L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
Eleaml


TRATTATO DI ECONOMIA MARXISTA
Ernest Mandel
CAPITOLO II - SCAMBIO, MERCE, VALORE

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Volume secondo

Volume terzo

Volume quarto



Lo scambio semplice

E'l'incontro tra orde che raccolgono frutti diversi o cacciano differenti animali a creare le condizioni per uno scambio occasionale. «Il baratto e il commercio si sviluppano in regioni a prodotti differenziati, in cui macchia e spiaggia, foresta e pianura, montagna e vallata si offrono vicendevolmente prodotti nuovi incoraggiando scambi reciproci » 1.

Parlando del popolo rhodesiano dei Bemba, che praticano assai poco il commercio, Audrey I. Richards osserva che «le condizioni ambientali in cui vivono i Bemba spiegano in una certa misura il loro commercio poco sviluppato, poiché in generale le condizioni della zona sono cosi uniformi che non c'è quasi ragione che un distretto scambi beni con un altro » 2.

L'origine dello scambio va ricercata, dunque, al di fuori dell'unità sociale primitiva, sia essa l'orda, il clan o la tribù. Nel suo seno predominano, in una fase primitiva, l'aiuto reciproco e la cooperazione del lavoro, che escludono lo scambio. Il servizio di ciascuno alla comunità è stabilito sulla base dell'uso o del ritmo: muta con l'età, il sesso e il grado di parentela. Ma è indipendente dalla ricerca di una controprestazione. Ora, è precisamente la controprestazione misurata che costituisce la caratteristica essenziale dello scambio.

Questa misura non è necessariamente una misura esatta. Non può neppure esserlo allo stadio dello scambio semplice, fortuito, occasionale. Orde e tribù che conoscono male la natura, le origini, le condizioni di produzione, l'uso esatto di un prodotto che ricevono «in cambio» di un altro prodotto, si lasciano per forza governare dall'arbitrio, dal capriccio o dal caso nella determinazione di questo scambio. Lo scambio, l'operazione più esattamente «misurata» della vita moderna, è nato in condizioni materiali che escludevano ogni possibilità di una misura esatta.

Lo scambio semplice è uno scambio fortuito e occasionale: non può far parte del meccanismo normale della vita primitiva. Può derivare sia dalla comparsa fortuita di un sovrapprodotto sia da una crisi brusca dell'economia primitiva (carestia) *.

Nell'un caso e nell'altro, il gruppo primitivo che conosce l'esistenza dei gruppi vicini cercherà di stabilire rapporti di scambio sia con mezzi di rapina sia con mezzi pacifici. L'incontro di due surplus occasionali, diversi per qualità naturali, per utilità, per valore d'uso, crea le condizioni più normali di un'operazione di scambio semplice.

 

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Baratto silenzioso e doni cerimoniali

Quando un gruppo primitivo dispone regolarmente di un surplus di un prodotto qualsiasi, dopo aver soddisfatto i suoi bisogni di consumo, lo scambio semplice può diventare scambio sviluppato. Ora non si verifica più solo un'operazione fortuita di scambio in momenti eccezionali, ma una serie di operazioni di scambio più o meno regolari.

La determinazione di rigide regole di scambio non è che il punto di arrivo di una lunga transizione che parte da una situazione in cui lo scambio sporadico viene praticato senza una misura esatta. Ai due modi di rifornimento di prodotti esteri - lo scambio semplice e la guerra-rapina - corrispondono presso i gruppi primitivi due forme transitorie di scambio: il dono cerimoniale e il baratto silenzioso.

I contatti tra gruppi primitivi senza legami di parentela non sono quasi mai contatti tra gruppi di forze eguali. Implicano relazioni al limite dell'ostilità, e questo limite è presto superato.

L'esperienza insegna ai gruppi più deboli che è preferibile fuggire all'avvicinarsi di stranieri temibili. Insegna a questi ultimi che decimando gruppi più deboli, di cui si desiderino i prodotti, si rischia di perdere ogni possibilità di procurarseli *. Così si stabiliscono, sul filo dell'ostilità aperta, rapporti di scambio regolati convenzionalmente che vengono designati col termine di baratto silenzioso.

Il gruppo più debole depone i prodotti destinati allo scambio in un luogo deserto e sparisce finché l'altra parte non abbia lasciato i suoi prodotti nello stesso luogo.

Esempi di questo baratto silenzioso abbondano nella storia economica. Il caso dei rapporti tra Mauri e Negri a Occidente di Gibilterra, citato da Erodoto, e quello dei rapporti tra commercianti persiani, turchi e greci della Russia meridionale con gli abitanti delle steppe gelate della Russia settentrionale, citato dal viaggiatore arabo Ibn Batutah, fanno parte della letteratura classica in materia. Oggi si ritrova il baratto silenzioso in molte zone del globo: presso le tribù Cukci in Siberia, nei loro rapporti con gli abitanti dell'Alaska; presso i negritos che abitano le vallate settentrionali dell'isola di Luzon, nelle Filippine, nei loro rapporti con gli abitanti cristiani della stessa regione; presso la tribù Awatwa nella Rhodesia del Nord, nei rapporti tra gli abitanti dell'interno del paese e quelli delle paludi; nella Nuova Guinea, alle Nuove Ebridi, in India, in Indonesia, ecc. 5.

Il baratto silenzioso e, a maggior ragione, i rapporti di scambio derivanti da rapporti di ostilità aperta, hanno origine dal contatto tra gruppi primitivi diversi senza comune legame di parentela. All'interno del gruppo, come abbiamo visto, in una prima fase mancano i rapporti di scambio. Il cibo e altri oggetti di prima necessità non vengono scambiati, ma divisi 6. Esistono solo i semplici doni, regali (oggetti preziosi, talismani, ornamenti) che vengono convenzionalmente contraccambiati, come è il caso ancor oggi per i regali in seno a una famiglia moderna, senza che si effettui un calcolo preciso di equivalenza.

Ma quando i gruppi che si ricollegano agli stessi antenati si allargano e si diffondono su di un territorio troppo largo per poter essere amministrato sotto una direzione comune, si scindono in tronconi. Lo scambio di regali, che consistono in prodotti vari propri dei territori su cui vivono questi sottogruppi, si istituzionalizza, si ripete periodicamente in modo cerimoniale e si regolarizza. Il cerimoniale esprime rapporti di interdipendenza materiale reale tra questi sottogruppi, l'uno non potendo sussistere senza l'aiuto dell'altro, o semplicemente l'esistenza di rapporti di parentela 7.

Lo stesso istituto di scambio cerimoniale di regali si conserva presso gruppi primitivi già passati allo stadio dell'agricoltura individuale, ma che restano riuniti nelle comunità di villaggio. Le differenze tra raccolti individuali nel seno della stessa comunità, o tra raccolti di parecchi villaggi legati da vincoli di parentela, saranno periodicamente corrette dallo scambio di regali. Molti rapporti di scambio cerimoniale di regali, la cui funzione economica appare oggi sbiadita o invisibile, avevano una simile origine funzionale.

In Les Structures élémentaires de la parenté, Claude Lévy-Strauss ha dimostrato in modo convincente quanto questi scambi di regali - come pure gli scambi di donne - siano inseriti nella vita economica a questo stadio di evoluzione sociale e quanto questi due circuiti paralleli - che i primitivi considerano d'altronde identici, essendo le donne considerate anch'esse regali! - siano indispensabili al mantenimento della coesione sociale del gruppo. Poiché la divisione del lavoro è ancora essenzialmente divisione del lavoro tra i sessi, qualsiasi scelta disordinata delle spose porterebbe all'indebolimento di certi gruppi, se non alla loro scomparsa.

