L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Gli arrendamenti

di Nicola Zitara

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Siderno, 29 settembre 2005

Se nelle nostre scuole non si studiasse la storia della Lombardia, della Toscana e del Piemonte, ma la storia nazionale del Paese meridionale, non dovrei spiegare cosa significa la parola arrendamento. Il termine è di origine spagnola e stava a indicare l'appalto delle imposte dirette a un privato. In appresso prese anche il significato della cessione del potere regio di mettere le tasse. Cinquecento anni fa il principe di Bisignano (appartenente a un illustre famiglia di usurai genovesi) prestò 200 mila ducati al re di Spagna ed ebbe in cambio il diritto di applicare un'imposta sulla produzione di seta greggia e di drappi di seta in Calabria. A quel tempo la Calabria aveva il primato dell'arte serica in Occidente; un fatto notevolissimo perché la Cina, patria primigenia di quell'arte, era commercialmente irraggiungibile. Il risultato fu clamoroso. Gli artigiani serici calabresi scapparono, portando dovunque la loro arte: a Milano, a Lione, a Londra, a Stoccolma.

Potrà sembrare strano, ma siamo sicuramente tornati al principe di Bisignano. Da circa dieci anni spetta ai comuni fare gli arrendatori, nel senso preciso di determinare liberamente il carico fiscale di alcuni prelievi tributari e di individuare il soggetto pagatore.

I comuni, che nella fase precedente ricevevano dallo Stato (per trasferimento) l'intero importo dell'attivo di bilancio (solo a volte potevano accrescerlo accendendo un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti), oggi realizzano l'Attivo di bilancio, in parte attraverso i trasferimenti statali e in parte attraverso le imposte dirette e indirette, che lo Stato 'arrenda' (nel tentativo di far fessa la Comunità europea, che fessa non è, ma anglo-franco-tedesca, cioè granaria, allevatoria e lattearea sì).

Il rapporto tra entrate per trasferimento e entrate proprie si è fortemente spostato da questa parte. I poveri netturbini faticano non solo per pulire le strade ma anche per pagare le trasferte a Roma del sindaco pro tempore. Io pago per i rifiuti che produco e anche per mettere un'elegante cancellata al giardino comunale. Qui arrendano (o tremontano, che dir si voglia) tutti: ministri, sottosegretari, sindaci, assessori regionali. La dantesca "non donna di provincia, ma bordello", è andata egregiamente oltre. E mentre Bossi fa da Madama, Tremonti e Berlusconi servono i clienti.

Sotto la sferza di cotal bisignanesche cose, la serva Calabria (di dolori ostello) si taglia le vene e muore dissanguata. La cazzata di puntare tutto sul turismo l'ha definitivamente prostrata. Bastava poco per rendersi conto che l'investimento turistico rappresenta una  spesa certa (presso le aziende settentrionali), per impianti e arredi, ed entrate incerte (degli albergatori calabresi); entrate che resteranno magre finché ogni atto della retorica nazionale incanalerà il turismo verso la Liguria, le Romagne, il Veneto e la Toscana. L'Aga Kan riuscì quarant'anni fa, con il suo incalcolabile patrimonio, a rompere il 'blocco toscopadano' e lanciò la Sardegna. Per fare altrettanto a favore dell'intero territorio meridionale, ci vorrebbe una decina di volte quella cifra. Il bello è che abbiamo l'intera cifra, è tutta in banca. Ma senza il permesso di Milano non la possiamo toccare. E' solo un'illusione  (una bubbola toscopadana) l'idea che il Sud abbia nelle sue mani il proprio destino.

Insomma si è ripetuta con il turismo la presa per i fondelli della fu Cassa per il Mezzogiorno, la quale, attraverso l'acquisto di cemento e di ferro dagli industriali del Nord, si rivelò e concretizzò in una vera Cassa per il Miracolo Economico Padano.

Intanto la nuova botta tremonbossista cuoce a fuoco alto. Nella finanziaria in preparazione, le regioni toscopadane ci scaricano dall'italianità, quanto alla spesa, e ci riqualificano come italiani, quanto alle entrate. Queste entrate tributarie sono, poi, come un gioco di prestigiatore. Pare che a pagare il tributo sia una data persona, e invece è un altra. Tecnicamente si chiama 'traslazione' dell'imposta. Il trasformista è il valore aggiunto nelle merci e nei servizi, che il Sud compra al Nord. Quando io compro un vagone di farina presso un mulino di Pavia, pago il grano macinato e pago anche il costo del lavoro per macinarlo. Ora questo costo entra nel prezzo della farina interamente, cioè include le imposte che (in apparenza) vengono pagate dalla ditta proprietaria e quelle che (in apparenza) vengono pagate dai lavoratori. Da Pavia, città umida di pioggia, l'imposta trasla (ma meglio sarebbe dire trasloca) in Calabria, umida terra di snervante scirocco.

Ma c'è un nuovo capolavoro di Tremonberlusca, il quale è già arrivato nelle nostre saccocce.  Tremonberlusca governa con fini rivoluzionari – una rivoluzione all'incontrario, che arricchisca i ricchi e impoverisca i poveri, la quale si fonda sull'insana idea che i ricchi, arricchendosi, facciano nuovi investimenti. Per tal motivo, chiudono gli  occhi su ogni forma di evasione fiscale e ogni formazione di controllo monopolistico e mafioso della distribuzione. Sulla base di tale non italica filosofia, i ricchi se ne stanno andando a investire in Oriente, e restano qui i poveri, per giunta senza lavoro e scarso pane.

