L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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“…funere mersit acerbo”

di Antonio Orlando

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Siderno, 29 Ottobre 2005

Vi sono morti leggere come le foglie in autunno ed altre pesanti come macigni, diceva il presidente Mao; adesso mi permetto di aggiungere che ci sono morti che ti colpiscono con la forza di un fulmine e ti lasciano annichilito, sbigottito, atterrito. Tale è subito apparso l’assassinio del dottor Francesco Fortugno. 

Eppure mi si chiede, come cittadino, come calabrese, come uomo, di reagire, di assumermi la mia parte, per quanto infinitesimale possa essere, di responsabilità e di rispondere, anzi no, di ribattere e di farlo anche con forza e con determinazione. 

Senza neanche il tempo di elaborare il dolore? Senza neanche il tempo di rivolgere un pensiero ai suoi familiari, ai suoi cari, ai suoi amici, ai suoi collaboratori più stretti? 

Senza neanche manifestare un sentimento di umana pietà, di cordoglio, di solidarietà, di rifiuto di questa pulsione di morte che attanaglia la nostra società, che si sente progredita, sviluppata, ricca e corre, ogni giorno, nei modi più svariati, verso la morte.

E’ inutile mettersi ad elucubrare e a giocare a fare gli investigatori o gli improvvisati sociologi, per quanto raffinati possano essere i nostri ragionamenti, la trama delle relazioni politiche, sociali, economiche che stanno dietro un c.d. “omicidio eccellente” è talmente fitta ed ingarbugliata che difficilmente se ne verrà a capo. 

Non è rassegnazione e neppure resa; si tratta, purtroppo, di puro ed amarissimo realismo di chi non pensa che possa esistere un “Grande Vecchio” in grado di decidere e determinare le nostre sorti ed al quale, nel bene e nel male, possiamo imputare ogni azione.

Da anni ci siamo abituati ( o siamo stati abituati ?) a pensare che la criminalità – la grande criminalità – non ci riguardasse e ad ogni nuovo episodio di violenza ci siamo rassicurati dicendoci: sono cose che non ci riguardano, s’ammazzano tra di loro oppure tanto ne hanno fatto fuori uno dei loro, uno in meno in giro e via discorrendo. 

Ci siamo comportati così, probabilmente, per sopravvivere come il popolo degli Eloi; viviamo in un’altra dimensione, in una dimensione separata e staccata o, forse, facciamo finta di vivere fin chè ce lo lasciano fare assomigliando moltissimo in questo al personaggio del film “The Truman Show”.

Quand‘è che la sovrapposizione tra i due mondi si è trasformata in contaminazione ?

Quando la scala dei valori è stata stravolta, quando si è capovolta e la vita umana è diventata nulla; quando il miraggio della ricchezza, dei soldi facili e subito è diventato “progetto di vita”; quando ha prevalso una cultura di morte che nel disgregare la società, ci ha lasciati disorientati, smarriti, isolati.

Che differenza fa definire questo crimine “mafioso” o “politico” oppure “politico-mafioso”?

La mafia è politica o si preferisce dire che la mafia fa politica ed è, quindi, un soggetto che vuol essere tenuto in debito conto e vuol esprimere, nell’ambito del rapporto politico, la propria posizione. Per quanto aberrante possa apparire questa idea essa corrisponde alla realtà della Calabria, delle regioni meridionali e non solo di queste.

Siamo abituati a pensare al delitto politico come ad un crimine ideologico cioè motivato da forti – magari fondate – ragioni politiche ed ideali e per questo lo abbiamo sempre trattato, anche in caso di omicidio o addirittura di strage, come una componente della lotta politica a volte valutata perfino necessaria o opportuna. 

Rifiutiamo ora di pensare che l’omicidio possa far parte della normale lotta politica e non mettiamo in conto che la mafia e qualunque forma di criminalità organizzata utilizza gli stessi identici strumenti di qualsiasi organizzazione rivoluzionaria che intende sovvertire l’ordine costituito.

La mafia è una forza antagonista della società che, però, pretende non di sovvertire bensì di controllare la società civile o forse neanche questo interessa le organizzazioni criminali quanto di sfruttare tutte le possibilità, le occasioni, le opportunista offerte da una società che produce ricchezza, che, però, concentra nelle mani di pochi e lascia ad una moltitudine imbelle la possibilità di sfamarsi solo con le briciole. 

