L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
Eleaml


TRATTATO DI ECONOMIA MARXISTA
Ernest Mandel
CAPITOLO III - DENARO, CAPITALE, PLUSVALORE

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Volume secondo

Volume terzo

Volume quarto



Necessità di un equivalente generale

Lo scambio semplice o sviluppato si effettua sotto forma di baratto, di incontro diretto tra i prodotti che si scambiano. Per i popoli primitivi, abituati a scambiare gli stessi prodotti secondo norme tradizionali e persino rituali, il baratto non crea nessun «problema» economico 1.

Le cose vanno diversamente con lo scambio generalizzato e con il commercio. Non è più un solo prodotto, surplus della tribù, a essere scambiato con altri prodotti; sono un gran numero di prodotti tra i più svariati a essere ora scambiati con tutta una serie di altri prodotti. I rapporti di equivalenza non riguardano più due prodotti, o due categorie di prodotti, ma una varietà infinita di beni diversi. Non è più solo il tempo di lavoro del vasaio a essere confrontato con quello dell'agricoltore; sono dieci, venti, trenta mestieri diversi a dover confrontare periodicamente i rispettivi sforzi produttivi. Perché questi scambi possano effettuarsi senza interruzione, è necessario che i proprietari delle merci possano disfarsi dei loro beni prima di incontrare accidentalmente compratori in possesso dei prodotti che per parte loro desiderano ottenere in cambio di beni. Perché gli scambi possano effettuarsi sulla base di equivalenze, occorre una merce in cui tutte le altre possano esprimere il loro valore di scambio particolare. È la merce-equivalente generale ad assolvere queste funzioni.

La comparsa di un equivalente generale, del denaro in tutte le sue forme, accompagna la generalizzazione dello scambio e gli inizi del commercio. Sir Samuel Baker racconta di aver udito gridare i frequentatori del mercato di Nyoro, nell'uganda:

«Latte da vendere in cambio di sale! Sale da scambiare con punte di lancia! Caffè a buon mercato in cambio di perle rosse! » 2.

Se i proprietari del sale desiderano non latte, ma perle rosse; se i proprietari di perle rosse non vogliono né sale né caffè, ma latte, tutti questi scambi non possono effettuarsi perché non ci troviamo di fronte a due proprietari di merci disposti a scambiarsi reciprocamente i loro beni. La caratteristica dell'equivalente generale è di essere una merce con cui può essere acquistata qualsiasi altra merce. Supponiamo ora che il sale sia divenuto l'equivalente generale. Di colpo, le tre operazioni possono effettuarsi senza difficoltà. Il commerciante scambierà effettivamente le sue perle rosse con il sale non perché voglia realizzare il valore d'uso del sale, ma perché in cambio del sale, equivalente generale, può ottenere il latte che desidera.

L'equivalente generale è dunque esso pure una merce: il suo valore di scambio è determinato, come quello di qualsiasi altra merce, dalla quantità di lavoro socialmente necessario a produrlo. È in relazione a questo valore di scambio reale che, d'ora innanzi, tutte le altre merci esprimeranno il loro valore di scambio particolare. Come merce, l'equivalente generale conserva egualmente un valore d'uso che resta determinato dalle sue qualità naturali: alla fine della sua circolazione il sale finisce con l'essere adoperato per la salatura della carne. Ma accanto al suo valore particolare, naturale, fisico, la merce-equivalente generale acquista un valore d'uso supplementare: quello di facilitare il reciproco scambio di altre merci, di essere un mezzo di circolazione e una unità di misura del valore.

Cosi nell'Egitto del tempo dei Ramassidi, è il bestiame a servire da equivalente generale e

1 stuoia, 5 misure di miele, 11 misure d'olio

corrispondono al valore di un toro 3.

All'inizio del secondo millennio avanti Cristo, sotto il regno del re Bilalama, il metallo argento è divenuto l'equivalente generale a Eschnuna nella Mesopotamia. Sulle tavolette di tassazione scoperte nel 1947 a Tell Harmal, troviamo iscritte le seguenti equivalenze (misure convertite in quelle del sistema metrico)

12 l di olio di sesamo, 300 1 di grano,600 1 di sale, 5 kg di lana, 1 kg di rame

corrispondono ad un siclo (più o meno 8 grammi) di argento 4.

Nel codice ittita, di 500 anni più recente del codice del re Bilalama, troviamo una lunga lista di equivalenze, da cui ricaviamo gli esempi seguenti:

1 montone,1 «zimittani » di burro,1 pelle di bue grande, 4 « mine » di rame, 20 pelli di agnello, 2 «pa» di vino, 1/2 « zimittani » di olio buono

corrispondono al valore di un siclo di argento.

3 capre valgono 2 sicli di argento

1 abito aperto vale 3 sicli d'argento

1 tela grande vale 3 sicli d'argento

1 cavallo da tiro vale 20 sicli d'argento 5.

Si tratta qui di un vero e proprio listino dei prezzi. Il prezzo, dunque, non è altro che il valore di scambio di una merce espresso in una quantità determinata della merce-equivalente. L'equivalente generale è divenuto moneta: il prezzo è la espressione monetaria del valore di scambio.

 

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Evoluzione dell'equivalente generale

Sono spesso le merci più comunemente scambiate in una regione che, agli albori della piccola produzione mercantile, diventano i primi equivalenti generali. Queste merci vengono raggruppate in due categorie: i prodotti che rivestono la maggiore importanza per un determinato popolo (viveri, strumenti di lavoro, sale); gli ornamenti, che sono tra i primi oggetti di qualsiasi scambio umano.

I popoli che si dedicano all'agricoltura e all'allevamento scelgono comunemente come equivalente generale il bestiame, il grano o il riso. Cosi Greci e Romani prendono il bue come primo equivalente generale sino al VI e V secolo avanti Cristo. Gli Indiani vedono derivare il nome della loro moneta nazionale, la rupia, dalla parola «rupa» che significa gregge. Anche gli Iraniani dell'Avesta e i Germani della Lex Saxonum hanno scelto il bue come equivalente generale, il che indica il predominio dell'allevamento nel periodo in cui si costituisce questo equivalente. Nell'Africa del Nord, dell'Est e del Sud, il bestiame cioè i cammelli, i montoni, le capre o le vacche rappresenta pure l'equivalente generale presso popoli essenzialmente di allevatori. Il cavallo ha la stessa funzione presso i Kirghisi, il bufalo nell'Annam e il montone nel Tibet.

Quando la coltura del suolo prevale sull'allevamento al momento della comparsa dell'equivalente generale, sono vari prodotti del suolo ad assolvere questa funzione. Nell'antico Giappone il riso fu per Secoli il solo equivalente generale. In Cina furono prima il grano e il miglio, poi anche qui il riso. In Mesopotamia, fu il grano. In Egitto, il grano preparato come cibo, cioè sotto forma di pani cotti in un modo determinato, scaccia assai presto il bue.

Anche nell'India, dal V secolo avanti Cristo, il grano soppianta il bue come equivalente generale e nei villaggi conserva questa funzione fino al secolo XIX. Nel Sudan, i datteri furono a lungo Usati come equivalente generale. Nell'America centrale fu usato il mais. Nel Newfoundland e in Islanda sino al XV secolo furono usati i pesci disseccati; nelle isole Nicobar, le noci di cocco; presso le tribù primitive delle Filippine, il riso, e nelle isole Hawai, prima della penetrazione occidentale, il pesce salato.

