Quel che è avvenuto dentro e fuori la Fiera di Bari è
di
portata rilevante per l’opinione pubblica. Accade infatti che non solo
gli ascari meridionali hanno cominciato a lamentarsi per la poca zuppa
che il padrone gli passa, ma capita anche che gli arrivi un
consiglio da chi meno se lo sarebbero aspettato.
Mi riferisco all’articolo del defenestrato ministro Tremonti apparso sul Corriere della Sera di sabato 11 settembre. Ovviamente Tremonti se ne fotte del Sud e dei suoi guai, e lo ha ampiamente dimostrato con gli scritti e con i fatti. Piuttosto, da leader della deregulation bancaria, additato a capro espiatorio del disastro nazionale italiano ad opera dei lecchini di queste stesse banche che il disastro hanno provocato, egli si toglie un sassolino dalla scarpa con Antonio Fazio, con Ciampi Carlo Azeglio e con le grandi banche meneghine e limitrofe.
Con buona efficacia giornalistica, Tremonti ha sciorinato in un
solo articolo quel che il sottoscritto va cantando da anni (si
veda sul sito www.eleaml.org “L’unità truffaldina"). Si
tratta del tema satanico della dipendenza bancaria del Sud, che venne
instaurata da Cavour in persona (insieme alle altre dipendenze)
nella patriottica patria finalmente unita; tema su
cui tutti gli istruiti sono informati, benché
preferiscano far finta d’ignorarlo.
Niente di nuovo, insomma. Eppure l’articolo è eccitante,
perché è stato ospitato dal più spocchiso
quotidiano padanista – il Corriere della Sera – a cui credono
devotamente tutti gli itagliani, non esclusi i meridionali, la cui
stragrande maggioranza pensa che, senza la benedizione del Nord, il Sud
morirebbe asfissiato nel vuoto.
Il ben organizzato e ben scritto articolo di Tremonti contiene,
però, delle affermazioni non esplicitate, sicuramente per
rispetto del pulpito padanista da cui è stato
ospitato. Una è questa: “Il problema (della banca) non è
tanto oggettivo, quanto soggettivo. Non è tanto e soltanto
quanto credito si eroga ed a che prezzo. E’ soprattutto chi lo eroga:
con quale spirito, con quale reale impegno”.
Credo che Tremonti non sia tanto avanti negli anni per ricordare lo
“spirito” con cui fu condotta la Cassa per il Mezzogiorno. Chi
è vecchio ricorda ancora lo “spirito” con cui i contadini
vennero mandati all’attacco della Conservazione sotto il vessillo delle
“Lotte per la terra”, nel mentre in Emilia e in altre regioni padane la
Banca Nazionale del Lavoro erogava miliardi, di cui lo stato pagava gli
interessi, per promuovere e portare avanti l’acquisto di bovini e porci
selezionati, di mungitrici, la costrizione di stalle e di silos,
l’irrigazione dei prati e quant’altro.
Se poi questo qualcuno militava
al tempo in un partito di sinistra, ricorderà anche che
Togliatti chiuse d’imperio la rivista napoletana “Cronache
meridionali”, di Napolitano, Chiaromente, De Martino e altri esponenti
della sinistra meridionale, che si occupava del doppio passo, o tango,
o giro di valzer, con cui veniva portata avanti la Ricostruzione
postbellica al Sud e al Nord.
Volendo andare ancora indietro, fino al tempo dei nostri patriottici
avi, forse vale la pena di citare il saccheggio postunitario, che
non consistette solo nell’appropriazione dell’oro e
dell’argento duosiciliani e nella distruzione della manifattura
meridionale, ma anche nella patriottica vendita ai meridionali delle
terre meridionali, cosa che portò miliardi del tempo nelle
tasche ancora vergini dei banchieri genovesi, milanesi, fiorentini e
livornesi, immiserendo contemporanea il capitale agrario di
un Sud patriotticamente dimentico delle secolari virtù
usurarie degli stessi genovesi, pisani, livornesi, fiorentini e
milanesi.