Per questo, le regole di reciprocità implicano che un uomo «può ricevere una sposa solo dal gruppo da cui si può esigere una donna perché, nella generazione precedente, una sorella o una figlia è stata perduta; mentre un fratello deve al mondo esterno una sorella (o un padre una figlia), perché, nella generazione precedente, una donna è stata guadagnata » 8.

«L'esogamia, conclude Claude Lévy-Strauss, offre il solo mezzo di conservare il gruppo in quanto gruppo, di evitare il frazionamento e la separazione indefiniti che porterebbero con sé la pratica dei matrimoni fra consangumei » 9*.

Presso gli Ozuitem Ibo (Nigeria meridionale), lo scambio di doni alimentari è spiegato nel modo seguente dagli stessi membri della tribù:

«Il popolo afferma che in passato, prima che, all'inizio del secolo, fosse introdotta la cassava (focaccia di farina di manioca) c'era spesso una grande penuria di cibo durante i tre mesi (giugno - agosto) prima del raccolto annuale dell'igname. L'antico sistema di trasferimento di cibo è ancor oggi praticato in quel periodo: tutti coloro che dispongono di viveri, ne fanno dono. Cosi gli uomini sono obbligati a fare doni di viveri alle loro donne e ai parenti uterini » 11.

La pratica dello scambio cerimoniale può superare i limiti di una tribù ed estendersi a parecchie tribù o popoli abitanti una regione determinata. Come lo scambio cerimoniale all'interno di un gruppo ristretto non fa che esprimere legami stretti di solidarietà e di cooperazione nel lavoro, così la sua estensione a parecchie tribù e popoli esprime uno sforzo per stabilizzarvi rapporti pacifici di cooperazione 12.

«All'inizio, le missioni (che venivano a versare i tributi) costituivano semplici atti dei principi del paese del Nanyang (Sud-est asiatico) che inviavano alla capitale cinese delegati portatori di messaggi di congratulazioni o di cerimonie per la corte della Cina. Furono sempre ricevuti come umili emissari che offrivano la sottomissione al Figlio del Cielo. Naturalmente portavano in regalo prodotti dei loro paesi e l'imperatore, per sua magnanimità, dava loro regali in cambio. Si dà che questi regali cinesi spesso avevano più valore di quelli recati da Giava, dal Borneo e dalla Malesia; ma anche se fossero stati di valore eguale, si trattava chiaramente di un embrione di commercio internazionale che si era appena stabilito » 13.

Quando l'attività economica individuale - innanzitutto l'agricoltura - prende un posto sempre più importante nel quadro della comunità di villaggio, quando i rapporti cerimoniali di scambio di regali e di baratto silenzioso si moltiplicano e si regolarizzano, elementi sempre più numerosi di misura, di calcolo dei regali scambiati si introducono nella comunità allo scopo di mantenere l'equilibrio economico. Nella desa, comunità di villaggio indonesiana, coesistono cosi due forme di attività economica: il samba sinambat, attività non rimunerata, orientata verso il soddisfacimento dei bisogni vitali e il teoloeng menseloeng, attività orientata verso il soddisfacimento di bisogni individuali per cui si è in diritto di aspettarsi una controprestazione più o meno equivalente 14. Schechter 15, dopo avere esaminati la maggior parte degli esempi di scambio cerimoniale di regali, ha riscontrato che nella maggior parte dei casi il principio dell'equivalenza, dunque della misura esatta della controprestazione, ha già una funzione preponderante. Certo, si è sempre ben lungi da un'economia di mercato, basata sulla produzione di merci. Ma equivalenze sono generalmente ammesse e persino istituzionalizzate, come appare dal codice di Ammurabi 16.

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Lo scambio sviluppato

Il baratto silenzioso e il dono cerimoniale sono forme transitorie tra lo scambio semplice e lo scambio generalizzato che può essere designato col termine comune di scambio sviluppato.

Lo scambio sviluppato risulta dall'incontro non più di due surplus fortuiti, ma di un surplus abituale con altri prodotti. Sia il baratto silenzioso sia il dono cerimoniale possono assumere la forma dello scambio sviluppato; possono pure andare al di là di questa forma e integrarsi nello scambio generalizzato propriamente detto.

Nella società primitiva, in cui l'artigiano non ha ancora acquistato la sua autonomia, può apparire una specializzazione regionale, una divisione regionale del lavoro, in ragione di particolarità specifiche in un territorio dato. La tribù che abita un tale territorio può dedicarsi in gran parte alla produzione di questa specialità e apparire di fronte alle tribù vicine come uno specialista collettivo. Essa produrrà un surplus considerevole del bene in questione e lo scambierà con i prodotti particolari delle altre tribù. La preistoria e l'etnografia indicano che gli strumenti di lavoro e gli ornamenti sono i primi prodotti suscettibili di partire in grande quantità da un dato centro di produzione attraverso operazioni di scambio sviluppato.

Già nell'epoca della pietra scheggiata erano state organizzate vere e proprie officine di strumenti di pietra, in particolare a Saint-Acheul e nell'isola di Bomlo, nel Sud-ovest della Norvegia. All'epoca della pietra levigata, esistevano vere e proprie miniere di silice in Egitto, in Siria, in Portogallo, in Francia (Grand-Pressigny), a Grimes' Grave e a Cissbury in Inghilterra, a Obourg e a Spienne nel Belgio, in Svezia e in Polonia (Galizia orientale e distretto di Kielce). Nell'isola di Marua sono stati trovati resti di officine di strumenti di pietra che rifornirono una gran parte della Nuova Guinea 17. Heichelheim indica un gran numero di fonti che sembrano confermare la circolazione di oggetti di ornamento in un raggio assai vasto sin dall'epoca più primitiva 18.

Con il progresso della produttività del lavoro e la costituzione di piccoli surplus regolari presso numerose tribù e popolazioni vicine, questo sistema di specializzazione regionale può allargarsi in una rete regolare di scambi e portare a una vera e propria divisione regionale del lavoro. Nel bacino dell'Amazzonia, per esempio, tribù diverse hanno le loro specialità: i Menimeli sono conosciuti soprattutto per i loro vasi; i Karahoni producono veleni particolarmente virulenti; i Boro sono specializzati nella fabbricazione di tappeti, di fasce e di flauti; i Nitoto eccellono nella fabbricazione delle amache 19. Gli scambi tra queste tribù si regolarizzano progressivamente sulla base di tali specialità.

Ma per ciascuna di queste tribù la fabbricazione dei prodotti speciali non rappresenta che un elemento complementare, un'attività secondaria della vita economica. Quest'ultima resta essenzialmente basata sulla raccolta, sulla caccia e sulla pesca (talvolta con un inizio di agricoltura), cioè sulla sussistenza. Nessuna specializzazione artigianale esiste ancora all’interno della tribù, in cui lo scambio sviluppato manca completamente se non sotto la forma embrionale del dono cerimoniale. Coloro che oggi fabbricano vasi, domani devono partire per la caccia o lavorare la terra, se la tribù vuol evitare di soccombere alla carestia.

