L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Due vite parallele: Brugnano e Iannopollo

di Nicola Zitara

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Siderno, 12 Novembre 2008

Il pomeriggio del 9 luglio 1940, il prof. Jannopollo era intento a spiegarmi come si prepara la rete di meridiani e paralleli su cui si copia in scala una cartina geografica, allorché si avverti in lontananza un intenso cannoneggiare. Jannopollo prese da una vetrina il binocolo paterno, scavalcammo il binario ferroviario e lui si mise a scrutare l'orizzonte. Individuò l'oggetto lontano, mi passò il binocolo e m'indicò la direzione. Eravamo scesi in guerra esattamente da 30 giorni. Il paese era stato invaso da un reggimento di richiamati alle armi, persone che a quel tempo erano considerate se non propriamente anziane, sicuramente mature. Prevalevano dei dialetti incomprensibili, fra loro soltanto pochi casertani e qualche irpino. Nelle bettole il vino scorreva a fiumi, i cani e i gatti di casa vennero considerati in serio pericolo. Sul fronte francese era stato ferito un colono di mio padre, un buon padre di famiglia con due bambini. Sapemmo che sarebbe rimasto claudicante per il resto della vita. In paese era arrivata anche la notizia di caduti. La guerra era un fatto concreto e, adesso, con la Battaglia di Punta Stilo batteva all'uscio di casa.

Mia madre s'era fissata di sottrarmi alla strada, alla squadra di monelli, cafoni e selvaggi, dall'incoercibile idioma dialettale, con la testa perennemente trapuntata dalle rasature necessarie affinché il buon dottore Prati potesse intrecciare le sue ricuciture. Cosicché, pur essendo uno studentello diligente e regolarmente promosso, mi toccava occupare una sedia in casa di un professore per le ripetizioni estive. Per altro, questi professori erano a loro volta studenti universitari di lettere, appartenenti a famiglie non ricche (il padre di Brugnano era un sottufficiale in pensione, la madre una casalinga, il padre di Jannopolo un padrone di barca, la madre una ex maistra i tilaro). In un sistema scolastico molto selettivo, i giovani che più avevano brillato al liceo, ma non possedevano mezzi economici adeguati, sceglievano una facoltà che li portasse all'insegnamento, di solito lettere. Si piegavano a impartire noiose ripetizioni estive per lucrare il necessario a raggiungere in autunno la città universitaria per la sessione di esami.

Nel giugno 1940 avevo finito il terzo Ginnasio, come dire la terza media, e frequentavo la casa di Jannopollo, ma nelle due estati precedenti avevo frequentato quella di Brugnano, ora soldato, molto più vicina alla mia. Poi la guerra s'allargò e partì soldato anche Jannopollo. D'altra parte la pubertà e i romanzi mi allontanarono dalle monellerie. Per giunta la guerra rinnovava paure antiche. Entrambi i genitori avevano vissuto la prima, quella del 1915-1918, la nonna ce la ripresentava ogni giorno, pregando per il figlio che ci aveva lasciato la vita. Così le ripetizioni estive finirono.

Nel 1943, Jannopollo fu il primo a tornare, veniva dalla Jugoslavia dove era stato ferito, per fortuna leggermente. Gli anni di guerra, per chi salvava la vita, corrispondevano ad anni lontani dal proprio paesino, a contatto con colture parecchio diverse dalla propria; esperienze formative eccezionali a quel tempo, quando tutte le macchine in circolazione in provincia di Reggio erano poco più, o forse meno di mille. Allorché Aldo Moro divenne un leader della Democrazia Cristiana, Jannopollo mi disse: "Alfredo Gasparro e io abbiamo trascorso parecchi mesi con lui, nella stessa tenda. Una persona eccezionale, una grande preparazione. Aveva meno di trent'anni ed era già professore di diritto penale". Brugnano tornò più tardi. Si era salvato dalla deportazione in Germania, nascosto dai monaci in un convento di Roma.

Gli anni del primissimo dopoguerra non furono economicamente difficili come gli anni della guerra e, poi, come gli anni successivi - a riunificazione d'Italia avvenuta. Siderno tornava a galleggiare sull'olio come cento anni prima. Napoli e Roma erano affamate, a tenerle in vita erano il mercato nero e la farina americana. Un litro d'olio, che in paese costava 300 lire, a Roma lo si rivendeva per 600 lire e oltre. Era la parte diseredata della popolazione ad avventurarsi nell'intrallazzo. A godere del profittevole prezzo dell'olio erano, oltre ai produttori, i popolani. Caduto il fascismo, in paese la vita pubblica si svolgeva nella più decente forma di democrazia che abbia mai visto. Furono anni di ordine, di rispetto civile, di speranza. Il demiurgo della democrazia cittadina fu Aurelio Albanese, comunista, vice-sindaco di don Nino De Leo, nominato sindaco dal prefetto, cioè dagli americani, cioè dalla massoneria. Il partito socialista risorse in questo clima quieto (quantomeno nel centro urbano), ordinato, con quel tanto di spazio concesso all'illegale commercio dell'olio che il prof. Albanese riteneva indispensabile perché il paese potesse contare sulle proprie risorse.

