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GUERRA AD ORIENTE

dalla guerra di Crimea alla guerra d’Ucraina

Zenone di Elea

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LA GUERRA DI CRIMEA (1853-1856) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO

L’ho già scritto anni fa e lo ribadisco, per me l’Italia nacque in oriente, in Crimea (1). Cavour ebbe la intuizione e la determinazione di credere che partecipando insieme a Inghilterra e Francia alla guerra dei Turchi contro la Russia (2), avrebbe avuto l’occasione di porre la questione italiana all’attenzione delle grandi potenze europee. Anche se alcuni parlamentari – come Solaro della Margarita (3) – intervennero contro la partecipazione alla guerra d’Oriente, alla fine la proposta venne votata dalla maggioranza del parlamento subalpino.

Mentre Ferdinando II si crogiolava nella illusione di essere ben difeso dall’acqua santa e dall’acqua salata il regno sabaudo dimostrava di aver ben chiari i propri obiettivi:

“Dunque il regno dell'Alta Italia, anche nel linguaggio diplomatico, è giusto perché solennemente voluto dalle popolazioni che lo compongono. È utile, anche nel senso democratico, perché una stabilisce forza preparatoria alla confederazione italiana, unico sistema attuabile nelle difficoltà dei tempi presenti. È facile ad ottenersi perché necessario ad un ragionato equilibrio, e perché un tal regno, estinguendo il fomite principale delle rivoluzioni italiane, concorrerebbe allo stabilimento della pace europea impossibile a durare senza il favore delle nazionalità. Se a questi validi argomenti uniamo la volonterosa alleanza e la spedizione dei nostri quindici mila soldati, il nostro ingrandimento non può fallire, se non vogliamo disdire le conseguenze ad un principio che non si può negare. […] Dunque ben si apponeva il Presidente del Consiglio ministeriale dicendo che la neutralità è un assurdo, e per necessaria conseguenza ragionevole il trattato, il quale essendo ragionevole, è anche giusto, avvegnaché Dante dimostra che dove è 'la ragione vi è pure la giustizia. Con tutto questo replicano gli avversarii che se la neutralità è possibile a Napoli, alla Toscana, alla Svizzera, e via dicendo, debb’essere possibile anche a noi. Rispondo: Nessuno di tutti quegli Stati ha i nostri antecedenti politici, nessuno ha una situazione eccettuativa come la nostra dirimpetto all’Austria, che pone la nostra alleanza quasi per condizione alla sua colle potenze occidentali. Fra i dispiaceri che ostentano quelli che intendono a disservire il governo negli ultimi negoziati con Francia e Bretagna, vi è la partenza dei nostri quindici mila guerrieri destinati a far parte di una lotta in cui finora fecero mala prova duecento mila tra francesi, turchi ed inglesi.” (Francesco Rovelli )

Le elites sabaude sentivano quasi come un diritto divino (4) quello di dover lottare per la indipendenza e la unità dell’Italia, liquidando i i sovrani dei vari stati.

Fanno sorridere certe argomentazioni inerenti le scelte russe che pur di dominare nel Mediterraneo avrebbero sobillato i Greci contro la dominazione turca, quasi che Inghilterra e Francia invece si battessero non per i propri interessi bensì per il benessere dei popoli!

