L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
Eleaml


Consulta l'itinerario inviato il 21 agosto 2004 da Nicola Zitara alle 12:58

Mongiana - le nostre precedenti indicazioni

Se oggi il Sud è degradato e "diverso" dal Nord, il motivo è da ricercarsi
in quella lontana concezione di "unità" (dalla tesi di Laurea di Niutta Romina)
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Le informazioni riportate in questa pagina sono state raccolte su intertnet, non sono state
verificate e sicuramente sono parziali, ce ne scusiamo con gli amici e con i naviganti

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Come Arrivare

Strade:

- Da nord: A3 uscita Pizzo/bivio Angitola
- SS 110 fino al bivio per Mongiana
- SS 501 fino al paese
- Da sud: A3 uscita Serre
- SS 182 fino a Serra S. Bruno
- SS 110 fino al bivio per Mongiana
- SS 501 fino al paese.

Treni: Fs a lunga percorrenza stazione di Lamezia Terme.

Autobus: da Lamezia Terme, Vibo Valentia e Catanzaro.
per muoverti dentro Lamezia Terme, cerca qui (purtroppo funziona solo con IE)

Aeroporto: Lamezia Terme

Esempio di percorso

Roma Circonvallazione Tirburtina - Mongiana
(circa 620 km)
  • Autostrada A1 - direzione Napoli - (circa 180 km)
  • Autostrada A30 - direzione Salerno  - (circa 55 km)
  • Autostrada A3 - direzione Reggio Calabria  - (circa 360 km)
  • Autostrada A3 - uscita Pizzo/bivio Angitola
  • SS 110 fino al bivio per Mongiana
  • SS 501 fino al paese
oppure
  • Autostrada A3 - uscita Serre
  • SS 182 fino a Serra S. Bruno
  • SS 110 fino al bivio per Mongiana
  • SS 501 fino al paese.
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Da Roma imboccare l'autostrada A3 e proseguire fino allo Svincolo Serre


cartina


Dopo l'uscita dalla A3 proseguire verso Serra San Bruno, poi verso Mongiana

strade

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Mongiana 3

mappa

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Dove Alloggiare 

(non abbiamo trovato indicazioni per alloggiare a Mongiana)
      • Agriturismo  Serra S. Bruno 
      • Agriturismo Roseto
      • Agriturismo  Serra S. Bruno 
      • Hotel Centrale Serra S. Bruno 
      • Hotel Certosa Serra S. Bruno 
      • Villaggio turistico, Camping  Nardodipace
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Dove mangiare

Ristorante Il Fungo
89823 Mongiana (VV) - Via Roma, 44
Telefono     0963.311180

Vallelonga Antonia Bar Trattoria
89823 Mongiana (VV) - Via A. Diaz, 18
Telefono     0963.311062

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Comune di Mongiana
Piazza Regina Elena,12
Mongiana  (VV) 
Tel: 0963/311087 
Fax: 0963/311089 
CAP:  89823
Prefisso:  0963
Comunità montana: 
Comunità montana delle Serre (sede a Serra S. Bruno)


Le strade di Mongiana
Via Cino Canzio Garibaldi, corso Vittorio Emanuele III, piazza San Rocco, piazza Regina Elena

Associazioni
"Acre" (Associazione culturale ritorno emigrati)
  
Forze dell'ordine
      • Polizia Municipale e Guardia Forestale.
      • Carabinieri a Fabrizia.
      • Polizia di Stato e Vigili del Fuoco a Serra S. Bruno.
      • Guardia di Finanza a Vibo Valentia
 
Sanità
      • Guardia medica, poliambulatorio privato.
      • Pronto Soccorso presso l'ospedale di Serra S. Bruno
      • Farmacie: Zaffino (corso Vittorio Emanuele III)

Ufficio postale
Via Cimitero

Edicole
Due in corso Vittorio Emanuele III  
 
Pro Loco Mongiana
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Arte e Cultura
  • Casa Morabito
  • Casa Bosco 
  • Casa Panucci
  • Palazzo Morabito
  • Palazzo borbonico
  • Chiesa della Beata Vergine delle Grazie
  • Chiesa di San Giovanni Gualberto
  • La caserma
  • La fonderia
  • La fabbrica d'armi
  • Villa Vittoria
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Fonti da cui abbiamo attinto notizie e mappe
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Pagine in cui potete trovare notizia su Mongiana


