un milione, poiché il rimborso di lire 1 719 400 che figura sul bilancio attivo, comprende nella stessa cifra il prodotto delle carceri, e quello dei pii istituti. Quand'anche in Francia contribuiscano ad una parte di spesa i dipartimenti, la sproporzione è troppo forte, perché non valga la pena di studiare con assai diligenza dove stia la causa del male. 1

La revisione generale dei moltiplici regolamenti vigenti ed una maggior fede nella libertà, possono condurci ad altri risparmi ancora. Per modo d'esempio, potrebbe conseguirsi un grosso risparmio affidando ai Comuni la percezione delle imposte dirette: può farsi un altro risparmio attuandosi il principio di attribuire alla Banca Nazionale il servizio delle Tesorerie; se ne possono fare degli ulteriori, riformando i regolamenti della pubblica Istruzione, quelli dei boschi, della caccia e della pesca, e quelli concernenti la ispezione dei pesi e misure, giacché le attribuzioni relative possono benissimo scompartirsi fra i prefetti e le autorità provinciali e comunali. Imperocché io ritengo per massima, che ogni passo nella strada della vera libertà porti un risparmio, mentre ogni nuovo regolamento porta un aumento di spesa.

Non dico che le riforme indicate in questo e nel precedente capitolo possano ottenersi ad un tratto; prevedo le censure che mi verranno fatte per averle indicale; intendo del pari quanti ostacoli e difficoltà si opporranno dagli interessi individuali, dagli abusi invecchiati e dalla tenacità delle usanze stabilite contro chiunque si attenterà ad entrare per la nuova via. Ma ho l'intimo convincimento che, tosto o tardi, ciò deve farsi e si farà, poiché a misura che cresce l’attenzione sulle pubbliche cose, scenderà nell'animo di lutti la persuasione, ché altrimenti ogni speranza di migliorare l'amministrazione e di alleviare le pubbliche spese diventerebbe illusoria.

Non esito poi ad affermare che una volta messa la falce nelle vere piante parasite del bilancio, senza turbare i pubblici servizi, senza offendere i legittimi interessi delle popolazioni, senza arrestare lo svolgimento della pubblica prosperità, troverebbesi il modo di conseguire quei maggiori risparmi che finora non furono sperabili, e di conseguirli migliorando sotto ogni aspetto la pubblica amministrazione.

1 La stessa osservazione può ripetersi per il servizio dei Bagni de' forzati. Il titolo di questa spesa figura nel bilancio della Marina per L. 3, 304, 341 25; mentre sul bilancio francese non eccede L. 128, 000. Non giungo a comprendere la ragione di cosi grande differenza.

Gettate poi una volta le basi di un bilancio normale, non m’affliggerei soverchiamente se non potessimo ottenere immediatamente tutto il guadagno. Imperocché nulla impedirebbe che le sequele del passato, per le quali converrebbe essere indulgentissimi, figurassero, per un periodo transitorio più o meno lungo, tra le spese straordinarie, come ci figurano le spese per gli impiegati in disponibilità, e come ci dovrebbero figurare anche le pensioni, che superano la proporzione cogli stipendi di attività, giacché il soverchio delle disponibilità, ed il soverchio delle pensioni, si riferiscono essi pure ad un passato, il quale per nessun titolo dovrebbe trovare collocamento in un bilancio normale.

CAPITOLO LXVI.

La esazione delle imposte.

Ognuno intende come un buono ed uniforme ordinamento per la esazione delle imposte dirette, sia la base fondamentale di tutti i servizi della Finanza, e particolarmente del pubblico Tesoro.

Anche su questo evvi difformità grande nelle diverse province che ora compongono il Regno d’Italia.

1. Nelle province del Piemonte, della Liguria e della Sardegna, la esazione delle imposte dirette è affidata ad esattori nominati dal Governo con retribuzione fissa, i quali prestano una cauzione eguale al dodicesimo delle riscossioni. Versano essi i prodotti delle imposte nelle Tesorerie a dodicesimi maturati, e sono responsabili delle somme iscritte nei ruoli, salvo il rimborso delle quote inesigibili.

2. Nelle province parmensi è pure in vigore il sistema degli esattori governativi, presso a poco identico a quello delle province piemontesi.

