L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
Eleaml


Prima difendere ciò che già c'è

di Nicola Zitara

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Sono di questi giorni tre notizie scalognate: una pubblicazione della Banca d'Italia mette le banche con sede al Sud ai peggiori posti delle sue classifiche, la chiusura delle Officine ferroviarie di Saline Joniche, il paventato arrembaggio di un'impresa emiliana sui soldi statali della legge 488.

Sull'ultimo punto c'è da dire soltanto che se sviluppare al Sud aziende del Nord serve solo al Nord. Caso classico quello della Ligure-Lombarda che, sul finire dell'Ottocento s'impadronì dell'esportazione meridionale d'olio, mandando a gambe levate decine di imprese secolari e togliendo ai lavoratori meridionali la possibilità di venire occupati nel trasporto e nelle seconde lavorazioni del prodotto.

Circa gli altri due, direi che le lamentazioni dei giornali mi sembrano un po'cretine. Non si capisce, infatti, come potrebbe andar bene la banca, se l'economia produttiva e l'occupazione vanno male (salvo che la banca non pratichi l'usura, come accadeva in passato quando le banche meridionali erano possedute da meridionali); né si capisce come possa andare bene un'industria creata solo per togliersi dalla balle qualche sindacalista in vena di populismo.

Allo stesso modo dei salariati, che sono tenuto a lavorare sotto un padrone, e degli imprenditori, che hanno la funzione di organizzare la produzione in modo proficuo, facendo crescere il prodotto netto sociale, le banche hanno una loro propria e non surrogabile funzione, che è quella di spostare risparmio improduttivo ai produttori.

Ora - se si vogliono rispettare le regole del mercato - tale funzione, al Sud, è impossibile. Nel dire questo, ricordo anche il rovescio, e cioè che in Italia le regole del mercato vigono solo quando favoriscono il Centronord. L'economia meridionale è come la luna - s'illumina di luce riflessa - mentre il sistema settentrionale è come il sole: vive di luce propria. Ovviamente, chi ha il potere politico e culturale fa di tutto affinché ciò non si noti. Per esempio, la contabilità nazionale - per pura comodità o forse anche per dare fumo negli occhi degli italiani del Sud - usa chiamare produzione anche ciò che produzione non è, almeno in riferimento all'esigenza di sviluppo. Nel caso della ricchezza prodotta al Sud, vi compaiono i servizi resi all'aggregato "paese", che in effetti sono ricchezza prodotta da e per l'Italia restante, e non da noi e per noi. L'operatore meridionale che rende servizi alle imprese del Nord viene assegnato alla categoria di coloro che producono ricchezza nazionale, anche se poi egli svolge - rispetto alla produzione meridionale - la funzione di una quinta colonna che opera per il nemico.

O dio, in questo modo di conteggiare non c'è una scorrettezza propriamente contabile. I conti funzionano. La scorrettezza è invece tutta economica, politica, italiana, in quanto aggiungere valore-lavoro al prodotto forestiero significa fare una preventiva concorrenza al prodotto locale; una concorrenza corrosiva e per giunta in cambio di pochi danari. Infatti i trasporti e la distribuzione, che sono le attività lasciate (in parte) agli operatori meridionali, non rappresentano un lavoro tanto significativo da tenere in piedi l'intera economia. Lo testimonia l'attuale disoccupazione. La quale è parecchio più che disoccupazione, essendo in effetti sovrappopolazione, cioè popolazione inutile al fine produttivo.

Sin dal tempo in cui la Banca Nazionale sabauda, dopo aver spogliato il Sud di tutto l'argento circolante, sottomise ai suoi imbrogli (il famoso carnevale bancario) i resti del Banco delle Due Sicile, le banche milanesi, romane, fiorentine, torinesi sono state il primo fattore di sottosviluppo e desertificazione produttiva del Sud italiano. Attualmente tutte le banche che operano al Sud, anche quelle meridionali, non adempiono (né potrebbero farlo) alla funzione classica della banca, che sarebbe quella di impiegare la raccolta (di risparmio) a favore dell'autonoma crescita produttiva.

In tale disastrosa negatività non c'è, però, una specifica cattiveria e - almeno oggi - un comando superiore. Essa corrisponde a un autonomo meccanismo di mercato (nazionale, e adesso anche comunitario). Infatti, a livello di mercato nazionale, il credito corre non tanto dove è pagato di più, quanto dove il rischio è minore. Quindi, sul mercato nazionale italiano, sceglie il Nord per effettuare le sue operazioni d'investimento. Lo sceglie anche perché, essendo più ricco, l'operazione che impegna un dipendente per cinque minuti (per esempio spedire un bonifico), al Nord rende dieci volte di più.

Non per fare inutilmente della storia, ma per imparare dalle esperienze, è il caso di annotare che la situazione attuale è diametralmente capovolta rispetto al passato. Fin quando il fascismo non nazionalizzò le grandi banche centropadane e non dette un diverso ordinamento alla Banca d'Italia, al fine di salvare un sistema che era arrivato al totale fallimento, l'investimento andava preferibilmente dove il rischio era maggiore. E non solo per l'evidente motivo che le banche speravano di trarre un guadagno maggiore, ma soprattutto perché gli stessi governi prefascisti avevano fortemente spinto in tal senso. Era inoltre un momento in cui banca e industria erano legate da poteri personali incrociati. Allo stesso tempo, la raccolta realizzata dal Banco di Napoli e dal Banco di Sicilia, che si fondava in larga parte sulle rimesse degli emigranti, non era impiegata esclusivamente al Sud, e in agricoltura (in base a una legge non scritta convenuta fra i reggitori dell'epoca), ma veniva spostata al Nord attraverso la mediazione della Banca d'Italia e del Tesoro.

