Eleaml - Nuovi Eleatici


Il crollo del Regno delle Due Sicilie è un rebus che ancora non è stato risolto dagli storici in modo definitivo. Dalla storiella dei Mille eroi capitanati dal biondo condottiero che avrebbero sbaragliato un esercito di inetti di centomila uomini a quella della compravendita organizzata nei confronti degli alti ufficiali napoletani dagli agenti cavourriani, si tratta di spiegazioni parziali che non reggono ad un esame serio.

Il ruolo che ebbero nel crollo le organizzazioni massoniche presenti nelle provincie fin dall'epoca francese, è un altro elemento importante da considerare. Nei comuni man mano che si diffondeva la notizia dell'avanzata garibaldina, vera o presunta che fosse, si formavano comitati cittadini che esautoravano le vecchie amministrazioni e si impadronivano del potere. Anche questo contribuì a rendere la “liberazione” garibaldina una passeggiata.

Questo testo, pubblicato in cinque capitoli nel 1913 dalla Rivista “Il Risorgimento Italiano”, insieme a quello di Oreste Dito, danno una panoramica impressionante della diffusione capillare di quella che agli inizi venne chiamata Carboneria e fra i cui aderenti troveremo tutti quei liberali massonici che spianarono la strada al potere sabaudo.

Inutile fare dei nomi in quanto la lista sarebbe troppo lunga, basta ricordare che il primo parlamento italiano venne definito “il conclave dei 33”.

Zenone di Elea – 3 Gennaio 2015

IL RISORGIMENTO ITALIANO

RIVISTA STORICA

(Organo della Società nazionale per la storia del Risorgimento italiano)

MEMORIE E DOCUMENTI INEDITI

Milano TORINO Roma

FRATELLI BOCCA EDITORI

Depositario par la Sicilia: Orazio Fiorenza - Palermo

Deposito per Napoli e Provincia:

Società Editrice «Dante Alighieri » (Albrichi. Segati e C.) - Napoli

Italian Book Company - New York.

1913

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LA CARBONERIA IN TERRA D'OTRANTO

(1820-1830)

CAPITOLO I

Spirito pubblico e società segrete alla vigilia della Rivoluzione del 1820

Sommario: Massoneria e Carboneria. — La Carboneria e il movimento settario nel Regno (1807-1815). — Le sètte nella Restaurazione. — La “Vera Amicizia” e il principe Leopoldo di Borbone. — Il 1817 in Terra d‘Otranto; l’opera di Sir Richard Church e delle Commissioni militari. — Spirito pubblico e Concordato (1818).

L’anno 1817 fu per Terra d’Otranto fecondo di avvenimenti importanti e complessi, su cui è necessario fermare l’attenzione, per comprendere lo spinto del popolo salentino alla vigilia della rivoluzione del ’20, passo decisivo verso la conquista della nostra libertà e della nostra rigenerazione politica. Rivoluzione che fu essenzialmente di opinione, e in cui la Carboneria esercitò preponderante influsso, pur senza esserne stata, come vogliono taluni, la causa unica: la più vasta e più compiuta espressione, ad ogni modo, dello spirito filosofico e politico del tempo, e di quel movimento liberale, che unisce le ingenue ed eroiche aspirazioni

del ’99 ai più tardi moti dell’Italia Meridionale (1).

E necessario, prima di tutto, dare un breve sguardo retrospettivo alle vicende della Carboneria nel Regno, così come l’indole e l'ampiezza del presente lavoro consentono (2).

E noto come la Carboneria non sia stata pianta indigena nel Regno, ma fosse quivi importata dall’esercito francese durante il decennio: tuttavia non bisogna dimenticare le due temporanee occupazioni francesi della Puglia e degli Abruzzi nel 1801 dopo la pace di Firenze e nel 1804 dopo la rottura del trattato di Amiens.

Certo, specie in provincia di Lecce, quelle occupazioni fecero pullulare le logge massoniche, e nei dispacci del famoso marchese Rodio, commissario regio in quelle regioni, si parla spesso di logge fondate con l’autorizzazione del Gen. Gouvion de Saint Cyr (3).

IlMarnili dice la Carboneria di provenienza lombarda e pone come data della sua introduzione nel Regno l’anno 1811. Le stesse notizie, quasi con le medesime parole, riferisce il Radowski (4), lasciando tuttavia incerta la data.

(1) La fede Carbonara consiste nella certezza di un regime di governo che sia lungi dal dispotismo e dalla tirannide [Bibl. Cuomo, Miscellanea, Massoneria (Discorsi morali pronunciati ai C. C. di Aquila, e ristampa di Massime Morali C. C., Aquila, 1820, N° 5)].

(2) Un’opera complessiva sulla Massoneria., Carboneria e le altre sètte politiche, ha tentato Oreste Dito (Massoneria, Carboneria ed altre società segrete nella storia del Risorgimento italiano, Torino, Roux, 1905), ma scarsa di materiale nuovo c sproporzionata nello parti. Cfr. Bianca Marcolongo, La Massoneria nel sec. XVIII, negli “Studi Storici” dir. da A. Crivellucci, vol. XIX (1910), F. IIIIV.

(3) Gr. Archivio di Stato di Napoli, Segreteria di Polizia, Dispensa al Reggente, 1804. “Circa il 1811 arrivarono a Napoli, provenienti da Milano, due individui con incarico di propagare il carbonarismo. Si presentarono con molta franchezza al capo del Governo, gli dissero clic la società di cui erano organi, non era clic una frammassoneria inferiore destinata a rincivilirò la parte meno istruita del popolo. Il Murat, soldato e perciò poco versato nello sottigliezze della scienza sociale, non comprese bene ciò che i due settari volessero dire e li inviò al Ministro di Polizia Daura, il quale studiando molto profondamente lo scopo della società e le carte che i due missionari portavano, li rinviò al Segretario Generale della Prefettura (Borrelli). Questi fece esaminare le corto da una Commissione, nella quale era un tal padre Vincenzo Gaetano, chierico regolare della Madre di Dio, e fu parere comune che sotto il governo monarchico l’istituzione fosse delle più pericolose. Fu fatto dunque un rapporto contro il carbonarismo e contro i suoi due propagatori.

Un tal Martelli poi afferma che questa sètta sia stata introdotta nelle provincie meridionali da un individuo dell’isola di Corsica nell'anno 1810 (1).

Ma un nuovo documento mostra apertamente che la Carboneria esisteva già nel Regno di Napoli prima della data fissata dal Marulli nel suo poco convincente racconto, e prima ancora del tempo, a eui accenna il rapporto di polizia da noi ricordato. Tra aleune carte, appartenenti alla Vendita di Corigliano (2), rimesse da mano ignota al Consigliere Provinciale don Giovambattista di Tequile, è una patente in grado di Maestro, spedita da Corigliano il 4 novembre 1820 dalla Vendita detta i Figli di Attilio Redolo e eoi N° d’ord. 2G; questo diploma, stampato su carta bambagina, è munito del suggello e delle firme dei Dignitari della Vendita, fra cui quella del G... M..., il famigerato Gaspare Vergine (3).

Dopo di essersi raccomandato alle altre TV il B... C... C... (4), in grado di M..., in fine si soggiunge: “Iniziato fin dal dì 20 del mese di Aprile dell’anno 1810 „. Da ciò si deduce che fin dai

Ma Murat non ne fece nessun conto, e contro il parere del consiglio diè la sua adesione. La prima Vendita fu stabilita a Napoli coll'autorizzazione del Governo; (G. Marulli, Ragguagli storici sul regno delle Due Sicilie, etc., Napoli, 1846, III, pag. 291 e segg.).

Radowski, Casi memorabili antichi e moderni del regno di Napoli, Coblentz, Trumbach, 1842, pag. 146.

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Ministero di Polizia, Pand. 3004, f. 970: Cenno istorico di un tal Martelli pella introduzione delle sètte nella Prov. di Basilicata, di quelli che la propagarono e ne fecero aumentare il numero dall'epoca del 1810 al 1820 (“Fin dall’anno 1810 da un individuo dell’isola di Corsica si portò alla Capitale la setta dei Carbonari. Gli uomini dediti alle novità e quelli avvezzi a vivere di scroccherie non esitarono ad abbracciarla profittando della rilasciatezza del Governo dell’occupazione, che permetteva simili sciocchezze. I propagatori furono sì accorti e solleciti che in poco tempo jl veleno si sparse nelle Calabrie, Abruzzi, Puglie, Basilicata, oltre la Capitale e diverse altre provincie. Nella Basilicata specialmente tal setta pose le radici e pochi furono i paesi non attaccati dal contagio.

(2) Arch. Prov. di Lecce, Statuti della Carboneria. Regolatore della Camera Sublime (18131844).

(3) V. Appendice II.

(4) Il nome è tagliato nel diploma.

primi mesi dell’anno 1810 Vendite Carbonare erano regolarmente stabilite in Terra d’Otranto (1).

Questa notizia distrugge il racconto del Marulli e l’opinione del Martelli: se nel 1810 la setta dei Carbonari fu introdotta nella Capitale del Regno, come poteva d’un tratto diffondersi per le Provincie, anche in quelle più lontane da essa, sì che nei primi mesi dello stesso anno Vendite regolarmente installate funzionassero già? Bisogna dunque riportare un po’ indietro questa data.

Il Palumbo (2) fa risalire l’origine di questa setta al 1807, quando fu introdotta a Napoli dal Generale Miot, e prese subito vaste proporzioni in tutto il Regno.

Ma più che l’opera singolare di una persona e in un giorno determinato, la Carboneria fu introdotta gradatamente nel primo tempo dell’occupazione militare; le idee si infiltrano nei popoli e conquistano la coscienza nazionale a poco a poco e per opera lenta e collettiva, che quasi sempre sfugge ai più.

Questo, riguardo all’origine prossima, diremo così, della Carboneria, che questa setta al pari delle altre associazioni, come gli individui vantano sempre illustri antenati, così ama attribuirsi origini mistiche e remote, cercando di mostrare lontani vincoli di parentela con l’ordine dei Templari e coi famosi sudditi del Vecchio della Montagna. Su le origini remote della Carboneria hanno scritto molti, e veramente c’è di che digradarne la fantasia più feconda (3), ma per il nostro assunto basterà sinteticamente ricordare gli antecedenti e lo sviluppo della setta, e mostrare come i primitivi propositi si vennero via via modificando nel corso degli anni a contatto delle varie correnti politiche; che le teste coronate, disputanti il trono di Napoli, compresero ben presto la sua importanza e cercarono,

(1) La signorina Bianca Mureolongo recentemente affermava che la Carboneria fosse stata introdotta nello Puglie nell’anno 1812. Senonché pur riferendosi a tutta la Puglia ella, seguendo il De Ninno {Le Vendite dei Carbonari in Terra di Rari, in “Rassegna Pugliese, 1897), dava notizia soltanto di vendite istallate nella prov. di Bari (Marcolongo B., Le origini della Carboneria e le società segrete nell'Italia Meridionale dal 1810 al 1820, negli “Studi Storici dir. da A. Crivellucci, vol. XX, fase. lIIIV, pag. 10).

(2) Palumbo IL Risorgimento salentino, Lecce, Martello, 1911, vol. 1°, pag. 164.

(3) Cfr. Dito, op. cit., pag. 138 e segg.; De Castro, Mondo segreto, Milano, 1864, vol. VIII; Dumas A., Cento anni di brigantaggio, Napoli, 1864.

allettandola con promesse di governo più libero, di attirarla alla propria causa e di farne puntello al proprio trono.

La Carboneria fu introdotta nel Regno quando già le Logge Massoniche pullulavano dappertutto. Società entrambe che tendevano al miglioramento dell umana specie, il loro simbolismo ritrae, è vero, le due tendenze opposte del Compagnonaggio del Medioevo, ma ha lo stesso significato morale (1). La Massoneria però nell’Italia meridionale, a differenza della settentrionale, non fu compresa dalla maggioranza della popolazione, anzi suscitava diffidenze nelle menti rozze; confusa com’era col Giacobinismo o condannata dalla Chiesa, svolse la sua influenza nel campo officiale e fu, più che altro, un privilegio dello classi elevate, assumendo un carattere del tutto aristocratico e dottrinario (2).

La Carboneria si acquistò in brevissimo tempo grande favore e popolarità, come quella che meglio rispondeva agli interessi della borghesia e allo spinto d’indipendenza, che nel Napoletano s’era fortemente sviluppato.

La borghesia — nota il La Sorsa a proposito di Terra d'Otranto (3) — sorta a poco a poco sulla fino del secolo precedente, si preparava a raccogliere nelle sue mani il potere della cosa pubblica. Era un’esigua minoranza, ma intelligente, attiva, e rappresentava la parte più civile della provincia. L’assetto della proprietà, che da feudale e latifondista diveniva borghese, l’eguaglianza dei diritti davanti allo Stato, l’aumento della popolazione che richiedeva fossero messe a coltura nuove terre, la graduale sostituzione dell’agricoltura alla pastorizia, contribuirono a far passare i capitali dalle mani dei nobili e del clero in quelle della classe proprietaria,

(1) Il concetto massonico della costruzione dei templi alla Virtù e delle prigioni al Vizio è generatore del concetto carbonaro della carbonizzazione, perché carbonizzare significa educare l’uomo secondo il principio della virtù.

(2) Sulla massoneria nell’Italia Meridionale cfr. il dotto lavoro di Michelangelo D'Ayala, I liberi muratori di Napoli nel sec. XVIII, nell’Arch. Stor. Napol. (vol. XXIII-XXIV. Nello stesso Archivio (anno 1905) il D. [De Blasiis] pubblicò un notevole documento sulle prime Logge dei LL. MAI. in Napoli. Ma sulle vicende della massoneria nel Mezzogiorno d’Italia e specie sull’epoca della sua introduzione non è stata ancora detta l’ultima parola.

(3) Saverio La Sorsa, Gli avvenimenti del 1848 in Terra d’Otranto, Milano, Soc. Ed. Dante Alighieri, 1911, pag. 22.

la quale ben presto si trovò alla testa della nuova società inaugurata dal dominio francese (1).

Così sorgeva il nuovo ceto dei galantuomini, costituito' da gente industriosa e intraprendente, che col lavoro e coll’abilità acquistava terre e castelli, dissodava terreni incolti, migliorava l’agricoltura e iniziava un vero rivolgimento economico (2).

Questa classe, che soppiantava i baroni nel possesso delle proprietà, aspirava ormai al dominio morale e politico dello Stato, spronata specialmente dalle nuove idee di eguaglianza e di sovranità popolare, sancite dalla rivoluzione francese. A queste esigenze rispondeva appunto la dottrina Carbonara. La borghesia, abbattuto il colosso feudale, impegnava un’altra lotta aspra e sanguinosa contro il dispotismo. Questa setta, fondata sulle virtù del cittadino, ebbe un carattere politico ed un fine immediato: la distruzione della’ tirannide, e gran profitto trasse dal simbolismo cristiano e dal favore del clero stesso.

Recentemente il La Sorsa asseriva, ripetendo le parole del Tanzi (3), che la Carboneria in Terra d’Otranto ebbe un carattere speciale, perché a differenza di quanto era avvenuto altrove, qui ebbe una forma tutta propria: i capi, consci delle condizioni arretrate della regione e desiderosi di attirare alla lor causa quanti più affiliati fosse possibile, non vollero suscitare divergenze e dissidi per questioni religiose, ma conoscendo l’ambiente profondamente religioso, spesso anche superstizioso, adattarono le nuove dottrine alle condizioni locali, bandendo dal loro programma ogni parvenza anticattolica e dando alle Vendite un carattere prevalentemente umanitario. Questo fece sì che parecchi sacerdoti e monaci affluissero alla setta o occupassero i più alti gradi nelle Vendite; col loro prestigio o colla loro autorità invogliarono molti del popolo più evoluto a iscriversi nella Carboneria c a cospirare con loro per la redenzione economica e politica del Regno.

Che questo sia un aspotto assolutamente particolare della Carboneria in Terra d’Otranto è certamente errato.

(1) Cfr. Racioppi G., Storia dei moti in Basilicata c delle provincie contermini nel 1800, 2 ed., Bari, Laterza, 1911, pagg. 17.

(2) Mondaini, I titoli politici nel 1848 in Basilicata, Milano, Soc. Ed. Dante Alighieri, 1902, pagg. Mi.

(3) Tanzi F., Archivio di Stato di Lecce, Lecco, Giurdignano, 1912, pag. 195.

In quali altre provincie del Regno la Carboneria fu antireligiosa, se anzi in generale ebbe un carattere prevalentemente mistico ed umanitario? Il Dumas, il Bertholdi, il Dito sono concordi in questo. La dottrina dei CC..., in tutto fondata sul Vangelo (1), invitava gli uomini all’amore dell’Umanità, senza distinzione di paese o di casta, allo studio dei principi e delle cose utili alla Società, all’odio dell’oppressione e del dispotismo ed al culto dell’onesto, del buono e del giusto. I CC... dovevano essere cattolici, avere per norma speciale della loro condotta le virtù teologali, e stimando la loro unione necessaria al bene della società per la distruzione di qualunque ostacolo opposto al perfezionamento della specie umana, come i membri del Sant Yeme, non dovevano punto esitare a sopprimere ogni ostacolo, uomo o (tosa, che si presentasse loro per via. L’amore per la patria era principale interesse per la Società. Le riunioni segrete dei CC... erano detto Vendite; il carbone dava l’opportunità delle parole simboliche e l’idea della materia per travagliare (2).

2.— Nel periodo che va dal 1807 al 1815 lo sètte assurgono ad una grande importanza politica. Esse si orientano secondo le tre grandi correnti del tempo: francese, borbonica o inglese; anzi la Carboneria si divide in seguito, e il Greco (3) passando in rassegna le forze della setta, distingue i Carbonari in Murattini, Britannici e Borbonici.

Borboni tramavano contro il governo francese: avevano organizzato una setta, i Trinitari, che in nome della SS. ma Trinità consacrava i principi sanfedisti ed auspicava il ritorno dei Borboni. Sètta ufficiale era invece la Massoneria, che, rinvigoritasi sotto Giuseppe, ebbe in Gioacchino il suo capo palese. “Le roi mon Maitre et Grand Maitre de l’Ordre„, soleva dire un certo Ferrier, che lo rappresentava nei sacri travagli (4).

Nel 1808 la Massoneria si era scissa in due rami: l’antico secondo il Rito Scozzese, e un altro secondo il Rito Riformato eretto da

(1) G. Cristo vi era riconosciuto, adorato e venerato.

(2) Pei gradi, segni, simboli, statuti della Carboneria, V. Appendice N° 1.

(3) Greco L. M., Intorno al tentativo de'  Carbonari di Calabria Citeriore nel 1813, Cosenza, 1866, pag.

(4) Per la inaugurazione del G. ‘. 0. '. di Rito Scozzese in Napoli. — Discorso dell’O. '. nell’Assemblea del 13 settembre 1820 (E.. P. ), Napoli, 1820 (Biblioteca della Soc. Nap. di St. Patria, 3 St. XIV, B. B., 4), pag. 3.

un coronato avventuriere nelle vedute della monarchia assoluta” (1).

Il suo incarico fu quindi di esercitare un’attiva vigilanza sulla parte istruita e più temuta della Nazione.

La Massoneria perciò, rimanendo in un campo dottrinario ed aristocratico, rimase estranea alle classi inferiori e non rispondeva così alle vedute politiche del genovese Maghella (2), passato, dopo la morte del Saliceti, al posto di Direttore Generale di Polizia. Egli intendeva combattere e neutralizzare l’azione delle sètte borboniche, opponendo ad esse altre società segrete. Accarezzò e protesse perciò la Carboneria, che rispondeva alle esigenze del popolo e che aveva un carattere positivo di vitalità.

Ben presto però si accorsero i Carbonari di essere, sotto il governo dei Francesi, liberi solo di nome e dipendenti di fatto (3), perciò non furono alieni di vagheggiare una forma civile di governo, che ponesse termine alle loro vicende (4).

In quel tempo gli adescamenti non mancavano: M. Carolina, mentre trattava segretamente con Napoleone ai danni del Murat, cercava in tutti i modi di guadagnarsi il favore delle popolazioni delle provincie continentali; lord Bentinck faceva nel 1812 concedere alla Sicilia quella Costituzione, che fu pei liberali del continente un lusinghevole miraggio. Gli accordi tentati prima dal Murat e invano poi dalla consorte Carolina con lord Bentinck ai danni di Napoleone, alienavano sempre più la setta Carbonara dal Murat.

Durante la campagna di Russia, Carolina, reggente del Regno, sospettando che i Carbonari potessero opporsi alle sue mire, cominciò contro di essi quella persecuzione, che lasciò cosi sanguinose tracce

(1) Ivi, pag. 2.

(2) Cfr. Commandant M. H. Weil, Antonio Maphella, Documents biographiques inédits, Torino, Offie. Poligr. Editr. Subalpina Opes, 1912 (Estratto dalla “Miscellanea di Studi Storici” in onore di A. Manno).

(3) Giuseppe Napoleone e Gioacchino Murat, monarchi assoluti entrambi, associarono il dispotismo di fatto alla liberalità di diritto” (Delfico M., Osservazioni sulla rivoluzione di Napoli. Tipogr. di Luigi Nobile, 20 luglio 1820. Fascicolo rarissimo o denso di considerazioni, citato dal Dito, Op. cit., pag, 207).

(4) Cfr. pag. 5. Relazione della Giunta Provvisoria del Governo di Napoli, Napoli, 1820 (Libr, della Soc. Napoletana di St. Patria, 3 St. XIV, BB. 2).

specialmente nella Calabria col Manhès e negli Abruzzi col barone Nolli (1).

Nel 1813 fiorivano in ogni parte del Regno sètte antifrancesi; in Calabria sorse la società dei “Veri Amici” che aveva per fine l’odio e la persecuzione dei Massoni, il ripristinamento della monarchia legittima, il rispetto alla religione cattolica. Da questa derivarono i Riformati, i Calderari come quelli che anneriscono più dei Carbonari” (2), i Trinitari, dallo stemma della SS. Trinità, che presiedeva nelle loro riunioni.

Murat intanto ondeggiava tra opposti partiti, non sapendo a tempo abbracciarne uno, che lo guidasse a buon porto; di queste incertezze, che poi gli furono fatali, profittavano i Borboni apertamente favorendo le sètte. Nel 1815 le varie società reazionarie si accordarono nell’armare le masse, pronte ad intervenire ai primi rovesci del Murat. Troppo tardi questi, nel maggio del 1815, poco prima dell’entrata degli Austriaci nel Regno, si rivolse ai Carbonari promettendo loro aiuto o protezione, e invitandoli a lavorare apertamente per lui. Ma egli godeva ormai pochissima fiducia, sì che pochi risposero al suo appello, o questi presero il nome di Buoni Coloni e Colonia fu detta la loro associazione (3). Invano egli da Rimini lanciò il fatidico proclama: si disse che i popoli non avevano fiducia in un Re ingrato e fedifrago, e i tempi non erano maturi pel nostro riscatto nazionale. Certo egli cadde senza che nessun partito facesse il più piccolo movimento in suo favore (4).

(1) Tonelli P., Brev'idea della Carboneria, sua origine nel regno di Napoli, suo scopo, sua persecuzione e cause che fé’ nascere la sètta dei Calderari, Napoli, Tizzano, 1820, pag. 5.

Soffiò anche nel fuoco la massoneria. La vecchia massoneria al Rito Scozzese, come quella che professava i principi e più favoriva le mire filantropiche della Carboneria, tentò di occuparne le alte cariche; ma quella Riformata, per pararne i colpi, si scagliò apertamente contro di essa (Saggio storico delle Società denominate Carboneria, Vera Amicizia e Colonie istituite nel Regno di Napoli sotto il governo dell’occupazione militare (Bibl. della Soc. Napol. di St. Patria, Ms. XXII, A. 6, pag. 30).

(2) Ms. cit.

Avevano per principi odio implacabile contro i CC... e i FF. MI. e il ristabilimento della famiglia borbonica (Tonelli, op. cit., pag. 6).

(3) I Buoni Coloni continuarono per interesse i loro travagli anche dopo i rovesci del Murat (Saggio storico delle società denominate Carboneria, etc.; ms. citato).

(4) Cfr. Tonelli, op. cit., pag. 6.

Nel Congresso di Vienna le maggiori Potenze Europee, riunite nella Santa Alleanza, rimisero sull’Italia una cappa di piombo. Quasi tutti i Capi dei quattordici Stati, grandi e piccoli, in cui era divisa,sotto la supremazia austriaca, l’Italia, andarono a gara nel rimettere in onore l’assolutismo e tutti i sistemi più retrogradi per spegnere nel popolo ogni spirito di libertà e di civile ardimento.

3.— Il 22 maggio 1815 entrarono in Napoli gli Austriaci col principe Leopoldo, secondogenito del Re. Ferdinando da Palermo, il 1° maggio, diceva ai suoi popoli: “Ho sudato per il vostro bene, per la solida vostra felicità, e travaglierò per farvi invidiare dal resto dell’Europa. Un governo stabile, severo, religioso è per voi: Il Popolo sarà il Sovrano e il Principe il depositario delle leggi, che detterà la più energica e la più desiderevole delle costituzioni” (1).

Ben presto però si vide la fallacia di queste promesse. Ferdinando nel suo esilio siculo non aveva imparato né dimenticato nulla. Definito il decennio francese con le ingiuriose parole di occupazione militare dei generali francesi Giuseppe Napoleone e Gioacchino Murai, credette di poter ristabilire d’un tratto il diritto della legittimità, come se dieci anni non contassero nulla nella vita di un popolo.

Ma i Napoletani del 1815 non erano gli stessi del 1799; ammaestrati alla scuola delle politiche calamità, istruiti dall’esperienza della pubblica cosa, poiché ogni rivoluzione apre il campo a nuove passioni ed a nuovi bisogni, attendevano essi dai Sovrani quello a cui pareva avessero già da secoli rinunziato. “L’abito regge sì i popoli che gl’individui: per esso l’abuso si cangia in diritto, l'antichità si converto in un prestigio, che tien luogo di ragione. Ma non sì tosto lo Nazioni cominciano a leggere a traverso questo velo e paragonano sò stesso con le altre, nasce il desiderio del bene, si ragiona, si discute, si domanda” (2).

(1) Ms. del Marinelli, Bibl. Nazionale di Napoli, D. XIV, D. 4844.

(2) Relazione della Giunta Provvisoria, etc., op. cit., pag. 4.

Da un rapporto di polizia del 1815 (Carte segrete della polizia austriaca, Capolago, 1800, vol. 1°, pag. 162): “Così nel Regno di Napoli sparse avendo i Francesi in quelle vulcaniche provincie le massime di libertà, hanno suscitato degli spiriti all'insurrezione verso il legittimo sovrano; i quali datisi in preda alle smanie di una illusoria libertà,

Dopo la restaurazione borbonica, il timore che non si dovessero rinnovare gli orrori del ’99 tenne per poco perplessi e sospesi gli animi di tutti i Carbonari, i quali si appartarono in una prudente aspettativa. La stanchezza poi che invaso gli animi dopo un così lungo e fortunoso periodo di guerre, il vivo desiderio di pace e la speranza della minorazione dei tributi, fecero per allora tacere le agitazioni politiche. Due cause ridestarono la pubblica opinione contro il Governo: i Ministri, che con mente gretta e piccina vollero conservare il sistema dell’antica monarchia per il quale tutto partiva dai Ministri ed a loro ritornava (di qui favoritismi ed arbitrio), e l’illusione del Governo che potesse il Regno sostenere quei carichi stessi, che aveva nel decennio sopportati (1).

Ferdinando doveva nutrire e pagare le truppe austriache, che lo avevano restaurato sul trono; aveva una gran quantità di debiti privati, accumulati da quella Corte corrotta e amante del lusso durante i rovesci del 1799 o del 1808, mentr'egli pigro ed indolente, cercava di evitare le difficoltà e tutto ciò che poteva dargli dispiacere e fastidio (2). Abbracciò quindi un partito, poi un altro, e mancò poi di parola a tutti, quando ne vide il tornaconto. Avendo dall’esilio incoraggiato lo società segrete nella speranza di servirsene (3) come strumento contro i Francesi, esse esultarono al suo ritorno sul trono, ma si accorsero ben presto di essere messe da parte. In verità esultarono solo le società reazionarie, specie i Calderari,

sono divenuti nemici della famiglia borbonica e quindi interessati per quel Governo dal quale ponno sperare difesa e protezione. Nè costoro che in origine non sono pochi e che d’altronde ne interessano molti altri per vincoli di società potranno giammai offrir la probabilità di riconciliazione coi Borboni, mentre l'esperienza da essi fatta sulla implacabilità di quella Dinastia, malgrado solenni promesse di perdono, li determina a riguardarla sotto l’aspetto di crudele e sleale. L’accennato partito (la Carboneria liberale), che massime nella Capitale del Regno è numeroso, diviene poi maggiormente osservabile se si rifletta che gli individui di esso, appartenenti alla classe degli uomini più illuminati, e sparsi essendo ne’ Magistrati e nell’Armata, hanno tutto il comodo di influire sulle altre classi e di invigilare per la conservazione dell’attuale regime, che, per dire il vero, non amano se non perché riconoscono in esso l'egida della borbonica persecuzione „. .

(1) Relazione della Giunta Provvisoria, etc,, op. cit., pag. 6.

(2) Church R., Brigantaggio e società segrete nelle Puglie (18171828), Firenze, Barbera, 1839, pag. 19.

(3) E se ne servì.

i quali, sebbene non amassero il Re, vedevano con piacere il suo ritorno “sol perché concepivano delle favorevoli conseguenze a’ loro proponimenti” (1).

Furono però delusi. Luigi de’ Medici, incaricato interinalmente del portafoglio della Polizia e passato poi alle Finanze, non si dette pensiero alcuno delle sètte. I Carbonari ben presto capirono quel che potevano aspettarsi dalla dinastia borbonica, e temendo nuove persecuzioni, vieppiù strinsero i loro legami e rinnovellarono il giuramento di difendersi scambievolmente.

Il partito giacobino e murattista non era estinto: i Buoni Coloni, nemici irreconciliabili di re Ferdinando, proseguivano ne’ loro travagli. Correva voce anzi che essi cercassero, con adescamenti e lusinghe, di attirare alla loro causa il secondogenito del Re, il principe Leopoldo, per insinuare la discordia nella famiglia reale e per provocare un politico disordine (2).

Veniva intanto in Napoli chiamato ad assumere la carica di Ministro di Polizia, il Principe di Canosa, il flagello dei Carbonari. La cruenta repressione che di essi fece opponendo loro l’infame sètta dei Calderari o del Contrappeso è ampiamente descritta dall’Orloff (3), dal Tonelli (4), dal Bertholdi (5), e ne dette

(1) Tonelli, op. cit., pag. 6.

In un rapporto di polizia di Brambilla, spia austriaca (Carte segrete, eie., op. cit., pag. 149), è detto: “il partito della ristorazione esser quindi unicamente composto di nobili che speravano riacquistarsi onori e diritti, di negozianti che temevano la precarietà, di militari, e sospiravano le loro neghittose abitudini, mentre il popolo, per dir il vero, aveva migliorato in qualche parte la sua condizione.

(2)  Carte segrete, ecc., op. cit., vol. 1°, pag. 50.

Il principe di Salerno entra nella vita politica può dirsi nel 1815, quando insieme con gli Austriaci occupò Napoli in nome del Re, suo padre. G. Pepe (Memorie, Parigi, Baudry, 1847, Cap. XXIII, pagg. 31213) così dice di lui: “Non abbondava certo d’ingegno, ma aveva modi gentili, e palesava idee all'atto alla pari con l’epoca in cui viveva; sì che parea non fosse egli in verun modo figliuolo de’ Principi che regnarono nel 1799. Usava granii riguardi ai murattisti e trascurava i borbonici riconosciuti, destando perciò il loro malumore„. Ciò b detto anche nel Diario di Carlo De Nicola (Estratto dal l’Arch. St. per le Prov. Napol., Parte III, pag. 11).

(3) Memoires sur le Rogatane de Naples, par le comte Gr. D’Orloff, Paris, 1819,

(4) Op. cit.

(5) Memorie sulle Società segrete dell'Italia Meridionale e specialmente sui Carbonari, trad. dall’inglese di A. M. Cavallotti, Milano, 1904.

notizia lo stesso Canosa nei Pifferi di Montagna (1), esprimendo poi i principi della sua politica in alcune Lettere dell esperienza, ch’egli rivolse ai re della terra (2). I principali articoli del giuramento degli iniziati alla setta dei Calderari, quasi tutti malfattori, che avevan preso parto allo sanguinoso scene del 1799, erano l’ubbidienza passiva ai suoi ordini o l’impegno di sterminare con tutti i mezzi possibili i Carbonari o i FrancoMuratori. Divide et impera era il motto del Canosa, e l’imperio, ch’egli pensava di stabilire, era del più gretto assolutismo.

Ma furono tali i misfatti o lo abbiettezze della pubblica potestà, che, levatosi gran remore nel Regno o fuori (3), Ferdinando fu costretto ad allontanarlo dal Regno, dopo però di averlo gratificato di ricchi doni o di una pingue pensiono. Tre mesi dopo nella Gazzetta Ufficiale delle Due Sicilie si pubblicava l’atto con cui S. M. proscriveva tutto le sètte ed anche quella dei Calderari. Che questa proscrizione fosse sincera abbiamo ragione di dubitare.

4.— Ci è pervenuto da mano privata (da un discendente del marchese Tommasi) un documento, l’autenticità del quale non è da mettersi in dubbio, che getta uno spiraglio di luce su di un episodio mal noto della storia dello società segreto napoletane e sulla figura di un Principe, rimasto finora nell’ombra.

Il Giudico della Gran Corte criminale di S. Maria di Capua, Gennaro Codagnone, comunicava (11 dicembre 1817) al Ministro di Grazia o Giustizia Marchese Tommasi, che essendosi trovato tra il gennaio o il febbraio del 1817 a Campobasso “qual Giudice delegato al disimpegno dello istruzioni di due misfatti imputati al signor Vito Cardi di Circello, Cancelliere del R. Giudice di Colle, uno per l’assassinio commesso in persona del di lui paesano Tomasso di Maria e l’altro per avere involata parte di oggetti furtivi rinvenuti in Pietracatella, ed il Cardi essendo stato arrestato in Acquaviva Collecroce dal signor Cacciuni, comandante di quella legione provinciale,

(1) Pifferi di montagna ossia Cenno estemporanea sulla congiura del Principe di Canosa e sopra i Carbonari, Dublino, nel maggio 1820.

(2) Lettere dell’esperienza ai re della terra, Napoli, 1816.

(3) I Ministri di Russia e d’Austria, per tutela di governo, non per amor di popolo, vollero che il ministro fosse deposto ed esiliato (Dito, op. cit., pag. 225).

per ordine del signor Giudice Marco Rende, allora Commissario del Re in Molise, furono al Cardi sorprese molte carte ed a me passate. Postomi personalmente a leggerle, con mia sorpresa rinvenni due carte scritte contenenti l’ascrizione, segni e giuramento di una nuova setta chiamata la Vera Amicizia, ma perché osservai che nel giuramento veniva nominata una Persona Augusta, nel restituire il volume alla Cancelleria di quella Corte Criminale, stimai mio dovere rattenere presso di me dette due carte, serbando il massimo segreto, per passarle come adempisco alla E. V. per quell’uso che stima, dandomi altresì la gloria di rassegnarle che il primo foglio è tutto scritto di carattere dello stesso Vico Cardi, ed ignoro il secondo „.

Nel 1° e 2° foglio è il catechismo di iniziato alla setta “Vera Amicizia” in 1° grado (1), catechismo che ha molta affinità con quello dei Trinitari e dei Calderari.

A tergo del secondo foglio è il giuramento: “In nome della SS.ma Trinità, protettrice della Vera Amicizia e sotto gli auspici dell’alto Tempio di Napoli, io giuro e prometto fedeltà all’Augusto Principe D. Leopoldo, S:: M:: (2) della Vera Amicizia, di difenderli a costo del sangue, di soccorrerli nei loro bisogni, di non molestare per qualsisia fine la loro famiglia e parenti, di non toccarli nelle sostanze né nell’onore, di serbare il segreto anche a costo del sangue, di non comunicare grado della Vera Amicizia senza permesso di chi ne ha legittima autorità ed in presenza di tre Veri Amicizi (sic). Se io mi renderò spergiuro, mi sia recisa la gola, strappate le viscere ed il mio corpo sia dato in pasto ai cani. Così la SSma Trinità mi sia d’aiuto e il S. Padre Pio VII „.

La setta dei Veri Amici esisteva fin dal 1813, e, come già dicemmo, aveva per iscopo odio e persecuzione ai Massoni, il ripristinamento della monarchia legittima, rispetto alla religione cattolica. Da essi derivarono i Riformati o Calderari, e i Trinitari, e mentre i Carbonari e i Buoni Coloni avevano per oggetto di rovesciare il governo, i Trinitari, ossia Riformati, persistettero sempre in favore del Re Ferdinando, nò mai si lasciarono vincere dalle lusinghe dei Massoni e Carbonari. Le carte rinvenuto addosso a, Vito Cardi nel gennaio del 1817

(2) V. Appendice N. IV.

(2) Sublime Maestro.

non si possono riferire al periodo antecedente alla restaurazione, 1° perché il Codagnone parla di una nuova setta; 2° perché nel giuramento non c’è alcun cenno a questa restaurazione, come scopo della società; 3° perché il principe Leopoldo doveva ispirar fiducia al popolo solo quand’era ritornato nel regno di Napoli, giacche quando parL per l’esilio insieme col padre nel 1800 aveva appena sedici anni (1).

Noi riteniamo senz’altro che le carte del Cardi si riferiscano alla fine del 1816 e al principio del 1817.

Il Canosa era stato licenziato, e con quanto rammarico di re Ferdinando lo dimostrarono i ricchi doni di cui lo colmò; esiliato questo Ministro e perseguitati, sia pure con poco accanimento, i Calderari, i Carbonari respirarono, si collegarono con maggior impegno e si moltiplicarono a dismisura. Il diffondersi di questa setta, (lie sperava di allontanare dalla sua patria “il mostro del dispotismo o dell’infame tirannide doveva preoccupare re Ferdinando e fargli più che mai sentire il bisogno di trovare appoggio segreto nel popolo. Egli non poteva aver dimenticato i consigli e le massime del Canosa; perché non cercare per mezzo di un suo figlio aiuto e difesa a quella stessa setta che fin dal 1813 aveva favorito o sostenuto il suo ristabilimento sul trono di Napoli? Vito Cardi era un ladro e un assassino: sempre dunque nel medesimo infame ceto di persone la causa borbonica cercava i suoi proseliti.

Che re Ferdinando fosse a conoscenza della setta, di cui era S:: M:: suo figlio, è più che probabile. Una postilla di carattere del Ministro Tommasi, scritta sul primo foglio del piccolo incartamento dice: “Camera di Consiglio (?) del di 17 dicembre 1817.

S. M. ha osservato tutto e mi ha ordinato di conservare queste carte presso di me„. Nessuna sorpresa dimostrò pel fatto, ma ordinò al ministro di conservare le carte presso di lui, non di consegnarle alla Cancelleria della G. C. Criminale.

In ogni caso al re premeva che la cosa non si divulgasse. I limiti e l’intento del nostro lavoro non ci consentono di meglio illustrare la figura del principe Leopoldo; certo è però che nel 181617 egli era a capo della sètta dei Veri Amici.

(1) Nacque il 2 luglio 1790 e sposò il 28 luglio 1816 M. Clementina Arciduchessa d Austria, nata il 1° marzo 1798 (Fontanarosa V., Il Parlamento Nazionale Napoletano per gli anni 18201821, Roma, Soc. Ed. Dante Alighieri, 1900, pag. 36).

5. — Nel 1817 giungevano dalla provincia di Lecce sino noi due Principati cartellini sediziosi (1), in cui si chiedeva al Re, in nome di tutto il Regno, una Costituzione libera, che assicurasse le basi della felicità nazionale e dei diritti del Trono. Ma come il Re si mostrava sordo alle voci del suo popolo, così venivano invitati tutti a far causa comune ed a sospendere il pagamento delle imposizioni fiscali fino a che S. M. non si determinasse a dar loro ascolto. Per interessare maggiormente il governo si spedirono dei Leccesi nelle altre provincie del Regno, donde diressero al governo petizioni d’uguale natura.

Il Ministero ne fu impensierito ed usò pratiche di conciliazione, mentre l’indifferenza delle altre provincie alle istanze dei Leccesi determinava questi ad accettarle e a rimandare a tempi migliori l’attuazione dei loro disegni.

Mentre il sentimento liberale fioriva cosi rigoglioso in Terra d’Otranto, la statistica dei delitti comuni presentava un notevole aumento. E gli oligarchi provinciali “confusero con intenzione i delitti dei furfanti con le domande di Costituzione dei liberali, rivestirono questi dei loro disegni e dipinsero coi colori di Dante il quadro dell’anarchia di Lecce„ (2).

Perciò il nome dei liberali leccesi rimane in questo periodo di tempo offuscato dai delitti degli altri, mentre proprio ora, quando tutte le armi si appuntavano contro di loro, quando congiuravano tutte le autorità e tutti i poteri con tutti gli oligarchi provinciali per produrre la vera anarchia, “questa si osservò in ogni tempo mancata per opera dei soli liberali„ (3).

(1) Questo nuovo fiorire del sentimento liberale e questo ripullare delle sètte muove, può dirsi, da Terra d’Otranto. Cfr. P. Nicola C., Diario napoletano (17981825), pag. 135.

(2) Osservatore Salentino N. 18.

Era un foglio redatto da una Società di persone e compariva “tutte le volte che il bene della patria lo esigesse„.

Non era dunque un giornale come dice il Palumbo (La R. Udienza e i de tenuti politici del 1818, in  Rivista Storica Salentina„, anno VII, N. 345, pag. 80),  né risulta, secondo l’asserzione dello stesso, che Vincenzo Balsamo ne sia stato il Redattore. Ciò si può solo supporre probabile, dato che V. Balsamo fu il capo del partito liberalo in Lecco, o nei Pensieri su gli ultimi avvenimenti, ecc. (Lecce, 15 luglio 1820) esprime su per giù i medesimi concetti volti in questo numero dell’ Osservatore„.

(3) Ibidem.

E quando si dice liberali s’intende Carbonari, i quali soli sui flutti tempestosi delle ire partigiane tennero alta e pura la bandiera della libertà.

In Terra d’Otranto noi troviamo istituita regolarmente la Carboneria fin dal 1810(1); del gennaio del 1813 sono i verbali di alcuni travagli della Vendita di Corigliano. Segui le vicende di quella del Regno, e col Magliella anche nelle Puglie il numero delle Vendite crebbe straordinariamente. Nel 1815, dopo la restaurazione borbonica, quando i Calderari (2), protetti dall’Intendente Pietracatella, insieme coi Patriotti Europei e i Filadelfi insidiavano in tutti i modi i Carbonari, questi, riunitisi in una Dieta Straordinaria a Lecce, si consultarono sul da farsi. Da questa discussione molto vivace, la Carboneria leccese uscì divisa ma depurata: la maggioranza, gente nemica di ogni rumore, decise di rientrare nei limiti dei rispettivi statuti e di attendere tempi migliori; i turbolenti, i vecchi soldati di Murat, che vedevano in tale quietismo annientate le speranze della patria, “presero una seria decisione, quella di staccarsi e di formare un gruppo tutto proprio, destinato ad impedire le prepotenze non solamente dei partiti realisti, ma ancora dei Filadelfi e dei Patriotti che cominciavano ad esorbitare„ (3).

Così nacquero i Decisi (1), setta composta di gente arrischiata, manesca, temeraria e pianta indigena di Terra d’Otranto, di cui il più sanguinario e famoso rappresentante fu nel 1817 l’abate Ciro Annichiarico.

Nel 1816 si acuirono le lotte tra Decisi e Calderari, alimentate dai Patriotti Europei e dai Filadelfi (5): v’era in aria lo spettro

(1) V. Appendice N. II.

(2) Ci furono Curie in Taranto, in Francavilla, in Ceglie, in Ostuni, in Gallipoli in numero di quasi 6000 (Palumbo P., Risorgimento Salentino, op. cit., vol. 1°, pag. 263).

(3) Palumbo, op. cit., pag. 2445.

(4) Il primo Gran Maestro dei Decisi fu Pietro Gargaro di Francavilla, soldato murattiano di cavalleria. Furono poi istituite Decisioni nelle altre città della provincia: in Taranto, Grottaglie, Faggiano, Maglie, ecc. (Cfr. Palumbo, op. cit., pag. 2467).

(5) Dell’origine, vicende, oggetto dei Patriotti Europei e dei P. E. Riformati, dei Filadelfi e dei Decisi narra ampiamente il generale Church (op. cit.). Presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (XD68) è un Rapporto segreto straordinario sulla Provincia di Terra d’Otranto trasmesso al Ministero della Polizia Generalo da R. Chuuch, in data de’ 22 luglio 1818.  

 del ’99 coi saccheggi, con le ruberie, con gli omicidi di quell’anno terribile.

Nell’anno seguente le condizioni della Provincia peggiorarono: bande armate di malandrini tenevano le campagne apportando dappertutto il terrore e la desolazione. Ma al disopra di cotesti ladri di strada si elevano nella Capitanata don Gaetano Vardarelli e in Terra d’Otranto don Ciro Annichiarico: “ambedue figure spiccate, originali, che rappresentavano il malessere e il disagio sociale di quel primo quarto di secolo. Rivissero in loro Carlo Moor, Robin Hood, Ien Sbogar ed Angelo Duca (1), immortalato dalle storielle napoletane, con la guerra alle truppe del Re, con le loro fughe, con le spogliazioni ai ricchi, con le elemosine ai poveri„ (2).

L’Annichiarico fu il più genuino rappresentante delle ingiustizie sociali del suo tempo; vittima della persecuzione dei Calderari fu costretto a fare il brigante. Il 1817 fu l’anno del terrorismo in Terra d’Otranto. Decisi, Calderari, Patriotti Europei, Riformati, Filadelfi costituivano altrettanti tribunali di sangue che rubavano, manomettevano, ammazzavano. I Carbonari, che cercavano mantenersi in disparte, erano presi di mira, specie quando rifiutavano di ascriversi alle tremende società. In questa lotta accanita, terribile, i Calderari si videro perduti e, dopo reiterati ricorsi all’Intendente e al Tribunale (3), ottennero che, per calmare

Rapporto ampio, minuto sulle condizioni della Provincia, sullo spirito pubblico, sulla campagna del generale irlandese, sui risultati ottenuti. È un quadro sintetico ch’è molto utile aver presente, e che noi riportiamo in Appendice: di esso fu pubblicato solo un estratto brevissimo nelle Carte segrete della Polizia Austriaca (op. cit., pagg. 9196) e un brano nelle Memorie del generale (op. cit., pagg. 1178). Diplomi della società dei Decisi sono stati pubblicati dalla signora Church, dal Dito, dal Bertolini (op. cit. ). K noto che il libro della signora Church è più un romanzo che un’opera storica, o fu dal Palombo recentemente demolito coi risultati ottenuti dalle suo accurate e fortunate ricerche nell’Archivio Provinciale di Lecce (Cfr. Palumbo, op. cit., cap. V; D. Ciro Annichiarico, in'' Riv. Stor. Salentina„, anno 1; Richard Church, ivi, anno IV).

(1) Cfr. Croce Benedetto, La rivoluzione napoletana del 1700, Bari, Laterza, 1912; (appendice, pagg. 427452).

(2) Palumbo, op. cit., pag. 249.

(3) Il Tribunale nel 1817 era così composto: G. C. Criminale. Don Paolo Melchiorre, Presidente; don Celestino Scarciglia, Procuratore Gen. leGiudici. Don Angelo Pirone, don Ottavio Giusti, don Bonaventura Camerario,

l’ambiente e per stabilire le responsabilità, fosse chiamato don Giuseppe Costantini, allora Procuratore Generale in Lecce, uomo energico e tagliato a proposito, per essere non solamente Calderaro anche lui, ma per giunta della Provincia.

Molti delitti si vennero scoprendo e si era sulla via di ritrovare i protettori misteriosi e gl’ispiratori occulti, quando la sera del 19 maggio 1817 mentre il Costantini passeggiava per la via suburbana delle Pendinelle, insieme con Nicola Salerno e con Donato Farina, fu ucciso da un colpo di fucile partito dai contigui seminati di grano (1). Il Salerno ferito alle gambe si recò, dopo guarito, segretamente a Napoli quale emissario dei Calderari, specialmente dei Francavillesi, ad implorare aiuto dal Sovrano, il quale prestò poco orecchio alle sue parole e lo mandò dal Nugent.

Tardi furono mandati gli aiuti. Nel novembre del 1817, dopo le dimissioni del Generale Pastore, veniva affidato il comando della 6 Divisione Militare, che comprendeva lo provincie di Bari e di Lecce, al Church, con l’incarico d’impossessarsi dei Vardarelli. e poi di passare nella provincia di Lecce. Ma furono tali le insistenze premurose del Pietraeatella, che si diceva impotente a mantenere la tranquillità nella provincia, che il Church, consenziente il Nugent, partì subito alla volta di Lecce.

I Carbonari, vedendo in quella venuta una minaccia contro di essi, poiché venivano descritti dai Calderari come sobillatori di tutti i disordini, si riunirono in una gran Dieta a Galatina il 25 novembre, con l’intervento dei Rappresentanti di tutte le sètte confederate.

I Carbonari, gettando grandi masse di sollevati sui pochi soldati del Church, speravano in un moto patriottico. E mentre si decideva la resistenza ad oltranza alle truppe regie, si chiedeva al Re una Costituzione e s’invitavano a sollevarsi le altre provincie; ma queste non risposero all'appello, e i Carbonari leccesi dovettero smettere ogni idea d’insurrezione.

don Benedetto Mancarella, don Francesco Maddalena, Giudice istruttore; don Gaetano Molines, Cancelliere Corte Civile. Don Gherardo Mazziotti, Presidente passato a Trani; don Giuseppe la Gioia. Proc. Gen. leGiudici: Don Nicola Vergari, don Luigi Santini e don Bernardino Perrone; don Ignazio Attimi, Cancelliere (De Nicola, op. cit., pag. 120).

(1) Palumbo P., op. cit., pagg. 2745.

Rassicurati intanto dal Church che si sarebbero puniti i delitti non le opinioni essi offrirono il loro valido aiuto per sanare la piaga terribile del brigantaggio, le lotte tra le piccole sètte, gli odii privati e per ridonare la pace alla infelice provincia (1). Il Church col potere dell ''Alter Ego si dette alla caccia di don Ciro Annichiarico, che dopo lunga resistenza, e dopo di aver tenuto in iscacco per due settimane le truppe regie, fu preso a Scasserba e subito fucilato senza neppure essere ascoltato: la sua testa fu spedita a Grottaglie e messa in una gabbia di ferro sull’orologio della piazza (2).

La Commissione Militare, istituitasi con a capo il Church, dette terribili esempi: le teste dei disgraziati, staccate dal busto, venivano mandate nelle patrie rispettive e appese per pubblico esempio alle porte della città.

Ma non tutti gli uccisi e i condannati furono briganti, ladri, assassini, come non sempre si punì il delitto. Si calcolò che la Commissione avesse condannato duecentoventisette persone, delle quali furono uccise la metà, é le altre ebbero dieci e quindici anni di esilio in Ponza e a Capri, e tra questi furon molti Carbonari.

A proposito di questi condannati e degli avvenimenti del 1817 in Terra d’Otranto vi fu poi al Parlamento Nazionale, nella seduta del 20 settembre 1820, una vivacissima discussione tra i deputati Tafuri, Arcovito, Nicolai ed altri, dalla quale l’onore dei liberali salentini uscì macchiato; a riabilitarlo risposero parecchi patriotti leccesi dalle pagine dell’Osservatore Salentino; ma di ciò in seguito (3) per non anticipare inopportunamente il racconto di avvenimenti posteriori.

— Il quadro dello spirito pubblico in Terra d’Otranto alla vigilia del 1820 non sarebbe completo se, dopo di aver parlato delle opinioni civili, non si desse anche un brovo cenno delle opinioni laiche della classe colta.

(1) “La sollecita distruzione di quell’insigne scellerato (C. Annichiarico) e dei suoi partigiani fu in gran parte dovuta agli abitanti medesimi, specialmente a quei del primo ordino„ (Rapporto di R. Church. Vedi Appendice N. III).

(2) Cfr. Palumbo, op. cit., pagg. 292296.

(3) V. Cap. III

Il 16 febbraio del 1818 veniva conchiuso tra S. S. Pio VII e il re Ferdinando il famoso Concordato (1), che non è certamente frutto di un eccessivo spirito reazionario.

Il Ministro de’ Medici, che prima si era opposto all’idea di stipularlo, non avendo potuto piegare la volontà di Ferdinando, ormai vecchio e devoto, venne poscia incaricato della conclusione e forse avrebbe potuto ottenere di meglio, se non avesse preferito ingrazianirsi l’animo del Re e del Papa (2).

Dal Ministro di Grazia e Giustizia intanto si spediva una Circolare agli Intendenti delle provincie del Regno chiedendo quali sentimenti avesse suscitati negli animi degli abitanti il Concordato con la S. “Sede. E l’Intendente di Lecce, Acclavio (3), in seguito ai rapporti ricevuti dai suoi subalterni non meno che da molte intelligenti o probe persone di sua fiducia, come pure per pubblica notorietà„, comunicava al Ministro, con vivo dispiacere, che il Concordato aveva incontrato la generale disapprovazione e disgusto.

Quelli che erano più istruiti e che vantavano “uno zelo fervido per il bene della Corona„ credevano che, essendo la Chiesa nell’Impero, e non già questo in quella, un trattato con la S. a Sede, come da Potenza a Potenza, sopra materie di discipline ecclesiastiche, dovesse reputarsi un vero paradosso politico.

Che il tenore del Concordato, già conchiuso e ratificato, avesse fatto ritornare indietro almeno di quattro secoli la società. Che, p. es., gli articoli riguardanti la restituzione dei beni non alienati alle chiese, la ripristinazione di monaci e di monache possidenti, e l'accrescimento dei frati mendicanti, dipendenti direttamente dai loro Generali, residenti a Roma, fossero fatali all’agricoltura, alla popolazione, alle finanze nazionali “facendosi passare tanti prodotti nella classe di consumatori e di poltroni forzati„ e fossero

(1) Concordato tra S. S. Pio VII Sommo Pontefice e Sua Maestà Ferdinando I re del Regno delle Dm Sicilie, Napoli, 1818.

Sui mali effetti di questo Concordato nel Regno di Napoli cfr. l’ampio e dotto studio di F. Scaduto, Stato e Chiesa nelle Due Sicilie dai Normanni ai giorni nostri (sec. XIXIX), Palermo, Armenta, 1887.

(2) Colletta P., Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, con introduzione e note di C. Manfroni, Milano, 1910, lib. Vili, cap. III, § 3536.

(3) Rapporto scritto dall’Intendente di Lecce a S. E. il Ministro di G. e G. 1818 sui sentimenti destati dal Concordato. Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, ms. XXI, C, 15.

ancora fatali alla tranquillità ed alla sicurezza dello Stato, giacche i frati mendicanti “furono in ogni tempo i reggimenti della Corte di Roma pagati e pasciuti a spese altrui e sempre pronti a sovvertire quegli Stati che li sostengono, al menomo influsso pontifìciò Che l’art. 18 che riserbava annui ducati 12. 000 di pensione perpetua alla S. Sede sopra i fondi del Regno disponibili a favore dei sudditi del Papa, desse corpo alle Chinee (1) della Chiesa, e quindi dichiarasse il Regno tributario della S. Sede, la quale ne affettava la pretensione.

Che gli articoli di collazione di benefici di giurisdizione restituita alle Curie vescovili, e l’appello alla S. Sede mettessero in mano alla Corte di Roma “la moneta rude onde comprare nel Regno dipendenti ed un sifone onde tirare in Roma gran palle del sangue civile della Razione„.

Conchiudeva l’Intendente che la classe còlta dei Salentini era concorde nel credere che tutti gli articoli del Concordato, diretti ad introdurre l’ozio, l’ignoranza, la spopolazione, l’ipocrisia, la superstizione, la diffidenza, la dottrina dell’espiazione pecuniaria, la pubblica immoralità e tirare in Roma i tesori dello Stato fossero “tante spade che la Corte di Roma avesse conficcate nel cuore del Regno, nel quale il dominio della S. a Sede sarebbe diventato ben presto più eminente di quello del Re: che moltissimo il sacerdozio avesse usurpato all’Impero, e che la Corte Romana avesse trattato con Ferdinando di Borbone come con Carlo I d’Angiò„.

Da quanto siamo venuti sin qui esponendo si rileva come nel popolo salentino, ricco d’ingegno naturale o dotato di un grado di coltura avanzata, il sentimento liberale avesse salde e antiche radici, e come, dopo la restaurazione borbonica, in mezzo all’infuriare della più sfacciata reazione, del brigantaggio o dello ire partigiano, da questa Provincia si levò per prima la richiesta di una Costituzione.

(1) Sull’abolizione della Ghinea, che fu una dello glorie del Caracciolo nel 1788, cfr. Schifa M., Un ministro napoletano nel sec. XVIII Domenico Caracciolo, Napoli, 1897 (estratto dall’Archiv. Stor. Napoletano„) o Spina L., Un nuovo documento sulla Ghinea, in  Riv. d'Italia„, 1908.

