L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
Eleaml



Presentazione del libro

Scuola e istituzioni pubbliche in età borbonica – 1734/1861

di Domenico Coppola
a cura del Comune e dell’Associazione culturale ‘Due Sicilie’
Gioiosa Jonica, 23 aprile 2006, Palazzo Amaduri
Controrelazione di Antonia Capria

(se vuoi, scarica l'articolo in formato RTF o PDF)

Siderno, 26 aprile 2006

Dobbiamo essere veramente grati al direttore Coppola per questo bel libro, che credo presenti per la prima volta i risvolti del Riformismo napoletano in Calabria.


Dobbiamo ringraziarlo e ringraziare anche Enzo Cataldo per la sua bella relazione.


Ci sono però alcuni punti da mettere in chiaro.


Come il dottor Coppola ha messo in rilievo a pag. ???, il primo riguarda la funzione scolastica ed educativa che i seminari diocesani assumono dopo il Concilio di Trento.


Queste scuole si aprono alla cultura classica, che non si può certamente dire sia di carattere pretesco e conventuale. La vita sociale e il mondo laico non sono più visti come fatti da rifiutare culturalmente. Ma ancora più importante è che al seminario possono accedere ricchi e poveri. In sostanza l’istruzione non è più considerata un settore privilegiato a favore dei figli del nobile e del ricco che può pagare un aio, un maestro, ma viene aperta a tutti i ragazzi che il vescovo della diocesi ritiene capaci.


Bisogna aggiungere che i seminari non calcano troppo sul fatto della vocazione. Coloro che la sentono proseguiranno nella missione clericale, coloro che non l’hanno potranno seguire liberamente la propria strada.


Abbiamo, così, un clero postconciliare non più al servizio del barone e del ristretto ambiente della sua corte. Solo per fare degli esempi a tutti noti, due grandi protagonisti del rinnovamento napoletano – Antonio Genovesi, fondatore in Italia dell’economia politica,  e Ferdinando Galiani il cui “trattato della moneta anticipa il liberismo economico – sono entrambi dei sacerdoti.


L’altro concetto che vorrei premettere al discorso riguarda l’esplosione di modernità che si verifica a Napoli con la fine del viceregno spagnolo. Giambattista Vico restituisce alla vicenda storica il valore di conoscenza umana fondamentale. Pietro Giannone rivendica alla società civile la funzione di base del diritto e assegna allo stato una completa indipendenza e la sovranità originaria.


Quando Carlo di Borbone arriva a Napoli giovanetto, credo diciottenne, le idee di chi lo accompagna – nel caso Bernardino Tanucci - sono già formate a favore della monarchia amministrativa e riformatrice. Carlo proclama l’indipendenza del regno duosiciliano dalla Spagna e Antonio Genovesi saluta entusiasticamente la nascita di uno stato libero e sovrano.


E’ nota l’avversione di Benedetto Corce, come anche quella dei suoi zii materni, Bernardo e Silvio Spaventa, al governo borbonico. Eppure nessuno ha scritto un più veemente elogio del  primo cinquantennio del regno borbonico di Benedetto Croce. Dice infatti nella sua Storia del Regno di Napoli:  “il periodo nel quale era entrato il paese dai primi del settecento, e più apertamente con Carlo di Borbone, e più energicamente al tempo di Ferdinando IV, [fu] un periodo di progresso nazionale”. E proseguendo nell’esposizione è facile vedere che , questo progresso nazionale, egli lo considera un grande.


Tutta l’Europa ne è ammirata. Se traduco bene la citazione, il contemporaneo Rousseau esclama, riferendosi alla nuova arte, ai valori umani che cambiano: “ Vuoi sapere dove puoi incontrare la scintilla di fuoco che ti divora l’anima? Corri allora, vola a Napoli…”.

La Scienza nuova di Vico sarà il testo su cui si formeranno i futuri propugnatori del Risorgimento, da Foscolo e Leopardi a Mazzini e Cesere Cantù. Si racconta che Manzoni tenesse sul suo comodino, accanto al letto, il Trattato della moneta di Ferdinando Galiani, per leggerne qualche passo prima di dormire.


Non è soltanto il trionfo dell’arte, specialmente della musica - il cui tempio, per virtù tipicamente risorgimentali, oggi si distribuisce tra Sanremo e la Scala di Milano, elevata dai giornalisti televisivi a Tempio, un tempio che supera quello di Delfi. E’ il trionfo del sapere, delle modernizzazioni. Antonio Genovesi preconizza la conversione del feudo baronale e demaniale in proprietà del diretto coltivatore, attraverso l’antico istituto greco-romano dell’enfiteusi. Invoca la libertà dei commerci, su cui il suo erede spirituale, Gaetano Filangieri, diviene il trattatista più conosciuto nel mondo europeo  c americano. 


I napoletani imparano dall’Inghilterra l’arte navale e ne diventano maestri ammirati persino dagli inglesi, che ormai temono la potenza politica che sta sorgendo al centro del Mediterraneo.           

La scuola normale nasce in questo clima generale di rinnovamento della nazione duosiciliana. Infatti Gaetano Filangieri dedica un intero capitolo della sua “Scienza della legislazione” ai “vantaggi e alla necessità di una pubblica educazione”.


Filamngieri enuncia un concetto che, oltre al resto, appare di grande attualità politica in Italia: “L’ignoranza produce l’imperfezione delle leggi, la loro imperfezione cagiona i vizii de’ popoli. Gli errori corrompono le opinioni, cioè corrompono ciò ch’è più forte del sovrano e delle leggi. L’ignoranza nasconde il bene e il male; l’errore confonde l’uno con l’altro. La prima rende il popolo insensibile al bene che gli si vuol fare; il secondo glielo fa aborrire”.