In una situazione giuridicamente e tecnicamente rovesciata, oggi la banca padana arriva al Sud in quanto la raccolta vi è ancora significativa, essenzialmente per via del danaro che la mafia ridistribuisce sul territorio. Naturalmente né il fatto che la banca arrivi qui per raccogliere risparmio e drenarlo, né il fatto che questo danaro sia prevalentemente sporco possono essere messi sui giornali. Per precostituirsi un alibi, la banca padana non rifiuta d'impiegare la raccolta anche sul posto. D'altra parte, in un momento in cui l'Italia padana sputa danari da tutti i pori, il drenaggio di risparmio meridionale è divenuto meno importante di quanto non fosse in passato.

Questo minor trasferimento è, però, peggio del pieno trasferimento. Vediamone il perché. Esso non può andare all'investimento industriale, perché questo rappresenta un rischio non accettabile, se rapportato al rischio che una normale banca affronta nell'Italia restante. Né lo Stato offre una copertura, come al tempo di Giolitti e di Mussolini. Un paese ad altissimo sviluppo, qual è l'Italia attuale, non duplica a cuor leggero gli enormi costi affrontati attraverso il sistema bancario, tra il 1860 e il 1970, per raddoppiare l'apparato industriale. Per far decollare l'industria padana, Giolitti strappò al Sud l'intero controvalore delle rimesse degli e migranti (centinaia di migliaia di miliardi in lire d'oggi) e per salvare le banche infognate in crediti industriali irrecuperabili, Mussolini spese ufficialmente sei miliardi (questo in un tempo in cui un chilo di pane costava meno di una lira e una Balilla FIAT diecimila lire). Ma i miliardi effettivamente spesi furono forse una ventina, pari a tre interi bilanci dello Stato all'epoca. Certamente furono miliardi ben spesi, in quanto, sotto la guida della Banca d'Italia ripulita, dell'IRI e in appresso dell'Eni, l'Italia riuscì a compiere la scalata da povero paese agricolo a impero industriale.

Divenuta un paese esportatore, l'Italia non può adottare nuovamente il protezionismo, né può essere protezionista al Sud e liberista al Nord, anche se gli Stati hanno sempre accordato all'industria nascente forme molto ardite di protezionismo, il modo che i costi industriali di rodaggio fossero sopportati dall'intera nazione, come avvenne in Italia tra il 1887 e il 1970 circa, a favore dell'industria parassitaria (a quel tempo, puntuale ed efficace definizione dei liberisti). Oggi il libero mercato vige anche per il Sud, e in regime di libero mercato, al Sud, un'industria diffusa nella stessa misura che al Nord è praticamente impossibile. Confindustria e governanti pretendono che il Meridione ripeta il miracolo avvenuto in California e che parta, senza disturbare nessuno, in settori assolutamente innovativi. Ma i miracoli non si ripetono, e poi, dopo il 1860, il paese meridionale è come se si fosse completamente rincoglionito nell'ammirazione di Melano. In effetti, la produzione nazionale di manufatti è già avviata da più di un secolo, e qualunque normale produzione meridionale - persino una produzione maturissima, come quella di macinare il grano per farne farina - deve fare i conti con un sistema che gli nega ogni forma di protezione.

Peraltro, la concorrenza di mercato vige anche per le banche, né lo Stato o la Banca d'Italia le spingono a rischiare con l'ipotetica industria meridionale, assicurando loro una copertura per il caso che si trovassero in perdita. Non che la Banca d'Italia non abbia fatto operazioni del genere - casi esemplari quelli dell'imbroglio americano della BNL e della catastrofe del Banco di Napoli - ma le ha fatte post festum, dopo il guaio.

Nella situazione attuale, la banca sceglie il rischio "industriale" minore, in pratica finanzia l'industria dove essa è storicamente solida. Al Sud, il cliente più tranquillo - e più disposto a pagare interessi - è invece il commerciante; anche lui inconsapevolmente un attivo e vigoroso distruttore del proprio paese. Infatti usa patriotticamente il danaro che la banca gli presta per comprare al Nord e vendere al Sud. In buona sostanza, più che di un commerciante, si tratta d'un importatore di merci padane (adesso anche europee), che drena al Nord i nove decimi della spesa meridionale e - attraverso la mediazione bancaria - ne dilapida anche il risparmio, che viene impiegato per aumentare i consumi invece che nella produzione.

Non è necessario che questo meccanismo compia giri vorticosi. Basta il normale consumo per trasformare il finanziamento bancario al commercio in una forma di sbocco pre-finaziato a favore dell'industria padana.

Nonostante i valzer federalisti che le popolazioni meridionali hanno già cominciato a ballare, come se fossero le scimmiette di Formigoni, il sistema monetario e creditizio rimarrà fortemente unitario, con capitale a Milano. In effetti l'Italia non ha più bisogno del Sud. Questo non vuol dire, però, che il Sud non continui ad esistere e che i presidenti delle nostre Regioni non si chiamino anche loro governatori, sebbene non riescano a governare altro che la ritirata sanitaria.

Tuttavia, credo che le Regioni una cosa seria potrebbero farla: salvare con danaro regionale le industrie locali che falliscono. Ho già annotato che Mussolini salvò le banche padane, e che lo fece per salvare non solo i risparmiatori, ma anche gli apparati produttivi. Se al Sud avessimo salvato dal fallimento e dalla chiusura le migliaia di industrie molitorie, pastaie, conserviere un tempo esistenti (che poi furono le prime industrie italiane ad affermarsi sul mercato internazionale), forse la disoccupazione e l'improduzione non avrebbero raggiunto il presente livello.

Non si dice forse che il risparmio è il primo guadagno?

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