L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Patente e ipocrisia

di Nicola Zitara

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Siderno, 9 Luglio 2003

Non occorre la zingara per sapere che a una gran parte delle persone che guidano un'automobile piace correre. Sappiamo anche che gli Stati impongono al cittadino delle regole volte a preservare la sua stessa vita e la vita degli altri.

Sappiamo inoltre che i bilanci dei paesi ricchi sono appesantiti dalla spesa per la salute (cioè contro la malattia e la morte). Possiamo aggiungere che vi sono delle forme di repressione contro l'uso delle droghe. Vi è la lotta contro il fumo, esiste il divieto di fare pubblicità al tabacco e ad altri prodotti nocivi. Anche gli eccessi di velocità sulla strada sono puniti. Adesso la patente a punti dovrebbe stringere ulteriormente i freni. Troppi morti sulle strade. La morte aleggia sui giovani che escono dalle discoteche, sulle famiglie che vanno in vacanza, e un'idea di morte fa tremare chi attende in ansia il ritorno a casa di un figlio. Parecchie migliaia di morti ogni anno, decine di migliaia di feriti, di invalidi, di vite piegate da un disastro.

Ma fatti i funerali e la pubblica commemorazione in TV, chi non è personalmente toccato dalla tragedia fa zapping con il telecomando, in cerca di un altro canale. Solo lo Stato pare impressionato. Ma un colpo al cerchio, un colpo alla botte, il governo, che impone le cinture, cede sul limite di velocità. Le case costruttrici non tollerano misure a loro negative e i governi delle Grandi Nazioni Industriali - Francia, Germania, Italia, Usa, Giappone - parteggiano per le grandi fabbriche di automobili, che sono considerate il fiore all'occhiello dei rispettivi paesi.

Tuttavia il conto non torna. Se nei paesi sopra elencati, i rispettivi governi non foraggiassero, apertamente o sottobanco, i costruttori automobili, questi chiuderebbero tutti nel giro di qualche mese. Solo l'Inghilterra ha avuto la forza d'invertire la rotta e d'abbandonare al suo destino l'intero settore. Prima o poi, ciò avverrà anche in Francia, Germania e Italia. Nel frattempo il settore resta in piedi, assistito dallo Stato, né più né meno dei produttori di formaggio parmigiano e di carne chianina, che sono assistiti a livello comunitario Comunque, quand'anche l'Europa ricca rinunciasse a produrle, le auto arriverebbero da altri continenti e la strada continuerebbe a essere un luogo pericoloso soprattutto a causa dell'alta velocità delle macchine.

Non starò a ripetere quel che tutti sappiamo. L'automobile è il successore del cavallo. E' contemporaneamente uno status symbol, il gusto della competizione e un comodo mezzo per spostarsi sul territorio. Quel che mi colpisce - e che vorrei spiegare a me stesso - è l'ipocrisia di chi governa le nostre opinioni. Infatti non è infrequente che uno stesso telegiornale, prima, pianga sulle vittime degli incidenti freschi avvenuti e, subito dopo faccia un'indiretta pubblicità alla Ferrari, che è la macchina da corsa per antonomasia. Qual è valore della prudenza e qual è il valore dell'imprudenza, del rischio, della vittoria anche a costo della vita?

Ho l'impressione che stiamo superando San Tommaso, il quale, otto secoli fa, teorizzò una volta per tutte il principio del libero arbitrio. Sta a noi - solo a noi - scegliere tra il peccato e l'ubbidienza al comando, divino o terreno che sia. Nel campo automobilistico gli Stati ricchi rinunziano a decidere. La decisione spetta a noi. "Io, Stato, ti comando d'andare piano. Se corri, ti punisco. Ma se tu hai soldi per comprare una macchia che tocca i 280 all'ora, comprala pure. A me fa piacere vederti viaggiare su una macchina bella e veloce."

Questa sarebbe la civiltà, questa la democrazia, questo il liberalismo, questa la deregulation? Non so se fra cinquant'anni ci saranno ancora uomini sulla faccia della terra, ma, se ci saranno, sono certo che si sbellicheranno dalle risa di fronte alle contorsioni logiche e morali dei loro antenati. Intanto a me viene il ragionevole dubbio che i lamenti televisivi sulle vittime dell'autostrada corrispondano e consonino piuttosto con il fastidio degli automobilisti per i rallentamenti e le fermate provocati dagli incidenti, che con la pietà per le vittime.

