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Due Sicilie
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Soltanto Pavarotti e Berlusconi evasori fiscali?

di Nicola Zitara

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Siderno,25 Ottobre 2001

Recenti vicende giudiziarie – quella toccata al grande Luciano Pavarotti e quella che ha avuto come protagonista Silvio Berlusconi – attestano che il sistema tributario italiano è una trappola sforacchiata, dentro e fuori dalla quale gli avvocati riescono a fare alta e bassa giustizia.

Le leggi fiscali italiane, infatti, ispirandosi alla nostra arcinota ipocrisia, sono fatte in modo da lasciare un largo margine operativo ad alcune categorie di contribuenti ricchi. Intendo dire che l’elusione e l’evasione fiscale sono preordinate dal legislatore. Tutti lo avvertono, anche se siamo di fronte a un tema complicato. E tuttavia complicato ad arte, in base all’antica regola che vuole: "Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere".

Il discorso è invece semplice. Le imposte sono o dirette o indirette. Le prime colpiscono un contribuente individuato per cognome e nome, la ditta, come si dice nel linguaggio esattoriale. Le seconde colpiscono indistintamente il consumatore all’atto dell’acquisto di un bene. Per esempio l’IVA, l’imposta sui tabacchi, quella sugli zuccheri. Anche le imposte dirette possono ripercuotersi sull’ignaro cittadino; cosa che avviene quasi sempre. Per esempio, l’avvocato o il commercialista, se per caso paga l’IRPEF, trova il modo di scaricarla sul cliente.

A loro volta, le imposte dirette sono definite:

A) reali, se commisurate al valore di un bene posseduto. Per esempio la fondiaria (che oggi non si chiama più così, ma sempre fondiaria è), l’imposta sui fabbricati, la tassa (che è un’imposta) sui cani.

B) personali, se collegate all’attività produttiva della persona. Al reddito: in passato meglio chiamato "ricchezza mobile".

Ci sono poi le cosiddette Tasse, cioè il tributo connesso con un qualche servizio o prestazione dell’ente pubblico. Per esempio la cosiddetta Tassa (imposta) di Registro, la Carta bollata, la Tassa sulla spazzatura. E ci sono ancora i Contributi (che non sono volontari, ma obbligatori), come quelli "unificati in agricoltura", quelli pensionistici, sugli infortuni, quelli sanitari.

Sull’esempio americano, attualmente, le imposte dirette sono confusamente raggruppate nella Denunzia dei Redditi, la quale è stata introdotta in connessione con il passaggio dell’Italia dalla condizione di paese prevalentemente agricolo a quella di paese industriale, allorché si decise che da allora in poi il peso di tenere in piedi lo Stato sarebbero stati gli operai a sopportarlo.

In precedenza tale onore spettava a tutti coloro che avessero un pezzo di terra e/o una casa, più i commercianti, i piccoli industriali e i professionisti. Le imposte reali e quelle personali erano tenute ben distinte. Nel primo caso l’imponibile, definito, allora come oggi, nel suo valore dal Catasto dei terreni e dal Catasto dei fabbricati, dava luogo a due imposte autonome, che di regola erano stabili nel tempo. Al contrario, il reddito chiamato "ricchezza mobile" veniva "accertato" annualmente d’ufficio. Era cioè lo stesso Stato ad enunciare la sua pretesa. Ciò fatto, o si arrivava a un concordato o si finiva dinanzi alle commissioni tributarie.

I tributi attuali sono ancora quelli vecchi. Il fatto che nella dichiarazione del contribuente, i redditi di ricchezza mobiliare si sommano con quelli derivanti dai terreni e dai fabbricati (sempre catastali, però), per dar luogo a un imponibile unico, è poco meno che una presa giro. E'cambiato invece il rapporto tra il fisco e il contribuente ricco, a favore del quale le leggi tributarie hanno allentato di parecchio le maglie. In sostanza la legge seleziona i contribuenti in due grandi categorie; chi può evadere, in tutto o in parte, l’imposta e chi non può farlo. Per la precisione tra i salariati e gli stipendiati, da una parte, e i liberi professionisti, i lavoratori autonomi e gli imprenditori, dall’altra. Difatti il pagamento dell’imposta sul salario o lo stipendio del dipendente avviene per trattenuta dell’ente pubblico o del datore di lavoro. Questo tipo di contribuente, paga subito, e solo dopo potrà eventualmente fare i conti con il fisco. Inoltre paga con un anno e mezzo d’anticipo rispetto agli altri contribuenti, i quali, prima di pagare si possono fare assistere dal commercialista, che è una specie d’avvocato difensore fiscale.

E ancora: siccome gli altri non pagano, o pagano proporzionalmente molto di meno, il carico fiscale che cade direttamente su di loro è gravosissimo. Indirettamente, poi - rimbalzando dall’industriale al distributore commerciale - l’IVA e le altre imposte sui consumi escono dalle sue tasche.

Un tempo le leggi fiscali erano congegnate in modo da favorire soltanto i grandi capitalisti, tipo Fiat, banche e consimili. Infatti le società erano (e sono) tassate in base al loro bilancio. E si può giurare che in Italia un bilancio veritiero lo compilavano (e lo compilano) soltanto le società che stanno per fallire. Ma oggi, con la cosiddetta dichiarazione dei redditi un simile beneficio è stato esteso a tutte le imprese, a tutto il lavoro autonomo e ai liberi professionisti.

In conclusione Berlusconi e Pavarotti non sono soli, anche se sono apparsi innanzi al giudice per malefatte fiscali, vere o presunte. Sono in compagnia di larga parte della nazione. Semmai, facendosi cogliere con le mani nel sacco, hanno fatto una figura da fessi. E il ridicolo si aggiunge al ridicolo. In questo caso come non mai il bue ha dato del cornuto all’asino. A redarguire due, infatti, sono state principalmente le grandi firme del giornalismo, quelli lavorano con un contratto a cachet, cioè gente che paga il commercialista, ma dà poco o niente allo Stato.

Nicola Zitara

 

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