Gli strumenti di lavoro più importanti vengono pure usati come equivalenti generali: asce di bronzo o di rame, treppiedi di bronzo a Creta; vasi di bronzo nel Laos; pale di ferro, zappe di ferro nell'Africa centrale e orientale; ami nelle isole Salomone e Marshall del Pacifico, ecc. In Cina, due tra le monete più antiche, il «PU» e il «tsian» significano originariamente «attrezzo agricolo» e derivano da strumenti di lavoro in bronzo 6. Nel Giappone, nel VII e VIII secolo della nostra era, le pale o zappe di ferro costituiscono l'essenziale della ricchezza mobiliare 7.

Le materie prime con cui questi strumenti di lavoro vengono fabbricati, possono spesso, a loro volta, fungere da equivalente generale. Si conosce la pietra come equivalente generale nell'isola di Yap (Oceano Pacifico). Nella Grecia omerica, mentre i vasi di bronzo cominciano a essere usati come equivalente generale presso gli Achei continentali, gli abitanti dell'isola di Lemno considerano già il bronzo in quanto metallo come equivalente generale. I lingotti e le piccole verghe di ferro assolvono la stessa funzione presso le popolazioni più avanzate dell'Africa.

Con lo sviluppo degli scambi, i prodotti di utilità primordiale (principali risorse alimentari o principali strumenti di lavoro) possono essere sostituiti come equivalente generale dalla merce locale, cioè dal principale prodotto comperato o venduto ai mercanti stranieri. Cosi incontriamo, come equivalenti generali, i pacchetti di tè compresso presso i Tartari e i Mongoli del XIX secolo; le noci di cacao nel Messico del tempo degli Aztechi; il sale in Abissinia, nell'Africa occidentale, equatoriale ed orientale, in Birmania, nel Tibet medioevale e presso certe tribù indiane dell'America del Nord; le pellicce nel Canada sino al secolo XVIII; le pelli di scoiattoli bianchi in Russia; i tessuti di canapa nel Giappone medioevale; le aune di panno in certi comuni dell'Europa occidentale, nel Medioevo, ecc. In Cina, il piede di tela (tch'e) vale un barile (che) di cereali e viene adoperato sotto i T'ang 8 come equivalente generale assieme al grano, al miglio e alla moneta di cuoio.

Gli ornamenti, il cui primo uso è stato assai probabilmente di ordine magico *, sono stati spesso adoperati come equivalente generale agli albori della piccola produzione mercantile.

Cosi, nella civiltà cretese-micenea, accanto a oggetti utilitari in bronzo, si vedono comparire come equivalenti generali piccoli treppiedi di bronzo. Egualmente si vedono comparire gli anelli di bronzo in Egitto. Il giado assolveva una funzione analoga presso gli Indiani precolombiani dell'America centrale. I turchesi hanno la stessa funzione presso gli Indiani pueblos. Le perle di vetro o di smalto sono state usate allo stesso scopo in Egitto e attraverso l'Egitto raggiungono l'Europa mediterranea. In Africa, si sono diffuse come una moneta vera e propria.

L'ornamento che ha avuto la più larga diffusione come equivalente generale sono le conchiglie cauris. Dalla Cina e dall'India queste conchiglie si diffusero nelle isole del Pacifico, in Africa, in Europa e sin nel Nuovo Mondo.

« I cauris superano tutte le altre monete di conchiglia come solidità e uniformità. Sono relativamente uniformi sia per dimensioni sia per peso e possono cosi essere confrontati a chicchi, come [...] fagioli, riso, come il grano o l'orzo, che costituiscono le prime unità di peso usate per pesare l'oro e l'argento »10.

I metalli preziosi come equivalente generale costituiscono cosi l'incontro tra l'equivalente generale-oggetto di prima necessità e l'equivalente generale-ornamento. Il rame, il bronzo, l'argento e l'oro sono sempre serviti, in primo luogo, come materie prime per la fabbricazione di ornamenti.

Solo con il progresso della metallurgia questi metalli sono usati pure per la fabbricazione di oggetti di prima necessità. Dal momento in cui questo avviene, questi metalli assolvono una funzione vitale nell'economia. Nello stesso tempo, conservano un significato religioso, rituale, e anche magico, ereditato dall'epoca in cui il loro uso era riservato alla fabbricazione di ornamenti. Questi fattori hanno facilitato l'adozione dei metalli preziosi come equivalenti generali di tutte le merci.

 

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La moneta

Lo sviluppo del commercio internazionale coincide in generale con la rivoluzione metallurgica. I metalli sono i principali oggetti di questo commercio. La necessità di un equivalente generale si fa sentire allora più fortemente. Non sorprende che proprio questi stessi metalli siano stati scelti il più delle volte per assolvere tale funzione. All'inizio sono ancora oggetti fabbricati in metallo a essere usati come equivalente generale. Ma se gli scambi si moltiplicano, ciò provoca complicazioni e spese supplementari.

Nell'Africa orientale, le zappe di ferro servono come equivalente generale. Le tribù che vivono nelle regioni ricche di minerale di ferro fabbricano queste zappe, le scambiano con i prodotti di altre regioni e in queste ultime i fabbri locali spesso rifondono queste zappe per fabbricare armi od ornamenti 11. Si arriva cosi ad adottare come equivalente generale il metallo puro non lavorato, misurato sulla base del peso. Di qui la funzione dei pesatori d'oro, sinonimo di agenti di cambio, banchieri, usurai, all'inizio di qualsiasi economia monetaria.

Ma è fastidioso pesare il metallo, fuso o no sotto forma di lingotti, in occasione di ogni scambio. A partire da un certo livello di sviluppo commerciale, lo Stato prende l'abitudine di dotare i lingotti di metalli preziosi di una stampigliatura che ne certifichi il peso. Tra i lingotti pesati d'ufficio compaiono dal terzo millennio prima della nostra era nella Mesopotamia e in Egitto, e nel secondo millennio in Europa, a Creta e nel Peloponneso, nelle sedi della civiltà cretese-micenea. Molto più tardi, circa 700 anni prima di Cristo, si fa luce l'idea di adattare la forma del lingotto alle esigenze di un trasporto su grandi distanze. Il re della Lidia, che voleva attirare il commercio delle città greche verso i grandi depositi della sua capitale, Sardi, si mise a coniare piccole monete d'oro del peso di pochi grammi. Una di queste monete permetteva di scambiare d'ora innanzi denaro con merci di un valore relativamente alto. L'estensione del commercio ne viene in tal modo favorita; il contadino e il piccolo artigiano possono d'ora innanzi vendere i loro surplus ricevendo denaro invece di effettuare un baratto 12. Questo sistema di conio della moneta si estendeva all'impero persiano, alle città greche e, con il diffondersi di queste diverse civiltà, in tutta quella parte del mondo toccata dal loro commercio. In India e in Cina, pare si sia sviluppato indipendentemente dall'Asia minore. In Cina, monete metalliche circolano verso l'anno 1000 avanti Cristo e acquistano un peso regolamentare a partire dal 65 avanti Cristo 13.

Se i metalli preziosi si sono imposti universalmente come equivalenti generali, è per il fatto di possedere una serie di qualità intrinseche che mercanti e amministratori hanno scoperto empiricamente e che li rendono particolarmente atti ad assolvere questa funzione:

1) Sono facilmente trasportabili: il loro peso specifico elevato permette di concentrare in un volume ristretto una quantità di metallo che rappresenta un valore di scambio relativamente grande. Questo valore resta stabile: trasformazioni tecniche relativamente scarse si sono verificate per molti millenni nel loro modo di produzione;

Sono durevoli, grazie alla loro resistenza all'usura, all'ossidazione ecc.;

3) Sono facilmente divisibili, e i frammenti possono essere rifusi facilmente in unità più grandi;

4) Sono facilmente riconoscibili grazie a qualità fisiche specifiche, e qualsiasi falsificazione può essere scoperta con relativa facilità (dal peso).

