L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
Eleaml


Lettera di Francesco Varchetta

Risposta di Zitara

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Siderno, 23 Maggio 2004

Caro Zitara,

prendendo spunto dalla sua recente sul "25 aprile [...]

Attraverso le banche e la borsa, oggi Milano ha in mano tutta l'economia nazionale e il governo del paese. Se si pensa alla sua decadenza dopo la fine del Regno napoleonico e al fatto che gli austriaci ne avevano fatta una guarnigione popolata di soldati croati, e di prostitute e delinquenti lumbard; un luogo in cui imperversavano il tifo e la tubercolosi, come risultata dai dati successivamente acquisiti in occasione delle leve militari, bisogna dire che la strada percorsa ha dell'incredibile.

Neanche New York è riuscita a fare di più, s'intende relativamente all'ampiezza e alla ricchezza degli americani. Perché l'Italia non convenga più agli scaltri lombardi, è difficile capire. Ma essi sono di cervello fino. Pertanto una ragione ci sarà, anche se io non riesco a capire qual è [...]"

Qui caro Zitara vorrei dire, con molta umiltà, pregandola di darmi la sua autorevole opinione: Gli scaltri lombardi dopo avere succhiato il succhiabile, rendendo il sud una colonia economica, mi sembra che vogliono ora mantenere una condizione di puro protettorato economico, nello stile della Inghilterra verso le ex colonie tramite un commonwealth de facto, non dichiarato ufficialmente, ma rigorosamente sancito dalla unità geografico-peninsulare che è molto meno cartacea e molto più effettiva di quel che sembra.

In particolare resiste l'unità autostradale che unisce nord a sud; che si propagherà "al dilà del faro" con un faraonico quanto inutile ponte per legare indissolubilmente la Sicilia. Per lo stesso motivo ma in senso negativo la unita geografica è rinforzata dalle assenti o malfunzionanti infrastrutture portuali del sud che di fatto obbligano tutte le merci a provenire via terra "da nord".

Sappiamo che la possibilità di esportare merci non è indipendente dal relativo costo di trasporto, ed un basso costo di trasporto dovuto ad un sistema infrastrutturale che garantisce collegamenti rapidi è la migliore garanzia di penetrazione di " merci coloniali".

Le scelte infrastrutturali fatte nel dopoguerra per il sud, confermano questa volontà di costituire una colonia economica "accessibile a basso costo" a senso unico dalle merci del nord via terra, e inaccessibili da potenziali concorrenti via mare per l'altissimo costo d'uso dei porti meridionali. Questo assetto delle infrastrutture di trasporto lega oggi a senso unico il sud al nord.

Non è casuale che durante il Regno delle Due Sicilie la situazione dei "costi di trasporto" era esattamente l'opposto, ceteris paribus si intende; infatti una diffusa e numerosa marineria di cabotaggio garantiva facilità di scambio alle merci provenienti da tutto il mediterraneo mettendo sullo stesso piano le importazioni estere da Livorno o da Marsiglia senza preferenze nazionaliste; potremmo sintetizzare con una battuta dicendo che trasformandoci forzosamente da società di mare a società di terra ci siamo infangati…

Il costo del trasporto agisce quindi come un vero ostacolo alla circolazione delle merci; nel frattempo poi il mondo è cambiato per cui ora l'economia detta le regole alla politica e non il contrario; allora possiamo dire che il lento strangolamento attuato sul sud ha raggiunto lo scopo al punto che una eventuale nascita di libero stato del sud (Repubblica delle Due Sicilie o restaurazione Borbonica) che sia, non cambierebbe ipso facto lo stato economico del paese, ovvero la realtà della gente comune, che deve essere il vero scopo di un sincero e disincantato patriota meridionale.

In una epoca di libero mercato, il costituendo governo sarebbe liberamente povero e alla libera mercé di organismi sopranazionali…ma questo è un altro discorso, ritorno quindi al motivo di partenza.

Ad oggi il capitalismo padano trova nel federalismo stronzobossista la legittimazione politica di un progetto eminentemente economico-speculativo, che consiste nel mantenere comunque il diritto di prelazione sul mercato del sud, l'egemonia sociale e culturale, nonché una consistente riduzione unilaterale per il nord dei costi macro economici dello "stato nazionale". Inoltre il federalismo consensuale filopadano legittimerebbe il consolidamento del debito storico nord-sud che diventerebbe di fatto una cambiale inesigibile.

