Eleaml - Nuovi Eleatici



Spesso la banalità assoluta caratterizza i nostri studiosi quando si tratta di difendere i propri istituti rispetto ai forestieri.

Ecco come parla del Banco di  Napoli e della Banca Nazionale il Turchiarulo, che si dice legato affettivamente al glorioso istituto partenopeo.

“Mi ricorda d’un signore, che mi diceva nei primi tempi dello stabilimento della Banca nazionale in Napoli, e chi mi parlava era un napoletano: «nessuno vuole di questi biglietti: e pure io li «preferisco alle polizze del Banco, perché sono più leggieri, e «più chiari». Un altro avrà potuto preferirli, perché dovendosi recare a Genova, a Firenze 0 a Torino, aveva in quelle città il mezzo di cambiarli in moneta: un altro, perché il salire sulla Banca nazionale gli tornava più agevole: un altro, perché era divenuto l’azionista o il membro del consiglio di amministrazione di questa Banca: un altro perché ne aveva ricevuti i biglietti in qualche operazione di sconto fatta con quell'istituto.”

Buona lettura.

Zenone di Elea – Agosto 2015

IL BANCO DI NAPOLI

PER A. TURCHIARULO

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Agosto 2015

I.

L’onorevole F. de Blasiis, ministro di agricoltura industria e commercio, il cui nome può essere ricordato con lode, senza peccato di adulazione, quantunque volte e da chiunque occorre parlare del Banco di Napoli, ha pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del regno una nota, la quale, sebbene indirizzata al Direttore del Banco di Napoli, pure in scritta coll’intendimento che venisse comunicata al Consiglio Generale. Che anzi espressamente vi è detto, che una tale comunicazione dovesse farsi dalla Direzione generale al più presto a fine, che i componenti di questo ne avessero conoscenza e potessero essete apparecchiati all'adempimento di quei doveri, ai quali per ufficio sono tenuti. Benché una tale comunicazione non fosse stata ancor fatta ai componenti il Consiglio Generale del Banco, pure essendomi riuscito di leggerla sui giornali, ho sentito il debito di rispondere nella qualità di componente di quel Consiglio: e ne dirò avanti tutto la ragione.

In quella nota il Ministro, dopo avere esposto quanto egli ha fatto per il Banco di Napoli, esprime il desiderio di quello che debba fare il Consiglio Generale. Sicché a quella lettura parrebbe che il Consiglio Generale non avesse, per lo passato, adempiti tutti i suoi doveri, sebbene evidentemente non sia tale l’intendimento del Ministro. Questa interpetrazione verrebbe avvalorata dalle parole di qualche giornale il quale, ignorando lo statuto del Banco e le attribuzioni del Consiglio Generale, spesso lo ha chiamato in colpa per fatti che, uscendo dai limiti dei suoi poteri, sono perciò fuori di quelli della sua responsabilità.

Né ciò mi fa meraviglia. I giornali per la fretta onde sono abborracciati, riescono poco esatti quando non si tratta di quistioni politiche, nelle quali è facile

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e sino ad un certo punto lecito abbandonarsi alla propria ispirazione, ma di materie, di cui non è possibile discorrere seriamente senza avere letti statuti e regolamenti e meditare o averci meditato sopra alquanto tempo. Ma solo mi recano meraviglia le seguenti parole, che si leggono in una recentissima pubblicazione quasi officiale, nella Relazione cioè che il capo del Sindacato è obbligato fare annualmente al Ministro di agricoltura industria e commercio in esecuzione dell'art. 4 e 6 del Regolamento del 26 novembre 1866.

«La potenza del Banco, egli dice, sta nei depositi, ed il giorno in cui questi venissero a mancare, la sua rovina sarebbe certa e irreparabile.»

«L’affluenza dei depositi è figlia della fiducia e questa non può conservarsi e mantenersi che in forza d’una buona amministrazione. Questa buona amministrazione, per vero dire, mancò negli ultimi sei anni e per varie cagioni. Il Banco fece vistosi prestiti alle province di Napoli e Bari, che non doveva fare per non sequestrare i suoi capitali per parecchi anni, fece delle grosse anticipazioni. a lunga scadenza che doveva evitare, prestò danaro al cosiddetto piccolo commercio, e per piccolo commercio scambiò le persone private ed i maestri di bottega che non offrivano garenzie di sorta, da qui la necessità di emetter carta fiduciaria al di la della sua riserva metallica, da qui gl'imbarazzi del Banco nel giro dei suoi affari, e da qui il grido infine della stampa contro la sua amministrazione. Ma al disopra dell'amministrazione havvi un consiglio generale composto in maggioranza di elementi elettivi, ed è lui il sindicatore vero delle operazioni e del bilancio del Banco di Napoli. Se gli affari del Banco vanno male, la maggior risponsabilità cade sull'elemento elettivo. (1)»

(1) Carlo de Cesare. Il sindacato governativo ecc. pag. 101. È questa una delle più pregevoli pubblicazioni fatte nelle sfere governative. Gli studiosi di queste materie, e gli uomini che fanno professione di commercianti vi troveranno una dotta esposizione della dottrina dell’ingerenza del governo ed una compiuta statistica degli istituti di credito e delle società commerciali che li sono soggette.

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La conclusione non è Giusta.

Se la buona amministrazione mancò negli ultimi sei anni ai Banco di Napoli, è una proposizione molto aspra specialmente in bocca d'un capo del Sindacato, così intelligente come il De Cesare, ed in un documento quasi ufficiale; è però una verità che va indirizzata non al Consiglio Generale, ma al governo il quale nomina la vera amministrazione del Banco, ossia l'amministrazione permanente, fissa, stipendiata per questo fine. Il Consiglio Generale non ha che una suprema vigilanza, esercitata a lunghi intervalli di tempo, in qualche rara riunione, da persone, che per quanto siano animate da buona volontà non possono vedere gli abusi che quando sono divenuti appariscenti, o quanto sono già un fatto compiuto. Ed inoltre l'onorevole de Cesare conosce a quali miserabili proporzioni fosse ridotta questa suprema vigilanza secondo il decreto Scialoja, in forza del quale è costituito l'attuale Consiglio, e come da questo decreto gli fosse negato anche l’esame e la discussione del bilancio preventivo.

Io credo dunque necessario dissipare l’equivoco, che sebbene non fosse nelle intenzioni del Ministro, pure potrebbe ingenerarsi dalle sue parole e per giustizia verso il Consiglio Generale del Banco, e per riguardo verso me stesso, perché rappresentante l’illustre Municipio di Bari, mostrerei di rispettar poco i miei mandanti, quando non curassi di provare di avere adempiti tutti i doveri del mandato da loro affidatomi.

Adempiendo a questo ufficio, prenderò norma dal modo, onde l’onorevole de Blasiis svolge il suo concetto. Il Ministro parla nella summentovata nota di quello che ha fatto nell'interesse del Banco, e passa inoltre ad indicare ciò che sarebbe necessario si facesse. lo parlerò prima di quello, che il Consiglio Generale ha operato nei pochi mesi della sua esistenza, dal 1 gennaio del corrente anno finoggi, nella ristrettezza dei suoi poteri, e più ancora in quella delle sue tornate. Esporrò inoltre le mie idee su quello che avrebbesi dovuto fare a vantaggio del Banco non dal Consiglio generale che non ne ha i poteri, né la possibilità; ma dalle successive amministrazioni e dai ministri, che pur volendo darsi l'aria di protettori e d’innovatori

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verso il Banco di Napoli innovarono a casaccio senza averne studiati i reali bisogni, e quindi a suo danno anzi che a vantaggio.

II.

Credo utile ricordare anche un’altra volta, che il decreto Scialoia del di 11 agosto 1866 restringeva grandemente l’ingerenza dell'elemento elettivo nell'amministrazione del Banco sino al punto da sottrarre ad esso l'esame del bilancio preventivo, condannando il Consiglio Generale ad udire la lettura di una relazione qualunque sulle condizioni del Banco.