Tuttavia, se queste qualità intrinseche dei metalli preziosi li predispongono in un certo modo alla funzione di equivalente generale dal momento in cui il commercio ha raggiunto una certa estensione, il loro uso effettivo come tale resta subordinato alla loro produzione in quantità sufficiente per un determinato territorio. Abitualmente l'oro è prodotto prima dell'argento e, agli inizi, anche con meno spese. Accadde cosi nell'Egitto dei Faraoni, nell'antica India, nell'America precolombiana, ecc. 14

Quando i metalli preziosi rimangono rari, altri metalli vengono usati abitualmente come equivalente generale. Nella Grecia antica, prima della scoperta delle miniere d'oro di Laurio e di Strimone, che hanno costituito la ricchezza prima di Atene e poi dei re della Macedonia, il numerario in oro è molto raro; l'argento, il rame e a volte persino il ferro servivano più correntemente come moneta. Nella Laconia, ricca di ferro, la moneta di ferro prevaleva sino al III sec. avanti Cristo. In Cina, dove l'argento e l'oro sono assai rari, il rame resta sino al XV secolo della nostra era la base metallica principale della moneta, spesso sostituito anche dal ferro. La stessa rarità dell'oro e dell'argento ha determinato in Giappone l'uso del rame come unità di misura generale del valore dal VII al XVII secolo della nostra era. Da allora, la scoperta di grandi miniere d'oro e di argento permette di coniare abbondantemente monete di metallo prezioso 15 . E'interessante notare che anche paesi che racchiudono grandi ricchezze di minerali preziosi non ne iniziano in generale lo sfruttamento se non quando lo sviluppo del commercio esige veramente un'abbondanza di numerario di questi metalli. Ciò si spiega facilmente con il fatto che solo allora ci si mette a ricercare attivamente miniere di questo genere *.

Sinché l'equivalente generale è costituito da merci che conservano un proprio valore d'uso - oggetti di prima necessità, ornamenti, materie prime metalliche -, il loro nuovo valore d'uso, che consiste nel fornire un equivalente generale per tutte le altre merci, non è che un valore d'uso sussidiario che può scomparire non appena il compratore di questa merce particolare desideri realizzarne il valore d'uso naturale. Le cose vanno diversamente nel caso dei metalli preziosi fusi in lingotti, stampigliati, e poi delle monete metalliche coniate da un'autorità pubblica. A partire dalla loro comparsa, il valore d'uso comune ed esclusivo di questa nuova merce consiste nella sua funzione di equivalente generale delle altre merci. Perché i lingotti stampigliati o le monete coniate possano servire di nuovo come materia prima metallica per la fabbricazione di gioielli, è necessario prima rifonderli, distruggerli come lingotti o monete. Al termine dell'evoluzione dell'equivalente generale abbiamo dunque ottenuto una merce che non ha altro valore d'uso proprio se non quello di servire da equivalente generale. Questa merce è chiamata moneta, denaro.

 

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Evoluzione della ricchezza sociale e funzioni diverse del denaro

Una società che produca essenzialmente valori d'uso, ha come indice di ricchezza sociale l'accumulazione di questi stessi valori d'uso.

Presso i popoli primitivi o nella comunità primitiva di villaggio, l'accumulazione di cibo resta l'espressione di ricchezza più apprezzata e il criterio di prestigio sociale. Presso i popoli di pastori, la ricchezza sociale si calcola in bovini e caprini o in cavalli; presso i popoli di agricoltori, in quantità di grano, di riso, di mais ecc. All'inizio del secolo XVII, nel Giappone, la ricchezza di tutto il paese e di ogni singolo signore viene ancora calcolata sulla base del peso del riso (koku di riso). L'accumulazione dei valori d'uso consente una concentrazione di ricchezza da non sottovalutare. Una sola famiglia, quella degli shogun Tokugawa dispone in quell'epoca di 8 milioni di koku di riso su un totale di 28 milioni di koku, produzione annua di tutto il Giappone, cioè di una percentuale elevata dell'intero reddito nazionale 16.

Con l'estendersi del commercio, con la generalizzazione degli scambi, con l'uso sempre più corrente del denaro, quest'ultimo diviene progressivamente il principale o addirittura il solo indice della ricchezza dei singoli, delle famiglie e delle nazioni. La sua funzione non è più soltanto quella di servire da equivalente generale nelle operazioni di scambio. Il denaro assolverà simultaneamente le seguenti funzioni:

1) È equivalente generale, cioè consente di acquistare tutte le merci disponibili sul mercato;

2) È mezzo di scambio, cioè consente la circolazione di merci anche tra proprietari di merci che non desiderino affatto realizzare il valore d'uso delle loro merci rispettive;

3) È misura del valore e unità di misura dei prezzi. Il valore di ogni merce viene espresso in una quantità, in un peso determinato del metallo prezioso, cioè espresso in denaro. Il prezzo non è che

questa espressione monetaria del valore. Come tale, il denaro ideale può esprimere il prezzo di qualsiasi merce. Per far questo non c'è affatto bisogno di possedere una somma; basta nominarla;

4) È mezzo di pagamento universale: i debiti e le ammende dovuti allo Stato, al clero o ai singoli, il contro-valore di tutte le merci, di tutti i servizi o prestazioni, si regolano sulla base del denaro, contrariamente a quanto avveniva nella società primitiva, in cui esistevano prodotti particolari per assolvere queste funzioni diverse *. Qui il denaro «ideale » non è più utile: occorrono monete sonanti e di buon peso;

5) È scorta di valore e mezzo di costituire un tesoro. Ogni società deve possedere delle riserve per sopperire ai bisogni in caso di catastrofi naturali (epidemie, inondazioni, cattivi raccolti, terremoti, incendi, ecc.) o sociali (guerre, guerre civili, ecc.). È funzione primordiale del sovrapprodotto sociale costituire questo fondo di riserva. In una società che produca essenzialmente valori d'uso, queste riserve vengono costituite con prodotti accumulati.

In una società che cominci a produrre merci su vasta scala, sono i metalli preziosi o il numerario ad essere accumulati come tesoro. In caso di bisogno, questo tesoro, vera e propria scorta di valore e di contro-valore, permette di procurarsi tutte le merci che mancano, anche se ci si deve rivolgere a paesi lontani. I metalli preziosi sono infatti universalmente riconosciuti come equivalenti generali. L’esperienza insegna ai popoli che una riserva metallica è molto più stabile e molto meno deperibile che una riserva di grano o di bestiame 18.

 

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Circolazione di merci e circolazione del denaro

Nella società che produce merci semplici, il denaro serve da equivalente generale solo in un numero relativamente limitato di operazioni commerciali. La sua funzione è soprattutto quella di servire da tesoro. Viene conservato gelosamente da coloro che lo possiedono e che lo usano tutt'al più per aumentare o migliorare il consumo personale. « Sino alla fine delle guerre dei Medi - dice Glotz - la società greca è rimasta al regime di tesaurizzazione. Il denaro si accumula e non lavora » 19. Lo stesso vale per l'Europa occidentale nell'alto Medioevo 20. Di fatto, nel modo di produzione basato essenzialmente sull'organizzazione cooperativa del lavoro in seno alla famiglia patriarcale e della comunità di villaggio, come pure sul lavoro individuale dell'artigiano urbano, il denaro, anche quando circola, viene impiegato solo per l'acquisto di valori d'uso. Resta un elemento subordinato, uno strumento della circolazione delle merci. Questa circolazione si effettua secondo lo schema:

M1 D M2

merce denaro merce

Sul mercato municipale degli Indiani chorti, nel Guatemala, compare un ebanista, proprietario di sedie di legno. Non vuole (o non può) realizzare il valore d'uso della sua merce, desidera invece disfarsene, cioè realizzarne il valore di scambio. Perché questa operazione possa effettuarsi, occorre che egli incontri il proprietario di una somma di denaro D che realizzi il valore di scambio delle sedie. Occorre pure che questo proprietario sia disposto a disfarsi di questa somma di denaro perché desidera realizzare il valore d'uso di sedie di legno. Cosi la vendita delle sedie M1-D si effettua con soddisfazione delle due parti.

