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Due Sicilie
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Le Poste Italiane hanno affamato Siderno e dintorni

di Antonia Capria

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Siderno, 29 dicembre 2005

Le novità si diffondono rapidamente. Tanto rapidamente, che una persona anziana, come chi scrive, avverte dei dubbi persino nel dare un nome alla cosa. Tanto per capirci, chiamiamola BANCOPOSTA, come è scritto sul talloncino non infiammabile, non distruttibile, ma soltanto smagnetizzabile,  benché il suo nome tecnico sia probabilmente diverso. 

Si tratta in effetti di una gran novità e di una grandissima comodità. Invece che passare delle intere mezze giornate a fare la fila nell’ufficio postale, per riscuotere la pensione che Ciampi, Berlusconi e altri benefattori erariali ti mandano mensilmente, con una piccola tangente, che si aggira sulle 80.000 ex lire all’anno,  puoi ottenere che l’importo corrispondente ti sia accreditato su un conto, dal quale prelevi la somma che ti serve ogni volta che hai bisogno di comprare il pane.

Per incentivare questa categoria – in verità alquanto pidocchiosa – di correntisti bancopostali (o se preferite postbancali) - le Poste Italiane S.p.A hanno operato una generosa apertura di credito a chiunque ne abbia fatto richiesta e non sia un delinquency.

E qui ci conviene aprire una parentesi. Anche questa del delinquency è una recente, grande novità. Esiste infatti, presso tutte le banche e le finanziarie, una specie di Casellario Giudiziario dei mali pagatori, che ha valore e carattere nazionale per l’Italia-una e indivisibile, tale e quale il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio dei ministri e i presidenti della Camera e del Senato (insomma, niente Bossi, niente Loiero e niente devolution in queste serissime cose della patria nostra).

Chiudiamo parentesi e torniamo a noi. Il Bancoposta è dunque una grande comodità per pensionati e bipedi assimilabili, ed è soprattutto una grande comodità per le Poste Italiane S.p.A., che avendo in Italia circa 14.000 sportelli hanno adescato milioni e milioni di depositanti di danaro liquido, che invece di essere remunerati, remunerano, essi,  le Poste per la custodia del danaro.

Resta una facoltà delle Poste Italiane S.p.A. fargli ritrovare i soldi, o no. Anche qui le cose sono cambiate. Una volta, al tempo dell’odiato Borbone, chi dava danaro al Banco veniva chiamato apodissario, cioè un creditore certo e dimostrato, quindi pagato a vista persino dagli agenti del tesoro.

Comunque sia, con modesta spesa e un rischio molto contenuto, le Poste Italiane S.p.A. si sono innalzate a una delle più ricche banche italiane di circolazione e di sconto. Ovviamente, la cosa non può finire così. Fra non molto un qualche Colaninno, o Tronchetti-Provera, o Fiorani, o Caltagirone, sulle alate mandibole dell’Europa Unita, sosterrà che bisogna privatizzare questo vecchio monopolio di Stato, e si beccherà tutto, gratis ed amore dei. D’Alema orante.

In effetti, le privatizzazioni sono la più importante conquista del superstato europeo. La cosa si vede magnificamente con le ex Ferrovie dello Stato, che poi furono il primo grande intrallazzo dell’Italia cavourrianamente e garibadinamente unita contro l’odiato borbone.

Con le ariose aperture europee, i jonici si sono evoluti a tirrenici, e invece di prendere il treno nel feudo ferrostradale di Roccella, vanno a prenderlo nella doppiobinariata ed elettrificata stazione di Gioia Tauro, con scorpioni e piattole esentasse. Cosicché, in attesa del Ponte sullo Stretto, anche a una non fascista viene voglia di urlare: Viva il Duce.    

Ora, queste benedette Poste Italiane S.p.A., diversamente dall’odiato borbone, prendono, ma non amano restituire.  Lo si può vedere a un livello dimesso e casereccio. Basta che vi parcheggiate accanto alla Chiesa di Portosalvo. Se proprio l’attesa vi annoia, potete spettegolare con i rivenditori di minutaglie lì appostati. Alla fine l’allocco postale arriva su una mediacilindrata nuova di zecca. E’ una giovane. La mamma resta in macchina, l’occhio proteso verso la munifica macchinetta. 

La ragazza infila la cartina, ma il visore la informa che non ci sono soldi. Roma sta conteggiando le rimanenze di Cassa. La ragazza – certamente una fans di Ciampi - impetra con uno sguardo la pazienza materna, ma la mamma scende anche lei. Nonostante il freddo, esce dalla macchina senza capotto. Lei non sa usare la macchinetta, e insiste perché la figlia riprovi. Passa di là un conoscente. Viene invocato. Prova anche lui, ma deve allargare le braccia. “Sia fatta la volontà del Signore”.

Le due donne rientrano in macchina, ma non partono subito. Forse attendono il miracolo, forse sperano che il capufficio esca per il solito caffè. Forse pregano, o forse  si preparano a chiedere un prestito allo zio. Forse… Ma questo non lo posso scrivere.

Il rigattiere di turno insiste: “Aspettate che mò arriva qualcaltro”. Infatti arriva. E’ un artigiano. Viaggia su una Renault ormai sgangherata. Non so nome e cognome, ma so dove ha bottega. Infila la cartina, legge. Rimane di stucco. Rinfila la cartina.

Questa torna automaticamente indietro. L’uomo l’afferra con due dita e la lancia in alto, imprecando. “Su cchiappu, stu strunzu…!” A chi si riferisse, non posso dire. Dico solo una cosa. I servizi pubblici, sono tali perché non hanno scopo di lucro. Nelle scuole di un tempo così si insegnava. Tutt’al più, il cittadino, o l’utente come oggi viene chiamato, rimborsava una parte del costo. Era il caso del biglietto ferroviario o del francobollo potale.

Ora, europeisticamente, è stata abolita l’imposta sulle successioni, ma le Poste italiane sono autorizzate a non restituire a vista i soldi che dovrebbero restituire a vista (agli apodissari). Possono (o debbono) fare ciò perché siamo in Europa e il bilancio di fine anno va chiuso a regola d’arte. E poi l’Italia è il paese dell’arte. Prendi un Bancoposta e mettilo da parte. Non si sa mai nella vita, un pezzo di carta serve sempre.

A Roma dicono: Arridateci er puzzone! Ma io  non sono d’accordo. Meglio un rospo in treno e un capufficio S.p.A in paese, che un Duce sul balcone di Palazzo Venezia. Benché Palazzo Venezia, trattandosi di Venezia, sia anch’esso arte.

 
Antonia Capria




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