CAPITOLO II

Le Vendite Carbonare (1)

La Carboneria in Terra d’Otranto, dove gli spiriti inclinavano a sentimenti di libertà, ebbe grande diffusione.

La facile indole dei suoi abitanti, una civiltà più avanzata, la vivacità ed energia del loro ingegno, il loro clima, la loro educazione rendeva facile l’accesso alla riforma delle ideo di pregiudizio e di superstizione, giacché a quelle di schiavitù il popolo Salentino fu, pel suo franco carattere, sempre refrattario, malgrado che la feudalità avesse avuto lo più estese e le più profondo radici in questa parte del Regno (2).

Vendite sorsero in tutti i Comuni e fin nelle più umili borgate: in breve l’ultimo dei suoi abitanti fu nello stato di conoscere la nobiltà della sua origine, i suoi diritti e la dignitosa condizione dell’uomo sotto un reggimento costituzionale.

(1) Abbiamo attinto questi elenchi da note di Polizia (che verremo via via specificando) esistenti presso l’Arch. Prov. di Lecce e presso il G. Arch. di Stato di Napoli. Abbiamo cercato di completare, riuscendo anche a modificare, quando n’è stato il caso, gli elenchi datici dal Palumbo (op. cit., vol. 1°, pagg. 199214), ma mentre questi si limita a darci un arido catalogo di nomi, noi abbiamo cercato di ravvivare quel catalogo raccogliendo dalle carte di Polizia tutte le notizie che potevano riguardare gli affiliati alla setta.

(2) Vincenzo Balsamo, Pensieri sugli ultimi avvenimenti, seguiti dal Ragionamento di un Elettore con sè stesso, Lecce, 15 luglio 1820. Opuscolo rarissimo; è il solo scritto del tempo rimasto su lo spirito pubblico in Terra d’Otranto, allo scoppiare della rivoluzione del 1820. — Vincenzo Balsamo, avvocato, settario fin dal 1814, fu Massone, Filadelfo, Patriotta e Carbonaro. Oratore Dicasterale fu nel 1820 Vice Grande Oratore nell’Assemblea Nazionale Provinciale. Anima della rivoluzione del 20 (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Pand. 3, F° 68, vol. 3°. Nota di G. Lotti del 19 aprile 1829).

Le sètte liberali si estesero tanto che abbracciarono tutte le classi.

La Carboneria ebbe statuti che, mentre nella sostanza rassomigliavano a quelli delle altre regioni, erano accomodati alle esigenze dei luoghi e delle persone (1).

Già prima del ritorno di Ferdinando gli elenchi di Terra d’Otranto riportano iscritti in Brindisi 267 B. B... C. C... ; in Taranto 246; in Campi 229; in Salice 256; in Ceglie 50; in Francavilla 290; in Lecce oltre 1000 (2).

I titoli delle Vendite spiravano virtù greca e profondo odio ai tiranni.

Lecce (3).

Vi furono sei Vendite denominate Idume.

1 Vendita.

Girolamo Congedo, G... M... Patrocinatore, iniziato fin dal 1814. Fu Massone, Filadelfo, Patriotta. Occupò tutti i gradi e dignità Carbonare: fu fondatore della Carboneria in Provincia, Fu poi CapoBattaglione della Legione (4).

Foscarini Nicola, 1° Assistente. Patrocinatore, antico Carbonaro, affumato Massone, Patriotta e Filadelfo (5).

2 Vendita.

Buja Gaetano, G... M..., agrimensore, antico Carbonaro, Patriotta, Filadelfo, acceso settario (6).

(1) V. Appendice I.

(2) Palombo I, op. cit., pag. 178.

(3) Per le Vendite di Lecce ci riferiamo esattamente a quel che no dice il Palombo (op. cit., pagg. 199200), il quale dovette por la ricostruzione di esse usufruire dello carto di qualche Archivio privato (che non indica) giacchi ni nell’Arch. Prov. di Lecce, ni nel Gr. Arch. di Stato di Napoli l traccia alcuna di elenchi di affiliati a dette Vendilo.

(4) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Scz. 1, noia di G. Lotti del 19 aprile 1829, Foglio cit.

(5) Ibidem.  

(6) Ibidem.

Balsamo Vincenzo, Oratore Esperto.

Gerunda Carmine — Grande Giovambattista — Longordo Giacomo — Sac. Leone Giosuè — Martirani Angelo — Molines Gaetano — Manzi PietroPaolo — Prato Orazio — Paladini Cesare Prato Carlo — Prato Francesco — Pirchio Giuseppe — Rizzo Arcangelo — Pace Panarese — Rossi Luigi — Russi Gaetano — Rossi Nicola — Sorge Ignazio — Stampacchia Vito — Scognamillo Andrea — Scarpa Oronzo — Stasi Ercole — Tondi Marino Schilardi Gaetano — Poso Gaetano — Turrisi Isidoro — Leggieri Michelangelo — Canonico Vergari.

3a Vendita.

Ivnazio Metraja, G... M... Dignitario fin dal 1817. Promosse e fece pervenire al Re le domande di Costituzione della Provincia di Terra d’Otranto, spedì emissari alle altre provincie del Regno perché vi concorressero ancli’esse con simili domande (1).

Nella Dieta di Galatina del 25 novembre 1817 propose la resistenza ad oltranza al Generale Church.

Rizzo Gabriele, 1° Assistente.

Bruni Vincenzo, Cerimoniere.

4‘ Vendita.

Brunetti Francesco, G... M... Patrocinatore, Massone di alto grado, “educato settario„ (2).

Noha (de) Nicola, Barone. Oratore.

5a Vendita.

Sambiasi Tommaso, G... M...

6 Vendita.

Lala Frane. Saverio, G... M...

PassagnoM Oronzo, Guardasigilli.

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 1414, F° 351, f° 2°, parte 1. Rapporto dell’lnt. Cito al Ministro Intontì del febbraio 1826.

(2) Gr. Arch. di Stato di Napoli. Nota di Lotti, F° cit.

Mauro Fedele, Cerimoniere, Massone di alto grado nella Loggia di Lecce, denominata la Iapigia Illuminata, Patriotta e Filadelfo (1).

Palumbo Salvatore, Antico Carbonaro, Filadelfo ed Ispettore Organizzatore dei Patriotti Europei nel 18161817; seguace di Maggi; affermato Massone (2).

Zigari Filippo, Patrocinatore. Antico Carbonaro, Patriotta e Filadelfo, Massone della 0 di Lecce (3).

Altri B. B... C... : Ancona Carlo — Balsamo Francesco — Basile Raffaele — Bortone Francesco — Braione Domenico — Beli Domenico — Carlino Salvatore — Cataneo Girolamo — Sac. Raffaele Cosma — Creti Salvatore — Marco (de) Giuseppe — Bartolo (de) Nicola — Daven (de) Francesco — Sac. Santis (de) Domenico — Franco Ignazio — Falco Francesco — Ferraro Pasquale Guarini Francesco — Gatta Giovanni — Gambo Vincenzo — Licci GiuseppeSaverio — Maggi Giovambattista — Molines Vincenzo — Mancarella Benedetto — Martina G. Battista — Petraglione Giuseppe — Can. Lorenzo Aggianese — Baldari Camillo Berardini Pasquale — Bortone Nicola — Brajone Oronzo — Arietta Domenico — Giudice Barbarisi — Carlino Ippazio — Capone Gius. Tommaso — Simone (de) Ferdinando — Arpe (de) Alessandro — Nigris (de) Benedetto — Finis (de) Francesco — Ferrante Pasquale — Fazzi Domenico — Fiocchi Giacomo — Guglielmi Giovanni — Gerunda Carmine — Grande G. Battista — Longordo Giacomo — Sac. Leone Giosuè — Martirani Angelo — Molines Gaetano — Manzi P. Paolo — Prato Orazio — Paladini Cesare — Prato Francesco — Prato Carlo — Pirchio Giuseppe — Pace Panarese — Rizzo Arcangelo — Luigi Rossi — Russi Gaetano — Sorgo Ignazio — Rossi Nicola — Stampacchia Vito — Scognamillo Andrea — Scarpa Oronzo — Stasi Ercole — Schilardi Gaetano — Tondi Marmo — Poso Gaotano — Turrisi Isidoro Leggieri Michelangelo — Can. Vergari.

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli. Nota di Lotti, cit.

(2) Ibidem.

(3) Ibidem.

Arnesano (1).

Politi Cristoforo, GL. M...

Santo Pasquale, Cassiere.

Arpa Santo — Blasi Federico — Sozzo Giosuè — Barba Tommaso — Barba Raffaele — Chirizzi Gius. Santo — Chirizzi Leonardo — Carrozzo Onofrio — Carrozzo Rosario — Girardi Gius. Nicola — Martina Marcello — Politi Camillo — Politi Vincenzo — Petrella Oronzo — Mollo Oronzo — Pulii VitoOronzo — Pulii Ippazio — Rizzo Antonio — Rizzo Domenico — Santo Pasquale, medico — Spedicato Raffaele — Sollazzo Michele — Sozzo Pasquale — Tramise Marino.

Carpignano (2).

Gli Alunni di Marte.

Cosimo Pausa, G... M...

Carmiano (3).

Provengano Nicola, Notaio, G... M...

Giovanni (de) Natale, Cassiere.

Marti Luigi — Arnesano Francesco — Bruno Luigi — Bruno Pasquale — Ceccarese Giovanni — Darpa Domenico — Darpa Giuseppe — Bernardo Mili — Monti Vito — Coppola VitoMatteo — Magli Giuseppe — Niccoli Salvatore — Longo Francesco — Sac. Spagnolo Pasquale — Spagnolo Angelo — Vadacca Vitantonio — Agostino (de) Pietro.

(1) Arch. Prov. di Lecce, Statuti della Carboneria. Rivoluzionari del 1820. Nota del R. Giudice di Monteroni, Bodini, del 15 giugno 1829.

(2) Ibidem.

(3) Ibidem.

Campi (L).

Campi Liberi.

Can. Pietro Antonio Bari, G... M... Nel 1815 fu ascritto alla setta dei Patriotti Europei ed ivi occupò grado; indi si ascrisse alla Carboneria ed occupò il grado di G... M..., fu uno dei riscaldati in tutte le epoche. Nel nonimestre fu Segretario Generale del Dicastero di Lecce. Istallatole delle sètte a cui appartenne. La sua condotta posteriore al nonimestre non fu plausibile.

Aliotta Antonio, 2° Grado, ascritto nel 1818.

Bari Procopio, 2° Grado, Legionario, anche Patriotta nel 1817.

Bari Angelo, idem.

Bianco Francesco, 2° Grado, Patriotta e Filadelfo nel 1817.

Borrelli Oronzo, 2° Grado, Filadelfo.

Calabrese Donato, Chirurgo, nel 1815 Patriotta, nel 1818 G... M... nella Carboneria; nel nonimestre 1° Assistente, Tenente della Legione.

Catarozzolo Giuseppe, nel 1818 Patriotta e Filadelfo, nel nonimestre occupò il 2° grado nella Carboneria, Legionario.

Chirizzi Gabriele, 1° Grado, Legionario.

Simone (de) Tommaso. Nel 1815 Filadelfo e Patriotta indi Carbonaro; nel 1817 G... M... ed Emissario alla Vendita di Galatina. Nel nonimestre fu 2° Assistente e uno degli Elettori.

Simone (de) Giovanni. Nel 1818 Filadelfo e Patriotta, indi Carbonaro; occupò il 3° Grado; inspirava ad ognuno ad arrotarsi alla bandiere costituzionali, prodigalizzando in doni„.

Pranchis (de) Giacinto. Noi 1815 Filadelfo e Patriotta graduato, indi Carbonaro, 2° Assistente; nel nonimestre Maestro di Cerimonie; istigava tutti a iscriversi alle sètte, c a pigliare le armi in difesa della Costituzione; Legionario volontario, Sergente Maggiore.

Pranchis (do) Francesco, 2° grado.

Franchi (do) Luigi, 3° grado; settario fin dal 1817; nel nonimestro Maestro di Cerimonie; uno dei più riscaldati “aizzava le persone

(1) Arch, Prov. di Lecce, vol. cit. Nota del R. G. Giacomo Fasano del 3 gennaio 1830.

contro il legittimo Sovrano per arrolarsi alla bandiere costituzionali Luca (de) Filippo, 3° grado; nel 1815 Patr. e Filad. ; Sergente Maggiore della Legione.

Guerrieri Achille, 1° Assistente, Legionario volontario.

Guido Vito, 1° grado, Legionario volontario.

Grasso Zaccheo Pasquale, 2° grado, Legionario.

Gagliardi Francesco, anche Filadelfo, “divenne molte volte istrumento micidiale a soddisfare i rei disegni di quell’orda settaria„.

Maddalo Procopio, 3° grado, Filadelfo nel 1815, Legionario volontario.

Lega Giovanni, 2° grado, Filadelfo e Legionario volontario.

Lega Antonio, idem.  Licci Luigi, G... M... ed Oratore nel nonimestre; Filadelfo nel 1814. “Effervescente in tutto lo epoche, specialmente durante il periodo costituzionale; per reità di Stato fu poi condannato dal1 Uta Commissiono a 5 anni di prigionia, che espiò nelle Prigioni Centrali di Lecco„.

Magi Vito, G... M... ; nel 1815 Filadelfo; Legionario volontario, e Sergente Maggiore.

Mirsiani Giovanni, 2° grado; Filadelfo.

Maddalena Patrizio dei Duchi di Cutrofiano. 14 Cadde nella Carboneria per liberarsi dallo persecuzioni; in seguito mostrò attaccamento ai Borboni Parlangeli Pietro, medico. Nel 1815 Patriotta, Filadelfo e Massone, “parti per l’Alta Italia quale affezionato al Governo di quell’epoca, e fu reduce in Campi dopo la disfatta di quel Regno. Nel nonimestre occupò il grado di G... M... e fu prescelto Tenente della Legione. Fu istallatore della Vendita a cui appartenne„.

Pagliara Camillo (1), Segretario e G. Bolli e Suggelli.

Serio Giuseppe, G... M... ; nel nonimestre il Terribile della Vendita, Sergente Maggioro della Legione, riscaldato. Nel 1815 fu anche Filadelfo.

Serio Michelantonio, 2° grado; Filadelfo.

Serio Vincenzo, 3° grado; Patriotta e Filadelfo.

(1) I nomi preceduti dall’asterisco non sono compresi negli elenchi del Palumbo.

Spagnolo Salvatore, 2° grado, Filadelfo e Legionario volontario.

Taurino Pasquale, Medico, 2° grado, effervescente.

Taurino Penna Antonio, idem.

Tarallo Raffaele, idem.

Carlini Lorenzo Can. Coppola Lorenzo —  Tartarelli Orlando, Legionario volontario — Fanizza Rosario — Can. Guerrieri Emmanuele — Guerrieri Pasquale — Guerrieri Angelo — Grassi Vito Nicola — Indirli Raffaele — Indirli Vincenzo — Immortano Antonio — Maddalo Andrea —  Maddalo Giuseppe —  Marra Domenico —  Marra Vincenzo —  Matteno Saverio — Magi FrancescoPaolo —  Oronzini Vitoronzo — Can. Pagliara Giuseppe — Polito Giovanni — Polito Salvatore — Polito Gioacchino — Pagliara Francesco —  Pagliara Vitantonio —  Pagliara Camillo — Perrone Vincenzo — Poso Arcangelo — Quarta Pasquale — Raganà Francesco — Rosato Nicola —  Rosato Antonio — Rosato Salvatore —  Romano Nicodemo — Romano Antonio — Spedicato Luigi — Spagnolo Vincenzo — Spagnolo Salvatore — Tornatola Antonio — Tarallo Antonio — Tarallo Nicola — Taurino Agostino — Taurino Vincenzo — Can. Taurino Carlo —  Taurino Pasquale, medico.

Cellino (1).

La Plebe al Monte Sacro.

Martina Giuseppe, medico; G... M...

Caputo Andrea, 2° grado, Patriotta e Filadelfo, Legionario.

Merlano Natale, idem.

Nolontini Marco, 2° grado.

Blasi Francesco, 2° Assistente, Milite; nel 1817 Patriotta e Filadelfo.

Bolognini Leonardo, 2° Assistente; Patriotta e Filadelfo nel 1817.

Bavaro Mario, idem.

Bolognini Tommaso, Elemosiniere, nel 1817 Filadelfo.

Macchitella Gioacchino, fu anche Filadelfo o uno dei Decisi.

(1) I numi preceduti dall'asterisco non sono compresi negli elenchi del Palumbo.

Prete Carlo, 1° Assistente, nel 1814 Filadelfo.

Pecorari Leonardo, Sacerdote, Segretario, nel 1818 Filadelfo. Spada Francesco, G... M..., Filadelfo nel 1816.

Schipa Abele, anche Filadelfo.

Schipa Raffaele, Filadelfo e Legionario.

Sabella Sabatino, idem.

Scarambone Luigi, idem.

Ippolito Francesco, 2° grado, nel 1816 Filadelfo e Cassiere dei Patriotti.

Mazzotta Domenico — Mazzotta Andrea — Pagano Massimiliano — Pagano Giuseppe — Renna Domenico — Renna Vito — Ramires Giuseppe.

Copertino (1).

I Figli della Ragione.

Francesco Verdesca Zaini, G... M..., istallatoli della Vendita, Cavaliere di Tebe, Filadelfo e Capo dei Patriotti (2), Legionario volontario.

Verdesca Luigi, Gran Cordone, Af fumato Massone, Patri otta e Filadelfo (3).

Paglialunga Luigi, medico, Cavaliere di Tebe, “incendiario„.

Frassanito Arcangelo, Sacerdote, G... M... ed Elettore nel nonimestre.

Angiolelli Antonio, 2° Assistente, nel nonimestre Sindaco Costituzionale, 1° Tenente della Legione.

 Angiolelli Lorenzo, Maestro, Patriotta.

(1) Arch. Prov. di Lecce, voi. cit., Nota del R. Giudice Pasquale Sansovito del 1830.

(2) La setta dei Patriotti in questo Comune ebbe molti affiliati: il Campo aveva per titolo La Fenice. 11 Palumbo (op. cit., pag. 202) crede che questo titolo spetti ad un'altra Vendita di Carboneria di cui fu G... M... Arcangelo Frassanito, Sacerdote.

Semplicemente Patriotti furono :

*Marò (de) Ippazio, *Ambrosio (de) Pasquale, *Martino (de) Carlo, *Felline Ippazio, *Frassanito Gaetano, Prete Tommaso, Legionario, *Prete Oronzo, id., *Palma Andrea, Quarta Francesco di Oronzo, *Ruberti Giuseppe e moltissimi altri che furono anche Carbonari (ibidem).

(3) Gr. Arch. di Stato di Napoli, nota del Lotti, f° cit.

Buono Bartolomeo, Maestro, Sergente Legionario.

Greco Donato, id.

Greco Vincenzo, Cavaliere di Tebe; uno degli Istallatori della Vendita, dove occupò il posto di 1° Assistente, Legionario volontario.

Prete Francesco, Maestro e Legionario.

Briganti Pasquale, idem.

Cardigliano Giampietro, G... M... ; nel nonimestre fu Consigliere Distrettuale.

Lupo Achille, Intimatore e Legionario.

Frassanito Luigi, idem.

Cosma Oronzo, Maestro; durante la proclamazione della Costituzione portò in giro pel paese la bandiera tricolore., Canonico Miele, Segretario e Legionario.

Canonico Bove, idem.

Canonico Pisacane, Segretario.

Canonico Calcagnile, Oratore.

Villanova Pietro, Cav. di Tebe e Capo dei Patriotti, Legionario volontario.

Calcagnile Francesco, Cav. di Tebe, Istallatore della Vendita, Patriotta.

Martino Salvatore, Maestro e Legionario.

Pascalis (de) Vincenzo, Maestro, Cassiere, 1° Tenente dei Militi.

Giuliani Giuseppe, Segretario, G. Bolli c Suggelli; Intimatore, Foriere della Legione.

Lacarà Demetrio, Maestro c Copritore.

Palma Gaetano, Maestro ed Elemosiniere, 1° Sergente.

Paglialungn Gaetano, Canonico, Maestro, Oratore, effervescente.

Quarta Giuseppe, Ricevitore del Registro c Bollo, Maestro.

Schirardi Francesco, Maestro, Legionario.

Strafeli a Vincenzo, Maestro, Sergente Maggiore dei Militi.

Verdesca Zaini Pietro, Maestro, Capitano della Legione.

Verdesca Bax Luigi, G... M...

Samuele Pietro, Oratore.

Verdesca Bax Francesco — Bernardino Greco — Luigi Nuzzaci — Angioletti Salvatore — Bucci Gennaro —Biscozzo Marino — Sedecino Francesco — Verdesca Pietro — Briganti Francesco — Rizzo Francesco — Amato (do) Salvatore — Lezzi Angelo — Aerdesca Vincenzo —

Martino (de) Carlo — Palina Gaetano — Dominicis (de) Nicola —  Francesco Greco —  Lezzi Antonio — Nuzzaci Angelo —  Nuzzaci Luigi —  Ausonio Orlando — Prete Samucde —  Pisacane Giuseppe —  Pisacane Vitantonio —  Varatta Donato (1).

Leverano (2).

I Pioli di Sofia.

Bonavoglia Raffaele, di Lecco, domiciliato a Leverano. Tramacere Salvadore, Canonico di Veglie, G... M... e 1° Oratore; istallò la Vendita nel suo paese (3).

Costantino Giacinto, G... M...

Centonze Giovanni, medico, 1° Assistente, Legionario volontario. Patera Salvatore, 2° Assistente.

Gorgoni Raffaele, Canonico, Cassiere.

Greco Andrea, Intimatore.

Levrò Salvatore, Cavaliere di Tebe, Capitano dei Militi. Marotta Pietro, Canonico, Oratore.

Patera Francesco, Elemosiniere.

Savino Salvatore, Copritore.

Calcagnile Giovanni, Terribile.

Calcagnile Salvatore, Canonico, Maestro.

Cassano Pasquale, monaco antoniano, Maestro.

Zecca Giuseppe, Maestro.

 Gargani Luigi, G... M...

La Motta Ruggiero, Capitano dei Militi.

Perrone Giovanni, Maestro.

Perrone Nicola, idem.

Pierri Pietro — Margapoti Nicola — Savino Giovannicola — Zecca GiuseppeVito — Cazzella Raffaele — Miglietta Salvatore — Spacciante Oronzo.

(1) Palumbo afferma che l’elenco sia di 77 affiliati, invece è di 57.

(2) Arch. Prov. di Lecce, nota del R. Giudice Sansovito, vol. cit.

(3) Non in Leverano, come dice il Palumbo.

Magliano (1).

 Antonio Mello, Sacerdote, Capo e GL. M... della Vendita.

Giosuè Pati — Pietro Tretuzi — Paladini Oronzo — Licci Bonaventura — Licci Salvatore — Licci GiuseppeAntonio — Spedicato Salvatore —  Petrelli Francesco — Petrelli Pietro — Antonio de Pascale — Paladini Francesco — Tornasi (2) (de) Giovanni — Tornasi (de) Michelangelo — Tornasi (de) Diego — Brescia Salvatore — Quarta Luigi — Spedicato VitoOronzo.

Martano (3).

Martello Martucci, G... M...

Oronzo Stampacchia — Saracino Nicola — Marchese Giuseppe — Macchia. FrancescoSaverio — Fazzi Domenico — Brav Pantaleo (4).

Monteroni (5).

I Figli di Muzio Scevola.

 Oronzo Mello, G... M...

(1) Arch. Prov. di Lecce, voi. cit., nota del R. Giudice di Monteroni, Bodini, del 1561829.

(2) E non Tommaso (Palumbo, op. cit., pag. 203).

(3) Cfr. Palumbo, op. cit., pag. 203.

(4) In Martignano, contrariamente a quel che dice Palumbo (op. cit., p. 203), non fu (stallate nessuna Vendita di Carboneria: vi fu introdotta solo la setta dei Filadelfi prima del 1820. Presidente della Camera Filadelfia fu Corrado Giovanni, altri affiliati furono quelli che il Palumbo riporta come BB... CC...

Cosi in Zollino non fu neppure istallata alcuna Vendita, e i liberali di questa borgata erano affiliati alle Vendite di Sternatia, o di Corigliano, o di Soleto, paesi vicini. Settari di Zollino furono: Castellano Domenico, Castellano Giovannandrea, Maggio Leonardantonio, Palmi Vitantonio.

(5) Cfr. Palumbo, op. cit., pag. 203.

Lequile (1).

Nicola Laudisa, GL. M... ; costruì a proprie spese il locale dove si riuniva la Vendita. Nel nonimestre riceveva le offerte, che si facevano in favore del Governo Costituzionale.

Albanese Vitantonio, 1° Assistente.

Pagliarini Salvatore, 2° Assistente.

Capone Gaetano, Oratore.

Capozza Pasquale, Esperto.

Greco Giampietro, Maestro di Cerimonie.

Greco Giuseppe, Segretario. Noi 1816 istallò la Sala Filadelfica e no fu Presidente e poi Esperto.

DonatoMattia Calzato, Legionario volontario.

Scardino Paolo, Cassiere.

Capozza Luigi, uno dei Membri del Dicastero di Lecce.

Novoli (2).

Il Nuovo Carbone.

Perrone Francesco di Paolo, G... M..., da Lecce, domiciliato a Novoli; Capitano della Legione, non partì però pei’ l’Armata. Nel 1817 fu anche Capo dei Patriotti e dei Filadelfi.

Tarantini Raffaele, Oratore; Patriotta nel 1817; Tenente della Legione.

Gregorio Porci, di Manduria, Capitano della Legione.

Leonardo Giampietro, Tenente della Legione.

Degli Atti Savorio, Terribile; Tenente della Legione; nel 1817 Filadelfo e Dignitario dei Patriotti.

Miglietta Paolino, Tenente della Legione.

(1) Questa Vendita manca in Palumbo. Nel piccolo comune di Caballino ebbe molti affiliati la Sala Filadelfica:  Marchiello Raffaele, Presidente, antico Carbonaro, Luca (de) Tommaso, Oratore, Monittola Donato, 1° Sorvegliante, antico B... C..., Luca (de) Luigi, Segretario, ‘Aprile Giovambattista,  Arigliano Giuseppe (Arch. Prov. di Lecce, vol. cit. ).

(2) Ibidem.

Tarantini Giuseppe, Capo dei Patriotti nel 1817, “Tenente forzoso dei Militi„.

Beli Luigi, 1° Assistente, Patriotta nel 1817; Sergente dei Legionari.

Beli Giuseppe, 2° Assistente.

Tarantini Raffaele, Oratore.

Miglietta Luigi, G. Bolli e Suggelli.

Miglietta Pasquale, Esperto, Foriere della Legione, non partì per l’Armata; nel 1817 Patriotta.

Cosma Giovanni, Intimatore; nel 1817 Patriotta e Filadelfo.

Tarantini Paolo, Sergente dei Legionari.

Matteis (de) Donato (1).

2a Vendita (2).

Francesco Orlandi, G... M...

Beli Domenico, Maestro, Patriotta nel 1817, Legionario.

Sac. Franciòso Giuseppe, 1° Assistente.

Matteis (de) Salvatore, 2° Assistente.

Orlandi Domenico, Oratore.

Matteis (de) Donato, Esperto; Patriotta nel 1817. “Sergente forzoso dei Militi, partì per l’Armata„.

Soleto (3).

Il Sole Rallegrato.

In questo comune prima del 1820 esisteva solo una Sala Filadelfica; la Vendita Carbonara fu istallata negli ultimi tempi della Costituzione.

Can. Luigi Orsini, G... M... o Presidente dei Filadelfi (4).

(1) Spiridiono Papadia, Salvatore Cleopazzo, Leone Viggione, Gaetano Taurino, Vincenzo Petrucci, Raffaele Miglietta, Michelangelo Ruffo, Francesco Rampino, che il Palombo (op. cit., pag. 203) segna come affiliati a questa Vendita, sono invece affiliati alla Vendita di Tropuzzi.

(2) Questa Vendita sorso negli ultimi tempi del novilunio per scissura dalla prima: non se no conosce il titolo.

(3) Arch. Prov. di Lecco, vol. cit

(4) Il Palumbo dice G... M... Athauasi Giuseppe, che fu settario semplice, «ebbene affiliato allo Vendite di parecchi comuni.

Sergio Bonaventura, 1° Assistente.

Abbaterusso Pasquale, Filadelfo.

Campa Ippolito, Segretario; occupò anche tale carica nella Sala Filadelfica. Prima del 1820 fu affiliato alle Vendite di altri comuni vicini.

Gervasi Giuseppe, di Vito, Filadelfo e Legionario.

Luca (de) Realino, medico; Elemosiniere, Filadelfo.

Mancarella Salvatore, 2° Assistente, Tenibile, Filadelfo; affiliato anche ad altre Vendite.

Manca Alessando, G. Bolli e Suggelli.

Manca Felice, Maestro di Cerimonie, Esploratore interno ed esterno.

Romano Giovanni, Oratore.

Valente Francesco, Esperto, Presidente dei Filadelfi.

Serra frate Ottavio, o Agostiniano.

Scarpa Domenico, Ufficiale della Legione.

Salvatori Giuseppe — Sergio Ignazio — Ripa Giuseppe. — Renna Luigi — Ruzzaci Bonaventura — Manca Francesco (1).

Torchiarolo (2).

Marangio Francesco, G... M..., Capitano della Legione; “effervescente, col denaro somministrava i mezzi, e col consiglio infondeva ai Legionari coraggio per partire alla difesa della Costituzione Miglietta Raffaele, Segretario; Tenente della Legione, Filadelfo.

Marangio Pasquale, 1° Assistente.

Sac. Renna Oronzo, Oratore.

Pezzuto Francesco, Terribile.

Tarantini Andrea, M. di Cerimonie.

Greco VincenzoLuigi, 2° grado.

Andrioli Geremia —  Candì Vincenzo —  Arpa (de) Domenico —  Rinaldis (de) Ricola —  Anna (de) Isaia —  Delle Gemme Oronzo —

(1) Mangione Carlo e Mangione Donato, che il Palumbo riporta come BB. . CC..., furono solo Filadelfi.

(2) Manca questa Vendita in Palumbo (ivi).

Marciante Bonaventura —  Manga Vincenzo — Marzotta Pasquale —  Manga Lorenzo —  Manga Vito — Pennetta Giacinto —  Palma Antonio — Papaleo Giuseppe  Bambino Vincenzo —  Serinetti Vito —  Spagnolo Luigi  Serinetti Giuseppe —  Tarantini Orazio —  Tafuro Pasquale  Vergalio Giuseppe.

San Pietro Vernotico (1).

Schiavi Liberi.

Pennetta Vincenzo, G... M... ; nel 1814 Filadelfo, Tenente dei Militi.

Giacomo Baldi, 2° grado, Filadelfo graduato, Sergente Legionario.

Marco (de) Raffaele, 4° grado; Oratore nel nonimestre, Filadelfo, Legionario graduato.

Simone (de) Vito, 4° grado, 2° Assistente.

Marco (de) Francesco, 3° grado, M. di Cerimonie, 14 effervescente„.

Dell’Abate Carlo, 2° grado.

Marco (de) Mingo Giuseppe.

Elia Gregorio, 2° grado.

Fumisetto Sebastiano, 2° grado.

Grasso Felice, 3° grado, Filadelfo nel 1818, Sergente Maggiore Legionario.

Pennetta Massimo, 2° grado, idem.

Pennetta Giuseppe, 3° grado, idem.

Rizzo Giuseppe, 1° Assistente.

Tardio Gioele, 3° grado, Filadelfo.

Val sano Luca, 4° grado.

Vaisano Andrea —  Tardio Nicola —  Tarantino Santo Vincenzo —  Tarantino Leonardo —  Tardio Domenico —  Sollazzo Pasquale —  Sollazzo Giuseppe —  Sollazzo Carmine —  Palazzo Raffaele — Sollazzo Pietro — Paradiso Giuseppe — Pennetta Luigi — Molli Pietro — Molli Giuseppe — Marangio'Pasquale — Leo Vincenzo — Giurgola Raffaele — Elia Francesco — Simone (de) Vincenzo — Delle Gemme Oronzo.

(1)  Ibidem.

Sternatia (1).

Marchese Granafei Donato, G... M... ; istallò in questo comune la Sala Filadelfica prima del 1820. Fu Presidente, Oratore in parecchie VV. e; Massone nella Loggia di Otranto, e promotore di sètte in molti comuni. Presidente della gran Dieta Carbonica di Galatina del 25 novembre 1817. “Uomo di talento, si avvicinò al Generale Church, poi tornò all’effervescenza Cerbino Orazio, affiliato alle VV. ® di parecchi comuni prima del 1820; 1° Assistente nella Sala Filadelfica, “effervescente nel novilunio„.

Maggiore Francesco, Segretario dei Filadelfi.

Marti Giorgio, Legionario, anche Filadelfo (2).

Patera Luigi, affiliato alle W. ® di altri comuni prima del 1820, 2° Assistente dei Filadelfi (3) e 2° Tenente della Legione.

Roncella Vitantonio, B... C... anche prima del 1820, Oratore nella Sala Filadelfica (4).

Squinzano (5).

In questo comune vi furono due Vendite, l’una denominata dei Pittagorici) l’altra II sollievo dell'umanità.

I PITTAGORICI.

Sac. Papa Francesco, G... M..., “effervescente„, Filadelfo. Andriani Luigi, Medico, 2° grado, Filadelfo. Ampolo (de) Ippazio, Filadelfo.

Cocciòlo Vincenzo, 2° grado, Filadelfo.

(1) Ibidem.

(2) Il Palumbo scrive: Marsa e 1° Assistente.

(3) Non della Vendita (Palumbo, ivi).

(4) In questo Comune la Sala Filadelfica ebbe maggior numero di affiliati della Vendita Carbonara. Fu CapoSquadriglia:  Orlandi Domenico; altri affiliati:  Orlandi Pasquale, Zezzari Francesco, Roncella Vitantonio, etc.

(5) Archivio Prov. di Lecce, vol. cit., nota del R. Giudice Fasano, del gennaio 1830.

Campa Nicola, 2° grado.

Sac. Elia Nicola, 2° Assistente, Filadelfo fin dal 1818.

Sac. Domenico Fiore, Oratore.

Fiore Vincenzo, Cassiere, Legionario volont., Filadelfo nel 1816.

Margilio Vito, 3° grado.

Margilio Domenico, 2° grado.

Margilio Giosuè, idem.

Margilio Costantino, Segretario, Sergente Maggiore della Legione.

Papa Salvatore, 1° Assistente.

Papa Filippo, 2° grado.

Pulii Vito, Sindaco nel nonimestre.

Rainò Alessandro, 2° grado.

Vecchio Vito — Vecchio Nicola — Tarantino Francesco — Tornasi Vincenzo — Tornasi Oronzo — Serinelli Leonardo — Schiavoni Giovanni — Quarta Andrea — Persano Michelangelo — Perrone Pasquale — Papa Giovanni — Polito Angelo — Palma GiuseppeNicola — Palmieri Giovanni — Papa Francesco — Pagano GiuseppeAntonio — Manga Angelo — Mazzotta Vito — Leone Donato — Longo Pasquale — Sac. Ferrari Saverio— Ghezzi Salvatore — Centonze Giovanni — Centonze Gaetano — Caretti Luigi — Buonerba Luigi.

Il Sollievo dell’Umanità.

Castro (de) Giovanni, G... M. ., Capuzzimati Pietro, 1° Assistente.

Blasi Giuseppe, 2° Assistente, “effervescente; amò spargerò il veleno di quel sentimento„.

Cleopazzo Giosuè, Segretario, Sergente Legionario.

Cleopazzo Luigi, Cassiero, Sorgente Legionario.

Sac. Cleopazzo Teodoro, 2 grado.

Miglietta Oronzo, 1° Assistente.

Marino Pasquale, 2° grado.

Rzovito SantoPasqualo, Elemosiniere.

Angioletta Vincenzo — Bruno Saverio — Blasi Francesco — Cocciòlo Nicola — Anna (de) Vincenzo — Di Castro Oronzo — Sac. Ippolito Luigi — Marino Nicola — Marzo Raffaelo — Marzo Salvatore

— Margilio Donato — Pagano Saverio — Papa Faconda Francesco — Pulii Nicola — Pennetta Pasquale — Polito Collega Saverio — Passanti Giuseppe — Pulii Saverio — Roviti Michelangelo — Scargione Vito — Scozzi Michele — Tarantini Saverio — Taurino Domenico.

San Cesario (1).

Nicola Lettere, G... M...

Sac. Pasquale Andrioli, 1° Assistente e Presidente della Sala Filadelfica.

Pascali Gaetano, 2° Assistente.

Cajaffa Gaetano, Sacerdote, Oratore anche nella Sala Filadelfica.

Giorgi (de) Alessio, Segretario, istallatoli della V. ‘ Carbonara e della Sala Filadelfica; nel 1817 fondò il Club Patriottico; nel nonimestre fu uno dei membri del Dicastero del Distretto di Lecce, Capitano dei Militi.

Giuseppe Cesario, Esperto e Presidente della Sala Filadolfica.

Sac. Nicola Pascali, M. di Cerimonie.

Cesario Romano, Cassiere, “costruì nel nonimestre la bandiera tricolore e insieme con molti altri la portò in trionfo per le vie del paese, gridando: “Viva la Costituzione! Viva la libertà! Muoiano i tiranni!„.

Casciòne Giuseppe, Assistente.

Nicola Licastro — Greco Giuseppe — Monittola Donato — Vito Quarta — Salvatore Pagliarini — Giovanni Licastro (2).

(1) Arch. Prov. di Lecce, vol. cit., nota di Carelli.

(2) In questo comune la Sala Filadelfica ebbe molti affiliati. Oltre quelli già notati vi appartennero:  Francesco Cajaffa, Segretario; Elia Cesario di Cesario, 1° Sorvegliante; Elia Pietro di Francesco, 2° Sorvegliante;  Celestino Faggiani, Segretario;  Giuseppe Manno di Vito, 1° Sorvegliante;  Pascali Gaetano di Cesario, 2° Sorvegliante;  Manno Cesano di Nicola, Presidente, Capitano Legionario;  Manno Giuseppe di Nicola, Segretario e Tenente Legionario;  Elia Salvatore di Pasquale, Oratore; Michele dell’Anna, 1° Sorvegliante; Ignazio Altanese, 2 Sorvegliante; Giuseppe Casciòne, Oratore, Tenente dei Militi, partì per l’Armata.

Trepuzzi (1).

In questo comune vi furono due Vendite; l’una istallata nel 1816 era denominata l'Usbergo della Virtù, l’altra Campo di Maratona.

Usbergo della Virtù.

Papadia Spiridione, Sacerdote, G... M... ; capo dei Filadelfi e dei Patriotti.

Raggione Leone, 1° Assistente.

Taurino Gaetano, 2° Assistente.

Rucco Michelangelo, Oratore, Filadelfo e Patriotta, Sergente della Legione.

Taurino Raffaele, Cassiere, Patriotta e Legionario.

Sac. Renna Roberto, Segretario.

Petrucci Paolo, G. Bolli, Filadelfo e Patriotta; fu nel 18161817 autore di molti disordini.

Rampino Francesco, Terribile, Patriotta e Legionario.

Campo di Maratona.

Cleopazzo Salvatore, G... M... ; istallatore di una Società segreta in Trepuzzi; capo dei Filadelfi e dei Patriotti, Legionario effervescente.

Petrucci Savorio, 1° Assistente, Capitano della Legione.

Miglietta Raffaele, 2° Assistente, Tenente della Legione.

Perrone Gregorio, Oratore; Patriotta nel 1817.

Rucco Salvatore, Medico, Cassiere; Patriotta nel 1817; Legionario volontario.

Renna Luca, Esperto.

Taurino Vincenzo, Segretario.

Giurgola Oronzo, G. Bolli o Suggelli.

Sac. Papadia Angelo, Copritore e Maestro; capo dei Patriotti nel 1817.

Perrone Angolo, Maestro, Uffiziale della Legione.

Parlangeli Raffaele, Terribile, Legionario.

(1) Ibidem.

Circondario di Brindisi.

Brindisi (1).

I Liberi Piacentini.

Giovanni Crudo, G... M... ; nel 1817 fu uno dei Decisi e Capo dei Filadelfi; Capitano della Legione.

Lavi a ni Cosimo, Maestro e Maggiore della Legione.

Mazzotta Carlo, Maestro e Membro del Dicastero dei Carbonari, “promotore di sètte con entusiasmo„.

Palma Francesco; appartenne a tutte lo sètte, di cui fu uno dei primi promotori; Gran Venerabile dei Massoni, forniva i locali per le seduto settarie.

Massoni Teodoro, 1° Assistente in una (2) dello Vendite; promotore di sètte.

Ripa Lorenzo, Maestro e Massone.

Risi Oronzo, Maestro, Segretario dei Filadelfì, Legionario graduato, effervescente.

Resta GiuseppeDomenico, Maestro.

Castro (de) Oronzo, 1° Assistente e Filadelfo.

Gennaro del Giudice, Segretario, Massone.

Palmantonio Lupo, Deciso.

Mauro Gusman, Segret. e Filadelfo.

Ercolini Pasquale, G. Bolli e Suggelli.

Francesco del Buono, Oratore.

Teodoro Corrado, M... e Massone.

Berardi Carlo, Filadelfo e Deciso.

Giaconelli Giovanni, Segretario dei Filadelfì e Deciso.

Alessano Giuseppe, M... e M. '.

Bragadi Marcantonio, M... e Deciso.

Capozzello AntonioPaolo, Filadelfo e Deciso.

Marzo (de) Antonio, M...

Pace (de) Francesco, Filadelfo.

Graziani Stanislao, Filadelfo e Deciso.

(1) Arch. Prov. di Lecce, vol. cit., nota del Sottintendente, 1° giugno 1829.

(2) Da ciò si deduce che in Brindisi vi fu più di una Vendita.

Fomaro Teodoro, idem.

Giannotta Vincenzo, idem.

Balsamo Giovanni, M...

Pierri Tommaso, Filadelfo e Deciso.

Taliente Antonio, M...

Roma (de) Leonardo, Intimatore e M. Guerino Francesco, Filadelfo. Munni Vincenzo, Deciso.

Palmisano Francesco, id. e Filadelfo.

Fedele Agostino, id. e M. '.

Bruni Giacomo — Toma (de) Felice —  Virgilio Catena — Amico (de) Francesco —  Angelo (de) Vittorio —  Vincenzo della Corte — Taliento Giovanni — Pace (de) Vincenzo — E adisi Giuseppe — Carasso Giuseppe —  Giovanni Sala.

San Vito (1).

Leonardis (de) Michele, istallatore.

Sac. Leonardis (de) Giuseppe, G... M...

Luca (de) Luigi, 1° Assistente e capo dei Filadelfi.

Matteo Galasso, Oratore.

Ruggiero Vito di AngeloVito, Tesoriere e Filadelfo.

Sinigallo Vincenzo, Medico, Oratore sostituto.

Cavaliero Vito Salvatore, Segretario anche dei Decisi e dei Filadelfi.

Raffaele Carena, Deciso e Filadelfo.

Padre Galasso (dei Minori Osservanti), idem.

Padre Pietro di San Vito, Filadelfo.

Rosiello Francesco, notaro; Filadelfo; Sergente Maggioro della Logiono.

Carbatti Francesco, idem.

Lanzillotti Tommaso, id., e Capitano della Legione.

Sardolli Giuseppe, id., o Sergente Legionario.

(1) La Vendita di questo Comune e quelle di Carovigno, Ostuni, Oria, Torre (Arch. Prov. di Lecce, vol. cit., nota del Sottintendente di Brindisi, giugno 1829) non sono notato dal Palombo. Anche il piccolo Comune di Torre ebbe una Vendita; ne fu G... M...  Giuseppe Conte; BB... CC...  Carlo Cursi,  Giuseppe Sol lazzo, etc.

Greco Giacinto, Patriotta e Filadelfo; Legionario volontario.

Leo Luigi, Filadelfo.

Buonsanti Francesco, Capo Solitario.

Francavilla DomenicoOronzo; Sindaco nel nonimestre, Filadelfo, Sottotenente Legionario.

Patacca Francesco, Capitano dei Legionari.

Membola Raffaele, Tenente dei Militi.

Laurentis (de) Crocifisso, idem.

Epifani Francesco, Deciso e Presidente dei Filadelfi.

Agnano (de) Nunzio, Filadelfo, Deciso.

Tommaso Lo Re — Rosiello Angelo — Giannuzzi Pasquale — Buonsanto VitoGiuseppo — Rosiello Vincenzo — Rosiello DomenicoDonato — Leopazza Francesco — Agnano (de) Raffaele — Albanese Domenico — Cavaliere Francesco.

Carovigno.

Andriani Vincenzo, G... M..., Filadelfo.

Trisolini Luigi, 1° Assistente, M. '., Legionario.

Carlucci Giuseppantonio, 2° Assistente, M., Legionario o promotore di sètte.

Pomes Vito, Oratore, M. Trisolini Francesco, Tesoriere; rivoluzionario del 1799; offriva i locali, dove si riuniva la V. pei travagli.

Mola (do) Giuseppe, Segretario, M. Filomena Vincenzo, exmonaco, effervescente, M. Sac. Rondelli Vito, M. Mola (de) Alessio, M. '.

Prima Pietro, effervescente.

Cavallo Michele, M. ; turbolento nel 1S17.

Pomes Vito Maria, M. ; turbolento nel nonimestre.

Marino Giuseppe Andrea; Filadelfo e Capo Solitario (1), Maggiore della Legione.

(1) La setta dei Filadelfi — introdotta la prima volta nel Regno da quei militari che ritornavano in patria provenienti dall'Armata Napoleonica che si era ritirata dietro la Loire nel 1814-15 — ebbe dapprima il titolo di Greci in Solitudine — onde Capo Solitario dicevasi il Presidente. — Tale setta tendeva alla democrazia: ogni socio poteva iniziare solo cinque individui, e le riunioni erano dette Camere, Squadriglie, Compagnie, etc.

Pietro Cavallo — Carlucci Salvatore — Del Prete Clemente — Cavallo Carmine — Simone (de) Francesco — Fedele Marino — Carlucci Andrea Germano — Mola (de) Vincenzo — Mola (de) Domenico — Cavallo Tommaso — Cavallo Ferdinando — Cavallo Vito — Morelli Cosimo — Carlucci Salvatore — Brando Mariano — Brando Vincenzo — Brando Domenico — Saponaro Michele — Scorano Giuseppe — Adamo (de) Giuseppe — Pomes Angelo.

Ostuni.

Maresca Antonio, G... M..., Ufficiale dei Militi.

Solari Angelo, 2° Assistente, Tenente della Legione.

Semerano Giacomo, Tenente della Legione.

Rosselli Giuseppe, Sergente Maggiore.

Cesaria Leonardo, M... e Capitano della Legione.

Semerauo Alessandro — Manelli Antonio — Andriella Angelo Annibaie Pantaleo — Saponaro Antonio — Cisternino Angelo Moro Arcangelo — Cesaria Antonio — La Fina Bartolomeo Tagliente Bonaventura — Lurlo BenedettoFedele — Avroldi Carlo — Rodio Donato — Collie DomenicoNicola — Aurisicchio Domenico — Bax Domenicoronzo — Attanasio Domenico — Calcagno Eustachio — Martucci Emanuele — Avroldi Franc. Pietro Saponaro Flaminio — Pinta Francesco — Giannotta Francesco Greco Francesco — Calabrese Francesco — Manelli Francesco

Questa setta in Prov. di Bari — dove fu anche detta dei Cinque, ovvero Silenzio dei Greci — ebbe largo seguito di affiliati ad Andria, Corato, Bisceglie, Canneto, Molfetta, Putignano e Rutigliano (V. De Ninno G., La setta dei Carbonari in Bari nel 18201821, Bari, 1911, pag. 52). Al titolo di Greci in Solitudine fu poi sostituito quello di Filadelfi, e con tal nome si estese moltissimo in Terra d’Otranto nel 1817.

Il segno era di portare la palma della mano destra sul cuore, con lo due dita medio unite, ma l’indice o il medio alquanto staccati. Il toccamento o il segno occulto si davano porgendo la destra alla destra del compagno; il pollice della mano di questo batteva tre colpi a tempo uguale sul primo nodo del pollice dell’altro. Vi si riconoscevano tre gradi. I motti del lu erano: Aretè-Sighè (Virtù, Silenzio); quelli del 2°: Filos-Aletès (Amico della Verità); o quelli del 3°: È morto il Papa. Risp. : Fatevi onore.

(Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Panel. 25, vol. 10°, a. 1828, Rapporto umiliato a S. M. su la scoperta della setta dei Filadelfi).

Ferdinando Lotesoriere — Arcangelo Lotesoriere — Tangarella Francesco — Vincenti Giovanni — Anna (de) GiuseppeTommaso Miccoli Giacomo — Tamborino Giuseppe — Falgheri Giuseppe Tamborino Giovanni — Spani GiuseppeMaria — Trincherà GiacomoOronzo — Cesaria Giacomo — Massaro Livino — Tamborino Ludovico — Spennati Nicola — Trincherà Marcantonio — Calò Nicola — Pratino OronzoNicola — Specchia Paolo — Melpignano Pasquale — Taliente Pasquale — Andriola Riccardo — Calò Stefano — Avroldi Stefano — Massari Tommaso — Cesaria Vincenzo — Lito Vincenzo — Angloni Vitoronzo.

Oria.

Gravanese Giacinto, G... M...

Santoro Francesco — Marsella Nicola — Corrado Giuseppe — Italiano Francesco — Lacenero Teodoro — Martini Giuseppe — Pinto Zaccaria — Patisso PietroEmanuele — Panteri Domenico Martini Giulio — Santoro Fedele — Salerno Giuseppe — Cosano Vito — Toscano Celestino — Conti Francesco — Russo Mario Russo Francesco.

Ceglie (1).

Termetrio Domenico, Istallatore e 1° G... M... ; “insegnava precetti settari e liberali, ed iniziava novizi nella Chiesa di Sant’Anna Allegretti Pietro, M...

Allegretti Stefano; prima del nonimestre Portiere e Copritore; durante il nonimestre Maestro e Cassiere; 1° Tenente della Legione. Antelmv Ferdinando, M...

Antelmv Nicola, idem.

Can. Altavilla Pietro, idem.

Sac. Luigi Biondo, Elemosiniere.

Bruno Giovannantonio, 3° grado.

Ciciriello Pasquale, 4° grado, Sergente dei Legionari.

Calandro Pietro, Notaio, 4° grado.

(1) Arch. Prov. di Lecce, vol. cit., nota del R. Giudice Foresio.

Greco Francesco Paolo, Oratore, 4° grado.

Chirico Rocco, 2° grado.

Greco Nicola, 3° grado.

Sac. Gioja Pasquale, 2° grado.

Gioja Cosimo, idem.

Gioja Francesco, idem.

Lodedo Giuseppe, Notaro, idem.

Lupoli Francesco — Lupoli Giovanni, idem.

Nannavecchio Stefano, 4° grado.

Principalli Giacomo, 1° Assistente, 4° grado.

Putignano Francesco, 2° grado.

Suma Lorenzo, Cappuccino, idem.

Suma Pietro, idem.

Vitale Eligio, G... M... ; 4° grado; fece ascrivere alla Carboneria anche le donne della sua famiglia.

Gaetano Carlucci, 4° grado.

Vincenzo Carlucci, idem.

Principalli Giacomo, idem.

Cristofaro Giuseppe, idem.

Ricca Francesco, 2° grado.

Domenico Carlucci, 4° grado, M... (1).

Antonio Gioja, 2° grado.

Giovanni Gioja, idem.

Tommaso Biondi, idem.

Cupoli Francesco, idem.

Suma Domenico, idem.

Ricca Francesco — Ricca Luigi —  Cristofaro Giuseppe —  Agostinelli Nicola —  Francesco Antignano — Urgeso Cosimo —  Palma Angelo — Lamarina Pietro — Pasquale Gioja — Urgese Giuseppe Oronzo — Palma Lorenzo — Ricca Giovanni — La Neve Giuseppe — Noci Paoloronzo — Oliva Giacomo — Oliva Domenico — Martinelli Pietro — Martinelli Giuseppe Onofrio — Leo Francesco — Leo Giuseppe Stefano — Lamarina Antonio — Faggiano Giuseppe — Raggiano Pasquale — Chirico Nicola — Caliandro Pietro — Chirico Francesco — Alò Giovanni — Argentiero Francesco — Altavilla Tommaso — Altavilla Bruno.

(1) l fratelli Carlucci, liberali fin dal 1799, andarono a piantare l’albero della libertà a Carovigno. Promotori di tutte le rivoluzioni a Ceglie.

Lattano (1).

Il Freno dell’Ambizione.

Martucci Clavica Francesco, Istallatore.

Ribezzo Paolo, GL. M...

Ribezzo Mosè, Esperto.

Rubino Tommaso, Tesoriere.

Nisi Francesco, M...

Ottini Giuseppe, idem.

Prima Vincenzo, idem.

Pepe Gaetano, idem.

Sac. Amendola Giovanni, idem.

Carlucci Filippo, idem.

Camassa Leonardo, idem.

Angelis (de) Raffaele, idem.

Nitto (de) Andrea, idem.

Nitto (de) Leuciò, Terribile.

Electis Vincenzo, Oratore.

Cosimo Francavilla, M...

Leuzzi Paolo, 2° Assistente.

Visi Vincenzo, M... e Tenente Legionario forzoso.

Amendola Luigi — Albanese Giuseppe — Brenda Alessandro Brenda Andrea — Baldaro Filippo — Cati Daniele, Segretario Nitto (de) Vincenzo — Electis (de) Tommaso — Mingolla Giovanni — Nardelli Tommaso — Rubino Celestino — Spinelli Francesco.

Francavilla (2).

Una prima Vendita di Carboneria fu istallata nel 1814 da Achille Prete, sotto il titolo di

(1) Arch. Prov. di Lecce, vol. cit., nota del R. Giudice Luigi Brasco, 8 gennaio 1829.

In questo comune vi furono molti Decisi.

(2) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1. Pand. 1494, F° 352, vol. 2°, e Arch. Prov. di Lecce, vol. cit., nota dell’Intendente, 6 aprile 1822.

Villa Libera.

Achille Prete, G... M...

Oronzo Mauro, Medico, 1° Assistente.

Il Maestro Sarti, ex-Carmelitano, Oratore.

Tommaso delli Fiori, Segretario.

Bonaventura MauroSegretari sostituti
Giuseppe Argentieri
Caniglia Giuseppe, Esperto.

Galante Nicola, Tesoriere.

Alessandro Prete, Dignitario.

Palazzo Angelo Paolo, G. Bolli e Suggelli.

Greco Raffaele, Esperto.

Palumbo Pietro, Economo ed Elemosiniere.

Letizia Tommaso, Infermiere.

Francesco Basile — Todaro Angelo — Gioffredi Saverio — Argentiero Cosimo.

Proclamatasi la Costituzione (11 luglio 1820) circa 200 individui istallarono un’altra Vendita (il 24 agosto 1820), sotto la denominazione di

I Figli di Rudia.

Ne fu promotore  Briganti Nicola di Lecce, organizzatore e capo il Lettore Scolopio  Giovan Vincenzo Licci.

Antonio Rosta, G... M...

Coco Tommaso, 1° Assistente.

Gioffreda Saverio, 2° Assistente.

Briganti Nicola, Oratore.

Lettore Licci, Segretario.

Giovan Leonardo Forleo, Esporto.

Giuseppe Oronzo Coco, M. di Cerimonie.

Luci Proprietarie.

Lettore Licci, G... M...

Notar Carlo (do) Mileto, 1° Assistente.

Giovanni Resta di Donato, 2° Assistente.

Antonio d’Ippolito, Oratore.

Giovanni Leonardo Forleo, Segretario.

Bonaventura Forleo, Segretario aggiunto.

Francesco Basile, Cerimoniere.

Francesco Formosi, Esperto.

Vincenzo Milone, Tesoriere.

Can. de Mileto, G. Bolli e Suggelli.

Francesco Forleo, Economo.

Gaetano d’Elia, Elemosiniere.

Giuseppe Teofilato, Infermiere.

Francesco Ponno, Maestro di Banchetto.

Francesco Forleo di Francesco, Copritore.

Oltre questa 2 Va se ne istallò nello stesso tempo una 3 numerosa di 300 e più affiliati, sotto la denominazione di Tempio dei Filadelfi o sotto la direzione o protezione della prima.

Promotori furono: Francesco Bruno di Martina, Vito Palumbo e Vincenzo Donativi; capo fu il dottor Serafino Caloro.

Vito Palumbo fu Oratore; egli “quale ignorante veniva rimpiazzato dal medico Gio. Tommaso Letizia Nel mese di settembre del 1820 il Lettore Licci ed il medico Oronzo Mauro si recarono a Lecce, per tenere coi Carbonari del Capoluogo un abboccamento, dopo il quale partirono subito per Napoli Achille Prete e G. Battista del Tufo, quali Deputati prescelti dalla Va  di Lecce (1).

Mesagne (2).

Messapi Liberi.

Astuti Giovambattista, istallatore; Ufficiale di Gendarmeria. Marseglia Benedetto, G... M...

Antonucci Luigi, 1° Assistente.

Antonucci Raffaele, M...

Biscoli Antonio, 2° Assistente.

