L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
  Eleaml


Le banche e Masaniello

di Nicola Zitara

Siderno, 9 Giugno 2007

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Da qualche giorno faccio la mia solita passeggiata portandomi in tasca un foglietto di carta e un blister di tranquillanti. Cammino distaccato dalle cose che mi circondano perché la mia mente è assorbita in una fantasticheria; una specie di filmino che mi gira in testa e non mi abbandona.

Cominciamo da questa folle visione. E’ come se mi trovassi nella Napoli del 1647, in Piazza Mercato. Siamo lì da qualche ora a sfogare con bestemmie la nostra rabbia. Il mese di luglio è santo ai lazzaroni, perché dalla campagna circostante arrivano frutta e ortaggi a buon mercato. Ma gli odiosi e venali spagnoli, che governano la città, hanno imparato anche questo particolare, e giù nuove gabelle sulla frutta e sulla verdura. Gabelle su tutto, sul pesce, sul pane, sulle olive, sulle sarde salate, sulle cipolle, sugli agli, sulla legna da ardere, sulla barca, sulla rete, sull’amo da pesca. “Lo spagnolo vuole mezzo tornese anche quando pisciamo. Non ce la facciamo più. Persino il nostro paesano, San Tommaso, ha detto che bisogna ribellarsi alle gabelle ingiuste e ti assolve se ammazzi il tiranno.” Un signore molto ben vestito esce dalla Chiesa di Sant’Eligio e si avvicina a Masaniello, un ragazzo impetuoso e dall’eloquio convincente. Lo chiama in disparte e gli dice qualcosa. Poi se ne va defilato, cercando di non farsi notare.

Masaniello parte in quarta. “Abbasso le gabelle e i gabellieri”. Scalzi, le caviglie nude, una specie di mutande a colori a nascondere le parti più intime, una camicia a brandelli a difendere le scapole dai raggi cocenti del sole, una specie di fez in testa, partiamo. Ognuno di noi prende una mazza, una roncola, un’ascia e tutti assieme corriamo verso le garitte dei gabellieri, che bloccano gli accessi alla città. Comincia il macello. I gabellieri, pazzi di paura, corrono verso i palazzi dei signori, ma i servitori sbarrano gli enormi portoni alti sei metri. Sono alla nostra mercé. Non c’è requie. Napoli gronda ancora sangue.

Punto secondo, i tranquillanti. Al tempo nostro essi vengono comunemente assunti quando ti girano quei cosi.

Punto terzo, il foglietto che ho in tasca non è un foglietto qualunque, ma un assegno circolare emesso dalla banca UNICREDIT, filiale di Trieste. Tecnicamente si tratta di un titolo di credito emesso dalla banca debitrice e convertibile a vista in moneta a corso legale. Essendo l’UNICREDIT una delle maggiori banche italiane solo un inguaribile cocciuto rifiuterebbe in pagamento un suo assegno. E tuttavia nessuno me lo cambia. Ho girato tutte le agenzie di Siderno. Niente. Dovrei aprire un conto e versarlo sul conto. Internet mi spiega che lo sportello di UNICREDIT più vicino è a Soverato. Telefono. Mai l’avessi fatto, l’apparecchio gronda ancora di ciò che al tempo del Catechismo ci insegnavano si chiamassero “atti di superbia”. Ovviamente, da parte mia è partito un sincero e irrefrenabile “vaffanculo”, ma l’interlocutore era seduto, cosicché non l’ho colpito nel posto giusto.

Ho scritto più volte anche su questo settimanale che, con la nascita del sistema capitalistico e della carta monetaria, ogni nazione avanzata ha due governi. Uno è quello politico che viene scelto dai cittadini attraverso il voto, l’altro è invisibile ed è costituito della banca d’emissione, un’entità quasi evanescente, di cui parlano soltanto gli esperti. Eppure, altro che presidente del consiglio o ministro degli interni! La banca d’emissione si proclama titolare e padrona di quei foglietti di carta che chiamiamo danaro e che regolano la nostra vita 24 ore su 24; quando siamo svegli e quando dormiamo. Anzi la regolano già prima che un essere umano venga concepito; e dopo la sua morte ne fermano il ricordo per anni e anni, e forse per intere generazioni. Essi recano riprodotta l’immagine di un re o di una regina, del fu Raffaello o del fu Leonardo da Vinci. Ciò affinché il ‘pupo’ possa essere indotto a credere che quei foglietti vengono stampati in suo nome e per sua volontà. Insomma il governo ombra ripete l’inganno, il raggiro, secondo cui le leggi sono emesse in nome del popolo nazionale.

La banca centrale non distribuisce i biglietti gratis, ma pretende due cose: una, che le si paghi un interesse, detto anche tasso primario; due, che i biglietti dati in prestito le vengano restituiti, o meglio che l’ammontare di euro corrispondente ai biglietti prestati le venga restituito. Per illuminazione del pupo, bisogna chiarire che la facoltà o il potere di varcare la soglia della banca centrale, per chiedere un prestito, non è di chiunque, ma viene accorato soltanto a un numero parecchio limitato di altre banche. Saranno queste a mettere i foglietti in circolazione prestandoli agli operatori economici. Come tutti sappiamo, per tale cortesia vorranno un guadagno.