“Anche in Inghilterra ogni giorno maggiormente cresceva la simpatia verso la Turchia; la sua causa era propugnata dai giornali di ogni colore con molta energia. Venuto al potere Lord Palmerston, aveva al Parlamento sostenuto vivamente i diritti minacciati della Porta. Le cose si erano condotte al punto che la dichiarazione di Guerra alla Russia per parte delle potenze occidentali non poteva più sospendersi senza compromettere la loro dignità ed i destini d'Europa. Perciò il tredici febbraio 1854, si firmava un trattato di alleanza offensiva e difensiva tra le suddette potenze e la quelle si impegnavano a sostener la Turchia colla forza delle armi fino alla conclusione di una pace, che assicurasse l'Indipendenza dell'Impero Ottomano e l'integrità dei diritti del Sultano. E la Turchia impegnavasi a non firmar atti di pace senza il consenso delle suddette due potenze; le quali obbliavansi dal canto loro, conchiusa la medesima, di ritirare le loro truppe da ogni luogo dell'Impero. Cominciarono dopo la ratifica del trattato suddetto le spedizioni delle truppe alleate. Lasciammo di accennare come la Russia per rendere ai Turchi maggiormente difficile la guerra suscitasse la insurrezione dei Greci soggetti alla Turchia, e la favorisse con armi e con danaro; e come pure insorgessero la Bosnia e Servia ed altre provincie dei Principati Danubiani dietro influenti mene della Nordica potenza. Il grido di Indipendenza e di Libertà aveva coraggiosamente risuonato, e trovato eco spontaneo in Grecia, terra Hassica per virtù, per scienze, per arti, per gesta gloriose. Quantunque nella maggior parte della Grecia soggetta alla dominazione ottomana i sentimenti di amor patrio e di indipendenza siano stati soffocati dall’abrutimento sotto un giogo di molti secoli; e che degli antichi costumi e carattere, e della antica grandezza non si trovi altra impronta che nei Monumenti, i quali sfidarono il tempo; tuttavia tanto on potè il servaggio da cancellare in quel popolo la memoria della sua prisca origine. Un popolo che come il greco abbia avuta un'origine gloriosa e che la mantenga nel suo pensiero inobliata non può prescrivere sui suoi diritti, non può morire al civile progresso. Alla minima scossa si desta; ad una voce generosa risponde col vigore di tutte le sue forze; e tardi o tosto tornerà ad occupare fra le nazioni incivilite l'antico suo seggio. La Russia comprendeva come fosse facile in un popolo simile con piccola scintilla destare un grande incendio. Fece suonare in mezzo alla generazione schiava la parola magica, ed essa si scosse; ne aiutò i moti col danaro e coll’armi; in un momento gran parte della Grecia si trovò sul campo a combattere per la propria indipendenza. […] La Russia comprendeva come fosse facile in un popolo simile con piccola scintilla destare un grande incendio. Fece suonare in mezzo alla generazione schiava la parola magica, ed essa si scosse; ne aiutò i moti col danaro e coll’armi; in un momento gran parte della Grecia si trovò sul campo a combattere per la propria indipendenza.” (Cfr. Brevi cenni storici e geografici sopra la guerra d'oriente - la Crimea e Sebastopoli, Torino, 1855)

Cavour scelse di stare dalla parte degli alleati e della Sublime Porta inviando un corpo di spedizione di 15.000 uomini a combattere contro la cattolica Russia. Non mancarono problemi di “convivenza” tra le truppe di un piccolo stato come il Regno di Sardegna e le truppe alleate. Alessandro Lamarmora, prima dell’imbarco a Genova, inutilmente aveva cercato di farsi dare delle dritte precise in merito alla condotta da tenere.

In quel giorno era a Genova il conte di Cavour, che accompagnò La Marmora fino allo scalo d’imbarco, conversando con lui in modo animatissimo. La Marmora voleva istruzioni precise sul modo di regolarsi col comandante delle truppe inglesi, del quale non amava essere né figurare dipendente. Sul punto di lasciarsi La Marmora gli domandò risolutamente: «ma insomma mi vuol dare queste benedette istruzioni?» Al che Cavour rispose: «ingegnati»). Indi abbracciandolo soggiunse: «Fortuna a te, ai nostri soldati, al paese».

[…] Questo piano, sostenuto dal generale Pélissier (anche prima di essere comandante supremo) nelle riunioni dai generali a cui abbiamo sopra accennato, era stato in massima accettato da tutti, e si era anche convenuto che la prima delle operazioni esterne sarebbe stata una grande ricognizione nella valle del Baidar. Di quelle riunioni e di questa decisione cosi parla il generale La Marmora in un suo rapporto del 19 maggio: «Al mio arrivo si tenevano, quasi ogni giorno, delle conferenze, alle quali assisteva anche Omer Pascià e ad una delle quali ho assistito anch’io, e dopo molti dissensi venne combinato un movimento offensivo contro il nemico che tiene la campagna; movimento a cui le mie truppe non potranno prendere parte, in qualunque direzione esso si compia, per essere incomplete finora di forze e di mezzi.» Cosi scriveva La Marmora il 19; se non che la mutazione avvenuta appunto in quel giorno nel comando del corpo francese, le modificazioni che il nuovo comandante volle introdurre nei particolari del movimento e sopratutto due combattimenti ch’ebbero luogo sotto Sebastopoli, fecero ritardare l’operazione fino al 25, sicché le nostre truppe poterono prendervi parte, come diremo in appresso.