 

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Il commercio

Con la rivoluzione neolitica, lo sviluppo dell'agricoltura e la costituzione di surplus permanenti creano la possibilità di uno scambio costante con i popoli che non dispongano ancora di tali surplus: lo scambio entra in una nuova fase. Gli scambi non si limitano più a rari prodotti di una specializzazione regionale. Abbracciano quindi l'insieme dei prodotti di tutta una regione: fanno la loro comparsa dei mercati locali. Ogni tribù od ogni villaggio continua a sopperire ancora in larga misura ai propri bisogni. Ma nessuna tribù o nessun villaggio è più completamente indipendente da un apporto di prodotto esterni.

«Numerose comunità (nella Nigeria meridionale) dispongono di un surplus di viveri e di altri beni d'uso quotidiano, come vasi, stuoie o strumenti di legno che, tramite numerosi mercati locali, arrivano a compratori di altre comunità... Cosi i villaggi delle foreste Agoi, sui versanti delle colline Oban, scambiano carni affumicate provenienti dalla caccia nei mercati dei villaggi presso il fiume della Croce, dove acquistano ignami spesso raccolti non dagli abitanti locali, ma dagli Ibo, che vivono sul fiume una decina di chilometri più lontano. Anche certi villaggi di vasai, che sono relativamente poco numerosi e lontani gli uni dagli altri, producono quasi tutti surplus e i loro beni sono distribuiti su un territorio di 200 kmq. o anche più. Cosi, benché la comunità familiare e ancor più la comunità di villaggio sia largamente autarchica in materia di viveri e della maggior parte dei beni d'uso corrente; ben di rado soddisfa tutti i suoi bisogni » 20.

Il sistema di scambio generalizzato coincide con gli inizi dell'artigianato professionale all’interno del villaggio o della tribù. Ma questa specializzazione è una specializzazione in seno a una comunità di villaggio. Gli artigiani che abbandonano sempre più il lavoro agricolo ricevono la sussistenza come ricompensa dei loro servizi. Lo scambio all'interno del villaggio o della tribù resta dunque rudimentale. È cosi, per esempio, presso gli abitanti delle isole Marchesi nel Pacifico o presso le tribù Kafflicio e Gugo nell'Africa orientale. Certi artigiani sono ormai divenuti completamente autonomi: altri non lo sono ancora. Gli artigiani della prima categoria ricevono annualmente dalla comunità del villaggio una certa quantità di cibo, di oggetti di vestiario e di ornamenti come ricompensa del loro lavoro globale. Gli artigiani della seconda categoria sono aiutati da altri membri della tribù nel lavoro effettuato sui campi che devono fornire i mezzi di sussistenza 21. In entrambi i casi, non si tratta di uno scambio in senso stretto.

Lo scambio generalizzato tra villaggi, tribù, popolazioni diverse si effettua in modo più o meno collettivo tramite gli stessi produttori, tramite una parte della comunità (per esempio le donne *) o tramite i rappresentanti della comunità. Non costituisce ancora di per sé un’attività economica specializzata:

«Nell’Europa del Medioevo, come nelle regioni agricole dei nostri giorni, il produttore medio poteva disfarsi dei piccoli surplus della sua azienda familiare (uova, formaggio, polli, legumi, latte, bestiame e anche grano) senza l'aiuto di un commerciante di professione. Allo stesso modo, dovunque un'industria fosse organizzata in piccole unità artigianali e le merci fossero fabbricate in piccole quantità o su ordinazione, i produttori e i consumatori potevano trattare reciprocamente senza l'intervento di un commerciante. Non solo il fabbro o il vasaio del villaggio, ma anche il macellaio, il fornaio o il fabbricante di ceri delle città si vendevano reciprocamente i loro prodotti » 24.

Questa situazione si modifica con la rivoluzione metallurgica. I primi metalli che l’uomo seppe utilizzare, il rame e lo stagno, non si trovano in tutti i paesi, e soprattutto non in quelli che, grazie all'agricoltura mediante irrigazione, videro il primo fiorire della civiltà.

Le miniere sono localizzate in regioni ben definite soprattutto in zone montagnose, dove i metalli in questione hanno potuto essere utilizzati per un lungo periodo a fini decorativi senza dare origine a una rivoluzione nel senso economico della parola.

Per acquistare questi minerali, i popoli agricoli che disponevano di surplus di viveri, di tecniche e di tempo sufficienti, dovevano andare a cercarli dove si trovavano, in un primo tempo assai probabilmente a mezzo di rapine, in seguito con lo scambio normalizzato 25. Lo scambio su grandi distanze, lo scambio internazionale tra regioni separate da centinaia di chilometri, non poteva più essere una attività complementare accanto all'artigianato e all'agricoltura. Si era prodotta una nuova divisione del lavoro, la pratica dello scambio si era separata dalle altre attività economiche: era nato il commercio.

Presso i popoli primitivi, la rivoluzione metallurgica fa coincidere la comparsa dell'artigianato professionale con la generalizzazione degli scambi. I primi artigiani completamente distaccati dai lavori agricoli sono fabbri viaggianti (si possono trovare anche oggi pressi i Bantù nell'Africa equatoriale e presso i Peuls nell'Africa occidentale). Presso questi popoli la rivoluzione metallurgica, rendendo autonomo il commercio, lo separa definitivamente dall'artigianato, e viceversa.

È interessante notare che le due forme di scambio, lo scambio generalizzato non ancora specializzato e il commercio specializzato propriamente detto, coincidono in generale nelle regioni agricole. Cosi presso gli Indiani della tribù dei Chorti, nel Guatemala, i contadini e gli artigiani si recano essi stessi una volta alla settimana al mercato locale, e una volta ogni mese od ogni due mesi al mercato cantonale, per vendere i loro piccoli surplus. Ma il commerciante che importa i prodotti non provenienti dalla regione stessa è un commerciante professionale. La stessa distinzione si nota presso i Nupe, in Nigeria 26.

Sin dall'età del rame, il commercio si sviluppa particolarmente nella prima civiltà predinastica egiziana; nella prima civiltà cosiddetta prediluviana in Mesopotamia; nella più antica civiltà scoperta nella località di Troia nell'Asia Minore; nella civiltà cretese-micenea in Grecia; nella civiltà degli Aztechi nel Messico, prima della conquista spagnola; nelle antiche civiltà cinese, indiana, giapponese, ecc.

In un libro della letteratura classica cinese, L'appendice al canone dei mutamenti di Con Fu-tse, si riferisce che i mercati, cioè il commercio, furono inventati contemporaneamente all’aratro, cioè nello stesso momento in cui si verificano nell’agricoltura i notevoli cambiamenti determinati dalla rivoluzione metallurgica 27.

Con l’età del bronzo, lo sviluppo dei rapporti commerciali diventa la condizione pregiudiziale per l'utilizzazione produttiva delle conoscenze tecniche. Studiando accuratamente i giacimenti di rame e di stagno disponibili in quell'epoca, Gordon Childe ha dimostrato che, via via che i popoli mediterranei passavano alla fabbricazione di oggetti di bronzo, dovevano necessariamente stabilire relazioni commerciali internazionali con molti paesi. Dall’India alla Scandinavia, c'erano infatti solo quattro regioni in cui si potessero trovare simultaneamente questi due metalli, cioè il Caucaso, la Boemia, la Spagna e la Cornovaglia 28. Ora, l’età del bronzo non è nata in nessuna di queste quattro regioni.