Ma torniamo allo “spirito” di cui parla Tremonti. Nella filosofia
cristiana ogni “spirito” abita in un corpo.
Quando il corpo muore, lo spirito vola in Cielo. Di “spiriti” senza corpo, ci sono solo gli Angeli, i Serafini, i Cherubini, e anche i Diavoli.
Insomma è fortemente dubitabile l’esistenza di uno spirito
“vivente” senza un corpo “vivente”. Per tal motivo è pertinente
chiedersi in quale corpo dovrebbe calarsi lo spirito bancario di cui
arpeggia Tremonti. Forse quello Stato italiano che produsse la Cassa
per il Mezzogiorno?
O in quello che produsse la Ricostruzione? O nell’
”abbracciamoci” del livornese Ciampi, ex governatore della Banka
d’Italia, ex ministro del tesoro, ex presidente del consiglio dei
ministri e attuale presidente della Repubblica (Stato) Italiana,
nonché severo liberatore (insieme ad Amato, Prodi, D’Alema,
Dini) delle banche da ogni spirito di sudicie sofferenze?
O
ai leader sindacali Epifani, Pezzotta, Angeletti e a simili inviatori
di baci per posta, sebbene si sappia che i baci “per la posta, perdono
il sapore”. O ai santini di Giuseppe Di Vittorio, valoroso duce
delle lotte per la terra, e di Lama Luciano, invitto duce della
marcia dei Resistenti e “Bella ciao” su Reggio Calabria, terra di
disoccupati fascisti e incostituzionali?
Dice ancora Tremonti: “…le banche che operano nel <territorio>,
ma non sono del <territorio>, non bastano”.
E come le creiamo, professore, le nostre banche? In forza della
concorrenza liberista e nel quadro dei ‘naturali’ meccanismi di
mercato?
Non si adonti, professore! A me le sue idee sembrano alquanto
facete. Secondo me c’è una soluzione, e una sola soltanto:
quella secondo cui di queste cose non si occupi Lei, ma uno Stato
meridionale non subalterno a Milano né docile vittima
del gioco delle tre carte, di cui i lombardi sono maestri da otto
secoli, sin dal tempo di Alberto da Giussano.
Ciò che ci serve
non è “spirito”, ma un pezzo di carta che si chiama
passaporto, di cui dovrei servirmi io, le volte che volessi andare a
Milano, e di cui dovrebbe servirsi Lei, nel caso le piacesse prendere
15 giorni di sole su una spiaggia o montagna del Sud.
Ancora una frase di Tremonti. Una frase che mi ha molto colpito, in
quanto dentro vi aleggia uno ‘spirito’ preunitario: “… è
tempo che (il Sud) smetta di guardare alla sua ombra”. Peccato,
professore, che lei non insegni storia del Sud in un’università
straniera, cosa che gli consentirebbe di non servirsi,
patriotticamente, di allusioni. Perché le nude
verità da raccontare sono parecchie.
Per esempio, che alla
condizione di ombra non ci siamo ridotti da soli. O anche,
quanto merito hanno, per l’inumazione del corpo, le rinascimentalmente
ingorde popolazioni padane e toscane.
Ancora un’osservazione. Nella frase sopracitata lei usa il modo
indicativo: E’ tempo che …” Al suo posto avrei usato il condizionale: ”
Sarebbe tempo che…”
Sta di fatto che Milano e Roma foraggiano gli
ascari meridionali. Ne ha mai sentito parlare? Sicuramente da tesoriere
dello Stato li ha pagati anche lei.
Gli ascari? Tanto peggio va alle
popolazioni meridionali, tanto meglio va a loro. Se il Sud non avesse
il problema dell’inoccupazione, gli ascari porterebbero a casa la
stessa paga di chi lava latrine e Bossi e i suoi non affonderebbero
spavaldamente sugli italici iloti la losca scimitarra del federalismo
fiscale.
Viva i fratelli toscopadani, intelligenti e creativi, ma soprattutto
retti e coscienziosi quando si tratta di impartire lezioni agli
altri.
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Altri commenti all'intervento di Tremonti sul
Corriere della Sera di sabato 11 settembre
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