[…] «S. E. lord Raglan ha fatto esprimere verbalmente al nostro quartier generale la cattiva impressione, che farebbe alle truppe piemontesi una ricognizione eseguita davanti al loro fronte senza il loro concorso, ed ha espresso il desiderio che gli fosse fatta proposta di concertare queste operazioni su di una base soddisfacente per una parte e per l’altra. In tale situazione è stato proposto a lord Raglan di presentare un piano che concili tutti gl’interessi».

[...] «Io ignoro quali consegne siano state date dalle autorità inglesi, ma non vi nascondo, signor colonnello, che i modi con cui, di regola generale, si fanno osservare, sono tali da sollevare una profonda irritazione fra i nostri ufficiali e i nostri soldati. «Ho creduto che nell'interesse comune fosse mio dovere di segnalarvi gl’inconvenienti, che hanno forse ancora poca importanza, ma che, col tempo, potrebbero assumerne disgraziatamente molta». Nei documenti non si trova risposta a questa lettera; forse non ne fu fatta e vennero date soltanto spiegazioni a voce. È certo però che, dopo questa lettera, il contegno degli agenti inglesi nel porto di Balaclava si è alquanto modificato e non diede più luogo a gravi lagnanze. Ma non bastavano i francesi e gli inglesi; ci si aggiunsero i turchi. Omer Pascià non era contento della posizione assegnata alle sue truppe, un poco avanti,. un poco indietro nella valle del Baidar, secondo che comodava ai francesi, ed ultimamente passate in seconda linea. Egli avea posto gli occhi sulle posizioni di Kamara, ch’erano un posto d’onore ed ormai un nido fatto. Non cessava pertanto di brigare presso i comandanti francese ed inglese, perché quel posto gli venisse assegnato. (La spedizione sarda in Crimea nel 1855-56, Cristoforo Manfredi, 1896)

Oggi l’Italia – a volte ignorando del tutto la storia, come un illustre ex-ambasciatore che in Tv ha collocato la guerra di Crimea nell’anno di grazia 1848 – si trova dalla stessa parte dei Piemontesi di allora ovvero contro la Russia. Magari con qualche ragione in più, visto che la invasione del territorio ucraino è un dato di fatto, al di là di qualsivoglia riconoscimento delle buone ragioni degli invasori. Mentre allora si decise di andar contro la Russia per mero interesse di bottega; portare all’attenzione dei grandi d’Europa la “questione italiana” e il ruolo del Piemonte.

La mancanza di cultura storica (o probabilmente eccessiva acquiescenza verso gli US) ed anche una certa arroganza ha portato i nostri attuali governanti a improvvide dichiarazioni – minando cosi la possibilità futura di svolgere un ruolo di mediazione da parte dell’Italia –, e si son buttati alle ortiche decenni di sapiente diplomazia democristiana. Sottovalutando la diplomazia russa e ignorando che essa ha una grande tradizione (5).

Sulla attuale guerra d’Ucraina siamo circondati da una palude di informazioni di gente schierata su fronti opposti, che finisce per parlare solamente di combattenti, dimenticando la dimensione umana del conflitto. Il mestiere di servi lo si fa in genere perché si è pagati da qualcuno, con danaro o con posizioni di prestigio. Altre volte per semplice adesione al sentire della maggioranza (6), per una sorta di comoda pigrizia. Son poche le persone che cercano di entrare nel cuore delle cose per svelarne il senso profondo.

Due persone mi hanno colpito in questi novanta giorni di combattimenti: un prete (Julian Carron) ed una giornalista (Giusy Criscuolo).

Julian Carron, in una sua lettera al Corriere della Sera (7) sottolinea la reazione degli ucraini ad una palese ingiustizia da parte di un potere esterno (8). Spiegando così, semplicemente, ciò che ha sorpreso fior fiore di analisti ed esperti di geopolitica.

Jusy Criscuolo è una giornalista di guerra che – intervistata su La7 – nel suo resoconto racconta come è riuscita a vincere la diffidenza dei combattenti ucraini, mettendosi in un angolo ad osservare ciò che accadeva invece che insistere con modi invadenti a fare domande. A quel punto furono gli stessi combattenti a interpellarla, dando inizio ad un rapporto che la portò a dialogare con essi, riuscendo finanche a fare delle riprese ad uno dei bunker più capienti della zona in cui si trovava.