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Mongiana - Ferriere e fonderie

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Casualmente si siamo imbattuti in un interessante lavoro nel quale si parla delle Antiche fonderie in Calabria, ne riportiamo alcuni stralci. Potete leggere il testo integrale alla URL: https://www.cannarozzo.it/

Zenone di Elea

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Università degli studi di Torino
Facoltà di lettere e filosofia
Corso di laurea in scienze della comunicazione
tesi di laurea in comunicazione visiva

"La comunicazione visiva e le sue metodologie

al servizio della promozione di un territorio."

di Niutta Romina

Anno accademico 1997-1998

Introduzione


Sin dai miei primi approcci con la comunicazione visiva, la prima idea che mi è venuta in mente è stata quella di studiare un metodo efficace, con gli strumenti che essa mi metteva a disposizione, per poter pubblicizzare e promuovere un territorio si pieno di risorse, ma ancora sconosciuto al grande pubblico dei vacanzieri d'Italia.


Di conseguenza, quasi in maniera naturale, per non dire scontata, ho pensato di far conoscere  la mia terra: "l'altra Calabria", non solo quella conosciuta come Tropea. In particolare mi sono soffermata su quelli che sono i miei luoghi di origine, con particolare riferimento alla zona che dal mare Jonio si allunga verso le serre calabresi.

[...]


5.1 ATTIVITA' MINERARIE E METALLURGICHE IN CALABRIA

Al momento dell'unità d'Italia in Calabria, il territorio comprendente i comuni di Bivongi, Pazzano, Stilo, Serra S. Bruno e Mongiana [1],ospitava uno dei più importanti centri siderurgici e metallurgici dell'interapeni sola. In esso veniva trattato il minerale di ferro estratto dalle locali miniere di Pazzano, Stilo e Bivongi site nei monti di Stella, Mammicomito, Consolino e Petracca.


5.1.1 PRESUPPOSTI DELLE ATTIVITA'METALLURGICHE

Non vi è dubbio che, l'esistenza di questo bacino minerario e del suo sfruttamento, abbia radici più antiche di quelle certificabili con documentazioni storiche.


E' verosimile che, le popolazioni indigene,anteriormente all'anno 1000 a. C., facessero uso di questi minerali per attività fabbrili ed è molto probabile che tale occupazione abbia radici molto più antiche. Ad avvalorare tale ipotesi, sono ritrovamenti di oggetti in ferro nelle vicine necropoli del IX sec. a.C. di S. Onofrio presso Roccella Jonica.


Inoltre, come è noto, le miniere di ferro calabresi, che possono senza ombra di dubbio identificarsi con quelle che si trovano nella Vallata dello Stilaro (le uniche di una certa consistenza in tutto il Mezzogiorno d'Italia), spinsero le popolazioni iapige [2], abitanti la penisola Salentina intorno al IX sec. a. C., a "colonizzare" la Calabria. Ciò è deducibile anche dal fatto che nella penisola Salentina furono rinvenuti molti reperti risalenti all'età del ferro. In Calabria avvenne esattamente il contrario [3].


Certamente, agli inizi, in Calabria la tecnica metallurgica fu di chiara provenienza "straniera", ma ben presto, grazie anche all'abbondanza di siti minerari, venne acquisita dalle popolazioni locali e si diffuse più velocemente che in altre regioni mediterranee.


Inoltre alcuni toponimi, dichiara derivazione Greca, ci attestano la presenza in passato di attività legate alla metallurgia: la stessa città della Magna-Grecia, "Kaulon"[4],fondata nel IX sec. a.C. deve, probabilmente, la sua fondazione e la relativa ubicazione nei pressi della foce del fiume Assi, proprio allo sfruttamento delle risorse minerarie presenti nell'entroterra, attuato, o in modo diretto o attraverso scambi in natura con le popolazioni locali. Da queste ultime i coloni greci, in cambio di manufatti, ricevevano le materie prime minerarie,costituite non solo da ferro, ma anche da quarzo, sale, rame, stagno, piombo argentifero, ecc., estratte dalle locali miniere sfruttate dalle popolazioni indigene in piena età del ferro e conosciute sicuramente anche dai Fenici [5].


