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Disperazione e disprezzo - Dialoogo tra Nicola Palaja e Titta Foti

di Nicola Zitara

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Siderno, 1° Giugno 2003

Vivo più di notte che di giorno. Quando gli altri stanno già facendo il primo sonno, io esco a passeggiare. Il moto, dice il medico, allenta la pressione della prostata sull'uretra. Di regola vado sul lungomare. A quell'ora c'è pochissima gente, non c'è tema di disturbare gli innamorati che vanamente cercano di nascondersi dietro i cespugli delle aiuole.

Solo gruppi di spensierati giovanotti dibattono ad alta voce argomenti di varia attualità. Qualche volta arriva dalla riva un ritmo africano, scandito con il tamburo. Lo sciacquio dell'onda accompagna i miei passi malcerti. Passato e presente, ricordi lontani e vicenda quotidiana s'accavallano in un filmino con mille attori. Volti amici e voci note emergono da tombe ormai dimenticate. Basta una qualunque occasione. Nicola Palaja, un mito, una bandiera, Titta Foti, l'amico, il maestro, colui che a primo colpo riconobbe l'anima del giornalista che mi portavo dentro.

Quando lo conobbi, nell'immediato dopoguerra, Nicola Palaja veniva da lontano. Era stato il fondatore del mitico Gazzettino Roso, e anche l'insegnante di mio zio Orazio e di mia zia Amalia: un'ammirazione che si voleva trasferire al nipote. Invece Titta Foti non aveva niente di mitico: era il compagno con cui avevo scarpinato per i sentieri delle nostre campagne, in cerca di voti per la Repubblica. L'oratore travolgente dello scontro elettorale, e non solo elettorale, che precedette il Referendum Monarchia/Repubblica.//
Niente di più inconciliabile. Palaja era un marxista, uno che guardava allo scontro fra le classi, Titta era un anarchico, uno che guardava all'individuo, alle offese alla dignità, che l'uomo qualunque poteva ricevere dall'uomo potente.

Poche notti fa, me li sono ritrovati improvvisamente accanto, proprio sul lungomare, mentre ripensavo a qualcosa di apparentemente insignificante accadutami in mattinata. Anzi, non accadutami. In quanto non era accaduto proprio niente. Sono seduto dinanzi alla porta del sindaco. Ci sono altre persone che attendono d'essere ricevute. Il gruppo è numeroso, ma socialmente poco assortito. Giovani e vecchi, maschi e femmine, appartengono a una categoria di persone che, in altri tempi, avremmo definito l'ultima plebe e che oggi potremmo dire la classe dei manovali senza altra qualifica.

Due giovani madri: una con il bambino in braccio, l'altra con bambini piccoli al seguito. Fra tanti, riconosco soltanto una persona che, quand'era ragazzo faceva l'imbianchino. Ora non so cosa faccia. Titta Foti si sofferma a osservare il lindore del municipio rifatto. "Soldi spesi male…Era meglio prima". Poi aggiunge: "Il termine è caduto in disuso, ma la parola giusta sarebbe questuanti. Una volta si stendeva la mano, il gesto qui non si fa più. Ora è un privilegio dell'Africa, dell'America Latina e dell'Afganistan che i Russi volevano liberare, ma che voi avete liberato dai Russi… Mano o non mano, nessun uomo dovrebbe essere messo in condizione di chiedere quello che gli spetta. E a lui spetta comunque quanto spetta agli altri".//

Su questo punto, Palaja è assolutamente d'accordo. Fa, però, un distinguo. Secondo lui non basta l'affermazione di un principio. Ancora peggio è innescare una bomba per far saltare in aria il primo re che capita. Invece, è necessario correggere l'organismo sociale. Rimuovere gli ostacoli che vietano agli uomini una vita serena, che impongono loro di svendere la libertà e la dignità. "Le nostre, sono plebi misere, bisognose di lavoro. I padri e le madri sono disperati per i loro figli. Ragazzi destinati ad invecchiare con la speranza di un lavoro e di un reddito che gli assicuri l'indipendenza personale. Il mondo, che dovrebbe essere fondato su quella grande risorsa che è la produttività del lavoro, si fonda invece sul tornaconto dei padroni".//

"Oggi, la disoccupazione è tanta. Si pietisce un lavoro da 250 euro al mese. I tifosi che sono andati in Inghilterra a vedere Juventus - Milan hanno spesso almeno due volte tanto. Stiamo seduti dinanzi alla porta di un sindaco, o siamo allineati con le spalle contro il muro del palazzo Falletti, in attesa che un servitore esca con la ciotola piena di monetine e ne dia una a ciascuno di noi?"//

"Dissento, dissento", interviene Titta. "Bisogna distinguere tra la ricerca di un vero lavoro e il clientelismo - la corruzione - che viene messa in moto per un impiego. Il pubblico impiego è un ambito privilegio. La fatica è poca, le garanzie molte. E' un trono che consente l'esercizio di una sovranità su qualcuno, pochi o molti che siano…E' il principio di sovranità, il potere di comandare. Ed è questo che va combattuto e rimosso. Prendiamo due fratelli. Uno fa il contadino e l'altro fa il carabiniere. Il primo si ammazza di fatica, ma il mondo quasi non si accorge della sua presenza. Qualunque autorità se lo mette sotto i piedi. L'altro, il militare, dopo cinque o sei anni di serio impegno, viene promosso. Da questo momento passa la sua giornata a sonnecchiare dietro una scrivania. Se soffre di qualcosa, questa è la noia. Per strada, la gente lo guarda con rispetto e gli fa la corte".//

Dice Palaja: "Il sistema tanto dà al funzionario quanto toglie al lavoratore subordinato. Principalmente il militare. Il padronato ha bisogno dell'esercito per difendere il suo privilegio. Ma lo fa pagare ai proletari. Inoltre, circonda questi suoi subalterni di un alone di sacralità, in modo che la sacralità sospenda il più possibile l'uso dei fucili.