3. In Lombardia la esazione delle imposte costituisce obbligo del Comune che affida ad un suo appaltatore nominato in seguito dello esperimento per asta pubblica. Questi esattori hanno obbligo di cauzione: Sono retribuiti ad aggio: ed hanno l'obbligo di versare la totalità della imposta dovuta dai contribuenti, riscosso o non riscosso, nella cassa dei Ricevitori provinciali nominati dalla Rappresentanza provinciale, essi pure per concorrenza pubblica, essi pure con obbligo di cauzione, essi pure retribuiti con aggio, essi pure responsabili del versamento verso il Tesoro del riscosso o non riscosso. In difetto di appalto, la riscossione si fa a cura della Rappresentanza comunale che è responsabile verso lo Stato dell'intero ammontare delle imposte dirette.

4. Il medesimo sistema della Lombardia, è pure vigente nelle province modenesi. Con questa differenza però, che mentre nelle province lombarde il Comune ha la scelta tra la esazione per appalto, e la esazione per conto suo, nelle province modenesi, il Comune deve sempre procedere per via d'appalto.

5. Nelle province ex-pontificie vige il sistema dell'appalto nella sua più vasta scala. In ogni provincia la esazione delle imposte è affidata ad un appaltatore generale detto amministratore camerale il quale ha a carico suo le spese di esazione, quella compresa dei percettori subalterni. Egli ò responsabile verso il Tesoro dell'intero ammontare delle imposte a riscosso o non riscosso. Presta cauzione eguale ad un bimestre delle imposte di cui ha esazione, è retribuito con aggio sulle percezioni, e colla devoluzione a suo favore delle multe dovute dai contribuenti morosi. Lo stesso Amministratore camerale disimpegna pure le attribuzioni di pagatore per conto della pubblica amministrazione, rispetto ai mandati spediti sulla sua cassa.

6. Nelle province toscane il Comune è considerato dallo Stato come unico suo debitore per la totalità delle imposte dirette. Il Comune provvede a quest’obbligo che gli viene dalla legge mediante un camarlingo scelto a sorte fra i contribuenti eligibili, ed approvalo dal Consiglio, il quale presta cauzione, è retribuito con tenue stipendio dal Comune, e con parte delle multe dei morosi. Il Comune anticipa al Tesoro le somme che il camarlingo non può esigere alle scadenze.

7. Finalmente nelle province napoletane e siciliane, la riscossione delle imposte dirette è pure affidata ai Comuni, ciascuno dei quali nomina il proprio esattore, rimanendo la rappresentanza comunale stessa responsabile verso il Tesoro della puntualità dei pagamenti a scadenze fisse. Però i Comuni che compongono un circondario possono accordarsi per deferire al Governo la nomina di un percettore circondariale, ed allora cessa la responsabilità comunale. Al di sopra degli esattori comunali, e dei percettori circondariali, stanno in ogni distretto o circondario i ricevitori i quali dipendono da un ricevitore generale per ogni provincia. Tutti sono obbligati a prestare cauzione: tutti sono egualmente retribuiti ad aggio. Così r esattore comunale versa nella cassa del ricevitore circondariale. Questi a sua volta versa nella cassa del ricevitore generale. Ed i ricevitori mentre sono incaricati della riscossione di ogni altra entrata pubblica, fanno anche ufficio di pagatori del pubblico Tesoro per tutti i mandati che sieno regolarmente spediti sulle loro casse.

Tutti questi sistemi diversi analizzali razionalmente riduconsi però sostanzialmente a tre, cioè:

Esazione eseguita direttamente dagli agenti governativi.

Esazione eseguita per mezzo di Appaltatori responsabili ed obbligati verso lo Stato del riscosso e non riscosso.

Esazione eseguita a cura e responsabilità dei Comuni.

Niuno perdeva di vista, e niuno impugnava che un buon sistema di percezione avrebbe dovuto avere il quadruplice scopo 1° di congiungere la maggiore semplicità e speditezza colla maggiore guarentigia per l'integrale e puntuale incasso delle imposte;2° di rendere facili e scevre di qualunque odioso aggravio le relazioni tra i collettori delle imposte ed i contribuenti; 3° di scemare le spese di percezione, riducendo al minimo le somme che pagate dai contribuenti non entrino nelle pubbliche casse; 4° di collegare fra loro le esazioni delle imposte coi pagamenti e coi servizi del Tesoro.