Noi possiamo pure riconoscere ai russi delle buone ragioni per quello che chiamano “operazione speciale”, ma resta il principio della invasione di un territorio e della reazione di avversione di coloro che lo abitano. Il principio «ma 'a terra è 'a nosta e nun s'adda tucca'» (9) vale in qualsiasi latitudine ed in qualsiasi momento storico, non solo quando ci fa comodo.

Gli organismi internazionali dovrebbero però vigilare sul diritto alla autodeterminazione dei popoli e non girarsi dall’altra parte a seconda degli attori in campo. Plaudire solo quando si esporta la democrazia e condannare in tutti gli altri casi non è il modo migliore per conservare la pace nel mondo.

Questa invasione andava evitata trovando un punto di compromesso che prevedesse:

In tal modo si sarebbe ottenuto un risultato duplice, mettendo all’angolo nazionalisti estremisti e le frange naziste da un lato, togliendo argomenti agli estremisti filorussi del Donbass ed in Crimea dall’altro.

Si sarebbe potuto ottenere un simile compromesso? Probabilmente si. Chi ci sarebbe riuscito? Solamente una trattativa tra Nato (USA) e Federazione Russa. Non certamente gli ucraini da soli – essendo direttamente troppo compromessi nelle diverse controversie, non ultima quella fra “eredi” del banderismo delle zone occidentali ed “eredi” del sovietismo delle zone sud-orientali.


NOMI DE' PLENIPOTENZIARJ – Parigi 1856
NOMI DE' PLENIPOTENZIARJ – Parigi 1856
Rango in piedi
1. Co. Benso di Cavour
2. March. di Villamarina
3. Co. di Hatzfeldt
4. Sig. Benedetti Segret
5. Mehemmed-Djémil-Bey.
6. Il Barone di Brunnow;
7. Bar. di Manteuffel
8. Co. de Buol
Rango seduti
1. Bar. de Hübner
2. S. A. Aali Pacha
3. Co. di Clarendon
4. Co. Walewski
5. Co. Orloff
6. Bar. di Bourqueney
7. Lord Cowley



(1) In Crimea nacque l’Italiella - L’inizio dei misteri d’Italia passa per l’oriente, Zenone di Elea, 2014.

(2) “Come io vi diceva, le grandi preponderanze di casa d’Austria, di casa di Francia, e del primo napoleonide, sono sparite; ma dopo di esse una ne sorse, e la più temibile, la preponderanza russa. [...] Non fu praticando esclusivamente la grande politica, permanente, la politica obbiettiva, che noi abbiamo dato maggior consistenza alla nostra nazione, ma fu appunto valendoci delle circostanze che ci si offerivano per adoperare la politica transitoria colle guerre anche di poesia. Fu con esse che noi abbiamo posto il fondamento della nostra influenza italiana, dopo che noi abbiamo costituito il vecchio Piemonte col quale in seguito abbiamo ottenuto Saluzzo, Asti, Vercelli. [...] Imperocché, o signori, la politica puramente obbiettiva della Russia non è mica quella di scendere per ora in questa prima guerra nel mezzogiorno di Europa. Quando essa riuscisse a sovrapporsi alle potenze alleate, non sarebbe verso l'Italia che essa si dirigerebbe, ma in Oriente dove è la via che le han segnato Pietro il Grande e Catterina. [...] Si è anche detto: ma voi avete fatto un trattato in cui sono stipulati sacrifizi, ma non sono stipulati i compensi. Per verità questa difficoltà è facile ad essere appianata. Primieramente, o signori, quale è lo scopo della convenzione a cui noi abbiamo acceduto? Certamente non è quello di abbattere il colosso russo e di dividerne le spoglie; lo scopo è di frenarne l’ambizione e di limitarlo in certi dati punti. ” (Generale Durando, Camera dei deputati, seduta del 3 febbraio 1855)