(1) In Francavilla furono ascritti alla setta dei Decisi: Tommaso Coco, Domenico de Fazio, Pietro de Fazio e Raffaele Caroli ne fu il Cassiere.

La Sala Filadelfica ebbe per affiliati: Serafino Caloro, Presidente; Giovanni Capuano, 1° Sorvegliante; Luigi Attanasi, 2° Sorvegliante; Pasquale Costantini, Segretario; Vito Palumbo, Oratore; Carmelo Meo Beccaro, Tesoriere; Giovanni Lo Bello, Copritore.

(2) Arch. Prov. di Lecce, vol. cit., nota del R. Giudice Luigi Brasco, 8 gennaio 1830.

Cavaliere Annibaie, Tesoriere.

Capozza Pasquale, Oratore.

Guarino Vincenzo, Intimatore.

Bracciò Feliciano, M... e Furiere Legionario.

Ci polletti Basilio, idem.

Bucci Raffaele, M...

Caracciòlo Luigi, G... M... e Capitano della Legione.

Capodieci Francesco, 1° Assistente.

Cagnazzi Giovanni, 1° Assistente.

Cordoli Pietro, G... M... prima del 1820.

Cavaliere Ferdinando, M...

Cagnazzi Giovambattista, ex Paolotto, M... e Legionario, Sindaco nel nonimestre.

Risi (de) Carmine, 1° Assistente.

Ancona (de) Annibale, idem.

Falcone Gennaro, M... e Sergente Legionario.

Falcone Romualdo, 1° Assistente.

Guarini Ferdinando, Cassiere. .

Granafei Giorgio, M... e Maggiore dei Militi.

Leone Francesco, 2° Assistente.

Lozupone Tommaso, M... e Sergente Legionario.

Lagatta Luigi, M...

Majone Francesco, idem.

Marseglia Saverio, 1° Assistente.

Passaro Angelo, Terribile.

Profilo Giovanni, 1° Assistente.

Piccinni Giuseppe, G. Bolli o Suggelli.

Pasimoni Vincenzo, Oratore.

Zampitti Daniele, M...

Lupa rolli Angelo, 2° grado.

Romualdo Falcono, idem.

Benedetto Marseglia, idem.

Caracciolo Luigi — LTrgese Benedetto — Urgese Giovanni — Scoditto Giocondo — Ricci Cosimo — Ronzini Luigi — Rini Vincenzo — Rini Giuseppe — Roma Pietro — Ronzini Vincenzo — Ronzini Pasquale — Rubino Emanuele — Piccinni Saverio — Parlati Pasquale — Profilo Vincenzo — Foci Massimiliano — Prete Vincenzo — Politti Francesco —

Passaro Antonio — Pasimeni Emanuele — Profilo Cosimo — Pignatelli Vito — Montagna Paolo Montagna Raffaele — Montagna Marino — Micale Antonio Maizza Vincenzo — Magri Cosimo — Murri Crisanto — Manisca Antonio — Marino Carmelo — Marino Pietro — Morgese Francesco — Lupo Saverio — Luparelli Angelo — Franco Luigi Fasano Francesco — Elia Felice — Vincenti (de) Francesco Dello Diago Nicola — Pace (de) Giuseppe — Di Lecco Saverio — Mitri (de) Rocco — Nisi Giovambattista — Di Dio Pasquale — Cordoli Pietro — Castorini Matteo — Carluccio Felice Cavaliere Giuseppe — Cavaliere Annibale — Candido Mario  Cipolletti Nicola —  Buccella Luigi — Argentieri Francesco.

Salice.

Molti furono gli affiliati alle sètte in questo comune, specialmente BB... CC... e Decisi.

Il Palumbo (1) afferma esservi state due VV. di Carboneria, runa sotto la denominazione I Figli di Sofia, l’altra sotto quella 1 Figli della Vedova.

Senonché di quest’ultima noi non troviamo  né nella nota del R. Giudice Giovanni Palumbo del 14 agosto 1829,  né nei volumi tutti di Polizia dell’Arch. Prov. le di Lecce e del Gr. Arch. di Stato di Napoli alcuna traccia; dubitiamo quindi dell’affermazione del Palumbo, tanto più che con la denominazione: 1 Rodiatii Figli della Vedova, noi troviamo una V. istallata a Grottaglie.

Troviamo poi specificatamente appartenere alla V. I Figli di Sofia quelle persone che il Palumbo ritiene affiliate alla V. I Figli della Vedova.

I Figli di Sofia.

Baldassarre Pietro, G... M... ; notaio. Fu uno dei Decisi.

Briganti Francesco, Legionario volontario.

Capocolli Vittorio, Sacerdote. Nel 1817 e nel 1820 fu in Lecce imo degli organizzatori di tutte le sètte e istallatore di VVe. Fu “Grossa Luce ed Oratore della Loggia Massonica, riscaldato,,.

(1)  Op. cit., pag. 208.

Capocelli Filippo, Sacerdote; appartenne a varie sètte; soffri 10 anni di prigionia.

Capocelli Giovanni, idem.

Capocelli Lelio, Sacerdote, G... M... Occupò tutte le dignità settarie. Presidente dei Decisi e dei Filadelfi. Capitano della Guardia Civica.

Cordella Raffaele, Tesoriere, Sergente Maggiore, Legionario volontario, Deciso e Filadelfo.

Capocelli Luigi, Deciso; soffrì prigionia.

Capocelli Pasquale, idem.

Corigliano Arcangelo, Legionario.

Matteis (de) Giuseppe, Segretario, Deciso. Legionario volontario. Matteis (de) Michele, Sergente Legionario, Deciso.

Nisi (de) Giovanni, 4° grado, Deciso, Foriere Legionario.

Nisi (de) Raffaele, Terribile. Deciso, 2° Tenente dei Militi. Castris (de) Francesco, G... M..., Patriotta, Capitano dei Legionari.

Gravili Diego, Cassiere.

Leone Marco, Esperto.

Mello Luigi, 1° Assistente, Massone e Patriotta.

Mogavero Pasquale, Intimatore; Deciso, appartenne a tutte le sètte.

Mogavero Raffaele, Deciso.

Mazzotta Tommaso, idem. ; soffrì 10 anni di prigionia. Quaranta Giuseppe, Terribile, Deciso; fu esiliato a Galatone. Simone Raffaele, condannato pei moti del 1820 a 20 anni di ferri. Deciso, appartenne a tutte le sètte, “riscaldato nei sentimenti e nell’agire fu la rovina di Salice Persano Luigi — Margarito Giovanni — Martina Domenico — Mogavero Gesualdo — Mazzotta Carmine — Leuzzi Bonaventura Gravili Cosimo — Castris (do) Raffaele — Sac. Simone (de) Luigi — Nisi (de) Bonaventura — Fantastico Pasquale —  Arnesano Pasquale —  Casilini Giuseppe —  Serafino de Castris — Mollo GiovanniAngelo—Mello Angelo — Baldassarre Antonio Capocelli Serafino —  Capocelli Marco —  Degli Atti Giuseppe —  Mello Gaetano —  Pompilio Lupo —  Mucco Luigi  Saina Zaccaria —  Maudotti Eligio —  Manno Greco — Cosimo Tomaso —  Francesco de Santis —  Fazzi Vincenzo Sac. Capocolli Camillo —  Greco Francescantonio —  Leuzzi GKuseppo —  Giorgio (do) Gennaro —  Politi Giovanni — Sava Cosimo —  Valente Bonaventura —  Persano Pietro —  Degli Atti Luigi —  Persano Vincenzo — Pasquale Fazzi.

Veglie (1).

Mistri (de) Rosato, G... M..., Filadelfo e Patriotta.

Centonze Giovanni, Cassiere.

Massa Felice, G... M... ed Oratore; Filadelfo, Legionario riscaldato.

Panzanaro Pasquale, fiero settario.

Quarta Guarino, Filadelfo, Tenente dei Militi.

Cordella Vito — Colella Giovanni — Dominicis (de) Giovanni Dominicis (de) Domenico — Mazzetta Pietro — Mìale Michele Moscogiuro Stefano — Mello Pasquale — Nigro Pietro, G... M...

Negro PietroMaria — Pezzarossa Pietro — Penna Raffaele — Penna Giovanni —  Panzanaro Luigi — Quarta Ferdinando —  Sozzo PasqualeMaria — Spato Gaetano — Santo Frassaniti — Cacciatore Emanuele — Pasquale Leccisi — Teodoro Venienti — Rocca Vitantonio — Frassaniti Pietro — Frassaniti Cosimo — Cacciatore Michele — Colelli Michele — Venienti Giambattista Francesco Nubile.

Guagnano (2).

I Seguaci della Virtù.

Candido Angelo, istallatore. Capo di 24 Decisi.

Sac. Luigi degli Atti, G... M...

Candido Fiore, Consigliere Distrettuale. “Venuto a forti contrasti con la V. di Guagnano passò a quella di Veglie. Tenibile, riscaldato sicario, Filadelfo, Patriotta e Deciso.

Castrignano Giovanni, Deciso, Legionario.

Dottore Ortensio degli Atti, Oratore.

Martucci Marcello, G... M... e M.

Scarambone Domenico, Cassiere e Capitano della Legione.

(1) Arch. Prov. di Lecce, vol. cit., nota del R. Giudice Giovanni Palumbo, 14-8-1829

(2) Ibidem.

Castrignanò Alessandro —  Calcagnile Pietro — Castrignanò Giuseppe — Crispino Antonio — Degli Atti Fedele — Degli Atti Giuseppe — Fanizza Vincenzo — Fanizza Giovanni —  Fanizza Vitantonio —  Gaetano Leonardo — Imperiale Vito — Imperiale Nicola — Imperiale Giuseppe — Mauso Andrea — Marangio Giuseppe — Marangio Cosimo —  Melgiovanni Salvi — Nicoli Francesco — Nicoli Pietro — Perrone Rosario — Simone Pasquale — Simone Serafino — Scopio Vincenzo — Scopio Gaetano — Suffiano Costantino — Sicuro Francesco — Tarantini Mariano — Scazzi. Angelo — Tarantini Salvatore — Tarantini Ferdinando — Tarantini Carlo —  Tafuro Giuseppe —  Rodio Domenico — Rodio Donato —  Rizzo Angelo —  Cirio Manso —  Celestino Manso —  Leuci Giuseppe di Paolo —  Marino Civino —  Leuci Giuseppe di Fedele —  Leone Giuseppe —  Candido Giuseppe Marangio Angelo —  Sabato Francesco —  Gaetano Giuseppe  Sabato Leonardo —  Castrignanò Francesco —  Pierri Angelo —  Bianco Antonio —  Marangio Vincenzo —  Nobile Pietro —  Degli Atti Giovanni —  Rizzo Angelo —  De Luca Pietro —  Giuseppe Tafuro —  Giuseppe Nobile —  Giannino Michele —  Rosario Tobo —  Nobile Giovanni —  Tafuro Costanzo —  Leone Pasquale —  Martini Angelo —  Pasquale Trincherà —  Francesco Ursi —  Rosato Nicola —  Baldassarre Pasquale — Rosato Cosimo —  Colaci Angelo —  Frassanito Luigi —  Lorenzo Vito Nicola —  Civino Giovannantonio — Leone Pietro —  Leone Generoso —  Leone Giovanni —  Leone Francesco —  Rosario Innocente —  Cosimo (de) Memmo — Fauni Giuseppe Tommaso —  Imperiale Angelo —  Maci Cosimo —  Rizzo Francesco Paolo —  Civino Giuseppe —  Suffianò Vito —  Panciullo Moisò —  Bianco Cosimo —  Perrone Nicola —  Filippis (de) Carmine —  Martirani Giuseppe — Perrone Giuseppe —  Frassanito Giuseppe (1).

(1) Nella frazione Baldassarre non fu istallata alcuna Vendita di Carboneria. Troviamo solo 2 (non 4, come asserisco il Palumbo) BB... CC... affiliati alle Vendite dei Comuni vicini: Luigi Rocco e Raffaele de Simone.

Invece vi funzionò ed ebbe parecchi affiliati una Sala Filadelfica. Ne fu Presidente l’Arciprete Vincenzo Faggiani; affiliati: Vincenzo Guerrieri, Pasquale Picciòno, Agostino Zanvito, Gaetano Leone, Pietro Rizzo, Angelo de Luca, Marino Zanvito, Emmanuele Prato, Gaetano Spagnolo, Giuseppe Centonze, Michelangelo Scavini, Gaetano degli Atti, Angelo d’Arpa, Vincenzo d’Arpa, Andrea Scozzi. Tutti questi furono Legionari.

San Donaci.

Martirani Giuseppe, G... M..., Capitano dei Militi.

Filippis (de) Carmine, Filadelfo e Patriotta.

 Sac. Filippis (de) Vincenzo, Filadelfo.

Frassanito Vincenzo, 1° Assistente.

Lombardi Giovanni, G... M... e Filadelfo.

Perrone Giuseppe, 2° Assistente, Terribile e Filadelfo.

Perrone Nicola, Segretario, Filadelfo e Patriotta (1).

Pellegrino Giuseppe — Tarantino Mariano — Tarantino Salvatore — Tarantino Carlo — Tafuro Giuseppe — Rodio Domenico — Michele Frassanito — Pennetta Vincenzo — Domenico Frassanito — Giuseppe Bruno — Mitri (de) Vito (2).

Circondario di Taranto

Taranto.

Molti furono gli affiliati allo sètte in questa città.

La Vendita di Carboneria ebbe la denominazione di

Agricoltori del Galeso (3).

Miglietta Francesco, G... M..., chirurgo militare “uno dei principali organizzatori di Carboneria, effervescente settario„. Beaumont Francesco, Gran Luce.

(1) I seguenti, quasi tutti anche Filadelfi e affiliati anche alla Vendita di Guagnano, non sono compresi nell’elenco del Palumbo.

(2) In questo Comune la Sala dei Filadelfi ebbe molti affiliati; oltre i già notati, anche: Fortunato Nicola, Fortunato Arcangelo, Rocali Pasquale, Baldassarre Vincenzo, Calìgnano Vincenzo, Miccoli Ignazio, Pennetta Pompilio, Vito Lorenzo, Pasquale Scarpa, Antonio Blaco, Antonio Cavallo, Pietro Lorenzo, Vincenzo Pennetta di Giuseppe, Domenico Pennetta, Giuseppe Guerrieri.

I nomi di molti altri ci sono riusciti indecifrabili.

(3) Il Palumbo (op. cit., pagg. 20910) asserisce esservi state in Taranto due Vendite, l’una sotto il titolo di I figli di Pitagora, l'altra sotto quello di Agricoltori del Galeno. Senonché della prima noi non troviamo alcuna traccia, e quelli che il Palumbo segna come affiliati a detta Vendita noi troviamo invece appartenere alla 2 (Arch. Prov. di Lecce, vol. cit. ).

Nel 1820 fu Consigliere Distrettuale e fu proclamato dai Carbonari Sotto-Intendente. “Si mostrò effervescente e zelante nell'organizzare per il Distretto la Legione„.

Catapano Raffaele, notaro, G... M..., Deciso.

Catapano Giuseppe, legale, M...

Catapano Giovanni, Gran Luce.

Catapano Lorenzo, idem.

Cimino Gaetano, idem.

Castello Nicola, Segretario delle Dogane, Gran Luce.

Cioci Cataldo, uno dei più effervescenti, Tenente Legionario.

Cocciòli Angelo Cataldo, Commissario e spia dei settari; incuteva timore a tutti.

Catapano Cataldo, barbiere, Commissario della Carboneria, sanguinario.

Colella Giovanni, Cassiere.

Corona Tommaso, Ex Tenente, effervescente.

Ciora Michele, legale, Tenente Legionario.

De Gennaro Vincenzo, civile; nel 1817 fu Maestro dei Novizi, nel 1820 M. di Cerimonie, istallatore di VV.e nel Distretto.

Gennaro (de) Luigi, civile, M...

Gennaro (de) Nicola, idem.

Ferretti Luigi, calzolaio, Commissario di Carboneria; fu uno dei Decisi sanguinari del 1817.

La setta dei Patriotti ebbe in questa città molti affiliati, ne ricordiamo alcuni: Armandonico Michele, Capo d'Ordine; Vincenzo Magno, sanguinario; Casarano Giuseppe, legale, Capo-Sezione; Ciora Michele, Ferretti Luigi, Leggiero Antonio; Lumarelli Pietro, Capo; La Volpe Francesco, Capo d’Ordine, Legionario volontario; Mezzano Francesco, 2° Aiutante; Masella Raffaele, Sergente della Legione; Pinelli Domenico; Pasanisi Ferdinando, Capo d’Ordine; Rossi Giuseppe Tommaso, 1° Aiutante; Sferra Francesco, Capo d’Ordine; Todaro Cataldo, sicario; Tommaso Cataldo, 2° Aiutante.

Appartennero alla setta dei Filadelfi: Giuseppe Natuzzi, Capo; De Noto Gabriele, Capo-Sezione; Catapano Giovanni, altro Capo della setta; Catapano Cataldo, Masella Raffaele.

Appartennero a La Repubblicana: Lumarelli Pietro, Consigliere; Tommaso Cataldo, Consigliere e parecchi altri (V. Tanzi F., Arch. di Stato di Lecce, Lecco, 1902, pag. 206).

Galeota Nicola, 1° Assistente, Maggiore della Legione, effervescente.

Guerra Domenico, G... M...

Infantini Domenico, sarto, Gran Luce, Lumarelli Giuseppe, Gran Luee; nel 1820 G... M..., Tenente della Legione.

Lumarelli Vincenzo, Tenente Legionario.

Sac. Lumarelli Pietro, Gran Luce.

Monastero Silvestro, da Gagliano, Gran Luce.

Mezzano Francesco, trafficante; terrorista nel 1817; protetto dal G... M... Miglietta e da altri.

Massaro Francesco, da Otranto, Capo dTOrdine.

Magno Cosmo, Commissario della Carboneria.

Magno Vincenzo, idem.

Natuzzi Giuseppe, Presidente nella setta dei Decisi, sanguinano. Parente Luigi, M... nel 1817, Oratore nel 1820, Capitano del Genio.

Perniili Michele, monaeo antoniano riformato, terrorista nel 1820. Pugliese Michele, Copritore o Portinaio.

Scialpi Michele di Vincenzo, G. Bolli o Suggelli, Oratore. Spinelli Francesco, M... e Terribile.

Tommaso Cataldi, G. Bolli e Suggelli.

Castellaneta (1).

Giovanni Leggese, G... M..., Tenente dei Militi.

Calò Francesco, 1° Assistente.

Temisi Giuseppe, 2° Assistente; cambiò il suo cognome in Carbone.

Tudisco Francesco, Oratore, Capitano dei volontari.

Perrone Domenico, G... M... e Sindaco nel nonimestre. Canonico Spini Michele, Predicatore e poeta, Oratore nella setta. Giovanni Lazzazzaro, G... M...

Nicola Mastrobuono, Assistente.

Arch. Prov. di Lecce, vol. cit., nota del Sottintendente di Taranto, del gennaio 1830.

Ginosa (1).

I Nuovi Cassii

Ferdinando Ferretti, di Vignola, G... M... Prese parte nel 1815 alla istallazione della Vendita e ne fu 1° Assistente. Tenente Legionario.

Sac. Colace Basilio, 1° Assistente.

Sannelli Raffaele, 2° Assistente.

Baldassarre Sangiorgio, M... ; quando si proclamò la Costituzione inalberò la bandiera tricolore; Tenente della Legione, Sindaco.

Nusco Raffaele, G. Bolli e Suggelli, Tenente Legionario.

Colace Girolamo, M..., Tenente Legionario.

Sac. Crumis Nicola, Oratore; predicò in Chiesa in favore della Costituzione.

Cuzzella Francesco, Cassiere.

Molidieri Nicola, Sergente della Legione.

Vincenzo Sangiorgio, Foriere dell’Armata.

Juliis (de) Giuseppe.

Avetrana (2).

Arcangelo Grande, G... M...

Prete Giuseppe, 1° Assistente.

Gaetano Trano, 2° Assistente.

Sac. Gesualdo Nigro, Oratore.

Degli Atti Cesare, Segretario. Francesco Antonio Scarciglia, Cassiere.

Carosino (3).

Arcipr. Saverio Trippa, G... M..., M. o promotore di sètte. Galeone Oronzo, M..., Legionario volontario; dette soccorsi a chi partiva per l’Armata.

(1) Ibidem.

(2) Ibidem.

(3) Ibidem.

Monteleone Giuseppe, 2° Assistente.

Maccisi Saverio, Tesoriere; fu due volte Deputato alle Assemblee Provinciali.

Scandino Vito, medico, Oratore.

Cataldo Gregorio, Segretario.

Ferrante Francesco, Vice-Oratore.

Pappadà Francesco, M...

Notar Pietro Galeone, idem.

Luigi Olita, id.

Oronzo Galeone, id.

Domenico Chisena, id.

Giuseppe Capriula, id. e M.

Giuseppe Nicola Abate, M... e Legionario.

Vito Michele Manigrosso, id.

Giuseppe Salinaro, M..., spia di Ciro Annichiarico.

Luigi Sarli, M... e sicario delle sètte.

Francesco Lieti, M... e spia dei Carbonari.

Giuseppe Campo. M..., Filadelfo, Legionario volontario.

Faggiano (1).

Arcipr. Angelo Lenti, Istallatoro e G... M...

Beccliieri Filippo, 1° Assistente, Capo dei Patriotti e dei Filadelfi.

Sac. Polignano Giuseppe, Araldo, anche Patriotta e Filadelfo. Perrucci Tommaso, M...

Giovinazzo Giuseppe, Oratore e Maestro. Deputato due volte alla Gran l'di Lecce.

Stellati Benedetto, 1° Assistente e Assistente dei Patriotti, Deciso. Pappadà Carlo, 2° Assistente.

Prato Raffaele, Segretario.

Lenti Pietro, Cassiere.

Gaetano Vaccariello, M..., Legionario.

Prete Raffaele, Segretario, Sergente dei Militi; “si esibì partire per la Costituzione, per dare omaggio ed esempio agli altri Scialpi Raffaele, Vice Araldo, Filadelfo.

(1) Ibidem.

Marzo Salvatore, M...

Perrucci Francesco, idem.

Minutola Giuseppe, M..., Oratore dei Patriotti; nel tempo della rivoluzione fu alla testa degli studenti.

Lorenzo (de) Angelo, Araldo dei Patriotti.

Domenico Manipoli, Filadelfo.

Giuseppe Stellato, Patriotta e amico di Ciro Annichiarico.

Domenico Polignani, Patriotta.

San Giorgio (1).

Pasquale d’Amante, G... M..., Patriotta.

Marzio Onofrio Motolese, Oratore.

Pasquale Chiloiro, Segretario.

Sac. Carafa Abramo, Tesoriere.

Gaspare Miani, Araldo.

Dott. Francesco Salamino, M...

Domenico Scarcia, idem.

Antonio Cometa, idem.

Domenico Imperio, notaro, idem.

Cataldo Motolese.

Leporano (2).

Emidio Valente, G... M...  Scarfoglio Cosimo, 1° Assistente e Patriotta. Scialili Felice, M... ed Oratore.

Corvino Luigi, Segretario, Promulgatore di sètte. Natuzzi Francesco, M. di Cerimonie.

Valentino Francesco, M...

Scarfoglio Bernardo, M...

Emanuole Mosi, altro G... M...

Donato Franzoso, M...

Giovambattista Scarfoglio, Parroco, M... Giovambattista Muscettola, Principe, M...

(1) Ibidem.

(2) Ibidem.

Lizzano (1).

Vincenzo Martina di Calabria, GL. M..., M., Istallatore di sètte. Sac. Francesco Pagano, G. Bolli e Suggelli.

Pietro Monticelli, Oratore.

Cosimo Mardarella, 1° Assistente, Tenente Legionario.

Michele Campo, Segretario, Sottotenente della Legione. Francesco Cavallo, M...

Michele Magno, notaro, M..., Sergente Legionario.

Anseimo Brigante, Tesoriere, Capitano dei Legionari.

Antonio Palombella, M... e Sergente dei Legionari.

Cataldo Palombella, conservatore di tutti gli oggetti settari. Sac. Raffaele Palombella — Ciro Petraroli — Michele Bordicchia — Giuseppe Ceni.

Martina (2).

Michele Grassi — Domenico Desiati — Raffaele Casavola — Francesco Blasi — Giuseppe Filomena — Semeraro Giusepparcangelo — Francesco Casavola — Paolo Chiara — Carlo Basile Luigi Fumarola — Leonardantonio Casavola — Martino Recupero — Paolo Figlierà — Francesco Recupero — Francesco Barnaba — Francesco Fedele — Francesco Cito — Vitantonio Piccinni — Pasquale Filomena — Giacomo Fasano — Michele Fasano — Alberto Scardino — Ciro Orlando — Liborio Monacelli Emidio Ursule.

Manduria (3).

Giuseppe Camerario, G... M...

Gaetano Gatti, 1° Assistente.

(1) Ibidem.

(2) Ibidem.

(3) In questa città esisteva ricca di molti affiliati una Loggia Massonica dal titolo il Sentimento puro (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, F° 68, vol. 5°).

(4) Ibidem.

Pietro Prudenzano, 2° Assistente.

Raffaele Prudenzano, Cassiere.

Salvatore Pasanisi, G. Bolli e Suggelli.

Pompeo Pasanisi, Oratore.

Massafra (1).

Giuseppe Mendutti, G... M...

Michele Caprioli, 1° Assistente.

Can. Salvatore Mendutti, 2° Assistente.

Marcantonio Melillo, Tesoriere.

Domenico d’Errico, notaro, Segretario.

 Vincenzo Bernaba, Assistente.

Giovanni Bernaba — Giovanni Grottola — Vito Antonio Safframondi.

Monteparano (2).

Sac. Domenico Greps, G... M... Nel 1818 fu arrestato dal Generale Church e mandato all’isola di Capri. Rimpatriato nel nonimestre fu eletto dai Carbonari G... M... ; dopo fu processato quale autore di furti.

Cataldo Scarciglia, Patriotta.

Sac. Pietro d’Ippolito — Cosimo Luzza — Francesco Lilla — Cosimo Fiuli.

Mottola (3).

Il Taborre.

Arcidiacono Francesco Caramia, G... M..., “Consigliere in Lecco o Deputato del Distretto per la proposta dei Deputati al Parlamento Nazionale„.

(2) Ibidem.

(2) Ibidem.

(2) Ibidem.

Dottor Gaetano Semerano, Oratore.

Sac. Michele Caramia, Capo della setta.

Notar Giuseppe d’Auria — Anacleto Semeraro — Pietro Lamarangia — Giacomo Lanzellotti — Giovambattista Sabato — Pasquale Fanelli — Giuseppe Semeraro di Eligio — Antonio Lavarra — Giuseppe Semeraro di Scipione — Gaetano Langiotta.

Pulsano (1).

Carlo Vaccali, capo della setta.

Francesco Libera, Parroco, G... M...

Giuseppe Libera, 1° Assistente.

Pasquale delli Ponti, 2° Assistente.

Antonio Giacomi, Oratore.

Pasquale Giannone, Segretario e M Francesco Vetrana, M...

Antonio Amato — Donato Modici — Giacomo de Mitri — Raffaele delli Ponti.

Arciprete Saverio Libera, altro capo della setta.

Rocca Forzata (2).

Francesco Domenico Occhinegro, G... M..., Legionario.

Dottor Pietro Pasquale Scarpa, 1° Assistente, Capitano dei Legionari.

FrancescoDonato Imperio, 2° Assistente; quando si proclamò la Costituzione portò pel Comune la bandiera tricolore.

Parroco Michele Scarciglia, G. Bolli e Suggelli; “predicò dovunque i suoi errori„.

Luca Fina, Assistente, Tenente dei Legionari.

Angelo Faggiano, 1° Assistente; Filadelfo e Patriotta, tenne corrispondenza con Ciro Annichiarico.

Domenico Imperio, Oratore.

Saverio Furlaro, M... e Legionario volontario.

(1) Ibidem.

(2) Arch. Prov. di Lecce, vol. cit., nota del Sottintendente di Taranto.

 

Francesco Saverio Sapri, M..., Sergente della Legione.

Giuseppe Imperio, idem.

Giuseppe Nicola Pagliarolo — Francesco Ferraro — Saverio Sozzo — Giacomo Petruno.

Sava (1).

Sac. Nicola Moro, G... M...

Giulio Melli, M...

Giovanni Spagnolo, Segretario, Patriotta.

Pasquale Gigante, Cerimoniere.

Giuseppe Massafra, Patriotta.

Giuseppe Cosma — Pasquale Massafra.

 

Laterza (2).

La V. a di questo Comune col tempo si scisse in due VV. e, di cui non ci resta il titolo.

Giovanni Galli, G... M... nel 1815, Tenente della Legione.

Francesco Galli, altro G... M... della 1 V. a.

Michele Clemente, 2° Assistente della la V. a; fu poi G... M... della 2a.

Felice Galli, Oratore.

(1) Ibidem.

(2) Ibidem.

Anche nei piccoli Comuni del Distretto di Taranto vi erano BB... CC... CC... Così a Monacizzo: Francesco Conte, Sac. Cosimo Parisi.

A Frugugnano: Francesco Natale Rochira, Oratore; Cosmo Rochira, 1° Assistente, Patriotta.

A Torricella: Diego Cervasi, 1° Assistente; Dottor Livino di Petrangelo, Assistente.

A San Crispieri: Pierantonio de Mitri, G... M... ; Andrea Gabriele.

A Palagiatto: Alessandro Carmignano, Giovanni Mastropaolo, Giuseppe Medaro.

A Montrjasi: Luigi Cuprì, Ottavio Cuprì, Vito Lotta.

A Montemesola: Francesco Branciforte, Vito Internò, Pasquale Antonucci, Pasquale Troiano.

(Tutti questi BB... CC... non sono ricordati dal Palumbo).

Giuseppe Clemente, M... di Cerimonie.

Pasquale Galli, Cassiere; Sergente Legionario.

Giuseppe Scarpone, G. Bolli e Suggelli.

Felice Savomandi, 1° Assistente.

Luigi Perrone, M...

Pietro Frigida, Segretario.

Giuseppe Rossano, Notaio, Elemosiniere, Sergente Maggiore.

Michele (de) Battista, M...

Domenico Scarpone, M..., Terribile.

Michele Andreucci, M..., Sergente Legionario.

Francesco Lo Magistero, M...

Luca Scarpono —  Vito Punzi — Francesco Morelli — Vito Buongermano — Luigi Sartoliori — Arcangelo dell’Aquila — Leonardo Cangiulli.

Circondario di Gallipoli.

Gli elenchi dei settari di questo Circondario sono andati dispersi. Pure ci è riuscito di rintracciare i nomi di parecchi B. B... C. C...

Corigliano (1).

1 Primi Figli di Attilio Regolo.

Questa V.a fu una delle prime istallate nella Provincia.

Nel 1820 fu G... M... Gaspare Vergine, il famigerato Deciso del 1817.

G. Indrini, Arciprete, 1° Assistente.

Angelo Peschiulli, 2° Assistente.

Antonio d’Urso, Oratore.

Giuseppe Antonio Baila, Tesoriere.

F. Indrini, Segretario.

Giovanni Papuli, G. Bolli e Suggelli.

Gaetano Papuli, Deputato Dicasterale.

(1) V. Appendice II.

Galatina (1).

Lì Novelli Bruti.

Va importantissima e ricca di affiliati.

Nel luglio del 1820 ne fu GL. M... Giovanni Campa. Antonio Viva, 1° Assistente.

Nicola Mongiò de’ Gigli, 2° Assistente.

Donato Granafei, Oratore.

Carmine Zappatore, Tesoriere.

Angelo Lucori, G. Bolli e Suggelli.

Dionisio Casciaro, Segretario.

Otranto (2).

Luigi Semola, G... M..., antico Carbonaro, Patriotta, Massone e Filadelfo.

Giuseppe Salzedo, Segretario, Comandante il Campo Patriottico, Capitano della Legione.

Antonio Morroi Pietro Penna Donato Botrugno Giovanni La Gatta.

Vernole (3).

Gaetano Vergara, Terribile.

Domenico Cretì, Segretario.

Vito Quarta, B... C...

Acaja (4).

Sac. Donato Boli, G... M...

Raffaele Sciolto, 1° Assistente o Cassiere.

Domenico Pico, M. di Cerimonie.

Generoso Sciolto, Esperto.

(1) Ibidem.

(2) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1‘, nota di G. Lotti, F° cit. ; e Palumbo,

(3) Arch. Prov. di Lecce, vol. cit., nota del 11. Giudice Alessandro Clementi, 2-2-1827.

(4) Ibidem.

Pisignano (1).

Raffaele Stella, Terribile e 1° Assistente. Giandonato Antonucci, Oratore.

Vito Antonucci, Sacerdote, Oratore. Franco Isacco, G. Bolli e Suggelli. Giandonato Isacco, Esperto.

Strudà (2).

Carlo Cecere, G... M...

Enrico Paladini, altro G... M... Pasquale Carlino, 2° Assistente. Francesco Carlino, Esperto.

Melendugno (3).

Francesco Sansò, 2° Assistente.

Cherubino Santoro, Segretario.

Francesco Petraclii, 1° Assistente.

Pietro Santoro, 1° Assistente.

Luigi Santoro, M. di Cerimonie.

Giuseppe Nicola Sansò, Cassiere.

Antonio Macchia, Patrocinatore in Lecce, Oratore. Vito Pasquale Macchia, 1° Assistente.

Sac. Oronzo Santoro.

Arcipr. Niceta Camassa.

(1) Ibidem.

(2) Ibidem.

(3) Ibidem.

Nardò (1).

Arcidiacono Zuccaro, Capo Settario.

Amedeo Ranieri — Fratelli de Pandis — Can. Alessandrelli — Can. Leanza — GiovanVincenzo dell’Abate — Policarpo Castrignanò — Pietro Manieri — Bonaventura Ingusci.

Calimera (2).

Giuseppe Antonio Marchese — Domenico Fazzi — Pantaleo Brav.

Galugnano (3).

Paolo de Santis — Giuseppe Mazzeo.

Torrepaduli (4).

Prestava il locale per le riunioni dei B. B... C. C... Samuele Gaetano da Ruffano, nel Convento degli ex Carmelitani di Torre, e anche in un suo giardino detto Li Cottili.

Sac. Antonio de Giorgi — Vincenzo Giannotta — Delfino Coletta — Ferdinando de Giorgi — Francesco Russo — Filippo Garganese — Giulio Manieri — Luciò Cacciapaglia — Salvatore Leone — Occhiazzo Piacentino.

(1) Ibidem.

(2) Ibidem.

A Vanze fu 1° Assistente Angelo Ferrini (ivi).

(3) Ivi.

(4) Ivi. A Torrepaduli vi fu una Sala Filadolfica di cui fu Presidente Paolo de Santis; Giuseppe Mazzeo, Segretario; Francesco Gigante, 1° Sorvegliante; Polini Pietro, 2° Sorvegliante; Serafino Cristofalo, Esperto; Francesco Santo, Cassiere; Domenico Saltarelli da San Donato, questi raccoglieva lo offerte per la Costituzione.

Rullano (1).

Basurto Giuseppe — Cingaro Fedele — De Giorgi Vito Gaetani Samuele — Leuzzi Antonio — Maniglia Lazzaro — Maniglia Francesco — Orsini Ferdinando — Papalato Angelo — Santalosa Oronzo — Santalosa Andrea — Santo Vito — Sacerdote Viva Antonio — Villani Francesco — Viva Antonio, Proprietario.

Specchia de’ Preti (2).

Quivi si riunivano i Carbonari del Circondario.

Ferrari Pasquale, Segretario.

Sac. Orlanelli Carmine, Oratore.

Antonaci Camillo — Calizzi Vito — Sac. Panese Vitantonio — Risolo Ippazio — Rizzo Vito — Ripa Pietro — Cafarelli Vito — Teatini Domenico — Tranche Antonio.

Supersano (3).

Castellaneta Gaetano — Paolino Condini — Fiodo Antonino — Fiodo Pietro — Pasca Costantino — Pasca Giacomo — Trunco Liborio.

Taurisano (4).

Giovanni Delfino, Sindaco.

Tommaso Ponzi — Tommaso Cera.

(1) Ibidem.

(2) Ibidem.

(3) Ibidem.

(4) Ibidem.

Nociglia (1).

In questo Comune non vi fu V. a, ma i B. B... C. C... erano affiliati al 5° Idume di Lecce.

Sac. Cristofaro Vergali.

Giuseppe Ruggieri — Severino Carlucci — Oronzo Lazzari — Giuseppe Greco di Nicola — Pasquale Greco — Sac. Ippazio Toma Francesco Vadracciò — Giuseppe Greco di Saverio — Antonio Greco di Arcangelo — Orazio Sabato — Giuseppe Vito Vergari Francesco Stincone — Antonio del Bene — Pasquale Pace — Giuseppe Penza — Fortunato Vadrucci — Giuseppe Vito Vadrucci Vito de Pietro — Giovanni Stincone — Ferdinando Ruggieri Damiano Ferrari — Pietro Candela — Isidoro Lazzari — Francesco Romano — Pietro de Pietro — Salvatore Lazzari — Vincenzo Zappatore — Giulio Falco — Paolo Guido — Giuseppe Falco — Domenico Cito da San Cassiano.

Scorrano (2).

Vincenzo Resta. Giuseppe Resta.

(1) Vi fu istallata una sala Filadelfica dal medico Pasquale Vacale di Scorrano e da Angolo Abate del Comune aggregato di San Cassiano, per ordine del Comitato che risiedeva a Puggiardo, con l’intervento di due Carbonari: Giuseppe Greco di Nicola, Pasqualino Greco. Ne fu Presidente Francescantonio Greco (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 126, vol. 1°).

(1) Ibidem.

CAPITOLO III

La Rivoluzione del 1820

Sommario: Preparazione politica e sociale della Rivoluzione. — La proclamazione del governo costituzionale in Terra d’Otranto e V. Balsamo. — Elezione dei rappresentanti politici al Parlamento Nazionale. — L’opera dei Deputati Salentini. — Petizioni e proposte. — Organizzazione militare della Carboneria: i volontari leccesi. — Dissensi fra le Vendite della Capitale e l’Alta Vendita Provinciale. — L’invasione austriaca: don Liborio Romano organizza le squadre del Salento. Fervore patriottico della prov. di Lecce. — Caduta del governo costituzionale.

— I moti di Spagna del gennaio 1820 commossero i liberali d’Europa ed ebbero un’eco profonda specialmente in Italia e in Portogallo.

Nel Napoletano già da lungo tempo si aspirava ad una forma di governo liberale; tre epoche memorabili segnano, prima della rivoluzione del ’20, i diversi stadi dello sviluppo delle idee ed i progressi dell’opinione; il ’99, il decennio francese, la restaurazione borbonica. Nella prima epoca, di dolorosa memoria, la superstizione e l’avvilimento dell’interesse dispotico e feudale dominavano su tutti, fuorché sui pochi che, rompendo le catene dell’abbiezione politica, resero immortale il loro nome e meno oscuro quello della loro patria.

Poiché bisogna convenire che generalmente le idee di libertà progressiva illuminavano soltanto le menti di quelli, che la rivoluzione distinse e santificò col martirio e con l’esilio.

Quando il dominio francese spiegò un reggimento, che ora favoriva, ora tollerava ed ora perseguitava le società segrete, allora si sparsero dappertutto quei semi felici, i quali secondo la diversa disposizione degli abitanti più o meno germogliarono, si moltiplicarono, si diffusero ampiamente per tutto il Regno.

Il colosso feudale atterrato, sciolti i fìdecommessi, aboliti gli ordini monastici, sanzionato un nuovo codice civile, tutto questo operò una profonda rivoluzione ideale. Ecco, in questa seconda epoca, dei passi molto rapidi verso lo sviluppo delle idee liberali.

Restaurata nel 1815 la Dinastia Borbonica, si cercò di estinguere le società liberali col proscriverle e perseguitarle, ma non si fece che moltiplicarle ed estenderle, che la persecuzione, come suole avvenire in tutte le sètte, aumentando la passione, ne ingrandisce il numero e ne rende più forti e più indissolubili i suoi elementi.

Si ebbe dunque un generale sviluppo ed un’ampia diffusione delle idee liberali, dovute alla persecuzione del Governo ed alla setta Calderaica.

Questi elementi sì fecondi ed importanti dovevano, per un concorso di cause, menare finalmente ad una soluzione violenta.

La smodata ambizione dei Ministri fu una delle cause, che concorsero ai moti. Si vollero imporre tutti i carichi del decennio: il Ministro delle Finanze fu tutto intento a consolidare il bilanciò dello Stato, nella qual cosa non può negarsi ch’egli non fosse riuscito; ma con danno dell’agricoltura, del commerciò e delle arti. Il commerciò sottoposto alla dipendenza di tutte le Nazioni Estere produsse l’avvilimento delle derrate nazionali e tolse al Regno il numerario.

La prosperità pubblica ed i miglioramenti dell’industria furono affatto dimenticati: i pubblici stabilimenti privati delle loro dotazioni, il Governo mostrò sollecitudine per la sola Finanza.

Il sistema giudiziario ora difettoso in qualche disposizione di legge c nell’inaccessibilità ed inconcludenza del Ministro; il sistema amministrativo era un corpo senz’anima.

Alla generalo disposizione degli spiriti si unì anche quella dell’Esercito. La milizia sopratutto, educata sotto un governo militare, sentì più vivamente il cambiamento, quando un austriaco, reggendola “con disciplina o scettro boreale„, faceva tutto per rendere penoso il servizio o nulla per nutrire quei principi nobili, clic formano la caratteristica dell’armata dol ’20 (1).

Il Nugent, organizzando o disorganizzando l’esercito, aumentava i suoi averi, elevava gli ufficiali a lui devoti od avviliva la massa. La coscrizione poi, legge dura sotto ogni governo assoluto, parve anche più insopportabile sotto questo comando militare.

(1) Giunta provvisoria di Governo, op. cit., pag. 7.

L’armata insomma ardeva dal desiderio di scotere il giogo, che sopra di lei esercitava un uomo, che non era nò stimato,  né amato. Ed essa si organizzò quasi tutta carbonicamente (1).

In tale stato di cose la Carboneria si diede a preparare una forza interna nelle provincie, composta di Proprietari, i quali sentivano più degli altri il peso del sistema oppressore dei tributi.

Queste furono le milizie che prime concepirono il disegno di liberare la loro patria dal dispotismo ministeriale. Cittadini puri, impegnati a conservare l’ordine; proprietari armati e disciplinati, i quali conoscevano la loro forza, studiavano il momento in cui potessero innalzare il grido della Costituzione.

Tale essendo lo stato della pubblica opinione, si giustifica appieno il desiderio vivo del popolo napoletano di un Governo più liberale, e, poiché la Carboneria aveva per iscopo “la distruzione della tirannide„ quasi tutti si ascrivevano ad essa, così che nei primi mesi del 1820 era un fiorire rigoglioso di  vendite in tutto il Regno.

Il concorso delle circostanze dianzi fugacemente accennate e le notizie del pronunciamento di Cadice accelerarono una rivoluzione, straordinaria per la sua rapidità e per i suoi felici successi, non meno che per la rapida caduta (2).

A’ due di luglio del 1820 scoppiava il moto militare di Nola per iniziativa dei sottotenenti Michele Morelli e Giuseppe Sii vati e del prete Luigi Minichini.

(1) Cfr. Pece G., Memorie, Parigi, Baudry, 1847, vol. II, Cap. XXIV.

(2) Balsamo Vincenzo, Pensieri su gli ultimi avvenimenti. Lecce. 15 luglio 1820. pag. 9. Così definisce la rivoluzione del 1820: “Questa nostra epoca non si può meglio paragonare a quel periodo dell’Istoria dei Popoli, allorché l’antico ordine politico e morale minacciava ruine da tutte le parti, e che l’ordine che doveva succederli non esisteva ancora, che nel pensiero di qualche uomo e nel sentimento di tutti; allorché Giove regnava ancora nel Campidoglio e che lo stoicismo precursore del Cristianesimo preparava a rimpiazzare il culto del destino con quello della virtù; questa nostra rivoluzione somiglia a quella che  né Diocleziano,  né gli altri Imperatori Romani poterono giammai impedire; rivoluzione dell’opinione, rivoluzione che non può mai arrestarsi . E vaticina: “Questo movimento dello spirito umano, per quanto possa temporeggiare, andrà successivamente a produrre lo stesso effetto presso tutti i popoli civilizzati, malgrado ogni resistenza„.

La rivoluzione si diffuse per tutto il Napoletano, e pochi giorni dopo il Re giurava la Costituzione Spagnola.

2.— In Lecce bastò il solo confuso annunzio di una rivolta seguita ad Avellino ed a Salerno, perché la forza dell’entusiasmo, repressa per tre anni, scoppiasse con nuova accumulata energia. Questa provincia era forse la più preparata per la felice fecondazione e propagazione delle idee liberali. Da essa era partito, dopo la restaurazione borbonica, il primo grido richiedente una Costituzione; non secondata in questo moto dalle altre provincie del Regno, ebbe a soffrire sola la pena del suo generoso ardire. Una Commissione Militare “terribile e assurdo tribunale„ vi fece larga messe di vittime: nella sua moderazione non mancò di portare dei danni notevoli al paese e di immolare qualche vittima innocente alla precipitazione dei suoi giudizi, alla poca cognizione dei suoi membri, ed alla prevenzione dei suoi capi (1).

Le cose alla meglio furono transatte, e la provincia all’alba del ’20 presentava una calma tanto stagnante e permanente, da dare un’illusione di tranquillità; ma l’uomo penetrante poteva osservare, sotto la calma superficiale il ribollire sordo della prossima tempesta. Nella massima segretezza le Vendite di Carbonari sorgevano in ogni più piccolo comune, mentre i Legionari armati si esercitavano nelle armi (2).

L’opinione certo non si distrugge con la forza e, quando si sono infrante le catene del pregiudizio e della superstizione, non si recede quasi mai.

In Lecce, prima ancora che la notizia giungesse per via ufficiale “malgrado la viva memoria delle vittime ancora fumanti di una Commissione Militare, malgrado la presenza di una truppa estera, separata di interesse o che doveva necessariamente imporsi„ (3), puro non si esitò a deliberare; il voto unanime fu di secondare le altro provincie.

(1) Balsamo, op. cit., pag. 12.

(2) In Lecce si esercitavano verso il Convento di San Pasquale, in Francavilla dietro i Cappuccini, in Mesagne al largo del Carmine, in Taranto fuori i magazzini (Palumbo, op. cit., vol. II, pag. 311).

(3) Balsamo, op. cit., pag. 18.

L’esperienza del 1817 aveva fatto conoscere ai Salentini i tristi effetti dell’isolamento in tali intraprese. “La nostra indifferenza — dice il Balsamo (1) — potea turbare le loro (delle altre provincie sollevatesi) operazioni, come la nostra mossa aggiungere un peso decisivo„.

Fu proprio in casa di Vincenzo Balsamo che si tenne la grande e memoranda seduta Carbonara, in cui si deliberarono i provvedimenti da prendersi in sì solenne ed importante momento. In seguito a questa adunanza Oronzo Passagnoli e il Barbarisi, tre giorni prima che giungesse la notizia ufficiale della promulgazione della Costituzione di Spagna, obbligarono il principe di Leporano a concederla. Grandissima fu la gioia per tale avvenimento: puro i Carbonari leccesi non si abbandonarono ad inconsulto ed eccessive manifestazioni, ma rendendosi ben conto di tutta la gravità del momento, pensarono seriamente al da farsi, per non compromettere l’impresa liberale. E per garantire l'ordine pubblico ed ottenere in un sol colpo il desiderato mutamento politico, mentre persuadevano alla prudenza e moderavano l’impeto dei più riscaldati, organizzavano ed armavano in tutta la provincia la Guardia di sicurezza, i militi, i liberali tutti, e mantenevano una corrispondenza attiva con tutti i comuni della provincia e con le provincic limitrofe. Loro disegno era di cercar d’indurre dapprima con la persuasione i capi della truppa ad unirsi con loro, in caso contrario di impossessarsi delle loro persone.

Ma i capi della truppa e l’Intendente, volenti o nolenti “spiegarono, dice il Balsamo, un entusiasmo ed mia energia tutta nuova.

“Il torrente dell’entusiasmo trascinò tutti e fece impallidire ed esitare pochi„ (2).

L’Intendente Cammarota, insieme col Segretario Amante, si recò al Duomo ad assistere al canto del Te Deum “fra i trasporti dell’universale giubilo e con l’apparato di uno spettacolo tutto nuovo„. Il Vescovo, dopo un discorso “pieno di unzione e di sentimenti liberali„, benedisse le bandiere costituzionali. Nell’urgenza del momento si prendevano intanto le seguenti varie disposizioni:

(1) Ivi, pag. 13.

(2) Ivi, pag. 13.

1° Che nessuna novità non si dovesse apportare nel sistema attuale.

La rivoluzione dei Salentini era nel grande e non nel dettaglio, che sentiva dell’arbitrio e del disordine, cose perfettamente contrarie al loro parere, malgrado l’esempio di qualche provincia„ (1).

2° Che si dovesse all’istante organizzare un reggimento volontario provinciale, sotto il nome di Reggimento Salentino.

3° Che dovesse inviarsi una Deputazione all’Osservatore Generale in Avellino per far conoscere lo stato della provincia ed offrire forze e mezzi.

4° Che una sottoscrizione volontaria facesse fronte a tutte queste spese, riserbandosi la cassa pubblica a bisogni più gravi (2).

Mentre cosi si festeggiava la raggiunta libertà, un corriere straordinario apportò la notizia ufficiale che il Re aveva giurato la Costituzione di Spagna, ch’era la più liberale, con le modificazioni, che potessero interamente perfezionarla.

Narra il Balsamo (3): “II fragore del cannone, de’ tamburi, delle trombe, delle bande musicali, si ecclissarono a questo nuovo torrente di applausi di felicitazioni e di benedizioni all’ottimo Re. Principi, chi di voi si fosse trovato tra il popolo Salentino, non avrebbe preferito quest’istante di beatitudine a tutte le adulazioni e prestigi Ministeriali (4)„.

Dal capoluogo l’entusiasmo dilagò per tutti i comuni della provincia, dove fu proclamata con grandi feste la Costituzione (5).

Da Lecce il 10 luglio veniva intanto diramato per opera dei Carbonari il seguente proclama (6):

“Abitanti di Salento,

“Se noi nel 1817 fummo i primi a reclamare i dritti del Popolo, ora noi concorso degli emoli i nostri sforzi e la nostra energia sapranno ancora distinguerci.

(1) La Lucania aveva proclamalo la Repubblica.

(2) Balsamo V., op. cit., pag. 14.

(3) Ivi, pagg. 1415.

(4) “Sul momento i liberali disposero di alcune somme, da distribuirsi a beneficiò dei poveri, ed un regalo a tutta la truppa ed a’ corrieri apportatori di faustissimo nuove, e di poi furono date due serate da' teatro pubblico a grande illuminazione„ (ivi).

(5) Cfr. Palumbo, op. cit., vol. II, pag. 315.

(6) Balsamo, op. cit,, pagg. 1617.

“Leccesi, formerà l’ammirazione dei nostri compatrioti la nostra attività. Quando tutto sembrava paralisi, quando un velo minacciòso copriva le altre provincie, in un sol giorno noi meditammo, preparammo e compimmo l’esecuzione in altro tempo mancata, e colla rapidità della folgore dal Bradano all’Idro una fu la volontà, una l’idea, uno l’oggetto. Siam Salentini! “Abbiamo fatto conoscere la veemenza del nostro sentimento coll’essere stati i primi, la nostra saggezza con la nostra tolleranza, ed ora il nostro carattere con la rapida nostra riunione.

“Costituzionali del Regno, eccoci nella fortunata metempsicosi non meno importante o grandiosa di quella della Spagna. Questo luminoso esempio mancava ai popoli ed ai Re.

“Fu dato. Ne abbiamo approfittato. I primi passi son fatti, ma essi hanno bisogno di perseveranza, fermezza e coraggio. Una è la causa. E chi oserà opporsi al nostro bracciò di morte? limanti al nostro cospetto non s’impallidirono sempre i Romani? Quanto loro non costò questa parte d’Italia?

“Ma noi solamente essi riceverono la più vile umiliazione, che oscurerà per sempre la loro storia: le forche Caudine.

“Questa nostra terra fu classica in eroi ed il teatro della gloria. Ora non siamo noi animati dalli stessi sentimenti ed entusiasmi per la nostra Redenzione? Che altro ci manca per trovare i pericoli, affrontare la resistenza, e mostrarci degni successori dei Padri nostri? Noi siamo potenti perché uniti, siamo forti perché sosteniamo i diritti dell’Uomo, la gloria dei Popoli, l’onore dell'Umanità„.

Il 12 luglio venivano ancora dalla fucina carbonica divulgati due fogli redatti dallo stesso Vincenzo Balsamo. Uno è indirizzato alla Costituzione: inneggia ad essa e si mettono in luce tutti i vantaggi che ne sarebbero derivati al Re ed al popolo (1), con linguaggio carbonaro.

(1) “... Tu (Costituzione) dai la sovranità alla Nazione e basi il trono sulla pubblica volontà dell’interesse universale, sull’universale guarentigia. Tu dimostri che il Re di uomini liberi vai più che il despota di uomini schiavi. Tu dài al Sovrano la vera tranquillità, la vera grandezza, l’amore, la venerazione e l’attaccamento dei suoi popoli. Tu rendi meno despoti i Ministri, più esatti gli impiegati, più guarentiti i diritti dei cittadini. Noi formeremo le nostre leggi, regoleremo le nostre imposte e determineremo se più ci conviene la pace o la guerra. I nostri fondi non lavoreranno per alimentare la turba ministeriale; i nostri dazi saranno livellati ai nostri bisogni.

“Eccoti (Costituzione) il tempio edificato col pericoloso travaglio di tante stagioni: la Virtù. Eccoti l’ara non mai profanata dalle impura vittime dell’ipocrisia, dell’adulazione e del dispotismo: 1‘Onore; eccoti i sacerdoti perseguitati, insultati ed oppressi, riuniti sotto il tricolorato vessillo L’altro foglio era un indirizzo al Re di omaggio e di devozione (1).

Di maggiore importanza è il proclama del 15 luglio, redatto da Balsamo.

In esso si rivolge ai Letterati ed ai Pastori, invocando il loro aiuto pel definitivo consolidamento della Costituzione. “Non basta — egli scriveva — che questa sia scritta, ma è necessario che sia impressa nel cuore di tutti. Non basta che sia promulgata, ma è necessario che vi trovi un asilo inviolabile contro i vecchi liregiudizi, le usurpazioni Ministeriali, le intraprese straniere„ (2).

Il Senato preparava gli alti destini del popolo Romano a forza di ripetere ch’essi soli eran liberi e nati per dominare il mondo. Bisogna senza indugio ed in mille maniere parlare alla Nazione dei suoi diritti e della sua dignità;

Le madri, come le spartane, inciteranno i figli a combattere. I nostri prodi combatteranno col coraggio dei padri loro al sacro grido di libertà, di costituzione e di patria, spontaneamente si affolleranno per la loro difesa; non vi saranno delle insultanti privative organizzate per l’utilità di pochi e pel danno di tutti. Noi signoreggeremo nelle nostre caso senza paura che l’occhio inquisitore della Polizia venga a turbare i nostri lari. Non vi saranno più Commissioni Militari, dei tirannici tribunali di eccezione„ (ivi, pag. 19 e segg. ).

(1) ‘Sire, la voce dei tuoi popoli prevalse a quella dei tuoi Ministri. Dense nubi per ora rivestivano l'umile verità, il soffio imponente dell’opinione le dileguò. Per la prima volta nuda la vedesti, l'ammirasti! Suggellasti il gran patto sociale. Se la storia ci presenta un Diocleziano e un Silla che dimettono l’imperiale potere, non ci dà l’esempio di un Re, che al primo invito della Nazione, con spontaneità, con celerità c con purezza di sentimenti compensa i suoi voti. Questo b un fenomeno morale tutto nuovo, degno solo del successore di Carlo e dell’immortale suo figliuolo Francesco.

‘Quali memorie, quali monumenti a tanta gloria per l’insigne architetto del Duomo di Londra non se ne seppe ideare uno più sublimo di quello concepito nel mezzo del tempio con queste parole: Si quaerìs monunentum? Circumspice. Pel nostro Re; la nostra Costituzione„ (ivi, pagg. 2223).

(2) E' notevole questo presentimento di quel che poi accadde.

bisogna popolarizzare le idee liberali e far sentire al volgo tutto il prezzo della libertà (1); bisogna gridare incessantemente: “Noi vogliamo la costituzione, ma la costituzione intera, la nostra costituzione„. “Io mi rivolgo a voi — egli soggiunge — zelanti Pastori ed energici Pastori, difensori della giustizia e della libertà; sorveglianti fedeli ed instancabili delle nostre istituzioni, chiamate al tribunale di opinione pubblica chiunque osa attentare ai diritti del popolo, la Costituzione; tonate dappertutto contro l’errore e il dispotismo, non siate indulgenti  né usate riguardi, tradireste voi stessi, violereste il più sacro dei doveri. A che gioverebbe una Costituzione, se i diritti potessero essere vulnerati senza che una folla di scrittori o di voci l'annunziassero a tutto il Regno? A che gioverebbe avere dei rappresentanti, quando non si potesse gridare sulle loro elezioni ed avvertire il popolo dei raggiri e delle trappole, che il Ministero o l’ambizione particolare potesse preparare? A che ci gioverebbe avere dei deputati, quando inosservati fossero i loro travagli, senza che un nobile entusiasmo, o un dolore patriottico non potesse proclamare il loro zelo, o la loro ignominia? E conchiude: “Finché la vostra voce si fa sentire la Nazione è libera, ma se tacete, questo fatalo silenzio sarà il precursore della schiavitù e della vostra degradazione„.