A me parve sempre che nessun sistema cosi bene potesse raggiungere questi intenti, quanto quello che assumesse per base la responsabilità e la obbligazione dei Comuni. E mi piace appunto di adoperare formula sì fatta, per enunciare che io parteggio per un principio, anziché per le diverse modalità o applicazioni che di esso sieno state fatte nei Comuni toscani, lombardi o napoletani: Imperocché mentre niuna di esse modalità potrebbe forse convenire ai mutali ordini amministrativi del Regno, io sono d’avviso che il principio generale, adattato ai tempi nuovi, ed alle cose nuove, corrisponda pienamente ai bisogni cui la riforma accennala doveva provvedere.

Infatti niuno poteva impugnare che mentre nel sistema degli agenti governativi le esazioni costavano allo Stato il 2, 70 per 100, e nel sistema degli appaltatori camerali il 3 per 100 in media, la esazione non costava nulla in Toscana, costava 70 centesimi in Lombardia, e il 2, 60 nelle province napoletane, perché ivi primeggiava un sistema misto di collettori comunali, e di collettori governativi: che mentre col sistema degli agenti governativi perdonsi dallo Stato somme non lievi per quote inesigibili, e l'ammontare delle riscossioni dei primi 9 mesi non giunge alla metà del totale, cogli altri sistemi non vi sono quote inesigibili, ed il riscosso dei primi nove mesi eguaglia i due terzi della totale riscossione: che mentre nel sistema degli agenti governativi, il contribuente è troppo a contatto col Governo, ed in quello degli appaltatori per conto del Governo il contribuente è troppo esposto al pericolo di vessazioni, nel sistema della responsabilità comunale, tra lo Stato e il contribuente trovasi intermedia un’autorità quasi domestica e casalinga che toglie ogni odiosità ai Governo, ed è guarentigia per i contribuenti: e che finalmente mentre nel si sterna degli agenti e degli appaltatori governativi, lo Stato deve ricercare la sua sicurezza nel moltiplicare le misure fiscali, nel sistema della responsabilità comunale, lo Stato è sempre al sicuro da ogni rischio, non potendosi immaginare mallevadoria più efficace, che la solidale obbligazione di tutti i comunisti.

Ne poteva dirsi come fu detto che la ingerenza dei Comuni nella esazione fosse cosa poco connaturale alla loro indole giuridica ed alle loro tradizioni, ne che esorbitante fosse la obbligazione che per tal guisa ai Comuni s imponesse. Ciò non sussiste in teoria, perché anzi dovunque è vero senso di libertà, noi vediamo moltiplicarsi le ingerenze governative affidate ai Comuni, e vediamo i Comuni imprestare i propri uffiziali al Governo, anziché ricevergli da lui. Molto meno ciò sussiste nel fatto, quando lo stesso principio vedesi applicalo nei Comuni lombardi, toscani, napoletani, cioè quasi nei due terzi del Regno. E ne confortava l'esempio della Inghilterra, dove i tassatovi delle pubbliche imposte sono nominati da un apposito collegio di Commissari del distretto, e dove gli esattori nominati dalla Parrocchia, a questa prestano cauzione, come la Parrocchia a sua volta è responsabile a riscosso o non riscosso verso lo Stato.

Non può mai dirsi intollerabile una responsabilità che avendo la sua ragione di essere nella necessità delle cose, libera i contribuenti da non poche cessazioni, risparmia allo Stato moltiplici sacrifizi, e toglie alle pubbliche imposte ogni carattere odioso di fiscale angheria.

A tutto questo può aggiungersi, che dovendosi collegare l'ordinamento della esazione col servizio del Tesoro, il sistema fondato sulla responsabilità comunale era quello che meglio di ogni altro, spianasse la via all'altra riforma di affidare alla Banca tutte le attribuzioni di Tesoreria, sull'esempio d’Inghilterra e del Belgio, riforma che lutti hanno mostrato desiderio di vedere attuata anche in Italia. Imperocché il vantaggio del sistema da me propugnato, in questo appunto consiste che abolendosi ogni partecipazione sul percetto a favore di pubblici collettori, il terreno trovasi sgombro da quegli interessi, da quegli abusi, da quelle piante parasite, che sono gli ostacoli più formidabili contro le riforme più razionali e più vantaggiose.

Gli aiuti che le amministrazioni comunali prestarono al Governo ed ai contribuenti nell'anticipazione della fondiaria, le facilitazioni che hanno potuto offrire per la riscossione della tassa sulla ricchezza mobile dovrebbero avere convertito a questo sistema più di uno fra i contradittori.