Senza discutere da quali intendimenti fosse stato ispirato quel decreto, ricorderò solo, che il Consiglio Generale non si rassegnò ad una posizione tanto poco dignitosa per sé e per gli interessi che esso rappresenta, e però fa primo suo atto quello di protestare colle parole e coi fatti. Protestò colle parole merci: la rimostranza presentata all'attuale Ministro di agricoltura industria e commercio: protestò coi fatti, avendo ordinata un’inchiesta sulle condizioni di quel Banco, la cui amministrazione si voleva sottrarre alla sua ingerenza. Ed ora sono lieto di potere annunziare, che i fatti sono venuti a dare ragione ai suoi voti ed alle sue operazioni; perché quella rimostranza presentata al Ministro è stata tradotta e formolata nel decreto ultimo del 26 maggio 1867, delle cui decretazioni si parla nella prima parte della nota ministeriale; e gl’inconvenienti, che la commissione d'inchiesta, nominata dal Consiglio generale, ebbe a riconoscere, sono in parte dissipati mediante quei provvedimenti, che il Ministro si compiacque di approvare in un’altra lettera indirizzata al Direttore generale.

Ed invero, anche dai meno intendenti non poteva non comprendersi quanto fosse anormale nel tempo, in cui riunivasi in prima volta l’attuale Consiglio generale, la posizione del Banco, la cui emissione era più che triplice della sua riserva. Questa situazione, viziosa rispetto alla legge, e che costituiva per il nostro istituto un pericolo permanente, reso anche più grave e minaccioso dalla esistenza del corso forzoso, erasi generata per due contratti; l’uno colla Società delle ferrovie meridionali per il prestito di sei milioni, l’altro colle provincie di Napoli e di Bari per il pagamento delle loro rispettive rate

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del prestito forzoso nazionale, i quali due contratti sottraendo al commercio generale, e mobilizzando un capitale enorme di 52 milioni circa, in un tempo in cui la più elementare prudenza prescriveva di tener quanto più è possibile pronti e disponibili i proprii capitali, rendevano difficile l’uscire da quella immobilità, nella quale era caduto il Banco di Napoli.

Il Consiglio Generale non aveva a farsi alcun rimprovero per questi due contratti, per ambo i quali non era stato chiesto, e quindi non concesso, il suo consenso. Davanti alla grandezza del pericolo esso non volle soffermarsi a discutere sulla violazione d'un suo dritto, tanto più che il Direttore generale lo assicurava che in avvenire il Consiglio di amministrazione si sarebbe astenuto dal fare senza la preventiva approvazione del Consiglio Generale simili contratti; ma pensò a provvedere al male ed al pericolo che ne risultava. La via diritta per riuscirvi sarebbe stata il riscuotere le somme che si trovavano immobilizzate alienando i rispettivi capitali. Ma una tale via. che si presentava la più ovvia, era la meno pratica, stante le gravi perdite che ne sarebbero provvenute al Banco di Napoli quando avesse voluto alienare l’uno o l’altro capitale implicato nelle due summentovate operazioni. Era quindi mestieri ricorrere alle vie indirette. E di queste dalla Commissione d'inchiesta furono proposte e dal Consiglio Generale approvate le seguenti:

Che si facesse una operazione di anticipazione sul capitale del prestito forzoso;

Che si procurasse di liquidare tutti i crediti del Banco a lunga scadenza;

Che si evitassero per il tempo a venire siffatti contratti a fine, che il Banco avesse il suo capitale prontamente liquidabile.

L'effetto di siffatti provvedimenti, la cui esecuzione fu raccomandata al Consiglio di amministrazione dalle vive e giuste istanze dello stesso Ministro e dell'egregio ispettore del sindacato, che lo rappresenta in Napoli, è stato, che il Dance è rientrato in quanto alla sua emissione nei suoi confini legali.

Il Consiglio Generale ebbe inoltre a provvedere ad un grave inconveniente prodotto dal decreto che ordinò il corso forzoso, e che accordando l‘inconvertibilità alla carta della Banca Nazionale

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e negandola a quella del Banco di Napoli creava a questo un grande imbarazzo colla facoltà riconosciuta al primo istituto di presentare giornalmente al secondo una quantità di polizze per averle convertite nei suoi proprii biglietti. Il Consiglio Generale suggerì dei mezzi, i quali furono rimessi al Consiglio di amministrazione per l'esecuzione. Si potrà esaminare se sieno stati bene o male eseguiti, quando Consiglio generale dovrà esaminare il conto consuntivo dell’anno corrente.

III.

Né a ciò si arrestarono le previsioni ed i provvedimenti del Consiglio Generale.

Nella stessa nota il Ministro, pur rammentando, che sul conto delle persone che sono a w. po dell'amministrazione del Banco vi sieno state accuse aspramente personali, si esprime nel seguente modo:

«E' mente del Ministero che in questa solenne riunione il Consiglio Generale eserciti la principale facoltà che per legge gli compete informandosi cioè dettagliatamente di tutti i procedimenti amministrativi del Banco, e della parte più o meno solerte e lodevole di tutti i componenti dell’amministrazione del Banco stesso. E noto alla S. V. come da qualche tempo a questa parte l'amministrazione ed il personale amministrativo di c0testo Istituto è stato scopo di virulenti attacchi, e come molti organi della pubblica opinione non solo lo abbiano trattato con estremo rigore, ma abbiano anche diffuse nel pubblico insinuazioni e rivelazioni di molta gravità. Il Governo, deplorando che negli attacchi spesso le personalità siano prevalse alle ragioni; deplorando che giudizi diffusi dalla stampa non sempre abbiano avuta l'impronta della prudenza e della opportunità, ha non ostante tenuta desta la sua attenzione e vigile il suo occhio; ed essendo la sua speciale competenza quella di vigilare perché l'amministrazione del Banco non esca dalle norme prescritte dalle leggi e dagli statuti che lo regolano, non ha mancato di richiamarla all’osservanza di quelle leggi e di quegli statuti ogni qual volta gli è parso che per poco se ne fosse allontanata; e si compiace di potere aggiungere che i suoi richiami sono stati finora da codesta amministrazione con molta docilità e con molta deferenza ascoltati.

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Ma restano pur troppo dei dubbi sollevati non sulla regolarità, ma anche sulla utilità e convenienza delle operazioni del Banco, restano sempre delle ombre gittate a torto o a ragione sulla solerzia e sulla lealtà di quelli che dirigono o compiono tali operazioni: ora il rimuovere questi dubbi7 il dissipare queste ombre è cosa indispensabile, e spetta a codesto Consiglio di amministrazione di contribuirvi mediante una chiara e particolareggiata esposizione di ogni suo atto amministrativo in occasione della prossima riunione del Consiglio generale; e spetta al Consiglio generale in tale incontro il portare una minuta e diligente indagine di tutte le operazioni del Ban00 e di tutti gli appunti che contro le medesime operazioni si fanno».

Così si esprime il Ministro, e come si vede egli parla senza riguardi e senza complimenti. Or bene: il Consiglio generale ebbe pure ad occuparsi di questa materia, sebbene non così esplicitamente, e dirò pure non così rigorosamente, come ora si è reso necessario: e però nella relazione della Commissione (l'inchiesta furono proposti ed all’unanimità approvati dal Consiglio Generale due provvedimenti, i quali, quantunque d’un modo indiretto, ptu'e tendevano a rendere possibile una più costante e rigorosa vigilanza sulle persone, che sono a capo dell'amministrazione del Banco. L'uno di questi due provvedimenti fu la definizione dei poteri degli attuali consiglieri governativi del Banco e degli Ispettori, l’altro era la costituzione dell'ufficio di Censura.

Parlerò brevemente dell’uno e dell’altro.