I popoli che hanno presieduto al suo sviluppo, per ottenere questi preziosi metalli dovettero organizzare vaste spedizioni commerciali; a meno che non fossero spedizioni periodiche di brigantaggio, come quelle che sottomisero all'Egitto della seconda dinastia le miniere della penisola del Sinai 29*. Il carro a ruote e la nave a vela sono invenzioni che datano dall'età del bronzo e accompagnano i progressi della civiltà in tutto il mondo antico. Carovane regolari collegano l'Egitto alla Mesopotamia attraverso la penisola del Sinai, la Palestina e la Siria, collegano la Mesopotamia all'India attraverso l'Iran, la parte settentrionale dell'Afghanistan e la valle dell'Indo. A partire dall'età del bronzo, nell'Europa ancor barbara vaste relazioni commerciali vengono allacciate tra il Mar Baltico e il Mediterraneo, tra la valle del Danubio, la pianura della Pannonia e le isole britanniche.

Quando il commercio internazionale si stabilizza e diviene pacifico, resta tuttavia un affare di Stato e all'inizio è praticato per il tramite di commercianti funzionari. Un porto-deposito neutrale assicura l'incontro tra due nazioni 30.

 

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Produzione per i bisogni e produzione di merci

La produzione delle società primitive è essenzialmente una produzione per i bisogni. I produttori producono per soddisfare i bisogni della loro comunità, ampia (tribù o dan) o ristretta (famiglia) che sia.

Ciò si verifica per i popoli che raccolgono ancora il loro cibo come per quelli che già lo producono nel senso proprio del termine. I primi imperi costruiti sulla base dell'agricoltura con irrigazione non presentano caratteristiche economiche diverse da queste.

I re o i preti che centralizzano i surplus, li utilizzano per soddisfare i loro bisogni o i bisogni di tutta la comunità. È significativo che il re di Babilonia fosse chiamato nelle iscrizioni ufficiali «Contadino di Babilonia», «Pastore d'uomini», « Irrigatore dei campi». In Egitto, faraone e amministrazione governativa erano designati con il termine Pr’o = la grande casa. In Cina, uno degli imperatori leggendari che avrebbero fondato la nazione viene chiamato Heu-tsi, principe-miglio 31. L'economia nel suo insieme si presentava infatti come l'economia di una grande proprietà che produceva valori d'uso per soddisfare i propri bisogni 32.

Con l'artigianato autonomo fa la sua comparsa una produzione di tipo nuovo. I produttori, contadini-artigiani che vivono in seno alla comunità di villaggio, portano sul mercato solo il surplus della loro produzione, cioè ciò che rimane una volta soddisfatti i bisogni delle loro famiglie e della comunità. L'artigiano specialista staccato da una comunità, il fabbro o il vasaio viaggiante, non produce più valori d'uso per soddisfare i propri bisogni. Il complesso della sua produzione è destinato allo scambio. In cambio dei prodotti del suo lavoro egli otterrà i mezzi di sussistenza, gli abiti, ecc. per soddisfare i suoi bisogni e quelli della sua famiglia. L'artigiano autonomo staccato dalla comunità di villaggio non produce più che valori di scambio, merci destinate al mercato. Chi produce essenzialmente valori d'uso, destinati a soddisfare i propri bisogni o quelli della sua comunità, trae sostentamento dai prodotti del proprio lavoro. Produzione e prodotti, lavoro e prodotti del lavoro s'identificano per lui nella pratica come nella coscienza. Nella produzione di merci questa unità è spezzata.

Il produttore di merci non vive più direttamente dei prodotti del suo lavoro; al contrario, non può sostentarsi che a condizione di disfarsi di questi prodotti. Vive, come dice Glotz degli artigiani greci dell'epoca omerica, esclusivamente del suo lavoro. Ciò è tanto più vero in quanto questi primi artigiani si recano al domicilio dei clienti e ricevono da loro la materia prima per la produzione 33. Lo stesso accade nella maggior parte delle società durante il primo sviluppo della produzione di merci: particolarmente in Egitto, in Cina, nel Giappone, in India e all'inizio del Medioevo europeo 34.

La produzione di merci non appare di colpo né per l'insieme della società. Quando l'artigiano diventa artigiano professionale e alcuni artigiani divengono produttori di merci staccati dalla comunità di villaggio, i contadini e il resto degli artigiani possono continuare a vivere per secoli come produttori di valori d'uso. Scambieranno solo piccoli surplus della loro produzione per acquistare le poche merci di cui hanno bisogno. Queste merci si riducono essenzialmente al sale e al ferro (metalli). Così avvenne in Cina, nell'Europa del Medioevo, nella Russia del Medioevo *, nel Giappone del Medioevo, nella comunità del villaggio indiano, in Africa, nell'America precolombiana, ecc. 35.

Lo scambio generalizzato e specializzato, il commercio, si limita sulle prime ai metalli e agli ornamenti (prodotti di lusso) più o meno riservati allo Stato (re, principi, tempio). Ma la produzione di merci raggiungerà un livello superiore quando fornirà al commercio anche prodotti artigianali e agricoli. L'invenzione della ruota per i carri permette di sfruttare il principio di rotazione nella tecnica dei vasi. Il tornio del vasaio è il primo strumento che consenta la «fabbricazione in serie» di merci esclusivamente destinate al commercio.

L'etnografia indica nella maggior parte dei casi che se le donne sono le prime a lavorare la ceramica finché si tratta di una tecnica domestica o di villaggio, gli uomini sono i primi a servirsi del tornio da vasaio e diventano specialisti lavorando per il mercato 36. Quanto ai prodotti agricoli trasformati in merci, fanno la loro comparsa quando si costituiscono comunità umane completamente staccate dalla produzione di mezzi di sussistenza, comunità di artigiani, di commercianti e di amministratori, cioè comunità urbane. Secondo Polanyi, è nella Lidia e poi ad Atene che si sarebbero costituiti i primi mercati locali di viveri.

Abbiamo tuttavia l'impressione che in Cina simili mercati siano esistiti anche nel V secolo avanti Cristo, se non ancora prima 37.

Società organizzata cooperativamente e società basata sull'economia del tempo di lavoro

Nella società primitiva che produce surplus limitati o non ne produce affatto, l'organizzazione cooperativa del lavoro è basata sui costumi e sui riti, che servono a regolarizzare le attività economiche essenziali. In regioni svantaggiate, in cui il rifornimento di cibo è difficile, la cooperazione del lavoro può implicare un'attività economica incessante, spinta sino ai limiti della forza fisica umana. Nelle regioni più favorite dalla natura, come le isole del Pacifico, la produzione del prodotto necessario può assorbire una parte relativamente piccola del tempo disponibile e il resto del tempo è allora dedicato alle distrazioni.

Normalmente, nessuna società comunitaria sopprimerà una parte importante delle sue distrazioni per lavorare e produrre di più, se non vi è costretta da necessità economiche e sociali *. Necessità economica è il bisogno di ottenere un maggiore surplus di prodotti allo scopo di acquistare, con lo scambio, beni necessari al buon andamento della società e che la comunità non produce da sé (certi tipi di cibo, sale, materie prime per fabbricare strumenti di lavoro, ornamenti per funzioni rituali, ecc.). Necessità sociale è quella che costringe a rinunciare regolarmente a un surplus a favore di un potere centralizzatore, sia nell'interesse della comunità (per eseguire lavori di irrigazione, ecc.), sia in seguito a una conquista che imponga con la forza un simile tributo.

Le due necessità possono d'altronde combinarsi. Parlando delle tribù Majo e Baure, che vivono nella Bolivia orientale, Alfred Métraux scrive:

«Avevano un tale bisogno di metallo per rendere più facile la lotta quotidiana per la vita, che in mancanza di altre merci accettabili per i bianchi, si dedicavano rapidamente al commercio di schiavi» 39.