Ma il proprietario delle sedie di legno ha voluto vendere questa merce per acquistarne un'altra, per esempio stuoie intrecciate del distretto di Amatilla, di cui ha bisogno per la casa. Con il denaro ottenuto con la vendita delle sedie, cerca un produttore-proprietario di stuoie intrecciate per comperargliele. Se un tale produttore-proprietario arriva sul mercato municipale, l'operazione d'acquisto D-M2 dovrà potersi effettuare normalmente. Alla conclusione di queste due successive operazioni di vendita e di acquisto, l'ebanista possiede, al posto di una merce di cui non desiderava realizzare il valore d'uso, una nuova merce che gli è utile. Due merci, le sedie di legno e le stuoie intrecciate, sono scomparse dal mercato perché il loro valore d'uso è stato successivamente realizzato da due acquirenti. Al contrario, la somma di denaro D è passata per le mani di tre persone: dal compratore delle sedie all'ebanista e dall'ebanista al venditore delle stuoie intrecciate. Agli albori dell'epoca della piccola produzione mercantile, l'ultimo proprietario di questa somma - il produttore delle stuoie intrecciate - potrà a sua volta impiegare questo denaro solo a due scopi: tesaurizzarlo come riserva, come tesoro, come economia per i giorni d'infortunio, oppure usarlo per acquistare un'altra merce.

Ma quando una società allo stadio della piccola produzione mercantile entra in contatto con una civiltà commerciale più avanzata, accanto a proprietari di merci che desiderano semplicemente disfarsi di queste merci per sopperire ai loro bisogni, compaiono proprietari di denaro che desiderano far « circolare », far «lavorare », far « rendere » questo loro avere. Cosi, tra i Chorti, i commercianti professionali visitano un certo numero di distretti, spesso tre o quattro, con una somma di denaro sufficiente per acquistare tutto il surplus degli artigiani che possono reperire, surplus che trasportano verso i mercati dei capoluoghi di prefettura. Non acquistano dunque merci per realizzarne il valore d'uso, come fanno i piccoli produttori di sedie o di stuoie intrecciate. No, acquistano merci per rivenderle con profitto agli abitanti delle città di cui visiteranno il mercato.

La circolazione delle merci, cioè le operazioni realizzate successivamente dai proprietari di merci in una società basata sulla piccola produzione mercantile, consiste nel vendere per acquistare, vendere i propri prodotti per acquistare prodotti di cui realizzare il valore d'uso.

La circolazione del denaro, cioè le operazioni successivamente realizzate dai proprietari di un capitale in denaro in una società che conosce il commercio professionale accanto alla piccola produzione mercantile, consiste invece nel comperare per vendere, comperare prodotti altrui per rivenderli con profitto, cioè per accrescere di plusvalore il capitale monetario che si possiede. Capitale è per definizione qualsiasi valore che si accresca di un plusvalore.

Se ci poniamo di nuovo la domanda che ci siamo posti a proposito del produttore di stuoie intrecciate - che cosa farà del denaro che ha appena ricevuto dall'ebanista? - non ci sono più due, ma tre risposte da dare quando si tratti del denaro accresciuto da un plusvalore ottenuto dal commerciante professionale chorti alla fine delle sue attività e delle sue peregrinazioni. Egli può usarlo, come prima, per acquistare di che nutrirsi, vestirsi, ripararsi, assieme alla sua famiglia, o per costituire un tesoro. In entrambe le ipotesi non usciamo affatto dalla piccola produzione mercantile.

Ma può anche agire diversamente: può usare in tutto o in parte il suo denaro, accresciuto di un plusvalore, per ripartire verso altri distretti, acquistare altri prodotti artigianali, rivenderli ancora una volta più cari su altri mercati e trovarsi alla fine, di nuovo, con più denaro. In questo caso usciamo dalla piccola produzione mercantile propriamente detta ed entriamo nella circolazione del denaro, nell'accumulazione del capitale monetario che si effettua secondo la formula:

D M D'

denaro merce denaro + plusvalore

La differenza tra la circolazione delle merci M1-D-M2 e la circolazione del denaro D-M-D' consiste dunque in questo: nella circolazione delle merci, l'equivalenza delle merci M1 e M2 che si trovano ai due poli della circolazione, è la condizione necessaria perché le due operazioni possano effettuarsi. Nessun produttore semplice di merci può acquistare merci di un valore superiore a quello delle merci che, per parte sua, ha prodotto e venduto. Nella circolazione del denaro, invece, la comparsa di un plusvalore (D'-D) è la condizione necessaria perché la circolazione possa effettuarsi; nessun proprietario di capitale monetario farà « circolare », «lavorare», « rendere » il suo denaro per vedersi ritornare in tasca esattamente lo stesso ammontare che ne era uscito!

 

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Il plusvalore derivante dalla circolazione delle merci

Il plusvalore è dunque comparso nel corso della circolazione del denaro. Sembra esserne lo scopo essenziale. Ma donde proviene?

In una società basata sulla piccola produzione mercantile il plusvalore ottenuto dai proprietari di denaro proviene dal commercio o dall'usura. Solo quando il commercio e l’usura si sono largamente sviluppati le classi possidenti acquistano coscienza della necessità di far « rendere» il denaro. Il secolo V avanti Cristo segna il fiorire della piccola produzione mercantile non solo nella Grecia antica, ma anche in Cina. Nel corso di questo secolo, Ci- Jan, professore del gran mercante Fan-im, gli insegna le «leggi di accumulazione del capitale» e gli dice che anzitutto «non bisogna permettere che il denaro si riposi » 21, 1800 anni più tardi, quando la piccola proprietà mercantile aveva raggiunto nell'impero dell'Islam uno sviluppo mai eguagliato in precedenza, lo storico Ibn Khaldun constata accortamente che «il commercio, considerato come mezzo per guadagnare la vita [...] consiste in giuochi di abilità usati allo scopo di stabilire tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita una differenza da cui si possa trarre un profitto » 22,

Le cose non andavano diversamente nella Grecia antica, nella Cina dell'epoca classica o nell'Europa del Medioevo. L'Odissea parla dei Fenici, questo popolo-commerciante tipico dell'antichità, come di «navigatori abili, mercanti ingannatori». Il biografo di Saint-Godrick de Finchale, che si dedicò al commercio alla fine del IX secolo, racconta di aver « comperato in parecchi paesi merci che sapeva essere rare e assai più rare altrove, e di averle portate in altre regioni in cui erano pressoché sconosciute agli abitanti e per questo apparivano loro più desiderabili dell'oro » 23.