Riprendendo la lezione di Filangieri, “nel 1789, l’abate Celestino Ludovico Vuoli diede alle stampe il manuale che avrebbe fondato l’istruzione normale nel Regno di Napoli,  fornendo ad essa una solida base teorica e filosofica: Il sistema normale ad uso delle scuole dei dominii di Sua Maestà Siciliana spiegato in tutta la sua estensione rapporto alla pubblica educazione”.  


Ma già il governo napoletano si era sensibilizzato e aveva inviato una delegazione di educatori a Rovereto, affinché vedessero in opera le scuole normali. Al tempo la città faceva parte dell’Impero austriaco, ma viene scelta dai napoletani perché la lingua corrente è l’italiano.


L’Austria collabora con cortesia. Infatti l’originaria inimicizia tra i Borbone e gli Absburgo, che aveva portato allo scontro diretto fra i due eserciti intorno al 1740,  si è placata attraverso il matrimonio dei rampolli delle due famiglie: in Francia tra Luigi XVI e Maria Antonietta, a Napoli, tra Ferdinando e Maria Carolina, sorella di Maria Antonietta.


La corte napoletana, che si prefigge di modernizzare il paese ed è del tutto avanti rispetto alla società duosiciliana, guarda con grande attenzione a ciò che fa la suocera di Ferdinando, l’innovatrice Maria Teresa, che regna a Vienna. Fra l’altro, l’attenzione si dirige sulla scuola pubblica, che Maria Teresa aveva avviato in tutto l’impero. 


La scuola normale è l’anticipazione di quel che sarà in appresso la scuola comunale. E’ un’istituzione pubblica e gratuita, che lo stato, o un ente territoriale, o in questa fase della storia un convento, un’abbazia offre ai ragazzi, tanto ai maschietti quanto alle femminucce.


Ma la novità non sta solo nel fatto che non si tratta più di una scuola individualizzata, con un maestro e un solo alunno. C’è anche il fatto che la nuova scuola osserva un programma unico, nazionale, per tutti i discenti.


Nel 1787 il governo duosiciliano fonda la scuola pubblica e, con una legge,  adotta il metodo normale. La sua applicazione è obbligatoria nelle scuole che i comuni e le  istituzioni ecclesiastiche avviano a favore dei giovani. Le scuole sono tenute ad assumere maestri e anche per le ragazze.


Fra le scuole avviate la più famosa è sicuramente la scuola nautica normale a Piana di Sorrento, cosa di cui abbiamo notizia attraverso l’informato lavoro di Lorenzo Terzi, dal titolo “Le scuole normali a Napoli tra sette e ottocento”.


Delegato a questa scuola fu Francesco Peccheneda, il quale vi si prodigò con grande impegno, e non solo, ma si fece alfiere di una proficua opera di diffusione del modello. Come ci ricorda Lorenzo Terzi, “una delle prime urgenze da affrontare fu quella della redazione dei testi scolastici, i cosiddetti libri normali: la calligrafia per uso delle scuole normali nei dominii di S.M siciliana”, l’aritmetica, la grammatica italiana, i due catechismi di religione e dei doveri sociali.


Sempre nel 1787 nacque il metodo d’insegnare a leggere, ad uso delle scuole normali, che venne pubblicato a stampa dall’editore Donato Campo. L’opera ha un’alta ispirazione civile e morale. Scrive, infatti, il suo autore, Franecesco Peccheneda, riecheggiando il Filangieri:


“La pubblica educazione è incontrastabilmente la base della pubblica felicità. Uomini abbandonati a loro stessi, Cittadini, che non conoscano i loro diritti e i loro doveri, non possono nutrire quei sentimenti che li attaccano alle leggi, alla patria, al sovrano. L’ignoranza e l’errore s’impadroniscono fin dall’infanzia dei loro teneri cuori, gli addomesticano col vizio, li trascinano nei delitti e li gettano nella miseria…


Le prime istruzioni, che con questo metodo debbono darsi a tutti i fanciulli dell’uno e dell’altro sesso, a qualunque classe della società appartengano, sono il leggere, lo scrivere, l’aritmetica pratica, il catechismo di religione, il catechismo dei doveri comuni a tutti e il catechismo dei doveri di ciascuno stato. Quindi seguiranno le istruzioni di agricoltura pe’ i campagnoli, di disegno e di meccanica per gli artisti, di geografia, di nautica e di varie lingue per la marineria, dell’arte militare per la truppa, di economia domestica finalmente per le donne.”


Sembrava che tutto procedesse a maraviglia sino al 1799, ma con l’invasione francese di Napoli e con la Repubblica partenopea la situazione precipita e il sistema scolastico va in crisi. L’occupazione francese vede scuole senza alunni e senza insegnanti.


Purtroppo, caduto il  Sud sotto la dominazione sabauda e assurta la storia toscopadana a motivo ispiratore della vita nazionale, il ricordo di un meridione indipendente e produttore della sua storia è stato non solo dimenticato, ma capovolto da positivo in negativo.


Ciò vale per la scuola e vale per tutti i settori della storia e dell’attualità meridionale.


A conclusione debbo dire che la pregevole opera del dottor  Coppola  e l’altra pregevole opera che ho in mano, quella di Lorenzo Terzi, meriterebbero d’essere  integrate.












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