I progetti per rimettere i paesini della nostra zona, la prostrata Calabria e il Meridione, si sprecano. Niente da ridire sulle idee e sul fatto. Sono cose che si pensano e si fanno, allo stesso modo che comprare un pacchetto di sigarette o sedersi al bar per una Coca-cola. Ma nessuno immagina che sorbendo un caffè risolvano i problemi del mondo, e neanche i problemi relativamente minori, come la condizione della nostra gente nel sistema nazionale italiano. Si può aggiungere che gente che impegna tempo e passione a scrivere di tali cose non si è mai illusa di incidere sulla realtà politica e sociale, la quale è organizzata e diretta da settori istituzionali e da settori non istituzionali, ispirati e controllati dal sistema capitalistico mondiale.
Questo sistema e il sottostante sistema nazionale operano secondo una
loro logica, e attraverso i mass-media risucchiano il consenso generale
dei viventi, in modo che la loro logica si elevi a fatto
“naturale”, a comune sentire dei popoli.
La logica in questione osserva una norma fondamentale, che permea tutte
le altre norme: trarre profitto dalla vita altrui. Ma forse la parola
profitto è inappropriata. Il termine è estensivo: va da
sottoterra al cielo infinito di Modugno. Il profitto che il
produttore di olio realizza corrisponde alla differenza aritmetica tra
il costo di lavorazione delle olive e il prezzo ricavato dalla vendita
del prodotto finito. Con detta differenza questi si paga: remunera
sé stesso, la professionalità attraverso anni di fatica,
il suo lavoro. Inoltre, sul mercato si presentano, e operano in
concorrenza con lui, milioni di altri produttori d’olio. Pertanto
il suo profitto sta nella giusta misura del costo del lavoro e della
remunerazione del capitale valorizzato, vigente presso la
collettività regionale d’appartenenza.
Altra cosa è il profitto delle aziende globali.
Anche queste si fanno concorrenza fra loro, per esempio la Fiat fa
concorrenza alla VolksWagen e alla Citroen. Ma questa concorrenza non
è la stessa cosa di quella esemplificata prima. Non mira a
remunerare il lavoro, il capitale, l’ingegno. L’obiettivo
delle aziende di grandissima dimensione è il potere sulla gente,
il dominio politico sul popolo dei consumatori, il quale assicura loro
il privilegio degli sbocchi di mercato e una rendita di posizione (cosa
assolutamente diversa dal profitto). Ciò si vede confusamente,
perché le aziende di questo tipo nascondono il loro obiettivo
(la rendita) con la maschera del profitto che - secondo quello che si
vuol far credere - sarebbe la remunerazione dell’azionista. Il
cosiddetto dividendo. Ma, da sempre, la condizione dell’azionista
non è molto diversa da quella di chi compra un buono fruttifero
postale.
L’anonimo azionista lucra ogni anno una percentuale del valore
commerciale del titolo azionario più o meno della stessa misura
del portatore del buono fruttifero.
Appartiene al sistema dei grandi monopoli anche la banca. Questa ha il
potere d’inventare il danaro. I produttori dell’industria
monopolistica e gli speculatori sul danaro fittizio governano tutto il
mondo, a eccezione della Cina. Negli Stati Uniti, la potenza militare
imperiale nel mondo, il vero governo sta nelle mani della Banca
Federale, mentre il Presidente e il Congresso sono i comunicatori e i
mass-media delle segrete volontà dei finanzieri e dei
monopolisti. Figuratevi nei paesi sottostanti!
Attraverso la moneta inventata, i tentacoli del capitalismo
monopolistico sono divenuti invasivi, globalizzanti, totali. Adesso
cercano nuovi spazi in cui investire danaro (inventato) per ottenere
potere. Automobili, petrolio, computer, cantieri navali, edilizia
abitativa, telefoni, elettricità e un finimondo di altre cose
mettono già l’uomo qualunque a confronto con il mostro
economico, saltando la mediazione politica. Adesso puntano
all’acqua, alle terre coltivabili, ai ghiaxxi dei poli,
all’organizzazione militare, alla gestione dei cimiteri e via
dicendo.
