L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Meri Lupi di Soragna

di Nicola Zitara

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Siderno, 14 Luglio 2004

C'era una volta in paese a nome don Filippo Bianchi, che era il titolare di un negozio un tempo accorsato, ma poi in forte declino. Don Filippo era un uomo allegro, un ottimista. Nei pomeriggi d'estate si sedeva si sedeva dinanzi alla porta del negozio con un giornale in mano, e quando sopraggiungeva qualcuno a disturbarlo dalla sua positura fisicamente e spiritualmente distaccata, lo si sentiva sibilare impercettibilmente una stravagante declinazione: "Meri Lupi di Soragna". Lo stesso sibilo poteva udirsi quando - fischiettando un'aria operistica, con il naso rivolto al cielo e facendo roteare la sua immancabile canna di bambù - sulla strada che portava al circolo, dove andava ogni sera per la rituale partita a calabresella, inciampava in un sasso.

Cosa volesse dire, don Filippo, pronunciando l'ampolloso e nobilitante cognome, se lo chiedono ancora i suoi nipoti. A circa settant'anni di distanza, il sottoscritto crede d'avere risolto il rebus. Durante la sua giovinezza don Filippo aveva visto (e pagato per) il disastroso declino del paese meridionale, che in compenso veniva riempito di pelo toscopadano. Cosa che capita anche a chi di noi guarda i telegiornali o legge i giornali, per i quali tutto al Nord è artistico, bello, coerente, intelligente, civile, solidale, armonioso, elegante, riposante, profumato, radioso, disinquinato, svelto, gentile, moderno, europeo, saporito, tradizionale e moderno al tempo stesso, insomma d'arte, mentre al Sud, quelle poche volte che viene in scena, tutto è mafia.

Ora, questo Meri Lupi di Soragna, tanto caro a don Filippo, non è un cognome: è una pilifera declinazione di potenza; uno di quegli interminabili casati taurin-meneghini in cui vengono illustrati il padre, la madre, la nonna, il fattore e il luogo dove essi sono nati, cresciuti e pasciuti. Uno che si chiami Tronchetti, è sicuramente un poveraccio; uno che si chiami soltanto Provera, è sicuramente un poveraccio. Ma quando si mettono insieme Tronchetti e Provera, arriviamo a un cognome ampolloso, sicuramente tale da avere il diritto di ricevere un bel dono dall'erario.

Forse don Filippo, buonanima, aveva fatto il militare a Cuneo, come Totò, e lì s'era autovaccinato contro l'allergia da pelo. Insomma aveva capito tutto, similmente a un altro nostro concittadino pre-televisione che a Cuneo non c'era mai stato, il quale, al tempo delle prime pubblicità radiofoniche, soleva esclamare: "e mo' la Galbani di Melzo, nella sua infermità di mente, ci augura buon appetito".

Noialtri sudichi o sudici (come più vi piace), che a Cuneo non siamo mai stati, immaginiamo che i nostri fratellastri di Milano e Torino siano delle persone serie. Non la pensava così sicuramente Carlo Goldoni, che elevò ad arte la fatica di togliere il pelame ai suoi compadani. E non la pensava così neppure Giuseppe Parini, un prete discolo. Don Giuseppe li conosceva bene i pelosi, e sputtanò loro e le loro cagnette.

Mano non meno pesante usò don Lisander. Don Abbondio, don Rodrigo, i bravi, l'Azzeccagarbugli e l'Innominato, non sono antichi come penseremmo. Nel racconto, il secolo XVII è un velo storiografico che nasconde la Milano dei suoi tempi, il sec. XIX, il tempo in cui arrivarono i Savoia, Garibaldi, Cavour, figlio d'un capoguardia elevato a conte, e anche lui conte, gli odiati borboni, e dopo qualche tempo anche le lacrime di don Giustino sullo sfasciume pendulo, i sacri ideali di don Benedetto, la questione meridionale, gli otto milioni di baionette di mussoliniana e milanese dimeticanza, i cafoni di Togliatti e di Pier Paolo Pasolini (cafoni = cagnolini disubbidienti al comando milanese).

Affermazioni giustificate dal fatto che il 26 aprile del 1945 i pelosi avevano fatto la Resistenza. E con il conseguente merito erano succeduti ai Savoia nel governo d'Italia e nello spolpamento degli altri italiani.

Adesso i pelosi - a causa di cineserie varie - versano in gravissime difficoltà. Per tentare d'uscirne hanno chiamato a soccorrerli Luca Cordero di Montezemolo. Non so se sia un conte o un duca, ma certamente, uno che si chiama così discende da "magnanimi lombi", viene da qualcuno che ha fatto le Crociate sotto il letto di una procace consorte, come il nonno di Cavour. E altrettanto certamente salverà l'Italia, insieme a Prodi, Ciampi, D'Alema e quel Demostene di Tonino Di Pietro. Che purtroppo hanno un solo cognome. Ma Dio provvederà all'altro.

