L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Le capitali e il loro costo

di Nicola Zitara

Siderno, 7 Aprile 2008

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Prima dell'unità, l'Italia (o meglio la Toscopadana) era considerata il paese delle cento città. A metà Ottocento nessuna nazione dell'occidente poteva vantare altrettante città e altrettanto famose. Vi erano otto città capitali o ex capitali: Torino, Milano, Venezia, Genova, Firenze, Roma, Napoli e Palermo. Queste città, alle quali bisogna aggiungere Padova e Bologna, erano note a qualunque europeo colto. A tale atlante urbano il Sud continentale partecipava poco o niente, perché il Regno era vasto e la capitale era una sola. 

Persino Capua, con la sua storia che attraversa i millenni, Amalfi, antesignana dell'Italia marinara, Taranto madre di traffici mediterranei e fautrice di secolari guerre contro Roma, stimolavano soltanto qualche ricordo scolastico. 

Non così la Sicilia, per la sua storia diversa, per la sua civiltà originale, che si fonda sull'idea di giusto e non sull'idea di legalità, ciò in contrasto con l'Europa razionalista e illuminista, come Camilleri ci sta spiegando. Oltre che Palermo, anche Siracusa, Messina, Agrigento raccontavano qualcosa a qualunque orecchio di colto.

Angioini, aragonesi, castigliani, catalani sottosvilupparono la Palermo araba, normanna e sveva e la sottomisero a Napoli. Per tre secoli, Napoli fu la città d'Italia, le altre erano poca cosa in quanto urbe. 

L'Italia unita aggredì Napoli frontalmente. In meno di un anno (settembre 1860- maggio 1861) Cavour fece più danni che cinque eruzioni del Vesuvio e una cinquantina di terremoti. Napoli, per resistere, sfoderò la sua arte ironica, sarcastica, melodica, idilliaca, nostalgica, ciò fino al tempo di Mussolini, il quale completò l'opera di Cavour, spogliando Napoli a favore della vicina Roma - fatte le debite proporzioni - allo stesso modo del Senatus Populusque Romanus duemila e duecento anni prima.

Umberto Nobile, ultimo interprete della modernità napoletana, Marotta, Totò, ultimi cantori di Napoli morente, altri di non altrettanta pregnanza, cambiarono residenza. Napoli da monnezza.

Cosa era costata alle popolazioni meridionali e siciliane la costruzione dell'urbe napoletana un bravo statistico potrebbe persino quantificarlo. Grosso modo un pane al giorno a milioni di loro per trenta o quaranta generazioni. 

L'Italia ci ha fatto un favore alleggerendo i meridionali di un siffatto costo? Non lo si può dire, in Italia si parla male di Garibaldi, ma è in verità Napoli di Carlo II e dei suoi grandi filosofi e riformatori, di Vico, di Genovesi, di Filangieri, di Galluppi, aveva rimesso il genio in sella, aveva riportato il paese napoletano nella centralità europea, lo aveva rimesso sulla strada dello sviluppo economico, gli aveva dato un'identità mondiale. 

Oggi le cento città toscopadane, illustri città d'arte, genitrici di Ri-nascimento e di Ri-sorgimento succhiano il nostro lavoro, ci calmierano il pane.

Il calabro-romano-milanese, Marco Minniti, governatore in pectore della Regione Calabria, esulta perché Milano ha ottenuto d'essere la sede dell'Esposizione universale 2015. Non vivrò tanto per pagare il prezzo che ciò costerà agli infelici (e fessi) meridionali. 

Spero soltanto che l'onorevole signore prima citato segua l'esempio sparagnino del suo donno, D'Alema, e ottenga una bella casa popolare alla Bovisa, dove i milanesi spenderanno qualcuno dei cento miliardi e passa che verranno loro devoluti dalle famiglie meridionali.

"E se non piangi/di pianger suoli?"











 

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