Con tale forza di entusiasmo, che dinota la grande ansia dol1 attesa, con pronta e generosa adesione, con savi provvedimenti veniva accolta in Terra d’Otranto dai Carbonari e proclamata la Costituzione di Spagna. In Lecce, anima e migliore espressione del movimento fu Vincenzo Balsamo.

Si apriva intanto nel Regno il periodo elettorale. Il 26 luglio 1820 il Ministro degli Interni scriveva al signor Benedetto Mancarella in Lecce (2) annunziandogli che, dovendosi procedere alla elezione dei Deputati al Parlamento Nazionale, convocato in Napoli per il primo di ottobre, S. A. R, il Vicario Generale di S. M., con decreto del 22 luglio, si era degnata confidargli l'importante incarico di Delegato della Giunta Preparatoria.

(1) La parte più ignorante della popolazione rimaneva estranea al movimento delle idee liberali; a questa classe appunto dovevano parlare i Pastori (ivi. Pagg. 23-24).

(2) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Ministero di Polizia, 1820. — Giunta preparatoria dell’elezione al Parlamento Nazionale, Prov. di Terra d’Otranto. (Volume di Reali Decreti, istruzioni e Ministeriali di S. E. il Segretario di Stato Ministro dell’Interno con le corrispondenti esecuzioni della Giunta).

Che dai suoi lumi e dal caldo amore, da cui egli era animato pel bene della patria, il Governo aspettava con fondamento i migliori risultamenti. Che egli dovesse procedere subito alla nomina della Giunta Preparatoria nel modo prescritto dalle istruzioni (1), e “facesse entrar questa nell’esercizio delle sue funzioni senza ammettere veruna eccezione o scusa. Certamente in una circostanza sì imperiosa e per un oggetto sì nobile non vi sarà chi voglia negarsi di concorrere con tutte le sue forze alla nostra rigenerazione politica ed alla prosperità della Nazione„.

Il 30 luglio (2) Benedetto Mancarella nominò i primi due membri della Giunta Preparatoria, che furono il Vescovo di Lecce, don Nicola Caputo “come più degno ecclesiastico„ e don Oronzo Guarini, capo di famiglia, uomini entrambi di specchiata probità e che godevano la fiducia di tutti. Insieme con essi il giorno seguente, dopo di aver prestato giuramento in mani dell’Intendente, si procedette alla nomina degli altri quattro membri della Giunta, e prescelti di comune accordo furono il Colonnello don Carlo Marnili, don Pietro Casotti, don Ignazio Metraja, e don FrancescoSaverio Lala.

Tutti poi il primo di agosto (3) si riunirono nella casa Episcopale, dove, prestato ancora una volta il giuramento, presero gli accordi sul da farsi. Spedirono ai Sindaci una circolare, in cui richiamavano tutta la loro attenzione sull’importante incarico di dirigere la elezione dei Deputati; ricordavano il primo dovere di ogni elettore, quello di essere spassionato (4): “gli schiavi delle proprie passioni non saranno mai liberi cittadini„. Davano poi loro le seguenti dilucidazioni:

(1) Il Ministro rimetteva al Mancarella 10 esemplari della Costituzione di Spagna, 170 esemplari del Real Decreto de' 22 luglio ed altrettanti esemplari dei capitoli 1, 2, 3, 4, 5 del titolo 3° della Costituzione che prescrivevano la forma delle elezioni.

Per le norme della elezione dei Deputati cfr. Fontanarosa V., Il Parlamento Naziunale Napoletano per gli anni 18201821 (“Bibl. Stor. del Risorgimento italiano„, 1900, pagg. 1831).

(2) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Min. Pol., vol. cit., pag. 27.

(3) Ivi, pagg. 4748.

(4) Le elezioni si debbono fare non solo secondo lo vedute della Costituzione, ma secondo la dignità della Nazione e della rappresentanza che deve onorarla e distinguerla nel Parlamento, (ivi, pag. 57).

Che i Sindaci dovessero subito senza alcun ritardo raccogliere gli stati di tutti i cittadini del proprio comune che avessero compiuti i ventun anni; questi eran detti anche Capi di famiglia (1); “2‘ Pervenuti tali stati nelle mani dei Sindaci, si conoscerà da questi qual numero di Compromissari debba nominarsi dalle Giunte Parrocchiali e qual numero di elettori debba di detti Compromissari eleggersi, avuta ragione del numero corrispettivo dei cittadini a norma degli articoli 33, 38, 40, 41, 42, 43, 44, 45 di detta Costituzione; “3‘ I Sindaci pubblicheranno immediatamente tali stati con affissi, nei quali saranno fedelmente trascritti gli Stati medesimi e con ravviso del giorno e del locale nel quale dovrà aver luogo e riunirsi il Congresso, ossia Giunta Parrocchiale, a norma dell’articolo 47 della Costituzione, della dilucidazione sul detto articolo f.° 47 delle Istruzioni, e dell'articolo 4 del Real Decreto de’ 22 luglio (2); “4a Gli eletti dei comuni aggregati si concerteranno subito coi Sindaci delle Centrali, all’oggetto di porre in esecuzione l’art. 40 della Costituzione, e dove si avverasse il caso che il numero de’ cittadini non giungesse a 150, per osservarsi la disposizione contenuta nell’articolo 43 della Costituzione medesima; “5 Riunite le Giunte Parrocchiali, saranno le medesime ordinate e regolate in conformità dell’articolo 46 della Costituzione, modificato dalle istruzioni sullo stesso articolo, foglio 16. Si eseguiranno similmente gli articoli 47, 48, 49 e 50 della detta Costituzione, con tutt’altro che riguarda elezione di Compromissari (3), nomina che questi debbono fare degli Elettori, redazione, soscrizione dell’atto di nomina da rilasciarsi agli Elettori,

(1) Secondo la dichiarazione del Governo, posta in fronte all’edizione ufficiale della Costituzione politica della Monarchia Spagnuola, sotto la denominazione di Capi di famiglia o di casa ‘ non si vuol intendere che gli individui di ventun anno compiti, i quali senza eccezioni legali godono pienamente di tutti i dritti civili, e non già quelli che soli indipendentemente governano le famiglie„.

(2) Si rimetteva ad ogni sindaco il Proclama di S. A. R. il Duca di Calabria, Vicario Generale del Regno; il Decreto del 22 luglio, una copia della Costituzione spagnuola del 1812 concernente il sistema delle elezioni.

(3) S’intendono gli individui nei quali i cittadini depositavano le loro volontà per nominare gli elettori parrocchiali. Questo modo di elezione si diceva per compromesso (Fontanarosa, op. cit., pag. 19).

ed ai Compromissari, nel solo caso per questi ultimi previsto dagli art. 43, 44 della Costituzione medesima, fino all’articolo 58 inclusivo; “6a Nei comuni che oltrepassano il numero di 10. 000 anime, i Sindaci faranno particolare avvertenza agli articoli 14, 15 delle istruzioni annesse al citato Reai Decreto de’ 22 luglio, sia per la pronta divisione in sezioni delle elezioni parrocchiali, sia per dar principio a tali elezioni nella prossima domenica e trovarsi compite pel 20 del c. m. ; “7a In quanto alle Giunte Elettorali dei distretti e della provincia, le medesime debbono essere regolate in conformità dei capitoli 4 e 5 della citata Costituzione, delle dilucidazioni sull’articolo 67 della Costituzione, contenute nelle istruzioni foglio 17 e in conformità di quanto è stabilito nel foglio 8 delle istruzioni medesime,,.

Del 31 luglio è un Decreto del Reggente riguardante le Giunte Provinciali. Per esso si stabiliva che i Consigli Provinciali e Distrettuali sarebbero aboliti e tutte le attribuzioni (1) altra volta ad essi deferite sarebbero state provvisoriamente esercitate dalla Deputazione Provinciale, che si sarebbe nominata dagli elettori di Distretto nel giorno 4 settembre 1820. Questa Deputazione poi sarebbe entrata immediatamente nell’esercizio delle sue funzioni, e ne sarebbe stato Presidente l’Intendente della Provincia, che avrebbe formato parte della Giunta, sotto il nome d’Intendente Commissario della provincia, il Direttore delle Contribuzioni Dirette.

(1) Queste attribuzioni sono specificate nella circolare ai Sindaci dei vari comuni della Prov. di Terra d’Otranto, degli 8 agosto, dalla Giunta preparatoria: È particolare incarico della Deputazione Provinciale intervenire ed approvare la ripartizione delle contribuzioni da pagarsi dalle popolazioni delle Provincie. Vigilare sul buon uso dei fondi pubblici de’ Comuni, vederne i conti apponendovi il suo visto, uniformemente alle leggi o regolamenti. Stabilire gli aggiuntamenti o sia Corpi Municipali ne’ siti destinati dalla legge. Proporre le nuove opero di pubblica utilità o la restaurazione delle vecchie col fissarne i mezzi per ottenere l'approvazione delle Corti; nominare il Cassiere sotto la sua responsabilità od esaminare i conti dell’uso di tali mezzi. Badare all’educazione della gioventù, all’incoraggiamento dell’agricoltura, dell’industria o del commerciò e proteggere gli inventori di nuove scoperte negli espressi rami. Partecipare al Governo gli abusi che osservassero nell'Amministrazione delle rendite pubbliche. Formaro il censimento o la statistica della provincia. Osservare so adempiono al loro scopo gli stabilimenti di pietà e di beneficenza, col proporre delle regolo, onde riformarne gli abusi. Manifestare alle Corti lo infrazioni della Costituzione, che osservassero nella provincia, il che si trova meglio spiegato nel Tit. II della Costituzione al Cap. I e II.

Il Ministro degli Affari Interni era incaricato dell’esecuzione del Decreto.

La Giunta Preparatoria ne dava, con circolare degli 8 agosto, notizia ai Sindaci della provincia, sollecitandoli a far conoscere allo popolazioni i caratteri di cui la Deputazione Provinciale dovesse essere rivestita, affinché i cittadini fossero preventivamente a conoscenza della materia, che avrebbe dovuto regolare i loro voti. E richiamava tutta l’attenzione suirelezione delle Deputazioni Provinciali “corpo vivificatore, nel quale la Costituzione ha riposta la fiducia di vedere nel minor possibile spazio risorte le provincie in tutti i rami da’ quali dipende la prosperità degli abitanti, rami in altre epoche o del tutto obliati o con passo retrogrado amministrati„.

Si procedeva intanto alacremente nella provincia alla elezione delle Giunte Parrocchiali, che, come abbiamo detto, dovevano poi eleggere i Deputati (1).

Vivo era il fermento.

Vincenzo Balsamo, il capo del partito carbonaro, nelle Addizioni alla traduzione del Ragionamento dì un Eiettore con sè stesso di B. Constant, richiama l’attenzione degli elettori sulle persone a cui dovevasi affidare il mandato politico. I Deputati debbono essere indipendenti, che pel corso di 22 anni (epoca delle vicende politiche) hanno sempre volute le medesime cose; che hanno ripetuto ai Governi le stesse verità e si sono opposti a tutte le loro vessazioni; che hanno detestato sotto tutte le dominazioni il potere arbitrario; che non mai sorto alcun reggimento hanno mostrato della stemperata ambizione; e che nei diversi cambiamenti non hanno denunziato,

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli, vol. cit., pag. 8:  Popolazione di Terra d Otranto 305.644, numero dei Deputati da eleggersi 4 e 1 supplente, totale 5. Erra dunque il Palumbo (op. cit., vol. II, pag. 324) quando afferma che in Terra d’Otranto furono 6 Deputati eletti: vi aggiunge G. Battista Falcone.

Numero dei Distretti: 4.

Distretto di Lecce: popolazione 83.661, numero degli Elettori: 5. Distretto di Taranto: popolazione 73.366, numero degli Elettori: 4. Distretto di Brindisi: popolazione 78.167, numero degli Elettori: 3. Distretto di Gallipoli: popolazione 78.167, numero degli Elettori: 3. Totale degli Elettori di Distretto per la provincia di Terra d’Otranto: N. 15.

insultato e perseguitato alcun cittadino; che per conservare la loro opinione non hanno sacrificata quella degli altri; che mai hanno abusato del loro potere e tirata utilità dal loro impiego; che mai hanno fatto commettere arresti illegali ed ingiuste oppressioni; che hanno sempre odiate le leggi di eccezione, le commissioni militari; che si siano distinti per la loro condotta civile o militare,  né abbiano mai fatto parti umilianti per conservare il loro impiego; che siano stati costantemente gli stessi, “in una parola, come mi sono espresso dapprincipio, sempre indipendenti„ (1).

Era timore del Governo che le elezioni avessero avuto un carattere accentuatamente carbonaro; ma dei primi 72 eletti pochissimi avevano voce di sfrenati carbonari.

I Deputati di Terra d’Otranto furono Michele Tafuri (2) di Nardo; Vito Buonsanto di San Vito (3), Ippazio Carlino di Lecce (4), Giovanni Maruggi di Manduria (5); Francesco de Pandis, supplente.

(1) I Deputati poi nel loro programma elettorale dovevano avere: modificazione del sistema d’imposte, che doveva poggiare su questi elementi: moderazione nelle imposte dirette; censimento accurato; diritti d’immissione sorti pei generi esteri; l’estraregnazione dei generi nazionali o libera o con pochi dazi.

(2) Figlio del Barone Tommaso di Melignano e di Teresa Perrone, nacque il dì 27 maggio 1769 a Nardò, nel cui seminario fu educato e poi inviato a Napoli per studiarvi diritto canonico e poi prendervi gli ordini sacri. Egli invece si accinse agli studi legali. Durante il decennio, Ministro nel 1807 il Commendatore Pignatelli, questi lo volle al Ministero di Grazia e Giustizia come pure Zurlo e Ricciardi. Nel 1815, tornati i Borboni, si dimise e si ritrasse a vita privata. Fu nominato quindi Giudice della Corte Criminale di Salerno, e nell’anno seguente (1816) andò alla Corte Criminale di Traili. Solo nel 1818 passò alla Corte Civile di quella città (Fontanarosa V., op. cit., pag. 17).

(3) Accademico Pontaniano; nato in S. Vito d’Otranto il 22 giugno 1762 da Oronzio Buonsanto, ricco mercante. Vesti nella sua patria l’abito dei frati predicatori, c, conseguiti gli ordini ecclesiastici superiori, divenne Padre Maestro di Teologia. Negli ultimi anni del secolo per scampare a persecuzioni popolari andò a Napoli, dove pose stanza nel convento di S. Domenico Maggiore (1808). Soppressi gli ordini religiosi, il Buonsanto si ritrovò in mezzo alla vita del mondo. Morì nel maggio 1850. Scrisse opere per l’insegnamento della lingua italiana e latina, della geografia, della storia e della matematica elementare (Cfr. P. E. Telelli, Elogio di Vito Buonsanto, Napoli, Fibreno, 1851).

(4) Avvocato, nacque in Lecco noi 1780; ora discendente del famoso sindaco giacobino (Palumbo P., op. cit., vol. 11, pag. 324).

(5) Repubblicano del 1799: combatto sul ponte della Maddalena; fu liberale, ma non carbonaro (Ibidem).

Il 22 settembre 1820 prendevano parte alla prima Giunta Preparatoria tenuta nella gran sala municipale di Monteoliveto, e Michele Tafuri veniva eletto fra’ cinque Deputati — tra cui Pasquale Borrelli e il Generale Begani — della Commissione per la verifica dei poteri (1).

Nella seconda Giunta Preparatoria tenuta il 25 settembre per la verifica dei poteri, si discusse intorno alla validità dell’elezione di Vito Buonsanto, ex-domenicano.

La Commissione dei cinque propose le seguenti difficoltà. Dopo la soppressione del suo Ordine, avvenuta nell’anno 1819, non essendo rientrato nell'Ordine stesso, ristabilito per il Concordato, e non avendo neppure ottenuto dal Pontefice il breve di secolarizzazione, doveva egli riguardarsi come Ecclesiastico regolare o secolare? Il deputato Berni prese la parola, dicendo che il Decreto del 7 agosto 1809 aveva soppresso tutti gli Ordini religiosi possidenti, fra i quali il Domenicano; che l’art. 5 dello stesso decreto aveva ordinato che i monaci formassero parte del clero secolare, ammettendoli ai benefizi ed alle cariche ecclesiastiche, che questo stato di cose ora durato fino al 31 marzo 1818, epoca della pubblicazione del Concordato con la Santa Sede; che in virtù dello stesso Concordato non era imposto l’obbligo di rientrare nei chiostri a tutti gli exmonaci, non permettendolo le ristrette circostanze economiche del patrimonio non alienato; che era stato lasciato all’arbitrio degli individui degli Ordini ripristinati entrare o no nei chiostri rispettivi; che il Buonsanto non vi era rientrato, che l’obbligo imposto di ottenere il breve di secolarizzazione da Roma, era solo per la esazione della pensione, vale a dire un espediente tutto economico del Governo; che infatti il non riceverlo importava decadenza dallo esigere la pensione e non decadenza dal Governo de’ diritti civili (e ciò specialmente avrebbe dovuto esprimersi); che ciò nondimeno Buonsanto per esigere la pensione aveva chiesta la sua secolarizzazione da parecchio tempo, e che, se questa non era ancora venuta, non era sua colpa, potendo ciò nascere dalla molteplicità degli affari della Corte di Roma; che in fine il Decreto del 7 agosto 1809, tacitamente riconosciuto nei suoi effetti, doveva essere utilmente invocato dal Buonsanto.

(1) Diario del Parlamento Nazionale delle Due Sicilie negli anni 1820 e 1821, edizione fatta a cura di Carlo Colletta, Napoli, stamperia dell’Iride, 1864, 1 parte, pag. 2.

Conchiuse invocando che la nomina di questo a deputato fosse dichiarata valida.

Il deputato Borrelli fece conoscere che la soluzione del problema era nel Concordato, che, lungi dal contrastare, favoriva anzi la nomina di Buonsanto; e il deputato Deciò Coletti sostenne che bisognava riportarsi al fatto che gli exmonaci non erano privati dei diritti civili.

Dopo breve discussione, e sottoposta la questione a scrutinio segreto, a maggioranza assoluta di voti fu dalla Giunta Prepara toria ritenuta valida la nomina di Vito Buonsanto a deputato della Provincia di Lecce (1).

Nella stessa seduta dal deputato Cassini, uno della Commissione dei tre per la verifica dei poteri" fu mosso dubbio intorno alla qualità di Michele Tafuri. Giudice questi della G. C. Civile di Trani, che estendeva la sua giurisdizione anche sulla provincia di Lecce, ma richiamato in Napoli con Decreto Reale e quivi domiciliato prima che avvenisse la sua nomina a deputato, poteva l’art. 97 della Costituzione essere applicabile al suo caso? Ed egli rimetteva l’esame di questa controversia alla Giunta, la quale con maggioranza assoluta di voti dichiarò che la nomina di Michele Tafuri era da ritenersi valida (2).

Il 1° ottobre del 1820 nella chiesa dello Spirito Santo s’inaugurava con gran pompa l’apertura del Parlamento Nazionale (3) con l’intervento del Presidente Galdi, dei quattro segretari: Berni, Natale, Colaneri e de Luca, e di tutti gli altri rappresentanti del Regno. Tafuri fece parte della Commissione de’ ventidue deputati, che dovevano accogliere S. A. R. il Principe Ereditario e famiglia e S. A. R. il Principe di Salerno; Carlino e Maruggi della Commissione dei trentadue per ricevere il Re.

Ferdinando giurò solennemente sul Vangelo la Costituzione, e il Principe Francesco lesse in nome del Re un discorso, in cui esponeva il programma del Governo.

(1) Carlo Colletta, op. cit., pagg. 34.

(2) Ibidem., pag. 3.

(3) Cfr. Pepe, op. cit., Cap. XXVIII; Fontanarosa, op. cit., pag. 17; Colletta C., op. cit., pagg. 1110.

Nei giorni seguenti le sedute si tennero nella Sala di S. Sebastiano, sede definitiva del Parlamento, e i deputati subito si accinsero ai lavori parlamentari. Nella adunanza del 2 ottobre furono eletti i componenti le Commissioni particolari, per facilitare l'andamento e il disbrigo degli affari di competenza del Parlamento (1). Membro della Commissione di Legislazione fu nominato Tafuri; Buonsanto di quella per l’Istruzione Pubblica; Mareggi di quella per l’Esame e Tutela della Costituzione, e Carlino membro della Commissione per l’Amministrazione Provinciale e Comunale (2).

Il 12 ottobre si procedeva alla elezione dei 25 deputati, che dovevano poi formare le liste triple dei Consiglieri di Stato: Tafuri fu uno dei venticinque. La nomina dei Consiglieri di Stato fu fatta dal Parlamento nella seduta del 20 novembre; per la provincia di Lecce furono eletti Domenico Acclavio (3), Presidente della G. C. Civile di Trani; il Duca di Carignano, proprietario (4); il cav. Nicola Libetta, Consigliere della Suprema Corte di Giustizia in Napoli.

Nella terna dei Vescovi, insieme con quelli di Monreale e di Peggio, fu eletto Monsignor Caputo, Vescovo di Lecce (5).

L’opera dei rappresentanti Salentini al Parlamento del ’20, se non fu notevolissima, è degna tuttavia di essere ricordata, specie per quel che riguarda l’opera attiva spiegata dai deputati Tafuri e Maruggi.

(1) Le Commissioni erano nove: I Legislazione, 2 Guerra e Marina ed Affari Esteri, 3 Milizie Provinciali, Gendarmeria ed ogni altro oggetto di Pubblica Sicurezza, 4 Finanze, 5 Commerciò, Agricoltura, Arti ed Industria, 6 Istruzione Pubblica, 7» Esame e Tutela della Costituzione, 8‘ Amministrazione Provinciale e Comunale, 9 Governo Interno.

(2) Ivi, pag. 55.

(3) Da Taranto; fu poi Ministro dell'Interno. Liberale moderato, era ammirato da tutti per le sue ottime qualità (Carte segrete della Polizia Austriaca, Capolago, 1860, vol. 1°, pag. 161).

(4) Da Lecce; fu Ministro delle Finanze; “piuttosto contrario alla dominante anarchia dei Carbonari„ (ivi).

(5) Colletta C., op. cit., vol. II, pagg. 2023. Il 25 ottobre Giovambattista Maggi, Presidente della Camera Notarile di Lecce, presentava al Parlamento un ricorso; egli, arrestato nel 1817 per opinioni politiche e reintegrato nel suo impiego 14 all’epoca della rigenerazione politica del Regno delle Due Sicilie„, da due anni e otto mesi non gli erano pagati i soldi. La domanda fu rinviata alla Commissione di Legislazione, che opinò doversi rimettere al Ministro di Grazia e Giustizia. Il Parlamento approvò (Ibidem, pag. 93).

Importante è la mozione presentata dal deputato Tafuri nella adunanza del 27 ottobre alla Commissione di Legislazione per l’abolizione delle esazioni abusive dei Vescovi.

Il Ministro degli Affari Ecclesiastici aveva presentato un progetto di Decreto per l’abolizione di due esazioni che facevano i Vescovi ed Arcivescovi pei loro Cleri rispettivi.

Egli si fondava non tanto sugli abusi delle prestazioni, quanto sulla incompatibilità di continuarsene il pagamento nel momento che i Vescovi ed Arcivescovi, in virtù del Concordato, percepivano una rendita vistosa.

Il Tafuri diceva che non eranq solo due le prestazioni, che i Prelati esigevano dai loro Cleri, ma molte altre che bisognava abolir sia perché abusive, sia perché i Vescovi già godevano di una considerevole rendita: la procurazione (1), il sussidio caritativo (2), il sinodatico (3), il cattedratico (4), la quarta decima o quarta canonica o dei censi (5), la quarta degli obiti o quarta funeraria (6), la quarta delle oblazioni spontanee ed avventizie (7), la visita ad limina (8)

(1) Questo diritto consisteva nel pagamento del solo vitto e viaggio, che ogni Clero dava al suo Superiore, quando visitava una diocesi; sia che i Vescovi andassero o no in visita la tassa si esigeva sempre.

(2) Si somministrava dalle Chiese inferiori al proprio Prelato nei suoi sommi bisogni. Con la tassa Innocenziana si stabilì di esigersi una sola volta, nel primo ingresso del Vescovo in quella diocesi, che era solito di esigersi. Ciò che era l’effetto di un accidente divenne un peso costante.

(3) Si somministrava dalle Chiese inferiori al proprio Vescovo nelle convocazioni dei Sinodi Diocesani..

(4) Era una contribuzione, che si pagava alla cattedra vescovile dai Beneficiati delle Chiese inferiori in segno della loro soggezione. Infatti veniva detto ancora ricognizione della cattedra, Canonica, Protopatia. Questo non era altro che un testatico, e solevano perciò i Vescovi esigere 12 carlini per ogni Prete beneficiato.

(5) Consisteva nel pagamento della quarta parte delle rendite di ogni Clero alla Mensa Vescovile.

(6) Consisteva nel pagamento ai Vescovi della quarta parte di quanto i Cleri esigono dai mortori.

(7) Questa si esigeva solo da alcuno Mense Vescovili.

(8) I Vescovi avevano l'obbligo di visitare il Pontefice ogni tre anni. Per questa visita taluni Vescovi esigevano dai loro Cleri una somma. Essi non andavano a Roma, ma l’imposizione si esigeva ogni tre anni.

 

ed altri diritti che i Vescovi esigevano come Canonici sia dalla massa comune, sia dalle prebende canonicali.

“Spero, diceva il Tafuri, che con l’abolizione di queste prestazioni, che avviliscono chi le riceve ed umiliano chi le somministra, possano i Vescovi comprendere la dignità, e gli obblighi del loro carattere, onde senza il bisogno di altra determinazione possano da sè stessi astenersi dal percepire quelle altre forzoso oblazioni, che si ricevono nell'amministrare i Sagramenti dell’ordine Sagro e della Cresima. Essi si ricorderanno del precetto del loro Maestro: gratis accepistis, gratis date„ (1).

Più importante ancora fu la mozione presentata da Mamggi, il 4 novembre, sui lavori parlamentari e sulle basi fondamentali del governo costituzionale.

E da più di un mese, egli diceva, che il Parlamento è riunito, che si fanno mozioni o discussioni, ma nessun ramo di amministrazione si è esaminato, fissato. Si è coperti di rapporti, di piani, di memorie, di promemorie, ma nessuna se n'è ponderata, discussa.

“Temete, avvertiva, l’intrigo ministeriale. Questo ci tira nell’inviluppo, ci tiene nell'incertezza: ci vuol fur passare il tempo in parole„. E senza venire a particolari che potrebbero offendere la delicatezza di qualcuno, il Maruggi faceva osservare che si era prossimi al nuovo anno, immensi travagli si dovevano compiere, ed intanto non si giungeva a niente di positivo.

Ed ammoniva: la Patria aspetta da questo augusto consesso i suoi più alti destini, vuol sentir fissata su più salde bas la sua indipendenza; vuol vedere alleviati i suoi figli dalle più ingiuste enormissime contribuzioni, “liberati dalle immense arpie, che sottocchio tolgono loro le vivande„.

Questi sono i voti di sette milioni di uomini, che gemono nell’indigenza. L’anno nuovo ò ad aprirsi, e noi pubblicheremo gli stessi piani, le stesse Amministrazioni o variate solo di nomenclatura? Iddio non voglia, egli esclamava; che cosa direbbero i nostri committenti? con qual coraggio torneremmo alla nostra provincia? A che avrebbero servito tanti sforzi de’ prodi cittadini, tanti sacrifizi della Nazione e del Re? Bisogna non star sempre a discutere, ma a deliberare, ad eseguire„.

(1) Ibidem, pag. 97.

E poiché i voti dei buoni cittadini erano modificazioni alla Costituzione che non indebolissero però le basi su cui si erigeva l’indipendenza, e “semplicizzazione„ di Finanze, che togliesse l’immenso numero di agenti che divoravano le sostanze del Regno, il Maruggi faceva le seguenti proposte:

1a Definire che cosa sia base e che cosa sia modificazione alla Costituzione per avere una norma cui riportare le idee.

2a Fissare i rami di Amministrazione e quindi le spese necessarie per l’anno veniente 1821.

3a Togliere subito la privativa sul tabacco come ingiusta, gravosa, tirannica.

4a Si diano subito i regolamenti per eleggere gli alcadi, i reggitori, i sindaci procuratori con le rispettive attribuzioni e tutto ciò che riguarda l’amministrazione delle province (1).

A quest’ultima proposta si provvide nell’adunanza del 15 dicembre, in cui il Parlamento decretò: Art. 1°. In ogni comune per la sua Amministrazione vi sarà un corpo municipale composto da un Sindaco, da un 1° Eletto, da un 2° Eletto, da un Giudice Municipale, da un Cancelliere Archiviario, con una corrispondente officina, da un Cassiere e da un Decurionato.

I comuni hanno il diritto di domandare al Parlamento l’aumento del numero degli Eletti, se ad essi può convenire e se la pubblica utilità lo esiga.

Art. 2°. I comuni riuniti avranno un Eletto particolare sotto la dipendenza del Sindaco. L’Eletto avrà sotto di sè un Cancelliere sostituto.

Art. 3°. Il personale dell’Amministrazione dei Comuni riuniti dovrà esser composto in modo che ciascuno di essi vi abbia per (pianto sia possibile il numero dei soggetti proporzionato alla sua popolazione.

Art. 4°. Il Decurionato sarà composto nei comuni di 3000 abitanti in sopra di un numero di individui corrispondente a tre per ogni mille abitanti, ma non può oltrepassare il numero totale di trenta,  né esser minoro di dieci.

(1) Ivi, pag. 134.

Nell'adunanza del 6 novembre la mozione del Maruggi fu rimessa secondo i vari articoli allo Commissioni corrispondenti (ivi, pag. 148).

Noi comuni di 3000 abitanti in sotto non può esser minore di dieci individui.

Si richiede essenzialmente che il terzo sappia scrivere (1).

Quanto poi alla necessità di riordinare le Finanze è ben vero che questa era l’aspirazione vivissima di tutto il Regno. Un gran numero di memorie e di mozioni su tal oggetto si presentavano al Parlamento. Era opinione comune che prima di tutto era necessario provvedere allo stato urgente delle Finanze, per poter far fronte ad una quantità di esiti indispensabili. Vario erano le misure urgenti che si proponevano per far argino alla massa dei bisogni urgentissimi (2); la lentezza nel prendere questi provvedimenti poteva riuscire fatale. Ma si reclamavano principalmente le cure del Parlamento per la minorazione dello contribuzioni diretto “che avevano schiacciato i proprietari dei fondi ed avviliti i Coloni„.

Lo imposte erano insoffribili e molti comuni del regno presentavano un quadro desolante degli effetti spaventevoli da esse prodotti. La provincia di Lecce era, dopo quella di Bari, la più gravata, pagando un tributo di ducati 548.000 (3).

La fondiaria era estremamente odiosa, perché gravosa o non esattamente proporzionata tra i comuni; molesta anche perché l’esazione si eseguiva in tante rate mettendosi alla tortura i contribuenti in quei mesi, in cui la maggior parte trovavasi in bisogno (4).

E poiché era necessario diminuire la contribuzione fondiaria, e nello stesso tempo non si era in condizione di poter diminuire gli introiti, si proponeva al Parlamento una misura che avrebbe risposto all una e all altra necessita. Giacché le contribuzioni gravavano solo su una classe di cittadini, lo proprietà dei quali consistevano in boni fondi, mentre esentavano un’altra parte doviziosa

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli,Ministero di Polizia, Carte del Parlamento Nazionale, 1820-1821, F° 33, nn. 25, 26.

(2) Cfr. ivi, Memoria di Francesco Leone sul ribasso della Fondiaria presentata alla Commissione delle Finanze il 20 ottobre 1820.

(3) V. Colletta C., op. cit., pag. 155 (discorso del deputato Orazii sui dazi indiretti del Regno).

(4) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Carte del Parlamento, Memoria cit. (È giunta a tal segno la vessazione che in qualche comune si è veduto nella più rigida stagione usare la barbarie di far scovrire i tetti onde vendere gli embrici per la rata della Fondiaria, dovuta da alcuni infelici contadini).

che aveva le sue proprietà in capitali, in industrie, in commerciò (1), si proponeva che i mercanti, i capitalisti, i possessori di grandi industrie pagassero un quinto di capitale, e si diminuisse di un quinto la Fondiaria (2).

Ma parecchio tempo passò ancora prima che si venisse ad un provvedimento legislativo e solo il 9 gennaio 1821, per decreto del Parlamento, la contribuzione fondiaria nelle provincie di qua dal Faro fu diminuita di un sesto; della somma totale di ducati a Terra d’Otranto furono assegnati ducati 426. 000 (3).

Sul declinare del sec. XVIII nella provincia di Lecce il mondo dei feudi con tutto l’apparato dei suoi abusi reggeva e perdurava pienissimo; le tracce profonde dell’età di mezzo spiccavano evidentissime: le città demaniali s’emano ridotte a cinque soltanto (Brindisi, Gallipoli, Lecce, Otranto, Taranto); i feudi ascendevano a 300 e più, di cui moltissimi disabitati: dovunque s’incontravano manomorte, disuguaglianze civili, con un assieme di pregiudizi tradizionali e inveterati, dappertutto vincoli fiscali e barriere feudali poste alla proprietà, al commerciò e alla industria (4).

A Giuseppe Napoleone spetta il vanto di avere sradicato la mala pianta del feudalesimo, con la legge emanata il 6 agosto 1806;

(1) Cfr. Bianchini L., Della storia delle Finanze del Regno dì Napoli, Napoli, 1859.

(2) Il 24 novembre la Deputazione Provinciale di Terra d’Otranto presentava una proposta per la minorazione della fondiaria nel comune di Ceglie, che veniva passata alla Commissione di Finanza.

(3) (Colletta C, op. cit., vol. 2°, pag. 215).

V. ivi, pag. 136.

Il 2 novembre la Deputazione Provinciale di Terra d’Otranto faceva un rapporto sullo stato di quella provincia; si mandò alla Commissione Provinciale e Comunale, che il 6 novembre lesse un rapporto sulla rappresentanza della Deputazione Provinciale di Lecce e si determinò dal Parlamento di stani parai.

La Municipalità di Presicce in Terra d’Otranto il 14 novembre avvertiva il Parlamento degli abusi o dei delitti commessi dall’ex giudice di Circondario Giuseppe Oronzio Valenti di Buffano, affinché non venisse reintegrato nella carica.

Si rimise alla Commissiono dì Esame o Tutela. Nella stessa seduta dalla Deputazione Provinciale di Terra d’Otranto veniva rimesso al Parlamento un ricorso di alcuni cittadini di Lecce su taluni abusi nocivi all’agricoltura: si rimise alla Commissione di Commerciò c di Agricoltura.

(4) Tanzi, op. cit., pag. 192.

G. Murat istituì poi una Commissione feudale per giudicare le vertenze sorte in seguito all’abolizione del feudalismo; affrancò la proprietà dai molti vincoli di vassallaggio; sciolse ogni genere di servitù e divise le terre feudali fra le comunità e i baroni (1), Un ricorso di tal genere veniva presentato al Parlamento Nazionale dai rappresentanti del comune di Squinzano, nei termini seguenti (2): “Il Sindaco, Eletti, Decurioni e Parroco del comune di Squinzano, in provincia di Lecce, fanno presente alla di loro saviezza, come in tempo dell’occupazione militare, erettasi la Commissione ex Feudale presso di questa, i Cittadini del comune anzidetto dedussero le loro ragioni pei diritti abusivi e feudali, che esercitavansi da vari ex Baroni sulle proprietà possedute dai medesimi nei vari tenimenti.

“In data dei 30 agosto 1810 la detta Commissione intese le parti nelle di lor conclusioni, visti i rilievi ed altre sentenze anteriori decretò quei diritti che poi legittimi dovevano restare a’ rispettivi ex Baroni, come gli altri che quali abusivi si annullavano, ed il tutto si ravvisa più chiaramente dalla sentenza anzidetta compresa nell’ultimo volume dei Bollettini Feudali. Domenico Acclavio, qual Commissario per l’esecuzione delle cerniate sentenze in questa provincia suddetta, pose in effetto quanto dalla Commissione si era definito, dando conoscenza dei diritti legittimi e da prestarsi; come degli abusivi che restavano annullati; e fra gli altri pei suffeudi contigui a questo comune, e nella maggior parte possedute le proprietà da cittadini Squinzanesi, ciòè Afra e Bagnara, di pertinenza all’ex feudataria duchessa Filomarini, si fece conoscere che altra decima non si dovea che la sola del grano, orzo, avena, fave; come il tutto si ravvisa dalla detta sentenza, nonché lettere di avviso date fuori dal detto Commissario Acclavio, sì al Sindaco in quel tempo di questo comune, come al Procuratore Civile del Tribunale della Provincia.

Tali prestazioni si seguirono a pagare dai proprietari sino al 1812;

(1) Cfr. Winspeare D., Storia degli abusi feudali, Napoli, 1883; Trifone R., L’eversione della feudalità, Milano, 1909.

(2) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Carte del Parlamento, F® cit., foglio a stampa (dai torchi di Raffaele di Napoli, vico S. Gregorio Armeno, N® 1). Stimiamo utile riportarlo distesamente, poiché h caratteristico per conoscere le condizioni sociali ed economiche di Terra d’Otranto.

quando con le stesse qualità di Commissario, assunto in Intendente Acclavio, per questa suddetta Provincia a petizione della Duchessa Filomarini, che affacciò altra sentenza emanata dalla detta Commissione ai 30 di agosto 1809, in cui per gli detti suffeudi Afra e Bagnara dichiarato avea legittima l’esazione non solo del grano, orzo, avena e fave, ma ancora dell’olio, vino, lino e bombace; e questo a petizione dei cittadini del comune dei Campi, che dedotto aveano la illegittimità delle decime, che esercitava la anzidetta Duchessa. L’intendente volendo aderire, in pregiudizio della giustizia, ai desideri della Duchessa, emanò altri ordini sì al Tribunale che al Sindaco, con cui fece sentire che si fosse eseguita a conto di detti suffeudi Afra e Bagnara la sentenza di agosto 1809 ove si stabiliscono otto capi di decima e non quella di agosto 1810, in cui si stabilirono solo 4 capi. Non fu possibile che i clamori e le ragioni del comune di Squinzano fossero intese, perché le determinazioni di questo ministro si resero irretrattabili. Furono obbligati i poveri proprietari di pagar la decima su otto generi, come prescriveva la sentenza per Campi, e non su quattro, come determinava quella per Squinzano. Di tali fatti pende giudizio presso la G. Corte dei Conti, ma fintanto l’ex feudataria abusivamente sta percependo le decime, perché un solo proprietario è quello che fa la guerra non avendolo potuto la povera comune fino a questo punto; che perciò implorano dalla giustizia di codesta onorevole e savia Assemblea Nazionale quello disposizioni crederannosi proprie, affinché la sentenza emanata a’ 30 agosto 1810 della Commissione ex Feudale sia posta nel suo pieno vigore, e che intanto se l’ex feudataria ha dello ragioni in contrario fossero intese quoste, so si credo, ma giuste, ed altrosì che fossero intese le ragioni di questo comune, che altro non appella, so non i fatti sui quali fu basata la seconda sentenza, non esistendovi per questi suffoudi altro titolo, che i soli riliovi, dai quali solo quattro generi di decima si deducono ed il tutto avranno a spocial grazia. Firmati: Vito Pulii, Sindaco; Vincenzo Alari, 1° Flotto; Domenico Tarantini, 2° Eletto; Leonardo Cocciòle, Parroco; o i Decurioni: Luigi Andriani, Francesco Sterzati, Giuseppe Forrari, Emilio Prato, Nicola Clcopazzo, Vincenzo Papa, Vincenzo Gocciòlo, Nicola Fioro„.

Cosi pure il 20 novembre 1820 il Sindaco o i Decurioni del comune di Taurisano domandavano clic si abolissero le decime baronali;

che fosse obbligato l’ex Barone al pagamento degli attrassi catastali, od infine che si annullasse il canone ridotto da Acclavio (1).

E il Sindaco e alcuni cittadini di Poggiurdo proponevano alcuni espedienti per togliere ogni avanzo di abusi feudali (2).

Ancora il Sindaco e i Decurioni del Comune di Trepuzzi presentavano le loro rimostranze contro gli abusi feudali, a cui andavano soggetti (3).

E questo un aspetto caratteristico delle condizioni economiche di Terra d’Otranto.

Il 26 gennaio 1821 il Parlamento, considerando che molti comuni del Regno, ove la divisione delle terre ex feudali o chiesastiche non era avvenuta per negligenza degli agenti incaricati, rimarrebbero privi dai benefici delle leggi e regolamenti all’uopo emanati, decretava: 1° Il termine già scaduto a tutto il dì 31 decembre 1820 per la divisione dei Demanj ex feudali o chiesastici, si rinnovi ed abbia la durata dell’anno corrente 1821.

2° La divisione suddetta sarà eseguita a cura e diligenza delle Deputazioni provinciali all’interno dai Prefetti delle provincie, i quali forniranno gli elementi necessari.

3° Tutte le cause ora pendenti per gravami prodotti avverso la divisione delle terre demaniali ex feudali o chiesastiche saranno dalle autorità competenti ultimate nel corso dell’anno corrente (4).

Il 20 novembre del 1820 il deputato Tafuri, a proposito di un rapporto della Commissione di Legislazione, relatore Lauria, che opinava di rigettarsi il progetto di un truglio (5), dopo di avere

(1) Ibidem.

(2) Ivi.

(3) Ivi.

(4) Ibidem.

(5) Colletta C., op. cit., vol. II, pag. 201. “Il Deputato Poerio respinge il progetto del truglio ch’è una vergognosa transazione della reità impudente o della innocenza avvilita Nel vecchio sistema il truglio aveva luogo ordinariamente nella G. Corte della Vicaria in grado di revisione di condanne pronunziate dalle Regie Udienze e si eseguiva fra l’avvocato dei poveri e l’avvocato fiscale. Era un atto arbitrario, ma almeno cadeva sopra uomini condannati, che avevan contro di loro la presunzione di reità. Ma fra noi questa aberrazione della regola colpirebbe i semplici imputati. E qualcosa intrinsecamente più ingiusta? Chi consente ad avere una pena qualunque non si dichiara tacitamente colpevole?

esposto il disordine e l’anarchia avvenute nella provincia di Lecce in tutto il corso del 1817, anarchia suscitata da certi agenti non autorizzati dal Governo, diretti al massacro della gente onesta, che nutriva sentimenti liberali (1); dopo di aver detto ancora delle tristi conseguenze ch’ebbero a subire quei liberali, i quali si erano armati per difendersi dall’anarchia, domandò che tutti i detenuti di quella provincia fossero stati o no condannati per reati avvenuti in quell’epoca, fossero posti in libertà (2).

I Deputati rimisero la proposizione del Tafuri alla Commissione di Legislazione, la quale (relatore Arcovito Girolamo) il 3 gennaio 1821, convenendo col deputato leccese che nel 1817 emissari del disordine, non autorizzati dal Governo, furono spediti in tutte le provincie del Regno e vi si presentarono per fare la guerra ai principii liberali, dichiarava essere malagevole opera, anzi difficile agli uomini più provetti e più istruiti nell’arte di formare i processi, scoprire gli autori di delitti avvenuti in momenti di disordine e di anarchia. “Certo però non poteva mettersi in dubbio da alcuno che uomini di probità conosciuta, incapaci di macchiarsi del sangue dei simili e di attentare all’onore e alla probità dei cittadini, gravati solo dei reati propri di coloro che sono scevri di colpa, ossia, dicendola con Tacito, delle opinioni politiche, si trovavano avvolti in quei processi ed alcuni n’erano stati già condannati, altri in attesa di giudizio„ (3).

La Commissione considerava esser proprio di ogni saggio governo

Il truglio dunque in questo caso equivale ad una minorazione e commutazione della pena legale, ossia ad un vero esercizio del diritto di grazia. E perché non riservare questo al Re, nelle mani del quale la Costituzione l’ha collocato? Si raddolciscano le condanne con la raccomandazione al Re; ma non si torni al truglio, a questo misto di crudeltà c di rilasciatezza che contaminava l’antico sistema„.

(1) Arcovito Girolamo, Rapporto della Commissione di Legislazione sui detenuti della Provincia di Lecce, Napoli, 1820 (Bibl. Cuomo, Miscellanea, 1“serie, volume 3°).

(2) Nel giorno seguente la Deputazione Provinciale di Terra d’Otranto rappresentava vari disordini esistenti in quella Provincia e il bisogno di provvedervi. Si rimise il rapporto alla Commissiono d'Amministrazione Provinciale.

Nella medesima seduta si dettero nomi classici alle Provincie: Terra d’Otranto fu detta Salento (Colletta C., op. cit., vol. Il, pag. 212; la medesima notizia è nel Diario di C. De Nicola; il Palumbo dice invece che Terra d’Otranto fu detta Messapia).

(3) Ibidem

guardare con occhio d’indulgenza i fatti avvenuti in momenti di esaltazione di idee, di disordini, di generale compromissione, di anarchia; che il volere in simili casi adottare misure di rigore, sarebbe desolare provincie e regioni, ed avvolgere fra i tristi anche i buoni ed i migliori cittadini. Considerava ancora che con occhio di maggior indulgenza dovessero guardarsi i fatti derivati da opinioni politiche, dopo che l’opinione trionfante aveva fatto cessare i disordini o le fluttuazioni delle idee e delle opinioni, e che in questi casi i sistemi adottati da’ legislatori erano quelli di generale abolizione.

Considerava che questa misura era ancora più necessaria perché erano nei ferri e nelle prigioni coloro che, sostenendo le opinioni liberali, avevano richiamato contro di essi con maggior forza il rigore degli agenti del Governo, o che sarebbe stato in contradizione ai principi liberali del Regno soffrire che gemessero condannati o in attesa di giudizio i fautori di quelle opinioni, che allora costituivano la Nazione ed il Governo.

La Commissione proponeva il seguente progetto: Il Parlamento decreta: Art. 1°. L’azione penalo pei reati avvenuti nella Provincia di Lecce nel 1817 in occasione dei disordini che per opinione politica ebbero luogo in quella provincia è estinta. I detenuti per tali reati saranno messi in libertà.

Art. 2°. Coloro i quali sono imputati omicidi saranno obbligati rimanere sei miglia almeno lontani dal domicilio delle parti offese, fino a che non avranno ottenuta la remissione.

Art. 3°. Rapporto ai condannati pe’ reati compresi nei precedenti articoli, si proporrà al Governo la necessità della grazia di assoluta remissione di pena da impartirsi da S. A. R. il Principe Ereditario, Reggente del Regno Il Deputato Nicolai e parecchi suoi colleghi si opposero con veemenza alla proposta del Comitato, osservando che, lungi dal diminuire renormità del delitto, il solo pretesto di commetterlo per la salute della libertà non poteva che aggravarlo.

L’Assemblea a maggioranza respinse la proposta del Comitato legislativo, e la sua decisione fu confermata dalla opinione generale che le associazioni di Lecce nel 1817 si servissero di pretesti politici per coprire la loro infamia e la loro rapina (1).

(1) Ivi, pag. 3.

Il 18 gennaio 1821 dalle pagine (1) dell’Osservatore talentino (2) una società di persone leccesi, amanti della loro patria (3), rispondeva per mettere i fatti nella loro vera luce, perché altrimenti il silenzio avrebbe suggellato con la impronta della verità “la più fallace ed impudente menzogna, e l’onore dei Salentini sarebbe rimasto per sempre macchiato o almeno circondato da denigranti dubbi Ed esponeva brevemente gli avvenimenti del 1817.

Pochissimi abitanti della provincia di Lecce “inclinati al dispotico potere ed alla sfrenata vendetta, coalizzati con pochi grossi aristocratici feudatari accolsero con gioia la restaurazione del 1815 credendola simile a quella del ’99. Scorsero la provincia baldanzosi promettendo protezioni, assoluzioni ed impieghi: ma delusi nelle loro speranze e scornati dinanzi ai loro proseliti non potevano rimanersene indifferenti e minavano sempre contro il patrio onore, contro il bene della loro patria„. Nel 1817 le idee liberali in provincia di Lecce per l’indole dei suoi abitanti (4) trovarono la più estesa e larga fecondazione. Infatti dall’ultimo abitatore delle capanne fino all’incivilito leccese, uno era il sentimento; e le idee divennero così esaltate che non fu possibile contenerne lo sviluppo: si chiese allora al Governo una Costituzione, ma invano, perché mancò il concorso delle altre provincie del Regno.

I Realisti intanto imbaldanziti per l’aperta protezione del Procuratore generale Scarciglia e dei generali Roth, Zwaver, Pastore, coglievano il destro di scagliarsi contro i Carbonari, attribuendo loro i delitti che commetteva una banda di briganti, sotto la guida di don Ciro Annichiarico. E più incrudelirono quando trasferitosi (n Basilicata l’Intendente Acclavio (5),

(1) Memorie sulle società segrete, ecc., op. cit., pag. 260.

(2) N° cit., rarissimo ed importantissimo, perché ci offre un quadro veridico degli avvenimenti del 1817 in Terra d’Otranto, e tratta dell’indole di quelle popolazioni.

(3) Comincia il giornale col verso: Quid paterna carina esset viro tellure?

(4) Quando si voglia avere il fedele ritratto dei Salentini, si prenda quello dei Britanni descritto da Tacito nella vita di Agricola:  Oasi sono pronti a dare all'imperio soldati, tributi e fare ogni obbligo con le buone; le ingiurie non sopportano; chiamati all’ubbidire non all’essere schiavi„. A queste parole bisogna aggiungere: ricolmi di vivace immaginazione, franchi ed ospitali (Ivi, pag. 2).

(4) Per un interesse particolare il duca di Belgioioso si reputava creditore del signor Romano di Patii e la questione era controvertibile. Il Direttore di Polizia, Patrizi, in virtù dei supremi poteri ordinò l’arresto di Romano all’Intendente Acclavio, prescrivendogli di eseguirlo personalmente e di travestirsi se vi fosse bisogno.

fu eletto Intendente di Terra d’Otranto Ceva Grimaldi, marchese di Pietracatella, deciso protettore dei Calderari; questi “mentre metteva a partito la testa di molti cittadini, mentre preparava i palchi, voleva come Nerone godere dello spettacolo della distruzione di Lecce„.

Eppure durante queste emergenze si pagarono le imposte, si dettero soldati allo Stato, si ubbidì alle autorità, e, quando venne il generale Church, i liberali furono i suoi più validi cooperatori per la distruzione del brigantaggio (1).

“Da questo rapido quadro del 1817 dipende un consta per fatto che la Provincia fu una vera anarchia? È stato di anarchia quello ove tutta la massa cittadina concorra all'ordine pubblico, al pubblico bene? E stato di anarchia ove congiurando tutte le autorità e tutti i poteri con tutti gli oligarchi provinciali per produrre la vera anarchia, questa si osservò in ogni tempo mancata per opera dei soli liberali? Che in un sol giorno sia stato chiuso il tempio di Temi, che un solo istante fossero state paralizzate le autorità cittadine, che per un sol momento siano state sospese o arretrato le contribuzioni! E questa anarchia? E se vi fosse esistita anarchia per parte dei liberali, poche centinaia di stipendiati armati sarebbero state capaci di contenere molte migliaia di uomini invasi dal furore di libertà? Consta per fatto che l'anarchia derivò duoli urti dei diversi partiti per diverse opinioni politiche; si vogliono confondere forse le pratiche degli oligarchi con la ferma opinione dei liberali? Si vuole eguagliare la compagnia del brigante Ciro Annichiarico con i Carbonari leccesi e colle altre società filantropiche? Consta per fatto che i fatti ed i reati furono conseguenze dell’anarchia e delle diverse opinioni politiche? " Se per opinioni politiche s’intendono quelle di Ceva, di Patrizi, di Scarciglia, di Pastore, di Zwaver, di pochi feudatari e degli oligarchi della provincia, allora ha bene opinato la Commissione;

 Ma poiché questa misura dispotica non trovò in Acclavio il suo meccanico strumento, il Patrizi prese in odio l’Intendente e lo trasferì in Basilicata. Il voto pubblico lo accompagnò, e tutti i leccesi espressero il più vivo dolore pel suo allontanamento. Fu questo il delitto che segnò poi la destituzione dell’Acclavio, e la dimostrazione della vera anarchia di Lecce. Destituito l'Acclavio fu richiamato in Napoli, ove si era riunita una Giunta per giudicarlo. Acclavio carico di documenti originali la sprezzò. Si riparò in tempo altrimenti l’accusato sarebbe divenuto accusatore (Ivi, pag. 2).

(1) V. sopra, pag. 43, nota 1.

ma quando poi questa conchiude che l’azione penale si estingua e che i detenuti per tali reati si mettano in libertà, allora la Commissione o proclama i principi anarchici degli oligarchi, o offende l’intiera provincia. E gli abitanti di Salento del 1820 non sono gli stessi del 1817? Vi è stata una provincia, bisogna dirlo in somma sua lode, che come questa nell’incertezza degli avvenimenti abbia saputo spiegare un carattere tanto deciso, abbia saputo sì rapidamente mutare il suo cangiamento, in faccia alla fresca memoria di mia Commissione Militare, ed alla presenza di una truppa estera, con pratiche tali di prudenza che l’ordine non fu mai turbato? Vi è stata un’altra provincia come questa che abbia preparato il nuovo reggimento nelle importanti risorse nelle casse intatte, nei sagrifizi dei cittadini, nei volontari spediti, nel forte numero di veterani inviato e nel presentare tutta la massa cittadina preparata a consumare l’opera politica della loro rigenerazione col sacrifizio puro della loro vita e delle loro sostanze? E la libertà è una di quelle divinità ch'è sitibonda di sangue umano? Ed i Salentini suoi Sacerdoti, eran forse i barbari del Nord, i seguaci di Kloos? (1). Abitatori del Salento, io chiamo voi stessi in testimonianza delle vostre virtù, isdegnando quella di tutte le autorità, che governarono e reggono la Provincia, isdegnando quelle di tutti i viaggiatori, che han conosciuto questa felice contrada.

La presenza di un Salentino sarebbe bastata ancora al Parlamento Nazionale per far valutare il carattere dell’intiera provincia e per farlo tributare quel posto, che negli annali del patriottismo si disputa. Noi protestiamo agli onorevoli deputati Nicolai, Borduole o Poerio i più vivi attestati della più generosa gratitudine per aver bruscamente risposto al parere della Commissione. Noi manifestiamo con la stessa ingenuità il vivo dispiacimento dell'imputabile silenzio dei nostri deputati, i quali non doveano ignorare le cose della patria loro. Noi finalmente rendiamo al Parlamento nazionale gli omaggi di tutta la venerazione, respingendo il più vergognoso dei progetti. Ma lo vittime innocenti che ora consumano o una pena non dovuta,

(1) Nel circolo di Loissing in Sassonia, si formò da Kloos una sotta, clic per sentimenti religiosi sacrificar dovea vittime umane. Un esempio ne avvenne nel luglio del 1818 (“Osservatore. Austriaco”).

o una pena non proporzionata, queste vittime infelici che lo sragionamento di una Commissione Militare condannò non interessano la sensibilità dei Salentini? “Noi, testimoni dei fatti, adempimmo al religioso uffizio di spargere della riconoscente polvere su quei cadaveri, intorno ai quali l’ombra vagante grida io fui innocente! “Noi ora reclamiamo all’umanità del Parlamento ed alla clemenza del Principe l’esercizio della più bella delle virtù, la riparazione del male  In Terra d’Otranto intanto i Carbonari si organizzavano militarmente. Da Lecce partivano per la capitale 72 volontari guidati da don Nicola Paladini e da Giuseppe Parisi, mentre altri 2000 avevano fatto istanza di aggregarsi alla Legione Salentina.

Narra Guglielmo Pepe (1): “Per dar saggio dell’entusiasmo patrio, che guida i discendenti dei valorosi Salentini, il suddetto distaccamento di 72 volontari non ha messo che soli 12 giorni di marcia per giungere alla Capitale, mentre le truppe di linea ne impiegano 22.

u A gloria della Capitale di Terra d’Otranto si palesa altresi all’armata che essa ha voluto da per se provvedere alla sussistenza di quei suoi figli, così ben 'animati„. Da tutta la provincia poi partivano ai 22 ottobre per Napoli 2588 veterani e cinquantuno cavalli.

Tali preparativi carbonari da vano da pensare ai Ministri esteri, i quali dicevano il Regno in anarchia, e consideravano la rivoluzione napoletana come prodotto di una fazione.

Contro i Carbonari poi si rivolgeva il mal celato odio dei realisti, che spargevano allarmi esagerati di disordini e di sommosse. Per allontanare tali sospetti l’Assemblea dei BB. CC. di Napoli ai 21 di ottobre raccomandava ai suoi adepti, appartenenti alla Forza pubblica, di arrestare e vigilare i ladri, volendo così dimostrare ai calunniatori “che non solo non approvavano i delitti, ma li sradicavano„ (2). Per maggiormente mettere in buona vista la vendita, tutti i GG. MM. fecero istanza a Pio VII perché i Carbonari non fossero considerati come parte delle sètte equivoche, ma “perché oramai entrati nel real governo,

(1) Proclama del 25 settembre, citato dal Palombo, op. cit., vol. 2, pag. 327.

