L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
  Eleaml


L'ineluttabilità della separazione italiana

di Nicola Zitara

Siderno, 7 Giugno 2008

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Cerco di capire il senso dell'uscita che sembrerebbe impolitica del presidente Napolitano sul travaso dei rifiuti industriali padani al Sud. Un fatto vecchio. D'altra parte se, in alto e in basso, la gente ha  letto  in Gomorra una cosa che aveva  già introiettato - il che conferisce valore artistico al racconto -  vuol dire che il più alto esponente della classe politica italiana ha scoperto l'acqua calda. Ma perché il presidente si è deciso  a  scoprire l'acqua calda. Il Nord è bello da prima che De Amicis ci spiegasse quanto. Non si può parlare male del Nord, che ci ha dato Garibaldi, Cavour, i Bersaglieri e Quintino Sella. Non lo si può fare sui giornali, in televisione, in parlamento. La mafia è cosa sudica. Anche i rifiuti, come pure la viltà politica.

Togli al Sud il pittoresco, e non resta che l'immondizia. Allora perché Napolitano si mette in polemica con De Amicis, i Bersaglieri, le Penne nere,  la Scala di Milano, tempio della musica?

La mia spiegazione è che la classe politica italo-romana comincia ad aver paura di perdere anche il sostegno del Sud, dopo aver perduto quello del Nord.  E' dal tempo di Ciampi che essa sventola tricolori e si sgola con  l'Inno di Mameli. Uno sventolio che  prima era rivolto al pubblico dei municipalisti padani recalcitranti, a Verona, a Mantova, a Vicenza, a Venezia, e che ora viene rivolto al monnezzaio Sud.

Chi galleggia sull'unità politica oggi vede il mare agitarsi per venti contrastanti. L'Avanti Savoia! è archiviato, il Fascismo pure,  la Resistenza anche. Non restano che lo Stronzobossismo e   l'autonomisno siciliano, il quale se non becca quel che attende, anch'esso si [...] con la bandiera innalzata in cima al Quirinale.

Il leghismo non è stato fatto da fessi e da pittoreschi agitatori. E' un progetto vecchio, che è nato nei sotterranei dell'università Bocconi e nei salottini della Confindustria lombarda. Nessuno deve dimenticare che il suo codificatore è stato Gianfranco Miglio, professore e scaltrito pubblicista di 'Mondo economico'. Già negli Anni settanta persino alcuni ambienti della sinistra e dell'editoria di sinistra milanese auspicavano qualcosa che oggi viene identificato con l'espressione federalismo fiscale. Il passo successivo, individuato da  Miglio, consiste nell'usare il voto padano per conquistare i palazzi romani. Oggi siamo alla conclusione. Berlusconi e Fini sono sotto scacco. E non sul terreno parlamentare, come fu al tempo di Craxi per i socialisti, ma sul terreno ben più decisivo della pubblica opinione. Per governare a Roma, e da Roma, non basta il consenso del Sud, è necessario, anzi indispensabile, quello di Milano, Venezia e Bologna. Napolitano può fare tutti gli ammiccamenti che ritiene ai napoletani, ma è a Milano che si decidono le sorti di Roma. La politica romana non solo deve sottostare, ma anche avallare e reclamizzare il federalismo fiscale, capitolo ultimo venuto dopo il saccheggio cavourrista, il trasformismo, il fascismo, il resistenzialismo, la patitocrazia clientelista. L'Italia cambia le etichette ma rimane sempre uguale a se stessa: il Nord alza la voce, il Sud presenta il dorso. 

Il federalismo fiscale, del federalismo non ha che una squallida assonanza. Il vero federalismo si ha quando tutti i mini-Stati partecipano al controllo della moneta. Il punto riorganizzativo dello Stato nazionale che oggi si vuole non è il fisco, e neppure la moneta o la banca d'emissione, ma la spesa pubblica - chi ha diritto a spendere gli incassi, che rimangono quelli di prima.