E'proprio lo sfruttamento del ferro e soprattutto dell'argento che rende verosimile questa supposizione: lo conferma il fatto che Kaulon fu tra le prime città della Magna-Grecia a coniare le proprie monete in argento nel secolo VI a. C. [6].


Nel periodo classico, anche in Calabria, il disboscamento, ad uso delle ferriere,per la costruzione delle navi e delle case, divenne massiccio, l'economia era soprattutto agricola e le miniere rappresentavano: "isole in un mare di campi, boschi e prati" (p. D. B. Tromby [7]).


I Romani ripresero lo sfruttamento delle miniere greco-indigene, occuparono stabilmente l'entroterra calabro ed emanarono vere e proprie leggi minerarie. Nelle miniere del circondario e nei pressi di Pazzano istituirono delle colonie per i "Dannata ad metalla", cioè i condannati al lavoro forzato nelle miniere.


[...]

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5.1.5 SIDERURGIA E TERRITORIO

Dal XV secolo in poi, le ferriere esistenti in Calabria avevano bisogno, per il loro funzionamento, di essere ubicate lungo corsi d'acqua in modo da poter attivare le varie fasi di fusione:"trombe a vento", che fornivano l'aria necessaria ad attizzare il fuoco; ruote idrauliche per i magli, tomi, seghe, ecc.. Esse necessitavano anche di un continuo approvvigionamento di legna (castagno e faggio), da cui ricavare il carbone vegetale, unico combustibile allora conosciuto.


Di conseguenza, esse venivano edificate nei pressi di folti boschi, dai quali si poteva ricavare il legno utile per la fusione. Ben presto, però, il continuo ed indiscriminato taglio a cui i boschi venivano sottoposti ed il conseguente depauperamento del patrimonio forestale, costrinsero gli addetti all'approvvigionamento di carbone ad allontanarsi sempre di più dal luogo di fusione rendendo così molto dispendioso il trasporto del materiale verso le ferriere, dal momento che ne occorreva una notevole quantità (circa 4-5parti di carbone per uno di minerale) per ottenere la fusione del minerale ferroso attraverso le diverse fasi della lavorazione, ed il suo prezzo (taglio di alberi, carbonificazione, trasporto) incideva in modo considerevole al bilancio finale [15] .


A questo punto, quindi, risultava molto più economico spostare tutta la ferriera,costituita essenzialmente da baracche di tavole (solo il forno era di granito),in posti più ricchi di boschi, presso i quali veniva riattivato il ciclo di produzione anche se lontano dalle miniere.


[…]


5.1.6 PRIMA FABBRICA D'ARMI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

Prima con gli Austriaci agli inizi del 700 e poi, nel 1754, con i Borbone (sotto Carlo III), le ferriere ritornarono proprietà dello Stato e vennero date in gestione a personale militare. Questa decisione fu adottata da parte del governo in seguito al clamoroso fallimento dell'ultimo degli appaltatori, lo stilese Giuseppe Lamberti, che per svariati motivi tecnici (non ultimo, le avverse condizioni climatiche), non riuscì ad onorare l'appalto, che prevedeva le forniture all'esercito di ben 70 cannoni in ferro di grosso calibro e 45 di calibro minore, screditando così la classe imprenditoriale calabrese e deludendo le aspettative dei reali borbonici, che avevano dato in appalto la costruzione e la gestione della "Regia Fonderia Cannonimi CivitatisStily" [17], voluta da Carlo di Borbone nel 1736 ed ultimata nel 1746 da Lamberti, sul corso medio-alto del fiume Assi, su un progetto dell'ing. Giuseppe Stendardo, lo stesso che aveva avviato gli scavi archeologici di Pompei.


Ma fu grazie al fallimento di Lamberti, avvenuto nel 1752, che si iniziò, per volontà reale, a dare vita a quell'industria siderurgica meridionale statale, che mosse i primi passi con la creazione della fabbrica d'armi di Torre Annunziata, seguita come vedremo nel 1770 dal grande complesso siderurgico di Mongiana (attualmente comune in provincia di Vibo Valenzia), e nel 1789 dalla più moderna e funzionale fonderia di Ferdinandea, oggi frazione di Stilo.