Malgrado tutto questo, o dipendesse da poca fede nella libertà, o provenisse da soverchia fiducia nei mezzi fiscali, o fosse effetto della resistenza apposta dagli interessi preesistenti, fatto sta che il principio della responsabilità comunale, parve abbandonato, e fin'ora hanno prevalso con alterna vicenda altri e contrarii sistemi che sono quelli del ministro Sella, del ministro Minghetti, e della Commissione della Camera.

Nel sistema del ministro Sella

(a) la riscossione delle imposte dirette doveva farsi col mezzo di agenti che ne assumono il carico a loro rischio e responsabilità conforme ai ruoli spediti dalla amministrazione:

(b) uno di questi agenti deve stabilirsi nel capo luogo di ogni mandamento, ed essere incaricato della riscossione per tutti i Comuni del mandamento:

(c) gli agenti dovrebbero retribuirsi ad aggio sulle rate d’imposta, dovrebbero dare cauzione, e durare in ufficio per anni cinque:

(d) verrebbero nominati per concorso di offerte, e per aggiudicazione:

(e) la riscossione sarebbe fatta a trimestri maturali, ed il contribuente moroso verrebbe sottoposto ad una multa del 5 °0 sulle somme non pagate, e dopo cinque giorni di mora agli atti esecutivi sui propri beni mobili e immobili:

(f) l’agente è pure incaricato della riscossione delle imposte e pagamento. delle spese comunali, ove al Comune manchi un suo proprio tesoriere:

(g) i Consigli comunali dovrebbero invigilare a guarentigia dei contribuenti, affinché gli agenti della riscossione non oltrepassino i limiti delle loro attribuzioni:

(h) lo Stato col mezzo dei tesorieri di circondario riscuoterebbe le imposte dirette dagli agenti che dentro otto giorni dalla scadenza ne dovrebbero pagare 1 importare totale riscosso o non riscosso:

(i) il Tesoriere di circondario riceverebbe anche i versamenti di tutte le altre imposte e rendite dello Stato, e sarebbe incaricato altresì del pagamento dei mandati che fossero regolarmente spediti sulle loro casse. 1

Nel sistema del ministro Minghetti invece

(a) la riscossione delle imposte dirette veniva fatta col mezzo di agenti detti Camarlinghi a loro rischio e responsabilità e coll’obbligo essi pure del riscosso o non riscosso.

(b) i Camarlinghi risiederebbero nel capoluogo di ogni provincia, e dovrebbero tenere a loro spese altri agenti detti-esattori, in ogni capoluogo di mandamento, ed in ogni Comune avente una popolazione superiore ai 6000 abitanti:

(c) l’ufficio di Camarlingo provinciale avrebbe dovuto conferirsi per concorso di offerte segrete:

(d) i Camarlinghi provinciali avrebbero avuto l’obbligo di ricevere nelle loro casse ogni altro versamento per conto dello Stato, ed eseguire dentro i limiti delle somme di cui fossero debitori, i pagamenti dei mandati, delle cedole del debito pubblico, dei buoni del Tesoro, degli stipendi e pensioni degli impiegati:

(e) verrebbero retribuiti con premio sulle tasse dirette, col prodotto totale delle multe, con una provvigione sugli altri incassi. 1

Alla Commissione della Camera finalmente, in luogo dei Camarlinghi provinciali, piacque di ristabilire gli esattori mandamentali coll’obbligo di recarsi a riscuotere sui luoghi, e di rappresentare all’erario l’importare dell’imposta bimestre per bimestre riscossa o non riscossa;

1 Relazione Sella del 18 novembre 1862.

1 Relazione Minghetti del 19 marzo 1863.

volle che la nomina anziché per offerta e per appalto, fosse fatta direttamente dal Ministro delle Finanze: e stabili che i versamenti dovessero farsi dagli esattori presso i ricevitori generali in ogni capoluogo di provincia, debitori essi pure del riscosso o non riscosso, ed incaricati delle funzioni di tesoriere. 2

Questi progetti, malgrado le più vive insistenze dei Ministri delle Finanze, rimasero giacenti negli uffizi della Camera, finché nella primavera del decorso anno con gravi fatiche e lunghe discussioni prevalse il sistema del ministro Sella modificato dalla Commissione, cioè quello degli esattori mandamentali obbligati debitori verso lo Stato del riscosso o non riscosso, ma tolta via ogni mistura di appalto, e sostituita alla scadenza bimestrale quella semestrale.