“Questi sono i principii che rispetto a quelli della civiltà occidentale, noi possiamo a ragione chiamare barbari, e questi sono i principii, contro i quali a ragione si solleva la civiltà occidentale. Per la qual cosa io argomento, che la questione per se stessa gravissima di equilibrio europeo, si implica in una questione di resistenza della civiltà occidentale. Né vale il dire, che forse quella tal civiltà semibarbara, o barbarie semicivile, che l’impero russo porta in suo grembo, possa essere in un avvenire lontano chiamata a risanguare questa civiltà occidentale che invecchia e si corrompe. Ciò potrà essere nei reconditi disegni della Provvidenza, ma, o signori, se lo speculare nel lontano avvenire questi reconditi disegni, può essere ufficio molto utile della filosofia civile, non è ufficio degli statisti, i quali se non debbono guardare troppo corto, non debbono nemmeno guardare troppo lontano, ma debbono cercare di vedere quali siano i mali più prossimi ed urgenti, a cui si debba portare rimedio. Ora io dico, che i mali più urgenti e prossimi, sono ed il grande disquilibrio minacciato dalla Russia, che mira a Costantinopoli, perno di ogni equilibrio europeo, ed i principii sopraccennati co’ quali minaccia la nostra civiltà occidentale. Se voi guardate in Oriente l’impero russo, voi vedrete come dopo le guerre napoleoniche, esso abbia or coll’armi, or cogli accorgimenti, or colle sollevazioni, cercato di estendere la propria dominazione.

Ricorderete, come ieri l’onorevole presidente del Consiglio accennasse al carattere cavalleresco e generoso dell’imperatore Alessandro; ma eziandio ricorderete come si debba all’imperatore Alessandro il mistico trattato che fu detto della santa alleanza, il quale fu divisato pel trionfo di quel sistema russo che ho cercato di colorire. Diffatti a quel modo, che pel trattato politico del 1815, l’impero russo restava fuori del consorzio europeo, cosi per il trattato della santa alleanza, nel tempo in cui tutti i popoli erano dati in piena balia dei principi legittimi, veniva lasciata libertà ai greci di scuotere il giogo dell’impero, riputato illegittimo, del turco. Quindi è che nel tempo stesso, in cui l’imperatore Alessandro ad Aquisgrana faceva sancire il trattato iniquo dell’intervento armato dei grandi imperi negli Stati piccoli, ogni qualvolta fossero sollevati a novità; nel tempo stesso che a Troppau, a Leibach, a Verona, Alessandro faceva effettuare questo principio di intervenzione sancito in Aquisgrana, egli soffiava nella rivoluzione greca; e si serviva del sentimentalismo un po’ cristiano, un po’ liberale dei popoli occidentali in favore della Grecia, per accrescere la propria influenza, e la propria preponderanza in Oriente, e non già per costituire una nazione greca forte, indipendente di sua ragione, ma per acuirne la voglia nei popoli, per tenervi acceso quel fuoco che non bastasse a dar libertà, ma si giovasse a consumare a poco a poco l’impero turco. Questa era l’opera dello Czarismo nei primi anni della ristorazione, […] Noi, portando le nostre armi sui campi orientali, vi portiamo le forze di uno stato libero e ferino nella sua libertà, nel mentre che altri stati infermi per assolutismo se ne stanno paurosi ed appartati; noi vi portiamo, o signori, la riputazione e la forza di uno stato italiano costituito, e fortemente costituito; noi vi portiamo un simbolo nazionale costituente: oh! lasciatemelo dire! (Con forza) noi andiamo col Piemonte vessillifero a battezzare l’Italia in mezzo al fuoco del cannone europeo.” (Cfr. CAVALIERE L. C. FARINI, Camera del 7 febbraio 1855).

(3) “Duolmi nondimeno che si abbia a combattere una potenza, i cui beneficii, fin da quando la Corte di Sardegna stabili con essa diplomatiche relazioni, non posso dimenticare. Sappiamo pur tutti che in tempo di luttuose circostanze scese l'esercito russo in Italia per difendere i diritti della Real Casa di Savoia l’indipendenza nostra. Severa e fredda la ragion di Stato fa tacer le memorie dei benefizii quando l’onore della Corona chiama altre considerazioni; quando il ben del paese lo richiede, la giustizia lo comanda; e poiché i ministri hanno consigliato il Re di aderire all'alleanza delle Potenze occidentali contro la Russia, conviene che l’onore, il bene del paese, la giustizia della causa che andiamo a propugnare, imperiosamente lo esigano; d’uopo è però che ci sia dimostrato onde il nostro voto sia una conferma di questi veri, e non sanzioni mai un principio contrario. Mentre la Danimarca, i Paesi Bassi, il Belgi mentre la Svezia, che avrebbe pure più d’ogni al Potenza a sperar vantaggio si mantengono neutrali mentre le Corti germaniche, malgrado l'influenza dell’Austria, vanno cosi a rilento a pronunciarsi non dubito che i Ministri non hanno preso, neppure indirettamente, l’iniziativa ed offerte le nostre armi agli alleati. Al tempo stesso vo scrutinando per qual motivo mai la Francia e l'Inghilterra hanno chiesto a noi, cosi lontani dal teatro della guerra, di aderire al trattato, e non piuttosto alla Danimarca che ha le chiavi del Baltico, e non piuttosto insistito a Stoccolma, ove la speranza di ricuperar la Finlandia doveva certamente arridere: tanto più potendo la Svezia disporre d’un esercito non men del nostro agguerrito, e di una ragguardevole flotta. La Svezia si scherni finora dal prender parte alla lega, e non adontarono le Potenze; perchè dunque noi ci affettammo di prontamente aderirvi? Alte considerazioni, io conchiudo, hanno mosso il Ministero. Noi entriamo a parte di una lite gigantesca; saremo avvolti in una guerra europea; il sangue dei nostri soldati sarà sparso in Crimea, e sulle rive del Dniester; per la prima volta la Croce di Savoia si darà sostegno dell'ottomana luna. ”. (Cfr. Discorso del conte Solaro della Margarita, Camera dei deputati, Tornata del 5 febbraio 1855)