5.1.7 COMPLESSO SIDERURGICO DIFERDINANDEA

La Ferdinandea, così denominata in onore di Ferdinando II di Borbone, re dal 1830, era un complesso siderurgico costituito da due distinti edifici: il primo, disposto a ferro di cavallo, con corte interna, ospitava la residenza amministrativa, con uffici, alloggi per le truppe, carceri e chiese; il secondo, di cui rimangono solo due fabbricati dei quattro esistenti in origine,costituiva la vera e propria fonderia. Essa era disposta su due livelli: quello superiore era adibito a deposito per il carbone e ad alloggi per le maestranze,quello sottostante fungeva da deposito per i manufatti. Nel cortile antistante,addossato al fabbricato, si situava il grande altoforno, capace di produrre oltre 10 tonnellate di ghisa al giorno.


Negli impianti siderurgici di Mongiana e di Ferdinandea [18] , che raggiungevano un'altezza di oltre 10 metri, gli altiforni, costruiti con blocchi di granito e rivestiti internamente di materiale refrattario, avevano una forma molto semplice: erano infatti costituiti dalla sovrapposizione di due tronchi di piramide o di cono, uniti dalla base maggiore e venivano caricati dall'alto, alternando il materiale ferroso al carbone e al materiale fondente.


La combustione avveniva anche grazie all'immissione di una forte corrente d'aria, prodotta da mantici e nel nostro caso da particolari "trombe a vento" funzionanti ad acqua. In questo secolo il complesso siderurgico si allargò ulteriormente. Ai primi forni fusori del Fieramosca (XV e XVI sec.),ormai in disuso, ed alla ferriera di Pazzano (XVI sec.), ubicata lungo il fiume Stilaro e ancora attiva nel 1749, si aggiunsero, in un primo momento, "le vecchie ferriere di Stilo"[19], site nei boschi di Ferdinandea ed in seguito quelle del complesso d'Assi lungo il corso medio-alto dell'omonimo fiume.


E' interessante ricordare che proprio nelle ferriere calabresi furono costruiti, nel 1754-55, sul modello dell'architetto Luigi Vanvitelli, gli oltre 2000 tubi necessari per la costruzione dell'acquedotto che avrebbe rifornito la Reggia di Caserta.


[...]

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5.2 FERRIERE E FONDERIE

Nelle varie fonti che trattano del processo siderurgico antico si è notato l'uso consolidato del termine "ferriera" per indicare genericamente sia il singolo edificio produttivo sia l'intero complesso edilizio interessato allo stesso fenomeno. Analogamente, fino al tardo '700, non sembra sia stata operata una netta distinzione fra gli edifici ove avvenivano rispettivamente le operazioni di prima e di seconda fusione.


Nelle fonti più antiche il luogo che ospitava l'altoforno, cioè il luogo di produzione della ghisa, era indicato generalmente come "casa del forno" o utilizzando il nome di "fornace" e,solo con molto ritardo, con il sostantivo più appropriato di fonderia. Con il termine ferriera, viceversa, è stato sempre indicato il singolo edificio di raffinazione ma, in molti casi, lo stesso termine è più volte comparso ad indicare indiscriminatamente sia l'uno sia l'altro, ovvero entrambi contemporaneamente, dando luogo a non pochi equivoci.


In sintesi, la fonderia era il luogo in cui avvenivano la produzione e l'utilizzo della ghisa per la costruzione di manufatti (cannoni e bombe) e in essa erano situati gli altiforni; la ferriera, invece, era il luogo in cui si produceva il ferro comune e in cui raramente avveniva la raffinazione della ghisa; in essa erano presenti i soli forni di raffinazione [22].


5.2.1 CONDIZIONE OPERAIA E PRODUTTIVITÀ

Con l'avvio del funzionamento delle fabbriche di Mongiana e di Ferdinandea, la condizione operaia cambiò radicalmente.


Mentre in passato l'impiego dell'operaio nelle ferriere e nelle fonderie era limitato al periodo di maggior attività delle stesse, che coincideva con i mesi invernali, in quanto solo in quel periodo si aveva abbondanza d'acqua per il funzionamento a pieno ritmo dei forni, e, nei restanti mesi, l'operaio smetteva i panni di minatore e ritornava al lavoro nei campi, in questi grandi impianti, grazie ad un ciclo continuo di lavorazione, egli diventa a tutti gli effetti un operaio a tempo pieno.