L’invadenza ha giù raggiunto gli spazi che lo stato
riservava a sé. In Italia, banche, autostrade, telefoni,
industrie di base sono transitati inavvertitamente dal potere statale e
politico alle sedie di consiglieri d’amministrazione non
politici, sottratti al giudizio dell’elettore e controllati
soltanto da Dio. Tra non molto faranno lo stesso viaggio le poste, le
ferrovie, la sanità, la scuola, l’acqua potabile, il mare,
le spiagge, gli scarichi fognari, e pesino i letti coniugali. Altro che
Santa Inquisizione!
In linea generale, lo sviluppo dell’industria ha comportato una
specializzazione delle produzioni, impensabile anche trent’anni
fa. E di conseguenza al declassamento della versatilità umana
(mani, cervello, occhi, esperienza tradizionale etc.) in monopraxia.
Per esempio la bicicletta. Settant’anni fa non c’era
pedalatore che non sapesse riparare una bucatura, registrare i freni,
oliare la catena. Le normali biciclette, dietro il sellino, avevano una
borsetta con i ferri, lo stick, le forbicette e un pezzo di vecchia
camera d’aria. Oggi si va dal meccanico persino per farsi alzare
o abbassare il sellino. Oggi sono pochissimi coloro che sanno incannare
una pianta di pomodori. I pomodori si comprano. E così pure il
basilico, che un tempo le nonne tenevano sul davanzale della finestra
per profumare l’abitazione.
La classe che chiamavamo il proletariato, perché era costretta a
vendere la giornata di lavoro, oggi socialmente e politicamente
si è invertita in una classe di consumatori.
E qui ricompaiono la Calabria, il Sud - paese degli Italoi o Italici – e i nostri paesini, abitati dai loro discendenti, di cui continuiamo a chiedere il progresso, come se il proletariato avesse ancora una qualche forza e significanza politica. Il progresso auspicato non ci sarà mai, almeno finché il Sud resterà nello stato italiano. Il mercato è fatto. Infatti il Centronord italiano e l’Europa producono tanto e poi tanto che il Sud non avrà mai modo di anticiparli o di inserirsi. Per altro, data la stupidità imperante, è molto difficile che i meridionali riconquistino la libertà, l’indipendenza, il potere di organizzarsi, di progettare, di mettere in essere i progetti. Così stando le cose ( e il recente referendum attesta che stanno così), non ci resta che difenderci su un terreno non ancora perduto a livello politico e rappresentativo: i pubblici servizi, quelli conservati al settore statale e quelli già regalati ai privati monopolisti. Difendiamo il popolo che paga.
Le ferrovie costano, ma non funzionano, la sanità riceve
miliardi, arricchisce le case farmaceutiche, i farmacisti, i medici e
gli infermieri e il resto lo butta dalla finestra; le banche
trafficano con il danaro sporco fift fift, e poi ce lo fornisce a tassi
usurari; la magistratura pretende d’imporre le sue logiche al
parlamento, ma poi è placcata dal politico locale, dalla
sua stessa inefficienza, dall’avversione e dalla strumentazione
dei politici, dallo smodato garantismo delle leggi; la nettezza urbana
è affidata a una ciurma di sporcaccioni, il mare è una
fogna, le fogne sono fetide cloache, il letto dei fiumi è
costituito da uno solido strato di rifiuti, le strade sono un corso di
lordure, gli amministratori amministrano sapientemente il fottisterio
del pubblico danaro. I politici che operano seriamente a favore della
collettività sono facilmente battuti, perché da sempre la
moneta cattiva scaccia la buona.
Invertiamo la piattaforma di lotta perché, in materia di
occupazione e produzione (ad esempio, l’auspicato, costoso e
improduttivo turismo) tutto quello che si fa finisce come è
finito in questi giorni a Cosenza: un gioco per fregarsi i fondi
pubblici. Imponiamo allo stato di non dissolversi nel business.
O anche noi diventeremo Amerika.
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