Caro Zitara con queste mie poche considerazioni vorrei aver mostrato che è proprio un bell'affare per i lumbard dare il ben servito all'Italia Una"; come quell'Arsenio Lupin ladro gentiluomo che dopo avere svaligiato la casa vi donasse "la libertà politica" di togliere il disturbo… a questo punto i discorsi dei meridionalisti che vagheggiano forme politiche indipendenti o risoluzioni consensuali nord-sud hanno il sapore di una immeritata e inaspettata "buonuscita" a favore del nord.

Cosa ne pensa ?

Grazie per una sua risposta.

Cordiali saluti,

Francesco Varchetta





A Francesco Varchetta

Caro Varchetta,

le considerazioni da Lei espresse nella lettera pubblicata sopra sono illuminanti circa la strategia stronzobossista e pienamente condivisibili. Mi soffermo su un punto. L'eventuale riconquista dell'indipendenza pone il problema dei porti e delle vie marittime, come il mezzo più economico per comunicare con il mondo esterno e anche fra una regione e l'altra. Nelle mie fantasie futuristiche penso spesso che il Sud potrebbe essere fortemente immaginifico a riguardo, inaugurando l'impiego di navi non inquinanti sulle rotte mediterranee.

Rotte mediterranee!

Di questo si tratta. Premetto che dopo la conquista sabauda i nostri rapporti con i paesi europei sono diventati alquanto contraddittori. Prima recepivamo i movimenti sociali e culturali in svolgimento in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, ma commerciavamo anche con detti paesi. Cosicché lo scambio era diretto. Poi, come Lei nota, nel rapporto commerciale si è interposta la Padana, con il risultato di scassare il bilanciamento.

Oggi rimane la mitologia di una civiltà europea che qui arriva sterile ed evirata. Né è coerente immaginare una ripresa degli scambi commerciali con l'Europa continentale, in quanto al tempo dei Borbone il Sud godeva di un quasi monopolio nella produzione di zolfo, olio e agrumi.

Questi prodotti vedono oggi il massimo della concorrenza nordafricana.

C'era anche il vino, ma riempendo esso un intero capitolo dei primati toscopadani, se si va troppo avanti ci tagliano le mani, come ai ladri nell'Iraq di Saddam. Il futuro Stato meridionale, se e quando ci sarà, dovrà ricominciare daccapo in tutto, principalmente in agricoltura.

Bisogna aggiungere che l'Unione Europea, cioè la Francia, la Germania e l'Inghilterra, hanno due sole attenzioni per il Mediterraneo. Di queste la più importante è il petrolio e la meno importante è l'area di consumo. Il frontone del Partenone è al British Museum, la Persefone è a Berlino.

Gli europei possiedono, in quanto eredi legittimi, la migliore mediterraneità. Quanto al petrolio provvederà la Turchia. Che in futuro, è probabile, fornirà, oltre ai campioni del Milan e della Juventus, anche gli uomini necessari alle forze armate a ai carabinieri.

Ciò premesso, si può arrivare a una prima conclusione: le due autostrade del Sole (versante Firenze e versante Ancona) e quelle appena soleggiate, a un Meridione indipendente non dovrebbero servire granché.

Ma poi quale Nord! La Cina e l'India stanno facendo dell'Europa industriale quel che l'Algeria, il Marocco, la Tunisia, il Sudafrica hanno fatto negli ultimi quarant'anni del Sud agrumario e oleario: una capitalistica Impotenza.

Con il continuo e inarrestabile arretramento della condizione operaia, gli storici Stati d'Europa, sorretti dalla nazionalizzazione delle masse, imploderanno. E questo, credo, sia motivo nuovo, che si aggiunge ai precedenti, per abbandonare la Padana, una nave che affonda.

Cosa faremo noi in questo frangente? Noi dobbiamo scegliere se affondare con gli spocchiosi padani o imparare qualcosa dal Giappone, dalla Corea, dall'India, dalla Cina.

Il Sud visto da Milano, che consuma negli splendori della bolla speculativa "gli ultimi giorni di Pompei", è cosa ben diversa dal Sud reale. Il Sud ha di fronte a sé la terza crisi demografica (da sovrappopolazione inattiva) della sua storia nello Stato padano. Le prime due sono state tamponate e normalizzate dall'esodo di un terzo dei residenti. Trenta milioni di espatri, su 10 o 20 milioni di sudici in vita al momento.

E' dal 1972/73 che l'Italia di Ciampi e predecessori sta facendo bruciare nel rogo del non lavoro almeno un 20 per cento dei giovani e non giovani meridionali in età lavorativa. Oggi siamo sulla soglia del 50 per cento. Per non rivelarla, le famiglie dissipano il loro risparmio storico in svagati e improduttivi corsi universitari.