I risultati non mancarono, sia sul piano della produzione sia su quello del miglioramento della condizione operaia. Se nel '500 la produzione di ferro, come già detto, non superava i 300 quintali, dal 1808 al 1815, con Gioacchino Murat, salì a 4000 q. annui, per raggiungere i 10000 q. con l'avvento al potere di Ferdinando II di Borbone; tutto questo grazie anche alla preziosa opera dei mineralogisti inviati in Europa che, rientrati in patria nel 1798, incominciarono a mettere a frutto tutta la loro esperienza.


Con Murat,venne costruita a Mongiana una piccola fabbrica per "canne da facile", embrione di quella fabbrica d'armi che sarà in seguito edificata per volere dei Borbone.


In questo periodo crebbe anche la qualità dei prodotti i quali vennero addirittura esportati in Francia. Per migliorare la qualità della ghisa, il governo borbonico incrementò anche in Calabria l'uso del carbone minerale, intensificandone l'estrazione dalle miniere di Anagna Calabra.


Gli operai impiegati nell'attività siderurgica calabra ammontavano a circa 1500 unità fra mulattieri, minatori, carbonai e fonditori ai quali vanno aggiunte le altre maestranze impegnate in iniziative siderurgiche private[23].


Prima i Napoleonici e poi i Borbone, con Ferdinando II, consci della grande importanza che la loro attività rivestiva per la sopravvivenza stessa del Regno, concessero a questa classe operaia una serie di trattamenti assistenziali impensabili per quei tempi: pensione dopo 35anni di lavoro, assistenza medica, assistenza infortunistica, pensione di invalidità e istruzione scolastica per i figli.


Consapevoli di questi privilegi, gli operai delle fabbriche siderurgiche calabresi dimostrarono la loro gratitudine nel plebiscito post-unitario quando si astennero per protesta dal voto o manifestarono pubblicamente contro l'annessione del Regno delle due Sicilie al neonato Regno d'Italia. Con Ferdinando II,che possiamo tranquillamente definire un re "imprenditore", a causa delle sue larghe vedute in campo industriale [24], si ultimò la costruzione degli stabilimenti siderurgici di Mongiana e di Ferdinandea, che potevano da soli produrre in media 12-15 mila quintali di ghisa annui.

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5.22 FABBRICA D'ARMI DI MONGIANA

A Mongiana, nel 1852, venne costruita, su progetto di Fortunato Savino e sotto la direzione di Tonson Latour, una moderna e funzionale fabbrica d'armi, che sostituì, di fatto la vecchia "fabbrica di canne da fucile" voluta da Murat, e che poté considerarsi l'erede della fabbrica d'armi costruita da Lamberti nel 1746.


Nella nuova fabbrica in cui lavoravano circa duecento armieri e che forniva l'equipaggiamento bellico all'esercito borbonico (bombe, cannoni, pistole e fucili) era sicuramente operante anche un reparto di progettazione, in quanto qui furono elaborati i progetti per la realizzazione di un cannone binato, tra l'altro mai realizzato,e furono ideati e realizzati numerosi fucili di precisione fra cui il famoso fucile da fanteria modello "Mongiana". In essa annualmente potevano prodursi 2000-3000 armi da fuoco, con punte di 8000 in caso di guerra e altrettante armi bianche. Armi, che per la perizia con le quali venivano costruite,ottennero degli ambiti riconoscimenti nelle Esposizioni Industriali di Firenze(1861) e di Londra.


[...]


5.3 TRAMONTO DELLA SIDERURGIA CALABRESE

II 30 Agosto del 1860, i garibaldini presero possesso dello stabilimento di Mongiana; il 7 Settembre dello stesso anno Garibaldi entrò vittorioso a Napoli, proprio con la ferrovia voluta dai Borbone [26].


La dinastia borbonica cadde, e con essa, venne così ad interrompersi repentinamente un'attività che per secoli aveva caratterizzato in positivo l'economia di un vasto territorio calabrese e che aveva dato occupazione tra mulattieri, minatori, fonditori e carbonai, a circa 1500 operai. A nulla valsero gli accorati e disperati appelli rivolti al Governo da parte delle Amministrazioni Comunali del luogo.