Di fatto, il grande commercio consisteva nell'andar a comperare merci a prezzo vile presso popoli meno sviluppati economicamente, o forse non ancora giunti allo stadio dello scambio generale, e che, per questa ragione, vendevano molto a buon mercato. Poi si andavano a vendere gli stessi prodotti a un prezzo assai elevato dovunque fossero estremamente rari o ricercati, dove il loro valore reale (il tempo di lavoro necessario per produrli) era ignorato, dove la moda faceva apprezzare certe merci in modo particolare, o meglio ancora, dove, in seguito a catastrofi, carestie ecc., regnava una penuria particolarmente forte di queste merci.

Il plusvalore dei commercianti di quell'epoca proviene dunque dal fatto che essi acquistano le merci al di sotto del loro valore reale e le vendono al di sopra di questo valore.

Niente di strano che, in queste condizioni, Mercurio, re del commercio, venga considerato al tempo stesso come il re dei ladri. Niente di strano che presso il popolo africano degli Herreros «che non ha neppure vocaboli corrispondenti a «comperare» e «vendere», ma solo corrispondenti a «baratto», un commerciante nel significato europeo della parola sia sempre considerato come un imbroglione perché tenta di guadagnare qualche cosa con l'operazione di scambio » 24. Niente di strano che gli Indiani navaho abbiano sempre l'impressione che un uomo particolarmente ricco abbia ottenuto i suoi tesori con metodi disonesti 25. Non esiste saggezza popolare che non ripeta la stessa verità basata sull'esperienza in tutte le lingue della terra. Come l'acquisto a buon mercato è la base del profitto dei mercanti, cosi la rapina pura o la pirateria si trovano nella culla del plusvalore: «Ancora più caratteristica dell'arricchimento ripetuto e per cosi dire riconosciuto, a spese di terzi, è la franchezza con cui Ulisse racconta di avere condotto nove campagne di pirateria prima della guerra di Troia o il modo in cui interroga l'ombra di Agamennone chiedendogli se è caduto nella battaglia per la città o mentre "rubava buoi o montoni di Stato", come se non ci fosse che una piccola differenza tra queste due attività » 26.

In ogni tempo «la pirateria è la prima fase del commercio. Ciò è tanto vero che dalla fine del IV secolo, quando cessano i loro saccheggi, [i Normanni] si trasformano in mercanti » 27. Si sa che Aristotele considera ancora la pirateria e il brigantaggio sulle grandi strade come un modo legittimo di guadagnarsi la vita. Solone proteggeva per legge le associazioni di pirati come la monarchia britannica e quella francese faranno duemila anni più tardi nei confronti dei corsari 28. I mercanti aztechi, combinando la funzione di commercianti con quella di conquistatori, imponevano tributi da versare dovunque ne avessero la possibilità, fornendo un esempio tipico dei legami inestricabili che uniscono l'origine del commercio al brigantaggio. Ecco chiaramente rivelate le fonti del plusvalore mercantile! 29.

I mercanti-briganti vareghi (le parole variag, variagian significano in lingua slava «mercante», «mercante di bestiame ») di origine scandinava, che saccheggiarono la Russia dall'VIII all'XI secolo della nostra era, sono un altro esempio tipico dello stesso fenomeno: «Le squadre di commercianti e di saccheggiatori svedesi penetrarono anche sul territorio slavo. Dall'VIII al X secolo, vi fecero come mercanti le loro incursioni alla ricerca di commercio e di saccheggio. Il brigantaggio e la conquista furono simultaneamente le fonti del commercio e il commercio si aggiunse al brigantaggio » 30. Il commercio e il saccheggio sono indissolubilmente legati l'uno all'altro nel Sahara: «Le tribù nemiche organizzavano contro i loro avversari e i protetti di questi ultimi operazioni di saccheggio concepite come vere e proprie operazioni commerciali, ed è per questo che trovano posto in questa esposizione. Queste operazioni erano regolate da un diritto abitudinario che prevedeva in dettaglio la funzione dei capitalisti che finanziavano la spedizione, quella degli esecutori e i benefici di ciascuno in proporzione alla partecipazione. Si trattava di un contratto tipico di forma molto antica, che si manteneva ancora, trent'anni fa, con le stesse caratteristiche, sia nell'Alta Mauritania che nel Sahara » 31. Questo sistema consente un arricchimento estremamente rapido di alcuni mercanti o della classe mercantile di un popolo. I profitti sono molto elevati; superano spesso il 1000 per cento per un solo affare. Nel XIV secolo, i mercanti acquistano cavalli tartari in Crimea per un dinaro e li rivendono in India per 25 e a volte persino per 50 dinari, racconta il grande viaggiatore arabo Ibn Batutah 32. La compagnia olandese delle Indie orientali, nel XVII secolo, comperava le spezie alle Molucche per 3,5 centesimi alla libbra e le rivendeva per 300 centesimi nei Paesi Bassi 33. Simili differenze di prezzo sono possibili solo se lo stato arretrato di un popolo gli impedisce di conoscere il valore di scambio di una merce sul mercato internazionale. I Fenici sapevano quel che facevano quando preferivano sistematicamente commerciare con popoli barbari che potevano opprimere politicamente 34.

«[Sotto la dinastia dei Song] ai popoli del Nord [della Cina] il cui cibo ordinario era composto di carne, di formaggio e di latte, piaceva il tè come bevanda. Per procurarselo venivano a vendere i loro cavalli i giorni l e 2 dei mesi di febbraio e marzo. All'inizio, quando si iniziarono gli scambi di tè con cavalli, offrivano un buon cavallo per una decina di libbre di tè ordinario. Il monopolio cinese del tè ricavava da queste transazioni notevoli benefici. Ben presto si stabili il contrabbando e gli stranieri, informati sui prezzi, esigettero il decuplo per i loro cavalli ».

Tuttavia la circolazione del denaro che dà origine a un plusvalore di questo tipo è sterile dal punto di vista sociale: non accresce la ricchezza globale della società umana *. Effettivamente , consiste in un puro e semplice trasferimento di ricchezza: ciò che uno guadagna, un altro lo perde in valore assoluto. La ricchezza sociale resta immutata.

Chiamiamo M il valore di una quantità di ambra prodotta dagli abitanti delle coste del Baltico; D il prezzo pagato dai mercanti fenici ai produttori di ambra; e D' il prezzo di vendita ottenuto dagli stessi fenici in Egitto. Prima che questi scambi si realizzassero, le tre parti interessate allo scambio possedevano nel complesso i valori M + D + D':

M era proprietà dei danesi, D proprietà dei mercanti fenici e D' apparteneva a qualche ricco signore egiziano. Dopo che gli scambi hanno avuto luogo, i danesi possiedono la somma di denaro D, il signore egiziano M e i mercanti fenici la somma di denaro D': la somma di questi tre valori è sempre M+ D + D'. La società non si è né arricchita né impoverita. Si è solo verificato un trasferimento di valore.

I danesi sono stati impoveriti della differenza di valore tra M e D e il signore egiziano della differenza tra D' e M, mentre i mercanti fenici si sono arricchiti della differenza in valore tra D' e D che rappresenta il loro plusvalore (o la somma delle perdite di valore delle altre due parti).

È sempre cosi quando si tratta di un plusvalore acquisito nel corso della circolazione del denaro: questo plusvalore si crea a spese di una delle parti e non porta all'arricchimento globale della società.

Si potrebbe obiettare che c'è un impoverimento reale per i danesi solo a condizione che essi vivano già in regime di economia mercantile; ora, la stessa barbarie che ha fatto si che accettassero uno scambio ineguale, implica che restino insensibili a questa perdita di valore»; d'altronde tutto questo ragionamento presuppone un sistema unificato di valori, mentre in realtà ci troviamo di fronte a civiltà diverse, a sistemi di produzione e a valori diversi, che si toccano solo alla periferia.