Chi non ha risorse familiari accetta un lavoro in nero da 250/300 euro mensili. Ma appena sopraggiungerà la crisi padana, questi risparmi saranno fagocitati dal sistema Italia, questi pumblei lavori scompariranno. Che faranno le nuove generazioni senza l'America, senza il Belgio, senza la Fiat verso cui riparare?

A noi scegliere: o Masaniello o Ferdinando II.

La Padana ci ha spogliato di tutte le nostre risorse storiche: le materiali e le spirituali. Il fatto che lo Stato mantenga a spese di tutti gli italiani un certo tenore di vita e dei servizi civili nel Meridione è una ragioneristica presa per i fondelli. Il fatto che un magistrato o un agente di commercio o un medico abbiano qui quel che i loro colleghi hanno in Padana significa solo che il sistema italiano privilegia certi settori della società meridionale, imponendo ai poveri maggiori pesi.

Il fatto che i malati meridionali ricevono gratis le medicine non corrisponde a una nazionalitaria giustizia dello Stato, vuol dire soltanto che alle industrie farmaceutiche servono le grandezze di scala di un grande mercato. In effetti sono gli stessi beneficati a pagare le medicine; cosa di cui deve prendere atto lo stesso Corriere della sera nel suo supplemento economico del 17 maggio u.s.

Chi, come me, ha visto e vissuto gli anni della Ricostruzione cosiddetta Nazionale ha negli occhi e nel cuore l'idea della spregiudicata ingordigia toscopadana. Oggi quest'idea è fuorviante. La Padana è un paese tarlato e logoro, rimbecillito dalla vanagloria e untuoso con gli altri europei, di cui è succubo. Il Sud è anch'esso vecchio, ma non ha gli altri difetti. Forse un risorto Ferdinando II può spingerlo a un'insospettata vitalità.

Il Sud ha tutto quel che serve per rinascere economicamente, meno uno Stato. E Stronzobossi glielo imporrà. Il vero problema è sempre quello evidenziato da Vincenzo Cuoco: i Re Magi qui non sono mai arrivati. Anzi non sono mai partiti da Parigi, da Londra o da Abbiategrasso per venire qui.

La Stella in cielo o la mettiamo noi o non splenderà mai sulle nostre teste.

Nicola Zitara





Il Corriere, un episodio eclatante di servilismo padronale

Torniamo alla celebrata enciclopedia del Corriere della Sera. Mi viene in mente di andare a controllare la voce Petrolio. La voce è presente ma è interamente dedicata ai chimici e ai geologi. Sulle vicende economiche, politiche, militari, sociali, planetarie connesse al petrolio silenzio assoluto.

Sorpreso, mi viene il fricco di andare a controllare la stessa voce sull'enciclopedia pubblica da Scalfari, fondatore di la Repubblica. Qui le notizie sono ancor più parsimoniose.

Qualche riga.

Strano, entrambe le enciclopedie danno informazioni sufficienti su Mike Buongiorno, su Irene Pivetti, sul catarifrangente, sui pidocchi, ma sono stitiche su un tema cruciale della nostra epoca. Forse di petrolio si parlerà sotto la voce ENI e sotto la voce EXON, ma la storia di una sola delle Sette sorelle e della loro italica sorellina non potrà dirci della storia del petrolio più di quanto la voce (dell'amato) Totò potrà dirci della storia di Napoli.


Gli Orlando, ovvero della Nemesi storica

Come i Florio, gli Orlando sono una famiglia di ingegneri e armatori palermitani trasmigrati nella Toscopadana a fini affaristici. La prima grande greppia a loro conferita dai malfattori della Destra storica fu l'Officina Ansaldo, la quale, alla faccia del conclamato liberismo cavourrista, era mantenuta dallo Stato.

Da li passarono ad altro. Insieme ai (o in concorrenza con) i Florio, i Ribattino, Bladuino, Bombrini affrontarono il non facile impegno di spogliare il popolo italiano sotto la voce Compagnie (genovesi) di navigazione. Patriotticamente furono in prima linea con Francesco Crispi nella disastrosa impresa abissina di fine Ottocento, che comportò la carneficina di decine di miglia di uomini e una figuraccia per l'Italia e i suoi intrepidi generali (piemontesi).

In realtà non erano guerrafondai; il loro scopo era di lucrare cinque volte il giusto sul trasporto delle truppe, secondo il buon esempio della cavourrista Guerra di Crimea, che a Genova aveva lasciato ottimi ricordi (poi, fatta l'Italia, i debiti cavourristi li pagarono tutte le regioni patriotticamente unificate.

Adesso pare che gli Oralndo si trovino in difficoltà. E' la Nemesi, gli altri meridionali lo sono da quando essi misero in moto la mafia per favorire lo sbarco di Garibaldi a Marsala.

 

Nicola Zitara

 

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