Ma cos'era questo Partito socialista, di cui Brugnano e Jannopolo furono per più di venti anni la massima espressione locale? Il partito veniva da lontano. I socialisti sidernesi avevano vinto le ultime elezioni comunali tenutesi prima dell'avvento del fascismo e nel 1943 avevano il volto di maturi artigiani: Ciccio Latorre, falegname, Tobialo Pezzano, fabbro, Pasquale Sgotto, falegname, Ciccio Audino, operaio, l'unico giovanotto del gruppo, Mico Congiusta, ex ferroviere. Congiusta era politicamente il più formato. E qui è il caso di ricordare che il Dipartimento ferroviario di Reggio Calabria era stato prima del fascismo e tornò ad essere nel primo dopoguerra il punto di forza del socialismo e del comunismo in Calabria, sia a livello numerico sia a livello di consapevolezza e attivismo politico.

Congiusta era un turatiano, cioè un riformista come allora s'intendeva il riformismo, cioè un gradualista disposto a convivere con il capitalismo se e fin quando avrebbe assolto la funzione di portare avanti il progresso dei lavoratori (oggi diremmo lo sviluppo economico). Dietro le spalle del partito si sospettò e si disse che ci fosse la massoneria di Villa Albanese. In senso diametralmente contrario c'è una dichiarazione dattiloscritta, datata 1944 o 1945 e firmata da Congiusta, Brugnano, Jannopollo e da altri, mostratami dallo storico Peppe Errigo, in cui si dichiara testualmente che i sottoscriventi erano ben decisi a combattere gli elementi massoni infiltrati nel partito. D'altra parte bisogna riconoscere che la massoneria, a cui spettò di guidare sul lato amministrativo Siderno dal fascismo alla democrazia, si mostrò all'altezza della situazione, consentendo che l'onda popolare delle speranze civili e sociali montasse alta, solennemente forte, coinvolgente. Da questo punto di vista, il paese non ha più visto anni simili al 1945 e 1946. Il potere di progettare il futuro - o che questo potesse effettivamente avvenire - passò al popolo. Il messia paesano della buona novella democratica fu Peppino Brugnano. Brugnano era un grande oratore, ma non della bassa oratoria da comizio. Oserei dire del tutto che non era un oratore politico. Sapeva far vibrare il cuore della gente. In quel che diceva c'era qualcosa di messianico, di profondamente religioso, nel senso della fede in quell'anelito alla giustizia terrena che vibra nell'intimità di tutti e di ciascuno. Non a caso era tornato dal nascondiglio romano portandosi dietro degli opuscoli politici provenienti dalla Francia prebellica, fra cui un saggio di Bruno Bauer, maestro di Marx, che analizzava il sentimento religioso, individuandolo nella trasposizione in cielo delle sofferenze terrene. Brugnano lo leggeva e lo rileggeva. A uso e consumo mio, giovane ignorante, ne traduceva qualche passo e lo commentava.

Ma cosa c'era in quest'uomo che ho conosciuto da ragazzino e che, nonostante la sopravvenuta diversa visione delle cose del mondo, ho sempre amato con devozione filiale? Ho tentato mille volte una definizione, ma nessuna appagante. Era un greco del tempo di Pindaro infelicemente precipitato nella Calabria del XX secolo? Razionalità e trasporti poetici ricondotti all'umiltà del vivere quotidiano? Ho seguito una decina d'anni fa in televisione il commento di Natalino Sapegno, un docente illustre, alla Divina Commedia. Posso attestare che le spiegazioni di Brugnano erano parecchio più vibranti. Allora la domanda potrebbe avere questa risposta: sentire la poesia della vita, credere nel magistero della bellezza, ma rispettando l'armonia che sta dentro ciascuno di noi. Se conoscessi meglio i Dialoghi di Platone, forse potrei darmi una risposta soddisfacente. 

