RdS, 23-30 gennaio 2015
Ieri ero in quel di Milano, stazione centrale, dovevo attendere la Freccia Bianca delle 15:35 per Bari. Ne approfittai per leggermi un libro che avevo acquistato diversi mesi fa: Il declino del sistema bancario meridionale. Il caso del Banco di Napoli – di Emilio Esposito e Antonio Falconio, Edizioni scientifiche italiane, 2009.
Un testo che metterò in un posto di onore della mia biblioteca, accanto a Scarfoglio, Zitara, Capecelatro, Alianello. Il suo unico neo è la parte storica, in quanto non fa alcun cenno agli intrallazzi e alle scelte che portarono la Banca Sarda a diventare preminente nel sistema bancario quando il Banco di Napoli al momento dell'unità aveva tutte le carte in regola per divenire la maggiore banca dello stato appena costituito. Su questo aspetto consigliamo la lettura dell'ultima opera di Nicola Zitara: L'invenzione del Mezzogiorno, Jaca Book, 2011.
Sulla svendita della banca napoletana (la banca più antica della penisola checché ne dicano gli storici del MPS), Esposito e Falconio forniscono cifre difficili da confutare. Ne riportiamo alcune, in modo che gli interessati siano invogliati a leggerselo da soli il libro in questione. Mettiamo anche a disposizione dei nostri lettori gli atti parlamentari, tutti reperibili sui siti di Camera e Senato. Ne forniamo alcuni non presenti nell'opera scritta dai due autori, per dare una idea del clima di quegli anni, quando la questione meridionale stava per essere soppiantata dalla questione settentrionale.
Una severa ispezione della Banca d'Italia (durata undici mesi, dal febbraio 1995 al dicembre 1995) mette in luce le sofferenze del Banco di Napoli dando il via alla sua scomparsa come banca autonoma del meridione, facendoci diventare il territorio debancarizzato più grande d'Europa. Un eccesso di prudenza è stata definita col senno di poi la conclusione di quegli ispettori.
Qualche numero ci fa capire quali furono le conseguenze della ispezione, che avrebbe affossato il nostro banco, dopo oltre cinque secoli che lo avevano visto passare indenne fra le dominazioni di spagnoli, austriaci, francesi e sabaudi. Quel che non riuscirono a fare gli stranieri, lo fece la repubblica italiana nata dalla resistenza, con la costituzione più bella del mondo, che tanto piace a diversi neomeridionalisti.
Una cordata composta dalla Banca Nazionale del Lavoro e dall'Istituto Nazionale delle Assicurazioni (BN-Holding) acquista circa il 60 per cento del capitale del Banco di Napoli per la stratosferica cifra di 62 miliardi (sessantadue miliardi, avete letto bene)
Quota del 60 per cento
ceduta dal Tesoro a una cordata BNL-INA per 62 miliardi di lire! Elaborazione grafica eleaml.org |
Il San Paolo Imi acquista (attraverso una OPA totalitaria sulle azioni ordinarie del Banco di Napoli del 13 giugno 2000) il 56 per cento della quota del Banco di Napoli detenuta da BNL (detentore del 49% della BN-holding valutato 1,693 mld di lire) e INA (detentore del 51% della BN-holding valutato 1,829 mld di lire).
Se vi interessa il parere della CONSOB, in merito alla OPA lanciata dal San Paolo, eccolo: Comunicazione n. DAL/DIS/47878 del 16-6-2000.
Valutazione della
BN-holding (secondo il comunicato ufficiale del San Paolo, datato Torino, 13 giugno 2000) Elaborazione grafica eleaml.org |
Plusvalenze nette realizzate
da BNL-INA nel luglio 2000 (Cfr. Il declino del sistema bancario meridionale di Emilio Esposito e Antonio Falconio, pag. 129) Elaborazione grafica eleaml.org |
Il San Paolo Imi acquista la quota residua detenuta dal Tesoro (16,16 per cento del capitale sociale) nel Banco di Napoli. Ministro del Tesoro era Visco. Leggiamo nel LIBRO BIANCO:
“L’adesione all’OPA è avvenuta il 27 novembre 2000 e il regolamento dell’operazione di vendita il 1° dicembre 2000. L’incasso lordo a fronte della vendita di 321.984.676 azioni ordinarie, è stato pari a circa 956 miliardi di lire (493,73 milioni di €).?