Per non disperderci in fumosità, enumeriamo le gerarchie del feudalesimo monetario (feudalesimo non è un’esagerazione, anzi è una parola gentile se usata per un potere pubblico sottratto a ogni controllo, lo stesso che dire un potere dittatoriale, tirannico). Al centro sta Carlo Magno. Attorno a lui stanno i Conti palatini, gli unici che hanno facoltà di sedersi alla presenza dell’Imperatore. Ogni Conte ha un feudo, i cui confini sono non perfettamente definiti (come un tempo quelli del ducato di Borgogna o del vescovado di Trento), tuttavia radicati in un territorio, e regionalistici e municipalistici più di quanto si va rappresentando. Sotto ciascun Conte stanno più Baroni, ognuno dei quali controlla una parte del feudo principale. Ovviamente il sistema è congegnato in modo che chi sta in basso paga una rendita a chi sta più in alto. In questo modo, per lo zotico che coltiva la terra. il tasso d’interesse cresce con il crescere del numero dei gradini. Infatti, sotto i Baroni stanno cancellieri, baglivi, armigeri, fattori, tutti autorizzati a portare spade e archibugi. Il malcapitato cafone non sa da chi salvarsi.

Un tempo, per provvedere ai bisogni degli umili c’erano le banche popolari. Ma esse pretendevano di educare il popolo al risparmio, e non allo spreco. Per giunta a quel tempo, le banche centrali dovevano andare prudenti, in quanto la carta in circolazione doveva commisurarsi con le riserve auree. Oggi le banche centrali decidono senza controllo alcuno dove investire, cosa produrre e come va diviso il prodotto, esercitando un’aperta tirannia politica sui corpi elettivi e sui governi, come nel caso dell’Italia sottomessa alla mano (e alla braca) della Banca europea. Nel complesso sistema monetario e finanziario c’è chi vede un’esigenza d’ordine e di responsabilità (si guadagna ma si può anche perdere) e c’è chi intravede gli elementi di un parassitismo classista ben determinato a impedire che il somaro si liberi del basto. E’ un fatto chiaro e indiscutibile che quantomeno il parassitismo delle soldataglia spicciola – o fuor di metafora, delle finanziarie che hanno dilagato dagli Stati Uniti all’Europa comunitaria – non rende alcun servizio alla produzione e neppure ai consumi. Per ottenere lo stesso risultato basterebbe aumentare i salari, gli stipendi, le pensioni, sostenere i giovani che studiano o mettono famiglia, aiutare le donne durante gli anni i cui figli sono piccini e mille altre cose. Ma o si paga l’uno o si paga l’altro. I signori delle banche sanno che non godono delle simpatie popolari. Preferiscono, così, tenere in piedi una macchina a dir poco farraginosa, avere degli alleati fra le frange improduttive della nazione, anziché oliare il meccanismo e farlo marciare con il minimo dei costi e il massimo di risultato. Ma non è solo questo. La carta emessa dalla banca centrale non è mai diminuita (lo stesso che dire che le emissioni superano sempre le restituzioni dei debiti), in sostanza continua a rimanere in circolazione, una gran parte di essa ristagna nella casse delle banche. Queste, che continuano a pagare un interesse, per rifarsi del costo, spingono ‘aventi tutto’ per rimetterla in circolazione. Ovviamente con il minor rischio possibile e al minimo costo. Soddisfatto il fabbisogno di credito delle grandi aziende (Fiat, Telecom, Mediaset etc.), si rivolgono a figure oblique, tipo finanziarie, le quali, dovendo lucrare pure loro, aggiungono sulle spalle del povero cafone ulteriori costi. Abbiamo così salari schifosamente bassi e una crescente inondazione di credito al consumo. Ti mangi una pizza? Hai l’impressione di averla pagata cinque euro, invece l’hai pagata sei euro (se non di più), perché un euro se lo pappa la finanziaria che ti ha prestato i cinque euro.

In Italia una parte della classe politica (certamente non quella di sinistra, che non si arrende all’idea della fine, a cui la condannano quindici anni di errori e le amicizie innaturali a cui si è lasciata andare) si sta allenando per arrivare a sfidare le banche in nome degli asini a cui il basto pesa ormai troppo. Ma non vincerà senza il ricorso al popolo, che peraltro teme di fare in obbedienza alla virtù storica di ogni classe politica, che è la viltà: “queta non movere”, “non stuzzicare il can che dorme”. “Se ti servi di Masaniello, poi lo devi ammazzare”.

Allo stesso modo della classe politica, la banca ha perduto il polso della realtà. Siamo arrivati al punto che per cambiare un assegno circolare presso uno sportello della stessa banca che lo ha emesso devi tirarti dietro l’ufficiale giudiziario perché elevi il protesto cambiario o una pattuglia di carabinieri. Il gioco è ormai troppo sporco perché possa andare avanti, senza che vengano fuori le pistole come nei film americani.






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