L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
Eleaml


TRA SCILLA E CARIDDI

di Nicola Zitara

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Siderno, 14 Luglio 2004

Come in tutti i paesi del mondo, in Italia il più grande bugiardo è il governo. Seguono a un giro di boa i giornalisti, con la differenza che il governo mente per un suo interesse di parte, mentre i giornalisti mentono (o fanno finta di non sapere) su comando del padrone. Come si diceva un tempo, mentono per la gola; per il posto. Il loro cinismo annulla il valore democratico dell'informazione.

In queste settimane di passione berluschina e tramontina anche la grande stampa di (finta) opposizione mena il can per l'aia. Cerchiamo, allora, di capire qualcosa di quel che sta avvenendo alla nostra economia, come dire nelle nostre tasche. Per farlo, dobbiamo fissare alcuni punti.

1) La guerra del 1939-1945 rivelò agli europei che gli Usa erano un paese più ricco di tutta l'Europa messa assieme, non solo perché erano una terra vergine con grandi spazi destinati a grano e a pascolo, ma anche perché erano un paese industriale dalle risorse produttive quasi miracolose.

2) In quel passaggio della storia si capì anche che il miracolo industriale americano discendeva dalla "scala", dalle dimensioni delle imprese, o meglio dalla grandezza del fatturato che le maggiori di esse riuscivano a realizzare. Dove, in Europa, un'industria produceva 1000 beni al giorno al costo poniamo di 15, in America un'industria dello stesso settore produceva 30.000 beni al giorno al costo di 5. Il consumatore americano, a parità di spesa, aveva tre volte più che il consumatore europeo. Non solo: essendo, lì, i consumi elevati, le imprese crescevano ininterrottamente.

3) I singoli paesi europei, se non volevano essere sommersi dagli USA, dovevano battere la stessa strada. Ma questi paesi non erano grandi come gli Usa. Per avere delle imprese competitive, bisognava creare un'area di consumo simile a quella statunitense.

4) Alle sue origini, la Comunità europea ha anche detto scopo. Ma l'operazione "grande scala" non riesce. Soltanto una decina di imprese tedesche e a qualche impresa italiana nel campo degli scooter, dei frigoriferi, delle cucine e delle lavatrici pervengono a un giro internazionale. Non così le imprese francese e inglesi, non così le industrie italiane sorrette dalla spesa statale (FIAT, Pirelli, Montecatini, etc.).

5) Il fallimento passa, però, quasi inavvertito, perché in tutti i grandi paesi europei le imprese hanno imparato a produrre secondo il modello americano della catena di montaggio. Quello che doveva venire dalle centinaia di milioni di consumatori, arriva invece dalla fine della povertà contadina, dalla crescita dell'area dei lavoratori salariati, dalla penetrazione in profondità del mercato.

6) Sicuramente è il nazionalismo dei singoli paesi membri il responsabile del fallimento dell'unificazione industriale. Tuttavia questo nazionalismo non si esplica sul versante capitalistico. Sono invece l'occupazione operaia e la difesa del Welfare a bloccare la continentalizzazione delle imprese.

7) La differenza tra il Welfare statunitense e quello vigente in Europa è enorme. In America si fonda nella crescita ininterrotta degli occupati, mentre l'intervento dello Stato nel sociale è modesto. Fino a non molto tempo fa, nonostante la grande ricchezza, i servizi pubblici erano del tutto inesistenti in una ventina di Stati, quelli ai margini dello sviluppo. In Europa, invece, il Welfare è calato dall'alto e raggiunge le masse occupate nei campi e le situazioni marginali.

8) Nel corso degli anni Settanta e Ottanta, il Welfare generalizzato si autoregge in Germania e in Francia, mentre crolla in Inghilterra. In Italia regge soltanto con il ricorso all'indebitamento dello Stato. Questo percorso porta a morte la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista. La Banca d'Italia fa crollare il cambio della lira in marchi, in modo da decurtare il debito e il comando passa nelle mani delle grandi imprese, rappresentate da Amato, Ciampi, Dini, Prodi, D'Alema. Il progetto dissimulato è il loro ingrandimento con il sostegno della spesa pubblica.

9) Mentre questo avviene, emerge qualcosa di non previsto: il miracolo delle piccole imprese, essenzialmente venete ed emiliane. In Emilia, il regionalismo era già forte al tempo del socialismo municipale (1908-1921), peraltro assecondato anche dal fascismo. L'ambiguità centralismo/regionalismo non viene incrinata, però, dal nuovo corso produttivo. I voti restano al PCI. Altrove nasce una linea politica che si contrappone alla linea Ciampi-Prodi, che trova i suoi punti di forza in Bossi e Berlusconi.

E' la linea della reaganeconomic: meno Stato, meno Welfare; si faccia avanti chi è più capace. Tutto il contrario dell'l'Italia impostata da Cavour, il cui cardine era il protezionismo dissimulato e il capitalismo parassitario (che produce a prezzi altissimi) di Genova, Torino, Firenze, Roma. Con la reaganeconomic dovrebbe prendere l'avvio una nuova Italia, di cui la forza portante è il social-tipo del produttore immaginifico e coraggioso. Ma il progetto fallisce subito e miseramente. Della mano leggera dello Stato non profittano i produttori di merci e di servizi esportabili, ma i commercianti, i medici privati, gli avvocati, i dottori commercialisti, i dentisti, gli artigiani dei servizi, i riparatori, le aziende monopolistiche privatizzate, come Enel, Italgas, Telecom, Ferrovie SpA, le banche.