(1) Bertholdi, op. cit., pag 217.

fossero dichiarati immuni dalle pene spirituali comminate nella Bolla del 1818„ (1).

Ma ancora pochi mesi dopo erano costretti a rivolgere un indirizzo a S. A. R. il Principe ereditario, perché non pubblicasse nel Regno la bolla pontificia (2) per la quale i Vescovi e i Sacerdoti tutti negavano ai Carbonari del Regno delle Due Sicilie i Sacramenti (3).

6. Si produceva intanto una grave scissura tra le Vendite di Napoli e l’alta V. Provinciale, in cui uno dei capi più accesi e attivi era Guglielmo Paladini, da Lecce, giacobino nel 1799 e poi capo dei Legionari nel 1820.

I borbonici accusavano i provinciali di tenere in agitazione la capitale “con le loro macchinazioni anarchiche, ed asserivano esser falso che i provinciali volessero difendere la Costituzione e i napoletani guastarla. Guglielmo Paladini, Pasquale Maenza, Salvatore Vecchiarelli, Topputi, ecc., erano attori, macchinatori, e fautori principali„ (4).

Narra il Paladini (5), che fin dalla fine di agosto del 1820, quasi tutte le VV.e della Capitale diffidavano dell’A. V. Provinciale, perché la credevano ligia al Ministero e capace perciò di apportare rovina alla libertà sancita dalla Costituzione.

(1) Rimostranza della Società dei Carbonari al Sommo Pontefice Pio VII, Napoli, 20 sett. 1820.

(2) Molte bolle, sebbene emanate dal Pontefice in gran pompa, non furono pubblicate  né eseguite nel Regno.

(3) F° a stampa, Soe. Napoletana di Storia Patria, B. B. 3, N° 57: “Non possono bandirsi dalla Chiesa se non coloro, della cui irreligione il Pontefice è convinto. Se la Carboneria ò una Società segreta, come fa il Pontefice a conoscerne il bene e il male? E se questa abbia, come da noi si è fatto, dato fuori nella supplica al Pontefice, una professione di fede Cattolica, Apostolica, Romana, può il Pontefice far rimanere i Carbonari sotto le minacce di una pena, che non può meritarsi, se non dai miscredenti?  Indirizzo al Parlamento Nazionale contro Paladini, Vecchiarelli, Parisio, Mazziotti, Maenza, Migliaccio e Topputi del 16 gennaio 1821 (F° a stampa).

(4) Memoria dell’avo. Cablo Quarta in difesa di Paladini, Vecchiarelli, Maenza, seguita da una leggenda, Soc. Napol. Storia Patria, S. V., XIV, A. 53 (op. di pagg. 24).

(5) Ivi, pag. 3.

A questo dubbio dava una certa attendibilità il fatto che Filippo Giuliani, Presidente dell’A. V.a, un tempo Commissario di polizia, era privo di ogni merito, e si supponeva perciò ch’egli fosse giunto a tale alto grado per intrighi ministeriali. E poiché si voleva scalzare il Giuliani da quel posto, pensarono le VV. che per ottenere questo intento era necessario che l’A. V. Provinciale si sciogliesse e che ogni famiglia richiamasse il suo Deputato.

Il Paladini per primo ebbe sentore di questi intrighi e di quelli dei Ministeriali che intendevano turbare insieme con l’ordine carbonaro la libertà costituzionale del paese, e ne avvertì i BB... CC... Le suo parole svisate ed esagerate furono riferite da un tal Vincenzo Pannaini al Giuliani, che insieme col Borelli, a dire del Paladini, giurò di polverizzarlo.

I Carbonari erano in quel tempo agitati per le novelle del possibile intervento austriaco: era noto che il Ministro Cariati era tornato da Vienna senza che il governo imperiale avesse riconosciuto il cambiamento politico avvenuto in Napoli; la stessa sorte era toccata al duca di G allo; non s’ignorava la discesa del Nugent verso l’Italia meridionale; non mancavano le minacce dei Calderari. La supposizione poi che gli antichi Ministri fossero in segreta corrispondenza coi nuovi agitava i cuori di tutti gli amici della libertà, nel timore che non avessero a rinnovarsi le scene orribili del ’99, tanto più che il Principe ereditario si trovava privo di truppe e di ogni mezzo per garantire la tranquillità e la pubblica pace, attese le vicende di Palermo. Che anzi si supponeva frutto di intrighi il moto secessionista siciliano, per turbare l’ordine del Regno intero e sfogare sui Carbonari “la rabbia che l’invidia della rigenerazione operata eccitava In tali 1 rangenti il popolo carbonaro “sempre generoso, sempre amico della patria, sempre pronto a difendere la Costituzione, checché ne sia delle calunnio addossategli„, pensò che alla forza non si resiste che con la forza, e che tutti i volumi di pubblico diritto non avrebbero garantito il Regno dalla avidità dello straniero, e prese quindi la risoluzione di dare un’armata al Governo, ‘ la quale si recasse nelle gole dell’Abruzzo, non altrimenti che quella degli Spartani alle Termopili. Questa doveva nascere dalle di lui viscere, essere a sue spese vestita ed armata, e sotto gli ordini del Governo menata ad impedire le aggressioni nemiche,

a conservare la tranquillità dello Stato e sostenere la tranquillità del Parlamento„ (1).

Subito si spedirono Deputati presso parecchie VV. e, ma sia per l’inesperienza di essi, sia perche le loro proposte fossero fraintese, vennero accolti con freddezza e ne ebbero risposte insufficienti. Si credette allora che il Consiglio di Pubblica Sicurezza avesse frapposto al buon esito della missione i suoi intrighi. Alcune Vendite allora per scoprire la verità deputarono i BB. CO. Guglielmo Paladini, Pasquale Maenza e Salvatore Veechiarelli, i quali partirono la sera del 2 settembre per Salerno. Quivi le loro proposte furono accettate con applausi, e lo stesso avvenne il giorno 5 presso l’alta magistratura di Avellino, dove essendo presenti i Deputati delle provincie alleate giurarono “con giuramento di sangue eterna fratellanza con la Carboneria di Napoli e stabilirono di chiamare a raccolta l’armata Carbonara, perché presentasse sui confini agli ardimentosi nemici la scure o la tomba„.

Ma i tre deputati di ritorno a Napoli per riferire nel segreto delle loro baracche l’esito della loro missione, furono arrestati in carrozza al largo della Carità e tradotti nella prigione della Vicaria, accusati “di aver voluto eccitare la rivoluzione nelle provincie di Salerno, Napoli ed Avellino, e di cospirazione contro la sacra persona del re e di altri membri della famiglia reale„ (2). Dopo di essere stati rinchiusi 67 giorni in Castel Sant’Elmo e in quello dell’Ovo, gli accusati furono messi in libertà, per mancanza di prove, dai tribunali ordinari, cui era stata rinviata la causa.

Allora il 13 novembre 1820 il Paladini insieme con Veechiarelli e Maenza, accusò dinanzi al Parlamento Nazionale Pasquale Borrelli “di falsità, di calunnia, di tentato assassinio (3), di violazione di legge costituzionale o di abuso di potere in loro danno„ (4).

L’accusa fu accolta e si dovevano eleggere i Deputati, che giudicassero so il Borrelli dovesse essere destituito dal titolo o dal diritto di Deputato e sperimentare il giudizio. Dopo una nuova istanza del Paladini, nel comitato segreto del 20 novembre 1820 il Parlamento

(1) Ivi, pag. 3.

(2) Ivi.

(3) Quando i tre Deputati partirono per Salerno.

(4) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Carte del Parlamento, fn cit.

 sotto la presidenza del vicepresidente Ruggieri dispose, dopo averla discussa, che l’istanza del Paladini fosse inviata meccanicamente al Tribunale del Parlamento (1). Solo nell’imminenza del pericolo dell’invasione austriaca il Paladini ritirò l’accusa contro il Borrelli. Questi certo fu indotto ad arrestar# i tre Deputati oratori allarmato dalle voci dei realisti, che accusavano i Carbonari di voler mettere il Regno in anarchia.

7. Le potenze europee, eccettuate la Spagna e la Svizzera, avevano ricusato di riconoscere il cambiamento politico avvenuto in Napoli, perché “opera di un’esigua fazione tendente al sovvertimento dell’ordine sociale„. Riunitisi a Troppau invitarono re Ferdinando a recarsi a Laybach.

Dalla provincia di Terra d’Otranto giunsero molte petizioni, perché il re fosse lasciato partire. Questi promise tutto al Parlamento: mantenimento della Costituzione, libertà individuale, diminuzione d’imposte, responsabilità sulle spese, libertà di stampa, ministri responsabili.

E il Parlamento, dopo di aver tentennato fra opposti partiti, su proposta di Borrelli o di Poerio, votò che il ro partisse, purché andasse a sostenere innanzi ai Sovrani della Santa Alleanza gli ordinamenti rappresentativi. Ferdinando accettò o, salutato da Poerio, Borrelli e Tafuri, partì per Lavbaeh il 15 dicembre.

Durante il Congresso l’Austria si armava e un esercito forte di 80. 000 uomini, sotto il comando del generale Frimont si appressava alla frontiera, mentre il duca di Gallo assicurava che il Congresso studiava lo stabilimento della forma costituzionale e che il Re era fermo a mantenerla nei suoi Stati (2).

La più viva agitazione regnava dappertutto: correvano le voci più disparate, fra l’altre che gli stranieri volessero smembrare il Regno per dare una corona al principe di Salerno, protetto dall’Austria, che mal soffriva di veder così rovesciati i suoi disegni (3).

Il 6 febbraio giunse da Lubiana la lettera del Re al figlio Francesco, in cui annunziava l’invasione.

(1) Ivi.

(2) Cfr. Memorie del duca di Gallo a cura di B. Maresca, Napoli, 1888.

(3) Carte segrete della Polizia Austriaca, Capolago, 1860, vol. II, pag. 143.

L’impressione fu terribile: il Parlamento, adunatosi straordinariamente, decretò la guerra per difendere i sacri diritti della patria. Tutti accolsero questa notizia con gioia e con entusiasmo indescrivibili; furono mandati per le Provincie Commissari per raccogliere volontari.

8. In Terra d’Otranto fu mandato Liborio Romano, allora giovanissimo e già professore di Diritto commerciale presso l’Università di Napoli.

Educato nei pensieri di libertà dagli esempi paterni, era uno dei più ardenti fautori del regime costituzionale. “Allora il giovane professore recavasi spesso sulla cattedra coll’uniforme di Guardia Civica, come per adornare la dignità della scienza con l'insegna del civismo e della libertà„ (1).

Grande fu l’affluenza dei volontari salentini. Nell’adunanza straordinaria del Parlamento del 27 febbraio 1821 il segretario Colaneri lesse una comunicazione del deputato Tafuri, il quale rendeva noto quanto gli scriveva il Giudice della G. C. Criminale di Lecce. “I Legionari e Militi sono animati dal più vivo entusiasmo ed in ogni petto ribolle amor di patria. Tutti cercano di volare alle frontiere, essere i primi a combattere l’iniquo aggressore, ma tutti non devono abbandonare i loro Lari.

“La sorte adunque deciderà di quelli ai quali sarà permesso di entrare nel campo della gloria.

“Riconosca finalmente l’Europa intera quali figli nudre una terra, che i maligni oligarchi vogliono che sia immersa nell’anarchia„ (2).

Il Tafuri domandò che si facesse onorevole menzione dell’entusiasmo dei Salentini noi Giornale Costituzionale.

Fin dal gennaio Domenico del Giudice ed altri giovani volontari della provincia del Salento si erano offerti di formare a proprio speso una compagnia di cavalleria della Guardia Nazionale. Il 30 gennaio il Parlamento Nazionale “volendo secondare l’entusiasmo dei prodi Salentini o dar loro una testimonianza della patria riconoscenza„ decretava:

(1) Anonimo, Don Liborio Romano, citazione del Palumbo, op. cit., vol. Il,

(2) Coletta C, op. cit., vol. II, pag. 895.

“1° Sarà formata nella provincia di Salento una compagnia di cavalleria della Guardia Nazionale sotto il nome di Usseri Sale titilli (1); “2° A misura che detta compagnia sarà organizzata, vorranno somministrate ai cavalieri volontari le razioni di foraggio in proporzione del foglio di chiamata e processo verbale di rivista„ (2).

Militi, Legionari, Usseri salentini partirono con grande entusiasmo per la guerra: i paesi che attraversavano si mettevano a festa. A Matino, presso il largo detto delle Monache, sulla via che mena a Racalo Giuseppe Tozzo, regio giudice di Oasarano, animava i militi e i legionari di Galatone a battersi coraggiosamente contro gli Austriaci (3). Guglielmo Pepe fu mandato coi legionari a incontrare il nemico, e il Reggente col fior dell’esercito, comandato dal Carrascosa (4), rimase attorno a Napoli. Lo scopo era evidente: facilitare cioè l’entrata dei Tedeschi con l’annientamento dello squadre Carbonare, poco atte ad impedirla. Il re da Laybach (23 febbraio) od il Frimont da Foligno (il 27 febbraio) rassicuravano i Napoletani che nessuna mira ostile guidava i passi dell’armata austriaca, ma veniva essa per consolidare l’ordine o mantenere la pace.

E l'esercito austriaco, numeroso, ben agguerrito e composto di veterani, si scontrò negli Abruzzi con l’esercito del Pepe, esiguo di numero, mal equipaggiato, composto di volontari inesperti dello armi, e ben presto n’ebbe ragione. L’esercito napoletano si sbandò, le diserzioni aumentavano di giorno in giorno,

(1) Il PALUMBO (op. cit., vol. II, pag. 344) dice che questo corpo fu creato da Longordo di Scilla, negoziante leccese, e da Celestino Rubini di Ladano.

(2) Art. 3°. Il presente decreto non avrà più vigore subito che l’Armata sarà posta sul piede di pace (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Carte del Parlamento, cit. ).

(3) Egli diceva: 11 Allegri figliuoli, incoraggiatevi nella pugna che va ad intraprendersi contro quelle carogne degli Austriaci e quel f... Imperatore, e mostratevi ben difensori della Patria. Se qualcheduno di questi Calderari malcontento ardisca di profferir parola, tagliategli la testa e sospendetela sull’angolo della Chiesa di Matino; indi andate dal Generale Pepe, che sarete premiati„. A tali parole tutto il popolo di Matino fu in quel sito riunito ed il Tozzi buttava il cappello per aria e gridava: Viva la Costituzione; comprò poi una gran quantità di vino “che dispensò alle truppe ed al popolo per vieppiù allarmarlo negli espressi punibili sentimenti, (Arch. Prov. di Lecce, Statuti della Carboneria, vol. cit., rapporto del R. Giudice G. Palma).

(4) Cfr. Magg. POMPILIO SCHIARIMI, Il Generale Michele Carrascosa, Roma, 1912 (Estratto dalla “Rassegna Contemporanea„, anno V, n. 5).

il Pepe con soli 100 cavalli riparò a Castel di Sangro, mentre un esercito intatto, comandato dal Carrascosa, era a pochi passi da lui. Vinti i Napoletani del Russo sul Velino dai generali Mohr e Valmoden, cominciò la disastrosa ritirata: i soldati non ubbidivano più, si sbandavano, sparavano contro i loro ufficiali.

Il 20 marzo con la convenzione tra il Barone d’Ambrosio e il conte di Ficquelmont si stabiliva la sospensione delle ostilità e l’occupazione austriaca del Regno fino ad Aversa; e con quella del 25 marzo tra il ten. generale Petrinelli, governatore di Napoli, e il Ficquelmont l’occupazione della capitale. Alle truppe austriache, che sfilarono sotto il palazzo reale, il Reggente, la consorte e il principe di Salerno sorridevano come a liberatori (1).

In Terra d’Otranto, quando i Legionari, che giunti ad Avellino erano tornati indietro, portarono la notizia del disastro, il popolo indignato li coprì d’insulti, rimandandoli alle frontiere. A Lecce, in casa di V. Balsamo, nella importante assemblea Carbonara tenutasi, si eccitarono i soldati ad invadere il Barese e la Basilicata e a gridare la rivoluzione. Ma la proposta sembrò temeraria e ritornò la calma in seguito ai consigli di Giuseppe Nervegna, negoziante di Brindisi, e di Luperto, sindaco di Lecce (2).

Così finì la rivoluzione del 1820, di cui era stata anima la Carboneria, e che segna una tappa luminosa nel cammino verso la libertà.

(Continua).

V. Zara.

(1) In una lettera al Generale Frimont di re Ferdinando questi gli fa gli auguri pel suo onomastico (San Giovanni) e gli esprime la sua riconoscenza: gli deve la libertà del suo Regno, il ripristinamento dell’ordine, la prosperità della sua famiglia e la felicità e tranquillità dei suoi fedeli sudditi, “i quali insieme al loro Sovrano non lascieranno di riguardarvi come l’istromento, che la misericordia del Signore ha posto nello mani di S. M. l’Imperatore d’Austria, mio nipote, per far recare ad effetto le benefiche sue intenzioni e quelle degli Augusti Alleati, preservando cosi l'umanità intiera da nuove ed incalcolabili disgrazie, (Marinelli, ms. cit. ).

(2) Palumbo P., op. cit., vol. II, pag. 352.


LA CARBONERIA IN TERRA D'OTRANTO

(1820-1830)

(Continuazione: Vedi Anno VI, fascicolo 1°, pag. 110)

CAPITOLO IV

La Reazione

L’intendente Cito (18221827)

Sommario: Proscrizione delle Società segrete. �" Corti Marziali e Giunte di Scrutinio in Terra d’Otranto. �" Delatori e spie. �" Le vendite Carbonare e le liste degli “irreconciliabili” (1822). �" Ferdinando Cito e la sua opera nefasta: persecuzioni contro la famiglia Romano; denunzie e processi. �" La reazione e la miseria soffocano le Vendite Carbonare. �" Morte di Ferdinando I (1825) e primi atti del governo di Francesco I. �" Il clero liberale in Terra d'Otranto. �" La pretesa setta degli Edennisti e don Liborio Romano. �" Condizioni economiche della Provincia nella relazione del Visitatore regio. �" Le truppe austriache lasciano il Regno (1827-28). �" Spirito pubblico e Carboneria sul finire dell’occupazione austriaca.

Seguirono nove anni di pace o di tranquillità; cioè supplizi alcuni, carceramenti non pochi, purificazioni, esili moltissimi, sètte represse addentro, moltiplicate fuori, controsètte, polizia trionfante fino al 1830 (1).

Prima cura dei Borboni, ristabilito l’assolutismo, fu di reprimerò o di estinguere definitivamente la Carboneria, come quella che aveva provocato il rivolgimento politico del 1820. Ferdinando, con decreto emanato da Firenze il 21 marzo 1821, proscriveva le Società segrete, stabiliva la pena di morto por tutti i Gran Maestri, quella di dieci anni di reclusione por gli adepti o tesorieri,

(1) Balbo, Sommario della Storia d'Italia.

o il bando per chi avesse conservato carte, libri, emblemi della setta. Subito dopo inviava nel Regno come Ministro di polizia il principe di Canosa, il più terribile e odioso nemico dei Carbonari e del liberalismo, il quale iniziò subito la sua opera promuovendo la controsetta dei Calderari (1).

La repressione fu così violenta e dissennata (2) che a mitigarla, sia pure formalmente, il 30 di marzo Ferdinando, in occasione del suo onomastico, dovette concedere un indulto a coloro che si erano ascritti alla Carboneria dopo il luglio 1820.

Ma anche questa volta il Canosa dovette lasciare il Ministero di polizia. Rotschild metteva come condizione per accordare un nuovo prestito a re Ferdinando l’allontanamento del Canosa e il richiamo del Medici. E il re, per non guastarsi col potente Ministro, preferì sciogliere il Ministero di polizia creando in sua vece due Commissari Generali, l’Intonti per Napoli e il Cav. Baratelli per le provincie (3), e nominando il Canosa Consigliere di Stato. Si stabilivano intanto le Commissioni. Militari (4) por le provincie e Delegato per quelle di Basilicata, Capitanata, Terra dì Bari, Terra d’Otranto veniva nominato il Maresciallo La Roth. Questi nel maggio del 1821 riferiva che la provincia di Lecce era a un dipresso nelle stesse condizioni di quella di Bari: si commetteva qualche attentato, che si attribuiva a livore settario, ma rari erano i furti e gli assassini. Comunicava ancora di aver dato ordini per l'attuamento della Corte Marziale

(1) Marinelli, op. cit., pag. 554. 11 17 maggio furono bruciati 22. 000 catechismi carbonari; il 31 dello stesso mese molti BB... CC... abiurarono la loro fede nella chiesa del Carmine. Ai primi di giugno si mandarono per le provincie dei Capi massa per arrestare i Carbonari; narra il Marinelli che il Canosa veniva minacciato di morte.

(2) Ivi, pag. 570. È uscito ordine che quei Laureati nel tempo della Costituzione debbono restituire il privilegio ed essere esaminati, se sono Carbonari di nuovo se gli restituisse il danaro, e se gli nega il privilegio; se poi son puri si esaminano e non si paga niente. Tutto è male quello fatto durante il tempo della Costituzione. Non si possono poi ora ottenere grandi dottorali e la laurea stessa senza avere assistito alle funzioni di alcune congregazioni eccoci santi per forza.

(3) Segretario Generale Carofani.

(4) Loro compito era di punire di morte tutti quelli che in comitiva armata, in numero non minore di tre, incedessero per le campagne commettendo reati (Palumbo, op. cit., vol. II, pag. 362).

emanata fin dal 9 di aprile, per procedere al giudizio dei settari e degli asportatori di armi vietate (1).

Nell’ottobre e nel novembre rapportava che nel distretto di Taranto, nelle vicinanze di Ginosa e di Laterza, si introducevano spesso briganti provenienti dalla Basilicata. La Corte Marziale condannava a morte Donato Prete, di Martina, asportatore di armi vietate; ma l’Intendente (decembre 1821) ordinava la sospensione di questa sentenza, finché il Commissario di polizia non avesse emesso la sua decisione, che fu sfavorevole al condannato ed egli fu giustiziato nel febbraio del 1822.

La stessa Corte nel giugno 1822 condannava a dieci anni di esilio fuori del Regno, qual detentore di un libercolo della proscritta società Carbonara, Pietro dell’Erba di Martina.

Nell’agosto dello stesso anno il tenente dei Dazi indiretti Giuseppe Angelica eseguiva una perquisizione nel domicilio di Cosmo Scarfoglio, Sindaco di Leporano, e vi trovava venti rotoli di polvere da sparo, un fucile in ordine, una bandiera rivoluzionaria con lunga asta, all’estremità della quale era un’accetta ed una croce e lunghi tratti di corda di seta, attaccata all’asta, di 3 colori: nero, rosso e celeste. In seguito a ciò il Sindaco e suo fratello Bernardo furono arrestati e tradotti nelle prigioni centrali di Lecce. Depositi di armi furono rinvenuti nelle case del duca di San Cesario e in quella di Raffaele Paladini (2).

Il 3 ottobre il Del Carretto, Commissario del re per le Puglie e la Basilicata, scriveva all’Intendente Guarino pregandolo di far riunire al più presto possibile la Commissione per formare le liste dei facinorosi e dei fuorbanditi, che scorrevano a mano armata la provincia. Ma la Commissione eletta a tale scopo osservava (12 ottobre) (3) che comitive armate non esistevano in Provincia di Terra d’Otranto o che lo cure della Commissione dovevano limitarsi alla vigilanza o alla prevenzione.

Ma mentre le Corti Marziali avevano l’incarico di depurare le provincie dai fuorbanditi, lo Giunte di scrutinio perseguitavano nel modo più terribile i Carbonari (4).

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Ministero di Polizia, Pand. 262, f. 171, vol. 1°.

(2) Ivi, vol. 3, 5, 7, 9.

(3) Il Palumbo dico: 3 di ottobre.

(4) Giunta di Scrutinio del ramo degl’impiegati dell'Amministrazione in generale.

In queste, più che nelle Commissioni militari, si rivelò lo spirito aspro, bestiale di persecuzione perfino contro le opinioni e il pensiero del cittadino. Intendenti, sottointendenti, giudici, sindaci. eletti, birri della peggiore risma furono destinati a frugare nella intimità delle famiglie, a seguirne gli atti, a indovinarne i pensieri.

Così, i migliori cittadini si videro d’un tratto privati dell’impiego, e molto spesso mandati in esilio. Nel distretto di Lecce vi furono 79 ufficiali civili dimessi e 15 militari destituiti, in quello di Taranto 16 ufficiali civili e 9 militari; in quello di Brindisi 9 ufficiali civili e 2 militari; e in quello di Gallipoli furono destituiti 28 ufficiali civili e 7 militari; in tutto 131 impiegati e 33 ufficiali (1).

Domande che faceva questa Giunta agl’individui da essa dipendenti, onde potessero rispondere in iscritto alle medesime:

1° In quale epoca sia stato impiegato e se abbia ottenuto la pensione.

2° Se sia ascritto alla Carboneria e a qualunque altra setta.

3° Per quale oggetto egli l’abbia fatto.

4° In quale epoca si sia ascritto.

5° A quale vendita sia egli appartenente.

6° Se vi sia mai intervenuto.

7° Se abbia stabilito Vendite Carbonarie o unioni d’altre sètte o abbia procurato di stabilirne.

8° Qual sia stata la di lui condotta tenuta dal dì 14 luglio 1820 sino a tutto marzo 1821.

9° Se sia stato autore o complice di proclami, giornali, libelli e di altre opere, specialmente di qualunque stampa irreligiosa o rivoluzionaria che ostacoli la Religione, il Governo e la sacra persona del Re N. S.

10° Se siasi volontariamente offerto di prendere le armi contro il legittimo potere, e se abbia consigliato altri a seguirlo.

11° Se abbia avuto parte ai disordini commessi dai tumultuosi o agli attentati del ribelle Rosaroll.

(1) Pel notamento degli scrutinati cfr. Palumbo, op. cit., vol. II, pagine 365-368. Tra i militari furono ancora scrutinati il Tenente Colonnello dell’esercito Oronzio Astuti, antico carbonaro; il Maggiore Pasquale Sauli, Comandante della Piazza d’Otranto, antico Massone, Carbonaro, Rivoluzionario del 1820, anche dopo l’entrata nel Regno delle truppe Tedesche continuò ad intrigare nel senso settario spesso abbandonava la piazza che comandava per portarsi a diporto con amici di opinione e liberali, godeva pessima opinione”. Dei Veterani, furono anche scrutinati il Capitano G. B. Vinci e Michele Garzia; tra le Guardie del Genio Giuseppe Marangio fiero rivoluzionario e carbonaro repubblicano (G. Arch. di Stato in Napoli, Sez. IV, vol. 5°. Squittinio dei signori Ufficiali dell'esercito, 18212).

In tutto il regno furono 2787 militari scrutinati. Fu relegato nelle carceri

Fu pure istituita un’altra Giunta di scrutinio per la pubblica istruzione “sul quadro dei maestri e delle maestre che avessero spacciato delle cattive massime e che non fossero stati di buona morale e che avessero fatto parte delle società segrete” (1).

Ma gli scrutini furono così disastrosi per le popolazioni che Ferdinando stesso concesse con rescritto del 27 settembre 1822 che le misure amministrative, di destituzione fra gl’impiegati, si limitassero a coloro soltanto che avessero notoriamente professati sentimenti in opposizione al governo legittimo.

della Favignana Giuliani Filippo di Gallipoli, antico settario esiliato nel 1799; aveva fondata una Loggia Massonica di cui fu il Venerabile; occupò poscia i più alti gradi della Carboneria e allo scoppio della Rivoluzione del ’20 fu nominato Presidente dell’Alta Vendita. Re Francesco nel 1825 con decreto del agosto ordinò che si passasse libero nell’isola di Pantelleria a sovrana disposizione (G. Archivio di Stato di Napoli, Sez. II, Registro degl’Individui Napoletani espatriati, esiliati e rilegati per commissioni diplomatiche all'estero, pag. 867).

Guglielmo Paladini (V. Cap. III), imputato dei carichi d’essere stato “ effervescente settario e autore della nota cospirazione, che aveva il criminoso oggetto dell’arresto del re Ferdinando per quindi trasportarlo a Melfi”, escluso dall’indulto con decreto de’ 28 settembre 1822, riparò a Londra dove ricevette sussidi dal Comitato italiano. Nel 1828 per aver pubblicato un’opera intitolata: “ Progetto di un nuovo patto sociale per lo regno delle Due Sicilie” Francesco I ordinò che si giudicasse in contumacia dalla Commissione Suprema pei reati di Stato (ivi, pag. 62).

(1) Furono scrutinati e sospesi dall’impiego, per opinioni politiche, in Gallipoli il sacerd. D. Carlo Leopizzi, insegnante di filos. e matem., don Domenico Mazzarella, insegnante di belle lettere, Fra Pasquale da Francavilla e Fra Bonaventura; a Castellaneta Nicola Mastrobuono, Nicola Spizzi Canonico; a Mottola il sacerd. Michele Caramia; a Massafra Salv. Caricati, pure sacerdote; a Palaggiano Saverio Lupoli, Mazzei e l’arcidiacono Giovanni Colaci, l'arciprete Ignazio Piconese; a Martano Matteo della Tomasa, Michele Grossi, Stefano Sergio; a Muro Paolino Caggiula, i dottori fisici Don Giuseppe Maggiulli, Don Vito Negro, Salvatore Aprile; a Serrano Giacomo Calabro; a Sternatia Don Pasquale Campanella; a Tricase Don Donato Resi; a Presicco Francesco Dattilo; a Patù l’arciprete Castiano e Don Angelo Romano, insegnante di lettere o scienze; a Specchia de’ Preti, fu arrestato a Lecce il sac. Don Francesco Antonio Calò; a Salve D. Andrea Cardone e Giov. Andrea Pesce; ad Oria Cosimo Caragli; a Torre il Sac. Lucio Vita; a Copertine Gaetano Paglialunga o Gaetano Pisacane; a Cisternino fu arrestato il 12 ottobre 1821 Giuseppe Capece o quale cospiratore fu inviato nel bagno di Brindisi, dove si trovava ancora nel 1828 (Ardi. Prov. di Lecce, Movimento settario e liste degli attendibili politici 1822-1845).

Che quando con prove parlanti ed indubitate si riconoscesse erroneo il giudizio delle Giunte, si pigliassero dai Ministri provvedimenti per reintegrare nelle cariche i destituiti.

Che invece per gl’impiegati dei Ministeri e della Prefettura di polizia l’esame e la vigilanza dovessero essere di maggior peso, in guisa che taluni impiegati, pei quali la destituzione non dovesse aver luogo secondo le regole generali, ne fossero ciononostante allontanati, con proporzionati sussidi Ma un maggior numero di vittime mieteva una infame classe di vilissime persone: le spie ed i delatori. Questi, “o per distinguersi o per guadagnare o per ambedue i motivi diedero il loro primo fiato alla tromba micidiale degli anonimi, e gli ottimi risultati ottenuti rianimavano la loro disperata audacia” (1).

Prendevano ufficialmente di mira le persone che occupavano alte cariche. Giacinto Toma di Maglie, Carlo Cantore di Acquaviva, Nicola Retino giudice di Poggiardo, ed alcuni altri di Castrigliano, Patù, Moreiano erano notissimi per le loro infami pratiche. Ben presto i migliori cittadini furono trascinati con solenne apparato” tra gli orrori delle prigioni (2).

Le private vendette riaccesesi, la speranza di ottenere lucrosi uffici, “e la speciale confidenza della prima autorità della Provincia” (3) alimentarono lo spionaggio.

Quindi il creditore fu delinquente, il proprietario divenne reo e l’uomo di talento oggetto di inquisizione. Alla mancanza degli elementi del delitto supplì lo specioso ritrovato di riunione proibita e s’inventarono nuovi titoli di società sognate come dei Tre gigli d'uro, dei Giardinieri di Eden. E l’infamia per rovinare le persone oneste giungeva a tal punto che mentre, per esempio, dalla casa di Salvatore Tana s’incaricava Giovanni Presicce di Scorrano, dimorante in Corsano, di scorrere pei passi del Capo di Leuca e di persuadere quanti potesse a ripigliare dal pubblico deposito le armi, dovendo a’ 12 di agosto succedere una rivoluzione nel Regno, dalla stessa casa s’indirizzava ricorso all’Intendente

(1) Memoria di Romano (non è specificato il nome) di Patù, Arch. Prov. di Lecce, F° 39, n. 77.

(2) Ibidem, pag. 2.

(3) Era allora Intendente Guarini di Poggiardo, terribile persecutore dei settari.

avvertendolo che una rivoluzione si preparava pel 12 di agosto dai Carbonari. Ma questi colpiti e minacciati da tanti pericoli, piegavano la testa rassegnati? Del 27 marzo del 1822 è una lettera che Giuseppe Circolone da Poggiardo spediva al buon fratello Cugino F. Morelli in Lecce, rimproverandolo perché era mancato a parecchie sedute e non aveva risposto alle lettere inviategli pei BB. FF. Gennaro, Crispino e Giuseppe de Luca e gli esprimeva anche il rammarico del Presidente, il B. F. Giuseppe Grillo, per la sua assenza, avvertendolo che se non fosse intervenuto alla prossima seduta, in cui si doveva discutere di affari importanti, egli “sarebbe rimasto brugiado” (1). Nei primi mesi dunque del 1822 i Carbonari si riunivano ancora segretamente in Vendite regolari. E il 28 febbraio dello stesso anno il R. Giudice Alessandro Clementi spediva all’Intendente un “notamento di irreconciliabili; v’erano compresi: Gaetano Vergari segnatore telegrafico e Vito Quarta di Vernole, Angelo Parrino di Vanze, il sacerdote Donato Beli, Generoso e Raffaele Sciòlti, Domenico Pico del comune di Acaja, Pasquale Carlino e suo fratello, Enrico Paladini, Carlino Cerere di Lecce, ma dimorante a Strudà, Raffaele Stella, sacerdote Vito Antonucci e Giandonato Antonucci, Francesco e Giandonato Isacco di Pisignano, Francesco Sansò, Cherubino Santoro, Francesco Petrachi, Pietro e Luigi Santoro, Giuseppe Nicola Sansò, Antonio Macchia, sacerdote Vito Pasquale Macchia, sacerdote Oronzo Santoro e l’arciprete Nicete Camassa, tutti di Melendugno.

Il Sottintendente di Taranto (29 aprile 1822) notava come irreconciliabili del distretto Giuseppe Arcangelo Semeraro, Alfonso Cavella, Luigi Spedicati ex-Carmelitano (2).

(1) In questa lettera era anche detto: Vi scrivo di questo carattere dubitando che non venissero intercettate le nostro lettere e sigle erano in principio della lettera (I. F. F. D. A. R. che possono spiegarsi: I figli di Attilio Regolo, titolo della Vendita e in fine A. E. I. 0. U. 1. 2. 3. 4. 5. ). L’Intendente avuta fra le inani questa lettera, rimossagli dal sottintendente di Gallipoli, pensò che i nomi segnativi fossero falsi, por oscurare forse le persone ivi descritto, o n«sospettò autore Gius. Tozzi di Matino, effervescente settario (v. Cap. III) e destituito dopo il nonimestro per opinioni politiche. E senza avere nessuna prova relegò questo nella sua patria, Ripa Candida in Basilicata, Invano il Tozzi nel 1825 supplicò di tornare a Matino, dove uvea contratto matrimonio e possedeva dei beni (Arch. Prov. di Lecce, Movimento Settario e liste degli attendibili politici 1822-1845).

(2) A questo fu imposto di ritirarsi in un convento (Arch. Prov. di Lecco, ivi).  

Re Ferdinando intanto, dopo di aver pacificato i suoi Stati, si dava bel tempo a Napoli. Nell’ottobre del 1822 si recava con la duchessa di Floridia al congresso di Verona e quivi il principe Ruffo chiedeva all’Austria, in nome del re, la graduale diminuzione dell’occupazione militare del Regno.

Indi recatosi a Vienna, Ferdinando dimenticava tra le feste o i divertimenti ogni cura di governo. Quanto egli amasse il suo popolo, lo dimostra il fatto che egli nel marzo del 1823 scriveva dando ordini che non si rilasciasse passaporto per Vienna ad alcuno: “non voleva vedere nessun napoletano” (1). E tornato nella capitale, perché il popolo non si scordasse del vecchio tiranno, fece giustiziare cinque Carbonari e ordinò che si sopprimessero gli ultimi superstiti, mercé rigide circolari agli Intendenti. Degli 8 settembre del 1823 è una Ministeriale agli Intendenti che richiamava la loro vigilanza sui Corpi Militari al servizio di S. M.

“Investigare i principi onde sono animati, i sentimenti che vi si esternano, la condotta che serbano, il grado di subordinazione che rispettivamente si esige e si presta, il grado della devozione che si ha pel Re N. S., la tendenza che si abbia alla diserzione sia individuale, sia in frazioni, qual pendenza vi si scorga riguardo alle folli vertigini del tempo, la corrispondenza o l’intimità che si osservi eolie popolazioni in generalo e con de’ passati settari in particolare, le vociferazioni politiche che vi obblighino, lo spirito di religione o d’incredulità che vi regni; la quantità e qualità dei reati che vi si commettono, la rilasciatezza o la pressione troppo pesante della disciplina, o di ozio del soldato, in fino lo spirito di corpo che anima i Reggimenti ed i Distaccamenti rispettivi, che conviene con circospezione somma e con accortezza di ogni giorno esaminare continuandone senza la menoma interruzione l’analisi. Si chiedeva un rapporto mensile su quest’oggetto e si richiamava specialmente la vigilanza e l’attenzione sui Bassi Ufficiali, come quelli che influirono più degli altri nelle vicende rivoltose del 1820 e che dànno norme ed esempio immediato ai soldati”.

“Si inculcava poi massimamente agl’intendenti” che facessero in modo di porre nei corpi e nei distaccamenti locali persone di

(1) Marinelli, op. cit., pag. 603.

particolare fiducia, che non facessero loro nulla ignorare del pendio e dell’andamento morale di essi”. L’incitamento dunque a favorire lo spionaggio veniva dall’alto (1).

Dello stesso tempo è una circolare riservatissima, nella quale era detto che dacché le idee di liberalismo, attinte da libri perniciòsi col contatto estero e con l’adesione delle sètte, avevano fatto dei progressi nei popoli, questi non di rado discutevano sulle teorie governative, esternando le rispettive propensioni per una forma di governo piuttosto che per un’altra.

u Sarà dunque la Polizia una spettatrice inerte e passiva in questo articolo essenziale di spirito pubblico, non saprà trarre per avventura il miglior partito da tali evidenti declivi del cuore umano, coordinando la fecondità dei rimedi amministrativi, alle illusioni, agli errori, ai sofismi, alle seduzioni ed alle follie che la vertigine del tempo ha diffuso? Il Baratelli chiedeva agl’intendenti personalmente la discussione morale dei sentimenti politici delle popolazioni ossia il calcolo proporzionale (2), che indicasse il grado di preponderanza assoluta e relativa delle inclinazioni diverse dei partiti, che nelle circostanze attuali dimostrassero attaccamento e parzialità per delle novità politiche e per differenti foggie di governo L’Intendente di Lecce, rispondendo, esponeva la grande difficoltà di eseguire le istruzioni contenute nella circolare “avuto riguardo al complesso di tanti interessi e di tante passioni che avevano influito allo sviluppo delle opinioni Liberalismo �" parola in moda �" per l’Intendente significa gretto egoismo, giacché sotto le apparenze di cercare il bene pubblico si era invece cercato il particolare interesse.

(1) Nella Archivio Prov. di Lecce, Movimento settario ecc., vol. cit.

(2) V’ha ragiono a calcolarci i sentimenti politici nel popolo considerandolo 1° nelle sue classi, 2’ nella massa numerica”. Analizzato per classi generali cioè in produttiva o sterile ossia, dei proprietari e degl’agricoltori in una, dei professori, dei negozianti e degli artegiani nell’altra, si avrà un primo elemento. Un secondo sorgerà dalla serio degli aggregati dello opinioni diverse che risultano semplicemente dal numero della massa generale senza distinzione di classi, o senza esclusione di alcuna. Or quando Ella adoperando la sua ingegnosa e circospetta penetrazione avrà somministrato le suddette due serie di calcolo morale, sarà agevole il rilevarne i dati e le induzioni “delle quali ogni ben informato Governo ha bisogno per procederò con fondamento, con premesse precise nei suoi andamenti preventivi o legislativi”.

Nella provincia di Lecce, nella quale, come nelle altre, dominava l'egoismo, lo stravagante sistema del novilunio era stato favorevolmente accolto. Se allora si osservava il contrario, l’Intendente era però moralmente convinto che ciò non significasse che non si avessero più le stesse tendenze e gli stessi desideri, ma dipendesse dalla necessità di uniformarsi alle disposizioni governative ed anche dal carattere del popolo salentino, che si sapeva contentare di ciò che ad esso non piaceva, onde non esporsi a ciò che gli nuoceva. Scriveva l’Intendente che gli abitanti lì generalmente avevano uno sviluppo avanzato: tutti erano nello stato di valutare, da sè stessi, le conseguenze di esternare male a proposito delle idee contrarie coll’attuale ordine di cose, che quantunque essi fossero di un carattere leggiero e vivace, non lasciassero però di usare la maggior cautela e circospezione; che anzitutto quelli sui quali potrebbero cadere dei sospetti fossero più ritenuti e più sottomessi alle leggi. Che se si dovesse giudicare dalle azioni esteriori, la risposta sarebbe che la massa della intera provincia fosse per la monarchia assoluta. Ma, soggiungeva, che non si dovesse riposare sulle apparenze, e d’altra parte come si potevano scoprire i segreti del cuore? Quel che posso affermare con certezza, concludeva, si è che colla dolcezza dell’amministrazione la provincia di Terra d’Otranto si presta ben volentieri a qualunque veduta governativa. Qui non vi è bisogno né di forza, né di terrorismo, né di minacce. Gentili maniere decidono gli abitanti a far di buon grado quelle cose che facilmente altrove mal si potrebbero ottenere che con altre misure”.

3. Ma piaga insanabile di Terra d’Otranto erano le spie, gl’intriganti, i delatori di mestiere. Nardo specialmente era lacerata da discordie intestine: un odio inestinguibile esisteva tra le famiglie, sicché non poteva godersi quella pace che pur poteva sperarsi per il carattere generalmente moderato degli abitanti, e si correva rischio che i livori di parte producessero pubblici inconvenienti.

Una società di circa 30 individui (1) tra ecclesiastici e laici aveva

(1) Arcipr. Manieri, fratelli di Giulio, fratelli Vetere, Barone Margariti, Sac. Tommaso Muci, Canonico Martano, Can. Domenico Zuccaro, Basilio Petraroli, Marcello Giannelli, Luigi de Simone, Luigi de Micheli, Luigi Spedicato, Giuseppe, Antonio e Francesco Andrea Pignatelli, Sac. Francesco Antico, fratelli Gianfreda, Sac. Vincenzo de Mitri,

lo scopo di perturbare la tranquillità e l’ordine pubblico, avanzando ogni giorno denunzie contro le persone che occupavano pubbliche cariche e a danno dei cittadini migliori e più morigerati. Questi faziosi si distribuivano a vicenda fra loro le parti, ora di accusatori, ora di testimoni, e si riunivano frequentemente, ora in casa dell’arciprete Manieri, ora in quella del barone Margariti, o nell’altra dei fratelli de Giulio, o finalmente in una casina di campagna detta Rao. Capo principale di questa iniqua società era Giacinto Toma, impiegato nell’ufficiò postale di Maglie.

Le vendette private, gli interessi personali, il desiderio di occupare le cariche delle loro vittime, l’abitudine all’intrigo, e la premura di trar vantaggio dai disordini, erano i sentimenti che animavano i membri di tale combriccola, i quali avevano tutti un carattere turbolento, molti eran privi di mezzi di sussistenza, altri si trovavano oberati di dchiti, la maggior parte immorali (specie quelli del ceto ecclesiastico) ed avevano a loro carico rubriche giudiziarie di misfatti e di delitti (1).

4. Ma le cose peggiorarono di molto nella provincia di Lecce con la venuta dell’Intendente Ferdinando Cito de’ Marchesi di Torrecuso, terribile reazionario, vero flagello dei liberali (2).

Era arcigno, insofferente, nobile, di quella nobiltà innanzi alla quale vi erano solo Iddio e il Re.

Appena venuto in provincia, egli si circondò di un gruppo di uomini tristi, conosciuti iniqui in ogni tempo”, quelli stessi che avevano circondato l’Intendente Guarini, e che avevano promosso l’allontanamento dell’Intendente Camarota, uomo mite, che aveva cercato di riconciliare gli animi (3).

Domenico Lombardo e suo figlio, Vincenzo Romanelli, Pasquale Primativo, il Proposito Caputi, Pasquale Olivieri, Tommaso Marasco, Giuseppe Picciòne, Emanuele Terna, Giacinto Toma, impiegato nella posta di Maglie.

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli. Sez. I, Pand. 2931, F° 268, a. 1823.

(2) Il Palombo (Storia di Francavilla, Lecce 1869, vol. 2°, pag. 48), dice che Cito aveva delle ragioni personali per odiare i Carbonari Salentini.

(3) La Rivoluzione dell’Intendente Cito �" Memoria storica del Capitano D. Stefano Billa, Comandante la Gendarmeria nella provincia di Lecco, Lega del lime, anno 1 (1886), N° 1. Il Palombo addita ancora quali consiglieri del Cito, Alberigo Vitali, Giovanni Mista, o il maniscalco Giovanni Salinara di Francavilla (op. cit., vol. II, pag. 379).

 

Questi individui, i quali affettando il più puro realismo rovinavano con calunniose delazioni le persone oneste e di sentimenti liberali, eran detti illibati, e istigavano il Cito al mal fare e alle persecuzioni, imbastendo processi per falso denunzie. Tra essi erano Vito Chica, Nicola De Donno, Antonio Quaranta, Gaetano Piccinni, Marco Renda e un tale Andreace, tutte persone che suscitarono sempre l’indignazione della sana parte del popolo salentino.

Capo della conventicola era il Chica, il quale, ai tempi dell’Intendente Guarini, animato da rancori personali, procurò la destituzione di molti onesti cittadini e dopo, sotto l’Intendente Cammarota, recatosi a Napoli descrisse la provincia come irrequieta e turbolenta.

Appena egli coi suoi compagni fu chiamato ed ammesso alla confidenza del Cito, molte famiglie subirono persecuzioni e si commisero giornalmente mille soverchierie sotto il pretesto di prender misure di polizia. Così l’Intendente spediva a Napoli frequenti ricorsi contro impiegati onesti, ma che dipingeva come cospiratori, e si sforzava di far credere al Governo, che tutta la provincia preparasse una rivoluzione e nuove associazioni settarie vi si fossero organizzate.

Per avvalorare i suoi rapporti faceva sì che uomini pessimi, scelti dal Chica e dai suoi amici nei distretti e nei circondari, ai quali il Chica conferiva arbitrariamente delle cariche, rapportassero al Ministro che una nuova rivoluzione si preparava in Terra d’Otranto da parte dei settari (1).

Si comprende di leggieri come questo sistema alimentasse le vendette private e provocasse scissure e discordie nel popolo oppresso, seviziato da continue persecuzioni e da arresti capricciòsi. Nò valeva che la denuncia risultasse falsa all’esame de’ fatti, giacché l’accusato soffriva il carcere, la famiglia la rovina finanziaria, e l’accusatore veniva sempre protetto dalla polizia.

Il popolo capiva che lo si voleva spingere agli estremi, pure taceva e soffriva. Se v’era qualcuno che disperato desiderava una rivoluzione, i proprietari, i liberali, conoscevano il loro vero interesse, giacché su di essi sarebbero pesati tutti i tristi effetti di un moto fallito. Tacevano dunque e soffrivano.

(1) Ibidem.

Narra il Bilia che ogni qual volta un cittadino leccese s’incontrava con l’Intendente per istrada, o a teatro, evitava il suo sguardo. Nessuna persona proba circondava il Cito, ma solo qualche suo dipendente o persone delle quali il pubblico sparlava.

Una delle prime famiglie perseguitate a più riprese da Ferdinando Cito fu quella dei Romano di Patù, del Capo di Leuca, famiglia di tradizioni massoniche e Carbonare, in cui erano stati sempre nobilmente coltivati gli studi letterari e giuridici. Don Liborio, il maggiore dei fratelli (Gaetano, Giovanni e Giuseppe), dopo il nonimestre era stato relegato nel suo paesello. Avvenne che un gendarme denunziò all’Intendente che una importante riunione settaria erasi tenuta una notte in casa Romano, dove era intervenuta gente da Mordano, da Salignano, da Gagliano.

Subito il Cito ne imbastì un processo, ma dopo lunghe pratiche fu costretto a confessare che la famiglia Romano benché venisse considerata come affetta da riscaldamento”, pure questa volta era stata vittima di un intrigo! Così nel vivo desiderio d’intentare processi politici, il Cito accoglieva tutte le denunzie che gli pervenivano.

Ma più grave è l’accusa che gli muove il capitano di gendarmeria Stefano Bilia; egli afferma che il Cito, volendo ad ogni costo far credere la Provincia in fermento e non riuscendo a metter la mani sopra nessuna “Conventicola settaria”, inventò egli le congiure e le addchitò alla provincia. Pur non volendo prestar fede a questa gravissima accusa, certo ò che sotto l’Intendente Cito tutte le denunzie più infami ed assurde venivano accolte, e i poveri cittadini orano seviziati in mille modi.

Il Capo Civico di Taranto presentò all’Intendente un diploma settario falsificato, che egli aveva fìnto, dinanzi ad un gendarme, di aver trovato per terra. Subito si scrisse dal Cito ai Vescovi ed ai sotto Intendenti dei distretti di Brindisi o di Gallipoli che una rivoluziono si macchinava in provincia con la partecipazione della Gendarmeria, o elio perciò i gendarmi fossero strettamente sorvegliati. E quando il capitano Bilia, dimostrando che il documento ora stato falsificato (1), si dolse con l’Intendente di tutto quell’inutile rumore,

(1) “Quell'infame carta dal colorito gialliccio o dallo smunto inchiostro si capiva che una lunga epoca contava, ma si osservava che viziata di fresco

questi divenuto smanioso cominciò ad insultarlo, dicendo che egli voleva discreditare i suoi più degni commessionati o buoni sudditi” (1).

Altra volta il Cito dopo di aver fatto perquisire dall’Ispettore di polizia e da un Tenente dei gendarmi alcuni paesi del Capo di Leuca alla ricerca di emblemi, di depositi di armi e di altri oggetti, “tendenti alla sognata cospirazione”, ordinò al Bilia che marciasse con gran segretezza su Giuggianello, quale fucina di operazioni rivoluzionarie dove il Capitano avrebbe avuto agio di convincersi che i processi per una cospirazione nella provincia erano “fondatamente compilati”. Egli indicò lo case dove avrebbe di certo trovati depositi di armi, emblemi e carte criminose.

Il Bilia insieme col Tenente comandante il Distretto di Gallipoli e con 50 gendarmi giunse nel massimo silenzio, la notte del 20 luglio 1824, in Giuggianello e assistito dal Giudice supplente, dal 1° Eletto e da 6 testimoni procedette ad una severa ed inutile perquisizione”. Furono diroccate alcune muraglie, scavati i pavimenti fino alla profondità di 6 palmi, ma ciò non servi che a danneggiare quella povera gente, che chiedeva atterrita la ragione di tale sorpresa. Giuggianello era allora un piccolo villaggio che contava poco più di duecento anime, generalmente gente tapina e miserabile. La mattina seguente un gran numero di persone tra le quali do’ sacerdoti, presentatesi al Bilia, gli si buttarono alle ginocchia e tra le lacrime esposero come un’infame classe di ladri e di malfattori (2), che godevano la protezione dell’Intendente, sotto il pretesto di essere autorizzati a prendere informazioni, opprimevano con denunzie di reità di Stato tutti coloro che potevano svelare i loro delitti. Ed accusavano specialmente Donato Greco e Vincenzo Convenga, contro i quali la Gran Corto Criminale aveva emesso mandato di arresto, riconoscendoli “ladri di strada pubblica Quando il Bilia fece il suo rapporto all’Intendente, questi lo rimproverò della sua credulità per ciò che gli era stato detto del Gabriele e del Convenga, ch’erano due ricchi proprietari”,

e mal grattate alcune antiche firme, si era sbucata ed imbrattata di fresco inchiostro per adattare novelle cifre(Ivi, anno 1887, N° 8).

(1) Ibidem.

(2) Erano tra essi Francesco Sales, Carmelo Galanti, Frane. Micolani, Francesco Marseglia, Vincenzo Convenga, Giuseppe De Lorenzo, Donato Gabriele Salvatore Rossetti, Giovanni Antonio Piscopo e Raffaele Schita.

e cosi dicendo trasse il Capitano in uno stanzino, “dove si compilavano i processi a carico della provincia”, e gli additò il Donato Greco. Il Bilia, senza por tempo in mezzo, trasse il mandato di cattura e in nome del Re e della legge lo arrestò, ma poiché l'Intendente supplicava che lo si lasciasse libero almeno per altre 24 ore, il Capitano acconsentì, ma trascorso questo tempo e non essendosi presentato a lui, lo fece arrestare in casa di Marco Renda dove erasi rifugiato (1).

Narra il Bilia un altro fatto da cui meglio si rileva la grande iniquità del Cito (2).

Il marchese di Lizzano e il conte di Lizzanello, zio e nipote, avendo delle liti con questi comuni di antico loro baronaggio, avevano bisogno della protezione dell’Intendente per opprimere i popoli e per usurparne i diritti. Già una lite per 80.000 ducati era stata risoluta a favore dei due Comuni da due sentenze del Tribunale ed ora pendeva per l’ultimo giudizio presso la Gran Corte d’appello. I due ex Baroni volevano che i Comuni di Lizzano e Lizzanello rinunziassero ad ogni diritto, ma per ottener ciò era necessario sopprimere il Sindaco. Insieme con l’Intendente subito prepararono il loro piano. Sporta una denunzia contro il Sindaco, “qual detentore di armi e di emblemi settari”, fu eseguita in casa sua una perquisizione, ed essendosi trovato un lungo coltello a serpe con alcune iscrizioni emblematiche, egli fu subito arrestato e condotto in carcere. Ma la Giustizia potè provare che il coltello criminoso apparteneva al marchese di Lizzano e che era stato messo con arte in quel luogo, e rilasciò libero il Sindaco che ritornò ad occupare la sua prima carica (3).

Altra vittima del Cito fu Leonardo Giampietro, Sindaco di Novoli, che dichiarato da lui Carbonaro graduato, Tenente legionario e proclive verso i settari”, fu con risoluzione sovrana, del 14 dicembre 1824, dimesso dalla carica. Invano i cittadini di Novoli chiesero con numerose suppliche che venisse reintegrato nell’ufficio, ché il

(1) Ibidem

(2) Ivi, a. 1887, N° 9.

(3) L'Intendente poi si recò personalmente a Lizzano, dove usò ogni sorta di violenze a quel Sindaco, a’ Decurioni, a’ Deputati per obbligarli a rinunziare nella causa contro il Marchese.

Commissario di polizia Patini, incaricato dal Ministro dell’Interno, con rescritto de’ 27 maggio, di assumere più accurate informazioni, mostrò che i ricorsi fatti in favore del Giampietro erano effetto di intrighi settari. Di fatto il solo delitto del Sindaco di. Novoli era quello di essere stato Carbonaro (1) e Legionario del 1820, pei quali carichi era stato già nel 1822 scrutinato e sospeso dalla carica di notaio (2).

Con l’esempio di un tale Intendente non è da meravigliarsi se ricorsi anonimi, frutto di odi personali, pervenissero continuamente al Ministero di Polizia accusanti onesti impiegati di movimenti ed intrighi settari, sol perché questi erano stati liberali e carbonari nel 1820. Così l’undici maggio 1824 perveniva al Re dalla provincia di Lecco un ricorso anonimo, in cui si faceva palese che in Gallipoli vedevansi in unione i Carbonari più classici (3), ma lo stesso Intendente Cito, al quale si chiesero schiarimenti, dichiarò “dopo minute indagini fatte sul luogo che l’esposto era insussistente”.

Il 14 agosto del 1824 in un ricorso inviato al Re si esprimeva il dolore di vedere occupare le prime cariche della Provincia da quei mostri soggetti, che avevano tradito il Re nel 1799, nel 1806, nel giuramento del 1815 e nel 1817 e nel 1820. Ora questi atei conosciutissimi erano: Nicola Castia, Consigliere d’intendenza, il quale aveva come supplente funzionato per alcuni mesi da Intendente prima del Cito; Francesco Mancarella, Consigliere d’intendenza; Vito Leopizzi, Capo divisione d’intendenza; Ignazio Cecico, impiegato, mentre lo scrutinio lo aveva destinato alla ghigliottina Ferdinando Verderamo, Gaetano Malinconico, Gaetano Falarena, id.; Oronzo Contursi, Gaetano Andrioli, Diego Occhiolupo, portiere; Luigi Frisulli di Gallipoli Carbonaro fin dal 1809; G. B. del Tufo, destituito nel 1822 da Giudice criminale;

(1) Nel 1817 fece parte dei Patriotti Europei, nel 1819 si ascrisse alla Carboneria e fu 1° assistente nel 1820 nella seconda Vendita. Fu Tenente legionario, effervescente riscaldato.