Il primo ha la sua ragione nel concetto, che non vi è vera responsabilità, e quindi non vi ha possibilità di esercitare sindacato o censura, quando non sono definiti i poteri ed i doveri delle persone che si vogliono e debbono sindacare. Ciò avviene degli attuali consiglieri governativi succeduti agli antichi ispettori per effetto del decreto dell'agosto 1866: ciò e vero degli attuali ispettori. Ciascuno di questi operata caso, secondo il suo buono o mal volere, e qualunque fosse la loro inerzia o la loro incapacità sarebbero difficilmente sindacabili, quando non possono essere accusati di alcuna violazione. Perciò il Consiglio Generale credette necessario, come condizione di controllo sui capi dell'amministrazione del Banco,

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che fossero definiti i loro doveri, ed invitò il Consiglio di amministrazione, al quale compete la proposta dei regolamenti, a presentarne l‘analogo progetto. Questa proposta non è stata ancora fatta; ma sono sicuro, che chi l’ha deliberata avrà a cuore di vederla anche eseguita.

Se con questo mezzo si voleva rendere possibile la censura, colla costituzione dell’ufficio di Censura si pensò al modo onde esercitarla.

I Censori, novella creazione del decreto dell’agosto 1806, sono quanto vi ha di bene in quel decreto. E però la Commissione d'inchiesta proponeva ed il Consiglio Generale deliberava, che si costituisse nel locale del Banco un ufficio da servire esclusivamente per i Censori. Questa prescrizione, intesa materialmente, parrebbe di poca importanza, mentre essa ha un significato molto profondo, e tende sotto forme indirette e poco appariscenti allo stesso scopo, al quale accennano le parole del Ministro.

Senza pure dire, che i Censori nominati dal Consiglio generale e rappresentandolo nelle sue vacanze debbono essere allocati in un modo rispondente alla dignità del consesso che rappresentano: senza pure dire, che la destinazione d’un locale per uso speciale d'un ufficio rende più assidui al lavoro coloro che vi sono addetti, certo si è, che il solo fatto della costituzione l'una permanente Censura, di cui si conosce la pienezza dei poteri, essendo i censori chiamati da quel decreto a vigilare su tutte le operazioni e quindi su tutte le persone che le compiono, avrebbe richiamati gl’impiegati del Banco ad una più rigorosa osservanza dei loro doveri, e nello stesso tempo avrebbe aperto al pubblico un luogo, nel quale potrebbe recarsi per esporre i suoi reclami, per avere 0 giustizia, o chiarimenti:, e così sarebbe stato soddisfatto l'altro voto espresso dal Ministro nelle seguenti parole:

«Il Ministero adunque, invitando il Consiglio d’amministrazione a preparare tutti gli schiarimenti e tutte le giustificazioni necessarie sulla sua gestione, ed invitando il Consiglio generale a prendere nella più accurata disamina l’attuale posizione del Banco e l’opera dei suoi amministratori, crede nel modo più conveniente e più solenne di procurare che sia fatta la luce su di un argomento si grave,

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ed intende di fare avvertiti nel tempo stesso tutti quelli che si piacciono a slanciare vaghe ed anonime accuse contro l'amministrazione del Banco di Napoli, acciò, se il loro scopo è coscienzioso e serio, al Consiglio generale del Banco di Napoli che va a riunirsi nel prossimo mese di novembre essi si dirigono a fronte scoverta e con buone e solide ragioni nelle mani; poiché  né il Consiglio si rifiuterà a prendere in considerazione le ragionate rimostranze da essi sporto,  né il Governo si rifiuterà di aderire a quelle misure che il Consiglio crederà di proporre per rimuovere ogni abuso e per restaurare il credito di una istituzione giustamente cara al popolo napoletano».

L'ufficio di Censura aperto al pubblico in tutti i giorni sarebbe stato giornalmente visitato dal Censori, collocandovi in permanenza l'attuale segretario del Consiglio Generale.

Quell'uffizio avrebbe potuto inoltre servire come luogo di convegno dei componenti del Consiglio generale, i quali, invece di vedersi come ora a grandi distanze di tempo, senza idee maturale e discusse, avrebbero l'agio di comunicarsi le proprie osservazioni, di esaminarle e di ridurle a progetti possibili.

Quest’uffizio dei Censori, non ostante che il Consiglio Generale l'avesse deliberato, non è stato ancora aperto.

Per completare l'istituzione della Censura sarebbe necessario riconoscere ai censori il dritto di convocare il consiglio generale facendone dimanda al Presidente a fine d'invocarne l’intervento in quelle faccende e quistioni, la cui soluzione non possa essere differita fino alla riunione ordinaria.

È stata pure deliberata la riforma della scritturazione e la formazione d’un regolamento generale interno; perché l’una e l’altro rispondessero alle nuove condizioni ed alle trasformazioni alle quali è andato soggetto il Banco di Napoli a causa di avvenimenti dipendenti da cause estrinseche e più generali.

Dirò infine a compimento di questa breve rassegna degli atti del Consiglio Generale fatta per sommi capi, che questo è stato inesorabile, quantunque volte è stato chiamato ad esercitare il suo supremo potere sopra impiegati inadempienti al loro dovere,

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come pure ha respinte tutte le proposte per pensioni, che. sebbene dettate da ragioni di umanità, pure non avevano la loro giustificazione nei regolamenti vigenti.

IV.

Ciò ha operato l’attuale Consiglio Generale nei pochi mesi della sua esistenza, nella ristrettezza dei poteri concessigli dal decreto del di 1l agosto18tìtì e nelle rare sue riunioni. E da ciò l'onorevole de Blasiis potrà inferire quello di cui esso sarà capace ora che i suoi poteri sono allargati, e che dalla pubblica opinione espressa per mezzo della stampa e dalla parola che scende dall'alto è chiamato ad un uso più rigoroso di questi poteri tanto sugli atti dell’amministrazione che sulle persone, che vi sono addette.

Pur nondimeno io non credo, che siasi fatto tutto che si doveva per arrestare quella decadenza verso la quale, e. inutile negarlo, scende da qualche tempo questo antico e benemerito istituto. E di ciò non vuolsi certo chiamare in colpa il Consiglio Generale, i cui componenti convocati a lunghi intervalli, non avendo  né diretta  né continua ingerenza nell'amministrazione, non seguendo l'andamento di questa passo a passo, sono quindi impossibilitati a scorgerne gli abusi ei bisogni al loro nascere, e non vedono gli uni e gli altri se non quando sono fatti grandi e visibili agli occhi di tutti.

Dico perciò che anche quando il Consiglio Generale era esercitato rigorosamente il suo sindacato, non si avrà fatto abbastanza per restituire, conte dice il Ministro, l'autorità ed il credito del Banco di Napoli. Si potranno scoprire degli abusi, delle violazioni dei regolamenti, delle colpevoli negligenze o condiscendenze. Ma si sarà sempre fatto poco. Il male ha radici più profonde; occorrono perciò rimedii anche più radicali. E così passo a trattare la seconda parte del mio tema.

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V.

Parlando dell'amministrazione del Banco di Napoli io farò interamente astrazione dalle persone che vi sono o che vi furono addette, sì perché essendo il governo quello che nomina e destituisce gli amministratori del Banco, egli ne è il solo responsabile, e perché la professione giornalistica da me esercitata parecchi anni, come direttore, mi ha assuefatto a giudicare gli atti e non le persone. Ma la stessa professione mi ha pure educato ad esprimere francamente le mie opinioni senza riguardi personali. Che se questa mia franchezza non andò sempre a sangue a parecchi eh’ erano in ufficio, e che pur si dicevano miei amici, e che perciò appunto cessarono di esserlo, io me ne consolai facilmente avendo a testimonio consolatore la coscienza d’aver fatto il mio dovere.

Comincerò dunque col dire, che è indubitato, che in questi ultimi anni il Banco di Napoli è scaduto di molto dalla sua antica prosperità e dal suo credito. È questa una verità, la quale non sarà voluta sentire da parecchi, o almeno sarà udita collo stesso dolore, col quale io la pronunzio; ma pur troppo è innegabile. Su questo fatto non è lecito farsi illusioni, giacche se queste sono funeste ovunque, lo sono molto più per gl’istituti di credito, che hanno un sostrato tutto morale, poggiando essi sulla pubblica opinione, sul credito dal quale si denominano.