10) Queste egemonie (proprio Mediaset ne costituisce un episodio significativo) contrastano il modello Veneto, né impediscono la diffusione sul perimetro nazionale; in buona sostanza lo stringono nel suo territorio regionale e lo portano a sgonfiarsi.

11) Forti della sicura impunità le aziende grani e piccole di cui sopra alzano i prezzi. L'aumento dilaga fino a raddoppiare, a triplicare, a quadruplicare. Tremonti fa finta di niente. Il governo si rifiuta di riconoscere l'inflazione. L'Istat ci dorme sopra. E' una vera rivoluzione sociale. Su basi inflazionistiche la classe dei "si è fatto da sé" arricchisce. Con essa i monopoli privati. La speculazione bancaria maramaldeggia con i risparmiatori di basso conio. Salariati, stipendiati e pensionati impoveriscono. La domanda ristagna, le imprese che producono beni fisici non crescono. I servizi privati diventano un pubblico ricatto.

12) Di questo casino, l'Euro ha solo qualche colpa, il governo italiano tutte, le banche (Fazio) molte di più.
Retrospettivamente si può dire che il modello dell'industria diffusa viene dal Rinascimento ed è confacente alla tradizione italiana, in cui la piccola azienda privata è preferita alla grande fabbrica, vista come una caserma. L'indirizzo avrebbe potuto essere un percorso favorevole anche allo sviluppo manifatturiero del Sud, da sempre bloccato dai capoccia del Nordovest.

Le elezioni hanno riaperto il problema di chi comanda in Italia. Si tornerà al protezionismo sottobanco, tipo Fiat (Montezemolo), o si andrà verso qualcosa di nuovo e non sperimentato? Nessuno lo sa. In queste cose vale il detto antico: "l'uomo propone e Dio dispone". Di certo c'è che da Ciampi in giù, la sinistra corre per i colori di Montezemolo, come dire per l'eterna famiglia Agnelli. Ma fra le cose che si leggono c'è dell'altro. Per esempio un'inchiesta di Mediobanca riguardante le aziende di medio livello, che forse si vorrebbe far crescere. Chissà! La menzogna e la reticenza regnano sovrani. Il popolo paghi e non pensi. Anzi taccia. Il nemico ti ascolta.

Ai nostri bisogni provvedono Giorgio Bocca ed Eugenio Scalfari.

Chi governa è nel pallone. Per quello che ci fa vedere, Berlusconi figurerebbe di più nella Commedia dell'arte che come capo del governo. Non c'è artificio mediatico che possa fare scomparire il problema centrale dello Stato e della società civile italiani. Attualmente 'Italia è imbussolata nella politica tedesca della stabilità monetaria.

Pertanto i problemi da risolvere preliminarmente, se si vuole uno Stato attivo, sono il debito pubblico e le tasse. La storia finanziaria d'Italia è contrassegnata da un debito pubblico enorme in ogni momento. Il quale, sin dal tempo dell'infausto Cavour è stato sempre pagato con la svalutazione della moneta. Basti ricordare che una lira del 1860 valeva quanto diecimila lire del 2001. Oggi in materia inflazionistica una sovranità dello Stato italiano non c'è più. Il potere d'acquisto (e di pagamento) dell'euro appartiene alla Banca europea. All'opposto lo Stato italiano ha l'obbligo di ridurre il debito capitale e di impostare politiche di spesa che non facciano crescere l'inflazione più di quanto la Banca europea abbia stabilito. Solo assecondando i dettami di Francoforte lo Stato italiano potrà impostare una politica industriale.

Il tema è collegato a quello delle imposte. Berlusconi le vorrebbe diminuire. La sinistra sostiene che in questo momento non solo non è possibile, ma neanche conveniente. I ricchi ne avrebbero un beneficio e i poveri pagherebbero di più. E qui emergono i bugiardi di entrambi gli schieramenti. In Italia l'evasione fiscale, ufficialmente, supera il trenta per cento del gettito fiscale, in effetti è più del 50/60 per cento. Per colmare il debito pubblico accumulato negli ultimi quarant'anni basterebbe che l'evasione fiscale finisse. Ma per farla rientrare c'è una sola e vecchia strada: l'accertamento d'ufficio (l'abolizione della dichiarazione spontanea). In Italia le tesse la pagano solo i poveracci che mangiano con il salario o lo stipendio. Il resto imbroglia. Eppure, nei manuali di scienza delle finanze è scritto a chiare lettere che l'eguaglianza di fronte al fisco crea consenso politico. Al contrario i favoritismi fiscali fomentano il parassitismo industriale e la separazione in casa tra Stato e cittadini.

Esempio eclatante lo stronzobossismo.

Nicola Zitara

 

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