La discussione chiariva anche meglio come abbandonato il principio della ingerenza e responsabilità Comunale, lo Stato messo in contatto diretto coi contribuenti, dovesse cercare le sue garanzie nelle severità fiscali, che rendono la esazione più odiosa ai contribuenti, e più grave al Tesoro.

Ciò produsse effetto che il progetto come era uscito dalla votazione della Camera incontrasse una più vivace opposizione nel Senato, ove la discussione non potè giungere al suo fine.

Resta ora a sperarsi e desiderarsi che dovendosi riproporre la Legge davanti alla nuova Legislatura, qualche modificazione vi resti introdotta, la quale rechi l'effetto, che a poco a poco, la ingerenza legittima dei Comuni anche nelle esazioni delle pubbliche imposte, interponendosi tra il Governo ed i contribuenti, e facilitando e facendo meno costosa la percezione, renda meno necessario il ricorso ai rigori fiscali.

2 Relazione della Commissione della Camera del 12 maggio 1863

CAPITOLO LXVII.

Le Banche.

Non posso né voglio trattare le molteplici questioni cui mi richiamerebbe la materia degli istituti di credito e nemmeno entrare in troppo minuti particolari rispetto a quelli che sono già fondati o dovranno fondarsi in Italia. La materia è troppo vasta perché io possa farne argomento di un capitolo in questo libro.

Mi limito adunque ad accennare: I. Che le Casse di Risparmio, le quali nel 1860 non sorpassavano il numero di 112, nel 1863 erano già salile al numero di 154, con un capitale iniziale di lire 1171135, con un valore di circolazione per lire 188629594 e 281998 libretti.

Statistica delle Casse di Risparmio al 1864 (1)

PROVINCE

CASSE FONDATE

Valore in circolazione


LIBRETTI

Capitale

iniziale

Prima

del 1860

Dal 1860 al 1861

Totale

Antiche province


22


2


24


6 803 146

Numero

20 953


161 947

Lombardia

15

13

28

101238 895

123 656

300000

Toscana

27

3

30

31 054 449

63 885

52 717

Romagne e Marche

45

G

49

47 511 716

64 808

317 319

Modena e Parma

5

3

8

1 039 695

4 089

2 000

Napoli e Sicilia


15

15

1 181 693

4 607

337 052

Totale

112

42

154

188 629 594

281 998

1 171 035

1 Vedi Annuario del 1864, pag. 607.

II. Che sino a qui non è riuscito il Governo a far discutere nel Parlamento la legge per la fondazione di un Istituto di Credito Fondiario presentata fino dal 9 giugno 1862, e molto meno di de venire ad un serio contrailo di concessione. Imperocché, sebbene sia evidente che tale istituzione è oltremodo necessaria alla proprietà fondiaria in Italia nelle attuali condizioni del credito, e sia evidente che non possono farne le veci per tutto il Regno gli analoghi Istituti che abbiamo già (come sono il Monte dei Paschi di Siena, le Casse di Risparmio di Milano e di Bologna, e i Monti Frumentari delle province napoletane) pure ia opinione, in molti prevalsa, che tali istituzioni possano fondarsi coi capitali nostri, ha fatto guardare con diffidenza ogni proposta che ci venisse fatta da capitalisti stranieri. 1

Elenco degli Istituti di Credito

DENOMINAZIONE.

Data del Decreto.

SEDE.

CAPITALE.

I. Cassa Generale

8 luglio 1856

13 aprile 1861

Genova


II. Cassa di Sconto

9 ottobre 1856

13 aprile 1857

Genova


III. Credito Mobiliare

24 aprile 1863

Torino

50 000000

IV. Banca di Credito italiano

24 aprile 1863

Torino

60 000 000

V. Banca di Sconto e Seta.

2 settembre 1863

Torino

30 000 000

VI. Banca Egizio-italiana.

14 gennaio 1864


20 000 000

VII. Banca della piccola industria

14 gennaio 1864


500 000

VIII. Cassa Nazionale di Sconto

8 luglio 1863

Firenze

10 000 000

IX. Compagnia anonima per le terre italiane (The Italian Land Company)

6 agosto 1864


37000000

X. Banca anlo-italiana

(Anglo Itulian Banch)

10 aprile 1864

Firenze..