(4) “Vorrebesi forse negare che l’opinione non preconizzi oggi il Piemonte come il difensore nato  dell'indipendenza  Italiana? E questa stessa opinione non si pronuncia ella forse per delle modificazioni liberali nel sistema dei differenti governi Italiani? L’occupazione quasi permanente che fanno varie potenze in Italia deve ella durerà per sempre? Non costituisce dessa uno stato deplorabile per i popoli? Puossi forse permettere al governo delle due Sicilie di conservare la stessa politica sebbene ella sia riprovata universalmente? E l’Austria non cerea forse di estendersi dappertutto? e di intervenire dappertutto? E quest’estensione, come noi l’abbiamo notato più sopra, dietro delle autorità competenti, quest’estensione, noi domandiamo, non offre forse un pericolo grave per la Sardegna e per le sue instituzioni? Si farà cessare l'intervento; ma allora converrà fare modificazioni nel senso liberale, e supponendo che i governi le adottino un istante, le adotteranno essi sinceramente? e l’Austria? e il Governo di Napoli? Si pensa forse che questi due governi vogliano convertirsi sinceramente al liberalismo per appoggiare simili modificazioni? No, senza dubbio!”

(Cfr. L'ordine militare di Savoia e la pace, considerazioni del conte Carlo du-Verger, Gazzetta militare, Torino 1856)

(5) “La riputazione che gode a giusto titolo la diplomazia russa, è dovuta in gran parte alla maravigliosa intelligenza con cui seppe attirare nel suo seno gl'ingegni distinti di qualunque paese essi fossero. La corte di Russia è stata una delle prime a comprendere che l'arte del negoziatore riposa sopra meriti troppo personali, perché abbia ad essere retaggio d'una casta privilegiata come suolsi in Inghilterra ed in Germania. I Nesselrode e i Ribesupierre innestarono alla diplomazia russa la sottigliezza dello spirito francese, e le fecero prendere i nobili modi della Corte di Versailles; i Pozzo di Borgo e i Capo d’Istria le hanno infuso la perspicacia e la destrezza italiana; i Slackelberg e i Meyendorff la perseveranza e la solidità tedesca. Il Barone de Brunnow figura onorevolmente in questa pleiade di stranieri che si sono distinti nel catalogo de' diplomatici di Russia.” (Cfr. Il trattato di pace di Parigi del 1856 e le convenzioni annesse, Venezia, 1856, pag. 134)

(6) “Solomon Asch è stato uno psicologo polacco naturalizzato statunitense, che realizzò una serie di ricerche ed esperimenti sul conformismo sociale e che tenne un celebre esperimento nel 1956 diventato famoso come: “Asch Conformity Experiment”. [...] L’esperimento rivelò che il 75% dei soggetti testati si adeguò almeno una volta alla pressione del gruppo e di questi, il 5% si adeguò ad ogni singola ripetizione dell’esperimento senza mai agire diversamente. Soltanto il 25% dei soggetti rifiutò di conformarsi alla maggioranza. Alla fine dei vari test, Asch chiedeva ai soggetti di fornirgli una motivazione per la decisione di conformarsi al gruppo e nella maggior parte delle risposte emergeva il desiderio di non essere giudicati dal gruppo o dallo sperimentatore.” (Federico Povoleri, Sub Limen, La tua vita è un inganno, Placebook Publishing & Writer Agency, 2020)