"Vedi, compagno, nel mondo in cui tu vivi c'è il welfare, lo Stato sociale. A molti bisogni individuali corrisponde un servizio pubblico. La scuola, la sanità, sono nostre conquiste, vittorie del partito. Però vittorie parziali, settoriali, che a ogni momento ci sfuggono di mano. Prendi a esempio la salute. I medici del sistema sanitario dovrebbero servire il cittadino, ma lo fanno sì e no Sono più importanti in altri servigi al sistema. Per esempio, fare gli agenti di commercio dei fabbricanti di medicine. Cercare i voti per i candidati governativi. Comprare dagli industriali apparecchiature sanitarie che poi non hanno alcuna voglia di utilizzare".

"Avete toccato il tasto dolente, professor Palaja", soggiunge Titta. "Agenti dei fabbricanti di medicinali o agenti di sé stessi, o agenti della classe politica, non farei distinzioni. Questa medicina amministrata, che garantisce una corporazione di gente non sempre sensibile, non sempre preparata, non sempre ligia al suo dovere, rappresenta il più grave malanno delle società moderne, insieme alla democrazia elettorale…"//
- "Mio caro Foti, cosa ti fa parlare così della democrazia?"//

- "No, non credo che la democrazia sia il minor male possibile. Quantomeno in un ambiente degradato, qual è il nostro. Qui da noi, in un assetto sociale privo della naturale articolazione economica, un municipio vale una fabbrica, nel senso che il municipio è sempre il più importante capitalista del. paese. Fa ciò che gli altri non possono, cioè distribuisce lavoro, acquista merci e servizi…Qualunque sindaco, buono o cattivo che sia, è sempre un padrone. Ed è anche un cattivo padrone. Non spende danaro che lui personalmente ha lavorato. I sindaci spendono con poca diligenza, e spesso dilapidano, danaro altrui."//

- "Non devi credere, compagno Foti, che io non veda quel che ho sotto gli occhi.
La mia generazione ha costantemente invocato la solidarietà del partito verso i lavoratori meridionali. Purtroppo il partito non ha inteso ascoltarci. Il proletariato settentrionale ha fieramente combattuto per i propri diritti, ma ha voluto ignorare i nostri anche quando gli sarebbe convenuto aiutarci Si è sottratto a qualunque forma di solidarietà proletaria. Si è chiuso a riccio di fronte al grave problema della nostra disoccupazione. Così facendo, per prima cosa ha portato il partito alla rovina, in secondo luogo si è ritrovato solo, in terzo luogo ha compromesso l'avvenire democratico dell'intero paese. L'avvenire è pieno d'insidie, ma non dubito che il partito della giustizia sociale risorgerà."//

- "Con tutto il rispetto, debbo dire, che non credo alla vostra speranza, professore. Il contadino è fuggito dalla terra. Colui che è emigrato ha avuto la possibilità di entrare in un nuovo sistema di lavoro e di vita. Buono o cattivo che sia, è comunque un sistema organico. Il contadino - ma ormai anche il borghese - che resta qui, annaspa in un mondo disorganico. E' un fuoruscito del mondo in cui è nato. Qualunque cosa faccia: il carabiniere, il sindaco, il medico, l'insegnante, il mafioso, lo spacciatore di droga, il giornalista, è un pesce d'acqua salata messo a nuotare nell'acqua dolce.//

"A voler essere rispettosi di Marx, questo che abbiamo davanti è ancora sottoproletariato. Infatti, quando qualcuno ottiene un lavoro stabile, per esempio fa l'operaio dell'Enel, o l'impiegato comunale, o l'infermiere, o il dipendente delle poste, non passa da sottoproletario a proletario, ma da sottoproletario a padrone. Magari fa ancora il servo al suo padrone, ma fa il padrone con il cittadino senza potere".//

- "Foti, secondo me, tu calchi l'accento sull'arretratezza culturale e sul conflitto tra Stato e cittadino, e fai bene. Ma io sono colpito molto di più dalla miseria imperversante. E' una miseria diversa dall'antica, una miseria ben vestita, che ha l'automobile e il televisore, ma sempre miseria è. Prova a entrare in una qualunque casa all'ora di cena e osserva la tavola del desinare. Osserva i volti senza gioia dei genitori, osserva i bambini, che non sono più persone come una volta, non hanno doveri. Sono divinità a cui si portano doni. Direi meglio, sono progetti di futuri borghesi, di padroni. Socialmente parlando, dei futuri mostri. A questi esseri manca la felicità di vivere che c'era ai miei tempi, che pure erano tempi d'immensa miseria.

Guarda quel padre che si è ficcato davanti alla televisione a vedere lo spettacolo offerto da puttane vestite da regine, invece di portare moglie e figli a godersi il fresco in riva al mare. Guarda questi giovani che tendono una mano per comprare la benzina, eppure, per passeggiare, avrebbero le gambe. Guarda lo squallore di questi tinelli, dove non ci sono più, pomodori che seccano, pasta che lievita, madie coperte con vecchi lenzuoli a difesa delle mosche, setacci che scolano nel tinello, cenere sul pavimento, nerofumo sulle pareti. Soltanto una bella fila di stipi vuoti. Questi nostri paesi sono diventati dei sobborghi ossidati di Milano, luoghi prosciugati della vitalità carnale che il mondo contadino aveva".



Nicola Zitara

 

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