In altri termini: l'incremento del sovrapprodotto al di là di un limite ristretto (riserva di viveri) non è il risultato di uno sviluppo autonomo dell'economia. È il risultato dell'intervento di pressioni esterne, economiche (scambio) o sociali (appropriazione del surplus da parte di un potere centrale o di una classe dominante) *.

Finché la società primitiva, organizzata cooperativamente, non conosce altra divisione del lavoro se non quella dei sessi, il ritmo di lavoro sarà stabilito dai costumi e dai riti. Dal momento in cui si stabilisce una più conseguente divisione del lavoro, l'apporto comunitario di ogni produttore dev'essere misurabile con un criterio comune. Altrimenti la cooperazione del lavoro tenderebbe a disgregarsi con lo stabilirsi di gruppi che si trovano in condizioni favorevoli e di altri in condizioni sfavorevoli. Questa misura comune d'organizzazione non può essere che l'economia del tempo di lavoro.

Il villaggio può essere considerato come una grande famiglia. La totalità della produzione annua deve corrispondere più o meno ai bisogni di mezzi di sussistenza, di abiti, di alloggi e di strumenti di lavoro. Perché non ci sia squilibrio tra queste produzioni diverse, perché i contadini non dedichino una parte esagerata del loro tempo alla produzione di vasi o di prodotti in cuoio, lasciando incolti una parte dei campi, bisogna che la comunità stabilisca un bilancio del tempo di lavoro disponibile e lo suddivida anzitutto tra i settori essenziali, indispensabili al buon andamento della comunità, pur lasciando ciascuno libero di utilizzare il resto del suo tempo come meglio crede.

L'etnografia e la storia economica dimostrano che, in effetti, la comunità di villaggio che conosce un inizio di divisione del lavoro, organizza la vita sociale sulla base di un'economia del tempo di lavoro. I popoli primitivi considerano che solo il lavoro è qualche cosa di raro (« scarce »), dice Ruth Bunzel 40. Secondo Boeke, l'economia della desa (comunità di villaggio) indonesiana è basata sul calcolo delle ore di lavoro fornite 41.

Nell'economia del villaggio giapponese, «il principio di scambio sono le giornate di lavoro degli uomini. Se la famiglia a è composta di due uomini che lavorano due giorni sui campi della famiglia b, questa famiglia b dovrà fornire un equivalente (in lavoro) sui campi di a, il che potrebbe consistere in tre uomini che lavorino per una giornata e un uomo che fornisca una giornata supplementare o in qualsiasi altra combinazione che equivalga al lavoro di due uomini che lavorino per due giorni... Quando quattro o cinque famiglie collaborano in un gruppo kattari (lavoro cooperativo per il trapianto del riso), il calcolo viene effettuato sulla stessa base. Ciò richiede un libro di conti per confrontare i giorni e gli uomini al lavoro ( il numero di giornate di lavoro fornite) » 42.

Presso la tribù negra degli Heh, i contadini che ordinano una lancia al fabbro (che a sua volta è contadino - fabbro), lavorano sulla terra del fabbro per il tempo in cui quest'ultimo lavora alla lancia 43. Nell'antica India dell'epoca dei re Maurva, lavoro e prodotti del lavoro dettano le regole di organizzazione della vita economica 44.

Quando si stabiliscono le prime forme di subordinazione sociale, di appropriazione del sovrapprodotto a vantaggio di una parte privilegiata della società, la contabilità dello sfruttamento è pure basata su un'economia del tempo di lavoro.

Presso gli Incas, «il tributo doveva consistere esclusivamente in lavoro, cioè in tempo e in qualifica come lavoratore, artigiano o soldato. Tutti gli uomini erano considerati eguali a questo proposito: chi aveva figli che lo aiutassero a fornire il tributo imposto era considerato ricco, mentre chi non ne aveva era considerato povero. Qualunque artigiano che lavorasse al servizio dell'Inca o del suo curaca (superiore) doveva ricevere tutte le materie prime e non poteva essere impiegato in questo modo se non per due o tre mesi all'anno » 45.

Lo stesso avveniva in Europa nell'alto Medioevo, quando una gran parte degli artigiani viveva sotto il regime del servaggio. I villaggi erano retti sulla base di una rigida economia del tempo di lavoro, in media tre giorni di lavoro per settimana sulle terre del signore, tre sulle terre del servo *.

Analogamente, le donne dei servi dovevano lavorare per un numero fisso di giornate nelle officine del feudo per filare, tessere, cucire, ecc. Ogni artigiano aveva un campo proprio, in cambio del quale doveva fornire servizi specifici al signore e agli altri contadini.

L'organizzazione sociale basata sull'economia del tempo di lavoro ha lasciato numerose tracce sin nel linguaggio. Nell'Europa centrale, nel Medioevo, la misura di superficie più comune è il Tagwerk (journal), superficie che un uomo può arare in un giorno. Nell'inglese medioevale la parola «acre» ha lo stesso significato. Nelle montagne della Kabilia, si valutano le proprietà in zouija, giornate di lavoro effettuate dall'aratro a due buoi. In Francia, la « carrucata» indica la quantità di terra che un uomo può normalmente arare con un aratro in una giornata. La «pose», unità di superficie svizzera, è analoga al journal 47.

A qual punto l'economia del tempo di lavoro regolasse l'insieme dell'attività economica risulta con particolare evidenza dalla descrizione che fa Dollinger della scomparsa dei servi journaliers:

« È chiaro che queste esenzioni dal servizio (dei journaliers) non lasciavano il servo inattivo, ma implicavano che egli ricevesse dal padrone un terreno che sfruttava per conto proprio nei giorni di libertà... Indubbiamente questo terreno era in generale proporzionato al tempo di cui egli disponeva. Chi aveva un solo giorno di libertà alla settimana riceveva un lotto poco esteso; chi ne aveva due o tre poteva ricevere eventualmente un'intera manse » 48.

Analizzando l'insieme degli obblighi dei contadini del Medioevo, Marc Bloch arriva alla stessa conclusione: «Al signore, i contadini o almeno taluni di essi, dovevano rimettere ogni anno un numero fisso di prodotti fabbricati: oggetti in legno, stoffe, persino abiti in certe manses in cui si perpetuavano di padre in figlio le ricette di un mestiere qualificato strumenti di metallo. A volte la materia prima, come il lavoro, era a carico del contadino; per il legno era probabilmente la norma.

Ma quando si trattava di stoffe, il materiale era spesso fornito dal signore: il contadino o la sua donna forniva solo il suo tempo, la fatica e l'abilità (sottolineatura nostra) 49.

In molti casi, d'altronde, la determinazione degli obblighi dei contadini viene effettuata in modo interscambiabile, in tempo di lavoro o in quantità di prodotti. Cosi, gli obblighi delle donne-serve verso la signoria di San Gallo, talvolta - come nell'antica Lex Alemannorum - vengono indicati con il numero delle giornate di corvée, talvolta con la quantità di prodotti da fornire durante queste giornate 50. Gli Aztechi imponevano agli altri popoli del Messico un tributo calcolato indifferentemente in giornate di lavoro, in quantità di prodotti artigianali o in superficie di terreno da coltivare 51. In Giappone, esistono nell'VIII secolo dell'era cristiana due tipi di corvées non agricole, il cho e il yo. Lo statuto di Taiho stabiliva l'ammontare di queste due corvées contemporaneamente in quantità di tempo di lavoro (10 giorni) e in quantità di tela (26 shaku, il che equivale più o meno a dieci metri) e in quantità di grano (un To equivale più o meno a due stai) 52. In questo modo, presso i produttori di una simile società, la quantità di tempo di lavoro necessario per produrre una determinata merce è assai trasparente. Cosi pure in Europa occidentale, quando, a partire dal XII secolo, l'imposizione diretta è sostituita sempre più, sul continente, dall'affitto a termine, è la metà del raccolto che bisogna lasciare al signore al posto dei classici tre giorni di corvée alla settimana. In Cina, le cronache della dinastia T'ang calcolano esattamente quanto lavoro debba essere speso per la coltura del miglio (283 giorni all'anno) e del grano (177 giorni), mentre l'imposta fondiaria può essere pagata in natura 53. Nella comunità medioevale, nota Espinas, esiste un rapporto rigoroso tra la giornata di lavoro e la quantità (numerica) del lavoro da fare 54.