Questa obiezione non è valida quando si consideri il valore di scambio come un dato soggettivo e non soggettivo. È appunto il commercio che unifica i valori stabilendo mercati internazionali, cui possono benissimo partecipare nazioni che si trovano a diversi livelli di sviluppo. Basta, d'altronde, studiare la storia di certi popoli in certe epoche per rendersi conto che la nozione di impoverimento per trasferimento di valore è una realtà evidente (cfr. l'Africa occidentale dal XVI al XIX secolo ecc.).

 

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Il plusvalore risultante della produzione di merci

Quando la piccola produzione mercantile è ancora ai suoi inizi, la ricchezza sociale resta quasi stazionaria e il surplus accaparrato dai proprietari di denaro può provenire semplicemente da un impoverimento assoluto dei successivi venditori e compratori. La storia dell'antichità è in larga misura la storia della conquista successiva dei tesori di molti regni, e poi della loro concentrazione, sempre tramite la conquista, da parte dei re di Persia e di Alessandro il Grande. «La nuova ricchezza dì cui l'imperialismo arricchisce la Babilonia e l'Egitto era in realtà il prodotto del saccheggio e non rappresentava un'aggiunta al complesso della fortuna effettiva, disponibile per l'umanità » 36. L'aumento della ricchezza sociale reale, in quell'epoca, è soprattutto funzione dell'aumento della produttività del lavoro agricolo e della divulgazione della tecnica artigianale, legate d'altronde all'aumento della popolazione. Siccome la tecnica agricola e quella artigianale sono relativamente semplici, e non richiedono attrezzi costosi, l'espansione del commercio antico verso regioni barbare finisce con l'introdurvi le stesse condizioni di produzione del territorio metropolitano e distrugge cosi automaticamente la diseguaglianza di livello di sviluppo economico che rendeva questo commercio vantaggioso. L'impasse dell'antico capitale mercantile e il declino dell'impero romano trovano in questo semplice fatto una delle ragioni principali. E anche l'usura, se è vero che è una fonte frequente di arricchimento individuale, non comporta affatto un arricchimento globale della società, poiché. costituisce, più nettamente ancora del commercio pre-capitalistico, un semplice trasferimento di valori da una persona a un'altra. Ora, esaminando l'evoluzione di certe società fondate sulla piccola produzione mercantile, per esempio la Grecia dal VI al III secolo avanti Cristo, la Cina dall'VIII al III secolo, l'impero dell'Islam dall'VIII al XII secolo della nostra era, o, ancora, l'Europa occidentale dall'XI al XV secolo, constatiamo che c'è effettivamente arricchimento sociale globale. Questo arricchimento supera di gran lunga l'aumento della produttività agricola e artigianale; non è neppure il semplice prodotto del saccheggio dei paesi economicamente arretrati, poiché riguarda il complesso dei paesi uniti da relazioni commerciali. Non può dunque risultare che da una massa di valori nuovi che compaiono nell'economia monetaria. Come può verificarsi la creazione di nuovi valori nel corso della circolazione del denaro D - M - D'?

Sappiamo già che il valore non è che lavoro umano cristallizzato. Il denaro, di tutta evidenza, non può creare nuovi valori. Ma, invece di acquistare merci che saranno vendute al di sopra del loro valore, il mercante può impiegare il suo denaro per comperare una merce che come valore d'uso, ha la qualità .. di produrre valori nuovi: la forza di lavoro umana *.

Nel V e IV secolo avanti Cristo, il prezzo di acquisto di uno schiavo adulto di sesso maschile oscilla ad Atene tra 180 e 200 dracme. Supponiamo che un mercante acquisti uno schiavo di questo tipo. Il reddito medio netto giornaliero che consente uno schiavo (defalcate le spese di mantenimento), secondo Senofonte e Demostene è di un obolo al giorno, cioè, tenuto conto dei giorni festivi, di 300 oboli, ossia 50 dracme all'anno 37. Dopo dieci anni di lavoro, questo schiavo avrà dunque reso al suo padrone 500 dracme, cioè un plusvalore di 300 dracme

**. L'acquisto di uno schiavo costituisce: dunque una fonte di plusvalore di tipo speciale.

Questo plusvalore non è più il risultato di un semplice trasferimento di valori esistenti, di un semplice trasferimento di valori da una tasca a un'altra, ma è il risultato della produzione di valori nuovi, la cui appropriazione e la cui vendita sono la fonte del plusvalore.

Di fatto, le maggiori fortune di Atene provenivano dall'impiego o dall'affitto di schiavi nelle miniere. Possedendo o affittando sino a 1000 schiavi, Callia di Atene ha potuto mettere insieme 200 talenti, Nicia 100 talenti 40. Sulla base di un obolo al giorno di reddito netto prodotto da uno schiavo, 100 talenti (36000 oboli) corrispondono al reddito di 36000 giornate di lavoro di schiavi, senza tener conto delle spese di ammortamento del prezzo di acquisto. L'oratore Demostene compie esattamente lo stesso calcolo quando stabilisce il reddito di suo padre, che possedeva due manifatture: una che fabbricava mobili con 20 schiavi, ciascuno dei quali rendeva un obolo netto al giorno, e un'altra che fabbricava spade e coltelli con 30 schiavi, ciascuno dei quali, in media, rendeva un obolo e mezzo al giorno 41.

Il plusvalore prodotto dallo schiavo, senza tener conto delle spese di ammortamento del prezzo di acquisto, costituisce la differenza tra il valore delle merci che produce e di cui il padrone (se ne appropria) e le spese di produzione di queste merci (costo delle materie prime, spese generali compresi l'ammortamento degli strumenti di lavoro e le spese di mantenimento dello schiavo). Le cifre che abbiamo citato indicano che questa differenza può essere considerevole. Altrimenti non ci sarebbero stati nel mondo antico migliaia di imprenditori e di proprietari fondiari disposti ad acquistare schiavi destinati a produrre una grossa quantità di prodotti artigianali e agricoli, la cui vendita rendeva loro un notevole plusvalore.

Duemila anni più tardi, non ci sono più schiavi nell'Europa occidentale. Il signor Fugger, concessionario, come i signori Nicia e Callia, e poi proprietario di miniere, non compra più schiavi. Non deve più anticipare in una sola volta un piccolo capitale, ammortizzabile solo in una decina d'anni, per acquistare una forza-lavoro potenziale *. Recluta lavoratori salariati nei villaggi della Boemia e del Tirolo. Li paga a settimana o a giornata. Questo salario, pur superando un po' il valore del cibo dato agli schiavi dai signori Nicia e Callia, non si discosta affatto dal minimo necessario alla sussistenza dell'operaio e della sua famiglia.

Il valore nuovo, creato dagli operai di cui il signor Fugger acquista la forza-lavoro quotidianamente o settimanalmente, deve necessariamente eccedere il valore che il padrone distribuisce per i loro salari, altrimenti egli non avrebbe alcun interesse a impiegarli. Bisogna anzi ammettere che questa differenza sia stata notevole, poiché, proprio come i signori Nicia e Callia, il signor Fugger è divenuto l'uomo più ricco del suo tempo e a lui baroni, duchi, principesse, re, e perfino l'imperatore, dovevano vere e proprie fortune.

