L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
  Eleaml


L’unità si sfascia (finalmente!)

di Nicola Zitara

Siderno, 31 Maggio 2007

(se vuoi, puoi scaricare l'articolo in formato RTF o PDF)

La sconfitta delle cosiddette sinistre nella recente tornata elettorale, pur circoscritta a un voto amministrativo e quindi non centrata su una scelta di governo, segnala lo scollamento della provincia toscopadana da Roma e dal centralismo faccendone. Burlusconi e Tremonti non hanno portato avanti il paese, anzi l’hanno portato indietro almeno quanto avevano fatto i governi che hanno avviato la seconda Repubblica (Amato, Dini, Ciampi, il primo Prodi, D’Alema), tuttavia - con la fumosa promessa che a pagare le tasse (che è impossibile eliminare) debbono essere soltanto le classi del lavoro subalterno - sono riusciti a unificare larghi settori (e forse classi) della società italiana interregionalmente considerata. Il banchetto connesso all’appalto dei servizi pubblici ha fatto il resto. 

Cambiato il governo, questi settori o classi non intendono accettare il cambiamento tributario ventilato (ma non applicato) dall’eurolacché Padoa-Francoforte). Inoltre questa cosiddetta sinistra ha avuto (e continuerà ad avere) pregiudizialmente contro l’intera Sicilia mafiosa nonché una consistente frangia delle popolazioni padane, influenzate dal ‘chiagne e fotti’ leghista. “Qui si lavora e si produce”: lo stesso concetto su cui si fondava l’imperialismo ottocentesco, oggi completamente smascherato dai fatti. 

La cosiddetta sinistra ha contro di sé anche l’opinione, per un verso passatista, di uno Stato forte (specialmente il pubblico impiego di rango) e, per il verso opposto, l’opinione vitalista e avanguardista del nazionalismo, che è di molti giovani (specialmente studenti) attratti da Alleanza Nazionale.

Non avendo risolto la cosiddetta questione meridionale, cioè emancipato dal colonialismo interno il Sud (se risolta, avrebbe portato l’Italia complessiva a ottenere un prodotto interno lordo vicino a quello tedesco) l’aborto dal nome Stato italiano muore. Infatti la questione settentrionale è un nominalismo, un errore semantico che in realtà sottintende il fatto che il Sud è ormai isterilito come colonia da sfruttare. Occorre non dimenticare quello che abbiamo dato. 

La ricchezza aurea del Sud salvò Cavour e i Savoia dalla totale bancarotta; in appresso, al tempo di quello zotico di Umberto I, le esportazioni agricole meridionali permisero il riequilibrio della bilancia commerciale con la Francia; qualche decennio dopo le rimesse degli emigranti, in larga misura meridionali, portarono il danaro fresco necessario a fondare l’industria padana; contemporaneamente le industrie napoletane della pasta e delle conserve (create senza l’aiuto dello Stato) aprirono la strada a un diverso peso e a una diversa considerazione dell’Italietta oltreoceano, mentre la canzone napoletana faceva amare l’Italia; nel 1915-18 l’immane massacro di fantaccini meridionali portò l’Italia per la prima volta dal tempo di Carlo Alberto a non essere sconfitta sui campi di battaglia; durante il fascismo, le esportazioni di arance, limoni e mandarini tennero in vita la bilancia dei pagamenti internazionali; caduto il milanese e bolognese fascismo, negli anni Cinquanta e Sessanta i contadini meridionali dettero vita e vigore alla nascita di un paese industriale in Padana.

Oggi, morta e sepolta l’agricoltura, spento persino il ricordo di un’industria meridionale, il Sud vive del ricarico commerciale che lo smercio dei prodotti padani lascia nei luoghi di consumo (spiego: se una merce viene pagata 10 euro dal consumatore, due o tre di questi 10 euro restano qui, come se fossimo operai dell’industria che hanno prodotto la merce, e come un operaio il consumatore può spendere gli euro che ha guadagnato). 

Se vi guardate attorno, vi renderete conto che oggi lo spaccio di merci, attraverso depositi e market, è almeno 300 volte quello di cinquant’anni fa. Non c’è più un dare visibile, come in passato, oltre cedere i laureati più capaci, vendere le eredità dei padri e il sole e il mare, o accumulare capitali a favore delle banche italiane con lo smercio mondiale di droga. Non è poco, ma la Toscopadana era abituata a incassare di più (quantomeno vedeva le regalie coloniali, mentre oggi le arrivano nascoste e invisibili).

Il capitolo della divisione d’Italia è aperto attivamente da trent’anni, attraverso continue e punitive revisioni della Costituzione. Oggi siamo alla chiusura. Né Berlusconi, se tornasse al governo, né Walter Veltroni, che prima o poi sostituirà Prodi, né Casini con il ricompattamento delle forze di centro, potranno evitare lo sfascio. Al tempo di mio padre si diceva: “Non lo salva neppure Cardarelli”, che pure era un medico capace di fare miracoli.

Il Nord perderà una minna da mungere. Il Sud potrebbe guadagnarci o perdersi del tutto. Indipendente, se guidato patriotticamente potrebbe avere una crescita vertiginosa, dieci volte i traguardi segnati dall’Irlanda. Se finirà in mano a pupazzi locali del capitalismo padano, o alla mafia, che poi sono apertamente un cuore solo, come ben si vede nella gestione degli appalti pubblici, sarebbe il disastro.

Ma il nemico principale è dentro di noi. Non sentiamo la patria, non sentiamo più l’onore, le virtù pubbliche sono perdute da quando ci svendemmo ai Savoia, le nostre intelligenze si smarriscono dietro all’idea di campare la giornata o di trovare un posto in municipio, d’essere servizievoli con chi ha il potere politico, e quindi i soldi e i posti. In questo sconquasso, pesino la Chiesa (ancora una volta ad Agrigento, nella Sicilia meridionale, come nella Caltagirone di don Sturzo), che battezza un partito cattolico in marcia su Roma, potrebbe essere un percolo di svendita all’asta del Sud. 

La Chiesa vuole l’unità dei cattolici italiani a ogni costo. Ma nessuno deve dimenticare che la caduta del Sud cominciò con i Normanni, prima, e con Carlo d’Angiò, poco appresso, chiamati da papi romani perché governassero il Sud secondo gli interessi secolari della Curia e dei Liberi Comuni toscopadani (che come al solito non volevano pagare le tasse all’Imperatore).






___________________________________________________________________________________

 

Per comunicare con Nicola Zitara potete inviare un messaggio breve anche senza dover indicare il vostro indirizzo di posta elettronica:



Se volete inviare una email a Nicola Zitara:

Email per Nicola Zitara - Yahoo


Se, invece, volete inviare una email a Nicola Zitara usando il nostro indirizzo:

Email per Nicola Zitara - Eleaml


Buona navigazione e tornate a trovarci.


___________________________________________________________________________________






vai su









Ai sensi della legge n.62 del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e del web@master.