Ritroviamo nell'America spagnola, con il sistema del repartimiento-encomienda, questa stessa contabilità economica basata sulla durata del lavoro, nel momento in cui la corvée è trasformata in rendita in natura, come pure in Indonesia al momento dell'introduzione del cultur urstelsel. La popolazione non doveva più pagare «la rendita fondiaria», ma piantare su un quinto del suolo prodotti da rivendere al governo: indaco, zucchero, caffè, tabacco ecc. « Se non si possedevano terre, bisognava lavorare 66 giorni all'anno sulle piantagioni del governo » 56. Quanto al Vietnam, vi si segnala durante la stagione morta la pratica dei prestiti pagabili in giornate di lavoro: 1,5 piastre contro dieci giorni di lavoro da fornire al momento dei grandi lavori, ecc.

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Valore di scambio delle merci

Ora lo scambio generalizzato di merci, il commercio, appare solo a uno stadio dello sviluppo sociale caratterizzato da questa economia del tempo di lavoro. I popoli che si sono sottratti alla necessità di tener conto di questa economia si accontentano appunto di un modesto sovrapprodotto e di scambi puramente rudimentali o rituali *.

Ne consegue che questi scambi sono governati dallo stesso criterio oggettivo che è alla base di tutta l'organizzazione sociale, cioè il valore di scambio delle merci è misurato sulla base del tempo di lavoro necessario per produrle.

Cogliamo il passaggio da un'organizzazione sociale retta coscientemente sulla base dell'economia del tempo di lavoro verso scambi governati, per metà coscientemente per metà oggettivamente, dallo stesso principio, nell'esempio dei rapporti commerciali stabiliti nelle montagne Nilgiri, presso l'estremità sud-orientale della penisola indiana, tra quattro tribù: i Toda, i Karumba, i Badaga e i Kota.

I Toda sono pastori; i Karumba vivono ancora nella giungla; i Badaga sono agricoltori; e i Kota sono anzitutto artigiani che conoscono già la metallurgia e fabbricano coltelli. Essi forniscono alle altre tribù questi coltelli e cosi pure vasi e strumenti musicali necessari alle cerimonie religiose. In cambio, ricevono dai Toda bufali e altro bestiame; dai Karumba miele, frutti selvatici e una protezione (magica); dai Badaga grano. Ma i Kota non sono semplici artigiani: possiedono essi pure campi che coltivano. I riti stabiliscono la quantità tradizionale di grano - risultato di una lunga esperienza - che dev'essere scambiata contro utensili metallici forniti dai fabbri Kota. Se le famiglie Badaga desiderano ottenere più utensili metallici, « sono costrette a lavorare sui campi dei fabbri Kota durante tutto il tempo necessario per forgiare questi utensili supplementari » 58.

Allo stesso modo, presso i Dahomey, «il fabbro acquista individualmente ferraglia e la conserva finché non possa approfittare del lavoro dei suoi compagni, per i quali nel frattempo lavora. Quando giunge il momento, tutti i membri della forge (la corporazione dei fabbri) trasformano la ferraglia che avevano comperato in zappe, asce, coltelli e altre merci vendibili. Il proprietario ha la libertà di vendere questi strumenti e di conservare il prodotto di queste vendite. Utilizzerà questo denaro per le spese di sussistenza e per comperare ferraglia, lavorando nel frattempo per i suoi associati, finché giunge di nuovo il suo turno per utilizzare la forza-lavoro combinata della forge » 59.

Lo scambio semplice, occasionale, rituale e senza importanza economica può benissimo prescindere da rigorosi rapporti di equivalenza. Non è cosi per lo scambio generalizzato. L'assenza di un criterio oggettivo di equivalenza impedirebbe qualsiasi regolarizzazione dei rapporti di scambio. Porterebbe alla disorganizzazione e alla dissoluzione di qualsiasi società che abbia un alto numero di produttori di merci. I prodotti abbandonerebbero i settori nei quali, in cambio dei prodotti del loro lavoro, ricevessero meno che negli altri settori. Rigorosi rapporti di equivalenza tra i prodotti e le merci che vengono scambiate sono dunque indispensabili.

Ma un rapporto di equivalenza tra due prodotti, tra due merci, esige una misura comune, una quantità commensurabile comune. Il valore d'uso di una merce dipende dall'insieme delle sue qualità fisiche, che ne determinano l'utilità. L'esistenza di questo valore d'uso è una condizione indispensabile per la comparsa del valore di scambio: nessuno, infatti, accetterebbe in cambio del suo prodotto una merce senza utilità, senza valore d'uso per nessuno. Ma il valore d'uso di due merci, espresso nelle qualità fisiche, è incommensurabile; non si può misurare con un'unità comune il peso del grano, la lunghezza della tela, il volume dei vasi, il colore dei fiori. Per consentire uno scambio reciproco tra questi prodotti, bisogna cercare una qualità comune a tutti che possa al tempo stesso essere misurata e quantitativamente espressa, e che dev'essere una qualità sociale, accettabile per tutti i membri della società.

Ora, l'insieme delle qualità fisiche delle merci che stabiliscono il loro valore d'uso è determinato dal lavoro specifico che le ha prodotte: il lavoro del tessitore determina le dimensioni, la finezza, il peso della tela; il lavoro del vasaio la resistenza, la forma, i colori del vaso. Ma se le merci sono il prodotto di un lavoro specifico determinato, queste merci sono inoltre il prodotto del lavoro umano sociale, cioè di una parte del tempo globale disponibile per una determinata società, e sulla cui economia la società è basata, come abbiamo appena indicato. E questo fatto che rende le merci commensurabili; è il lavoro umano generale definito astratto perché viene fatta astrazione dal suo carattere specifico, come per addizionare tre mele, quattro pere e cinque banane si deve fare astrazione dalle loro qualità specifiche per prendere in considerazione solo i dodici frutti - che è la base del valore di scambio *. E la misura di questo lavoro - la durata del tempo di lavoro necessario per produrre la merce - che determina la misura del valore di scambio.

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Piccola produzione mercantile

Quando l'artigianato autonomo, il commercio, e la divisione della società in classi non sono sviluppati che parzialmente, la produzione di merci occupa nella società un posto relativamente limitato. Solo quando il commercio e la vita urbana hanno raggiunto un certo grado di sviluppo, quando hanno creato un mercato sufficientemente ampio, la produzione di merci si sviluppa e a sua volta si generalizza nelle città 61. Entriamo allora in un'epoca storica caratterizzata dal fatto che, nello stesso tempo, la produzione di merci si generalizza nelle città e la produzione per il bisogno si decompone lentamente nelle campagne. Questa produzione di merci effettuata da artigiani, proprietari dei loro mezzi di produzione (strumenti di lavoro), è definita produzione semplice di merci o piccola produzione mercantile. Questa produzione è divenuta proponderante in epoche di civiltà urbana, in particolare nell'antichità a partire dal VI secolo avanti Cristo in Grecia, verso l'VIII secolo dopo Cristo nell'impero dell'Islam e dall'XI secolo della nostra era nell'Europa occidentale, dove raggiungerà il suo sviluppo più caratteristico nei Paesi Bassi meridionali e in Italia nei secoli XIII-XV.