(2) Gr. Arch. di Stato di Napoli. Pand. 1059. F° 327, a. 1825.

(3) Il R. Giudice don Giuseppe Elia, il Sottintendente Morelli “ligio al Principe di Cassano Aragona”, il Giudice Stanislao de Pace, Giuseppe Bisogni, Girolamo Massa, Raimondo Rizzio, Barone Laviani, Agostino Andriani (Gr. Arch. di Stato di Napoli. Pand. 43. F° 263, a. 1824).

Gaetan Molines, procuratore, destituito da Cancelliere criminale; Camillo Baldari, id.; Nicola del Giudice, Patrocinatore, destituito da Giudice ed esiliato a Bari nel 1822; Giovanni Gatto, Patrocinatore, destituito da Supplente giudiziario; Luigi Moscatelli, Patrocinatore, destituito da Giudice di Circondario; Vincenzo Donadei, avvocato; Nicola Briganti, Patrocinatore; Pasquale Ferrante, id.; Francesco Brunetti, id.; Domenico Fazzi, Nicola Foscarini, id.; Giuseppe Voccoli, Vincenzo Balsamo, id.; Luigi Guglielmi, id.; Pantaleone Colonna, id.; G. B. Grande, id.; Ippazio Carlino, id.; Andrea Farina, id.; Ignazio Metraja, notaro certificatore, “famosissimo settario, destituito da Notaro e da Vice Presidente della Camera Notarile”; Domenico Del Giudice, Controllore delle Dogane a Trani nel 1821, Capitano degli Usseri Salentini (1); Ortensio Pepe, impiegato nella Conservazione delle Ipoteche Pacchetti (“che per Toledo figurò fregiato di fascia tricolore e delle decorazioni Carbonare”), Segretario generale della provincia di Salerno! (2).

Ma niun fatto positivo si pptette, sulle loro operazioni settarie, accertare, e il Cito riferiva al Ministro che le persone notate “erano state cattive in tutti i tempi e precisamente i signori Mancarella, Verderame, del Tufo, Gallotti, Geofilo, Molines, Baldari, Voccoli, Farina e Metraja”. Essi però non ardivano riunirsi in setta, ma diffondevano il malcontento per l’influenza che avevano negli affari (3).

In generale il Cito nei rapporti mensili sullo spirito pubblico nel 1824, riferiva che la condotta dei passati settari, eccetto che nei paesi del Capo di Leuca e in alcuni altri del distretto di Gallipoli (4), “all’esterno era buona”.

(1) Cfr. Cap. III.

(2) Questi signori erano rei di aver mosso in penitenza S. Oronzo, Protettore di S. A. R. il Principe don Antonio.

(3) Tuttavia Del Tufo, Gallotti e Del Giudice furono allontanati da Lecce e nel 1826 si disse che Del Tufo da Napoli fosse in corrispondenza coi settari di Lecce (Vincenzo Russo, Luigi Mastracchi, Gennaro Petruzzi, Pasquale Ferrante, Marchese Vincluaturo, Sac. Salvatore Norvegna, con Angelo Bax relegato a Bari o con Liborio Romano che era a Tram). Scopo di questi settari era l'allontanamento dell'Intendente Cito da Lecce e perciò raccoglievano dolio somme di danaro. Ma non si ebbero provo di ciò (Gr. Archivio di Stato di Napoli, Minist. Polizia. Pand. 1287. F° 338, a. 1825).

(4) Carpionano, Cannolo, Corigliano (Gr. Arch. di Stato di Napoli. Pand. 601. F° 1, vol. 9).

Di fatto i settari erano avviliti sotto tante persecuzioni ed anche dalla miseria che affliggeva tutta la provincia, ma i proprietari erano quelli che ne risentivano di più i danni, perché le derrate si vendevano a vilissimo prezzo non essendoci compratori.

Il mutuo era a ragione dell’8 e fino del 12 %, ma l’usura raggiungeva perfino il 100/100 (1).

5. Erano queste le condizioni di Terra d’Otranto alla morte di Ferdinando I, avvenuta la mattina de’ 4 gennaio 1825, a 76 anni. Gli successe il figlio Francesco, già suo Vicario nei tempi costituzionali.

I liberali respirarono nella speranza di un più mite governo e già nel gennaio a Lecce si parlava di un ampio indulto che il Re avrebbe concesso a tutti i condannati ed esiliati politici, e si sperava ancora nella partenza dal Regno delle truppe austriache (2). Ma se per vedere la fine dell’occupazione straniera si dovette aspettare fino al 1828, nella prima speranza i liberali non furono del tutto delusi, giacché Francesco I a’ 22 febbraio concedeva amnistia per tutte le associazioni settarie, dolente di non poter concedere maggiori larghezze, perché legato dagli obblighi che il padre aveva assunti a Verona.

Gli animi si sollevarono, ma l’Intendente Cito parve che non ne fosse contento, che anzi un ricorso pervenuto al Ministro di Grazia e Giustizia lo accusava insieme col contino di Lizzanello, con Ciriaco Andriani, con D. Vito Chiga, il Maggiore Comandante il battaglione di stanza a Lecce, di essere “indispettito degli indulti e delle sane intenzioni di S. M., e di preparare nella tranquillissima provincia di Lecce una sanguinosa rivoluzione contro S. M. e contro i cosiddetti Carbonari a favore dell’Imperatore d’Austria” (3).

(1) Cito dichiarava di non poter procedere contro gli usurai, perché gli mancavano le prove per un giudizio; ma il Ministro di Polizia soggiungeva che non sarebbe stato difficile acquistare “ degli elementi bastevoli per una misura economica utile ed esemplare per reprimere l'abominevole avidità degli usurai, (Grande Arch. di Stato di Napoli, ibidem).

(2) Grande Arch. di Stato di Napoli. Pand. 601. F° 1, vol. 1°.

(3) Gr. Arch. di Stato di Napoli. Pand. 1371, a. 1825. �" Un altro ricorso di Rocco Hatelmy da Brindisi (nel 1820 questi aveva scritto da Foggia al figlio Cataldo per esortarlo a proclamare la Costituzione nel suo paese) diceva a  proposito del Cito:

Il Ministro di polizia generale chiese schiarimenti in proposito a don Bartolomeo Lopez, il quale confermava la voce, ma senza addurre prove decisive. Intanto poiché fin da’ tempi di Ferdinando I un numero grande di memorie era pervenuto al Ministero e al Re incessantemente accusanti il Cito, si dispose per mezzo di persone accreditate un circospetto rischiarimento sulle doglianze generali. Ma i prelati, i magistrati, ai quali il Ministro si rivolse, smentirono le accuse e definirono il Cito “pieno di zelo per la garenzia dell’ordine e per lo sostegno della Religione” (1).

Anche sul Clero, in voce di liberale, si stendeva la vigilanza dell’Intendente. La Polizia ebbe notizia, nel 1825, che nella provincia vi erano dei confessori, che “nel nonimestre figurarono chi per effervescenza di liberalismo, chi per graduazioni settarie e chi per aver promossa la diffusione di quel veleno”.

Essendo questo un articolo della più alta importanza (2), il Ministro di polizia emise nel luglio una circolare, nella quale impose ai funzionari delle Provincie di indagare con la maggiore circospezione e delicatezza” quali Confessori mai si trovassero macchiati d’infezione settaria” (3). E l’Intendente Cito subito rapportava che il Vescovo di Ugento Monsignor d’Urso aveva un pendio pei settari ed eleggeva per maestri nel Seminario sacerdoti Carbonari (4).

I fatti avvenuti in diversi paesi della Provincia di Lecce sono funesti e disgraziati, irreparabili se Cito continua a governare, egli è circondato da pochi maligni rivoltosi, che si studiano l’arte di promuovere ed eccitare discordie e turbolenze, delle quali, se no promettono gli effetti per la leggerezza del carattere dell’Intendente. Egli non può sostenere la sua dignità o intanto la provincia ò tormentata dalle continue persecuzioni e molte volte sono colpiti gli innocenti(ivi).

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli. Pand. 657. Min. di Polizia.

(2) Il Confessore settario lungi dal reprimere la propensione per le società criminose e di condannare quelli che potessero appartenervi, poteva tendere ed accarezzarli e a far servire la religione di appoggio alle aberrazioni innovatrici, specialmente verso la plebe (ibidem).

(3) Ibidem.

(4) Domenico Mazzarella, ex-paolotto di Gallipoli, Confessore e Lettore nel Seminario; Nicola Cataldi di Gallipoli, rettore diocesano e lettore di Bello Lettere era stato nel 1822 destituito poi suoi sentimenti politici dalla carica di Ispettore distrettuale della Istruzione Pubblica; sacerdote Francesco Miniera; sacerdote Oronzo Licchetti, Penitenziere nel Santuario di S. M. di Leuca, dove col protesto di visitare il Santuario si riunivano parecchi liberali.

Della Diocesi di Brindisi notava per effervescenza settaria il Padre G. Battista di Mesagne, ex provinciale dei Cappuccini, e don Didimo Majone ex maestro dei Padri Francescani. Ma, fatte delle indagini, non si verificò nulla di certo e di definito (1).

Nel novembre del 1825 il Commissario di polizia Patini riferiva al Ministro di polizia che nulla v’era da osservare di anormale nella Provincia di Lecce, che la condotta degli impiegati destituiti e dei settari era regolare. Ma non la pensava così l’Intendente Cito (2), il quale per sua stessa confessione (3) dopo la morte di Ferdinando I aumentò la vigilanza sulla provincia, attese le eccedenze di fantasia, vaticinii (4) ed altro, in cui la classe (settaria) si abbandono Fu allora che l’Intendente immaginò e finse di credere esistente la setta degli Ellenisti o Edenisti o dei Tre Colori per imprigionare tutti i liberali di Terra d’Otranto. Come questa setta, ch’egli denunziò fin dal maggio del 1825, esistesse soltanto nella sua immaginazione, è stato ampiamente dimostrato dal Bernardini (5), dal Palumbo (6), dal Nisco (7), dal Congedo (8).

Il Ministro di polizia non ottenendo dal processo alcuna prova

(1) Ibidem e Gr. Archivio di Napoli, Minist. Polizia. Pand. 1082. F° 328, a. 1825.

(2) Nel dicembre del 1825 l’Intendente proponeva il trasferimento del Patini in altra provincia più quieta, reputandolo per le sue vedute poliziesche inadatto alla provincia di Lecce, che esigeva particolare attitudine”. Ma nel gennaio del 1826 scriveva di lui all’Intonti: Il grado della sua entità è quello che può dare l’ottusità del suo ingegno e l’obesità del suo corpo. Ciò importa che il suo merito sia nullo in questa linea ed è valutabile solamente per la somma onestà del suo carattere, per l’ottima morale del suo cuore e pel suo deciso attaccamento a S. M.,. E lo pregava di non trasferirlo perché uno debole d’intendimento è meno pernicioso dell'intrigante, dell’indiscreto e dell’immorale(Gr. Archivio di Stato di Napoli. 601. 2°, F° 294, vol. 3°).

(3) Ibidem.

(4) Nel settembre del 1825 apparvero nel Teatro di Lecce dei cartellini con delle volgari ingiurie contro il Cito.

(5) Bernardini N., Sette e settari in Provincia di Lecce, in Riv. Storica Salentina, 1903.

(6) Palumbo, op. cit., libro VII.

(7) Nisco, Gli ultimi 36 anni del regno di Napoli (18241860). Napoli, 1883» vol. 1.

(8) Congedo G., Girolamo Congedo e la setta degli Edennisti in Terra di Otranto in Riv. Stor. Salentina, 1905.

di fatto per condannare gli accusati, che erano stati subito arrestati (1), pensò nel Consiglio ordinario di Stato (27-3-1826) di mandare in provincia di Lecce (2) come Visitatore Giuseppe Ceva-Grimaldi, marchese di Pietracatella, che vi era stato Intendente una diecina di anni prima, e ne aveva scritto in un libro, che pare scritto oggi, tanta è l’acutezza delle osservazioni e la freschezza delle descrizioni e dello stile (3).

Il Pietracatella doveva ispezionare le provincie nei diversi rapporti di amministrazione civile, finanziaria, giudiziaria, ecclesiastica, militare e di polizia (4). In provincia di Terra d’Otranto doveva sincerarsi se davvero la provincia presentasse “uno spirito quasi generale di effervescenza e d’irrequietezza nella classe settaria„ se questa fosse numerosissima e tendesse ad una prossima sedizione”, se il centro della rivolta fosse Lecce e le diramazioni più importanti fossero nell'ambito del Capo di Leuca (5), se ancora nel Comune di Francavilla (6) la preponderanza settaria facesse progressi e vi fosse un continuo “riflusso di emissari”. Doveva'  indagare se in Taranto vi fossero elementi di una nuova e occulta associazione, e se in vari altri paesi dei distretti di Brindisi e di Gallipoli si notasse una certa premura di estendere il proselitismo nelle sètte (7), se infine la posizione vantaggiosa del Capo di Leuca facilitasse gli abboccamenti e le combriccole di liberali, e se negli scali marittimi e nelle insenature nascoste del promontorio di Leuca si eseguisse lo scambio di criminose corrispondenze straordinarie. Su tutte queste denunzie del Cito il Pietracatella dovette approfondire le indagini, e ne venne

(1) Liborio Romano insieme col fratello Gaetano, col cugino Eugenio Romano e molti altri liberali, fu menato nelle segrete di S. M Apparente di Napoli.

(2) Il Pietracatella doveva anche visitare la Provincia di Principato Ulteriore, di Capitanata, di Bari (Grande Archivio di Stato di Napoli. Pand. 1494, P° 351. F° 1, vol. 3°).

(3) G. C. G., Itinerario da Napoli a Lecce. Napoli, 1816.

(4) Gli furono dato ampio istruzioni; egli doveva sopratutto fermare l’attenzione sul contegno politico della popolazione (Gr. Arch. di Stato di Napoli. Pand. 1712. F° 381, a. 1826).

(5) Gr. Arch. di Stato di Napoli. Pand. 1494 F° 352, vol. 8° o Pand. 1494. F° 351, vol. 1°.

(6) Ivi. Pand. 149-4. F° 352, vol. 2°.

(7) Ivi. Pand. 233-5. F° 410, vol. 2°.

alla conclusione generale che la condotta dei passati settari e degli impiegati e dei militari dimessi era piuttosto mediocre in apparenza che non si poteva contare sul di loro ravvedimento osservandosi un moto straordinario tra i noti settari di Casarano, di Poggiardo, e dei paesi del Capo di Leuca (1). Preponderava però l’affezione pel governo Quanto poi alla setta degli Edennisti il Pietracatella si confermò nell’opinione che il processo fosse stato fondato su supposizioni e su false denunzie. E il Consiglio dei Ministri dichiarò nella seduta del 1° agosto inesistente la setta degli Edennisti; sui prevenuti non potevasi riconoscere imputabilità recente, suscettiva di giudizio di condanna a senso delle leggi ma date le cattive qualità personali, la compromissione che li distinse nelle epoche sovversive, il grado d’influenza perniciòso per ciascuno, e l’inemendabilità di alcuni o la cattiva condotta attuale di taluni altri”, si emisero alcune misure economiche suggerite dal Pietracatella nel rapporto del 18 luglio. Fra l’altro fu stabilito nel Consiglio dei 9 agosto 'che don Gaspare Vergine fosse esiliato dal Regno, che il parroco don Cirino Ciullo fosse relegato in Campobasso; che don Ignazio Metraja (2) rientrasse nei Regi Domini, ma rimanesse a Napoli sotto la sorveglianza della polizia, e che quivi pure rimanesse don Liborio Romano (3).

Nella sua visita il Pietracatella ebbe a notare in Terra d’Otranto una grande miseria. Una lunga serie d’infelici raccolte d’olio ed il vil prezzo di questo genere �" principale cespite della provincia �" aveva impoverito grandi e piccoli proprietari. Tutto il commerciò era piombato in mano di negozianti Svizzeri in Gallipoli, di Triestini e di Greci in Brindisi e di Genovesi in Taranto.

(1) Ibidem.

(2) Ignazio Metraja fu uno dei più ostinati rivoltosi, fin dal 1817, quando nella Gran Dieta Carbonara tenutasi a Galatina il 25 novembre, propose che si trucidassero tutti coloro che non avessero preso le armi contro il Church. Nel nonimestre Gran Maestro di una Idume e membro della Deputazione Provinciale, fu uno dei capi della rivolta. Dopo il 1821 tenne corrispondenza segreta col principe di Cassano (Gr. Arch. di Stato di Napoli. Pand. 1494. F° 351, vol. 2°, parte 1).

(3) Il  Palumbo asserisce erroneamente che il Romano fu relegato in Patù (op. cit., vol. 2°, pag. 394). Il Pietracatella così definiva il Romano: uomo veramente pericoloso a detta di tutti i buoni(Bernardini, opera citata, pag. 481).

Era un monopolio che derivava in parte dall’inerzia degli abitanti ed in parte dalla mancanza di legni nazionali (1).

Il Pietracatella propose ed il Ministro approvò che si impiegassero le somme delle Casse comunali e di Beneficenza alla costruzione di pubbliche strade per dare lavoro al popolo. Ma la miseria cresceva sempre di più nel 1827, e il Ministro delle Finanze accordava una dilazione pel pagamento della fondiaria fino al mese di agosto (2). Eco di questo stato di miseria giunse al Re, mentre egli era a Milano; in uno scritto anonimo gli si rinfacciavano tutte le elargizioni che egli faceva a Milano, elargizioni che erano il sangue cacciato dalle vene dei poveri.

Le popolazioni erano per la miseria sull’orlo della disperazione, gli esattori della fondiaria commettevano estorsioni inaudite, l’usura era giunta al 200 % e un Re Cattolico non metteva alcun riparo (3), il Re dormiva e “si lasciava menare dai Ministri in carrozzella” (4).

La miseria diminuì poi nel tempo della raccolta delle ulive, ma nessun altro provvedimento di carattere economico fu preso dal Governo. Il re a Milano intanto trattava con l’Imperatore d’Austria intorno alla riduzione dell’esercito di occupazione, e conveniva che lo sgombro anziché nel maggio prossimo avrebbe dovuto aver luogo nel marzo dell’anno seguente (5).

(1) Il salario dei lavoratori era in alcuni luoghi di grana 6 al giorno (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. la. Pand. 601. F° 233, vol. 3°). Quadro vivo della miseria in Terra d’Otranto ci presenta il Vicario Capitolare d’Ugento (16-5-1827). Era tale lo squallore della sua diocesi che mancava il pane por parecchi giorni consecutivi alle famiglie; queste si cibavano solo di cicorie salvatolo, senza olio, senza sale, ma condite solo con un poco di aceto”. Mancando loro il sale percorrevano a piedi nudi circa cinque miglia per provvedersi di acqua di mare e se avevano la sventura di imbattersi nei Gendarmi, questi rompevano loro i recipienti di acqua. I proprietari erano nello massimo strettezze o vendevano i mobili più cari o più preziosi e anche quelli più necessari per pagare la fondiaria.

(2) Ibidem.

(3) In un sonetto di Diodato Margiotta di Tuviano si rimprovera a re Francesco di pensare solo alla religione, mentre altre questioni più importanti agitavano la monte dei suoi sudditi (Gr. Ardi, di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 1520. F° 368).

(4) Gr. Archivio di Stato di Napoli, Sez. 1°, Pand. 1871.

(5) Per quest'argomento cfr. i documenti pubblicati da R. Parisi, L’occupazione austriaca, 1827, in Lega del Lene, a. 1886, N° 15.

L’evacuazione cominciò invece il 6 luglio 1827, quando il barone Frimont con 10.000 uomini partì per la Lombardia ad occupare il posto di Comandante generale e finì col febbraio del 1828.

In Terra d’Otranto la notizia del primo allontanamento degli stranieri giunse esagerata; si credette che a Napoli vi fossero tumulti, e subito i liberali leccesi si misero in moto per raccogliere denari. Ma la Polizia, avutone sentore, eseguì perquisizioni ed arresti; del resto ciò non impedì che nel febbraio del 1828 vi fossero grandi manifestazioni di gioia per la provincia, specialmente in Lecce, in Brindisi, in Taranto, in Patù.

8. Quale era lo spirito pubblico in Terra d’Otranto sul finire dell’occupazione austriaca? Quali modificazioni aveva subito la Carboneria in sei anni di reazione? Nel 1827 il Cito proseguiva, per niente scoraggiato dall’insuccesso dei suoi processi, nella sua opera di reazione, e nel marzo inviava al Ministro un’infinità di denunzie di “immiscenze settarie,, (1). Così riferiva che nel Comune di Campi e precisamente nel fondaco di Rosario Fanizza e nel palazzo della duchessa di Cutrofiano, con l’intelligenza dell’agente don Patrizio Maddalena si tenevano delle unioni settarie. Ma dalle informazioni 'raccolte si deduceva che nel negozio del Fanizza convenivano, è vero, de’ settari, ma insieme con costoro erano anche delle persone illibate; quindi il luogo non si poteva dire ritrovo di unioni criminose, ma piuttosto punto di riunione per passare le ore di ozio” (2). Non reggevano poi le asserzioni di adunanze segrete nel palazzo della duchessa di Cutrofiano.

Similmente nel Comune di Squinzano notava delle unioni settarie nella cappella dell’Annunziata, nelle spezierie di Vito Pulii e di un tal Papa, e in casa del signor Cleopazzo; compilatone processo, lo spediva alla Commissione suprema pei reati di Stato, e in attesa della deliberazione di questa, sottoponeva gli imputati ad una rigorosa vigilanza (3).

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli. Pand. 2165. F° 403, 8, vol. 74.

(2) Il fondaco di Fanizza fu sottoposto ad accurata vigilanza.

(3) Denunziava riunioni settarie a Parabita, Matino, Neviano, Casarano, Cursi, Galatone, ecc. In Lecce nella casa di Don Francesco Luperto.

Lo zelo del Cito per la sicurezza dello Stato giungeva a tal punto da impensierirsi se un tal monaco Alcantarino, a nome Fra Gaudioso di Squinzano, e domiciliato a Capursi, facesse frequenti visite nella sua patria; riunioni settarie vedeva nell’affluenza di molte persone nella spezieria di Raffaele Prudenzano in Manduria, ma poiché quivi, dove era anche l’Ufflciò postale, convenivano sotto il pretesto di ritirare e spedire lettere, egli dispose che l’Uffìciò fosse altrove trasferito e che si praticasse una cancellata di ferro ed una buca per deporsi e riceversi le lettere”, col divieto a qualsiasi persona di penetrare nell’interno dell’officina Ancora riunioni settarie denunziava il Cito nella farmacia di don Carmine Spagnuolo in Sava, e in quella di Pasquale Balestra in Francavilla e nel caffè di Giuseppe Desiati a Grottaglie.

Comune molto vigilato era quello di Otranto (1), ove i settari, come asseriva il Cito, si riunivano in casa di Francesco Salzedo, di Luigi Semola, del capitano d’artiglieria Gaetano Bocchini, del segretario della Piazza d’Otranto Antonio Punzi.

Ma se tutte queste persone erano state Carbonare durante il periodo costituzionale ed anche prima, e talune per questo destituite nel 1822 dall’impiego, nel 1827 esse serbavano una condotta regolare, sia pure nelle apparenze, come scriveva al Ministro Intontì l’Intendente Cito; e invano questi si affannava a scoprire riunioni criminose: nessuna prova decisiva egli potette mai fornire nella compilazione dei suoi processi. Ma gli imputati intanto o subivano il carcere preventivo o venivano esiliati dal proprio paese; venivano sottoposti insomma alle terribili misure economiche, per le quali il cittadino, messo a disposizione della Polizia, perdeva libertà, beni, casa.

Questi repubblicano nel 1799, era stato poi uno dei Direttori delle masse a favore del Governo e per questo merito aveva ottenuto la carica di Uditore delle Regie Udienze. Ritiratosi dall’impiego, visse pacificamente fino al 1816; in tale epoca s’immischiò nello sotto ed ebbe graduazioni nei Filadelfi e nei Carbonari. Installò vendite in S. Pietro in Lama, in Lequile, in S. Cesario. Nel nonimestro fu Sindaco Costituzionale, mostrando molto zelo per quel sistema”. Accusato di raccogliere ogni sera in casa sua i settari di Lecce, gli fu imposto di sciogliere quelle riunioni o fu sottoposto a vigilanza (Ibidem).

(1) La Corriera Jonia di Otranto era oggetto della più scrupolosa vigilanza per impedire corrispondenze furtive tra i settari del continente e quelli delle Isole, dove erano anche molti esuli napoletani. Per vigilare le mosso di questi, già fin dal 1826 ora stato, per disposizione ministeriale, inviato un individuo in Grecia o nello Isole. Si esaminavano poi tutte le lettore che provenivano dalle Isole e quelle che vi si spedivano da Otranto (ibidem).

Ma i settari di Lecce e quelli del Capo di Leuca richiamavano le cure speciali del Cito. Nel marzo del 1827 veniva istruito dal R. Giudice di Presicce, su denunzia del sacerdote Diodato Vantaggio, processo a carico di Girolamo Congedo (1) di Lecce, di Giuseppe Saverio Licci (2) di Calimera, di Paolino Vigneri (4) di Lecce, di Pasquale Gargasole di Gagliano (3), di Ercole Stasi di Presicce (4), di Vittorio Capocolli di Salice, di Eugenio Romano, di Agostino Cataldo, di Carlo Patitari, di Angelo Spiriti, di Giuseppe ed Ettore Romano, di Giovanni Vesca, di Gaetano Colaci, di Giovanni Mezio e di altri settari del Capo di Leuca (5).

Fondamento dell’accusa era che don Girolamo Congedo si fosse recato sotto finto pretesto a Gagliano e quivi avesse avuto contatto con molti settari del Capo di Leuca per imporre a questi una tassa di 4000 ducati; con questi denari si sarebbero cercati dei mezzi per far destituire l’Intendente Cito, o almeno per farlo trasferire.

(1) Patrocinatore. Occupò sempre i primi posti nelle sette; nel 1817 a capo della Guardia di Sicurezza mantenne la tranquillità pubblica in Lecce; nel nonimestre fu maggiore della Legione e partì per la frontiera. Rubricato nella setta degli Edennisti fu con risoluzione sovrana dei 18 agosto 1826 sottoposto a severa vigilanza con la minaccia di essere allontanato da Lecce.

(2) Legale; famoso nei fasti della sedizione in terra d’Otranto, fu uno dei membri della suprema magistratura costituzionale. Pertinace nei principii sovversivi. Tenne corrispondenza indiscreta col Principe di Cassano per la qual cosa fu nel febbraio del 1826 richiamato e trattenuto a Napoli per parecchio tempo.

(3) Fu sempre di sentimenti contrari alla monarchia Borbonica e fu destituito dalla carica di Giudice Circondariale nel 1822. Compreso tra i rubricati nella setta degli Edennisti fu sottoposto col rescritto sovrano del 18 agosto 1826 a vigilanza.

(4) Occupò alte cariche nella Carboneria. Legionario nel nonimestre. Irreconciliabile dopo.

(5) Nel periodo costituzionale fu uno degli Usseri Salentini portando troppo oltre il suo entusiasmo per lo liberalismo”. Strettamente legato col Principe di Cassano fu uno degli Edennisti (Gr. Arch. di Stato di Napoli, pand. 601, P 293, vol. 9, parte 3). Il Principe di Cassano don Giuseppe Maria d’Aragona nativo di Napoli, Maggiore nel reale esercito, aveva preso parte alle follie del 1817 e del 1820 e aveva sui faziosi del Capo di Leuca una vera e decisa influenza. 8 Nel tempo che presiedé la Commissione Militare mostrò palese deferenza pei settari e coi principali di essi continuò amicizie poco decorose anche al suo grado e alla sua nascita”. Gli fu vietato di tornare nel Capo di Leuca dopo la processura per la setta degli Edennisti (Cfr. Bernardini, op. cit., pag. 481).

Alcuni anzi testimoniavano che già 500 ducati erano stati raccolti e consegnati al Licci che ne doveva essere il depositario.

Il processo fu rimesso alla Commissione suprema pei reati di Stato, la quale, trovandovi dei vuoti, deliberò a’ 7 maggio 1827 che il Giudice istruttore di Gallipoli avesse proseguita più accuratamente l’istruzione.

Comunicata la deliberazione all’Intendente Cito, questi con rapporto de’ 17 maggio faceva noto al Ministro Intontì che taluni ostinati famosi irreconciliabili settari domiciliati a Lecce, non cessavano di animare l’intrigo sedizioso, 1° con perenni e notturni concentramenti in siti diversi; 2° con la somma precauzione che adoperano per non farsi colpire; 3° con l’ilarità che oltre il dovere nei loro volti si scorge da vari giorni; 4° con la frequente spedizione di emissari nei diversi punti della provincia e specialmente nel Capo di Leuca; 5° con la speranza delle notizie dei Greci, di Lord Cochrane, del generale Church e dei favori dell’Inghilterra (com’essi dicono); 6° con l’esultanza per lo concentramento della gendarmeria, donde arguiscono non potersi invigilare sui loro andamenti” (1).

E specificava gli anelli principali di tal catena, ch’erano quasi tutti gli imputati nel processo anzidetto, e contro i quali invocava i più energici temperamenti, essendo ormai pericolosa ogni altra tolleranza”.

Il Re nel Consiglio ordinario di Stato de’ 26 maggio ordinava che si proseguisse a vigilare gl’individui designati dal Cito e che si acquistassero elementi positivi o determinati “per quindi procedere su fondata base contro di essi”, ma poiché questo non fu possibile, Girolamo Congedo (2), pur rimanendo irreconciliabile (3), non subì nessuna pena. Ma due di questi imputati furono puniti: Luigi Mezio o Giuseppe Saverio Licci, sebbene per altra ragione. Il primo fu accusato di aver tenuto riunioni settario nel giugno del 1826, ma pur provandosi vere lo frequenti visito avuto dal

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli, ibidem. Concentrandosi la Gendarmeria noi comuni più grandi, gli altri sarebbero stati vigilati dalla Guardia Urbana, che essendo comporta di naturali del luogo non dava da pensare.

(2) Esiste una memoria del Congedo su questo processo (Ibid. ).

(3) Rapporto del Cito del 2 agosto (Ibidem).

Mezio da alcuni individui di Presicce e di Galatina, settari nel nonimestre, non si potette provare il fine criminoso di esse.

Il carico principale del Mezio era quello di essere stato settario fin dal 1815; era un uomo irreligioso che attaccava nei suoi discorsi pubblicamente i dogmi della Chiesa (1). Insomma “un soggetto detestabile e pericolosissimo, ostinato nei suoi divisamenti, oltre ogni credere, e capace di perturbare l’ordine pubblico, sia col discorrere, sia coi pravi di lui consigli, contatti e giri frequenti che praticava ad onta di esser cieco”. Proponeva l’Intendente che si esiliasse il Mezio dalla Provincia essendo anche una tal misura salutare per “dare una scossa” ai liberali del Capo di Leuca, i quali col ritorno da Napoli di parecchi Edennisti si erano elettrizzati Così il Mezio fu esiliato a Napoli e sottoposto a vigilanza; Giuseppe Saverio Licci, accusato di aver tenuto discorsi sediziosi atti a promuovere il malcontento verso il governo ed essendo stata provata la sua reità, fu dalla G. Corte suprema condannato alla pena di cinque anni di prigionia ed alle spese di giudizio (2).

Non per nulla il Cito invocava da tanto tempo nel suoi rapporti pei settari del Circondario di Campi (3) una misura di rigore, “anche se questa non fosse servita a migliorare la loro indole perversa, essendo di principii irreconciliabili”, pur vedendo compressi i torbidi e persistenti nei pravi divisamenti ad ogni più lieve slanciò Era proprio questo il crucciò dell’Intendente; nonostante tutto il suo zelo per reprimere i liberali, essi erano irreconciliabili. pertinaci nei loro pravi sentimenti e sapevano mascherare le loro operazioni in modo” (4) che egli non poteva procedere per giudizio penale contro di essi: doveva solo sottoporli alle misure economiche!

(1) “Ripeteva empiamente che Cristo fu il primo a stabilire le società segrete, avendone istituita una militante sotto il suo vessillo, a divulgare la quale si servì del Ministero degli Apostoli, che i suoi miracoli non eran veri, che i sacramenti e le cerimonie della Chiesa sian delle belle spiritose invenzioni ed altre simili empietà(Rapporto di Cito. Gr. Arch. di Stato di Napoli. Sez. 1°, Pand. 1899, 3, 397, vol. 1°).

(2) Nel gennaio del 1832 l’Intendente Lotti proponeva la sua escarcerazione (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1°, Pand. 2137, F° 402, vol. 4°).

(3) Fra questi i fratelli Rosato, Oronzo Guarino, Giovanni Lega, Giovanni Serio (Ibidem).

(4) In un rapporto dell’Ispettore di Polizia Damiani (2210 1827) il distretto di Gallipoli detto diabolico perché quasi tutti gli abitanti dello stesso sono dei già manifesti ed ora occulti pertinaci liberali, che in apparenza serbano una condotta plausibile,

Nel gennaio del 1827 aveva, voluto rivedere l’elenco dei destituiti nello scrutinio del 1821 per renderlo più compiuto e per avere una lista con biografie minute ed esatte dei liberali. Nell’aprile il lavoro era compiuto e il Cito trovò che gl’impiegati destituiti erano stati fino a quel giorno 252, i militari 123, e 165 in seguito al precedente scrutinio (1).

Riassumendo, dopo il 1821 i Carbonari in Terra d’Otranto seguitavano a riunirsi regolarmente, sebbene segretissimamente; dopo il 1822, avviliti dai giudizi delle Giunte di scrutinio, dalle denunzie di ignobili spie, oppressi dalle persecuzioni dell’Intendente Cito e dalla miseria, essi tacquero, ma nel 18261827 era tra i Carbonari del nonimestre un moto continuo, un lavorio segreto, movimento che era più notevole in Lecce, in Campi, nei Comuni del Capo di Leuca, e che crebbe nel 1827 e nel 1828 per l’allontanamento delle truppe tedesche, il concentramento della gendarmeria e per la guerra di Grecia. Ma di ciò nel seguente capitolo.

(Continua).

V. Zara.

ma in sostanza conservano il detestabile spirito di vertigine e sedizione, in modo che, se si vedessero per poco lasciato il freno, commetterebbero degli incredibili eccessi(Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1°, Pand. 601, F° 294, vol. 9°, F° 2°, parte 2).

(1) Cfr. Palumuo, op. cit., vol. 2°, pagg. 3989.


LA CARBONERIA IN TERRA D'OTRANTO

(1820-1830)

(Continuazione e fine: Vedi Anno VI, fascicolo 2°, pag. 338)

CAPITOLO V

La Reazione

Il tramonto della Carboneria in Terra d'Otranto

Sommario: L’amnistia dell'agosto 1827 e i liberali salentini. �" La guerra per l’indipendenza della Grecia: aspirazioni e repressioni. �" La setta dei Filadelfi. �" L’Intendente Cito è trasferito a Salerno (nov. 1828): dimostrazioni di gioia dei carbonari leccesi. �" Movimento settario nei circondari di Taranto, Lecce e Gallipoli (18281830). �" La Catena Salentina. �" Trasformazione della Carboneria. �" Conclusione.

1. �" Nel 1827, mentre in Terra d’Otranto l’Intendente Cito si affannava a perseguitare i liberali, a Napoli, in occasione del parto della regina, a’ 13 agosto 1827 si concedeva agli esiliati di rimpatriare.

Tornarono parecchi delle altre provincie del regno, “nessuno dei nostri” dico il Palumbo (1); “essi sapevano che nella loro patria dominava un efferrato proconsole, il quale li avrebbe resi più infelici „.

Ma so non tornarono era in loro vivissimo il desiderio di rivedere la patria.

Fin dai primi giorni del giugno del 1827 perveniva al Re ed al ministro Intontì una supplica di Narciso Trunco, Ignazio Metraja, Liborio Romano, Vito Domenico Lazzi, Salvatore Nervegna, di Giovanni Mezio e del fratello Luigi, cieco; di Giuseppe Crispino.

(1) Op. cit., vol. II, pag. 403.

Dicendosi vittime di “una calunnia organizzata dall’ambizione e dalla privata vendetta” essi imploravano di tornare in patria, donde erano stati espulsi in seguito al processo degli Edennisti.

Accusavano apertamente l’Intendente Cito di promuovere le calunnie e le denunzie “sia per screditare l’operato del di lui nemico e predecessore signor Marchese Cammarota, sia per il sospetto che avessero i leccesi fatte postulazioni per allontanarlo dal governo affidatogli, sia per ambizione e per brama di purgare con un merito apparente le sue macchie reali” (1).

Gli stessi supplicanti poi, ad eccezione del Crispino, scrivevano il 30 di giugno al ministro di Polizia chiedendo il permesso di dare alle stampe un sonetto “desiderando nella ricorrenza del prossimo giorno natale di S. Maestà la Regina esternar pubblicamente la di loro divozione alla prelodata M. S., nonché il sincero attaccamento all’intiera regnante Famiglia, implorandone nel tempo stesso la Reai beneficenza” (2).

Il ministro Intontì scrisse all’Intendente chiedendogli il suo parere sul ritorno in patria dei ricorrenti. E il Cito rispondeva richiamando prima alla mente dell’Intonti i carichi di compromissione politica dei supplicanti, che dipingeva come i più iniqui e pericolosi soggetti. Il loro ritorno in patria sarebbe stato oltremodo pericoloso all’ordine pubblico, poiché “l’infame classe a cui appartenevano per tanto si teneva cauta per quanto osservava che il Governo era forte abbastanza per tenerla repressa. Ma qualunque tratto di Sovrana indulgenza sarebbe stato velenosamente interpretato a debolezza, immaginando simili fanatici novatori politici di riuscire un giorno o l’altro nei di loro progetti. Per la vicinanza poi di Terra d’Otranto con le isolo ionie era ancora più pericoloso allora, (ilio i Greci si erano sollevati contro la Porta, il loro ritorno, il quale avrebbe aggiunto “materia d’incendio a quel vulcano che a stento o per effetto della più diligente vigilanza si teneva colato„.

Dopo questo rapporto nel Consiglio Ordinario di Stato de' 26 luglio

(1) Or. Arch. di Stato di Napoli, Soz. 1, Pand. 828, F° 317, vol. 11, f' 1°, parto XV1J.

(2) Ibidem.

si deliberò “atteso il preciso parere dell’Intendente, di non farsi novità alcuna sui disegnati individui” i quali inviarono altre suppliche fino al settembre. Si permise solo al Nervegna di tornare a Brindisi, sottoponendolo però alla più stretta vigilanza (1).

Dopo quanto abbiamo detto dell’Intendente Cito non è da meravigliarsi se la falsa o, per lo meno, intempestiva notizia del suo trasferimento avesse destato grandi allegrezze (2) tra gli abitanti della provincia di Terra d’Otranto (3). Si credette di respirare, di essersi liberati da un grave incubo; ma quale non fu la delusione generale quando si seppe invece che il Cito aveva ottenuto solo un mese di permesso. Si disse in quell’occasione che l’Intendente fosse stato chiamato a Napoli per discolparsi dalle accuse rivolte contro di lui dal Principe di Cassano; altri vociferava persino del suo arresto a Barletta. La Polizia cercò di nascondere l’importanza della dimostrazione, mentre ammoniva severamente i diffonditori delle false notizie (4).

2. Ma gli avvenimenti di Grecia ravvivavano in questo tempo le non spente speranze e le aspirazioni dei liberali, o se tutta l’Europa aveva fremiti di simpatia per i Greci, maggiore era l’entusiasmo dei Salentini, legati a quel popolo da vincoli di sangue e i più vicini al teatro della guerra.

Fin dal giugno del 1827 il Cito, in un rapporto politico intorno allo spirito pubblico nei mesi di aprile e maggio, scriveva all’Intonti: “Si è un poco cicalato sugli affari di Grecia e più per la parto che vi han preso lord Cokrane e il generale Church al comando rispettivo dell’armata navale e di terra. La classe dei settari o specialmente dei sorvegliati pei di loro alti gradi di compromissione, ha mostrata e tuttavia manifesta ilarità senza altre esternazioni „. Ed aggiungeva: “

(1) Ibidem.

(2) Cfr. Palumbo, op. cit., vol. II, pag. 403.

(3) Il segretario generale G. Lotti diramò il 16 settembre circolare a tutte le autorità della provincia, per conoscere lo spirito pubblico in tale occasione, giacche ogni avvenimento “diviene il termometro politico delle speranze e dei timori dei liberali” (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Pand. 601, F° 294, vol. 9 1°, parte 6a. Rapporto di Lotti de’ 26 sett. 1827).

(4) Palumbo, op. cit., vol. II, pag. 404.

Quanto anche mal fondate siano le voci sediziose dei liberali in materia, pure una qualche oscillazione si è rimarcata sull’animo dei sudditi devoti al Re N. S.” (1). Diceva ancora che tra i liberali era sorta la folle speranza di uno sbarco di Greci in alcuni punti dell’esteso litorale della Terra d’Otranto, giungendo fino al punto “di augurarsi un novello sistema governativo Erano poi sempre i liberali del distretto di Lecce e del Capo di Leuca che “si rendevano vieppiù sospetti pei loro andamenti e contatti La notizia del nuovo atteggiamento assunto dalla Francia e dalla Russia, rialzava gli animi degli oppressi, “elettrizzava” come diceva il Cito (2) “le menti dei novatori e ne fomentava le speranze Infatti nel giugno correva voce in Terra d’Otranto che il Governo Ottomano fosse stato costretto ad accordare l’indipendenza alla Grecia. E le speranze crebbero quando la Russia, la Francia e l’Inghilterra, riunite in favore della Grecia, presentavano un ultimatum alla Porta (3); ma l’Intendente Cito nel dicembre puniva coloro che avevano vociferato intorno alla battaglia di Navarrino.

La vigilanza aumentava: nel gennaio del 1828 l’Intendente diramava una circolare ai Regi Giudici, perché “durante l’incidenza della guerra con la PortaOttomana, rapportassero settimanalmente sullo spirito pubblico” (4). I luoghi più vigilati erano, com’è naturale, i porti di Taranto, di Gallipoli, di Otranto, di Brindisi e di Tricase.

A Gallipoli negli ultimi giorni del gennaio del 1828 furono notati due inglesi, “il capitano di un bastimento ed una persona distinta” i quali, sotto il pretesto di visitare il paese avevano “con premura osservato lo fortezze ed il castello” (5). Se queste notizie facevano trepidare il Cito e l’Intonti, sollevavano sempre più l’animo dei liberali.

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 601, vol. 9°, 1°, p. 5

(1) Ivi, rapporto del 12 luglio 1827.

(1) Ivi, rapporto del 13 sett. 1827 o Gr. Ardi, di Stato di Napoli, Sez. 1°, Pand. COI, F° 294, vol. 9°, f° 1°, p. 6. Rapporto di Lotti del 18 ottobre 1827 e rapporto del Cito del 81 gennaio 1828.

(1) Gr. Ardi, di Stato di Napoli, Sez. 1°, Pand. 963, F° 906, vol. 1°.

(1) Ivi, Sez. 1°, Pand. 311, F° 874.

Oggetto di vigilanza speciale erano i porti di Brindisi e di Otranto, dove le navi francesi od inglesi si rifornivano di viveri (1); ma più specialmente Otranto dove giungeva la corriera ionia.

Tutte le lettere erano aperte per cura dell’Intendente “con il possibile accorgimento, per non potervisi ravvisare alterazione e per non porgersi motivo di doglianza all’Estero„. Venivano quindi tradotte e spedite al ministro Intonti a Napoli (2). Si sospettava che i legni esteri, che si fermavano ad Otranto, comunicassero notizie della guerra ai perniciosi soggetti della provincia, molti dei quali si vedevano affluire in quel comune (3), e sembravano allora più che mai “impegnati o desiderosi di conoscere lo stato degli affari tra le Potenze, come se da quel risultamento dipendesse il mandare ad effetto i piani implausibili, che tuttodì formavano “nelle sole di loro fantastiche immaginazioni” (4).

Per evitare un “simile sconcerto” l’Intendente Cito, sotto il pretesto della saluto pubblica, dava gli ordini più precisi alla Deputazione Sanitaria, perché vietasse ogni contatto “coi legni in contumacia” e nello stesso tempo faceva sorvegliare scrupolosamente i forestieri, osservandone le relazioni (5).

Ma nonostante la strettissima vigilanza era certo che i liberali avevano rapporti più o meno saldi con gli iìreconciliabili esistenti non solo nelle altre provincie, ma anche all’estero, con emissari, con corrieri postali o per la via di mare, specialmente con quelli che stavano a Trani, con gli emigrati e con gli espulsi che erano nelle isole ionie ed in Malta, tanto più che gli irreconciliabili del capo di Leuca, sotto il pretesto di fare i bagni di mare, si erano riuniti nelle ville poste lungo il litorale da Tricase a Leuca, e in diverse ore del giorno si raccoglievano su quel promontorio e, non appena scoprivano navi da lontano, prima di poterne riconoscere la bandiera, si mettevano in allegria, lusingandosi che esso portassero nemici della monarchia borbonica (6).

(1) Ivi, Pand.  601, F° 865, vol.  4% f 1°.

(2) Ivi, Pand.  601, F° 865, vol.  4°, f° 2°.

(3) Ivi, Pand.  601, F° 865, vol.  4°, tf 3°.

(4) Ivi, Pand.  601, F 865, vol.  4°, f 1°.

(5) Ivi, Pand.  601, F# 865, vol.  4°, f» 3°.

(6) Ivi, Pand. 693, F° 894, vol. II, f 2°. Rapporti di spirito pubblico dell’ispettore di Polizia Romualdo Damiani.

3.�" Nel giugno del 1828 si scopriva a Napoli e nelle provincie limitrofe la setta dei Filadelfi (1), che cogliendo l’occasione per la guerra per la indipendenza della Grecia, pensavano di promuovere un politico rivolgimento nel regno che avesse condotto alla distruzione del governo assoluto e ad una forma di governo sulla base della costituzione di Francia. Si fecero numerosi arresti, ottantotto in tutto, dei quali poi sette furono condannati a morte, due all’ergastolo, tre a trenta anni di ferri, due a ventotto, cinque a ventisei, sei a venticinque, uno a ventiquattro, ecc.; ventitré soltanto ottennero libertà provvisoria e diciotto l’assoluta (2).

Appena eseguiti i primi arresti il Ministro Intonti, con circolare del 20 giugno, ne dava notizia agli Intendenti, richiamando la loro vigilanza sul contegno “dei marcati ed intransigibili settari” (3).

(1) Aveva dieci gradi che si distinguevano pei motti corrispondenti:

grado �" virtù, fermezza e la santa amicizia fanno esistere le repubbliche (scopo primitivo della setta era il governo repubblicano).

2 grado = forza e coraggio.

3°„= merito e prudenza.

4°„= innocenza e fermezza.

5°„= vincere o morire.

6°„= forza, legge e sangue.

7°,=  giustizia e soccorso.

8°„=  diritto civile.

9„= gloria ed immortalità, oppure gloria e onniveggenza.

Non si conosceva il motto del decimo grado, che possedeva solo Luciano Bonaparte, scacchiere o cocchiere della setta. Parola di soccorso: Eleusin. Il giuramento, che si scriveva col proprio sangue e che poi si distruggeva, consisteva nel giurare l’alto segreto sulla setta, la distruzione dei despoti e la difesa del nuovo regime. Si cercava di ascrivere galantuomini. Nel giugno del 1828 nel distretto del Vallo col mezzo dei fuorbanditi fratelli Capozzoli scoppiò la mossa rivoltosa, ch'era stato l’oggetto dei segreti disegni dei Filadelfi (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 25, P° 11, vol. 2°, p. 1).

(2) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 25, F° 11, vol. 14, p. IV.

(3) Diceva fra l’altro: “Dalla restaurazione dell’ordine dopo la rivolta del 1820, coloro che non trovano altra risorsa se non nello sconvolgimento di ogni governo, volsero alla Grecia il loro sguardo, all’asilo del voluto liberalismo, quindi l’emergenza con la Porta Ottomana porgo motivo ad alquanti di essi di sognare i più incongrui cangiamenti„.

Il nuovo proselitismo settario era congegnato in modo che “evitandosi di adoprare emblemi ed altri oggetti di suscettibile pruova permanente,

E tornava ad insistere con altra circolare del 2 luglio (1).

Il Cito se ne mostrò quasi offeso: come non apprezzare o mettere minimamente in dubbio il suo zelo ed il suo accorgimento? (2).

Dai rapporti poi del Cito stesso (3), da quelli dell’ispettore di Polizia del distretto di Taranto Pietro Arachi (4) e da quelli dell’ispettore Damiani (5) si rileva che, sebbene nessuna prova si fosse raccolta dell’intelligenza esistente tra i liberali di Terra d’Otranto e l’orda Capezzoli, pure l’ansia con cui ne avevano seguito i movimenti, la gioia dimostrata per codesti fatti, le lettere pervenuto a Giuseppe Saverio Licci dalla capitale e le notizie date da Ercole Stasi a Luigi Mezio, non lasciavano dubbio alcuno ch’essi fossero a parte della trama.

Le condanne e le pene inflitte ai rivoltosi, la distruzione del comune di Bosco produssero la più viva impressione suU’aiiimo dei liberali salentini, che usarono da quel momento maggioro circospezione nei loro atti. Del resto l’Intendente Cito non li lasciava in pace un minuto e proibiva loro anche di passeggiare insieme a due o a tre, nonché di riunirsi la sera in casa per conversare (6).

�" Ma questo instancabile “repressore dei malvagi disegni degli irreconciliabili” nel novembre 1828 fu trasferito a Salerno e non è a dire la gioia dei liberali leccesi e della provincia tutta (7), mentre “i più distinti signori per nascita e per sincero attaccamento

potesse far lusingare di poter sottrarsi ad ogni vigilanza della Polizia come ad ogni sorpresa, (Ivi, Sez. 1, Pand. 1260, F° 917, vol. 1°. Per altre notizie sulla setta dei Filadelfi cfr. ivi, Pand. 25, F° 11, vol. 2°, p. 1‘).

(1) L’Intonti era rimasto impressionato dalla scoperta di questa setta. Nel rapporto al re del 28 agosto scriveva ch’egli, che pur aveva scoperte tante sètte e congiure �" gli Scamiciati in Terra di lavoro e quella agli Ordini di Napoli nel 1823, la Nuova Riforma di Francia nel 1824, i Liberali Decisi nel 1826, i Filadelfi, la Fedeltà non conosciuta e la Carboneria Riformata nel 1827 �" non si era mai abbattuto nella lucidezza infinita che da tutte le coincidenze di antecedenti, di concomitanti e di susseguenti si erano combinate nella settaria trama dei Filadelfi (Ibidem).

(2) Ivi, Sez. la, Pand. 1260, F° 971, vol.  2°, rapporto del 13 luglio 1828.

(3) Ivi, Sez. 1, Pand. 1773, F° 935, vol.  1°.

(4) Ivi, Pand. 693, F°894, vol.  3°, f° 1°.

(5) Ivi, Pand. 1260, F° 917, vol. 3°, f 3°.

(6) Ivi, Sez. 1, Pand. 1773, F° 935, vol. 1#.

(7) Ibidem, Pand. 693, F° 894, vol. 2°, f° 2. Cfr. anche Palumbo, op. cit., vol. 2°, pag. 424.

all’Altare e al Trono lo accompagnarono fino a Campi, altri fino a Manduria, ed altri ancora fino a Taranto (1).

I liberali (2) facevano correre la voce che il Cito fosse stato trasferito a Salerno per opera loro e specialmente per l’influenza del principe di Cassano, il quale ben presto sarebbe tornato in provincia insieme con Liborio Romano, Giambattista del Tufo, il cav. de Marco, Ignazio Metraja, Gaetano Molines ed altri; che il nuovo Intendente cav. Logerot fosse amico di don Angelo Bax, ch’era a Bari, di Liborio Romano e di Giambattista del Tufo.

A Nardo nel giorno 11 novembre, sotto il pretesto di festeggiare San Martino, molti proprietari, che si trovavano a villeggiare nella “Cenata nuova” (3) si erano abbandonati ad una straordinaria allegria dando pranzi, balli, facendo sonare la banda musicale ed incendiare fuochi d'artificio: “novità che negli scorsi anni non si erano verificate” osservava il Lotti, che successe al Cito in qualità di supplente. .

5.�" Quali erano dunque le condizioni sociali e il movimento settario di Terra d’Otranto, subito dopo la partenza del Cito? Nell’aprile del 1828 giungevano al ministro Intonti alcuni ricorsi anonimi, in cui era detto che i settari di Taranto si facevano notare in stretta unione, destando sospetto che macchinassero occulti disegni.

Il ministro ne avvertiva quel sottointendente raccomandandogli la vigilanza; ma questi il 25 maggio rispondeva che pur considerando “i passati carbonari come un fuoco latitante (sic) da osservarsi con attenzione” pure non gli era riuscito mai di trovarli colpevoli “di criminoso combriccole e di colpirli nella flagranza dei loro reati” (4).

L’11 aprile intanto perveniva al sottintendonto di Taranto, Lucci, un foglio anonimo col quale lo si avvertiva che in Taranto esisteva una setta denominata dei Calderari, i quali tendevano solo a tramare calunnie, a perseguitare gli uomini onesti,

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pund. 2714, F° 9G2, vol. 1°.

(2) Erano: Paolino Vigneri, Benedetto de Nigris, Francesco Brunetti, Filippo Zagari, Pantaleone Colonna, Giuseppe Voccoli, Poppino Balsamo, Oronzo Franco, Michele Falasco o specialmente Vincenzo Balsamo (Ivi, rapporto di Giuseppe Villanova al Damiani).

(3) Località vicina al paese.

(4) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1° Pand. 693, F° 894, vol. 3°, f 1°.

ed a fare apertamente la guerra a quelli che non volessero ascriversi “al loro Glubo”. Che capo di questa setta fosse il 1° Eletto, don Gaetano Sassi, il quale vantava la confidenza dell’Intendente e dell’Arcivescovo, e spacciava che tutto si faceva “col consenso del Governo, per contrapporre una forza al partito dei Carbonari, che esisteva solo nella mente del signor Sassi„. E si raccomandava al Lucci di evitare l’Intendente nell’approfondire le indagini.

Il Lucci trasmettendo copia di questo foglio anonimo al Cito, gli scriveva che certamente esso era stato dettato da spirito di parte e ch’egli avrebbe cercato di scoprire la verità (1).

Ma il Cito dandone notizia il 17 aprile al ministro Intontì, si meravigliava come il Lucci avesse potuto dar peso ad un simile anonimo, in cui si accusava un uomo “dotato di tutte le buone qualità, e di vero attaccamento alla Augusta Dinastia dei Borboni, costante e senza pari E lo avvertiva che i veri settari “nonostante le paterne cure del Nostro Amorevolissimo Sovrano (D. G. ) erano sempre ostinati negli stessi empi proponimenti” e davano la taccia di sediziosi a “quei pochi sudditi, che tra la corrente della generale depravazione si mantennero con costanza illibati e fedeli al Beai Trono ed all’ordine pubblico senza in menoma parte macchiare la loro condotta politica” (2).

E ritornando sull’argomento nel rapporto del 3 luglio, accusava il Lucci di avere sempre mostrato sentimenti di avversione per la classe degli illibati e contro il Sassi che godeva invece la sua piena fiducia: e quasi quasi affermava che il sottintendente fosse stato autore dell’anonimo.

Forse il Lucci ebbe sentore di questi maneggi, perché si limitò a riferire al Cito che non gli era riuscito d’investigare nulla e che non aveva nessuna osservazione da fare sul Primo Eletto: ma si rifiutava di compilarne regolare incartamento sotto il pretesto che nell’anonimo era detto che il Sassi fosse suo amico. Il ministro Intonti chiese al Cito se desiderava interpellare direttamente il Lucci perché si giustificasse, oppure che lo interpellasse lui.

(1) Ibidem, Sez. la, Pand. 674, F° 886.

(2) Il ministro fu pure di avviso che il sottintendente avrebbe potuto prima di avviare le indagini, chiedere il parere dell’Intendente (Ivi).

Ma l’Intendente, che doveva aver poco coraggio di sostenere le accuse lanciate alle spalle del Lucci, si affrettò a rispondere al ministro, nel luglio 1828, che ogni ulteriore operazione non avrebbe fatto che “eccitare sempre di più quel funzionario contro uomini rispettabili” e die, essendo il ministro convinto della somma fedeltà al re del Sassi, bastava ch’egli esprimesse questa sua convinzione al Lucci per richiamarlo ad avere ben altra opinione del Primo Eletto e delle altre poche persone che gli somigliavano (1).

Da ciò non risulta che in Taranto vi fosse una setta Calderaica, nel vero senso della parola, bensì una classe, sia pur limitata, di persone illibate protette dal Cito e che in nome del governo denunziavano di sedizione i liberali.

Quasi nello stesso tempo �" nel giugno del 1828 �" una denunzia veniva pure avanzata per alcuni cittadini di Taranto.