(7) Cfr. Julian Carron, “L’ingiustizia ha provocato la resistenza degli ucraini”, Corriere della Sera, 29 marzo 2022,

(8) Carron si rifà ad un passo di Don Lugi Giussani: «Non parliamo del potere perché abbiamo paura, parliamo del potere perché abbiamo a svegliarci dal sonno. La forza del potere è la nostra impotenza. [...] Comunque sia, noi non abbiamo paura del potere, abbiamo paura della gente che dorme e, perciò, permette al potere di fare di loro quel che vuole. Dico che il potere fa addormentare tutti, il più possibile. Il suo grande sistema, il suo grande metodo è quello di addormentare, di anestetizzare, oppure, meglio ancora, di atrofizzare. Atrofizzare che cosa? Atrofizzare il cuore dell’uomo, le esigenze dell’uomo, i desideri, imporre un’immagine di desiderio o di esigenza diversa da quell’impeto senza confine che ha il cuore. E così cresce della gente limitata, conclusa, prigioniera, già mezzo cadavere, cioè impotente». (L. Giussani, L’io rinasce in un incontro, 1986-1987)

(9) Verso del canto “Brigante se more”, facente parte della colonna sonora di uno sceneggiato televisivo in sette puntate “L'eredità della priora” di Anton Giulio Majano andato in onda sulla Rete 1 nel 1980. Lo sceneggiato era basato sull'omonimo romanzo di Carlo Alianello - che collaborò anche alla stesura della sceneggiatura – ed era ambientato in Basilicata (gli esterni vennero girati tra Melfi, il territorio del Vulture e Tito) durante il periodo del brigantaggio postunitario.

“Brigante se more” è diventato l’inno dei movimenti identitari meridionali ed è stato al centro di furibonde polemiche, al punto che vennero cambiati anche alcuni versi e fu messa in dubbio l’originalità della sua creazione (nel 1979) da parte di Eugenio Bennato e Carlo d’Angiò dei Musicanova.

Eugenio Bennato ne parlò in una intervista al “SannioQuotidiano(intervista del 24 settembre 2002) e in un suo libro "Brigante se more - viaggio nella musica del sud" edito da Coniglio, Roma, settembre 2010.

Alcuni anni fa mi scrisse anche una email invitandomi ad evitare polemiche nei confronti di coloro che mettevano in dubbio la originalità di “Brigante se more”.


La guerra di Crimea (1853-1856) - Elenco dei testi pubblicati sul nostro sito

1853
LETTRES SUR LA RUSSIE, LA FINLANDE ET LA POLOGNE PAR X. MARMIER
1855
CONDIZIONI INTIME E MISTERIOSE DELLA RUSSIA TRATTE DA DOCUMENTI AUTENTICI
1855
IL VERO AMICO DEL POPOLO - Domenico Venturini - 1855 (Gennaio-Giugno)
1855
IL VERO AMICO DEL POPOLO - Domenico Venturini - 1855 (Giugno-Dicembre)
1855
Sunto di geografia della Crimea e degli stati limitrofi illustrata da quattro carte diligentemente incise
1856
Discussioni alla Camera dei Deputati  del Regno di Sardegna - Trattato di pace - Parigi 30 marzo 1856
1856
La questione italiana al Congresso di Parigi nell’anno 1856
1856
La questione d’oriente - cause - andamento diplomatico - conchiusione della pace - protocolli e trattati
1856
Il trattato di pace di Parigi 30 marzo 1856 e le convenzioni annesse - seconda edizione
1871
La Russia e il trattato di Parigi del 1856 - Pensieri del cav. Pietro Esperson
1881
Il congresso di Parigi (1856) - Conferenza dell'on. comm. Giuseppe Massari
1882
Le guerre dell’indipendenza italiana dal 1848 al 1870 di Carlo Mariani
1891
Nicolas I et Napoléon III - Les préliminaires de la guerre de Crimée (1852-1854) d’après les papiers inédits de M. Thouvenel
1896
La spedizione sarda in Crimea nel 1855-56 narrazione di Cristoforo Manfredi compilata colla scorta dei documenti
2014
In Crimea nacque l’Italiella. L’inizio dei misteri d’Italia passa per l’oriente di Zenone di Elea

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Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)












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