Siffatto declinare del Banco è provenuto da parecchie cause. E certo vi hanno contribuito le polemiche personali sollevate negli ultimi tempi, le accuse, le denunzie di abusi, parte vere, parte false, parte esagerate; perché sebbene in siffatte polemiche si protestasse del più grande rispetto verso l'istituto, pure non era possibile che a questi ripetuti colpi del martello della critica non ne fossero scalzate le secolari fondamenta. Ma la vera causa della decadenza del Banco sta nelle cangiate condizioni politiche, nelle quali viveva, nella perdita di parecchi privilegi, e nella esistenza d’un altro istituto sullo stesso terreno delle sue operazioni, senza che il Banco fosse stato posto nelle condizioni necessarie per sostenerne la concorrenza.

Quest'ultima proposizione merita di esser meglio chiarita.

Se il Banco di Napoli fosse tale istituto che non avesse potuto vivere

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e prosperare che all’ombra dei suoi privilegi, e del più grande di questi, quello cioè di essere l'unico nel suo genere nelle province napoletane, io certo, non ostante il mio affetto per questo grande monumento della sapienza e della filantropia dei nostri antenati, l'avrei visto perire senza rammarico, perché non merita di vivere chi non può tollerare la luce e resistere al soffio di una larga e piena libertà. Mi è troppo a cuore la libertà in tutto e specialmente quella degli istituti di credito per poterla sagrificare per un istituto qualunque, sia pure il Banco di Napoli, e però anch’io dico, permettendomi un piccolo cambiamento, amicus Pluto, magis amica libertas.

Ma io opino diversamente; e sono persuaso che il Banco di Napoli era tale pianta, che trasportata sul terreno della libertà colle sue secolari radici avrebbe potuto avere un maggior riguglio, quando si avesse avuta cura di mandarlo del secchereccio, e di coltivare i nuovi rami che dovevano necessariamente crescere sotto l’inllusso della novella atmosfera.

Ed ora dirò quello che avrebbesi dovuto fare colla brevità che mi è imposta dal tenore di questo scritto.

VI.

Avanti tutto avrebbesi dovuto considerare, che ora il Banco più non conserva gli antichi privilegi, che alimentavano di depositi le sue casse, e si trova in tempi, nei quali è grande lo stimolo nei privati cittadini di non tenere inoperoso il proprio denaro stante il vantaggioso interesse che se ne ritrae collocandolo in rendita publica ed in altri negozii. Si aggiunge, ch’esso ha ora a fronte in queste stesse province, in questa stessa città, a pochi passi dalla sua sede principale, un altro istituto, che ha larghe radici nella publica fiducia, o sostenuto da un forte capitale, sollecitato e vigilato dall’interesse privato, amministrato economicamente, diretto da uomini di alta e provata riputazione nella pratica delle faccende bancarie, stante che per la sua indole d'interesse privato gli alti posti sono dati non per favore  né per simpatie politiche, ma ai più capaci. Con ciò non intendo fare alcuna allusione,  né istituire alcun confronto; è mio intendimento solamente costatare un fatto e rendere omaggio al vero.

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Che anzi io non credo, che l'essere gli alti posti dell’amministrazione del Banco di nomina governativa costituisca per sè solo un male o uno svantaggio. In fatto, abbiamo visti uscire tanto dalle urne elettorali che dalle anticamere ministeriali nomi, che non avrebbero dovuto essere mai pronunziati, quando si avessero voluto rispettare, non dico altro, che le leggi della decenza. in astratto, opino, che un ministro possa essere in grado di meglio e più giustamente estimare la capacità di chi possa essere a capo d'un istituto di credito, a condizione però che non faccia di questa elezione una quistione politica o d1partilo. Quando ciò avviene, non è la capacità delle persone elette né l'interesse dell'istituto che costituiscono il criterio della elezione, ma un principio estraneo, il quale è invocato alla sua volta dal partito opposto, quando a questo riesce di salire al potere.

Dico adunque continuando che da questi due fatti, dalla perdita cioè degli antichi privilegi, e dalla necessità della concorrenza generatasi per la coesistenza d'un altro istituto, avrebbesi dovuto inferire, che il Banco di Napoli non avrebbe potuto prosperare né anche sostenersi in quel posto che gli hanno creato i secoli e la fiducia dei nostri antenati senza l'apparecchio di tutte le condizioni che lo abilitassero alla lotta, senza l’economia e le riforme nella sua amministrazione interna, senza un’attività continua, operosa, costante osservatrice di tutte quelle occasioni, nelle quali vi è possibilità di perdere 0 guadagnare, senza por mente a tutte le oscillazioni del mercato, senza lasciarsi sopraffare dagli altri istituti nelle utili innovazioni. E ciò era tanto più necessario per il Banco di Napoli in quanto che questo, come mi trovo di avere osservato, manca dello stimolo dell’interesse privato dal quale sono incitati all'attività ed alla diligenza gli altri istituti di credito. La quale cosa porrebbe certamente il Banco in una sfavorevole posizione rispetto a questi istituti, quando il sentimento del dovere ed il rispetto d'un’ alta rinomanza non tenessero luogo della passione dell'interesse. Ma quando ciò avviene, ed io non ho perduto la fede nella onestà e nella virtù per crederlo impossibile, ciò che sarebbe uno svantaggio crea al Banco di Napoli una vantaggiosa posizione abilitandolo a fare le stesse operazioni a più favorevoli condizioni per il pubblico di quello che possano gli altri istituti.

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Questo concetto doveva servire di base e di criterio per tutte le riforme e le innovazioni da farsi nel Banco tanto in ordine alle persone, che alle cose. E prima ed inevitabile conseguenza ne derivava, che atteso la nuova situazione e le nuove operazioni del Banco occorreva, che fossero predominanti nella sua amministrazione, ed anche negli alti posti, che immediatamente ne dipendono, le capacità bancarie ed economiche. La quale cosa non era certamente necessaria quando il Banco di Napoli non aveva altra funzione che quella di ricevere depositi, e di rilasciare i corrispondenti certificati, che si chiamano polizze o fedi di credito. In quei tempi la migliore capacità per essere a capo d’un tale istituto era la mancanza d'una capacità qualunque.

VII.

Costituita in siffatto modo l’alta amministrazione del Banco, dovevasi provvedere all'amministrazione inferiore.

Eliminati gl’inetti, coloro che vi erano stati intrusi per favore o divenuti tali per antica età, promossi i più abili per intelligenza, operosità ed onestà, occorreva vincere quell'apatia, quella lentezza, quel languore nel disbrigo dei propri doveri, che si generarono non certo per malizia o per malvolere di questo o di quello, ma per necessità stessa delle cose, qualido il numero straordinario degl'impiegati e la poca moltiplicità delle faccende non necessitavano l'operosità. Occorreva quindi una maggiore e più rigorosa vigilanza per le ore di lavoro concordando queste coll'interesse del pubblico e non con quello dell’impiegati, e sopra tutto abolendo tutte quelle vacanze inutili, tutte quei pretesti di non lavorare, che furono il ritrovato di coloro, che si assuefecero a considerare il Banco di Napoli come un istituto di beneficenza, il cui fondo era esclusivamente destinato al bene ed al godimento di coloro, che avevano la singolare fortuna di esservi ammessi come impiegati. Parrà incredibile, che l’amministrazione del Banco di Napoli, oltre di osservare scrupolosa mente tutte le feste ordinarie e straordinarie del calendario, solennizzi religiosamente anche il giovedì! E ciò avviene in un tempo, in cui la domenica eziandio è santificata dai più volenterosi ed onesti col lavoro;