25 000000

Senza che io entri a discorrere di tutte le Banche esistenti in Italia, intendo limitare le mie osservazioni alle Banche di Circolazione, o per meglio dire intorno al progetto di legge che ha per scopo la fondazione di una sola Banca Nazionale. 1

In Italia non vi erano che i soli Stati Sardi, dove la creazione delle banche di circolazione non potesse fondarsi che per legge. 2

Nelle altre province l’autorizzare simili istituzioni, costituiva un diritto del Governo che, nel concedere r autorizzazione richiesta, decideva altresì se dovesse accordarsi anche la emissione di biglietti al portatore.

Prima della proclamazione del Regno vi erano in Italia le seguenti banche:

I. La Banca Nazionale, sorta per la fusione delle due Banche di Torino e di Genova, con un capitale di otto milioni, ma senza privilegio.

II. La Banca di Parma, autorizzata col R. Decreto del 13 aprile 1858, col capitale di un milione di lire, con privilegio di emissione di biglietti e con obbligo alle casse dello Stato di riceverli in pagamento.

1 Devo soggiungere che recentemente il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio si è messo d’accordo coi delegati della Cassa di Risparmio di Milano, del Monte dei Pacchi di Siena, e del Banco di Napoli perché le operazioni di credito fondiario possano assumersi da quei tre istituti. La convenzione e il relativo decreto reale saranno quanto prima in discussione davanti al Parlamento. Tutto dipende dal vedere se il capitale di cui quei tre istituti possono disporre, sia sufficiente ai bisogni del credito fondiario e agrario in Italia. Io commendo altamente lo spirito da cui furono mossi l’egregio Ministro e i delegati dei tre istituti. Ma nondimeno conservo una parte dei miei dubbi intorno alla sufficienza del capitale. Antichi e nuovi riscontri mi convincono che per ora non sarà mai troppo il capitale estero che inviteremo a versarsi in Italia. L meglio lasciare ai capitalisti esteri per qualche tempo i grassi profitti, che andar poi da loro a mendicare il capitale che non abbiamo, con danno del credito nostro.

2 Legge del 9 luglio 1850.

III. La Banca delle quattro Legazioni, sorta nel 1855 dalla separazione dalla Banca di Roma, con un capitale di scudi 200000, senza verun privilegio.

IV. La Banca Nazionale di Toscana, sorta dalla riunione delle due Banche di Sconto di Firenze e di Livorno, con un capitale di L. 10000000, e col diritto che esse avevano già, che i loro biglietti fossero ricevuti nelle casse pubbliche.

V. Nelle province meridionali mancavano siffatti istituti, ma ne tenevano le veci i Banchi delle due Sicilie. Non avevano essi un capitale sociale, ma un patrimonio in rendite iscritte sul debito pubblico, ed in beni fondi nascenti da donazioni o dai lucri del Banco, ed un capitale anticipato dal tesoro per la fondazione di una cassa di sconto. Questi banchi ricevevano i danari de' privati in conto corrente e facevano lo sconto delle cambiali: non davano biglietti al latore, ma certificati di deposito o fedi di credito, nominativi e girabili: esercitavano anche gli uffici di opera pia, stante la pignorazione di oggetti metallici e di tessuti.

VI. A questi deve aggiungersi la Banca Toscana di Credito, immaginata fino dal 1853, ma poi autorizzata soltanto col decreto del 12 marzo 1860, il cui capitale può essere accresciuto secondo il bisogno delle sue operazioni.

Avvenuta la riunione della Lombardia agli Stati Sardi, il Governo, coi pieni poteri che aveva, autorizzò la Banca Nazionale ad aprire una sede in Milano, colle succursali di Brescia, Como, Bergamo, Cremona e Pavia, portando bensì il suo capitale a 40 milioni.

Poco dopo le Banche di Parma e delle Legazioni, accettando il rimborso delle loro azioni con premio, capitolavano innanzi alla Banca Nazionale, che successivamente con altrettanti R. Decreti fu autorizzata a impiantare nuove sedi in Napoli, in Palermo, e nuove succursali in Parma, Bologna, Modena, Perugia, Ravenna, Ancona, Messina, Ferrara, Catania, Forlì, Piacenza, Reggio di Calabria e Bari. Così la Banca Nazionale Sarda aveva estese le sue operazioni per tutta Italia, tranne le provincie toscane, ove la Banca Nazionale Toscana aveva rapporti col Governo meritevoli di non lieve considerazione. Così i biglietti della Banca Nazionale Sarda ebbero circolazione per tutte le province italiane.