Il Cito scriveva al ministro di Polizia che il notaio Raffaele Catapano “scritto nell’albo degli intransigibili” e già parecchie volte richiamato dalla Polizia (2) a Lecce, continuava a serbare “condotta riprensibile „; e la sua curia era frequentata dai più famosi ed irreconciliabili settari (3), uno dei quali era sempre in giro per la provincia in qualità di emissario; che le adunanze in casa, le passeggiate in campagna col pretesto di diporto, ed altre simili operazioni offrivano gravi indizi contro il Catapano, perciò l’Intendente propose l’allontanamento di questo dalla provincia e il suo relegamento a Potenza.

(1) Ibidem.

(2) In occasione della battaglia di Navarrino aveva fatto circolare la voce che subito la costituzione sarebbe stata accordata non solo alla Grecia, ma a tutta l’Europa (Ivi, Pand. 1203, F° 915).

(3) L’Intendente trasmise uno stato dello persone che frequentavano la curia di Catapano, ch’erano: Cataldo Catapano, barbiere, Patriotta e Greco in Solitudine prima del 1820; Carbonaro nel nonimestre fu affiliato alla Vendita degli Agricoltori del Galeso. Nella sua locanda si tenevano riunioni carbonaro; fu capo di Legione. Francesco Mezzano, prima del 1820 Patriotta e Filadclfo; affiliato alla Vendita degli Agricoltori del Gaioso; messo del Catapano nella provincia, subì in questa occasiono un mese o mezzo di prigionia. Francesco Presicce; Filippo Mazza, Gran Cordone di Massoneria, istallatoli di Vendite, tenente legionario; Ferdinando Gentile; Filippo Cardellicchio; Francesco Blasii Francesco Thornai; Giovanni Catapano; Luigi Colucci: Lorenzo Catapano; Michele Ciura; Nicola Galeota; Paolo Catapano; Pietro Lucarelli; Simone Cardcllicchio; Vincenzo Loggicro; Vincenzo de Vincentiis, tutti carbonari del 1820, settari prima, o parecchi legionari.

Ma il Ministero tenendo conto elle al Catapano potevano mancare in quella città i mezzi di sussistenza, nella paura ch’egli, spinto dalla disperazione, si abbandonasse ad ulteriori eccessi, propose che lo si richiamasse a Lecce sotto la sorveglianza del Cito. L’accusato intanto dichiarandosi vittima di una vendetta privata chiedeva che si fosse preso severo conto dei suoi atti, pronto a subire la pena, se le accuse contro di lui risultassero vere, ma desideroso anche che fossero puniti i suoi accusatori nel caso contrario.

Non si tenne tuttavia alcun conto di questa richiesta e solo nell’ottobre il Cito scriveva all’Intonti che, sia per dare un esempio di clemenza, sia perché il Catapano non aveva mezzi per vivere a Lecce, e perché anche aveva serbato buona condotta, lo si poteva far ritornare a Taranto (1).

In questa città dunque non esistevano sètte nel vero senso della parola, calderare o carbonaro come nel 1820, ma esse erano degenerate in partiti locali.

Nardo aveva richiamato l’attenzione della Polizia, quando in occasione della partenza dell’Intendente Cito, molti suoi cittadini avevano fatto grandi dimostrazioni di gioia. In seguito a ministeriale dei 17 dicembre 1828 furono mandati in questa città il Capitano di Gendarmeria Carelli e l’Ispettore di Polizia Damiani (2), perché indagassero sullo spirito pubblico: vennero essi alla conclusione che, quantunque nelle diverse ville si fosse tenuta riunione ogni anno nel giorno di S. Martino, pure quella volta era stata accompagnata da straordinaria allegrezza; quasi tutto le ville poi appartenevano a settari chi più chi meno attendibili. Ma Carelli e Damiani ebbero a notare ancora come nel Comune di Nardo regnasse discordia, tra la maggior parte delle famiglie: discordia agitata da antichi settari, i quali, non avevano giammai desistito e non desistevano dai “principi rivoltosi „, ed anche da “qualche intrigante, che sotto la divisa dei cosiddetti realisti cercava di prostituire il sacro carattere di buon suddito del Re” per servirsene ad alimentare le animosità e le private vendette (3).

(1) Ibidem.

(2) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 2714, F# 262, vol. 2°.

(3) Scriveva nel suo rapporto il Capitano Carelli “Gli intrighi, gli abusi, le calunnie e le prepotenze hanno sempre animate vicendevolmente queste due classi irreconciliabili che reagiscono secondo il loro ascendente de’ tempi e delle circostanze.

Tra i settari notavano: Achille di Michele, Rinaldo Lopez, Mattia di Pandis, Francesco Tafuri, Nicola Olivieri, Francesco Giannelli, Vito Romanelli; e tra i realisti Giuseppe Zuccaro di Andrea, Giuseppe Antonio Pignatelli, Pasquale Giulio, Giacomo Giulio, Luigi de Michele, Marcello Giannelli, Basilio Petraroli.

Il Funzionante Intendente Lotti, allarmato da questi fatti, propose al Ministro nel gennaio del 1829 energiche misure per impedire che si rinnovassero in quel Comune le scene “scandalose che avrebbero potuto turbare l’ordine pubblico„. E oltre ai provvedimenti da adottarsi per punire i settari che avevano gioito per la partenza del Cito (1), proponeva che anche qualche realista fosse esiliato per un mese da Nardo e precisamente Giacomo Giulio ch’era il più accanito. Inoltre proponeva la riforma della Guardia Urbana nella quale dovevano essere compresi solo i cittadini conosciuti pel loro attaccamento al Trono e anche per le loro buone qualità morali (2); il richiamo per la verifica di tutti i permessi d’arme e il disarmo generale della città. Intontì approvò le misure proposte dall’Intendente, solo volle che Giacomo Giulio fosse semplicemente ammonito, e non esiliato da Nardo, e che il disarmo generale fosse ordinato dopo la verifica della Guardia Urbana.

I settari continuano a sostenersi per l’influenza che tuttavia hanno sullo spirito pubblico, e sembra da qualche disposizione veridica che raggirano e combriccolano presso don Achille de Michele reputato il più irreconciliabile; i realisti, appartenenti quasi tutti alla Guardia Urbana, han preso a dominare, a conculcare la giustizia intorbidando ogni ben essere di cose” (Ibidem).

(1) Mattia de Pandis fu relegato per 40 giorni a Taranto, Bonaventura Ingusciò a Brindisi, Michele Olivieri ad Otranto, Achille de Michele a Taranto. Francesco Giannelli a Brindisi. Gli altri proprietari dello ville furono chiamati a Lecce ed ammoniti severamente (Ibidem).

(2) Quando non se ne trovasse un numero sufficiente Lotti era di opinione che si fosso del tutto abolita. La G. Urbana era stata istituita con decreto del 24 novembre 1827; composta di non oltre 40 persone nei Comuni di campagna, di circa 200 in quelli di oltre 5000 abitanti. Doveva mantenere la sicurezza interna insieme con la Gendarmeria, ma data la distribuzione di questa (era concentrata nei Capoluoghi) veniva talvolta a sostituirla. Composta di parenti, amici o semplicemente conoscenti dei cittadini, poco imponeva al proprio Comune cd era poco atta a perlustrare la campagna. Non poteva appartenervi alcun sospetto di liberalismo (Rapp. Damiani. Gr. Archivio di. Stato Sez. 1, Pand. 698, F° 1°, vol. 2°).

Appena nel febbraio del 1829 il Regio Giudice Cosentino occupò la residenza di Nardo, il Lotti cominciò a riesaminare i componenti di quella forza, per stabilirne definitivamente o la rettifica o l’abolizione. Ma il Cosentino nel fare un lungo, particolareggiato rapporto sullo stato politico di quel Comune, esponeva il parere di doversi sciògliere la Guardia Urbana, per non urtare nel doppio scoglio o di comprendervi dei soggetti che per le loro qualità politiche ne fossero immeritevoli, o di conservarvi degli altri, che sotto la veste di zelanti realisti turbassero la pubblica tranquillità.

Pessimo partito poi sarebbe stato affidare le armi e la sicurezza del paese nelle mani di questi che egli dipingeva a tinte fosche: “malefici, ipocriti che presentavano un misto di accattoni, di ambiziosi, di perturbatori dell’ordine pubblico, di nemici di Dio e dello Stato, anziché fedeli sudditi del Governo „.

A costoro il Cosentino attribuiva la causa di tutto le discordie che dividevano gli animi di quella popolazione (1). Ma insieme con lo scioglimento della Guardia Urbana egli proponeva di provvedersi alla pubblica sicurezza con lo stabilimento in quel Comune di una forza permanente di gendarmeria in numero non minore di quindici individui.

Il Lotti, pur approvando le misure proposte dal Cosentino, era però di avviso che le discordie in Nardo più che dai sedicenti realisti” pochi e deboli, fossero alimentate dagli “irrequieti e prepotenti settari che abbondavano di numero, di mezzi e d’influenza,,; perciò invocava dal Ministro che i mali che affliggevano quella popolazione dovessero essere repressi “con prudente economia per non far inorgoglire il partito dei compromessi e per non distruggere dalle fondamenta la classe opposta „.

(1) Nardò �" scriveva all’Intendente il Regio Giudice �" è un comune come tutti gli altri della Provincia: i trascorsi settarii sono tranquilli e qualche bello spirito che potrebbe esservi non si addimostra: il male consiste nei pochi che tuttodì favellano di settari, continuamente irritano o con ingiusti ricorsi o con pungenti sarcasmi o con indiscrete minaccie quei che già lo furono e che ora pentiti o cauti abbastanza, ne hanno rossore o si tacciòno: sono essi che dicono al creditore: Se non mi condoni un dchito io ti farò un ricorso alle autorità; Se non mi rilasciate le carte che voglio, io vi travaglierò la carica coi ricorsi ecc. E pur questi sono i sudditi tranquilli, onesti e devoti al Reai Trono, e che zelano per la buona causa del Sovrano (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Pand. 2714, 962, vol. 3°).

Pochi giorni dopo �" il 12 marzo 1829 �" dopo un severo esame de’ componenti la Guardia Urbana, conveniva che questa doveva essere assolutamente sciolta, perché composta di individui “nella massima parte o miserabili giornalieri, o colmi d’imputazioni di misfatti e delitti, altri manifesti ladri, i più famosi intriganti e disturbatori dell’ordine pubblico” (1).

Ma questa notizia, come il Cosentino aveva preveduto, sollevò le ire dei realisti, ch’erano i colpiti da tale misura, e un incentivo a denunzie fu proprio la condotta del Regio Giudice il quale, pur essendo nei suoi atti imparziale, frequentava la casa di Amodeo Manieri, dove convenivano alcuni individui non scevrida macchie politiche. Così Giacomo Giulio, Giuseppe Antonio Pignatelli, il Comandante la brigata di Gendarmeria Martelli, con ricorsi numerosi avanzati al Ministro di Polizia ed al Re, qualificarono criminali le riunioni tenute in casa del Manieri e accusarono il Giudice di deferenza pel partito settario.

E l’Intonti, pur sapendo da quale spirito fossero animate queste denunzie, scrisse subito al Ministro di Grazia e Giustizia Tommasi, chiedendo il trasferimento del Cosentino in altro Circondario e l’elezione di un altro Giudice per Nardo (2); infatti qui fu delegato il Giudice Palma.

Finalmente l’11 maggio 1829 l’Intendente Lotti insieme col capitano di Gendarmeria Carelli e con l’Ispettore di Polizia Nicola Ruggieri sciolse la Guardia Urbana (3)

(1) Ibidem.

(2) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 2714, F° 962, vol. 4°.

(3) I componenti di questa che il Lotti fin dall’8 aprile reputava da escludersi assolutamente erano: Nicola Vaglio capo della Guardia; Giuseppe Zuccaro implacabile nemico del Vescovo; Giacomo Giulio, Giuseppe Antonio Pignatelli, Marcello Giannolli, Luigi de Michele, Vito Pignatelli, Basilio Petraroli, Vito Votere. Avrebbero meritato una certa considerazione in caso di riforma solo 40 ed erano: Giuseppe Panella sottocapo; Anselmo dei Copertini; Fedele Presicce; Giuseppe Colomba; Giacomo Frotta; Vito Fedele; Vito Nicola Mocci; Vito Borgassino; Trifone Trecca; Giovanni de Moccio, Francesco Zozza, Pietro Pugliese, Vito Ippazio do Vitis, Gabriele dell’Abato, Tommaso Papadia, Angelo Tacchino, Giovanni Giannuzzi, Pietro Caputo, Santo Chetta, Giuseppe de Benedictis, Francesco Falconieri, Giuseppe Spano, Giuseppe Donato Greco, Vito Calabrese, Vito Manieri, Liberato Calabrese, Pasquale Campilongo, Salvatore Carrozzino, Angelo Rizi, Carmelo Parisi, Vincenzo do Benedictis, Giuseppe Zuccaro, Giovanni do Monto, Francesco Saverio Siciliano, Michele Colomba, Paolo Giuri, Pietro Capuzzello, Nicola Giannuzzi,

e si stabilì una forza permanente di Gendarmeria di 12 uomini, 2 bassi Uffìziali, ordinò il rimpatrio di Achille de Michele, di Michele Olivieri, di Francesco Giannelli, di Mattia de Pandvs e di Bonaventura Ingusciò.

Nell’agosto del 1829 egli scriveva al Ministro di Polizia che in Nardo non si era goduta mai tanta pace quanta allora. E nel marzo dell’anno seguente l’Intendente Caruso, successo al Lotti, notava che la pace di quel Comune era solo turbata dai noti realisti Giulio, Zuccaro, Giannelli ed altri con una infinità di ricorsi e di calunnie contro i passati settari che invece si mantenevano tranquilli (1).

Il Caruso si adoperò nel luglio alla ricomposizione della Guardia Urbana, riuscendogli a riunire non più di 104 individui degni di fiducia (2), forza che non era sufficiente però a mantenere il buon ordine in Nardo e quindi vi rimase anche la Gendarmeria sotto il comando del Caporale Mancini (3).

Di Nardo dunque possiamo dire lo stesso che della città di Taranto: vi erano due partiti, quello dei liberali composto delle persone più cospicuo e più colte del paese, e quello dei realisti, gente miserabile, grettamente malvagia, accanita persecutrice dei primi.

Ippazio Spano, Luigi Stasi. Tutti gli altri (in tutto erano circa 200 perché Nardò contava 3000 abitanti) chi per miseria, chi per inettitudine al servizio, ehi per intrighi di partito e chi per imputazioni di misfatti non meritavano di far parte della Guardia (Ibidem).

(1) Proponeva perciò che i più accaniti realisti continuassero a rimanere a Lecce, e solo permise loro di tornare a Nardò in ricorrenza delle feste pasquali, ma non avendo essi dato segni di “resipiscenza” che anzi si spinsero a “novelle immoderatezze, li richiamò a Lecce (Ibidem).

(2) Nominò Capo il Dottor Fisico Giuseppe Panella I Eletto della Città, che agli ‘ ordinarli requisiti di illibatezza politica e di illibata morale congiunge il pregio di molta prudenza non che di verace interesse per la conservazione del buon ordine” (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 2714, F° 962, vol. 7°).

(3) Il Martelli era stato per misure di Polizia, allontanato. È notevole come l’Intendente Cito, pur essendo lontano dalla Provincia di Terra d’Otranto, si interessasse degli avvenimenti di essa e proteggesse i suoi antichi adepti. Così egli trovava il modo di recarsi a Napoli e di pregare il Maresciallo del Carretto che avesse allontanato da Nardò il Mancini, che “nelle scissure di quel Comune non conservava un convenevole contegno,, e di sostituirlo col Martelli. Ciò egli chiedeva “per l’interesse di quella Provincia già da lui amministrata „. Ma il Ministro Intontì scrivendo al del Carretto, notava che non poteva attribuire a zelo l’ingerenza di un Intendente negli affari della Provincia, in cui aveva cessato di esercitare le sue funzioni „, ma ad un intrigo personale. E scrisse al Cito rimproverandolo (Ibidem).

6.�" Ed ora finalmente veniamo a parlare di una setta che richiamò le cure incessanti della Polizia per circa tre anni, e intorno alla esistenza della quale non possiamo pronunziare l’ultima parola. Intendiamo dire della Catena Salentina o Salentini Risvegliati.

Abbiamo avuto occasione di notare più innanzi come i distretti di Lecce e di Gallipoli fossero oggetto di vigilanza speciale per parte del Cito e come di fatto i liberali di questi luoghi dessero del filo da torcere all’Intendente. Questi nell’agosto del 1828 comunicava al Ministro Intonti che in Lecce “i noti irreconciliabili e caldi settari Ercole Stasi (1), Raffaele Basile, Girolamo Congedo, Gius. Saverio Licci, Francesco Brunetti, Vincenzo Balsamo, Paolino Vigneri, Nicola Cupri ex frate, Nicola Fuscarini, Ippazio Carlini, Nicola de Bartoli, l’ex Teresiano Michelangelo Leggieri (che nel 1817 era stato mandato alla Favignana, donde venne liberato nel periodo costituzionale), Angelo Martirani, Francesco Guarini, Giuseppe Perchia, si facevano notare per i continui confabulamenti e spedizione di alcuni di essi in vari punti della provincia per trattare con soggetti della stessa risma (2). Che sebbene la Polizia non fosse riuscita a scoprire la ragione di tali movimenti, pure non era da mettersi in dubbio che tendessero i liberali a comunicarsi oralmente il disegno di un nuovo sistema di Governo, consono alle loro aspirazioni e che si aspettavano dall’esito della guerra tra le Potenze alleate con la Turchia (3). Che per avere notizie delle vicende di questa guerrà si recassero ad Otranto ed in vari punti dei dintorni di quella città, gli antichi settari, tra i quali più frequentemente Vito Venuti di Specchia

(1) Questi imprigionato per ordino del Cito fu, su proposta dolio stesso, dal Consiglio ordinario di Stato del 10 gennaio 1823 rilegato nell’isola di Ponza.

(2) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 1773, F° 935, vol. 1°.

(3) Poiché vari ammonimenti egli aveva fatto invano ai liberali, proponeva una di quelle misure effettive capace di refrenare gli ulteriori slanci, cui potrebbero mai abbandonarsi qualora fossero negletti. Questa misura consisteva nella prigionia per un tempo non minoro di duo mesi o nell’esilio dalla Provincia pei più riscaldati (Ivi).

 dei Preti, Giuseppe Grezii di Lucugnano, Antonio Franeot, Luigi Tarantini domiciliati a Lecce e Luigi Semola e Giacomo della Gatta domiciliati a Otranto (1). Negli altri Comuni del Distretto di Lecce si osservava un certo movimento fra i più ostinati settari, senza però che essi si abbandonassero a notevoli manifestazioni (2).

Ma specialmente faceva notare il Cito al Ministro il moto continuo dei liberali nel distretto di Gallipoli; questi erano sordi ai suoi ammonimenti e richiamavano costantemente l’attenzione della Polizia (3). Delle condizioni di questo distretto faceva un vivo quadro l’Ispettore di Polizia Carlo Cortese, delegato dall’Intendente Cito nell’agosto del 1828 ad ispezionare le Guardie Urbane (4).

Il partito realista era ivi più preponderante di quello settario, il numero del quale poteva approssimativamente calcolarsi per la sesta parte della popolazione; ma tra essi doveva annoverarsi la maggioranza dei nobili, de’ galantuomini, del clero e degli artigiani e il decimo della plebe.

Così che i realisti potevano esser vinti dalla forza di finanze, di relazioni e di intrighi dei settari, che erano in continua e mutua corrispondenza fra di loro e meritavano la più attenta sorveglianza. I paesi poi del Capo di Leuca dovevano essere vigilati con cura speciale: in Gagliano, ogni lunedì in occasione del mercato convenivano liberali da tutti i paesi circonvicini (5).

Ma la classe più temibile della popolazione erano gli Impiegati,

(1) Vietò il Cito ai primi quattro di allontanarsi dalla Capitale.

(2) Assembramenti settari si notavano pure in Matino, dove furono arrestati nel settembre del 1828 Paolo Grassi, Francesco Desiati, Michele Santoro, Francesco Fedele e Paolo Fichera. In Francavilla si distinguevano Achille Preste e Marcello Scazzeri.

(3) Ibidem.

(4) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 2375, 1)' 752.

(5) Nel distretto di Gallipoli i Comuni erano male amministrati; le Guardie Urbane composte di villani, che vivevano del lavoro delle braccia, non prestavano quasi mai servizio; alcuni capi di esse erano settari. L’amministrazione della Giustizia era generalmente pessima. Giudici, Supplenti, Cancellieri quasi tutti ignoranti pensavano a favorire i più forti per non avere nemici e a trarre profitto della carica. Il personale dei Dazi Indiretti era cattivo, inabile, ozioso. Miseria estrema non ve n’era; si viveva in generale nella massima ristrettezza, specialmente la classe media mentre i ricchi vivevano bene, gli industriali mediocremente, i braccianti sbarcavano alla men peggio il lunario (Ibidem. Esiste un ampio minuto esame delle condizioni politiche ed economiche di ogni Comune del Distretto di Gallipoli).

che pur essendo stati dimessi in seguito a scrutinio nel 1822, e pur avendo fatto parte di molteplici società proscritte, “anche con gradi, dignità ed effervescenza” pure per effetto dell’intrigo settario non erano stati più ora per nulla molestati, ed anche gli Avvocati e i Patrocinatori esercenti presso la G C. Criminale e presso il Tribunale Civile di Lecce, tra i quali erano quelli che nel 1820 furono “i veri eroi della rigenerazione che proseguivano ad esser cauti, pertinaci, accaniti nemici del Trono e dell’altare” (2).

Da questa classe non solo in Lecce, ma in tutta la “discola provincia„, si promuoveva ad ogni occasione che ne porgesse appiglio, il malcontento nel popolo contro la dinastia Borbonica (2).

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. la, Pand. 2772, F° 964, vol. 4°. Rapporto dell’Ispettore di Polizia R. Damiani.

(2) Damiani rimetteva ad Intontì il 17 dicembre 1828 di tutti questi settari uno stato nominativo e biografico. Notava: Giuseppe Saverio Licci, Nicola Brigante, Consigliere del Comitato Generale dei Patriotti, esistente in Lecce, nel 18171820; Francesco Brunetti, Luigi Guglielmi antico ed effervescente settario; Pasquale Ferrante nel periodo costituzionale aveva tenuto corrispondenza con Guglielmo Pepe; Carlantonio Perrone, Nicola Fuscarini, Gaetano Corvino, Leonardo Filippi mostrava ravvedimento; G. B. Grande antico settario ed oltremodo influente presso i componenti questa setta; Antonio Martina, Pasquale Colonna, Gaetano de Giorgi, Oronzo d’Amelio, Vito Martina, Pasquale Marasco, Francesco Lopez, Domenico Berardini, Giuseppe Passati, Giuseppe Giuliani, Salvatore Nastri, Pantaleone Colonna, Oronzo de Simone, Giuseppe Antonio Marangio, Raffaele Franciòso, Giuseppe d’Ambrosio, Oronzo Cipolla, Domenico Gorgoni, Nicola Luperto, Luigi Quarta, Giovanni Gatto, Antonio Quarta, Giuseppe Voccoli, Ippazio Carlino, Giuseppe Villani, Paolino Vigncri, molto influente tra i settari e nel volgo; Vincenzo Verdesca, Vincenzo Donadeo, Antonio Giuliani, Camillo Bardari, Luigi Mastracchi, Benedetto de Nigris, antico, irreconciliabile settario; Cataldo Vergine,Giuseppe de Saverio, Lorenzo Scategna, Cotiino Colacci, Dom. Maria Stasi, Nicola de Donno, Girolamo Congedo, Mario Airoldi, Domenico Tardio, Gentile Luigi, Giuseppe Stasi, Francesco Luperto, Antonio Macchia, Luigi Falco, Luigi Cipolla, Alessandro Arcella, Pasquale de Simone, Giovanni Bellapenna, Agostino Klianta, Giuseppe de Pascalis, Vito Leopizzi, Gaetano Malinconico, Luigi Marzo, Gaetano Andrioli, Oronzo Campanaro, Luigi Contursi, Gaetano Tallarena, Gaetano Lucatelli, Gaetano Mollo, Gabriele Miglietta, Francesco Natale, Pasquale Nocca, Potenza Raffaele, Gaetano Prato, Giuseppe Spacciante, Ferdinando Verderamo, Diego Occhiolupo, Ignazio Gaino teneva riunione di settari nella sua farmacia, Raffaele Berardelli, Luigi Brajone, Luigi Lanzellotti, Giacomo Guido, Raffaello Raho, Oronzo e Carlo Rizzo, Francesco Cammarota, Antonio Andreani, Ortensio Pepo, Giovanni Sidoli, Nicola d’Aspuro, Gaetano Guglielmi, Giuscppo Bisogni, Giovanni della Gatta, Antonio Capozza, Dom. Ant. Leo, Andrea Biasco capo settario; Dom. Brajone, Oronzo

Tale era lo spirito pubblico nella Provincia di Terra d’Otranto e specialmente nei due distretti di Lecce e di Gallipoli sul finire dell’anno 1828; v’era fermento nei liberali sia per le notizie della guerra di Grecia, sia per quelle degli avvenimenti del Vallo e di Palinuro, sia pel recente trasloco dell'Intendente Cito. A questo negli ultimi tempi della sua amministrazione si era presentato il Cav. Giuseppe Villanova di Copertino, domiciliato in Brindisi, settario nei tempi costituzionali, ma che “dopo avea dato segni non dubbi di resipiscenza offrendosi come segreto esploratore di una nuova setta che si stava organizzando, purché gii si concedesse dal Governo l’impunità (1).

Passò parecchio tempo senza che il Villanova desse alcuna notizia dei risultati delle sue indagini; ma sul finire del dicembre 1828 l’Intendente Cito da Salerno trasmise al Ministro Intontì alcune memorie indirizzategli dal Villanova nelle quali costui, indicando che i passati settari di quella provincia erano in attività per concertare nuovi mezzi di sovversione, chiedeva soccorsi pecuniari ed un salvacondotto per poter girare per la provincia, avvicinare i settari stessi e scoprirne le manovre. Il motto d’ordine della setta che denominavasi Catena Salentina o Salentini Risvegliati, era:

Domanda: Ricchezza, onori.

Risposta: Un fumo.

Questo motto dai Capi e dagli Emissari (2) veniva comunicato alle persone di maggiore fiducia (3).

Assicurava il Villanova che la setta era estesa per tutta la provincia ed aveva proseliti anche nelle prigioni centrali, ma nello stesso tempo che vi era un gran mistero tra i settari, e che egli ignorava la sorgente

Falconieri, Salvatore Pepe, Pasquale Città e Domen. Cosma, Raffaele Sforza, Andrea Malinconico ed altri (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 3, F° 68, vol. 3°).

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Min. di Polizia, Pand. 3, F° 68, vol. 3°.

(2) Erano capi: per Lecce Carlo Rizzo usciere del Tribunale, Girolamo Congedo, Antonio Andreani, Luigi Calogiuli, Salvatore Palumbo, Giovanni Bellapenna; per Mesagne: Antonio Biscosi, Luigi Antonucci; per Brindisi e per Ostuni: Marcantonio Bagnardi, Giovanni Caruso, Carlo Marzolla, Giov. Giacomelli; per Otranto ed i paesi del Capo: Francesco de Noba; per Copertino, Nardo e i paesi vicini: Giov. Pietro Cardigliano.

(3) Erano Vito Leopizzi, i Fratelli Romano di Patù, Andrea Carogiuli di Lecce, Pasquale Capozzi e Annibaie Cavaliere di Mesagne, Ferdinando Guarini, Francesco Palma.

ed il significato del motto d’ordine e non conosceva tutti gli iniziati alla nuova setta. Insisteva poi presso il Lotti, al quale indirizzò i medesimi rapporti, per avere denaro.

Il Ministro Intontì dispose che l’Intendente avesse accolte tutte le notizie fornite dal Villanova e avesse procurato con accorgimento ed energia di provarne la sussistenza, mentre alletterebbe lo stesso denunziante a fornire ulteriori e più precisi schiarimenti.

Ma egli pur essendo stato incoraggiato a parlare, nulla di più seppe dire, limitandosi a ripetere che se il Governo lo avesse aiutato, egli si sarebbe posto in condizioni di fare delle scoperte. L’Intonti gli promise dei compensi, anzi accordò al Lotti le corrispondenti autorizzazioni anche per qualche anticipo.

Un simile provvedimento sciolse un poco la lingua al Villanova, che confidò al Lotti ch’era inutile sperare la sorpresa di qualche riunione settaria, perché i faziosi ammaestrati dall’esperienza ed atterriti dalla vigilanza del Governo, si limitavano a semplici passaparole, a motti di riunione ed a’ segni di soccorso astenendosi da emblemi e da travagli regolari, e restringendo anche il numero d’ordine che da principio avevano stabilito di dare agli associati. Svelò ancora il segno di soccorso che consisteva nell'alzare il braccio destro tenendo elevate le due dita indice e medio, abbassando e riunendo le altre treì e faceva cenno del giuramento in cui si minacciava di morte chi avesse svelato l’esistenza della setta; “Catena,” che non si sarebbe infranta, ancho se si fosse proceduto ad arresti parziali.

Quindi proponeva che si esiliassero i più classici in ogni comune, e che por non destare sospetti tra i settari fosse esiliato pur lui. Il Lotti nel riferire tutto ciò al Ministro, considerava che, mentre il Villanova asseriva che la Catena avesse fatto proseliti in tutta la Provincia, gli unanimi rapporti dei Sottointendenti, funzionari di Polizia, Giudici Regi, Sindaci, CapoUrbani, ed altre persone assicuravano ohe i passati settari erano tranquilli, che lo spirito pubblico era nella massima calma e che nulla vi ora da temere.

Il Ministro raccomandava la vigilanza su tutti i punti della provincia o sullo operazioni del Villanova. Ma il Lotti gli comunicava in seguito che Carlo [tizzo avendo scoperto di essere vigilato,

aveva levato un’infinità di clamori, perciò egli pensava che dopo un simile incidente i settari si sarebbero comportati con tanta circospezione e cautela, da non offrire il menomo indizio di riprovevole condotta.

Il Consiglio Ordinario di Stato il 21 marzo del 1829 riteneva molto sospette le deduzioni del Villanova in contrapposizione alle assicurazioni delle Autorità della provincia (1). Quindi era “del parere che occorreva di non lasciare di prender norma delle circostanze e dello sviluppamento che potesse aver luogo in sostegno e in esclusione delle deduzioni medesime Nell’aprile il Lotti inviava un elenco di 28 individui �" con cenni biografici �" che a dire del Villanova appartenevano alla Catena Valentina, e che si sarebbero dovuti esiliare “per frangere il legame e l’estensione della Società” (2).

Riferiva anche il Lotti che alcune persone interrogato sul conto del Villanova, avevano risposto che quantunque questi per la somma fiducia che ispirava ai settari fosse nel caso di conoscere tutti i loro disegni e prestare servizio al Governo, pure era da dubitarsi che lo stato rovinoso delle sue finanze e qualche esempio di immoralità, di cui si era macchiato (3), fossero elementi per non accordarsi piena fede alle sue parole, qualora non fossero appoggiati da prove di fatto.

Intanto il Villanova faceva noto al Lotti che i settari, dopo che Carlo Rizzo si era accorto di essere vigilato,

(1) D. Bartolomeo Lopez, persona probissima e di sincero attaccamento al Re, assicurava che il Villanova, non per cattiva inclinazione, ma pel dissesto dei suoi affari non godeva buona opinione e che “le relazioni di esso non meritavano alcuna fede, qualora non fossero appoggiato a documenti irrefragabili e non falsi.

(2) Erano: Girolamo Congedo, Donato Greco, Francesco Guarini, Ortensio Pepe, Carlo Rizzo e Luigi Carogiuli di Lecce, Carmine Alessandro, e Antonio di Marzo di Brindisi, Valente di Galatina, Francesco di Noha di Curti, Raffaele Parisi di Poggiardo, Eustacchio Legittimo di Ugento, G. B. Grande, Filippo Zigari, Gius. Greco, Salvatore Palumbo, Pasquale Cecere, Oronzo Sellitto, Pantaleone Colonna, Nicola Foscarini, Antonio Andriani, Andrea Mascoli, Biagio Fanale, Francesco Bertone, Carogiuli Biagio Elia, domiciliato a Lecce, Settimio Rubino, Francesco Carrazzo, Gennaro del Giudice, Vincenzo Rodriquez, Giovanni Giacomelli di Brindisi, Gennaro Bucci, Giov. Pietro Cardigliano di Copertino, Francesco Corinna, Lazzaro Grasso, Matteo della Tomassa.

(3) Era stato nel 1823 accusato di falso, ma fu assoluto per mancanza di prove.

avevano aggiunto un alto grado della Catena Salentina per maggiore cautela “e per distinguere i compagni forti dagli imbecilli” (1).

Il Re nel Consiglio Ordinario di Stato del 1° maggio del 1829 ordinò che si adoperasse la massima vigilanza da parte della Polizia e che si prendesse norma delle circostanze e dello sviluppo ulteriore che potesse conseguirsi sia in appoggio, sia in esclusione delle deduzioni del Villanova; inoltre che si facesse noto all’Intendente ch’egli dovesse seguire con accortezza e destrezza somma tutto quel che il Villanova proponesse per cercar di scoprire la verità e tener questi nello stesso tempo sorvegliato. Le cose andarono innanzi nel medesimo modo per parecchio tempo. Il Villanova proseguiva a ricevere sussidi di denaro e a presentare rapporti, dando ulteriori notizie sulla setta, notando altri affiliati sia del primo che dell’alto grado (2) ed aggiungendo altre circostanze (3).

Provocò poi un incidente che irritò non poco il Ministro Intontì e lo invogliò di più a voler vedere chiaro nella faccenda. “Per scrupolo di coscienza” il Villanova aveva scritto al Pontefice esponendogli tutte le particolarità intorno alla Catena Salentina (4) e il Cardinale Albani ne avvertì il Ministro Intontì, il quale per mettere alle strette il Villanova, scrisse all’Intendente che gli avesse chiesto se fosse pronto a sostenere le sue accuse dinanzi ai magistrati ed agli imputati. Il Villanova non si mostrò per nulla sconcertato da queste proposte e mentre persisteva a sostenere la veridicità dei suoi detti, si dichiarò pronto a qualsiasi dichiarazione.

Dubitando perciò il Ministro di Polizia che nelle asserzioni del Villanova vi fosse assoluto mendacio, non sapeva come agire;

(1) Il motto di questo grado era Termhout-Mosè. Come 'Thermhout, figlio di Faraone, aveva salvato Mosè dalle acque e Mosè liberò gl’Israeliti, così ogni settario doveva apporre la propria vita per difendere i compagni. Aggiungeva il Villanova al 1° notamento di settari, altri 18 tra i quali: Vincenzo Balsamo, Vittorio Capocolli, Francesco Dattilo di Presicce (Ibidem).

(2) Fino al di 11 luglio del 1829 aveva denunziato 156 anelli tra’ quali anche tl noto poeta dialettale Francesco Antonio d’Amelio (Gr. Ardi, di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 3, F° 68, vol. 5°).

(3) Che Luigi Guglielmi si fosse recato nel Capo di Leuca. a por parlare coi settari o ciò fu provato ma non si potò scoprire l’oggetto dei loro discorsi.

(4) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. la, Pand. 8, F° 68, vol. 6°.

e quando nel novembre venne a Lecce come Intendente il Caruso, sperò che questi avesse potuto mettere le cose nella loro vera luce.

Infatti il nuovo Intendente cominciò dal trattare più freddamente il Villanova, non abbondando con lui in sovvenzioni di denaro e facendogli capire come prestasse poca fede alle sue parole (1).

Questa convinzione espresse all’Intonti nel rapporto del 2 febbraio 1830: credeva il Villanova interessato e in poco credito presso i settari; gli emissari della Catena Salentina gli sembravano troppo giovani �" dai 23 ai 25 anni �", eppoi la provincia era in perfetta calma e non offriva imminenza di concertati conturbamenti e “nessun documento criminoso era stato mai trovato” (2).

Il Caruso considerando che Villanova da più tempo era stato riconosciuto per agente della Polizia e non convenendo d’altra parte di farlo credere un calunniatore in materie così gravi, fu di avviso che non gli si dovesse accordare più fiducia, ma riguardarlo “sempre e con particolarità sotto la figura dell’apparenza come ogni altro cittadino „.

Riguardo poi alla sostanza dell’affare l’Intendente credeva, dopo i risultati negativi di tanto scrupolose diligenze e di tanti espedienti, fosse superflua ogni altra ricerca (3).

Intonti pur trovando “sensati” i divisamenti del Caruso, pure gli raccomandava che per intervalli somministrasse a Villanova qualche discreta sovvenzione per ritenerlo nell’interesse della Polizia; che non diminuisse la vigilanza “su gli andamenti degli uomini perniciòsi” e che non smettesse di seguire le tracciò dell’altra voluta setta del Giglio d'oro; ciò nel maggio del 1830.

Nel febbraio del 1831 Villanova partiva per Napoli per sollecitare un impiego (4).

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 3, F° 68, vol. 7

(2) Intanto il Villanova riferiva di aver inteso parlare di una nuova setta che si voleva introdurre nella Provincia, ma che non era attecchita; la setta del Giglio d’oro, della quale aveva fatto cenno anche Domenico Passagnoli, e che, a dire del Villanova, metteva capo nei maneggi dell’Austria, donde ambivasi di dare il soglio di Napoli a S. A. R. il Principe di Salerno,. Noi pur non potendo affermare o negare nulla in proposito ricordiamo che la protezione dell’Imperatore d’Austria verso il Principe D. Leopoldo che ne aveva sposato la figlia, Arciduchessa Maria Clementina (28 luglio 1816), era ben nota.

(3) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 3, l'68, vol. 8°.

(4) Ibidem.

Da quanto siamo venuti sin qui esponendo quali deduzioni o ipotesi si possono fare? Che la Catena Salentina fosse stata inventata dalla fervida fantasia del Villanova per guadagnarsi la protezione del Governo contro i suoi creditori e avere aiuto in denaro? Ma le asserzioni del Villanova sono molto verosimili e inducono una certa persuasione.

Questa setta sarebbe sorta quando la guerra di Grecia riaccendeva le sopite speranze dei liberali; aveva molta analogia con quella dei Filadelfi di Napoli: ossia era una setta ambulante, che non aveva diplomi, statuti scritti, ma le iniziazioni e le comunicazioni si facevano sempre oralmente. Ancora quelli che ne avrebbero fatto parto erano stati veramente i Carbonari più accesi del 1820 ed erano tuttora i liberali più irreconciliabili, che oppressi dal Cito, si mantenevano cauti, ma cercavano di manifestare i loro sentimenti ad ogni occasione, e questa era la classe più colta, se non sempre la più cospicua della provincia.

Il Caruso opponeva alla possibilità di esistenza della setta tra le altre ragioni questa, che gli emissari fossero troppo giovani; erano tutti tra i 23 e i 25 anni. Ma questa poteva anche non essere una valida ragione, giacché sempre, specialmente, nei giovani, le idee più nobili attecchirono, e poteva darsi che a questa classe giovane e forte si affidasse il non lieve e faticoso ufficiò di girare per la provincia. Eppoi il Damiani chiamava gli studenti leccesi attendibile classe (1).

Altra asserzione molto verosimile del Villanova era che la Catena Salentina fosse sorta con la guerra di Grecia e si fosse estinta con essa.

7.�" Pur escludendo l’una o l’altra di queste ipotesi, duo cose restano in ogni caso per corto: che nel 1830 esisteva nella provincia di Terra d’Otranto una classe di “compromessi„, non più suscettibile di resipiscenza (2), e che la. Carboneria coi suoi simboli, con lo suo Vendite, con la forte Organizzazione non esisteva più.

(1) Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 47, F° 73, vol. 1°.

(2) Rapporto del Caruso (Gr. Arch. di Stato di Napoli, Sez. 1, Pand. 3, F° 68, vol. 8°).

Battuti, perseguitati in ogni modo, i Carbonari si erano scissi e, pur conservando nei petti il fuoco sacro della libertà, poco potevano perché non si trovavano più riuniti in Vendite, né avevano quella forza d’armi, e d’influenza politica e morale che avevano avuta nel 1820.

Occorreva sostituire alla Carboneria ormai troppo logora e d’altra parte troppo chiusa nel simbolismo perché rispondesse agli ideali dei tempi, una nuova società che con altro linguaggio scotesse gagliardamente la gioventù e mirasse por altre vie a redimere la patria. E questa fu la Giovine Italia.

Nobile era stato il compito della Carboneria, essa combattendo i pregiudizi e le superstizioni delle moltitudini, parlò loro per prima di libertà e le incitò a magnanime imprese.

In Terra d’Otranto dove si diffuse nei primi tempi del decennio francese, ebbe tempi fortunosi di gloria nel 1817 e nel 1820, e fu essa che avendo fortificati gli animi con la sua dottrina, insegnò agli uomini a sopportare, durante quel grigio decennio che va dal 1820 al 1830, le persecuzioni terribili della polizia, e il livore forse ancora più terribile del partito realista, che degenero spesso in lotta personale: e ciò nella fervida, costante aspirazione a tempi migliori.

V. Zara.

APPENDICE I

Statuti de “La Carboneria”

APPENDICE I (1).

Travaglio ordinario della Camera Sublime (2).

Presidente �" Miei cari Evangelisti ai vostri posti.

(Tutti si metteranno al loro rango).

Pres. �" Ev. 1 Guardia assicuratevi se siamo al coverto.

1 Guardia �" Ev. Esperto, fate il vostro dovere.

(L’Esperto esce e si assicura se la Camera è al coverto, indi rientra e dice alla 1 Guardia): Esperto �" Ev. 1 Guardia siamo al coverto interiormente ed esteriormente.

1 Guardia �" Subì° Presidente, siamo al coverto interiormente ed esteriormente.

Pi es. �" Ev. 1 Guardia ove siete voi situato? 1 Guardia �" All’Emisfero del Sud.

Pres. �" Perché mio caro Evangelista? 1‘ Guardia �" Per essere a portata di spandere gli ordini del Sublime Presidente a tutti gli Evv. del mio Emisfero.

Pres. �" Ev. 2° Guardia dove voi vi trovato?

2 Guardia �" Sull’Emisfero del Nord.

Pres. �" Perché mio buon Ev. 2 Guardia �" Per comunicare gli ordini so mi saranno comunicati dalla 1 Guardia o dal Pros. a tutt’il mio Emisfero.

Pres. �" Ev. 1 Guardia dov’è collocato il Pres.?

1 Guardia �" Nel centro del Mondo.

(1) Archivio Provinciale di Lecce. Statuti della Carboneria Rivoluzionari del 1820 (Esistono gli Statuti completi della Carboneria).

(2) Ogni qual volta il Presidente o lo Guardie dovranno annunziare daranno un colpo.

Pres. �" Perché mio caro Ev.?

1 Guardia �" Per osservare li due emisferi ed emanare gli ordini opportuni.

Pres. �" Ev. 1 Guardia. a che ora gli Ev. aprono i loro travagli?

1 Guardia, �" Prima che spunti l’aurora.

Pres. �" Ev. 2 Guardia che ora è?

2 Guardia �" Il giorno è per rischiarare.

Pres. �" Ev. 1 e 2 Guardia, concorrendo l’ora nella quale gli Ev1 aprono i loro travagli prevenite i due Em. ch’è mia intenzione di aprire quelle di C S° sotto il titolo distintivo di Templari, e di unirsi a me ed a voi per portare un triplice avvantaggio di rito, all’Altissimo perché ci assista o ci dia forza.

(Le due Guardie annunziano. La 2a Guardia avviserà la 1 che tatto è avvertito e questa ne preverrà il Presidente e così ogni volta che si annunzierà dicendo):

la Guardia �" Se Pres°, tutto è avvertito.

Pres. �" Miei cari EE., in piedi ecl all’Ordine.

(Le Guardie lo annunziano. Tutti si alzano e si mettono all’ordinb; si porta l’avvantaggio con la batteria del grado: quindi il Presidente batte sull’ara li nove colpi e dice):

Pres. �" Ev. la e 2a Guardia: avvertito sull’Emisfero che li travagli del 5° grado sono aperti.

(Si annunzia dalla Guardia dandosi prima li nove colpi).

Pres. �" Miei cari EE. prendete posto e serbate il silenzio.

(Tutti siedono).

Pres. �" Ev. la e 2a Guardia, annunziate sopra li due Emisferi che prestassero attenzione, mentre l’Ev. Segretario darà lettura dei travagli passati.

(Si annunzia e se ne avverte il Presidente).

Pres. �" Ev. Seg°, la parola è a vol.

(Il Segretario legge il bozzo (sic) dei travagli passati).

Pres. �" Ev. la e 2a Guardia avvertite sopra li 2 Emisferi che se hanno delle osservazioni a fare sulla lettura dei travagli passati dataci dall’Ev. Segr0 la parola li è accordata.

(Si annunzia. Si aprono le osservazioni se mai ve ne fussero e si discutono).

Pres. �" Ev. Orate, fate le vostre conclusioni.

(L’Oratore farà le sue conclusioni e si cifrerà il bozzo. Poi si faranno le discussioni de’ travagli passati se mai ve ne fussero).

Pres. �" Ev. la Guardia, fate osservare se vi sono EE. W. (visitatori) che desiderano prender parte ne’ nostri travagli.

la Guardia �" Ev. Esp°, fate il vostro dovere.

(L’Esperto uscirà dalla Camera ed essendovi Visitatori si uniformerà alle regole dell’ordine e dopo ebe sono stati introdotti il Presidente dirà):

Pres. �" Ev. la e 2a Guardia, prevenite i vostri Evangelisti che i travagli del 5° grado sono sospesi e che vanno ad aprirsi quelli del 4° e di unirsi a me ed a voi per portare un avvantaggio di rito allAltissimo domandandogli il suo aiuto.

(Si ripete).

Pres. �" All’Ordine �" a me per i segni.

(Tutti si alzano, si mettono all’ordine, fanno il segno e la batteria del 4° grado. Il Presidente darà sette colpi sull’ara e dirà):

Pres. �" I travagli del 4° grado sono aperti.

(Le Guardie dànno similmente i colpi e quindi ripetono e ne avvisano il Presidente).

Pres. �" Discepolo Esp°, fate il vostro dovere.

(L’Esperto esce fuori e dà l’ingresso ai Discepoli della Camera, gli entrati fanno le dovute cerimonie e prendono posto).

Pres. �" Discepolo 1 e 2a Guardia, annunziate sulle vostre Turine che prestassero attenzione mentre il nostro Segr0 darà lettura delle Tavole dei travagli passati.

(Le Guardie annunziano).

Pres. �" Disc11 e 2a Guardia, annunziate sulle 2 Turme se hanno delle osservazioni a fare sulla lettura della Tav.; la parola è accordata.

(Le 2 Guardie annunziano).

Si apriranno le osservazioni se mai ve ne fussero, ma sulla sola Tav. del 4° grado.

Pres. �" Discepolo Esp°, osservato so mai vi fussero Discepoli VV1.

(L’Esperto esce o fa entrare li Visitatori se mai ve ne fussero ed ontrati. colle dovuto Cerimonie prendono posto).

Pres. �" Discepolo la o 2a Guardia, annunziato sulle Turme che i Travagli del 4° grado sono sospesi e che vanno ad aprirsi quelli del 3«.

(Si annunzia).

Pres. �" All’ordine miei Discepoli.

(Tutti si alzano �" fanno il segno e la batteria del 3° grado indi il Presidente darà 6 colpi sull’ara e dirà):

Pres. �" I travagli del 3° grado sono aperti.

(N. Le Guardie dànno prima i 6 colpi e poi annunziano).

Pres. Cav. Esp°, fate il vostro dovere, per introdurre i Cavalieri di questa Ca Se.

(L'Esperto esce ed introduce li Cavalieri della Ca S i quali dopo le dovute cerimonie prendono posto).

Pres. �" Cav. la e 2a Guardia, avvisate sulle 2 file che essendo aperti li Trav1 del 3° grado si unissero a me ed a voi per portare avvantaggio di rito all’Altissimo, invocando la sua protezione.

(Si avverte dalle Guardie).

Pres. �" All’ordine miei Cav1 e a me per i segni.

(Tutti si alzano e fanno il segno e la batteria del grado).

Pres. �" Cavalieri, prendete posto.

Pres. �" Cav1 la e 2a Guardia, annunziate sulle 2 file che prestassero attenzione alla letta dei Trav1 passati, che saia data dal Cav. Segr°.

(Si annunzia).

Pt'es. �" Cav. Segr°, la parola è a vol.

(N. Il Segretario darà lettura delle Tav. dei passati Travagli del 8° grado).

Pres. �" Cav. la e 2a Guardia, annunziate sulle 2 file che se hanno delle osservazioni a fare sulla lettura data dal nostro segretario è accordata loro la parola.

(Si annunzia e si faranno le osservazioni e discussioni).

Pres. �" Cav. Esp° osservate se vi sono dei Cav. VV.

(L’Esperto esce ed introdurrà i Visitatori se mai ve ne fussero, i quali fatte le dovute cerimonie prendono posto).

Pres. �" Cav. 2a Guardia, disponete che vada in giro la borsa delle proporzioni.

la Guardia �" Cav. Maestro di Cerim., fate il dovere.

(Il Maestro di Cer. fatto il giro colle dovute ritualità le porta all’ara).

Pres. �" Cav. Orat. e Segret., avvicinatevi all’ara.

(Si esegue e rilevano col Presidente il numero delle proposizioni e prendono posto).

Pres. �" Cav. la e 2a Guardia, avvisate sopra le file che la borsa delle proposizioni ne ha prodotto N°... delle quali ne va a dare lettura il Cav. Segretario.

(Il Maestro di Cer. le porta al Segretario che ne darà lettura).

Pres. �" Cav. la e 2a Guardia, annunziate sopra le 2 file che avendo delle osservazioni a fare sulle proposizioni delle quali ci ha dato testà lettura il Cav. Segretario la parola è accordata.

(Si annunzia. Si aprono le osservazioni e discussioni di tutti i Cavalieri).

Pres. �" Cav. la Guardia, fate che circoli il sacco dei poveri.

la Guardia �" Cav. M° di Cer°, fate il vostro dovere.

(Il Maestro di Cer. esegue nel modo usato e ne deposita il prodotto su l’ara).

Pres. �" Cav. la e 2a Guardia, se i Cav1 hanno a fare osservazioni a vantaggio della Camera in particolare e dell’ordine in generale la parola è loro accordata.

(Si annunzia, si osserva, si discute).

Pres. �" Cav. la e 2a Guardia, avvisate le file a prestare attenzione alla lettura del bozzo dei Trav1 che ci anderà a dare il Cav. Segr°.

(Si annunzia).

Pres. �" Cav. Segretario, la parola è a vol.

(Il Segretario legge il bozzo dei Travagli del solo 3° grado).

Pres. �" Cav. la e 2a Guardia, avvisate le file che se hanno delle osservazioni a fare sulla lettura del bozzo dei Trav1 del 3° grado la parola è loro accordata.

(Si annunzia, si fanno delle osservazioni quando ve ne fossero).

Pres. �" Cav. la e 2a Guardia, so i Cav1 hanno dello osservazioni a fare sull’ord. in generale e sulla Camera Subì° in particolare la parola è loro accordata.

(Si annunzia, si fanno lo osservazioni, si discutono).

Pres. �" Cav. la o 2a Guardia, annunziato sulle file che vanno sospesi li travagli del 3° grado e vanno a prender vigore quelli del 4°.

(Si annunzia).

Pres. �" All’ordine, miei Cav1, a me per i segni.

(Tutti si alzano, fanno il segno e la batteria del grado, quindi il Presidente darà 6 colpi sull’ara o dirà):

Pres. �" Cav. la e 2a Guardia, annunziate sulle due file che li travagli del 3° grado sono chiusi.

(Le Guardie daranno 6 colpi e quindi annuncieranno).

Pres. �" Cav. Esperto, fate il vostro dovere.

(L’Esperto fa covrire la C Se ai Cavalieri facendosi dare da quelli rimasti segni, toccamenti e parole del 4° grado e quindi dice al Discepolo 2 Guardia):

Esp° Discepolo �" 2a Guardia, la Ca Se è al coverto.

(La 2a Guardia ne avvisa la 1 e questa il Presidente).

Pres. �" Disc1 la e 2a Guardia, annunciate sopra le Turme che i Trav1 del 4° grado sono in vigore.

(Si annunzia).

la Guardia �" Disc° M° di Ca fate il vostro dovere.

(Il Maestro di Cer. fa il giro al modo usato e colle dovute ritualità le porta sull’ara).

Pres. �" Disc. Orate e Segr°, accostatevi all’ara.

(Si esegue e rilevano il numero delle proposizioni e prendono posto).

Pres. �" Disc. la e 2a Guardia, avvisato le Turme che il sacco delle proposizioni ne ha prodotto N°  delle quali va a dare lettura al Segretario.

(Si annunzia, il Maestro di Cer. le porta al Segretario che le leggerà).

Pres. �" Disc. la e 2a Guardia, avvisate le Turme che se hanno delle osservazioni a fare sulle proposizioni delle quali ha dato lettura il nostro Segr° la parola è accordata.

(Si annunzia, si aprono le osservazioni e le discussioni).

Pres. �" Disc. la e 2a Guardia, annunciate alle Turme che va a passare il sacco dei poveri.

(Si annunzia).

2a Guardia �" Discep. M° di Cer6, fate il vostro dovere.

(Si esegue, e come sopra se ne porta il prodotto sull’ara).

Pres. �" Disc. la e 2a Guardia, annunciate alle Turme che se hanno delle osservazioni a fare sull’ordine in generale e della Ca S6 in particolare la parola è accordata.

(Si annunzia, se vi sono delle osservazioni si discutono).

Pres. �" Disc. la e 2a Guardia, annunciate alle Turme ch’è mia intenzione portare un applauso ai W. Discepoli.

(Si annunzia e si applaude).

Pres. �" Disc. la e 2a Guardia, annunciate alle Turine di prestare attenzione alla lettura del presente Trav0 che ci anderà a dare il nostro Segretario.

(Si annunzia e dopo aver ottenuta la parola il Segretario legge la Tav. del solo 4° grado).

Pres. �" Disc. la e 2a Guardia, annunciate alle Turme che se hanno delle osservazioni a fare sulla lettura del bozzo de’ travagli, la parola è loro accordata.

(Si annunzia, se vi sono delle osservazioni si fanno e si discutono).

Pres. �" Disc. la e 2a Guardia, annunciate alle Turme che i travagli del 4° grado vanno a chiudersi prendendo vigore quelli del 5°.

(Si annunzia).

Pres. �" All’ordine, miei Discepoli, a me per i segni.

(Tutti si alzano, fanno il segno e la batteria del grado, indi il Presidente batte i 7 colpi e dice):

Pres. �" I trav1 del 4° grado sono chiusi.

(Le Guardie daranno i 7 colpi e quindi annuncieranno).

Pres. �" Disc. Esperto, fate il vostro dovere.

(L’Esperto fa covrire la Camera ai Discepoli, e quindi dice):

Esp. �" Ev. 2a Guardia, siamo al coverto.

(Evangelista 2 Guardia ne avvisa la la Guardia e questa il Presidente).

Pres. �" Ev. la e 2a Guardia, annunziate sulli due Emisferi che avendo preso vigore i travagli del 5° grado va a passare il sacco delle proposizioni.

(Si annunzia quindi al modo usato, si raccolgono e si portano sull’ara).

Pres. �" Ev. Orat c Segr0, avvicinatevi all’ara.

(Si esegue e si rileva il numero delle proposizioni e quindi prendono posto).

Pres. �" Ev. 1 ‘ o 2a Guardia, avvisato sulli Emisferi che il sacco dello proposizioni ha dato il N°  che si vanno a leggere dal Segr°.

(Il Maestro di Cer. le porta al Segretario).

Pres. �" Ev. Segr0, la parola ò a vol.

(Il Segretario le legge).

IJrcs. �" Ev. la e 2a Guardia, annunziato sulli Emisferi che se hanno dello osservazioni a faro sullo proposizioni si producano por discutersi por quindi deliberarsi sullo medesimo.

(Si annunzia, si osserva, si discute e si delibera su tutte le proposizioni avute nei differenti travagli. Prima di deliberarsi si sentono le conclusioni dell’Oratore. La proposizione sarà deliberata per la maggioranza dei voti segreti).

Pres. �" Ev. la e 2a Guardia, avvertite sulli Emisferi che va a passare il sacco dei poveri.

(Si annunzia, circola il sacco, si porta il prodotto sull’ara, si numera per intero e quindi si dirà dal Presidente):

Pres. �" Ev. la e 2 Guardia avvertite sui due EE. che la borsa dei poveri ha prodotto il tronco di... che si vanno a passare all’Elemosine.

(Si annunzia).

Pres. �" Ev. la e 2a Guardia, avvertite sui 2 EE. che se hanno delle osservazioni a fare sull’ordine in generale, sulla Ca S° in particolare la parola è loro accordata.

(Si annunzia).

Pres. �" Ev. la é 2a Guardia, avvisate sugli Emisferi che si va a dare lettura dell’intero Travaglio: i presenti che perciò prestassero tutta l’attenzione.

(Si annunzia. Il Segretario darà lettura).

Pres. �" Ev. la e 2a Guardia, avvertite sui due Emisferi che se trovano delle osservazioni a fare sulla lettura del bozzo dei Travagli dataci dal nostro Segretario la parola è loro accordata.

(Si annunzia).

Pres. �" Ev. Orat°, fate le vostre conclusioni.