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in un tempo, in cui corre per le bocche di tutti il famoso molto: time is money. Ed a me è toccato di udire impiegati del Banco essere non solamente dolenti, ma vergognosi di questo abuso, che ti mette fuori l’ordine ed il tempo attuale; e di siffatti impiegati havvene parecchi nell'amministrazione del Banco, sebbene, come suole pur troppo avvenire, non sempre distribuiti e collocati secondo il loro merito e la loro capacità. Ciò poteva non nuocere in altri tempi, quando chi aveva da depositare denaro per avere carta, o fare altra operazione bancaria, doveva necessariamente volgersi al Banco di Napoli; ma se ne comprende il danno ora che nella stessa città, nella stessa strada, un altro istituto, Se non di maggiore almeno di ugual credito, oltre al pubblico l‘agìo di compiere le medesime operazioni con maggiori agevolazioni e vantaggi. Facciamo un’ ipotesi: supponiamo in una stessa città, nella medesima strada, l'una quasi rimpetto all‘altra, due case commercianti, che dieno opera agli stessi negozii, l’una delle quali avesse un lusso straordinario d’impiegati con stipendii esagerati, un locale venti volte più grande dei bisogni reali, e spartito in diversi siti della città, una l “ione d'inservienti e di uscieri, facendo lavorare i suoi impiegati nelle ore che loro meglio piace, ed anche accordando a questi il giovedì come riposo, mentre l'altra applicandosi agli stessi negozii, avesse modesta la casa, ristrettissimo il numero degli impiegati, aperti i suoi ufficii al pubblico in tutti i giorni di lavoro e in tutte le ore, nelle quali dalla generalità dei cittadini si da opera alle faccende: non occorreranno anni, ma basteranno pochi mesi per vedere quale di esse è destinata a vivere e prosperare, e quale ad andare in rovina, non ostante che avesse da principio sull'altra il vantaggio d’un credito grande e secolare. Questo credito potrà rallentare la sua caduta, ma non sarà mai da tanto da impedirla.

Proporrei invece che a ciascun impiegato dovesse darsi ogni anno un congedo di quindici giorni. Così si usa nelle amministrazioni inglesi e specialmente dalle case di commercio: che anzi per alcune di queste il congedo è necessario, e non dipendente dalla volontà degl'impiegati. Con un tal mezzo quel popolo, eminentemente pratico, ha voluto raggiungere un doppio scopo, quello di non rendere necessario un impiegato in un posto persuadendolo quanto sia facile sostituirlo,

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a fine, che tuta tale persuasione lo sproni alla osservanza dei suoi doveri di onestà e di lavoro, e l'altro scopo anche di maggiore rilievo d’impedire le frodi o gli abusi, e quando impedirli non sia possibile fare che non si protraessero all’infinito, stante che la sostituzione d'un impiegato ad un altro, sia pure di 15 giorni, tronca la trama delle frodi tessute dall’impiegato ordinario. Nei giorni scorsi fu scoverto, che un impiegato del Banco aveva fatto un vuoto di parecchie migliaia di lire, e si venne pure a conoscere, che questa disonestà durava da parecchi anni. Ciò non sarebbe stato possibile col metodo da me suggerito: e si avrebbe quindi avuto un colpevole ed anche uno scandalo di meno.

VIII.

Ordinata in tal modo l’amministrazione del Banco a più rigorosa e laboriosa disciplina, composta d’un modo più consentaneo al novello indirizzo che questo ha ricevuto dagli avvenimenti, occorreva pensare seriamente alle economie.

Nella ricomposizione della pianta organica amministrativa del Banco nel 1862 secondo il decreto Manna, fuvvi invero una parziale riduzione d’impiegati; ma furono pure lasciati ed aumentati molti posti inutili: i soldi furono straordinariamente accresciuti. Io non mi dolgo di questo aumento; perché credo, che si è servito secondo che si paga, e che se si vuole maggiore capacità e più intelligente operosità nell'amministrazione del Banco, occorre consegue» temente pagare anche meglio. Io non credo vera e seria economia quella che si fa risecando sullo stipendio di qualche impiegato; che anzi una tale economia può spesso produrre un male grandissimo allontanando i più capaci sia per considerazioni di dignità, sia per altre convenienze. Ma senza fare un esame minuto dei singoli posti, che furono conservati, dirò solo, che non mi pare serio, che il Banco di Napoli dovesse avere in Napoli, ossia nella stessa città, tre case con tre direttori oltre il direttore generale, circa 50 segretari, un corteo infinito di cassieri, applicati, uffiziali, contatori, ragionieri, con un seguito di un mezzo centinaio di uscieri, i quali tutti figurano sul bilancio per più d'un milione e centomila lire annue.

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Il Banco di Napoli nelle sue condizioni attuali mi da imagine d’un gran signore, il quale nei tempi privilegiati per la nobiltà, si dava l’innocente piacere di avere parecchie case di abitazione colla corrispondente servitù, con impiegati di lusso, ed anche lussosamente pagati, con parchi e boschi infruttuosi, con scuderie piene di cavalli e stallieri. Se questo signore, passati quei tempi, perduti quei privilegi che formavano la fonte principale delle sue rendite, si ostinasse a voler tenere la sua casa sullo stesso piede di lusso e di magnificenza, conservando per uso proprio i molti palazzi invece di trarne un profitto, lo stesso numero d’impiegati invece di congedarli o di applicarli utilmente, gli stessi parchi e foreste di piacere invece di renderli fruttuosi, questo signore, io dico, sarebbe matto, e quando non venisse interdetto, sarebbe presto ridotto alla miseria.

Il numero degli impiegati quindi, anche volendo esser generosi, avrebbe potuto e dovuto essere ridotto ad un terzo; senza che si avesse avuto a subire la dolorosa necessità di accrescere la miseranda falange delle vittime della disponibilità governativa. Collocando al riposo i più inabili, sia per incapacità sia per avanzata età, come fu fatto nel 1862, si poteva essere meno larghi nelle nuove nomine. Oltre che, se il Banco si restringeva in Napoli, avrebbe potuto estendersi non già a Firenze dove era ignoto, e sarebbe rimasto ancora tale senza le ultime polemiche, ma nelle province meridionali, nelle quali è grande il suo, credito, e che alimentandolo coi loro depositi hanno pure dritto ai suoi beneficii. Però esso avrebbe dovuto estendersi non già seguendo le antiche abitudini d’inconsiderata magnificenza di gran signore, col lusso d'un Direttore, di due o più ispettori, con tutto il trascico susseguente, ma seguendo l’esempio di molte altre banche, e specialmente delle Banche Scozzesi, che per un secolo e più di non interrotta prosperità hanno acquistato il dritto di essere citate come modello anche nell'Italia, dove sono più antiche e tradizioni bancarie, ciascuna delle quali fa operazioni in tutte le città della Scozia, almeno nelle più importanti, per mezzo di semplici agenzie.

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Con un tal mezzo il Banco di Napoli sopprimendo un’ amministrazione superflua in Napoli avrebbe occupato quel terreno, che ora è stato preoccupato dalla Banca nazionale, ed avrebbe trovato modo di utilizzare ed anche di promuovere i più intelligenti, i più giovani, i più onesti ed operosi dei suoi inutili impiegati.

IX.

Ma passo ad argomento anche di maggiore gravità.

Quello che formava la prosperità del Banco di Napoli prima del 1860, erano i depositi. Ciò non è certo una specialità, ma è condizione comune di tutte le Banche, le quali prosperano e si procacciano grandi guadagni, non col capitale proprio, ma con quello che viene loro affidato in depositi, e che rimesso da esse in circolazione mediante la loro carta bancaria è fonte di maggiori interessi di quelli che si pagano ai depositarii. Ciò che è una specialità per il Banco di Napoli si è l'origine della maggior parte di questi depositi.

Essi provenivano da due fonti.