Se la questione si dovesse o si potesse disculcre dal punto di vista dei principii economici, io credo che mentre non può revocarsi in dubbio la convenienza che tutti gli istituti di credito, e specialmente le banche di circolazione, debbansi assoggettare a speciali discipline, ed essere subietto di vigilanza per parte del Governo, non si possa nemmeno dubitare che il principio di libertà assiste piuttosto al sistema delle banche multiplici, che a quello di una banca unica. E stando ai principii, le funzioni del Governo in proposito delle banche esistenti avrebbero dovuto limitarsi a volere facilitata la circolazione dei respettivi biglietti, ad esigere che di tale emissione non si facesse abuso, a sorvegliare che il capitale stesse in proporzione colle operazioni che volevano farsi.

Ma gli interessi degli azionisti e delle banche diverse, e le peculiari esigenze della Finanza non avendo permesso che i soli principii avessero voce in capitolo, surse l’idea di fondare un grande Istituto che col nome di Banca Nazionale del Regno d’Italia avesse prevalenza in tutte le provincie, e fosse un potente strumento di aiuto al credito dello Stato ed al credito dei privali.

Ad ottenere questo scopo bisognava togliere di mezzo le difficoltà che comparivano più gravi.

Quella che presentavasi dal lato del Banco di Napoli colla succursale di Bari, fu remossa col nuovo statuto approvato col R. decreto del 27 aprile 1863 che togliendo ogni dipendenza di quel Banco dal ministero delle Finanze, lo dichiarava un istituto di credito come ogni altro, posto sotto la vigilanza del ministro d’Agricoltura e Commercio con amministrazione propria. In tal modo il Banco continuava le sue operazioni di sconto e le sue anticipazioni secondo il suo statuto senza nessun privilegio e senza nessun favore.

Le maggiori difficoltà venivano opposte dalle contrarie pretese delle due Banche sarda e toscana. Finalmente l’accordo fu ottenuto anche fra queste, colle seguenti condizioni:

1. La nuova Banca dovrebbe costituirsi con un capitale di 100 milioni di lire, divise in 100 mila azioni di lire 1000.

2. Gli azionisti delle vecchie Banche avrebbero per ognuna delle loro azioni un’azione e mezzo alla pari della nuova Banca.

3. Le 100 mila azioni dovrebbero distribuirsi per 60 mila in baratto delle 40 mila della Banca Sarda, per 15 mila in baratto delle 10 mila della Banca Toscana, per 20 mila a pubblica sottoscrizione nell’Emilia, nelle Marche, nell'Umbria, nelle province meridionali, per 5 mila in riserva per la futura estensione della Banca a province oggi fuori del Regno.

4. Dalle operazioni della Banca dovrebbero escludersi le anticipazioni sopra deposito di sete è di altre mercanzie che non convengono ad una banca, ed escluso pure lo sconto sopra due firme non accompagnate da altro titolo di credito, meno che per un quinquennio nelle province toscane dove per Io stesso tempo continuerebbe il castelletto.

5. Però la Banca sarebbe autorizzata ad assumere l’esercizio delle zecche dello Stato, ad aprire soscrizioni di rendita pubblica e negoziare i buoni del tesoro, ad assumere anche in tutto o in parte il servizio del tesoro, salvo le condizioni da stabilirsi con legge speciale.

6. La Banca non dovrebbe impiegare in fondi pubblici più del quinto del capitale sociale versato, oltre il fondo di riserva. La somma dei biglietti in circolazione non dovrebbe eccedere il triplo del fondo metallico in cassa, né esser maggiore del quintuplo del capitale sociale versato.

7. La Banca assumerebbe l’obbligo di fare alle finanze dello Stato anticipazioni sino alla somma di 40 milioni di lire contro deposito di titoli di fondi pubblici e di buoni del tesoro all’interesse del 3 per 100 all’anno: ma in ricambio i suoi biglietti sarebbero ricevuti in pagamento da tutte le casse dello Stato, dove la Banca ha sedi o succursali, e nessun’altra società potrebbe essere autorizzata ad emettere biglietti al portatore se non per legge.