Nella piccola produzione mercantile, il lavoro non procura più direttamente il soddisfacimento dei bisogni del produttore: lavoro e prodotto del lavoro non si identificano più per il produttore. Ma questo produttore resta padrone del prodotto del suo lavoro: se ne separa solo per acquistare i viveri che gli assicureranno la sussistenza. La divisione del lavoro separa già il produttore dal suo prodotto, ma non opprime ancora il primo per mezzo del secondo. La società vede svilupparsi lentamente la produzione di valori d'uso puri e semplici.

Più la produzione di merci si estende e più diviene imperiosa la contabilità esatta in ore di lavoro. Nella società primitiva, dove non esiste che una divisione del lavoro rudimentale, solo l'osservanza stretta della contabilità del lavoro per i lavori essenziali è d'importanza vitale per la sopravvivenza della comunità. Ma, per il resto, l'abbiamo visto, importa relativamente poco che due o tre ore di lavoro siano dedicate a produrre un determinato oggetto. Questo spiega la notevolissima libertà di cui dispongono i membri di questi popoli, nel quadro delle rigide norme che reggono le attività produttrici di cibo. Herskovitz ha fatto un quadro avvincente di questa mescolanza di contabilità rigorosa e di notevole libertà nel ciclo della produzione e del consumo presso i Talensi, popolo che vive di raccolta e di agricoltura nel Ghana (Africa occidentale) 62.

Ma dal momento in cui la produzione di merci si estende nel seno di una comunità primitiva, la contabilità del tempo di lavoro viene fatta in modo più rigoroso. Sul mercato in cui si incontrano i prodotti del lavoro di villaggi diversi, se non di diverse regioni, i valori di scambio si stabiliscono d'ora innanzi secondo medie sociali. Non è il numero di ore di lavoro effettivamente spese per la fabbricazione di un oggetto a determinarne il valore, ma il numero di ore di lavoro necessarie per fabbricarlo nelle condizioni medie di produttività della società dell'epoca. Le merci diverrebbero in realtà incommensurabili se il valore fosse determinato dal tempo di lavoro occasionale che ogni produttore individuale ha consacrato alla loro produzione. «Bisogna che egli [l'artigiano medioevale] produca a determinate condizioni stoffe "non personali, ma ufficiali, urbane"; si potrebbe dire che il suo lavoro è espressamente oggettivo e non soggettivo » 63.

Dal momento in cui il valore delle merci si stabilisce sulla base della quantità di lavoro socialmente necessario per produrle - cioè dal momento in cui questa media viene stabilita sulla base dell'esperienza di atti di scambio ripetuti, con la comparsa simultanea di prodotti di molti produttori diversi in concorrenza gli uni con gli altri -, i produttori poco capaci, lenti, che lavorano con metodi arcaici, sono penalizzati. Essi ricevono in cambio del tempo di lavoro individualmente fornito alla società solo un equivalente prodotto in un lasso di tempo inferiore. Una maggiore disciplina e una più stretta contabilità del lavoro accompagnano cosi lo sviluppo della produzione di merci *.

Con lo sviluppo della piccola produzione mercantile, il lavoro umano comincia egualmente a differenziarsi secondo la qualità. Il lavoro composto, qualificato, si stacca dal lavoro semplice. Siccome l'artigianato, specializzandosi sempre più, ha bisogno di un periodo di apprendistato più o meno prolungato le cui spese non sono più sopportate, come nelle società primitive, dall'intera comunità, ma dalla famiglia dell'apprendista o da quest'ultimo individualmente, nessuno si dedicherebbe all'apprendistato di un mestiere, se, in cambio di un'ora di lavoro qualificato, dovesse ricevere lo stesso equivalente che per un'ora di lavoro non qualificato. Il lavoro umano qualificato è considerato come lavoro composto, in cui non rientra solo la spesa di lavoro dell'artigiano al momento in cui produce nella sua qualità di padrone, ma anche una parte della sua prestazione di lavoro non rimunerata nel periodo di apprendistato (ammortamento sociale delle spese generali di apprendistato).

La legge del valore che regola lo scambio delle merci secondo la quantità del lavoro umano astratto, semplice, socialmente necessario, che racchiudono, comincia, infine, ad assolvere una funzione supplementare. La società primitiva e la comunità di villaggio, con la loro divisione rudimentale del lavoro, erano organizzate sulla base di una cooperazione del lavoro cosciente, in cui i costumi, i riti, i consigli degli anziani o degli amministratori eletti, determinavano il ritmo della produzione; qui, al caso, si inserivano la corvée o i tributi da pagare alle classi dominanti.

Ma quando la piccola produzione mercantile si sviluppa, ci troviamo di fronte a produttori liberati da ogni subordinazione a un'organizzazione sociale collettiva. Ciascun produttore, nei limiti della sua forza fisica e della sua capacità produttiva (strumenti di lavoro ecc.), può produrre quanto vuole. Questi produttori non producono più valori d'uso per il consumo di una comunità chiusa; ora producono merci per un mercato più o meno ampio, più o meno anonimo. La legge del valore, che coordina gli scambi su una base oggettiva e assicura equivalenti solo a ogni merce scambiata, riorganizza cosi, mediante scambi riusciti e mancati, la suddivisione tra i diversi settori della produzione dell'insieme delle ore di lavoro disponibili per la società. Il lavoro umano nelle società primitive era un lavoro direttamente sociale. Nella piccola società mercantile il lavoro individuale acquista il carattere di lavoro sociale solo indirettamente, attraverso il meccanismo dello scambio, il gioco della legge del valore *.

Se un artigiano produce più tela di quanto non possa assorbirne il mercato della sua società una parte della sua produzione resterà invenduta, non scambiata, il che gli dimostrerà che ha dedicato una parte eccessiva del tempo di lavoro socialmente disponibile alla produzione di questa tela o, in altri termini, che ha sprecato tempo di lavoro sociale.

Questo spreco, in una società coscientemente coordinata, sarebbe stato stabilito a priori dai costumi o dai commenti degli altri membri della comunità. Sul mercato, la legge del valore lo rivela solo a posteriori, per disgrazia del produttore che non riceverà equivalente per una parte del suo sforzo, dei suoi prodotti.

Tuttavia queste regole risultano assai trasparenti all'inizio dell'epoca della produzione di merci, nell'epoca della piccola produzione mercantile. Prova ne sia che, come nelle corporazioni dell'antichità, cosi in quelle della Cina, di Bisanzio, del Medioevo europeo e arabo ecc. regole fisse, note a tutti, stabilivano contemporaneamente il tempo di lavoro da dedicare alla fabbricazione di ogni oggetto, la durata dell'apprendistato, le sue spese e l'equivalente normale da domandare per ciascuna merce 65*. Questa trasparenza non è che l'espressione del fatto seguente: con la piccola produzione mercantile non raggiungiamo che una fase transitoria tra una società retta coscientemente dalla cooperazione del lavoro e una società in cui la completa dissoluzione dei legami comunitari non lascia più posto se non a leggi «obbiettive», cioè cieche, «naturali», indipendenti dalla volontà degli uomini, per reggere e governare le attività economiche.