Il Banco di Napoli, essendo l’unico istituto di questo genere nelle province meridionali, chiunque voleva sottrarsi al rischio di avere una somma di denaro in casa o viaggiando, la depositava e ne riceveva una carta corrispondente, e convertibile in denaro a richiesta e dietro firma del richiedente. Altri depositava il danaro per avere una polizza girabile, essendo questa la forma ordinaria di tutti i contratti, stante il triplice vantaggio della certezza della firma, dell'assicurazione del documento nei secolari archivii del Banco e della economia a causa della esenzione da qualunque tassa di registro. Non occorreva una mente molto acuta per prevedere, che una tale condizione privilegiala non poteva esistere colla introduzione in queste province d’un altro istituto di credito. E quando pure non si fosse avuta una tale preveggenza, dopo il fatto compiuto, quando fu veduta realmente la Banca nazionale porre una sua sede in questa città, quando il Banco di Napoli fu dichiarato soggetto alla legge comune di tassa e registro, era almeno allora facile prevedere che i depositi sarebbero assai diminuiti, perché alcuni volendo porre in luogo sicuro il loro denaro, ne avrebbero fatto deposito alla Banca nazionale, anziché al Banco;

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altri volendo avere carta in tasca invece d’un pesante volume di moneta, avrebbero accettato indifferentemente un biglietto di Banca, anzi che una polizza. No si doveva credere che dovessero mancare le ragioni per una tale sostituzione. La natura umana è tanto capricciosa ed i gusti degli uomini sono tanto varii! Mi ricorda d’un signore, che mi diceva nei primi tempi dello stabilimento della Banca nazionale in Napoli, e chi mi parlava era un napoletano: «nessuno vuole di questi biglietti: e pure io li «preferisco alle polizze del Banco, perché sono più leggieri, e «più chiari». Un altro avrà potuto preferirli, perché dovendosi recare a Genova, a Firenze 0 a Torino, aveva in quelle città il mezzo di cambiarli in moneta: un altro, perché il salire sulla Banca nazionale gli tornava più agevole: un altro, perché era divenuto l’azionista o il membro del consiglio di amministrazione di questa Banca: un altro perché ne aveva ricevuti i biglietti in qualche operazione di sconto fatta con quell'istituto.

Accrescete e moltiplicate queste piccole cause, ed avrete la ragione d’un gran fatto, d’un fatto che può essere doloroso per ogni amatore del Banco di Napoli, ma che pur troppo non si può sconoscere senza chiudere gli occhi all’evidenza, ossia, che mentre nei primi tempi si rifiutavano i biglietti della Banca Nazionale, e si pagava un aggio, sebbene piccolo, per averli convertiti in polizze del nostro Banco, ora avviene appunto l’inverso, ossia che si paga un aggio per avere polizze convertite in biglietti della Banca nazionale.

Quelli, che hanno l'abitudine. di mettere tutti i mali sulla coscienza del governo, ed hanno trovato il vero deus ex machina negli errori o nella birboneria di questo, spiegano un tal fatto, mediante i favori accordati dai diversi ministri a questo istituto. Ma ammettiamo che il governo avesse concesso dei lavori alla Banca nazionale, questi favori avrebbero potuto avere per avventura la potenza d’influire sulla libera volontà dei cittadini, e determinare questi ad accettare una carta anzi che un'altra? Che anzi a me pare, che il governo sia, sventuratamente, in così poco buono odore di santità presso la maggioranza dei cittadini italiani, che basterebbe che dichiarasse la sua predilezione per l’uno degl’istituti a discapito dell'altro, perché quello, per astiosa reazione, perdesse le buone grazie del pubblico.

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Lasciamo al volgo lo spiegare fatti della storia con siffatti mezzi nello stesso modo ch'esso spiega il cholera come un flagello cagionato dal governo. I fatti economici non si spiegano che con ragioni economiche. E le ragioni non mancano per avere la spiegazione del risultamento al quale abbiamo accennato pocanzi. Queste ragioni si riassumono tutte in una proposizione unica, ossia, che la Banca nazionale facendo quello che avremmo voluto, che avesse fatto il Banco, ed operando appunto il contrario di quello che questo ha operato, ha a mano a mano attirato e si è guadagnata la pubblica fiducia, sottraendo successivamente al Banco di Napoli quella, ch’era per esso clientela antica e tradizionale. L’abilità, colla quale è diretto questo istituto, l’attività e la solerzia della sua amministrazione, l’economia degl’impîcghi e degl’impiegati, la sua operosità nel preoccupare il terreno ch'era prima di esclusivo dominio del Banco, collocando diverse sedi in parecchie città di queste province a fine di essere in un contatto più immediato colle popolazioni, gl’interessi pagati su i depositi per via di conti correnti, sono ragioni sufficienti per spiegare un tale fenomeno. E con queste ultime parole mi trovo di aver accennato ad uno dei più gravi errori commessi dall'amministrazione del Banco.

X.

Cessate in parte le ragioni, per le quali si sentiva prima del 1860 il bisogno di fare depositi presso al Banco, bisognava crearne una che tenesse luogo delle prime, e servisse ad attirare quei capitali, che per altre vie non avrebbe potuto avere; e questa si era l'introduzione dei conti correnti con interesse. I conti correnti sono stati la grande fortuna delle Banche di Scozia, le quali hanno pagato sino al 5 d'interesse sulle somme depositate nelle loro casse, e così poterono attraversare per la distesa d’un secolo le grandi crisi commerciali ed economiche, che hanno infuriato sul mercato inglese da quella del 1793 sino all'ultima. Gl’interessi a conti correnti sarebbero stati un invito ai capitalisti, ed avrebbero in tal modo ripieno il vuoto formatosi nelle casse del Banco dalle summentovate ragioni.

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È vero, che nelle nostre popolazioni non è radicata l‘abitudine di non avere denaro infruttuoso nello scrigno, e non è cosi generale l'uso dei checks come in Inghilterra, dove ogni proprietario, ogni padre di famiglia, ogni industriante o banchiere si farebbe scrupolo di avere una somma qualunque, anche quella necessaria agli usi giornalieri, inoperosa nelle casse ferrate. Ma pur troppo è vero, che anche fra noi, coloro ai quali non sono ignoti la virtù del risparmio e l'esempio dell'Inghilterra, avrebbero preferito di depositare il loro denaro quando ne avessero avuto un interesse, oltre che le grandi e piccole case commercianti, le quali certamente non ignorano siffatti usi e la potenza dell’accumulamento delle piccole economie, dovendo necessariamente avere delle somme disponibili per i pagamenti e le spese giornaliere ed anche mensuali, non avrebbero mancato di depositarle presso il Banco. La più volgare prudenza proscriveva quindi di prevenire o almeno di riparare in tal modo ai danni cagionati al Banco dagli avvenimenti e dalle leggi succedute dopo il 1860. - Ma quello che sarebbe stato un atto di prudenza diveniva una necessità, quando nella stessa città e nella medesima strada a pochi passi dal Banco esisteva un altro istituto, che fra le altre sue operazioni conta anche quella dei conti correnti. In un tale stato di cose e fra tanta disparità di condizioni, era naturale, che i privati, le case bancarie e commercianti si volgessero alla Banca nazionale, e disertassero dal vecchio Banco di Napoli al quale indubitatamente si sarebbero volti per antica consuetudine, quando avesse loro offerto gli stessi vantaggi. Questo, quando a Dio piacerà, quando avrà nei fianchi uno sprone qualunque, si desterà dal suo letargo, aprirà gli occhi: allora vorrà riguadagnare il tempo perduto, ma allora gli sarà impossibile riacquistare quella clientela, che avrà alla sua volta presa l'abitudine di trattare con un altro istituto.

Né l'introduzione dei conti correnti con interesse sarebbe stata una vera innovazione per il Banco di Napoli, il quale già da lungo tempo novera fra le sue operazioni i conti correnti mediante la madrefede, su cui rilascia dei polizzini girabili secondo i bisogni dei possessori. Non occorreva quindi che aggiungere gl'interessi ai conti correnti e convertire i polizzini in checks.

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É questa anche un’altra prova degli elementi di vita che aveva il nostro Banco, e come esso, che ora trovasi in ritardo verso altri istituti di credito, li avesse preceduti nella via del progresso tracciata dalla scienza e dai bisogni sociali.

Il Banco di Napoli, invece di seguire il vezzo pur troppo generale degl’ltaliani di riposarsi sugli allori dei loro antenati, avrebbe dovuto apparecchiarsi alla concorrenza, non alla concorrenza astiosa, dispettosa, maledica verso gli altri istituti, ma alla vera concorrenza, a quella combattuta colle armi della scienza, della capacità, della onestà, della economia, a quella concorrenza che torna a lungo andare proficua per se e per il pubblico. Per resistere e vincere in questa lotta bisognava prevedere e provvedere a tempo, avere sempre il davanti sull'istituto rivale, preoccupare il terreno, sul quale questo mirava ad estendersi, non lasciarsi sopraffare nella pubblica opinione, e tenersi strettamente vincolati i capitalisti con i maggiori vantaggi e cogl’interessi sui depositi. E quando tutto ciò non fosse bastato bisognava spingere oltre il proprio ardire, prendere l’iniziativa di ciò che in Napoli ed in Italia e presso gli uomini ignoranti dei fatti e della scienza economica può essere una novità, una novità creduta anche pericolosa, o almeno di difficile esecuzione, come è destino di tutte le novità agli occhi del volgo, il quale non comprendendole, invece di riconoscere la propria ignoranza, le rigetta come di pericolosa o almeno di difficile esecuzione.