Il nuovo governo unitario, con l'estensione delle leggi Piemontesi sulla forestazione, con la non applicazione delle leggi sulle miniere, ma soprattutto con la legge che prevedeva l'estensione delle tariffe doganali Piemontesi all'ex Regno (i cui dazi protettivi furono abbattuti di circa 1*80%), che sopravvalutava di fatto le reali possibilità di ripresa dell'economia meridionale, mise in ginocchio tutte le attività industriali del Sud (fabbrica d'armi di Torre Annunziata, officine ferroviarie di Pietrarsa, industria tessile di San Leucio, la Zino & Henri, che costruì, insieme alla Bayard, la prima ferrovia italiana) [27] e con esse anche Ferdinandea e Mongiana.


L'annessione, infatti, portò ai meridionali un forte aggravio del carico fiscale. Aumentarono l'imposta fondiaria, le imposte indirette e tutte le vecchie quattordici tasse borboniche ed i meridionali furono subissati immediatamente da ventiquattro nuovi balzelli d'importazione piemontese e, poco dopo, insieme a tutti i cittadini del nuovo Stato [28], da altre dieci tasse di nuovo conio tra cui la famigerata "tassa sul macinato" altrimenti nota come "tassa sulla miseria". Se per il Sud le tasse, a due soli anni dall'Unità, aumentarono già del 40%, nel 1865 raggiunsero 1'87% in più rispetto al 1860. L'effetto di drenaggio fiscale fu drammaticamente avvertito dall'industria, cui vennero a mancare i capitali. Inoltre, mentre un piatto della bilancia fu appesantito dal carico improvviso delle nuove tasse, il piatto delle commesse fu alleggerito delle forniture militari e ferroviarie.


Le stesse casse dell'ex Regno delle Due Sicilie [29] saranno "alleggerite" dai cospicui fondi di Risparmio Nazionale Meridionale, sottratti e dirottati al nord dai piemontesi. Orfana di capitali e di commesse, la siderurgia meridionale ebbe davanti un futuro di bancarotta.


Il nuovo Stato le commetterà, nel decennio 1860-70, solo il 5-7% del fabbisogno militare e non più del 6% di quello ferroviario. Delle 600 locomotive previste per le linee del Sud, solo 1/6 toccherà a Pietrarsa, la più importane ed esperta officina ferroviaria italiana dell'epoca. La filosofia economica del"libero scambio", fatta propria dal nuovo ceto dirigenziale nazionale, favorì l'intervento privato e compresse quello pubblico.


Nel sud l'intervento statale aveva anticipato teorie in voga molti anni dopo; scopriamo così che in materia di sviluppo la teoria meridionale era valida e all'avanguardia quando incentivava la costruzione di un'ossatura produttiva statale niente affatto monopolistica, senza deprimere, anzi favorendo, l'industria privata e aprendo tra le due un regime di aperta concorrenza. Se nella statale a volte i costi di gestione erano alti, si doveva tenere presente che per mille vie questi apparenti "sprechi" rifluivano nel paese per mano dei salariati.


Solo l'industria statale, proprio perché lontana dalla logica capitalista del profitto immediato, poteva sottostare ad una serie di passività e di oneri cui, quasi mai, al suo nascere, si sarebbe sottomessa quella privata. Lo Stato unitario privilegiò subito la componente piemontese-ligure, che aveva cervello e cuore pulsante al Nord e specialmente a Torino, capitale vicina al centro di quell'Europa nella quale la nuova nazione tenterà d'inserirsi ancor prima d'essere organica, omogenea e priva di ghetti [30].


Il nuovo Governo favorì spudoratamente la siderurgia ligure tanto che l'Ansaldo, che prima del 1860 contava la metà dei dipendenti di Mongiana e di Pietrarsa, a Italia fatta, li raddoppiò mentre, allo stesso tempo, si dimezzarono quelli del meridione, un meridione inferiore e degno solo di"vocazione agricola" in cui "innaturale", perché periferico, sembrò lo sviluppo industriale. Il Sud si trovò a recitare il ruolo di portatore d'acqua ed i meridionali quello di braccia-lavoro.


Delle decisioni prese dal solo Nord-Italia, tutta la nazione si sarebbe trovata poi a pagare le conseguenze poiché il Mezzogiorno, arrestato nel suo cammino dall'amputazione della gamba-industria, non poté reggersi neppure sulla gamba-agricoltura, dal momento che neppure quella fu sviluppata.


Se oggi il Sud è degradato e "diverso" dal Nord, il motivo è da ricercarsi in quella lontana concezione di "unità".


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