L'arricchimento individuale dei mercanti e dei manifatturieri tramite lo sfruttamento della forza-lavoro servile, semilibera o libera, si è effettuato con il trasferimento nelle tasche di questi imprenditori di valori nuovi, creati da questa forza-lavoro. È un arricchimento accompagnato da un aumento complessivo delle ricchezze sociali.

il plusvalore che compare nella circolazione del denaro non vi è dunque creato. È il prodotto dell'appropriazione, mediante il commercio o l'usura, di un valore di appartenenza altrui , o dell'appropriazione di valori nuovi creati dalla forza-lavoro che si compera. In questo caso, il plusvalore non è altro che la differenza tra il lavoro creato dal lavoratore e delle spese per il suo mantenimento. L'insieme del capitale esistente sulla terra non è che il prodotto accumulato di questa doppia appropriazione. Ciò apparve molto presto agli osservatori perspicaci. Millecinquecento anni prima che Proudhon prendesse a prestito dal leader cartista O' Brien la celebre battuta: « Cos'è la proprietà? È un furto! », il vescovo dalla bocca d'oro, San Giovanni Crisostomo, diceva ai mercanti di Antiochia:

«Tu possiedi il prodotto di un furto, se non sei tu stesso un ladro...».

 

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Capitale, plusvalore e sovrapprodotto sociale

L'uomo primitivo apprende con una lunga e dolorosa esperienza come sfuggire alle carestie e assicurarsi un cibo regolare che consenta di aumentare la produttività del lavoro e di sottoporre al suo controllo la produzione di viveri. Così produce un surplus al di là del suo prodotto necessario. «in generale, si può dire che il capitale è accumulato a Tikopia con la produzione di un surplus rispetto ai bisogni immediati piuttosto che con un'astinenza vera e propria», constata l'antropologo Raymond Firth 43.

Non vogliamo esaminare se il termine «capitale» sia qui usato a proposito. Ma l'esame storico ci ha permesso di constatare questo: in nessuna parte del mondo, l'arricchimento sociale, la generalizzazione del commercio, l'accumulazione primitiva di denaro, la produzione di una massa crescente di plusvalore, sono il prodotto di un'astinenza volontaria da parte di produttori che realizzino in questo modo economie e si arricchiscano. Dappertutto, la generalizzazione della produzione di merci, l'accumulazione primitiva del capitale monetario e la sua circolazione accelerata allo scopo di ottenere il plusvalore, sono il prodotto di un'appropriazione, di un accaparramento da parte di un settore della società umana del sovrapprodotto sociale, prodotto dall'altro settore di questa stessa società. Questa appropriazione, beninteso, può risultare da una «astinenza»: l'astinenza dei produttori, ridotti al minimo necessario dagli accaparratori del sovrapprodotto. Disgraziatamente sono gli accaparratori e non gli eroi involontari di questa astinenza a uscire arricchiti dalla prova.

L’aumento della produttività del lavoro è una condizione indispensabile per la comparsa del capitale e del plusvalore. Il plusvalore derivante dal processo di produzione, come abbiamo visto, costituisce la differenza tra il prodotto del lavoro e le spese di mantenimento del lavoro. Finché il prodotto del lavoro è più o meno eguale alle spese di mantenimento del lavoro (cioè ai mezzi di sussistenza del produttore e della sua famiglia) non esiste base oggettiva per lo sfruttamento durevole e organizzato della forza lavoro. Solo quando l'aumento della produttività del lavoro ha permesso di creare questa differenza, questo sovrapprodotto, può scatenarsi la lotta per la sua appropriazione.

Ma se il capitale è il prodotto storico - un prodotto non certo automatico, ma che nasce in condizioni particolari da definire concretamente - dell'aumento della produttività del lavoro umano, non è affatto sinonimo dei mezzi che assicurano questo aumento. Questa confusione è ancora e sempre alimentata da specialisti, pure assai istruiti in materia storica. Cosi, per lo storico Fritz Heichelheim, la rivoluzione neolitica, il passaggio all'agricoltura e all'allevamento, comportano la comparsa del «capitale, cioè la creazione di una prima possibilità di trasformare il lavoro umano una volta fornito in modo che assicuri a lungo o sempre una rendita [?]» 44.

Seminando 1000 chicchi di grano sulle rive dell'Eufrate, il contadino ne raccoglieva 100000. Ma questa «rendita» non ne faceva un capitalista più di quanto il fatto di colpire l'albero delle banane con un bastone per accelerare la caduta dei frutti non trasformi lo scimpanzé in un industriale.

Ogni invenzione tecnica importante costituisce per la società un'economia notevole di lavoro umano, e ogni strumento di lavoro che consenta di effettuare la produzione con minori spese può essere considerato come una «scorta di lavoro accumulato» che assicura una «rendita» più o meno permanente di economia di lavoro. Ma tutto questo non riguarda che il progresso della produttività del lavoro nella produzione di valori d'uso *.

Il capitale e il plusvalore fanno la loro comparsa solo con lo sviluppo degli scambi e del denaro, e con l'impiego di una maggiore produttività media del lavoro, non più per consentire a tutta la società di realizzare una economia di tempo di lavoro, ma per assicurare a una parte della società i prodotti di questa accresciuta produttività, sottoponendo a uno sforzo di lavoro sempre più duro l'altra parte della società. Il capitale è il punto d'arrivo della storia dell'appropriazione del sovrapprodotto sociale ad opera di una parte della società e a spese di un'altra, e non il punto d'arrivo della storia dell'economia di lavoro umano effettuata a profitto della società umana nel suo insieme.

L'appropriazione del plusvalore prodotto durante il processo di produzione presuppone una economia mercantile, la vendita di merci prodotte da produttori non proprietari dei prodotti del lavoro. Il plusvalore è, in questo senso, la forma monetaria del sovrapprodotto sociale. In una società che produce valori d'uso, il sovrapprodotto sociale di cui si appropria una classe possidente viene appropriato direttamente o sotto forma di lavoro (corvée) o sotto forma di prodotto (rendita fondiaria, tributi). In una società che produce merci, il sovrapprodotto sociale di cui si appropria la classe possidente, viene appropriato indirettamente sotto forma di denaro, tramite la vendita delle merci, dal cui prodotto vengono defalcate le spese di mantenimento del lavoro e le altre spese di produzione. Come la piccola produzione mercantile, il capitale si è sviluppato originariamente nei pori di una società che produce soprattutto valori d'uso. Il plusvalore è comparso e si è sviluppato in una società nel cui seno il sovrapprodotto sociale conservava essenzialmente la forma di valori d'uso. Tutta la storia del capitale, dalle origini sino all'apoteosi nel modo di produzione capitalistico, è la storia della lenta decomposizione di questa economia fondamentalmente non mercantile, sotto l'azione del commercio, dell'usura, del denaro, del capitale e del plusvalore. È una classe nuova che incarna il capitale in una società non mercantile e in rapporto alle antiche classi possidenti: la classe borghese. Il capitale non è che un nuovo rapporto sociale tra produttori e proprietari di capitali, rapporto che si sostituisce alle vecchie relazioni sociali tra piccoli produttori mercantili da una parte e tra contadini-produttori e accaparratori del sovrapprodotto agricolo dall'altra.

 

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La legge dello sviluppo disuguale

Lo studio dell'origine e dello sviluppo delle categorie economiche è necessariamente uno studio di storia economica, e un'analisi dell'economia di popoli contemporanei rimasti a fasi di evoluzione storica superate da lunga data nel mondo capitalistico. Ma non si identifica affatto con la storia economica. Isola, in effetti, forme « pure » che, nella vita, si combinano o si alterano a gradi diversi. Ridurre la storia economica a una serie di «stadi» o all'apparizione successiva di «categorie», significa renderla estremamente meccanica, al punto da renderla irriconoscibile. Ma sopprimere dallo studio storico qualsiasi allusione a fasi successive di organizzazione economica e qualsiasi riferimento all'apparizione progressiva delle «categorie» significa renderla semplicemente incomprensibile.