XI.

Intendo parlare dei biglietti al portatore con interesse.

Per tranquillizzare gli animi timidi credo utile assicurarli, che i biglietti al portatore con interesse non sono una novità nella scienza economica e nella pratica bancaria. Scrittori di grande autorità, uomini di rinomanza mondiale nella pratica delle quistioni e delle materie bancarie li hanno preposti: alcuni istituti, come il Credito Agrario francese e la Banca di Lione, li hanno introdotti in Francia; la scienza infine li ha riconosciuti e proclamati come l’ultima parola, come la conseguenza logica e necessaria dei progressi successivi. che si sono fatti in materia di banche e di biglietti.

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Nei primordii si cominciò col depositare i proprii capitali nei banchi a fine di averli in sicurtà, ritirandone un certificato del seguito deposito.

Poi s’introdusse una carta girabile, onde mettere in circolazione quei capitali senza il bisogno di ritirarli dalle casse della banca depositaria.

Fu poi considerato giusto, che questi capitali fruttassero un interesse ai loro proprietari, come lo fruttavano alle Banche e ciò avvenne coi conti correnti. Ma i conti correnti suppongono per produrre un interesse, che il capitale sia depositato; e però se il proprietario del capitale sente il bisogno di convertirlo in un biglietto alfine di averlo sempre seco, questo capitale cessa di essere fruttifero. Ma cessa di esserlo per il possessore del biglietto, e non per la Banca, che avendo in circolazione il suo biglietto, che non le costa nulla, può intanto negoziare a tutto ed esclusivo suo vantaggio il capitale depositato. Ciò non è giusto, è stato osservato e detto. Che la Banca negozii il capitale, depositato nelle sue casse, gioverà in tal modo a se ed al pubblico; ma che chiami partecipe almeno d'una parte di questi interessi i veri proprietarii di quel capitale, i quali sono i portatori dei corrispondenti biglietti.

Credo utile spiegare più praticamente il mio concetto.

Il biglietto al portatore con interesse è trasmissibile e convertibile in denaro come il biglietto ordinario. La differenza tra l’uno e l’altro consiste solo in ciò, che l‘uno è infruttifero, l'altro produce interessi, i quali alla ragion di 5,65, e calcolabili a giorno, a mese ed anno, sono pagati dalla Banca che li emette secondo il tempo della loro presentazione, e quindi se vengono presentati alla cassa di questa dopo 95 o 100 giorni della loro emissione, la Banca paga il capitale, più i giorni d’interesse trascorsi, o quando invece di essere presentati alla Banca sono dati in pagamento, si tien conto della somma capitale più degl’iuteressi scaduti. A chi guardi bene addentro non avviene diversamente per i boni del tesoro, per le cartelle del credito fondiario, per le stesse cartelle del debito pubblico. E' vero che per questi il calcolo degl‘interessi è implicito e complessivo, ma chi è colui che compra un certificato del debito pubblico senza calcolare nella mente sua, che sono scorsi tanti giorni d'interesse, e che quindi comprando il titolo di rendita, acquista nello stesso tempo tanti interessi?

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Tanto è vero, che basta una piccola varietà nella forma per dare ad una cosa comune l'aria di novità, almeno agli occhi de' novizii e degl’ignoranti! – Or supponiamo due banchieri, ciascuno dei quali fosse obbligato avere per l'uso giornaliero diecimila lire nel suo portafolio, e che l’uno avesse biglietti ordinari, l’altro biglietti fruttiferi, ciascuno di 100 lire (stante che non sarebbe  né prudente  né agevole scendere disotto a tal cifra) è facile comprendere, che quest’ultimo rìtrarrà dal suo capitale di portafolio ogni giorno 100 centes., ossia una lira al giorno, trenta al mese, 365 ogni anno. Si dirà, ma questo vantaggio procacciato ai possessori dei capitali sarà a discapito delle banche, le quali, mentre ora godono esclusivamente dei frutti dei capitali depositati e convertiti in biglietti, sarebbero allora obbligate a spartirle coi loro proprietarii, a cui dovrebbero dare il 5,65 per cento, ritenendo per se il 2 ½ supponendo che impiegassero i loro capitali al 6. Ma questo è quel che si vede, per usare le parole del Bastìat, quello che non si vede si è, che le banche sarebbero largamente compensate del sagrifizio dall’accresciuta quantità dei depositi. Le banche dunque ed i particolari se ne avvantaggerebbero: e ne sarebbe conseguentemente avvantaggiata la pubblica ricchezza, la quale essendo la sintesi di tutte le ricchezze private, secondo le vicende di queste, declina e prospera, si diminuisce o accresce.

Ma lascio questa materia; che anzi perché non mi si dica: voi proponete delle novità pericolose, voi volete scuotere la base di questo secolare monumento col martello di temerarie innovazioni, e tutte quelle altre volgarità che corrono sulle bocche dei fatui e degl'ignoranti, son contento. che questa parte che riguarda i biglietti con interesse sia considerata come una parentesi. Ritorno quindi alla serie delle mie proposte; alle quali non si può fare lo stesso rimprovero, trattandosi di cose comuni. che non possono allarmare anche i più timidi, anche i più ombrosi, se pure non si voglia affermare che il Banco di Napoli sia un’arca santa, che deve essere conservata così quale ci è stata trasmessa dai nostri antenati.

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Nel quale caso sarebbe inutile parlarne, perché i monumenti antichi s’interpetrano e si studiano e non si discutono, che anzi proporrei, che il Banco fosse posto una volta per sempre sotto la giurisdizione del mio dotto amico Giuseppe Fiorelli, direttore di Pompei e delle altre antichità.

XII.

Il credito fondiario potrebbe essere un potente soccorso al Banco di Napoli e forse tale propaggine da tener luogo di tutta l’antica pianta, quando questa venisse a perire. Mi sia lecito di ricordare non per millanteria personale, ma per provare quando fosse profonda ed antica in me questa convinzione, che sin dal 1862 prevedendo che il Banco di Napoli perdendo alcuni privilegi e quindi alcuni degli elementi della sua passata prosperità avrebbe avuto il bisogno di tentare altre vie, e di aprire a vantaggio del publico e di se stesso altre fonti di ricchezza, mi parve che, tenendo ragione dell’indole del nostro banco, della sua primitiva istituzione, del suo credito nelle provincie meridionali e del maggiore e più pressante bisogno di queste, il credito fondiario potesse essere il più opportuno e potente puntello di questo antico edificio. E svolsi fin da quell’anno questo mio concetto in un opuscolo, e feci opera sui giornali e presso il rimpianto Giovanni Manna, allora ministro di Agricoltura e commercio, e poi presso il suo successore per la sua attuazione. Sono corsi cinque anni, perché lo vedessi attuato, attuato in un tempo, che per l'accresciuto ribasso dei fondi publici e per altre circostanze non corre certo favorevole per l’emissione della cartella fondiaria!

Si fosse almeno provveduto ad iniziarlo fortemente ed alacremente per vincere le prime difficoltà! Ma dirò francamente che ciò non mi pare, e parecchi sono della mia opinione: e lo dico con quel dolore che può provare chi vede in pericolo l'attuazione d'un idea da lui lungamente vagheggiata, e ha la quasi certezza degli straordinarii vantaggi che potrebbe produrre all’istituto ed al publico.