8. La Banca avrebbe la sua amministrazione centrale dove è il Governo dello Stato: undici sedi nelle principali città commerciali: una succursale in tutti i capoluoghi di provincia ove non fosse una sede.

9. L’amministrazione della Banca sarebbe commessa ad un governatore e dm vicegovernatori nominati dal Re, ai direttori delle sedi e delle succursali nominati dal consiglio superiore, ai consigli amministrativi delle sedi nominati dagli azionisti delle assemblee locali, ai consigli amministrativi delle succursali nominati dai consigli delle sedi da cui le succursali dovrebbero dipendere per il reparto dei fondi e per la certificazione dei conti, e finalmente al consiglio superiore composto del governatore generale e di un deputato di ciascuna sede.

10. La universalità degli azionisti, avrebbe dovuto essere rappresentata dall'assemblea generale convocabile in seduta ordinaria ogni anno nell’ultima quindicina del mese di marzo, e dalle assemblee locali convocagli nella città ove la Banca avesse una sede.

Su queste basi fondamentali fu stabilito l’accordo, fu compilato il nuovo statuto, fu proposto il nuovo schema di legge che il Ministero presentò al Senato del Regno il 3 agosto 1863.

Se l’accordo fra le due parti fosse sincero non voglio cercarlo: che ognuna delle due parti avesse qualche buona ragione per sostenere il proprio statuto è più che probabile. Solamente mi permetterò di dire, che le idee e le abitudini che prevalevano nella Banca Sarda trovarono favore presso il Senato, ove la discussione fu laboriosa e sottile, e le di cui deliberazioni si scostarono non poco dalle basi fondamentali dell’accordo.

Imperocché il Senato volle che le anticipazioni sulle sete costituissero una delle operazioni permanenti della Banca; volle che il ricevimento dei biglietti nelle casse dello Stato dipendesse dal beneplacito del ministro delle Finanze; volle che il consiglio superiore si componesse di un deputato per ciascuna sede, e più di altri deputati nominati da ciascuna sede per ogni 5000 azioni iscritte da sei mesi nei suoi registri, con questo però che niuna sede avesse più di quattro deputali; e volle che questo consiglio superiore, così formato, repartisse il fondo disponibile per gli sconti e per le anticipazioni tanto alle sedi quanto alle succursali.

Se le anticipazioni sulle sete denaturavano affatto gli officii della Banca, e se poteva dubitarsi che il ricevimento dei biglietti nelle casse dello Stato, trasmutandosi da obbligatorio in facoltativo, ponesse soverchiamente la Banca a discrezione del Ministro delle Finanze, le alterazioni recate dal Senato nella formazione e nelle attribuzioni del consiglio superiore poteva dubitarsi vie più che compromettessero il principio della rappresentanza eguale delle sedi, non senza offesa degli interessi generali ed a scapito del credito e della fiducia commerciale, che il consiglio superiore dovrebbe invece tutelare e promuovere egualmente in tutto lo Stato.

La Camera nuova, non obliando che trattasi qui di accordi tra le due banche, accordi che il Parlamento non può mutare a sua voglia, è chiamala a risolvere su questi punti di divergenza, tra la prima proposta e quella che è uscita dalle deliberazioni del Senato.

Nella questione delle banche non deve mai perdersi di vista che il partito più sicuro è sempre quello favorevole ai principii della libertà economica, ma non devesi dissimulare altresì che trattandosi di una Banca Nazionale, anche lo Stato ha diritto ad averci le sue garanzie. Fu temuto che la questione venisse pregiudicala col R. Decreto del 29 giugno, che autorizzava la Banca Sarda a stabilire la sua sede in Firenze. Questi timori oggi scomparvero, perché riusciti ad esito fortunato gli accordi ripresi fra le due Banche, la di loro fusione venne approvata col regio decreto del 23 ottobre 1865.

Sebbene il nuovo contratto resti informato dai principii che prevalsero nella discussione del Senato, pure con questo decreto fu provveduto ad una necessità urgente, e venne risoluta una questione che troppi malintesi avevano ritardata con danno sommo della finanza, e degli interessi pubblici e privati. È sperabile che il nuovo Parlamento cui è riservata l’ultima parola vorrà apprezzare le ragioni che ebbe il ministro delle Finanze quando si assunse questa doppia responsabilità.
























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