Montezemelo ci salverà o no? Una cosa è certa. Se il salavataggio avverrà, i capitalisti avranno i cosciotti della lepre trafitta e gli altri avranno il suo volatile pelo. Il Welfare ha cominciato a salire i gradini che portano in soffitta. Questo dovunque in Europa. Quanto all'Italia, il discorso è diverso. I capitalisti italiani hanno fatto come le cicale. Si sono fottuti i nostri e i loro soldi, le idee e la voglia di lavorare vagando, nella stagione buona, per le Seychelles, Cuba, Miami Beak e quant'altro.

Certamente si rifaranno. Sono un popolo antico! Ma bisogna che lo Stato gli trovi i soldi. Il prezzo delle loro pregresse dissipazioni e quello necessario alle loro future, "progressive sorti" lo pagherà il popolo. Non tutto.

Quelli i cui padri e madri hanno fatto la Resistenza saranno esentati. E siccome da Roma in su, la Resistenza l'hanno fatta tutti, non restano che i sudici. Anzi costoro già pagano, perché l'Europa ha costretto il Cavaliere dalla non bella figura a stringere con le spese, e le prime spese tagliate dal Cavaliere riguardano il Sud. Ovviamente i sudici riceveranno in cambio del pelo con cui coprirsi mentre fanno la fila alla Posta per pagare la bolletta durante di Telecom. Anzi già lo ricevono. Infatti a giorni comincerà la costruzione del ponte sullo Stretto. E già a Londra i bookmaker accettano scommesse se cade prima il Ponte o se arriva prima la Miseria, compagna fedele degli italiani pre-miracolo economico.

La Miseria prossima ventura!

Chi non è vecchio quanto il sottoscritto non può avere interiorizzato il concetto di miseria, di pane che manca, di stracci usati come indumenti, di mani tese a raccattare un obolo. Quel Sud che per i pelidonatori aveva la colpa di non essere il Nord, nei pochi libri in cui viene raccontata la vera storia era invece un paese impoverito dall'uso coloniale che ne aveva fatto la Terza Italia. Che gran venditore di pelo dovette essere l'Apostolo della Terza Italia! Mazzini, padre della Giovane Italia! Un po' di storia doveva averla studiata anche lui, cosicché avrebbe dovuto sapere che le prime due Italie, quella romana e quella rinascimentale, erano state fatte ad onta del Sud, dopo averlo sonoramente legnato e sottomesso (le guerre contro Pirro e Cartagine, cioè contro le libere città greche, mille e 500 anni dopo la discesa di Carlo d'Angiò, che fece incazzare persino Dante. L'Italia di Mazzini, di Cavour, di Depretis, di Giovanni Giolitti!

Chi aveva roba al sole pagava al patriottico Stato nazionale, chi non aveva alcunché pagava togliendosi il pane di bocca. La fame era la forma di democrazia, di indipendenza e libertà che il duo Graibaldi-Cavour aveva dato al Sud.

Il Sud pagava e il Nord cresceva.

Pagava per una capra, per un maialetto, per un bicchiere di vino, per un'acciuga salata, per usare la bicicletta. Pagava per esistere. Dopo l'Argentina e New York, al tempo del Duce chi voleva arricchire poteva andare a morire in Abissinia. Gli agrumi erano la più importante esportazione nazionale, ma la valuta di ritorno se la pappavano Agnelli, Pirelli, i Crespi, il Corriere della Sera e i nobili milanesi con quattro cognomi. Nel 1859 Milano austriaca aveva meno di 150 mila abitanti, ed era la quarta, ma forse la quinta città d'Italia, dopo Napoli, Roma, Palermo e forse Catania.

Al tempo di Mussolini era vicina al milione, ed era la terza città d'Italia. Il Duce mandava inni al cielo perché al censimento del 1936 Roma aveva fascistamente superato Napoli. Oggi Milano è passata a essere la seconda città d'Italia e Napoli la terza. I soldi dei nostri antenati fecero Napoli. Oggi noi facciamo Milano. Napoli è culo di sacco camorristico che proietta soldi sporchi a Milano. Che li ripulisce e li impiega come buoni. Come l'olio dei vostri bisnonni e le arance dei vostri nonni.

Negli anni Cinquanta, benché piangessimo i giorni duri dell'emigrazione e la negritudine in Italia, ci potemmo illudere che i nostri figli avrebbero guardato con serenità all'avvenire. Il Nord arricchiva e i partiti di governo si lasciavano andare a qualche mancia in cambio di voti. Parecchio profitto senza molta fatica. Ma la favola pietosa del clientelismo è finita. Di essa ci restano i detriti garibaldini, mamelini e resistenziali che abitano i palazzi romani e i governi regionali. E forse il soldo come soldati di ventura al servizio di equivoci splendori di future democrazie.

"Non vi lasceranno neppure gli occhi per piangere!", esclamò Francischiello abbandonando Napoli a Garibaldi. Un popolo sveglio, ricco di risorse e di energie, nelle mani di una genia di venditori di pelo, è lo spettacolo più triste che offra la lettura della storia d'Europa!

Nicola Zitara

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