Si è spesso paragonato il marxismo al darwinismo, l'evoluzione della società a quella delle specie. Come ogni paragone, anche questo implica analogie e differenze. Ma anche in biologia una concezione dialettica dell'evoluzione si sostituisce poco a poco alla concezione meccanica, unilaterale e lineare *. La concezione marxista del divenire economico e sociale esclude qualsiasi fatalità e qualsiasi automatismo. Nessuna fase di organizzazione sociale «deve» necessariamente succedere a un'altra. Accanto alla progressione lineare, c'è la progressione a salti. L'evoluzione economica può condurre a impasses o a stagnazioni secolari, specie per eccesso di adattamento a un ambiente specifico: questo sembra essere il caso dei popoli agricoltori del Sud-Est asiatico 47. E il marxismo non sarebbe dialettico se non ammettesse, accanto a società in progresso (dal punto di vista della produttività media del lavoro), società in regresso pronunciato 48.

La legge dello sviluppo disuguale, di cui certi hanno voluto limitare la validità alla sola storia del capitalismo, e persino alla sua sola fase imperialistica, è dunque, in realtà, una legge universale della storia umana. In nessuna parte della terra c’è un progresso rettilineo 49, che parta dalle prime fasi della raccolta di frutti per sfociare nell'industria capitalistica (o socialista) più avanzata. I popoli che hanno raggiunto il grado più elevato di sviluppo delle forze produttive allo stadio della raccolta, della caccia e della pesca - gli Eschimesi e soprattutto gli Indiani della costa nord-occidentale dell'America - non hanno inventato l'agricoltura. L'agricoltura compare anzitutto nelle valli abbondantemente provviste d'acqua dell'Abissinia, dell'Anatolia, dell'Afghanistan, della Transcaucasia e dell'India nord-occidentale 50. Ma non è neppure qui che l'agricoltura dà origine alla civiltà che nasce dall'irrigazione.

La civiltà agricola raggiunge lo stadio più avanzato in Egitto, in Mesopotamia, in India e in Cina. Non è tuttavia in questi paesi, ma in Grecia, a Roma, a Bisanzio e nell'Europa medioevale (Italia e Fiandre) che i progressi della produttività del lavoro agricolo portano all'artigianato e al commercio più evoluti, nel quadro della piccola produzione mercantile. Perché la piccola produzione mercantile dia origine alla rivoluzione industriale e al modo di produzione capitalistico, occorre tuttavia spostarsi ancor più verso Nord, in Inghilterra, paese che, tuttavia, è rimasto a lungo in ritardo dal punto di vista artigianale e commerciale, e che ancora nel secolo XVII era ben lungi dall'essere il più ricco del mondo o d'Europa. D'altronde, non è in Gran Bretagna, né in un altro paese capitalistico avanzato che il capitalismo è stato rovesciato per la prima volta, ma in Russia, paese tipicamente arretrato agli inizi del XX secolo. Dobbiamo forse rischiare una previsione e affermare che non sarà neppure nella Russia, che tuttavia è il primo paese ad aver introdotto una economia pianificata basata sulla socializzazione dei grandi mezzi di produzione, che si assisterà per la prima volta al fiorire di una società socialista compiuta, al deperimento delle classi, delle merci, del denaro e dello Stato?

 

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NOTE

1 HIGSTON QUIGGIN: A Survey of Primitive Money, p. 5.

2 B. ALEXANDER: From the Niger to the Nile, II, p. 171.

3 A. DE FOVILLE: La monnaie, p. 9.

4 LACOUR-GAYET: Le roi Bilalama et le juste prix, in: Revue des Deux Monds, 15 novembbre 1949.

5 FREDERIC HROZNY: Code hittite, p. 137.

6 WAG YU-CHUAN: Early Chinese Coniage, in The American Numismatic Society, p. 259.

7 SIR GEORGE SANSOM: A history of Japan to 1334, p. 88.

8 JACQUES GERNET: Les aspects économiques du buddhisme dans la societé chinoise du V-ème siècle, pp. 88-89.

9 MARCEL MAUSS: Essai sur le don, p. 221.

10 HIGSTON QUIGGIN: A Survey of Primitive Money, p. 25.

11 Ibidem, p. 92.

12 GORDON CHILE: What Happened in History, pp. 192-93.

13 NANCY LEE SWANN: Food and Money in China, pp. 217-222.

14 KEES: Kulturgeschichte des Alten Orients, I, Aegypten, pp.103-129; RENON e FILLIOZAT: L’Indie Classique, p. 378; Histoire du commerce, III, p. 142.

15 GLOTZ: Le Travaille dans la Gréce antique, pp. 278-84; K. A. WITTFOGEL: Wirtschaft und Gesellscheft Chinas, pp.96-104; TAKIZAWA: The Penetretion of Money Economy in Japan, pp.30-33.

16 ibidem, p. 20.

17 POLANYI: Trade and Market in the Early Empires, p. 266.

18 GORDON CHILDE: What Happened in History, p. 155.

19 GLOTZ: Le travaille dans la Gréce antique, p. 20.

20 BOISSONADE: Le travail dans l’Europe chrétienne du moyen age, p. 196.

21 CHEN HUANG-CHANG: The Economic Principles of Confucios, p. 457.

22 IBN KHALDUN: Prolégomènes, II, p. 325.

23 KULISCHER: Allgemeine Wirtschaftsgeschichte, I, p. 89.

24 SUMMER e KELLER: Science of Society, p. 155.

25 LEIGHTON: The Navaho Door, p. 18.

26 ANDREADES: Geschichte der Grichischen Staatwirtschaft, I, p. 27.

27 H. PIRENNE: Les mouvement économique et social au moyen age, p. 24.

28 HEICHELHEIM: Wirtschaftsgescichte des Altertums, I, p. 262.

29 VON HAGEN: The Aztec and Maya Paprmakers, p. 12; PRESCOTT: History of the Conquest of Mexico, p. 85.

30 LIASCENKO: History of the National Economy of Russia, p. 77.

31 H.LAUBOURET: Histoire du commerce, III, p. 312.

32 IBN BATUTAH: Voyages, I, pp. 327-4.

33 RUTGERS: Indonesie, p. 57.

34 HEICHELHEIM: Wirtschaftsgeschichte des Altertums, I, p. 230.

35 G. BONMARCHAND: Histoire du commerce, III, p. 312.

36 GORDON CHILDE: What Happened in History, p. 159.

37 PAULI-WISSOWA: Handworterbuch der Altertumswissenschaften, Supplementband, VI, pp. 916-17.

38 DE CASTRO: Géopolitique de la faim, p. 139.

39 R. P. RINCHON: La traite et l’esclavage des Conglais par les Européens, p. 50.

40 HEICHELHEIM: Wirtschaftsgeschichte des Altertums, I, p. 392.

41 Ibidem, p. 381.

42 BARROW: Slavery in the Roman Empire, p. 78

43 R.FIRTH: Tikopia, a primitive Polynesian Economy, p. 274.

44 HEICHELHEIM: Wirtschaftsgeschichte des Altertums, I, pp. 35-36.

45 H. SEE: Les origines du capitalisme, p. 7.

46 A. GEHLEN: Der Mensch, pp.133-36.

47 An Apprisal of Anthropology today, pp. 42-143.

48 Un esempio tipico è citato da LEVY-STRAUSS in Anthropologie structurale, p. 126.

49 An Apprisal of Anthropology today, pp. 70-72; RALPH LINTON: The Tree of Culture, pp. 53-57.

50 GORDON CHILDE: Social Evolution, pp. 166, 167-68.

 

 

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