 Il federalismo è detto fiscale per allettare i fessi, quanto al resto, ogni cosa rimane come prima. Le banche restano al Nord, lì anche il governo del risparmio privato, del credito, le sedi della cultura e dell'elaborazione culturale, la gestione della retorica nazionale, la Borsa, il Milan, la Juventus, l'Inter, il giro d'Italia, Portofino, Camaiore, le Dolomiti, il Duomo, la Madonnina, il Tempio della musica, le città d'arte, le previsioni meteorologiche, la televisione, la ricreazione, la distribuzione, soprattutto la produzione: quella industriale, quella agricola, quella dei servizi superiori. Le loro proiezioni sudiche - mastro Ciccio il meccanico, massaro Cola l'ortolano, il maestro Tuttoso, l'onorevole  "a robba du guvernu, cu non futti va 'u 'nfernu", e pure l'accademia Suor Orsola Benincasa per gli studi filosofici (sul sesso degli angeli) - nessuno ce li tocca. E' il normale e onesto corso all'impoverimento unitario. Garibaldi con la spada in pugno che sciabola altri italiani. 

Cosenza ha dato al pensiero economico il primo economista moderno. Almeno così dicono i libri. Si chiamava Antonio Serra. Nel Seicento, di fronte al problema della fuga della moneta aurea dal Regno di Napoli verso la repubblica di Genova, cercò di spiegare al Viceré spagnolo che era inutile che facesse bandi per proibire l'uscita della moneta, ed era anche inutile alleggerire il conio del ducato, l'oro se ne sarebbe andato lo stesso e senza salutare. La sola cosa giusta da fare sarebbe consistita nell'aumentare la produzione e le esportazioni (di seta). Esportando, l'oro sarebbe tornato indietro. Il poveraccio finì in carcere e non si sa bene se morì in una cella fornitagli dall'augusto suo corrispondente.

Oggi il problema si pone in termini identici e contemporaneamente  diversi, Cercherò di spiegarmi sinteticamente. I prodotti del  lavoro  meridionale sono costantemente perdenti nello scambio con i prodotti realizzati nelle formazioni sociali avanzate. In apparenza esiste una libera iniziativa e la concorrenza è legge generale. In realtà la concorrenza non esiste, perché chi ha in mano il capitale può spendere in macchine e impianti per produrre ciò che gli altri non possono produrre. Un monopolio  tecnologico insormontabile per chi non ha capitali da investire. Il capitale del Sud venne saccheggiato una volta per tutte tra il 1860 e il 1870 e in appresso ogni nuova accumulazione venne risucchiata  dal Nord. In termini di una sola organizzazione giuridica, al Sud può guadagnare  soltanto chi usa il mitra. Gli studenti liceali sanno che il piè veloce Achille non raggiungerà mai la tartaruga, partita un attimo prima. O per dirla alla paesana: qui il massimo d'industrializzazione a cui possiamo ambire è una fabbrica di gazzose. E' la tecnologia che determina lo scambio ineguale tra aree avanzate e aree arretrate. Ma la tecnologia costa. Lo scambio ineguale arricchisce i ricchi e impoverisce i poveri, è la stessa cosa che Antonio Serra lamentava quattrocento anni fa. Lo Stato italiano è nato per garantire il capitale, cioè il privilegio tecnologico nordista. Per ribaltare la situazione è necessario ribaltare lo Stato. Un  Sud  indipendente, che si proponesse di risorgere,  non avrebbe altra strada che riprendere in mano  il controllo delle risorse energetiche (sfruttate da  padroni milanesi), la banca d'emissione, la produzione agricola, industriale e i servizi, a cominciare dalla scuola e dalla salute.

Predica al vento, la mia. Perché, prima di arrivare a questo bisognerebbe innalzare le ghigliottine in piazza.   Quanto a me, per fortuna sono cambiati i tempi. Al posto del Vicerè spagnolo c'è Napolitano, cosicché sono certo che non  morirò in una buia cella di Castel dell'Ovo.   

   









 

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