 

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NOTE

1 HINGSTON QUIGGIN: A Survey of Privitive Money, pp.21-22

2 AUDREY I. RICHARDS: Land, Labour and Diet in Northern Rhodesia, p.222

3 M. MEAD: Competition and Cooperation among Primitive People, p.134

4 M. MEAD: Sex and temperament, p.123

5 THURWALD: L’économie primitive, p.201; voce "Handel" in Reallexicon der Vorgeschichte, V, p.160; HINGSTON QUIGGIN: A Survey of Primitive Money, p.11

6 M. MAUSS: "Essai sur le don" in Sociologie et Anthropologie, p.214

7 POLNYI ecc.: Trade and Market in the Early Empires, p.88

8 CLAUDE LEVY-STRAUSS: Les structures élémentaires de la parenté, p.168

9 Ibidem, p.593

10 Ibidem, pp. 178-180, 48-49

11 FORDE E SCOTT: The Native Economics of Nigeria, p.68

12 M. MAUSS: "Essai sur le don" in: Sociologie et Anthropologie, pp.277-78

13 PURCELL: The Chinese in Southern Asia, p.XXVII

14 BOEKE: Theorie der Indische Ekonomie, p.39

15 SCHECHTER: The Law and Morals of Primitive Trade, in HERSKOVITZ: Economic Life of Primitive People

16 POLANYI: trade and market in the Early Empires, pp.20,269

17 HEICHELHEIM: Wirtschaftsgeschichte des Altertumsm, I, pp.21: GORDON CHILDE: What Happened in History, p.61 e Cambridge Economic History of the Europe, I p.4; J. GRAHAME CLARK: L’Europe préhistorique, pp. 363,371; J.C. VAN EERDE: Inleiding tot de Volkenkunde von Ned. - Indie, p. 57

18 HEICHELHEIM: Wirtschaftsgeschichte des Altertums, I, pp.26-27

19 HEERSKOVITZ: The Economic Life of Primitive People, p.129

20 FORDE E SCOTT: The Native Economies of Nigeria, p.43

21 HERSKOVITZ: The Economics Life of Primitive People, p.125; R.THURWALD: voce "Lohn" in Reallexicon de Vorgeschichte, vol VII, 308-09

22 SUMMER E KELLER: Science of Society, IV, p.46

23 FORDE E SCOTT: The Native Economics of Nigeria, p.79; S. F. NADEL: A Black Byzantinium, p.254; Historire du commerce, IV, p.148; POLANYI: Trade and Market in the Early Empires, pp.178-83

24 POSTAN: Trade of Medieval Europe, pp.168-69

25 GORDON CHILDE: Man Made Himself, pp.120-22; What Happened in History, pp.96-97

26 CHARLES WISDOM: Chorti Indians, pp.24-25,199; S.F. NADEL: A black Bizantinium, p.321

27 CHEN HUAG-Chang: The Economics Principles of Confucius, p.122

28 GORDON CHILDE: The Bronze Age, p.8

29 DYCKMANS: Histoire économiques et sociale de l’ancienne Egypte, II, p.226; POLANYI: Trade and Market in the Early Empires, p.41 e altrove

30 POLANYI, ibidem, pp.51-55

31 HEICHELHEIM: Wiertschaftsgeschichte des Altertums, I, p.179; RENE GROUSSET: Histoire de la Chine, p.9

32 BOEKE: Theorie der Indische Ekonomie, p.44

33 GLOTZ: Le travail dans la Grèce antique, p.53

34 DYCKMANS: Histoire économique et sociale de l’ancienne Egypte, II, p.326; WITTFOGEL: Wirtschaft und Gesellschaft Chinas, p.514; YOSHITOMI: Etude sur l’histoire économique de l’ancien Japon, p.203; JATHAR E BERI: Indian Economics, p.104; KULISCHER: Allgemeine Wirtschaftsgeschichte des Mittelalters, I p.75

35 WITTFOGEL: Wirtschaft und Gesellschaft Chinas, p. 497; LJASCENKO: History of the National Economy of Russia, p.162; TAKIZAWA: Penetration of Money Economy in Japan, p. 24; JATHAR e BERI: Indian Economics, p. 103; HERSKOVITZ: The Economic Life of Primitive People, p.187;

AUDRY I. RICHARDS: Land, Labour and Diet in Nothern Rhodesia, p.22; MARTIN, QUIMBY e COLLIER: Indians before Columbus, p.67.

36 GORDON CHILDE: What Happened in History, p.85.

37 POLANYI: Trade and Market in the Early Empires, pp. 84-85; An Outline History of China, p.28.

38 SUMMER e KELLER: The Science of Socity, IV, p. 53.

39 ALFRED METRAUX in: Handbook of American Indian, p.418.

40 RUTH BUNZEL: in BOAS: Anthripology, p, 346.

41 BOEKE: Theorie der Indischen Ekonomie, p, 64.

42 JOHN EMBREE: Mura, a Japonese Village, pp. 100-01

43 PIDIINGTON: An Introduction to Social Antropology, p. 275.

44 Arthacastra di KAUTILYA, traduzione tedesca di J.J. Mayer, p.147.

45 JOHN COLLIER: The Indian of the Americas, pp. 61-62.

46 Vedi altri esempi nel Polyptique di Saint-Germain-des Prés e la desriptio villarum dell’abbazia di Lobbes.

47 JOSEPH BOURRILLY: Eléments d’éthnographie morocaine, pp.137-138; GRAND e DELATOUCHE:L’agriculture du moyen age, p. 79.

48 DOLLINGER: L’évolution des classes rurales en Bavière, p.270.

49 MARC BLOCH: Caractères origaux de l’histoire rurale française, p.. 77.

50 HERMAN BIKEL: Die Wiertschaftsverhaltnisse des Klosters St. Gallen. pp. 133-239.

51 CUNOW: Wirtschaftsgeschichte, I, pp. 270-71.

52 TAKEKOSHI: Ecomic Aspects of the History of Civilizazion in Japon, I, p.117.

53 L.GENICOT: L’Economie rurale namuroise au bas moyaen age, pp.236-285; GRAND e DELATOUCHE: L’agricoulture du moyen age pp. 105-135; JACQUES GERNET: Les aspects économique du bouddhisme dans la societé chinoise du V-ème au X-ème siècle, p. 98.

54 ESPINAS: Les origines du capitalisme, I, p. 140

55 R.S. CHAMBERLAINE: Castilians Background of the Repartimiento -Economienda, in Contribution to American Antrophology, vol. V, pp. 25-26.

56 DE GRAAF: Geschidenis van Indonezie, p. 406.

57 M. MEAD: Social Organization of Manua, pp. 73-75, 65.

58 DAVID MADELBAUM: Notes on Fieldwork in India, in HERSKOVITZ: Economic Life of Primitive People, pp. 136-37.

59 HERSKOVITZ: Dahomey, a West African Kingdom I, pp.75-76.

60 HUART e DALAPORT: L’iran antique, p. 83.

61 GORDON CHILDE: What happened in History, p. 156.

62 HERSKOTZ: ECONOMIC Life of Primitive People, pp. 248-51

63 G. ESPINAS: Les origines du capitalisme, I, pp. 142.

64 SOL TAX: Penny capitalism, I, p. 142.

65 G. ESPINAS: Les origines du capitalisme, I, pp. 118 140-42

66 S.F. NADEL: A Black Byzantium, p. 318.


 

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