(L’Oratore le farà. Il Presidente darà 9 colpi).

Pres. �" Ev. la e 2a Guardia, avvertite sugli EE. che è mia intenzione chiudere i travagli della Cam. Subì sotto il titolo

(Si annunzia dalle Guardie e dopo aver dato 9 colpi).

Pres. �" All’ordine, miei EE., a me per i segni.

(Tutti si alzano, fanno i segni e la batteria del grado).

Pres. �" Ev. la e 2a Guardia, avvertite sugli EE. che è mia intenzione portare un avvantaggio di rito all’Altissimo per la sua assistenza prestata nei presenti travagli, 2° applauso ai fondatori della Ca Se.

3°„agli EE. VV.

4°„a tutti gli EE. Disc. Maestri ed apprendenti della Terra.

Pres. �" Ev. la Guardia, a che ora gli EE. chiudono i loro Travagli?

la Guardia �" Allorché il vessillo svolazza.

Pres. �" Ev. 2a Guardia che ora è? 2a Guardia �" Il vessillo svolazza.

Pres. �" Perché il vessillo svolazza e i nostri voti sono esauditi rendiamo li dovuti ringraziamenti all’Altissimo per averci assistito fino all’esecuzione dei nostri lavori.

Pres. �" Ev. la e 2a Guardia, annunziate sopra gli 2 EE. che i Travagli della Cama Subì6 sono chiusi.

(Si annunzia).

Pres. �" EE., andate in pace e giurate silenzio.

APPENDICE II

Rapporto segreto straordinario sulla provincia

di Terra d'Otranto trasmesso al Ministero della

Polizia Generale dal gen. sir Richard Church.

Rapporto segreto straordinario sulla provincia

di Terra d’Otranto trasmesso al Ministero

della Polizia Generale �" 13 novembre 1818 (1).

Comando della 6”Divisione Militare con l,u alter Ego „.

Dal Quartiere Generale di Lecce li 22 luglio 1818.

La perfetta tranquillità che questa provincia gode attualmente, la quale per più di quattro mesi non è stata in nessun modo disturbata, lo scioglimento delle società criminose e rivoluzionarie; la distruzione dei briganti e malfattori, il ristabilimento della sicurezza interna delle città, paesi e strade, e sopratutto l’eccellente spirito pubblico che ogni classe di sudditi di S. M. tuttora spiega, ed il zelo con cui si presta nel cooperare con le Autorità e truppe reali nel servizio del Sovrano, e pel mantenimento della tranquillità pubblica, sono motivi sufficienti per lusingarmi, che per lungo tempo la provincia di Lecce continuerà non solamente a meritare l’approvazione di S. M. il Re, ma bensì a farsi cospicua fra le provincie del Regno pel modello di subordinazione alle leggi ed attaccamento alla sacra persona ed al governo di S. M.

(1) B. Nazionale, Ms. X, D. 68.

Non volendo offrire un rapporto sullo stato della provincia (che dee abbracciare del passato e del presente) fatto precipitosamente, ho posposto finora questo dovere, nel mentre che non ho mancato di osservare e far conoscere al Governo il giornaliero progresso cha si facea nel cambiare la situazione politica e pubblica della provincia da uno stato troppo infelice a descrivere, a quello del presente in cui gode ibeni incalcolabili derivanti dalla tranquillità pubblica, dal buon ordine e dalla protezione di un Governo benefico (1). Vedendo dunque in gran parte realizzati i miei voti in quest’uopo ho creduto il presente un momento felice per preparare i seguenti dettagli e sottoporli alla considerazione e saviezza di S. M. e dei suoi Ministri.

Parte 1 �" 1° Il mio rapporto in data del 3 gennaio passato, aveva già fatto conoscere al Governo di S. M. lo stato di anarchia m cui questa Provincia era caduta ed i numerosi mali che l’opprimevano. Lo stesso rapporto dettagliò generalmente i nomi, e varietà delle associazioni criminose e rivoluzionarie e fece conoscere che lo spirito di partito dominava a tale eccesso che ogni dovere era dimenticato nel seguire le insinuazioni di questo spirito malefico.

Ora conviene classificare più metodicamente le dette associazioni rivoluzionarie: sviluppare le loro mire generali, politiche e le vedute interessate particolari d'individui fra di loro; e presentare nel medesimo tempo un calcolo della forza numerica che si crede essere stata arrolata sotto il nome di Patriotti Europei Filadelfi, e decisi di analizzare in quanto che si può le cause che indussero gl’individui di così numerose associazioni, a complottare contro la tranquillità pubblica della loro Patria ed a unirsi in società rivoluzionarie ed incendiarie. Prevengo elio non si parlerà dei partiti chiamati Carbonari o Calderari in altro che in qualche allusione allo spirito di partito, ma solamente delle associazioni che avevano un’organizzazione militare, armi, comandamenti e subalterni con decorazioni, bandiere, sigilli o dislocazioni territoriali ed insomma una pretesa amministrazione civile, militare e giudiziaria.

(1) È da premetterai che lo spirito di partito dominante nella Provincia ha occasionato i mali tutti di quegli abitanti o vi ha fatto nascere lo diverse flotte rivoluzionane,

Osservando dunque questa regola si dettaglierà solamente ciò che riguarda la setta dei Patriotti, la setta dei Filadelfi e dell'ultima più recentemente organizzata setta, o piuttosto comitiva di mostri, i quali sotto nome di Decisi spargevano terrore di sangue umano.

2° Volendo riconoscere l’epoca dell’origine di queste associazioni è necessario distinguerle l’una dall’altra, non avendo tutte la stessa anzianità né origine. Da lumi acquistati da autorità valevoli, ho ragione di credere, che ne’ seguenti dettagli s’incontrerà tutto ciò che si può desiderare a tal uopo; e dai quali pure si rileverà ch’è distrutto interamente quel velo di mistero che copriva lo stato di questa provincia, nella quale la massa di materia eterogenea e vulcanica era confusamente legata insieme ed in tal modo, che si confondevano facilmente gli innocenti coi colpevoli, e perciò fu che quasi qualunque misura di energia presa dalla parte del governo contro lo spirito di anarchia e di rivoluzione che dominava nella Provincia senza aver fatto prima le dovute analisi rischiava di essere pericolosa per la detta ragione di confondere e classificare gl’innocenti con delinquenti e così far causa comune e unione fra i buoni e i cattivi.

Fu a questo mistero che si può attribuire la tanta durata di questo associazioni criminose, fu egualmente per causa di questo mistero che si attribuiva ciò che gli amici della tranquillità pubblica facevano qualche volta per reprimere i disordini, ed impedire gli eccessi, come una partecipazione nei sentimenti e delitti degli incendiarli, dando inoltre opportunità agli ignoranti e maliziosi occasione d’incolpare i buoni e pacifici abitanti con gli infami seduttori del popolo.

Barbara era in verità la situazione dell’uomo onesto, il di lui silenzio era considerato delitto, ed era minacciato del pugnalo dell’assassino se ne parlava.

Finalmente il mistero fu la fontana del veleno della calunnia, e nel medesimo tempo l’impero e la forza dei scellerati congiurati contro il governo e la tranquillità pubblica come pure contro la vita e beni di ogni uomo onesto e proprietario. Per maggiore chiarezza, si parlerà dell’origine delle sètte sopradette nell’ordine di anzianità incominciando dai Patriotti Europei.

3° Da tutto ciò che si può rilevare riguardante l’epoca in cui la società dei Patriotti Europei fu introdotta e formata nella provincia di Lecce, pare che tal epoca fu verso il fine del 1814, momento in cui fermentava nei spiriti una certa agitazione relativa all’avvenire che presentavasi. Questa fu l’epoca scelta da introdurre questa società i misteri della quale furono da un estero depositati nelle mani dèi noto Marco Manieri (1) di Lecce, e da lui incominciò la prima organizzazione della così detta setta dei Patriotti Europei la quale cominciò nell’idea di un’origine misteriosa di una remota antichità, e pretendeva ad una morale che migliorava e gl’individui e la società civile. Profittò poco sopra coloro che presero la pena di analizzarla, ma molto sopra quei ch'eran facili a ricevere qualunque impressione, anche quei finalmente si disingannarono, perché a lungo andare si accorsero che il ricevere un numero di ordini costava loro quel denaro che si diceva passare da un anello all’altro, senza conoscersi, né quali erano questi anelli progressivi, né l’ultimo che tutto raccoglieva; né l’uso di ciò che facevasi del denaro che si era raccolto.

4° Semplice era il processo di arrolare individui in questa società e fu in questo modo: il proponente ossia Patriotta Emissario, dava all’iniziato una carta, o biglietto scritto con un certo numero, sempre numeri alti, p. es. da 20. 000 in poi (2), la persona ricevendo il detto biglietto non conosceva altri individui che quello da cui l’avea ricevuto, e quei ai quali egli medesimo dispensava degli altri.

Per questi biglietti si pagava e gl’individui così sedotti non sapcano altro che il nome della Società alla quale venivano ammessi, il numero del biglietto loro o appartenevano alla Grande Repubblica Europea, credendo nel medesimo tempo elio il danaro che pagavano era trasmesso a Parigi o Milano, per uso della Società, mentre che molti dogli agenti, dopo di avere sufficientemente approfittato dello loro speculazioni sparivano (3) ed altri continuavano ad arricchirsi nel propagare la sètta.

(1) Uno degli arrestati tutt'ora nel Castello di Lecce.

(2) Vedi la lettera N. 13 fra le carte trasmesse, la quale b sottoscritta 862240. Questa lettera b stata scritta dal noto Francesco di Mesagne al detenuto Marco Mancini.

(3) Vedi l’articolo di Napoli in data 26 giugno 1815 riguardante l’arresto d duo Francesi a Firenze.

Finalmente poi la diffidenza scoppiò e furono quasi esecrati coloro che avevano così criminosamente profittato. Fu poi verso la fine del 1815 che alcuni per non fare progredire questa associazione ed insieme per non perdere i frutti, pensarono un rimedio, il quale portava al fine che abbiamo veduto.

5° Nel cervello stravagante di un tal don Giovambattista Maggi (1) fu immaginato il nuovo ordine di cose, ed egli riformò la Società sotto la denominazione di Patriotti Europei Riformati; ma quei che avevano profittato nella prima fecero parte anche della seconda, mentre che alcuni senza accedere alla riforma, si divisero da tutti con la denominazione di Glubisti (il nome di questi ultimi fu subito perduto nel rifondersi cogli altri). Gli uni o gli altri furono sempre mescolati con gli speculatori di questo genere di merce, e ciò non dava loro alcuna considerazione, ma intanto l’ignoranza ci veniva attiva ed i scellerati vedevano i successi che desideravano.

6° Fu negli anni 1815 e 1816 che successe la nuova Società chiamata Calderari, le idee che se ne concepirono gettarono l’allarme generalmente non solo fra i settari chiamati Carbonari, ma bensì fra quei che amavano tranquillità e sicurezza, ma furono specialmente i sedicenti Patriotti Europei Riformati che si allarmarono particolarmente, e crederono di mettersi a salvo col numero; quindi si apriva l’ingresso indistintamente a chiunque lo voleva qualunque fosse il suo carattere morale, divenne perciò una moltitudine agitata in se medesima dagli stessi suoi elementi, e che in continuo urto con quelli che si vollero calderari, agitava l’intera massa di questa provincia.

7° La fine del 1815 ed i primi mesi del 1816 si passarono in mezzo ai soli clamori di questi urti e di queste agitazioni; intanto sopravvenne un’altra società segreta detta dei Filadelfi (2).

(1) Uno degli arrestati mandati in Napoli.

(2) È indubitabile che una Società di questo nome fe esistita in Francia da molto tempo, vari documenti comprovano questo fatto. Fra altre pubblicazioni periodiche vedi “l’Ambigu” n.  429, le 28 fevrier 1815.

Si annunciò questa Società derivante dall’America, e venuta nel regno dall’armata della Loire fu accolta dai soliti speculatori che le diedero una forma, una composizione atta a farla riuscire, si pagava per essere ricevuto, si pagava per continuare ad essere associato, e come il denaro ne apriva la porta, fu facile agli uomini perduti d’impadronirsene. Grli urti continui di tante sètte misero i pacifici abitanti della provincia in mezzo ai palpiti ed ai timori. Quanto più si vedeva crescere il terrore, tanto più s’ingigantivano i malvagi che si erano impadroniti di quella Società. Eglino divennero i despoti degli uomini di bene, che non ebbero altri mezzi di conservare la propria vita che quello di divenir tributari della feccia del popolo.

8° Tale fu lo stato infelice della Provincia quando verso il mese di ottobre 1817 il suo demonio malefico Ciro Annichiarico fece conoscere che egli era il capo sanguinario di un’altra società infinitamente più atroce e più terribile delle altre; uscì dunque dalle sue mani questa nuova setta congiura col titolo speciòso di Decisi.

Quello scellerato per profittare della pubblica agitazione ne calcolò i gradi, ma non li trovò ancora sufficienti ai suoi disegni; vide che bisognava accrescerli con aggiungere nuovi mali a quelli che già esistevano, ma di un’atrocità infinitamente maggiore.

Si è già veduto chi erano i componenti di quella Società, i quali compirono l’opera di tenere sotto la loro schiavitù gli abitanti tutti della provincia, le loro sostanze, i loro denari.

La formazione della setta dei Decisi sistemava sotto gli auspici di Annichiarico il modo di rubare, di assassinare, ma non dava origine ai delitti da lui commessi; essendo stato egli per una lunga serio di anni un capo assassino al quale s’indirizzava chiunque voleva ammazzare il suo simile o per rubarlo o por vendetta o per queste atroci operazioni i seguaci di Ciro Annichiarico erano i ricercati ed i celebri del regno e del mondo. Per progredire noi loro successi dovevano progredire nella scelleratezza; e la suggestione ed inabilità in cui avevano ridotti i cittadini gli impiegati e lo autorità medesimo li rendevano sempre temerari o più pericolosi.

9° Era lo carto spedito al Ministero di Polizia si troveranno vario istituzioni di queste sette e Società fra lo altro la divisione delle terre,

i gradi, i doveri dei funzionari, i giuramenti, i segni di riconoscimento, ecc. Nelle carte N° 1 si troveranno i registri di arrollamenti militari, organizzazioni in sezioni e con i nomi di molti sedicenti comandanti, uffiziali, ecc. ed i rolli dei soldati Legionari con varie patenti stampate e sottoscritte da individui appartenenti a questa società la quale ordinava e spesso infliggeva la pena di morte o altro castigo ai membri della medesima o ad altri individui i quali si erano resi oggetto di mira delle dette associazioni (1). Dalle dette carte, fra gli altri dettagli, si rileverà che le date dei registri carte patenti di queste associazioni dell’anno passato 1817 portavano la data dell’anno IV della libertà rivendicata, e che il nome del Governo immaginario sotto di cui travagliavano questi settari era la Repubblica Salentina la quale aveva per baso fondamentale Libertà ed Eguaglianza formando questa Repubblica un anello della Grande Repubblica Europea.

10° Le sedute criminose si tenevano in tempo di notte in tutte le città e i comuni della provincia ove i campi erano stabiliti, e durante queste sedute erano delle sentinelle loro in osservazione dapertutto con una perfetta regolarità. L’organizzazione militare era semplice e come siegue; ogni seduta o assemblea si chiamava Campo, il quale campo era nella città e paese grande diviso in sezione al numero di 4 più o meno, nei paesi piccoli vi era una sola seziono; ogni sezione aveva i corrispondenti uffiziali chiamati come qui sotto notate (2) e questi sedicenti comandanti ed uffiziali istruivano la loro gente nell’esercizio del fucile, nelle evoluzioni militari, nelle loro proprie case, nei conventi soppressi ed in certi distretti il popolo di più paesi insieme ha avuto la temerità di tanto in tanto di riunirsi durante il giorno nei Campi e là istruirsi colle armi alla mano come se fossero truppe reali.

11° Per formarsi un’idea approssimativamente della forza arrolata sotto il nome di Patriotti Europei o di Filadelfi si può calcolare che quasi in ogni paese della provincia vi era un Campo e tante squadriglie,

(1) Dettagli che si trovano nelle Carte.

(2) Gradi: Comandante, Presidente, 1° e 2° Consigliere, 1 e 2° Capitano, Assistente di Campo, Capitano relatore, Segretario.

e credo che il numero totale dei Campi nella p rovincia era 113 e di squadriglie infinitamente più, il quale campo inclusivo delle squadriglie consisteva in una sezione di 200 a 300 uomini circa, nelle città grandi di più sezioni ed in Lecce capoluogo di tutta l’organizzazione il Campo consisteva di 4 sezioni di circa 300 uomini ciascuna. La 3 sezione di questo campo di Lecce consisteva di 350 uomini, ma le altre sezioni erano senza dubbio di minor forza. E facile sopra questo schiarimento di calcolare con qualche esattezza la forza totale dei Patriotti Europei e Eiladelfi nella Provincia e sono di parere che nei mesi di dicembre e gennaio passato, potea ascendere almeno 'al numero di 30 a 40. 000, ma ben inteso che in questo numero vi era un gran numero di uomini non effettivo dall’età, dalla paura e dalla mancanza di volontà.

Ciò che rendeva infinitamente formidabile questa massa di gente era l’infinito numero di fucili che si trovavano fra di loro oltre armi come carabine, pistole, bastoni armati di stili e altre di queste armi, ogni individuo era per ordine provveduto di un pugnale per lo più tutti dell’istessa sorte secondo i registri della società.

12° Dopo di aver così dettagliato l’origine delle criminose e pericolose associazioni delle quali questo rapporto tratta e che ora spero non esistono più, cercherò di spiegare le ragioni della facilità e velocità colla quale questo grande incendio ha potuto ultimamente aumentare le sue forze, assumere una certa regolarità ed organizzazione ad unirsi in una catena, che quantunque formidabile in apparenza non era tanta in realtà, por mancanza intera di quei elementi che dànno vigore alla forza numerica (ciòè unanimità, mezzi e specialmente la mancanza totale di capi, di talenti, influenza e rispettabilità).

13° Nel mio rapporto del 3 gennaio ho attribuito molti gravi mali della Provincia allo spirito di partito che si era impadronito degli animi di tutti o ad altre ragioni elio ora non esistono più. Ora l’esperienza mi permetto di dire positivamente, elio l’impunità dei delitti era la causa principale della rapidità con cui in pochi mesi quasi tutta l’ultima classe della popolazione si trovava por lo più arrollata nello società rivoluzionario; molti individui, sedotti,

si arrollarono credendo di far fortuna, molti altri non sapeano cosa facevano, e moltissimi per forza obbligati di sottoscriversi in questa società nel mentre che nei loro cuori erano sempre fedeli al governo; ogni mezzo di seduzione fu presentato all’immaginazione degli individui che si volevano sedurre: a taluni comandi e ricchezza, e ad altri il nome spezioso di costituzione fu portato in avanti come un velo plausibile a ribellione ed anarchia; veramente però il vero oggetto dei capi settori rivoluzionari, ed in gran parte degli associati, specialmente degli assassini e del basso popolo era quello di far nascere un disordine generalo ed universale per avere cosi mezzi e facoltà di arricchirsi nella confusione. L’ambizione smisurata e sciocca di altri li facevano spelare gradi e comandi. L’amore d’innovazione influiva su altri, e moltissimi non avevano oggetto alcuno, né intendevano cosa era che si voleva fare; ed indi ci furono pure quelli che per sicurezza di vita e di bene, si arrollavano, ma basi e consistenza non vi erano affatto in questa mostruosità. Da queste società furono scritte le lettere anonime al Governo, dimandando una costituzione e da queste Società, ma esistenti in altre parti del Degno (forse in Napoli stesso) furono spediti i biglietti stampati chiamando il popolo ad insurrezione.

14° Lo stato della provincia era veramente singolarmente deplorabile, in ogni paese specialmente nei piccoli comuni due o tre scellerati erano i despoti assoluti. Questi comandavano imperiosamente alla popolazione, assassinavano, rubavano nel loro paese e nessuno osava portar contro di loro lagnanza o denuncia; i delitti commessi facevano tremare ogni uomo e le famiglie piangevano in silenzio la morte del padre, dei fratelli, ecc., la violazione delle donne e la perdita dei beni.

I giudici, sindaci ed uffiziali dei militi intimoriti si «rendevano colpevoli di criminosa negligenza di dovere; alle volte membri delle associazioni non esercitavano più le loro funzioni e bene spesso si vedeva l’iniquo esempio di sacerdoti i quali furono in vari luoghi causa della maggior parte di disordini ed errori. Ogni mese produceva una lista spaventevole di omicidi, furti e violenze coll’annotazione ad ogni delitto di assassini ignoti. In questo stato di cose era facile per pochi infami individui di formare fra il popolo della provincia

tante associazioni rivoluzionarie e gli emissari di questi sedicenti Patriotti Europei, Filadelfi e Decisi trovando dapertutto i paesi sottomessi a qualche capo assassino, formavano con loro unione e fraternità, e per mezzo loro si trovavano subito in istato non solamente di minacciare quei che non volevano ascoltare le loro sediziose proposizioni, ma bensì di fare assassinare qualunque individuo che a loro piacesse per vendetta o altro fine.

15° Da ciò nacque terrore e spavento, motivi potenti che indussero moltissimi individui ad arrollarsi nelle dette società, non vedendo altrimenti come mettere in sicurezza vita e beni. Fu quando gli eccessi furono arrivati a questo grado che i Patriotti Europei e Filadelfì proposero di unirsi ai Carbonari dai quali la loro domanda fu negata; e da quel momento in poi continuarono a svilupparsi maggiormente le minacele dei primi contro i personaggi di rispettabilità nella provincia avendo i detti Patriotti Europei e Filadelfi per massima che quelli che non erano della loro Società erano di necessità o di quella dei Carbonari, o dei Calderari.

16° Generalizzata una volta questa mania infernale nella provincia e sempre coverta dal velo del mistero, si vedeano continuamente gli omicidi più atroci, furti qualificati a mano armata in tempo di giorno e di notte, comitive di ladri, i quali senza sortire dai paesi rubavano a loro piacere ed esigevano contribuzioni in denaro e generi (sotto pena di morte) dai pacifici abitanti.

Oltre di questi eccessi si aggiungevano quei ancora più atroci di gruppi di gente armata mascherati e vestiti da Pulcinelli, i quali non solamente in tempo di notte ma bensì di giorno violentavano le donne e toglievano loro i capelli, insultandole in mille maniero ed ammazzando spesso gli uomini a colpi di stile o di fucilo o di bastonate nelle pubbliche strade dei paesi. Gli eccessi non erano minori nella città di Lecce che negli altri paesi, ove fra gli altri misfatti, degli assassini attentarono «alla vita dol Comandante di Piazza e nel mentre che questo Ufficiale superiore usciva da teatro fu ferito da una fucilata, che li fu tirata da persona ignota accompagnata da molti altri.

Lo strade della campagna furono infestate da masnade di assassini a piedi o a cavallo. Il commerciò o quasi lo comunicazioni da un paese all’altro furono impediti. Gli abitanti pacifici dei paesi od anche quei di Lecco si ritiravano nelle loro caso sull’imbrunirsi della notte affino di sottrarsi in qualche modo «allo violenze o ni pericoli. Allora succedevano lo assemblee notturne, nello abitazioni degli associati incendiari nel mentre che nelle strade pubbliche pattugliavano regolarmente distaccamenti di gente armata di fucile, stili, sciabole e bastoni, li quali garantivano le sedute durante la loro unione, o esigevano delle sentenze che dalle sedute emanavano, tutto ciò fu fatto colla massima regolarità militare ed il Comandante del Campo destinava i sedicenti ufficiali e soldati al giornaliero servizio nello stesso modo che si pratica nelle truppe reali.

17° Dopo aver dato i lumi suddetti sull’origine dei Patriotti Europei Riformati e dei Filadelfi, dell’oggetto loro e causo principali, della facilità che trovarono nell’aumentare il loro numero e prima di parlare di quello de’ Decisi conviene spiegare le relazioni che esistevano fra i Patriotti Europei o Filadelfi e mostrare la dipendenza che questi ultimi avevano dai primi affinché la maniera con cui questa catena di unione sediziosa fu unita insieme sia dimostrata chiaramente.

18° Lo assemblee o compagnie di Patriotti Europei Riformati furono, come ho già spiegato, chiamati Campi; le compagnie o bande dei Filadelfi chiamato Squadriglie. I Patriotti si consideravano superiori ai Filadelfi in gradi, essendo effettivamente d’una classe un poco migliore, in modo che i capi dei Filadelfi erano nel medesimo tempo Patriotti Europei come pure essi (Patriotti Europei Riformati) i più distinti per maggiore zelo, cioè per maggiore scelleratezza si facevano i Comandanti delle squadriglie di Filadelfi: la squadriglia consisteva prima in 5 individui o poi fu aumentata a più gran numero fino a 40 o 60, in questo modo vi era non solamente una specie di tumultaria armata formata, ma bensì ognuno dei Comandanti di squadriglia tenea alla sua disposizione una banda di assassini sempre pronta ad ubbidire a qualunque suo ordine; o quando si voleva obbligare qualcheduno a sottoscriversi nelle sètte o egualmente quando volevano rubare, si minacciavano pubblicamente di mandare una squadriglia in casa,

e per mezzo di queste squadriglie effettivamente ammazzavano, rubavano, maltrattavano chi volevano servendosi delle medesime per violentare le donne, e per tutti gli atti di vendetta sia delle sètte, sia degli individui medesimi.

Si perderebbe troppo tempo nel dettagliare tutti gli oriori di queste associazioni rivoluzionarie, nella prima delle quali si trovano molti individui di mediocre rispettabilità iscritti per forza per salvarsi vita e beni e spesso un padre era obbligato a fare iscrivere il suo figlio, per garantire l’uno o l’altro, o tutti due, ed ogni uno per lo più cercava di conoscere i segni di riconoscimento delle sètte particolarmente dei Filadelfì affinché potessero viaggiare senza molestia o pericolo; non è cosa meravigliosa se da un tale stato di cose nacquero tanti omicidi ed altri disordini. Il numero degli associati era grande; e ognuno trovava i mezzi di soddisfare tutte le sue passioni criminose, tosto che era arrollato fra i Patriotti Europei Riformati o fra i Filadelfì; i più turbolenti e sanguinari, erano i despoti dei paesi è aggiungevano oltre i vantaggi dei furti le contribuzioni che esigevano per terrore e che scroccavano dagli arrollati medesimi per prezzo delle loro patenti facendosi pagare su tanto per. ogni uno; e, come già fio spiegato, avevano pure una rendita quasi certa nella contribuzione generale che in ogni seduta fu levata sopra tutti gli associati per le spese giornaliere della società, come si rileva dai conti intercettati e trasmessi al Ministro di Polizia Generale.

19° Conviene adesso dire qualche parola sulla società o piuttosto congiura infernale chiamata dei Decisi la quale fu forse la più spaventevole e sanguinaria congiura che l’Europa moderna ha mai conosciuta, la scoperta e distruzione della quale nel momento quasi della sua nascita si può veramente considerare come un atto di divina misericordia. La setta dei Decisi fu istituita dal ben noto Abate ''Ciro Annichiarico di Grottaglie in provincia di Terra d’Otranto (scellerato al di là di ciò che si può immaginare).

Quest’uomo che una serie di 17 anni di delitti atroci aveva perfezionato nel mestiere di assassino o che per un così lungo periodo di tempo trovò mezzi di rendere infruttuosi tutti gli sforzi del governo contro di lui, o che perciò divenne l’idolo e quasi il mago del popolo,

formò nel mese di ottobre dell’anno scorso 1817 la setta chiamata i Decisi, la quale fu, come si rileverà dallo istituzioni della medesima, scellerata o sanguinaria sopra tutte le altre. Gl’iniziati in questa setta furono i più insigni assassini della provincia, ma specialmente quei di Grottaglie, Francavilla o Martina, quali furono subito rifiniti in una setta, organizzati o patentati come Decisi, o l’assemblea o seduta loro ora chiamata Decisione. Non si possono dipingere gli orrori che commisero questi atroci assassini, l’istoria non ci presenta cose simili né l’esempio di un’altra setta qualunque che avea de’ funzionari chiamati registratori di morti e direttori di cerimonie funebri. Gli altri gradi che fra di loro esistevano furono notati nelle carte della loro istituzione rimesse al governo, nelle quali si trova tutto ciò che riguarda questa funesta congiura che si vantava di voler far la guerra a tutti i troni.

Gli emblemi di questa setta furono quattro teste di morti, un Trono e corona papale rovesciati da fulmini, ecc. la bandiera, decorazioni, ecc. erano vere e nella patente molte lettere e parole furono scritte con sangue umano, e negli angoli le iscrizioni erano Morte, Lutto, Orrore, Tristezza; e gli sciòcchi scellerati infami associati a questa setta infame portavano la loro depravazione fino a chiamare la società non solamente per nome dei Decisi, ma bensì del Tonante Giove ed insultavano Iddio stesso non unicamente coi loro misfatti atroci, ma anche colle blastimie iscritte nei loro registri di progetti infernali. Nonostante che questa società nacque in Grottaglie, fu l’infelice città di Francavilla che gemeva sotto la barbara od inconcepibile tirannia di questi mostri; nelle pubbliche piazze di Francavilla i Decisi ordinavano ora all’uno ora all’altro degli abitanti benestanti di dar loro delle somme di denaro a lor piacere, sotto minaccia di morte, e non solamente si facevano dare denaro, ma li forzavano a dar loro territori, obbligandoli a fare falsi istrumenti di averli venduti tali territori a detti scellerati.  Gli omicidi erano cosi frequenti che molti Individui rispettabili non sortivano affatto dalle loro case dentro le quali neppure erano sicuri, com’è stato veduto in più d’una occasione, ed altri furono obbligati ad abbandonare intieramente la loro patria.

(1) Questi fatti si rivelano dai processi della Commissione Militare.

La setta dei Decisi avea come le altre le sue Divisioni, cioè Squadriglie di assassini che scorrevano le campagne a mano armata ed in comitiva di briganti a cavallo, ed in squadriglie che restavano nei paesi fingendosi pacifici cittadini, e sotto questa maschera commisero gli eccessi (1) suddetti.

Difficilmente si può dettagliare tutti gli orrori di questa masnada di mostri, i quali avendo estese le loro vedute ben lontane, avevano già concertato di fare un movimento generale di ribellione sotto gli auspici del loro troppo famoso capo il fu Ciro Annichiarico per cominciare i primi atti di una tragedia, la quale grazie alla fedeltà, coraggio ed attività delle truppe di S. M. finì felicemente nella totale distruzione dei nemici suddetti.

20° Il giorno 27 del mese di febbraio passato era concertato di attaccare alle spalle le colonne delle truppe reali, nel mentre che la truppa si batteva colla comitiva di Annichiarico ed i suoi partigiani.

Il felice affare di San Marzano però sempre onorevole per i baroni, uffiziali e soldati di S. M. portò alla ragione. il popolo deluso e sedotto da Annichiarico e i suoi complici e atterrò i Decisi ed i loro seguaci furono presi o obbligati di fuggire da San Marzano (una forte posizione ed ove gli abitanti ad istigazione di pochi scellerati fecero fuoco in favore dei briganti contro la truppa reale). Annichiarico si nascose nei suoi soliti nascondigli nel mentre che li differenti uffiziali componenti le colonne mobili, avendo avuto informazione positiva di tutto ciò che riguardava la congiura dei Decisi, e dove abitavano iniqui assassini, in luogo di perder tempo nell’inseguire i fuggitivi e dispersi briganti si assicurarono dei prigionieri delle prigioni di Francavilla lasciando la forza per custodirli ed indi volarono a Grottaglie, ove arrivarono con tre piccole colonne, due ore dopo mezzanotte; la aiutati da un buon servitore del Sovrano conobbero le abitazioni dei famosi capi dei Decisi, i quali furono tutti sorpresi, arrestati e condotti a raggiungere tutti gli altri loro compagni nelle carceri di Francavilla; pochi giorni dopo nell’istessa città di Francavilla, ch'era destinata ad essere saccheggiata da quei scellerati, furono i medesimi insieme col loro capo fucilati in mezzo ad un concorso di 20.000 spettatori di detta città e vicinanze.

(1) Questi fatti ai rivelano dai processi della Commissione Militare.

21° Sebbene non sia questo il luogo di dare i dettagli della vita del sopraddetto terribile assassino, nulla di mono è necessario di aggiungere poche parole sullo suo veduto e movimenti rivoluzionari. Egli ora quel capo che non solamente gli assassini ma quasi tutto il popolo riguardava come un eroe, un mago, ma anche come un uomo di fortuna invincibile, e fu così ternato che non si osava mai parlare di lui fuorché per lodarlo, od egli apparteneva non solamente alla società dei Decisi, ma egualmente a tutte le altre società rivoluzionarie della provincia e del regno. Quando dunque lo videro a cavallo con una banda in aperta campagna, non più come brigante, ma come capo di una ribellione contro il Governo proclamando dapertutto la Repubblica, Libertà, Eguaglianza, spiegando bandiere ed emblemi ed assumendo un tono di autorità e certezza di successo nelle operazioni che andarono ad incominciare nelle quali Annichiarico contava una ragione nell’influenza che aveva nella popolazione generalmente, non era da meravigliarsi se trovò una fermentazione generale in favor suo, che solamente l’attività e fedeltà delle truppe, la cooperazione degli abitanti del primo ordine hanno potuto impedire di spiegarsi dapertutto fra il popolo (del distretto di Taranto specialmente) in aperta ribellione; e dall’altra parte i partigiani della stessa e gli assassini prendevano coraggio da un tal capo, e si auguravano i più felici risultati, o non v’ò dubbio alcuno che egli si buttò in campagna nel mese di gennaio ad istigazione di molti individui, i quali così, senza pericolo di loro medesimi, volevano vedere gli esiti delle prime scene di confusione prima di entrare apertamente loro medesimi ne’ pericoli di ribellione e spargimento di sangue.

I calcoli degli uni e dell’altro, mercé la grazia divina, furono resi bugiardi ed il feroce nemico dell'umanità, dopo una difesa disperata nella Torre di Scaserba, fu fatto prigioniero e fucilato dalla truppa reale sulla pubblica piazza di Francavilla in mezzo ad un concorso numeroso di spettatori, ai quali inutilmente fece tutti i segni di fraternità, di tutte le sètte rivoluzionarie alle quali apparteneva e che la sua posizione le permetteva. Invano furono fatti da lui tali segni, era troppo ben custodito dalla truppa reale ed il popolo non fece vedere nessuna disposizione in suo favore, né in quella dei suoi complici.

Così finì la carriera di sangue del Sacerdote Ciro Annichiarico che fu fino all’ultimo momento quella di un uomo di ferocissimo coraggio, morì dopo replicate fucilate, e dopo di aver confessato o piuttosto vantato di aver commesso più di 60 omicidi.

22° L’infelice quadro della provincia di Terra d'Otranto all’arrivo del mio Quartier Generale in Lecce nel giorno 27 decembre dell’anno scorso, era, secondo tutti i lumi che mi son potuto acquistare, tale come ho cercato di dipingerlo in questo rapporto. La mattina dopo dell’arrivo della Truppa in Lecce furono trovati degli affissi ai muri, dicendo che la città di Lecce era presa d’assalto e chiamando gli abitanti a spargere il loro sangue in difesa della sua libertà; nessuno effetto produssero questi affissi i quali furono riconosciuti opera di pochi scellerati, di quelli arrestati in seguito. L’arrivo della Truppa fu seguito dall’arresto di più capi della società rivoluzionaria. Lecce fu per molti giorni in uno stato di fermentazione, timore ed ansietà. Grli abitanti in generale godevano della protezione con cui si vedevano assicurati dall’arrivo della colonna del Quartier Generale; ma molti temevano di essere indistintamente confusi con i colpevoli, ed arrestati in conseguenza, vennero dapertutto dalla campagna degli emissari per informarsi di ciò che si stava facendo in Lecce; intanto nulla si trascurò per la tranquillità pubblica.

Passerò ora ad altre scene che nacquero nel nuovo anno, le quali ben differenti da quelle già descritte, hanno fatto orrore infinito agli abitanti della provincia; dirò come fu distrutta l’insorgenza di anarchia e restituito l’ordine e la subordinazione al Sovrano e alla legge.

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Dopo di aver dato tutti i lumi che ho potuto acquistare dal passato stato di questa provincia credo mio dovere egualmente far conoscere in breve, quanto alla provincia medesima è dovuto il ristabilimento di ordino o tranquillità, il buono spirito della quale subito si spiegò fra gli abitanti della medesima, o specialmente fra quei della prima classe tosto che le vedute e la generosa politica del Governo fu generalmente conosciuta, e tutto ciò che si può dire di svantaggio di questa classe di abitanti o specialmente dei primi personaggi tra di essi secondo il mio umile parere è di accusarli d’indolenza, timore,

o troppa condiscendenza verso gli scellerati ed armato associazioni del popolo; ma questa apatia, o piuttosto timore, non dove sorprendere quando si riflette un momento che le medesime autorità, sia civili che militari, furono disprezzate, represse ed intimorite o che isolatamente questi individui non potevano far argine a questo torrente, e la sola volta quando alla fiera di Galatina molti individui rispettabili si unirono per oggetto di frenare lo spirito di rivoluzione che dominava il popolo e che fu nel momento di svilupparsi, tale operazione, che certamente impediva molti disordini, fu reputata come unione coi rivoluzionari e partecipazione dei loro delitti. Gli abitanti rispettabili e d’influenza nella Provincia si sono vendicati di questi torti fattigli, nel modo piu generoso più onorevole per loro, e più utile pel Governo e pel ben essere della loro patria; giunta la piccola colonna del Quartier Generale di questa divisione a Lecce; manifestata la linea che la clemenza dei Sovrano e la saviezza del Governo aveva ordinato al Generale Comandante, subito i principali personaggi cominciarono ad avvicinarsi alle autorità, presentando tutti i lumi possibili sul vero stato degli affari della Provincia e dapertutto deputazioni dei distretti e comuni venivano a Lecce per offrire i loro servizi in tutto ciò che poteva essere di vantaggio al servizio Leale. Quanto più si verificava il vero spirito paterno del Sovrano, e dei suoi Ministri, più grandi per conseguenza furono gli sforzi degli abitanti; da quel momento si vedevano arrestare e condurre al Quartier Generale assassini e malfattori i quali furono arrestati e scortati a Lecce dai medesimi abitanti, ma fu riservato al famoso Ciro Annichiarico di dare un’opportunità per lo sviluppo dello spirito pubblico, e per l’onore delle persone da bene della provincia; ed il governo di S. M. è stato già informato che la sollecita distruzione di quell’insigne scellerato e dei suoi partigiani fu in gran parte dovuta agli abitanti medesimi ma specialmente a quei del primo ordine. Nel mentre che in ogni lato presero delle misure energiche per cooperare colla truppa per distruggere quelli incendiari, molti signori della provincia accompagnavano i movimenti della truppa, a cavallo come semplici soldati e furono presenti a tutte le operazioni e movimenti delle colonne mobili. Sarebbe troppo lungo di dettagliare tutti i servizi dei principali abitanti in aiuto delle misure del Governo, specialmente nei lumi avuti e denuncie de’ Capi rivoluzionari assassini.

La loro posizione era veramente critica, minacciati dal popolo e calunniati dai maliziosi, o ignoranti, i quali non volevano o non potevano analizzare il vero stato della Provincia, affinché si conoscesse che la ribellione immantinente minacciava più questa eiasse di persone che il Governo e gli altri sudditi del Re, loro medesimi furono persuasi di questa verità, e s’impadronirono immediatamente dell’aiuto legittimo ed opportuno prestato loro dalla truppa reale, per emanciparsi dal più duro ed orribile stato di schiavitù, che si può bene immaginare.

2° Felice per il Governo e per la provincia generalmente fu la determinazione suddetta, ed il Generale Comandante la Divisione non perdette tempo nel profittare di una circostanza alla quale si può attribuire in gran parte il ristabilimento della tranquillità pubblica, senza spargere altro sangue che quello di assassini e malfattori. Nel vedere l’unione perfetta fra il bracciò del Governo ed i possidenti provinciali, entrò fra il popolo lo spavento e diffidenza, le associazioni si disciòlsero e le armi caddero dalle mani dei cattivi e tutti ritornarono al buon ordine ed al travaglio giornaliere dei loro rispettivi mestieri (1).

3° Sono pure incalcolabili i buoni effetti prodotti dalla Commissione Militare, le sentenze ed esecuzioni della quale hanno richiamato all’attenzione di ognuno che esiste un Governo il quale se non castiga è per clemenza e non per timore che risparmia il sangue dei delinquenti. Il sangue degli assassini sparso da questa Commissione per la salute pubblica, ha salvato il sangue dei molti innocenti sudditi di S. M.

Il tenore del castigo inevitabile ha invaso la monte degli scellerati, nel mentre che il cuore dell’uomo onesto è penetrato di gratitudine verso il buon Sovrano e benefattore per aver vendicato i torti degli innocenti, e presi sotto la sua protezione i pacifici suoi sudditi.

Finora più di sessanta toste di assassini o malfattori esposte ncdle pubbliche piazzo dei loro rispettivi paesi hanno inculcato il dovuto terrore ai scellerati, o garantito la pubblica tranquillità o privata sicurezza, non solamente di vita, ma bensì di beni.

(1) Son ben lontano però dal voler dire che nei paesi non vi erano e non vi nono de#li onestissimi sudditi di S. M., tua vorrei darò ad intendere che qui il popolo era unito in volontarie associazioni.  

La sola riflessione che un solo premeditato omicidio ò stato commosso nella provincia nello spazio di sei mesi o quello per causa di furto, basta per far riconoscere so lo misuro prese hanno avuto il desiderato effetto.

Nel rapporto sulla Commissiono Militare si troveranno i dettagli dogli omicidi commossi dai scellerati qua sentenziati c fucilati o la natura dei delitti che da molto tempo si commettevano in questa provincia quasi con impunità.

4° Se in questo rapporto dettagliato non facciò menzione della truppa, è nella persuasione che i fedeli e straordinari servizi degli uffiziali e soldati di questa divisione sono conosciuti da S. M. e dai suoi Ministri; in un momento critico e di contagione generale, la condotta degli uffiziali e soldati formanti la truppa attiva della Divisione ha meritato più ricompense per fedeltà ed onoro; dal momento che il Quartiere Generale si distaccò dalle rive dell’Ofanto, hanno i medesimi sino a questo momento seguitato a dare ripruove del più sincero attaccamento alla Sacra Persona del Sovrano ed al dovere di onorati militari.

In questo spirito di onore ed inviolabile fedeltà ò forse la causa immediata del sollecito ristabilimento dell’ordine. I nemici del Governo furono singolarmente avviliti di trovarsi in mezzo a soldati incuranti di tutte le loro seduzioni e sebbene fossero riusciti a corrompere molti individui del battaglione di riserva di Corona o quasi tutti gl’individui della Gendarmeria (1) e fucilieri reali o provinciali, nonostante tutto ciò non vi g esempio di un soldato di altri corpi armati, che sia stato infedele al suo dovere in tutto il tempo che il Quartier Generale è stato in questa provincia, e poi i servizi resi al Sovrano ed alla patria da questi militari, si debbono attribuire solamente a quello spirito già indicato e giammai alla forza numerica, ch’era sempre, anche quando riunita, disprezzabile.

5° Avendo dettagliato tanto chiaramente le cause che han prodotto l’attuale felice stato della Provincia, umilierò col più devoto rispetto poche osservazioni sulle misure che debolmente credo necessarie per stabilire per base permanente la sua tranquillità pubblica e perpetua subordinazione ed attaccamento al Sovrano ed al suo governo.

(1) Quelli mandati fuori la Provincia per ordine del Generale Comandante.

Nell’asserire le seguenti osservazioni alla saviezza del governo di S. Maestà e che saranno sottoposte alla conoscenza di S. M. il Re medesimo se sono credute degne di un tal onore, sono incoraggiato a parlare con l’istessa franchezza che ho spiegata nel mio rapporto del mese di gennaio passato, persuaso che si conoscerà, che ciò nasce da un sentimento sacro di dovere e di un sincero desiderio per il ristabilimento permanente della tranquillità pubblica. Per maggior chiarezza ho posto in articoli i miei deboli pareri e li sottometto nel seguente ordine.

N. 1 (Copio il sunto ch'è nel il margine col parere del Direttore di Polizia).

Indulto generale per tutti quelli che fanno parte delle criminose associazioni settarie, meno per i principali fautori, imputati di omicidi o altri gravi misfatti. Questa misura farebbe sparire quello stato d’incertezza tormentoso pe’rei e pegli innocenti. Non ammettersi denunzie insino al prossimo agosto sopra i delitti di associazioni. Non farsi menzione degli esclusi nell’indulto e nella menzione ma disporsene la persecuzione, l’arresto e la punizione almeno con l’esilio dal luogo della loro attuale dimora.

Cautela essenziale è di non attaccare la provincia in generale essendo il male nel basso popolo istigato da pochi.

Chi l’ha cercato ne’ possidenti ha ingannato il governo e se stesso.

Parere del Direttore. �" Indulto generale non si giudica a proposito, perché si allarmerebbe l’estero per le ragioni di questo provvedimento. Sua Maestà non ostante potrebbe avere la clemenza di permettere che si scriva a Church, che faccia sentire in suo nome a tutti coloro che si credono colpevoli che la M. S. oblia il passato fino al presente momento. I principali fautori poi imputati di omicidi ed altri misfatti, potrebbero essere tradotti ai Tribunali. Per lo denunzie siccome agosto è al suo termine, così non occorre alcun provvedimento.

Segnati: Circello.

De Medici.

Tommasi.

Naselli.

Nugent.

N. 2. De’ Cancellieri, R. Giudici o supplenti alcuni sono stati complici de’ disordini, altri deboli o indolenti. Quindi la necessità d’una Giunta di Scrutinio perché dietro l’avviso della stessa i colpevoli siano so non puniti, almeno destituiti o trasferiti altrove.

Parerò del Direttore. �" S. M. potrebbe degnarsi disporre per la via della giustizia che la Giunta fosse quella medesima che attualmente esiste presieduta però da Church.

N. 3. La stessa misura pe’ Sindaci.

Parere del Direttore. �" S. M. potrebbe disporre che Church mettendosi d’accordo coll’Intendente ne proponga la destituzione.

N. 4. Il Clero della provincia estremamente corrotto e depravato ha preso parte attiva ai più atroci misfatti. Sono gli ecclesiastici i più pericolosi nemici del Sovrano e dello Stato. Tutti i preti riconosciuti per seduttori del popolo e despoti de’ paesi, dovrebbero togliersi da colà se si vuol sperare tranquillità e subordinazione al Governo.

Parere del Direttore. �" Il Vescovo rispettivo potrebbe chiamarli al dovere secondo la nuova Polizia in conseguenza del Concordato, intanto i più famosi e marcati potrebbero essere arrestati e mandati qui, badando che il numero non sia eccedente.

N. 5. E indispensabile il sollecito invio de’ Vescovi alle sedi vacanti, ma siano questi dotati di somma prudenza e preceduti da una buona riputazione.

Lecce sopratutto ne sente il bisogno, essendo quel Vicario Capitolare molto pericoloso e il Capitolo scisso in due partiti.

Parere del Direttore. �" S. M. potrebbe avere la clemenza di provvedere colla possibile celerità alle sedi vacanti.

N. 6. Pel ricupero delle armi che restano tuttavia presso i settari, convorrebbe che i capi delle Diocesi facessero sentire non essere accordato il perdono che a coloro i quali avranno consegnate le loro armi ad un confessore. I confessori destinati a questo incarico dovrebbero essere d’una morale pura e di ottima riputazione.

Parere del Direttore. �" Potrebbero i capi delle Diocesi far predicare la restituzione delle armi proibite nel modo come propone per mezzo dei confessori.

N. 7. Converrebbe comprare le armi di ogni specie da’ loro detentori, le utili sarebbero impiegate per le guardie e milizie provinciali. Questa operazione dovrebbe affidarsi ad una commissione composta di autorità civili e militari. Severa esecuzione delle leggi penali contro i detentori di armi proibite. Pe’ fabbricanti e asportatorì delle stesse bisognerebbe esacerbare la pena, con determinazioni transitorie, sino alla morte. Si chiamerebbero i permessi d’arme e si rilascerebbero con economia e prudenza.

Parere del Direttore. �" Potrebbero comprarsi le armi da fuoco adatte alla truppa e sciabole. Gli ordini per lo acquisto di dette armi potrebbero esser dati dal Capitano Generale. S. Maestà potrebbe passar gli ordini suoi al Ministro di Giustizia per proporzionare una pena più severa per. la fabbricazione e asportazione di armi senza la dovuta autorizzazione. Per i permessi d’armi che propone richiamarsi sembra che non sia necessario avuto riguardo alla piccolezza del numero di essi: 248 ne ha dati il Ministero di Polizia a richiesta dell’Intendente, 13 il Direttore. Si potrebbe rimettere a Church nota dei suddetti permessi perché vi porti le sue osservazioni.

N. 8. Essendo le prigioni ingombre di detenuti, tra i quali gemono senz’altro degli innocenti, è necessario un truglio per separare i giudicabili, da coloro che han diritto alla libertà.

Parere del Direttore. �" Non si crede necessario, poiché il novello Procuratore Regio col suo noto zelo e attività metterà in corrente tutti gli affari. Potrebbe il Ministero di Giustizia particolarmente incaricarglielo e lasciare all’arbitrio del medesimo Procuratore Regio proporre il truglio quando lo crederà opportuno.

N. 9. Bisogna allontanare dal Regno i vagabondi e facinorosi, cause principali de’ disastri passati.

Questa misura è comandata dal bisogno di conservare l’ordino o dalla giustizia dovuta ai pacifici cittadini. Non se ne sono airestati di più por mancanza di locali e di truppa per custodirli.

Questa misura agevola i mezzi per allontanare dalle Comunità tutti i più rinomati capi di società rivoluzionarie poi quali sarebbe inutilmente impiegato ogni atto di Sovrana clemenza por farli unirò ai pacifici e subordinati sudditi di S. M.

Parere del Direttore. �" La leggo conosco il vagabondaggio, si potrebbero fare i processi secondo le norme di quelle o rimettersi ai Tribunali. Idem poi facinorosi.

Por tutti i capi di sètte poi, che propone allontanare facendo eccezione al progetto N. 1, S. M. potrebbe permettere che so gli chiedesse una nota di tutti, perché se il numero fosse esorbitante non si avrebbe ove inviarli, essendo ricusati dall’Estero. Questa nota colle osservazioni servirebbe a scegliere i più famosi e punirli economicamente.

N. 10. Essendosi arrestati ed inviati a Napoli i capi rivoluzionari della provincia converrà presto decidere la loro sorte. Ove piacesse a S. M. risparmiar loro la vita è di tutta necessità cacciarli dal Regno e rimanere imprigionati ove piacerà il Sovrano.

Capo egualmente rivoluzionario era il famoso, ora profugo, Pennetti. Bisognerà emettere ordini di arresto tanto in Napoli che fuori i Reali Domini, portarlo sulle liste di fuorbando e comminare severissima pena contro chiunque l’assiste.

Parere del Direttore. �" S. M. potrebbe disporre che sieno mandati alla Favignana in Carcere, non al fosso, sotto chiavi però, e con severa vigilanza perché non scrivano e ricevano lettere. Pennetti potrebbe essere dichiarato fuor bandito od adottarsi il di più intorno a ciò.

Il premio per la distruzione di Pennetti potrebbe essere di ducati 400.

Potrebbe scriversi contemporaneamente a Church che, per cautela e pruova della legittimità degli arresti, unisca tutto le carte che riguardano ciascuno di essi, sieno rapporti, deposizioni di testimoni, documenti, ecc., senza alcun legame di formalità e questo incartamento lo rimetta alla polizia per documento delle disposizioni dato.

N. 11. I forti di Brindisi e Taranto essendo di prima importanza sarebbero dichiarati piazze d’armi. Ad evitare poi i continui conflitti tra i sottointendenti e le autorità militari potrebbero traslocarsi i primi in altre residenze, almeno quello di Brindisi in Mesagne, sede altre volte della SottoIntendenza.

Il castello di Lecce deve tenersi in buono stato e la compagnia di Fucilieri Reali portarsi a compagnia di prima classe lasciandovi una forza di linea per qualche tempo non minore dell’attuale e distribuendola sopra varie punte della divisione nella certezza che la provincia istessa di Bari non manca di Patriotti Europei e di Filadelfi.

Parere del Direttore. �" S. M. potrebbe passar gli ordini suoi al Capitano Generale per tutto ciò che concerne fortificazione e forza di linea ed al Ministero dell’Interno per la traslocazione della Sotto-Intendenza di Brindisi.

S. M. potrebbe infine avere la clemenza di manifestare a Church la sua Beale soddisfazione pei risultamenti felici della sua fermezza e giustizia, che dee essere in ogni occasione adoperata allorché il bisogno dello Stato ed il bene pubblico lo esige. I riguardi e le considerazioni disconvengono ad un Governo giusto e forte.

Segnati: Circello, De Medici, Tommasi, Naselli, Nugent, li 18 agosto 1818.

S. M. lo ha approvato e vuole che degli stessi elogi partecipano coloro che han contribuito allo scoprimento di quanto viene riferito da Church. Segnato Circello.

(Proseguendo il rapporto del Church).

Parte 3a. �" Poco altro mi resta di aggiungere, nel mentre che dimando scusa per aver presentato un così lungo rapporto, ma volevo soddisfare la mia coscienza nel fedel discarico di un importante servizio, affidato ai miei deboli talenti dall’immeritata bontà del Sovrano e dei Ministri. Ho creduto bene esporre al Governo il vero stato della Provincia di Terra d’Otranto nel passato anno, e nel principio di questo, analizzando i disordini che la rovinavano, e la mettevano nel pericolo di essere inondata di sangue; il pericolo di tale tragedia io credo e spero passato, e per consolidare definitivamente la tranquillità pubblica raccomando caldamente questo rapporto all’attenzione e considerazione di S. M. e de’ suoi Ministri, affinché dalla loro saviezza vengano ordinate le dovute misuro per un così felice e permanente risultato. Nei miei rapporti dopo i fatti succeduti ho informato il Governo de’ miei movimenti militari nella divisione, dal momento elio si distaccò dallo rivo dell’Ofanto, dopo la lettera ricevuta dall’Intendente in cui diceva che non rispondeva più della provincia fino all’arrivo del Quartior Generalo in Lecco, od indi lo susseguenti operazioni dolio Colonne mobili in questa provincia pel ristabilimento della tranquillità pubblica, in quest’operazione spero che S. M. avrà riconosciuto con quanto zelo, fedoltà o coraggio lo suo truppo si sono prostate nel Bealo Servizio. Io ardisco diro che hanno ben servito il Sovrano.

2° S’è troppo lungo questo rapporto ò stato però importante di mettere il vero quadro della provincia avanti gli occhi dol Sovrano, e de’ suoi Ministri acciocché non s’ignorasse cosa alcuna, riguardante la medesima, sviluppando chiaramente ciò ch’è interessante sulle sciagure che hanno disturbato per tanto tempo il suo riposo. Se in questo dettaglio manca qualche cosa per renderlo più chiaro, sarà stato effetto di dimenticanza da parte mia nel momento di scriverlo, però credo che non resta altra cosa d’importanza d’aggiungere, ma se in caso il Governo di S. M. desidera maggiori lumi, farò io il possibile per contentarlo; non ostante che credo che il più fedele quadro dello stato passato o presente della Provincia è quello che in questo rapporto si trova presentato.

Spero di aver fatto il mio dovere in luogo di allontanare i cuori dal Trono, ho cercato il modo che tutti lo considerino come il palladio della felicità pubblica e privata. Ho respinta la calunnia e cacciata l’infame classe dei denunzianti, e così facendo ho aperta alla verità la strada per penetrare agli occhi delle Autorità in cui S. M. aveva affidato una così sacra fiducia. Nemico di partiti ed imparziale a riguardo di tutte le classi dei sudditi del Re, ho incoraggiato tutti a servirlo bene e di cuore, nel mentre che la mano della giustizia cadea terribilmente e senza pietà sopra i malfattori e spargitori di sangue umano e giammai sull’ipse dixit di un denunziante è stato castigato un pacifico suddito di S. M.

Conclusione (sunteggiando). �" La classe dei possidenti merita ogni elogio, ed ha diritto alla protezione del Governo per avere con tutti i mezzi o con lodevoli sforzi cooperato al ritorno dell’ordine.

La storia dei cennati avvenimenti e le misure proposte indicano essere questo il momento da consolidare la tranquillità della provincia la quale è stata già riacquistata. Chiedo venia della lunghezza del rapporto e degli errori perché non scritto nella propria lingua.

Era mio dovere menare gli affari fino a questo punto, e adesso quello del Governo è di scegliere i mezzi per assicurare la futura tranquillità e subordinazione di queste belle ed estesissime provincie.

Il Generale Comandante la 6 Divisione Militare Commissionario del Re coll’Alter Ego dell’Ispettore Generale delle Truppe Estere.

Firmato.

E. Church.

(Tra le carte rimesso al Ministero di Polizia, sono fogli a carico dei detenuti Castelli, dell’arciprete Valsano di Surbo, del Prete Michele Leggieri, di Francot, dell’arciprete Cirino Ciullo di Cocumola e del Vicario Vergine di Corigliano. Sono anche biglietti a stampati incendiari che cominciano “Da tutti gli angoli del Regno„).






































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