Nella seconda decade di questo settembre è avvenuto che i prezzi per frutta e verdura hanno preso a volare, con congruo arricchimento dei venditori monopolisti, grandi e piccoli. Siamo a 1,2 per un chilo di pomodori già marci e a 2,0 e anche 2,5 per un chilo di pomodori sani(zzi). Più o meno lo stesso aumento per altri ortaggi e per la verdura. I meridionali meno ricchi restringono la spesa, i poveri fanno a meno di frutta e verdura, i più attivi se ne vanno per i campi a "spigolare" gli alberi di frutta. Ma non è questo il problema, quantomeno dal punto di vista dell'equilibrio economico. Le cifre non mangiano e non bevono. Il problema macroeconomico di prossima emersione sta nei maggiori incassi della distribuzione e nel conseguente rigonfiamento delle disponibilità  bancarie. Quando il danaro non è disperso, ma all'opposto concentrato, il potere sociale delle centrali bancarie cresce a dismisura. Ora, queste centrali sono scomparse dal Sud, se mai ci sono veramente state, e si sono concentrate a Milano. Esse metteranno le accresciute risorse a disposizione delle aziende più sicure e redditizie. C'è ancora il mattone, strada facendo troveranno dell'altro, ma non sicuramente le aziende meridionali, che nascono con difficoltà e periscono con facilità.

 Traducendo il concetto in una proposizione elementare, avverrà che io sottoscritto, attraverso l'acquisto di un chilo di zucchine, aiuterò i congiunti Agnelli a portare la loro fabbrica di automobili in Romania. Niente di più mi è richiesto, ma niente di meno. 

Oggi il livello di reddito dei calabresi poveri è il decimo del reddito corrente nelle province dell'Alto Veneto. Il 47 per cento degli abitanti della Calabria è sotto la soglia della povertà, determinata in Italia in 600 euro mensili. Con lo scatto dei prezzi in atto, sotto la soglia indicata ci starà (ma forse è già) il 60 per cento dei cosiddetti cittadini calabresi. A questo risultato non lavora soltanto lo stonzobossismo, ma anche molti onorevoli calabresi. Né è da sperare che cacciando Berlusconi le cose cambino in meglio. Prodi vittorioso, tutto il popolo italiano si sentirà torinese e porterà sacrifici e risorse per i prossimi mondiali di Torino, e per la fabbrica delle fabbriche, la Fiat über alles. Berlusconi si trasferirà in Spagna, tra Barcellona e le Baleari, Tremonti aprirà uno studio di fiscalista in Canton Ticino e Stronzobossi morirà di morte naturale. A noi calabresi non resterà altro che la faccia di Lo Iero (senza Lo Dimane).

Sono troppo vecchio per aver conosciuto nella mia giovinezza il governatore delle Calabrie. Ma se avessi il privilegio di essere suo amico, gli darei un serio e spassionato consiglio: "Costituisca, illustre Presidente, una commissione di politici ed esperti per guidare i calabresi negli spostamenti migratori. Abbandoniamo per un momento la non chalance tipicamente lumbard, e facciamo tesoro della nostra storia lontana. Gli antichi greci, quando, in una loro città, il pane e le olive diventavano scarsi, organizzavano una spedizione oltremare, per fondare altrove una nuova città. Per quel che sappiamo, a loro andò bene.

"Mi creda, Signor Governatore, è l'unica cosa seria che Lei possa – federalisticamente - fare per noi. Il resto è fumo, magari fumo colorato. Comunque fumo".

L'emigrazione popolare di massa è tecnicamente e umanamente possibile in molti posti del mondo  e in qualche luogo sarebbe persino benaccetta. Alla fuga generalizzata (nei decenni del dopoguerra furono ottocentomila i calabresi in fuga, un residente su due) c'è una sola alternativa: la separazione dall'Italia e dall'Europa. Il legame con  la civiltà europea ci è stato sempre nefasto. Il Sud, la Sicilia, la Sardegna hanno prosperato tutte le volte che non sono state integrate in essa. Si pensi, poi, al favoloso abbassamento del costo della vita che si avrebbe liberandoci dal protezionismo granario, allevatorio e latteario europeo. Il prezzo del pane non supererebbe le (ex) seicento lire, quello del latte le 400, la carne argentina costa meno di 5 euro al quintale. Ma non basta. Nelle merci industriali sono incorporati gli alti salari delle aristocrazie operai. Uscendo dal protezionismo europeo, che non ci dà niente, anzi ci tassa invisibilmente, il nostro livello dei salari scenderebbe sotto la metà, agevolando le nostre produzioni presenti e future.

 E' assolutamente cretino pagare ad altri un lavoro che noi sapremmo fare, ma non facciamo perché qualcuno ci dice che è peccato mortale. Non facendolo, la disoccupazione imperversa.

Insomma, Lutero fece la Riforma religiosa per non pagare le indulgenze ai cardinali romani e la mediazione su queste da parte dei banchieri fiorentini. Ma noi, diversamente dagli ex cattolici di Gottinga, non siamo abituati a pensare. Ce la cantano e ce la suonano come vogliono. E noi paghiamo. Non paghiamo, però, solo ai forestieri, paghiamo anche ai nostri conterranei che mediano il colonialismo toscopadano, cioè ai politici, ai distributori commerciali, ai mafiosi, ai burocrati corrotti, ai bancari, ai massoni, ai seguaci del cavourrista cardinale Ruini, agli agenti delle ditte forestiere, ai giornalisti, agli addetti alla sanità, ai farmacisti, ai notai, agli allenatori, agli atleti e persino a molti operai e lavoratori in proprio. In Calabria la realtà sociale è spaccata tra italianizzati e non. Ma nessuno si illuda di esser salvo. Il mondo è fatto a scale. Qui, qualcuno le sale, i più le scendono. Ma chi le scende non si illuda di risalirle più. L'italianità del Meridione è la sconfitta; un cimitero sociale, anzi una catacomba.      


Nicola zitara





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