Aggiungiamo qualche altro elemento:
nel “LIBRO BIANCO SULLE PRIVATIZZAZIONI - a pagina 14 Visco scrive: “Non era solo la grande pressione sul risanamento della finanza pubblica imposto dal Trattato di Maastricht a spingere verso le privatizzazioni, strumento prezioso per ottenere risorse utili ad abbattere il debito pubblico. Due eventi specifici ebbero un effetto diretto sull’irreversibilità del processo. Il primo fu il cosiddetto “accordo Savona-Van Miert - (1993), che permise allo Stato italiano di varare la ricapitalizzazione della siderurgia – allora in grave crisi – a patto di una sua privatizzazione. Il secondo, di portata ben più ampia, fu il protocollo, siglato nell’estate del medesimo anno, dall’allora Ministro degli Esteri, Beniamino Andreatta e da Karel Van Miert, Commissario europeo alla concorrenza. Il protocollo impegnava il governo italiano a ridurre l’indebitamento delle imprese pubbliche fino a portarlo a “livelli fisiologici, cioè a livelli accettabili per un investitore privato operante in condizioni di economia di mercato?. Questo processo avrebbe dovuto concludersi entro la fine del 1996. L’accordo raggiunto in sede comunitaria, inoltre, non consentiva più la garanzia illimitata dello Stato, in qualità di socio unico, sui debiti delle società controllate al 100%, in quanto fattore distorsivo della concorrenza. Ciò imponeva esplicitamente allo Stato italiano di cedere quote di capitale delle imprese pubbliche.?
il 14 ottobre 1996 - (GU Serie Generale n.242 del 15-10-1996) si decreta: “Art. 2 - Dismissione della partecipazione del Tesoro - Il Ministero del tesoro intende sollecitare offerte per l'acquisto della partecipazione che deterrà' nel Banco di Napoli a seguito della sottoscrizione dell'aumento di capitale di cui all'art. 1 del presente decreto, per un ammontare pari al 60% del capitale rappresentato dalle azioni ordinarie. Resta ferma la volontà del Tesoro di cedere quanto prima la residua partecipazione nel Banco di Napoli compatibilmente con le condizioni di mercato.?
il clima politico era assolutamente sfavorevole a tutto quanto accadesse al di sotto del Tronto, in parlamento deputati della lega nord contestavano pregiudizialmente qualsiasi disposizione si tentasse di fare per il risanamento dell'istituto partenopeo, riducendo il tutto ad elargizioni alla “banca della mafia?, per la quale avevano chiesto finanche una commissione parlamentare di inchiesta;
la banca d'affari Rothschild fu consulente dell'istituto guidato da Pepe anche per il piano di cessione dei 50 sportelli del Centro-nord che cambiarono le insegne (passando alla Banca popolare di Brescia);
il Banco di Napoli era sulla strada del risanamento tanto è vero che quello stesso anno, il 1997, avrebbe avuto un attivo di ben 142 miliardi – più del doppio, come fanno notare Esposito e Falconio a pagina 127 della loro opera, del prezzo pagato da BNL-INA per la quota acquistata;
il Banco di Napoli doveva parte delle sue esposizioni al fatto che durante l'era Ventriglia la Banca d'Italia gli aveva chiesto di anticipare alle imprese i soldi dei finanziamenti pubblici, quindi cifre che prima o poi sarebbero rientrate;
il 94 per cento delle esposizioni che avevano decretato la fine del banco sarebbero rientrate attraverso la bad bank nel giro di sei anni - i crediti dell’ex Banco di Napoli non si sono rivelati irrecuperabili nella severa misura a suo tempo certificata dagli ispettori della Banca d'Italia, solo che oggi a che serve saperlo?;
scrisse Fabio Massimo Signoretti il 14 giugno 2000, su Repubblica: “Con l'acquisto del Banco di Napoli, il gruppo San Paolo-Imi sale al vertice tra le banche italiane con attività finanziarie totali (raccolta diretta e indiretta) per circa 580.000 miliardi, di cui 230.000 di risparmio gestito, 180.000 miliardi di impieghi e una rete di 2.100 sportelli.?
Anche una persona assolutamente a digiuno in materia economica si potrà domandare quali siano stati i criteri analitici di valutazione economico-gestionale-finanziaria, utilizzati dallo stesso advisor, per pervenire al proprio giudizio di congruità, prima per una quota acquistata per 62 miliardi di lire nel giugno 1997 da BNL-INA e valutata 3600 miliardi di lire dopo circa tre anni!
Solo questi numeri sarebbero dovuti bastare per attivare una commissione di inchiesta, ma da noi vanno di moda solamente le inchieste sulla criminalità organizzata, inchieste che non hanno mai prodotto nulla di rilevante a favore delle provincie napolitane.
Tutto questo avveniva mentre al potere passavano uomini come Dini, Prodi e Ciampi e il circo di mani pulite – come argutamente scrivono da qualche parte – distraeva il popolo. In effetti questo fu un elemento che giocò a nostro sfavore, la nostra classe politica, già asservita per costituzione genetica al potere italiano, era oltretutto allo sbando per le inchieste che avevano azzerato i partiti nazionali, a cui essa era legata mani e piedi. Ci furono interventi, mozioni, interrogazioni parlamentari, fra cui quelle di Novi, ma occorreva una sinergia fra i parlamentari meridionali di vari schieramenti per difendere il Banco di Napoli e salvaguardarne l'autonomia.
Così non fu.
Il 31 dicembre del 2002 il Banco di Napoli cessò di esistere come banca autonoma.
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