Ma cerchiamo di spigolare dentro il fenomeno. Stando a quel che vedo scritto in un manualetto ad uso delle scuole, una media cilindrata, che viaggi a 130 all'ora (limite massimo di velocità in autostrada), blocca solo dopo una frenata di circa 180/200 metri. A 90 chilometri all'ora blocca in circa 60/70 metri. Se all'utilitaria applichiamo i freni di una BMV, viaggiando a 90 chilometri l'ora la macchina blocca in 35/40 metri.

Trent'anni fa i verdi francesi affermavano che se i motori fossero stati progettati per una velocità massima di 90 chilometri orari, il consumo di carburante si sarebbe ridotto a un litro per 50 chilometri di marcia e la vita di un motore avrebbe superato mediamente i 30 anni. Suppongo che nel frattempo ci siano stati progressi. Però si continua a permettere la vendita di macchine velocissime, scattanti, mortali. E si continua a permettere il consumo di ferro, carbone, vernici, petrolio, si fa pubblicità gratis alla Ferrari (un patriottismo molto più squallido del mussoliniano: otto milioni di baionette). Però sul precedente però, lo Stato, che ci tiene alla salute dei cittadini, pone un limite massimo di velocità e ci multa se lo superiamo. E' come se un pascià, signore di un harem ben fornito, dicesse al figlio: "Figlio, se vai a donne, ti faccio fare eunuco"

Nello Stato nazionale e costituzionale la legge è uguale per tutti, ma non tutti sono uguali di fronte al governo. Un governo vive se piglia le vitamine elettorali. Chiunque di noi sa o può immaginare quali pericoli elettorali corra il governante che si metta contro la Confindustria e suoi cento quotidiani. Testate autorevoli passeebbero all'opposizione. Il caso Fiat è fresco. C'è poi il problema dell'occupazione. Grandi città, intere regioni, se non contentate, minacciano la rivolta (questa volta democratica e antifascista, certamente diversa da quella di Reggio). Una fabbrica con decine o meglio centinaia di migliaia di dipendenti è come un esercito invasore, come uno Stato nello Stato. Dal grande capitalista dipendono non soltanto i salari, ma una buona parte del settore servizi e quasi tutto il settore dell'edilizia. A proposito della buonanima di Gianni Agnelli, spesso si è sentita l'espressione: il vero re d'Italia.

Capitalista è chi, possedendo danaro, lo usa per ottenere il lavoro di altri uomini. Infatti il danaro non figlia. Solo il lavoro umano figlia danaro. Però, a condizione che un altro acquisti il prodotto del lavoro. Se il produttore, per un motivo o per l'altro, non vende la merce che ha prodotto, fallisce e vede concludersi la sua carriera di padrone. Cosicché, nel sistema capitalistico, i padroni fanno di tutto per vendere la loro merce. E qui può entrare in ballo la politica, nel suo aspetto circonfuso di nebbia. Più è invendibile la merce, maggiori sono le pressioni sull'opinione pubblica per indurre la gente ad acquistarla.

Entro certi limiti, i governi debbono stare al gioco. Gli Stati contemporanei fingono che la logica del profitto sia il sistema più naturale e quindi il più bello che possa essere realizzato. Il che non è vero. Si tratta soltanto del sistema che è venuto fuori dalla spinta dell'uomo ad essere meno condizionato dai limiti che la natura pone alla sua esistenza. In effetti si tratta (ma è meglio dire si è trattato) di una spinta irrazionale e pericolosa, di cui la gente si accorge solo adesso che è emersa la crisi ambientale, ma che era già nota ai filosofi greci e romani, più di duemila anni fa.

In regime di libera concorrenza internazionale, l'aiuto sottobanco alle industrie nazionali improduttive costituisce una spesa sbagliata, e tuttavia inevitabile perché la cultura e gli assetti sociali si muovono con decenni di ritardo rispetto alle tecnologie.

Libero arbitrio, disinformazione voluta o indotta, leggerezza degli Stati, liberismo e liberalismo, sommandosi producono morte. Però la patente a punti è meglio che niente. Altro contorto però sul precedente però: una nuova pubblicità dell'AlfaRomeo annunzia che l'aspetto di una macchina non basta. Bisogna andare al contenuto. E qual è il contenuto dell'Alfa, se non la velocità?
Che Dio ci dia gli occhi per vedere quali pasticci stiamo combinando.

Nicola Zitara

 

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