In questi nostri paesi di Calabria la storia è scorsa lenta, monotona, ripetitiva, come il mare in bonaccia, che frange l'onda sulla riva generando appena una breve schiuma. Ma, a volte, questa nostra terra, posta ai margini delle vicende di un'Europa che non l'ha mai fatta propria, se non imponendole un potere venuto da fuori, mai amata e mai convinta, ribolle simile al mare, allorché dai lontani Carpazi scende il vento di tramontana. La fine della civiltà dell'Oriente mediterraneo e la lontananza dalla storia europea fanno sì che i calabresi è come fossero due popoli diversi, spesso nemici l'uno all'altro. Sono le classi. Non solo quelle di Marx - gli operai e i capitalisti - ma anche classi più antiche, quelle della rivolta antispagnola al tempo di Campanella: i contadini, i mercanti, i dottori, i baroni. A mediare il sistema europeo in Calabria, sin dal tempo delle Crociate e dei Normanni, sono stati i baroni. La base popolare, se qualche volta conosce la civiltà europea (che per altro rifiuta a sua volta di conoscerla) è perché ha fatto l'emigrazione in America o nella stessa Europa. Contadini e baroni non comunicano fra loro. Soltanto per reciproca necessità s'incontrano senza influenzarsi. A loro volta i dottori, i professionisti, stanno dalla parte di chi li foraggia e i mercanti dalla parte di chi ha danaro da spendere. In quel lontano 1945 l'onda popolare si sollevò, sospinta da un vento che in parte veniva da lontano - la democrazia - in parte usciva dal profondo della terra, il mercato nero dei prodotti agricoli, attraverso cui ai contadini arrivò qualcosa che non avevano mai avuto, il denaro, l'indipendenza dai proprietari della terra.

In quegli anni magici i giovani dottori alzarono la testa di fronte ai baroni. Aurelio Albanese, Peppino Brugnano, Cosimo Jannopollo sventolarono la bandiera popolare. Nelle prime elezioni che l'Italia postfascista conobbe, le comunali dell'aprile 1946 (due mesi prima del Referendum monarchia/repubblica), popolo, dottori e mercanti si allearono contro i baroni. A Siderno non succederà mai più. La Lista Bilancia venne capeggiata da Carlo Audino, massima espressione delle borghesia mercantile. Dentro c'erano i repubblicani, i socialisti e i comunisti. Fu un trionfo, i gnuri vennero travolti, la Bilancia ebbe sedici consiglieri su venti. Carlo Audino ebbe quasi mille preferenze, ma gli altri repubblicani rimasero in coda, preceduti dai socialisti e dai comunisti. Il socialista più votato fu Brugnano, seguito subito da Jannopollo, ma nessuno dei due era il sindaco atteso dalla popolazione. La gente immaginava che ci sarebbe stata una continuità con la brillante esperienza amministrativa e che Aurelio Albanese avrebbe continuato a ben amministrare il paese. Come è noto a ogni sidernese, il sindaco uscito dalle trattative fra i tre partiti vincitori non fu Audino o Albanese e neppure Brugnano, ma Jannopollo.

Jannopollo mi ha voluto bene come a un fratello minore. Quando ero il giovanissimo segretario della sezione socialista e lui il giovane sindaco del paese, mi sfotteva dicendo che mi stava tenendo in caldo il posto. Anch'io gli l'ho voluto molto bene, d'un affetto anteriore alla politica. L'ho spiato, con altri amici, la mattina che preso il coraggio a due mani si dichiarò alla futura moglie. Spesso l'ho accompagnato a Schiavo d'Ardore, in visita alla fidanzata (cosa che nell'antica Grecia si diceva paraninfo). La nostra non era un'amicizia propriamente culturale o politica, ma una frequentazione serotina in quanto, lui, mio padre, Totò e don Nicola Della Mura, si mettevano intorno a un tavolo a giocare a briscola e a tresette. Io guardavo e cercavo d'imparare, ma debbo onestamente confessare di non aver fatto molto profitto.

Jannopollo e Brugnano erano credo coetanei, forse compagni di scuola, però persone assolutamente diverse. Jannopollo era un positivista. Non prediligeva il greco, ma il latino. Leggeva Lucrezio, Tito Livio, sapeva tutto delle imprese di Cesare in Gallia, ma la sua vera passione era la geografia, specialmente la geografia astronomica. Jannopollo era il popolo nella sua quotidianità, nei soprusi che subiva, nel suo anelito di pane, di companatico, di rispetto. Era una persona concreta come sua madre. Sapeva che il popolo non aveva ancora gambe per camminare dritto. Poteva andare avanti soltanto attraverso alleanze con la parte manifatturiera della borghesia. Fu questo l'errore che gli rimproverai, l'argomento che portò in vecchiaia parecchia ruggine fra noi (e l'avrebbe portata anche con Brugnano, se fosse vissuto altrettanto). In Calabria, la borghesia attiva non può esistere come classe per sé, se non s'impadronisce dello Stato. Oggi è una classe dipendente. Padrona dello Stato non è e non sarà, finché esisterà un Regno o una Repubblica italiana.

Quel convincimento spiega perché allora la borghesia attiva rifiutò Albanese e Brugnano e accettò Jannopollo come il principio di un progetto. Con lui sindaco, la Siderno del popolo ha ottenuto tutto quello che poteva ottenere dal sistema nazionale. Un di più sarebbe stato fuori dall'ordine delle cose. Vent'anni dopo la giustizia meritocratica avrebbe voluto Jannopollo senatore della (sua) Repubblica. Ma i meriti non rientrano nell'attuale ordine delle cose (repubblicano, resistenziale e costituzionale) e “l’Ordine Nuovo” è solo nel cuore di isolati sognatori.










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