Qualcuno non si accontenta più delle briciole e percorre scorciatoie di morte che conducono velocemente verso l’accumulazione di una ricchezza immensa.

Se mettiamo a confronto le motivazioni dell’omicidio politico e dell’omicidio mafioso possiamo notare che muovono da presupposti diversi, ma, alla fine, convergono su un elemento comune.

Il delitto politico è determinato da ragioni ideologiche, ideali e di potere; il delitto mafioso è determinato da ragioni economiche o d’interesse o di supremazia e quindi di potere. 

Il crimine politico è generato da una fortissima spinta ideale che, sono disposto ad ammetterlo, confina con il fanatismo; il crimine mafioso è generato dal denaro e rafforzato dalla convinzione di godere di una impunità assoluta assicurata dalla connivenza o dalla acquiescenza del potere.

Solo che i gruppi e le organizzazioni sovversive politiche si manifestano, fanno propaganda, cercano proseliti, hanno giornali, diffondono il loro messaggio; la mafia no, non ne ha bisogno perché non vuol cambiar niente, vuole solo partecipare alla spartizione della ricchezza, poter svolgere indisturbata i propri traffici, i propri affari, le proprie attività palesi ed occulte.

La contiguità tra sistema legale e sistema illegale diventa contaminazione, mescolanza anche perché i comportamenti tendono a confondersi e la separazione tra legalità ed illegalità si annulla fino a diventare una sottile linea d’ombra.

Le tradizionali categorie d’interpretazione del delitto politico si fermano all’idea o della contrapposizione, armata e violenta, o della resistenza contro lo strapotere dello Stato oppure alla “ragion di Stato”, cioè un delitto consumato dallo stesso potere in nome del bene supremo dello Stato.

Non viene contemplata la possibilità di un delitto contro uomini delle istituzioni causato dal tentativo di determinare una ri-sistemazione degli assetti istituzionali, una sorta di ri-posizionamento di forze o gruppi partitici o di aggregazioni sociali o di organizzazioni economiche in vista di un nuovo assetto sociale ed economico. 

Mi dispiace essere brutale in una circostanza così triste, ma i delitti di mafia assomigliano molto a quei delitti perpetrati nelle corti cinquecentesche allo scopo di rivedere gli assetti dinastici. 

La monarchia rimaneva ben salda, però al suo interno subiva una mutazione che non riguardava tanto le persone (un fratello a posto di un altro; lo zio invece del nipote) quanto le forme di esercizio del potere.

I politici sono sicuri di essere veramente immuni da qualsiasi colpa? Sono proprio certi di non aver alcuna responsabilità in tutta questa degenerazione, in questa deriva verso l’autodistruzione? 

Una volta tanto dovremmo noi rivolgere loro la domanda: ma che avete fatto fin’adesso? Dove eravate? 

Invece di venirci a dire che siamo noi a dover reagire, cominciate a reagire voi per primi, non a parole, con quella stucchevole, roboante e vuota retorica piena di frase fatte e di promesse eternamente mancate, con quella indignazione d’ordinanza che nasconde la soddisfazione di averla, per questa volta, scampata, con quel ghigno maligno di chi tira a campare per salvaguardare il proprio peculio. 

No, non presentatevi con quelle facce tirate a maschera funebre e non puntate il dito contro di noi ammonendoci a fare questo o quest’altro o invitandoci alla delazione ed alla furfanteria. Agite! se ne siete capaci.

Non nascondetevi dietro le vostre ansie, le vostre paure, la vostra inettitudine continuando ad impartirci lezioni di legalità. La legalità non s’insegna, si pratica. 

Non andate alla ricerca di alibi e non trinceratevi dietro uno Stato assente; non cianciate di leggi speciali o di interventi straordinari; cosa pretendete? 

Lo stato d’assedio?

La nostra indignazione, la nostra ira, il nostro furore, il nostro dolore sono manifesti, specialmente le giovani generazioni hanno palesato sentimenti genuini e sinceri di sdegno, di riprovazione, di rigetto e, diciamolo pure, di nausea nei riguardi di simili eventi.

 E allora non chiedete a noi cosa bisogna fare, fatelo. Noi possiamo solo dirvi, con la morte nel cuore e con l’animo gonfio di tristezza:

- non chiederci la parola che squadri da ogni lato

l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco

 lo dichiari…

codesto solo oggi possiamo dirti,

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.





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