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Io chiesi in consiglio generale che si desse al credito fondiario un’amministrazione speciale indipendente da quella del Banco, e chiesi anche che si assegnasse alla novella istituzione il fondo speciale di otto milioni, come è detto nella convenzione contratta fra i diversi istituti, che hanno assunto di fare il credito fondiario in tutta l'Italia. La ragione dell’una e dell’altra opinione da me sostenuta si è che un’amministrazione speciale sarebbe stata più capace di quell'attività, di quell’operosità, che è necessaria per iniziare un istituto, che in tutte le altre parti del mondo non ha potuto attecchire e prosperare che dopo parecchi anni, avendo soccorsi straordinarii e circostanze meno sfavorevoli: un’altra ragione si è, che a rei voluto evitare, che la cancrena del discredito, dalla quale è minacciato il Banco di Napoli, non si communicasse alla novella istituzione, che è destinata a rigenerarlo. Le mie idee non furono interamente accolte: e me ne duole, tanto più che vedo iniziato il credito fondiario con tanto languore, che a dir vero parrebbe che si facesse a malincuore, e che anzi che operare seriamente si voglia piuttosto mostrare di fare qualche cosa a fine di contentare il ministro di agricoltura e commercio, che volle che si ponesse un fine ai dubbii ed alla indifferenza, e che s’iniziasse il credito fondiario secondo la convenzione fatta cogli altri istituti. Se ciò non è vero, almeno tale è l'opinione del pubblico: e parecchi giornali ne hanno già parlato in questo senso. In siffatto modo, il Banco di Napoli, che prese l'iniziativa del credito fondiario, vi è stato rimorchiato, l’ha quasi subito. Iniziato languidamente, senza un'amministrazione ed un capitale speciale, senza quella cura, quell'operosità, quei mezzi straordinarii che sono necessarii per bene avviare un istituzione novella di credito, specialmente quando le circostanze esteriori non sono favorevoli; il credito fondiario sarà discreditato fin dalla sua origine: e quando dopo un tale discredito saranno passati parecchi mesi senza utili risultamenti, i nemici di questa istituzione potranno esclamare trionfanti e colla maggior buona fede del mondo: ma se noi lo dicevamo, che questa istituzione non poteva  né attecchire,  né fare buona prova!

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Istituito bene il credito fondiario, si potrebbe rivolgere il pensiero e le cure a fondare il credito agrario.

XIII.

E qui pongo termine alle mie brevi osservazioni. Le dico brevi rispetto al largo sviluppo, che avrei potuto dare alle quistioni che mi sono fatto a trattare in queste poche pagine, quando avessi voluto scendere in osservazioni più speciali, prendere una ad una in esame le operazioni, che ora si compiono dal nostro Banco, indicando le riforme richieste dalle mutate condizioni di questo.

Ma il mio assunto e stato più modesto. Ho voluto provare avanti tutto a coloro che ignorando gli statuti del Ban00 non sanno le attribuzioni del consiglio generale, che questo anche nella ristrettezza dei poteri e del tempo, ha già adempiuto a quello che forma la sostanza della nota del ministro, la quale in alcuni potrebbe generare il sospetto, che questo Consiglio generale fosse colpevole di negligenza. È bene che si sappia che il Consiglio generale non ha che una suprema vigilanza sugli atti dell’amministrazione governativa e per mancate del Banco, la quale è interamente di nomina del potere esecutivo. E sono stato mosso a farlo, perché spesso come ho detto, vedo ingiustamente scambiata la risponsabilità. essendomi molte volte occorso di vedere sui giornali chiamato in colpa il consiglio generale di nomine e di operazioni, sulle quali esso non ha che una suprema vigilanza, esercitata a grande distanza di tempo. Nella seconda parte non ho inteso altro che esporre le mie idee sulle condizioni del Banco di Napoli, sulle vere cause, che le hanno prodotte, e su quello che avrebbesi dovuto fare per preparare a questo un migliore avvenire.

Ho proposta una più rigorosa disciplina, l’economia nell'amministrazione, la soppressione delle case inutili, lo stabilimento di nuove sedi cogli stessi impiegati, e nel modo più economico nelle province meridionali l’apertura immediata dei conti correnti con interesse, un potente impulso dato al credito fondiario. Quando a ciò fosse adempiuto, si potrebbe passare oltre nelle innovazioni e nelle operazioni.

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Ho espresse le mie idee, liberamente sì, ma non ho inteso criticare personalmente alcuno. E inutile quindi tormentarsi il cervello per vedere allusioni a questo o a quello o per trovare nelle mie parole un ’accusa lanciata alla passata anziché alla presente amministrazione, o alla presente anziché alla passata. Ciò è difficile a credersi ai nostri tempi, nei quali non pare che si potesse scrivere senza fare una polemica personale e velenosa; ma io dichiaro, che scrivendo queste pagine le persone dell’amministrazione del Banco, sia passata, sia presente, sia anteriore al 1860, sia posteriore, sono scomparse interamente dalla mia mente. Ed invero, quando pure non fosse in me abituale il rispetto delle persone, darei pruova, non dirò altro, di poco rispetto verso me stesso, quando avessi avuto la pazienza di sciupare tempo e lavoro per il semplice passatempo di una critica personale, o pure che mi fossi taciuto per il sospetto che le mie idee avessero potuto dispiacere a questo o a quello. Né però pretendo, che non mi fossi ingannato nel proporre ciò che per il Banco di Napoli avrebbesi dovuto fare per rispondere alle novelle esigenze dei tempi. Altri avrà altre idee, differenti dalle mie, e forse anche più vere, o più opportune e pratiche, ed io che non ho altro scopo ed altro voto, che il bene di questo nostro istituto, che nelle mutate condizioni di tempo aveva tutte le condizioni di una colossale grandezza quando fosse stato bene usufruito, io senza alcuno sforzo, senza alcun sagrifizio le accoglierei, ed ad esse sarei pronto, quando me ne fossi fatto persuaso, a sagrificare le mie. Quello, di cui non sarò mai persuaso si è, che non si debba far nulla, che si dovessero seguire le antiche orme, che si dovesse considerare il Banco di Napoli come un antico monumento senza nulla innovare, demolire e riedificare. Quello di cui non sono persuaso si è, che il Banco potesse continuare a vivere giorni spiensierati, a spendere lussosamente le sue rendite, i suoi capi tali ed il suo credito, senza tentare anche le più elementari innovazioni, che la coesistenza di altri istituti rende successarie. Chi sa morire, diceva un grande italiano, 'che seppe consacrare con una generosa morte le sue generose parole, Santorre di Santa Rosa, è padrone del mondo. Con ciò non voglio dire, che sia necessario che qualcuno muoia per salvare il il Banco: dico solamente che con quelle parole si vuol significare, che per essere padrone del mondo è mestieri operare, lottare, resistere,

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tentare anche a rischio di morire, e chi non ha questa virtù, chi è vigliacco 0 poltrone, sia individuo, sia istituto o governo, è destinato a perire qualche volta di morte violenta, qualche volta di lenta ed ignominiosa agonia. Ciò è particolarmente vero nei tempi di libertà, che sono tempi di lotte e di vittorie, e non di ozio e di pigrizia. Il Banco di Napoli sarà destinato a perire, quando vorrà rinserrarsi esclusivamente nelle sue antiche sebbene gloriose tradizioni. 0ueste bastano per creare un monumento storico, e non un istituto vivo e vivificante. Ma potrà ancora vivere e prosperare, quando scuotendosi dal sonno al quale l'avevano assuefatto i beati ozii borbonici, sbarazzandosi di tutto quanto è anticato ed inutile, restringendo da una parte la sua esistenza e gettando dall’altra delle utili ramificazioni, prenda il suo passato, non come meta, ma come punto di appoggio per la sua nuova esistenza. Io lo spero, e per amore di questo nostro istituto, e perché partigiano della pluralità delle banche veggo nella esistenza del Banco un grande ostacolo contro alcune imitazioni di banche uniche, che se potettero avere la loro origine, ed anche la loro giustificazione in altri tempi e nelle condizioni speciali di alcuni popoli, ora e presso noi sono contradette dalla scienza, dalla esperienza, e dalle peculiari condizioni economiche e politiche della nostra penisola.























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